Immota harmonìa Collana di Musicologia e Storia della musica

Immota harmonìa
Collana di Musicologia e Storia della musica

Direttore
Sergio P
Comitato scientifico
Guido B
Conservatorio di Musica di Trapani “Antonio Scontrino”
Società aquilana dei concerti “B. Barattelli” Ente musicale
Dario D P
Conservatorio di Musica di L’Aquila “Alfredo Casella”
Alessandro C
Conservatorio di Musica di Roma “Santa Cecilia”
Stefano R
Università per stranieri di Perugia
Conservatorio di Musica di Perugia “Francesco Morlacchi”
Immota harmonìa
Collana di Musicologia e Storia della musica
La collana Immota harmonìa accoglie e prevede nelle sue linee programmatiche e nei suoi intendimenti le tre diramazioni e direttive della
ricerca musicologica: monografie e biografie, trattatistica e analisi
musicale. L’argomentazione biografica e monografica spazia naturalmente in tutto l’ambito della millenaria storia della musica, mentre la
trattatistica s’indirizza verso le teorizzazioni tipicizzanti e fondamentali (teorie generali, acustica, organologia, armonia, contrappunto,
studio ed evoluzione delle forme); l’analisi, infine, comprende riletture e tematiche specifiche secondo intendimenti e campi di indagine
molteplici, caratterizzanti e soggettivi.
Sergio Prodigo
La trattatistica musicale
nella latinità medievale
Prefazione di
Claudia Fabrizio
Copyright © MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio 
Indice
7
Prefazione
11
Introduzione
17
Capitolo I
Da Aristosseno al canto cristiano
1.1. Gli Elementa Harmonica di Aristosseno, 17 – 1.2. La musica
nella latinità, 28
37
Capitolo II
Il De Musica di Agostino
2.1. Analisi del De Musica, 37 – 2.2. Cassiodoro e Censorino, 52
59
Capitolo III
Il De Institutione musica di Boezio
3.1. L’estetica boeziana, 59 – 3.2. La musica instrumentalis, 64 –
3.3. Schemi e fondamenti teorici della modalità, 80
91
Capitolo IV
La trattatistica fino all’anno Mille
4.1. Isidoro di Siviglia, 91 – 4.2. I teorici del VII e VIII secolo, 95 –
4.3. Aureliano di Réôme, 101 – 4.4. Trattatisti anonimi e teorici del
IX e X secolo, 106
5
6
121
Indice
Capitolo V
Guido d’Arezzo
5.1. Il Micrologus, 121 – 5.2. Le Regulae Rhythmicae, 140 – 5.3. Il
Prologus in Antiphonarium, 147 – 5.4. L’Epistola ad Michaelem,
150
159
Capitolo VI
L’Ars Antiqua
6.1. La prima fase, 159 – 6.2. La seconda fase: la scuola di NôtreDame, 167 – 6.3. La terza fase: la notazione franconiana, 181
189
Capitolo VII
L’Ars Nova
7.1. La bolla Docta Sanctorum, 189 – 7.2. L’Ars Nova francese:
Johannes de Muris e Philippe de Vitry, 195 – 7.3. Guillaume de
Machault, 205 – 7.4. L’Ars Nova italiana, 209
221
Conclusioni
227
Bibliografia
231
Indice dei nomi
Prefazione
Molteplici si riveleranno ai lettori le ragioni dell’operazione condotta da Sergio Prodigo nel libro, di grande impegno, che egli ricava
dalla sua dissertazione di laurea magistrale: far luce su un capitolo
complesso della storia della musica occidentale, innanzitutto, e al contempo lumeggiare le asperità e le ricchezze della lingua con cui su
quella musica si è teorizzato, piegandola alle esigenze di questa teoresi
nello sforzo del discorso intellettuale e della definizione tecnica.
