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Algoritmo e società
Fig. 1 – Rappresentazione grafica dell’algoritmo
È alla base di molte delle nostre azioni quotidiane, detta legge sul web, influenza la nostra “web reputation”
sui social media e sceglie gli annunci in cui ci imbattiamo in rete. È l’algoritmo, un’entità perlopiù
sconosciuta, che giorno avanza di qualche centimetro nel controllo delle nostre vite e che – da definizione –
consiste in un procedimento matematico per risolvere un problema attraverso un numero finito di passaggi.
Ma proviamo a capirci qualcosa di più.
Etimologia e definizione
Quando il significato di una parola o di un concetto non ci è del tutto chiaro, è buona prassi provare a fare un
po’ di luce partendo dalla sua etimologia. Secondo la Treccani, il termine algoritmo deriva dal latino
medievale algorithmus o algorismus, dal nome d’origine, al-Khuwārizmī, del matematico arabo Muḥammad
ibn Mūsa del IX secolo, così chiamato perché nativo di Khwarizm, una regione dell’Asia Centrale.
Fig. 2 – Internet of things
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L’algoritmo è dunque qualcosa che ha a che fare con la matematica e da quando la società si è
progressivamente informatizzata e digitalizzata, l’algoritmo ha via via acquisito un peso maggiore. A partire
dalle gigantesche masse di dati – i big data – che, ad esempio, produciamo attraverso i nostri smart-phone,
l’algoritmo opera una serie di calcoli ultrarapidi, che organizzano gerarchicamente le informazioni raccolte.
È un algoritmo a “decidere” quali post fare comparire sul nostro wall di Facebook ed è sempre un algoritmo
che, sulla base dei nostri clic precedenti, stabilisce quale pubblicità proporci prima di un video su youtube. In
generale, possiamo dire che l’algoritmo è una forma di riorganizzazione degli innumerevoli dati grezzi che
ciascuno di noi produce, per esempio, quando fa acquisti, quando si sposta, quando interagisce attraverso i
social network.
Per farci un’idea della quantità di dati di cui stiamo parlando, basti sapere che ogni giorno 3 miliardi di
internauti si scambiano 144 miliardi di mail e che quotidianamente su Facebook gli iscritti si scambiano 4,5
miliardi di like. Tutte queste informazioni, se interpretate correttamente, consentono di codificare la realtà e,
in un certo senso, di prevedere le nostre azioni future, come ad esempio quali oggetti saremo più propensi a
comprare. Proprio per questo, qualcuno considera i big data alla stregua del petrolio, come fossero, in un
certo senso, il nuovo carburante della società che verrà. Già oggi, infatti, gli algoritmi controllano parte delle
nostre vite, le influenzano, le determinano, condizionando le nostre scelte. Cerchiamo allora di capire come
funzionano.
Quattro famiglie di calcolo digitale.
Senza entrare troppo in dettaglio, proviamo ad aggiungere un pezzetto alla nostra conoscenza del magico
mondo degli algoritmi cercando di distinguerli in quattro grandi categorie. Secondo il sociologo Dominique
Cardon, il primo passo è infatti capire quali sono le “famiglie” in cui possiamo suddividere i diversi tipi di
algoritmi che oggi dominano il web: quelli basati sulla popolarità, sull’autorevolezza, sulla reputazione e sui
sistemi di misura predittivi.
Fig. 3 – Icone di social media, come Fb, Twitter, Linkedin, etc.
La prima famiglia, quella della popolarità, misura l’audience dei siti semplicemente contando i clic dei
visitatori. A fare parte di questo gruppo è ad esempio Google Analytics, lo strumento che consente ai
webmaster di avere le cifre dei propri siti, registrando gli indirizzi IP che si collegano alle pagine web. La
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seconda famiglia, che Cardon chiama dell’autorevolezza, è tipicamente quella utilizzata da Google, che
indicizza i siti sulla base della quantità di link ipertestuali: più un sito è linkato da un altro sito, più esso è
considerato autorevole e, quindi, meritevole di essere ai primi posti della gerarchia stabilita dal motore di
ricerca. Il terzo gruppo di algoritmi, invece, fa rima con social media. È quello dei like di Facebook, sulla
base del quale, ciascuno di noi, a seconda della propria presenza sui social, dell’ampiezza della propria rete e
della pervasività del proprio messaggio, fa salire o scende l’asticella del proprio “gloriometro”, altrimenti
detto “e-reputation”. Dulcis in fundo, la quarta famiglia, è quella della “previsione” ed è fondata sul machine
learning, una particolare tecnica statistica che, ad esempio, consente a Netflix o ad Amazon di suggerirci
nuovi prodotti sulla base delle nostre scelte passate.
La sintassi del nostro tempo
Ciascuna di queste famiglie presenta vantaggi e svantaggi, ma quello che è importante capire, aldilà della
classificazione, è che gli algoritmi stanno acquisendo un peso enorme sulle nostre vite, a partire dal fatto che
sono essi a regolare il nostro accesso all’informazione, sia essa di natura politica, commerciale o culturale.
Se infatti Galileo Galilei parlava di un libro della natura scritto in un linguaggio matematico, possiamo dire
che – oggi – la sintassi del mondo in cui viviamo è certamente basta sull’algoritmo. La conclusione? Per
avere una piena consapevolezza della realtà, per avere un effettivo controllo delle nostre scelte e per sfruttare
appieno le opportunità che si sono aperte con la diffusione di internet, è fondamentale avere gli strumenti
intellettuali adeguati per comprendere gli algoritmi. Solo così potremo controllare la tecnologia invece di
essere controllati da essa.
Fonti
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Dominique Cardon, Che cosa sognano gli algoritmi
http://www.fondazionebassetti.org/it/focus/2017/03/digidig_un_manifesto_sullalgor.html
https://www.digidig.it/