Il contributo di Sergio Prodigo si consegna dunque al pubblico di
studiosi – musicologi, essenzialmente, e storici della musica; ma anche medievisti e latinisti – all’incrocio di campi di studio diversi. Come spesso accade, le zone di convergenza tra territori contigui sono le
più feconde, posta la capacità, tutt’altro che comune, di far dialogare
istanze intellettuali e ripartizioni tradizionali del sapere rispettandone
le specificità epistemologiche. Così è nel caso di questo lavoro, che
esamina le principali e più dibattute teorie musicali cui il Medioevo ha
dato vita, e che si scontra direttamente con i problemi propri di ogni
indagine storica: la deformazione prodotta sull’osservatore dalla distanza temporale dall’oggetto di studio (aberrazione prospettica, nella
fattispecie, aumentata e complicata da altre teorie e altre estetiche musicali che hanno soppiantato quelle medievali, e che più direttamente
fanno parte della formazione e dei gusti di Prodigo musicologo) e
l’oggettiva complessità del codice cui sono affidati i contenuti noetici
da indagare (e cioè il latino della trattatistica medievale: lingua multiforme e soggetta a variazione interna più di quanto chiunque non addetto ai lavori possa solo lontanamente immaginare).
Entrambe queste sfide – una sfida che attiene al contenuto e una
che concerne la forma – sono state raccolte dall’autore con un’ambizione e uno slancio saggiamente temperati da metodo, dedizione e
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8
Prefazione
precisione; di più: tali sfide sono state coscientemente ricercate, in un
percorso nel quale lo studioso ha rivelato una sempre ammirevole indipendenza di giudizio e un’apprezzabile freschezza di intuizione. Con
molta autonomia intellettuale, egli ha scelto e collazionato le opere e i
passi; ha distinti le fasi e gli snodi; ha ricostruito i momenti apicali e le
tendenze di sfondo, restituendo un’immagine vivida della trattatistica
musicale nella latinità medievale che sarà di conforto agli studenti e
agli studiosi che vorranno orientarsi in un dominio teorico non abbondantemente frequentato. Al tempo stesso, non ha sottovalutato il problema interpretativo-filologico connesso ad un codice – il latino scritto nel suo segmento medievale – che, lingua di cultura ancora pienamente reattiva e tutt’altro che immobile, «non geme d’impotenza», per
dirla con Kierkegård, di fronte a contenuti di volta in volta difficili, alti e tecnici, ma si piega ad esprimerli con le risorse proprie di ogni
semiosi linguistica nelle mani dei suoi utenti. Con la dovuta attenzione
a questo codice, l’esegesi di Prodigo si discosta talora da quella delle
edizioni critiche ed egli propone una personale interpretazione del testo, segnalandosi come originale e aprendosi al dibattito.
La musica, un po’ come il linguaggio, ha la caratteristica di offrirsi
a chi la studia da innumerevoli punti di vista. Il suo carattere eteroclito
– prendo a prestito la dicitura saussuriana relativa alla faculté du language – si arricchisce nel Medioevo di una componente religiosa, accanto ad una purtroppo obliata validità pedagogica. Nel Medioevo si
scrive di musica non solo per la curiosità scientifica di scoprirne la ratio, ma anche perché la musica è lo specchio terrestre di armonie celesti, e perché tramite la musica la comprensione del mistero dell’uomo
si accresce. La musica è anche la compagna inscindibile della lirica
d’amore sacra e profana, almeno sino al divorzio segnato dalla scuola
poetica federiciana. Esagerarne l’importanza per l’uomo medievale –
poeta, artista, mistico – è di fatto impossibile.
Poiché ogni passato è una terra straniera, misurare questi fatti, di
gran lunga molto più complessi di quanto si possa dire qui, comporta
la necessità di comprendere la cornice antropologica e, per dir così,
ecologica della prassi musicale antica; per questo compito, che attende
gli studiosi più intraprendenti, il lavoro di Prodigo offre sin da ora
spunti e materiali non trascurabili.
Al contempo, il suo lavoro contribuisce a ricostruire le vicende tutte terrene e concrete di sbagli, incomprensioni, andamenti carsici della
terminologia e debiti teorici non sempre immediatamente riconoscibi-
Prefazione
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li, innovazioni e persistenze: fenomeni – questi – ben noti a chiunque
si avventuri sul terreno della storia di una disciplina complessa. Farsi
storico di una scienza richiede un abito molto peculiare e da molti sovente frainteso o sottovalutato.
E infine, il libro di Sergio Prodigo ha il merito non irrilevante di ricordarci che se, di secoli bui si può parlare per il Medioevo latino, essi
lo sono solo perché (ancora) troppo poco illuminati.
Claudia Fabrizio
docente universitaria di Linguistica e Storia della lingua latina medievale
Simone Martini
(Vestizione di San Martino, dettaglio dall’affresco; Basilica inferiore di Assisi)
Introduzione
Nell’ambito musicale, teoria ed estetica costituirebbero una fibra
integrata e radicata nella relativa cultura, anzi sarebbero reciprocamente legate da un determinato codice comunicativo, tale da racchiudere e conglobare sia il momento critico sia l’interpretazione artistica.
In simile contesto il periodo storico indagato e il repertorio connesso
apparirebbero proporzionati al materiale prodotto, poiché, dal barocco
fino al Novecento storico e contemporaneo, il patrimonio musicale si
è sempre accresciuto in maniera esponenziale e, al tempo stesso, ideologie e correnti di pensiero si sono avvicendate in gran copia e in parallelo con altre arti e discipline: tuttavia, tale ingente retaggio rappresenta solo quattro secoli di una storia musicale che, invece, fino al
XVII secolo ha alle spalle quasi duemila anni di tradizione. La proporzione citata sfavorirebbe proprio quel millennio oggetto di indagine, il Medioevo, ma è proprio la trattatistica a colmare tale divario.
In effetti, la quantità di opere, espressamente dedicate alla musica
come scientia, soprattutto dal IX al XV secolo, è particolarmente elevata1: di contro, l’assenza di un sistema notazionale organico, almeno
fino al IX secolo, e la sua discontinua elaborazione sono alla base di
una non rilevante documentazione, limitata alla successiva trascrizione di una pur cospicua tradizione orale, essenzialmente monodica. Solo dal XII secolo, del resto, emergono le prime espressioni di creatività musicale, frutto dell’opera di musici che, dalla primigenia manualità, quasi meccanica, del discantus “inventano” polifonie sempre più
complesse e mutano progressivamente le forme sacre e profane in ela1
Presso la Jacobs School of Music della Indiana University sono quasi seicento i trattati
utilmente inseriti nell’archivio elettronico (Thesaurus Musicarum Latinarum): solo poco più
di venti vennero scritti dal III al IX secolo, oltre 250, invece, nel XIII e XIV secolo.
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12
Introduzione
borate e ricercate architetture polivoche. Le stesse forme, pertanto, assumono sostanza, si evolvono, si ramificano e si differenziano: il repertorio, di conseguenza, s’accresce, grazie all’opera dei compositori,
assurti al simile ruolo artistico di coevi poeti, prosatori, pittori e scultori, pur se il Medioevo ha ormai quasi completato il suo percorso storico.
In tale mutato contesto la trattatistica investiga principalmente le
regole del comporre, tralascia le implicazioni teoriche o le speculazioni filosofiche e, agli albori del Rinascimento, abbandona finanche la
lingua latina.
La ricerca musicologica sui vari periodi della storia musicale, dal
XVI secolo fino all’età contemporanea, può analizzare forme e generi
ben definiti attraverso le opere dell’ingegno musicale, da Palestrina e
Monteverdi a Bach e Händel, da Mozart e Beethoven a Liszt e
Brahms, da Schönberg e Stravinskij a Stockhausen e Ligeti; una indagine sul precedente millennio musicale segue generalmente altre direttrici: si concentra sull’evoluzione delle prime forme musicali sacre e
profane oppure investiga temi specifici, come la notazione, il gregoriano, la prima polifonia, l’Ars nova e il contrappunto franco-fiammingo.
Nello specifico e nell’intento espositivo, tali tematiche abbiamo inteso affrontarle attraverso la lettura dei principali trattati, dai quali far
emergere, rilevare e commentare prassi teoriche e concezioni estetiche
nel generale contesto della latinità medievale, da Agostino e Boezio a
Isidoro di Siviglia, dalla pletora dei teorici del IX-X secolo a Guido
d’Arezzo, da Vitry a Tinctoris: abbiamo seguito, al riguardo, un preciso, sistematico e razionale ordine espositivo, illustrato di seguito nell’articolazione dei sette capitoli costituenti.
Il primo capitolo, tuttavia, è stato concepito come una sorta di inevitabile introduzione, poiché era necessario che compendiassimo la
teoria musicale greca, attraverso l’analisi degli Elementa Harmonica
di Aristosseno, ed esponessimo i prodromi e i successivi fondamenti
del canto liturgico e della modalità del corpus gregoriano, pervenendo
alla stessa esemplificazione dei modi ecclesiastici.
Il secondo capitolo è stato dedicato in gran parte al De Musica di
Agostino: dalla lettura analitica di alcuni passaggi abbiamo potuto rilevare come i contenuti estetici tendessero a prevalere fortemente nell’opera di un filosofo che, tuttavia, teorizza l’espressione musicale come scientia bene modulandi. Oltre le finalità didattiche del trattato e la
Introduzione
13
ratio numerica come base della stessa interpretazione fenomenologica
della musica, abbiamo preferito evidenziare soprattutto quelle considerazioni di natura estetica, che sanciscono la dicotomia fra scienza
teoretica e pratica esecutiva.
Similmente abbiamo operato in Boezio e nel De Institutione musica, alla cui analisi è stato interamente ascritto il terzo capitolo: tuttavia, da una sintesi del pensiero greco, critica e razionale, il filosofo
perviene alla tripartizione della musica in mundana, humana e instrumentalis, ma è a questa ultima che dedica una complessa ricerca teorica, che si concreta nella logicità degli schemi e nella riorganizzazione
del sistema modale. Tale aspetto è stato particolarmente approfondito,
soprattutto per le successive implicazioni che il suo fraintendimento
ha comportato nella definitiva acquisizione delle otto modalità ecclesiastiche.
Dopo le due fondamentali opere teoriche, il periodo di interregno,
che giunge fino alle soglie del secondo millennio, è stato oggetto di
indagine nel quarto capitolo: dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia
alla non rilevante trattatistica dei teorici che operano fra il VII e il X
(Beda il Venerabile, Alcuino di York, Aureliano di Réôme, Ubaldo di
Saint Amand, Remigio di Auxerre, Odone di Cluny, oltre i due fondamentali trattati anonimi, Musica enchiriadis e Alia musica). I contenuti tecnici delle opere abbiamo ritenuto di doverli esaminare accuratamente, al fine di evidenziare da un lato la definitiva consacrazione
della musica come scientia fra le arti del Quadrivium e, dall’altro,
l’acquisizione del sistema notazionale alfabetico e la concreta attuazione degli otto modi autentici e plagali, il tutto alla base della progressiva organizzazione e trascrizione del patrimonio musicale liturgico.
In tale ambito, sia l’evoluzione del sistema notazionale sia le susseguenti acquisizioni teoriche si concretano proprio nell’opera di Guido d’Arezzo, ampiamente analizzata nel quinto capitolo: i suoi quattro
fondamentali scritti, il Micrologus, soprattutto, ma anche le Regulae
rhythmicae, il Prologus in Antiphonarium e L’Epistola ad Michaelem,
abbiamo ritenuto di esporli con lunghe ed esaustive citazioni, ma pur
sempre commentate e inserite nel contesto assunto per la relativa analisi, corredata delle necessarie esemplificazioni. Le stesse “innovazioni” guidoniane abbiamo inteso approfondirle, anche in relazione alle
interpretazioni successive del suo pensiero musicale, dalla denominazione delle note all’esacordo e alla pratica della solmisazione.
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Introduzione
Il mutamento sostanziale della concezione e definizione della musica, da scientia ad ars, e la sua stessa ragione di essere nell’ambito
della cultura, che gradualmente si affermano dal XII secolo fino agli
albori del Rinascimento, hanno costituito la sostanza delle argomentazioni esposte negli ultimi due capitoli, paritariamente suddivisi nella
trattazione dell’Ars Antiqua e dell’Ars Nova, senza eccedere – come
forse sarebbe stato opportuno – in più dettagliate esposizioni, che
avrebbero snaturato, tuttavia, gli intenti assunti nella trattazione medesima.
Nel sesto abbiamo esposto e analizzato le prime forme di polifonia,
suddividendo lo stesso contesto storico-artistico in tre distinte fasi: la
prima, di carattere teorico, ne ha mostrato i prodromi e le espressioni
iniziali, attraverso le opere di trattatisti come Ermanno il Contratto,
Gil de Zamora e Johannes Affligemensis; nella seconda ampio spazio
abbiamo voluto dedicarlo alla scuola di Nôtre-Dame, ai modi ritmici,
all’opera dei primi compositori (Leoninus e Perotinus) e ai trattati dell’Anonymous VII e di Johannes Boen, mentre nella terza fase abbiamo esaminato e illustrato la notazione franconiana (assieme ai trattati
di Francone di Colonia e di Giacomo da Liegi). A corredo della teoria,
abbiamo addotto riproduzioni di manoscritti e la trascrizione in notazione moderna del Viderunt omnes di Perotinus.
Nel settimo capitolo rinveniamo inizialmente la disamina e il commento sui contenuti della bolla Docta Sanctorum di Giovanni XXII: di
seguito, l’Ars Nova francese abbiamo inteso descriverla attraverso le
opere teoriche di Johannes de Muris e Philippe de Vitry, riproducendo
parzialmente il manoscritto del mottetto Garrit gallus e la sua trascrizione moderna. Analogamente abbiamo operato per l’analisi di due
lavori di Guillaume de Machault: il Kyrie dalla Messa di Nôtre-Dame
e la ballata Sanz cuer m’en vois. Per l’Ars Nova italiana abbiamo chiosato il trattato di Marchetto da Padova, il Pomerium, e due lavori polifonici di Gherardello da Firenze (la caccia Tosto che l’alba) e di Francesco Landino (la ballata Echo la primavera).
Infine, nelle conclusioni abbiamo potuto accennare anche alla trattatistica del Quattrocento, con una breve analisi di due opere teoriche
di Johannes Tinctoris.
Le traduzioni dei passi selezionati e riportati sono originali (nel
senso che ne abbiamo curato direttamente le relative versioni, sovente
caratterizzate da “libere” ma necessarie interpretazioni), tranne quelle
Introduzione
15
espressamente indicate in nota, per le quali abbiamo utilizzato la traduzione dei curatori dell’opera in oggetto2.
Tutte le esemplificazioni musicali e gli schemi tabellari, salvo diversa indicazione (riportata in nota), sono ugualmente originali.
2
I testi dei trattati (oggetto di traduzione originale) sono stati desunti dal Tesaurus Musicarum Latinarum nel sito http://www.chmtl.indiana.edu/tml/start.html della già menzionata
Jacobs School of Music della Indiana University (tranne le opere di Aristosseno, Boezio, Isidoro di Siviglia, Aureliano di Réôme e Guido d’Arezzo). Nelle note, relative alle citazioni,
abbiamo riportato il nome dell’autore e l’anno di pubblicazione (con la sola indicazione degli
eventuali capitoli): le altre indicazioni vengono dettagliate nella bibliografia.
16
Introduzione
Boezio
Aristosseno
Pitagora
(particolari da “La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio,
1509-1510, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura)
Capitolo I
Da Aristosseno al canto cristiano
1.1. Gli Elementa Harmonica di Aristosseno
Nell’età ellenistica Aristosseno di Taranto (IV sec. a.C.), appartenente alla scuola peripatetica, pose i fondamenti teorici ed estetici del
sistema musicale3, contrapponendosi recisamente alla tradizione pitagorica4. L’esordio degli Elementa Harmonica (Ἁρμονικῶν Στοιξεῖν)
definisce e delimita il campo d’azione della ricerca speculativa5:
Τῆς περὶ μέλους ἐπιστήμης πολυμεροῦς οὔσης καὶ διῃρημένης εἰς
πλείους ἰδέας μίαν τινὰ αὐτῶν ὑπολαβεῖν δεῖ τὴν ἁρμονικὴν καλουμένην
εῖναι πραγματείαν, τῇ τε τάξει πρώτην οὖσάν ἔχουσάν τε δύναμιν
στοικχειώδη.
3
La storia della musica, nel corso della sua più che millenaria evoluzione, è disseminata
di antinomie sui diversi piani interpretativi, teorici, pratici, etici ed estetici. Occorre rammentare, tuttavia, come nell’antichità greca l’arte delle Muse (μουσική τέχνη) designasse l’unità
di poesia, melodia e azione gestuale. In tale coeso contesto, interpretazioni e speculazioni filosofiche investivano la stessa espressione artistica nel suo complesso: alla condanna platonica dell’arte in generale, in quanto mera imitazione della realtà, si giustapponeva una visione
più “liberale” delle discipline afferenti da parte di Aristotele, che ne indicava (ma delimitava)
il fine catartico. In Platone l’astrazione della musica (nella “moderna” accezione terminologica) si concretava solo sul piano teorico e si associava al concetto pitagorico di armonia delle
sfere, poiché rappresentava l’armonia dell’anima e quindi dell’universo, determinando la secolare frattura tra prassi rappresentativa ed esecutiva e ideazione o intuizione pura. Il pensiero
aristotelico, pur derivato da tale dicotomia, scindeva la fruizione (attribuendole valore etico
non disgiunto dal beneficio edonistico) dalla stessa prassi, avulsa dall’educazione e relegata a
mestiere.
4
La concezione pitagorica si fondava principalmente su un razionalismo di carattere matematico: nella conseguente astrazione del contesto musicale i rapporti numerici tra i suoni si
estendevano al concetto di armonia dell’anima e dell’universo.
5
Aristosseno, 1954: I, 3 (la traduzione dei passaggi selezionati è di Rosetta Da Rios).
17
Capitolo I
18
La scienza della melodia è multiforme e si divide in più parti; una di esse
si deve considerare la scienza detta armonica, che è, secondo l’ordine, la
prima ed ha una funzione elementare.
L’impostazione in termini aristotelici della trattazione indica l’armonia come oggetto fondamentale ed “elementare” della conoscenza
(ἐπιστήμη) teorica della musica, compresa nel più ampio genere della
melodia (τό μέλος): entrambi i termini hanno naturalmente assunto significati diversi nella terminologia musicale occidentale6.
Dopo un’articolata definizione della stessa melodia7, Aristosseno
ne classifica i tre generi (γένη) in cui si divide il relativo tetracordo 8, il
diatonico, il cromatico e l’enarmonico: nell’esemplificazione susseguente vengono riportati in notazione moderna e nella convenzionale
intervallazione mi4-si3.
Nel genere diatonico (ossia tensivo, dall’aggettivo διάτονος, derivante da διατείνω, tendere) i suoni mobili sono appunto caratterizzati
dalla massima tensione, secondo la sequenza tono-tono-semitono; l’attribuzione di cromatico indica una sorta di alterazione di ‘colore’
(χρῶμα) del genere diatonico (secondo la sequenza un tono e mezzo/semitono/semitono).
6
Per “armonia” dovremmo intendere la disciplina che studia la formazione e la classificazione degli accordi: anticamente, invece, designava sia le diverse tipologie di accordatura della lira greca sia (ma come harmoniai) le difformi denominazioni dei modi in base all’unione
dei tetracordi nella scalarità di ottava; nel concetto più affine di “melodia”, che designa oggi
una espressione tematica in fieri, erano comprese le parti tonali e ritmiche di una successione
di suoni (φθόγγοι) di altezza differente. Per Aristosseno, tuttavia, tale successione era priva di
altre determinazioni e implicava esclusivamente la parte tonale della musica: l’organizzazione
completa e complessa del τὸ μουσικὸν μέλος veniva indicata, come aggiunta, dal termine
τέλειον che ne formalizzava la funzione di inventio.
7
Aristosseno operava una fondamentale distinzione tra melodia del linguaggio (λογώδες
μέλος) e melodia armonizzata (μουσικὸν μέλος), poiché la prima si avvale del naturale accento delle parole senza discontinuità, mentre la seconda necessita del movimento discontinuo
della voce e delle varie combinazioni degli intervalli semplici.
8
Teoricamente tale termine designava la successione di quattro suoni congiunti, ma si riferiva (anche nella pratica esecutiva) alle quattro corde della lira: tra la corda più alta e la più
bassa l’intervallazione compresa e discendente era di quarta giusta, ma la diversa intonazione
delle due corde intermedie determinava la distinzione funzionale dei tre generi.