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Giugno 2009
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Assessorato Agricoltura Forestazione Difesa Fauna
VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
a cura di Bruno Acciai
II futuro dell'ambiente è un problema che riguarda tutti i popoli della Terra, ma se è vero che
una soddisfacente soluzione dei problemi ecologici deve impegnare a fondo la scienza come
la tecnologia, la volontà come sforzo di "fantasia" e il cervello di quanti detengono il potere, è
però anche innegabile che tali variabili non possono agire isolatamente perché finirebbero
per perseguire ciascuna il proprio tornaconto, con danno di quello superiore, che deve
rimanere appannaggio della collettività.
La salvaguardia dell'ambiente, inteso in senso idrogeologico, climatico, paesistico, storico e
sociale, determina la sopravvivenza e lo sviluppo di ogni comunità organizzata.
Da qui la necessità di incidere sul comportamento delle nuove generazioni attraverso una
seria educazione su temi che riguardano l'ecologia, scienza particolarmente importante oggi,
in quanto le problematiche legate all'integrità dell'ambiente e alla conservazione delle sue
peculiari risorse, impone la profonda conoscenza delle sue leggi.
E a chi, se non alla scuola, spetta questo compito?
La scuola è un'agenzia educativa pubblica quindi deve farsi carico di scuotere e
sensibilizzare i propri discenti, rendendoli consapevoli che il bene di ogni singola persona
non è disgiunto da quello di tutta la comunità.
Per risultare incisiva, la scuola non deve mai abdicare al suo obiettivo formativo, anche se
per raggiungerlo deve avvalersi di tutte quelle agenzie esterne che sono in grado di
completarne il suo compito.
Una scuola moderna dispone di tutte quelle tecniche che la pongono in grado di attivare lo
studente e guidarlo nella ricerca, nell'indagine, nelle tecniche di documentazione,
nell'inchiesta giornalistica, nel confronto delle idee mezzi, che l'esperienza, ha rilevato tutti
adatti e congeniali ai ragazzi, per un approccio positivo a temi collegati all'ecologia, che è
solo un modo di osservare, capire, interpretare e modificare i fatti della Natura.
L’ Autore
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
a cura di Bruno Acciai
INDICE DEGLI ARGOMENTI TRATTATI
Argomento
L’ecologia: una nuova dimensione educativa
Indice degli argomenti trattati
Una scienza complessa
Ecologia: le tendenze moderne
Gli ecosistemi
Relazioni tra biocenosi e biotopo
Il gioco delle relazioni: la catena alimentare
IL sole in cellula
L’albero singolo
Chioma e portamento degli alberi
Utilità dell’albero
L’albero in cifre
L’albero non è eterno, il bosco non muore mai
L’autunno fa cadere le foglie
Testimoni viventi nel tempo
Ecologia ed il mondo delle piante
Le piante inferiori
Le piante superiori
Impollinazione e fecondazione delle piante
Ecologia e il mondo degli insetti
Funghi e insetti
Le piante insettivore
Influenza del clima sulla vita delle piante
Nome e cognome delle piante
La nomenclatura binomia
La Vegetazione Naturale Potenziale
Bosco e Foresta sono sinonimi?
Gli alberi che danno il nome ai boschi italiani
Le fasce di vegetazione in base all’altitudine
Un classico esempio di ecosistema bosco
I diversi strati del bosco
II clima interno di un bosco di Latifoglie
II risveglio del bosco
Aspetti vegetazionali del territorio pisano
Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli
Monti Pisani
Il Complesso Forestale di Santa Luce
Le Cerbaie: aspetti ecologici e vegetazionali
Le colline metallifere
Studio e ricreazione nel bosco
Come comportarsi nel bosco
Chi ama il bosco non coglie i suoi fiori
Precauzioni e pericoli
Come orientarsi nel bosco
La fauna dei nostri boschi
Note conclusive
Bibliografia e riferimenti iconografici
Glossario
Ringraziamenti
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1.1) Una scienza complessa
Ecologia è termine coniato nel 1866 dal biologo tedesco Ernst Haeckel, ricavandolo da
due parole greche: oikos (casa) e logos (discorso), con significato di "discorso sulla casa",
intesa come ambiente. Questo fortunato neologismo, divenuto una parola chiave della nostra
cultura, comparve in "Generelle Morphologie der Organismen” un
trattato dello stesso Haeckel ad indicare un particolare compito della
biologia e vale a dire lo studio delle relazioni che intercorrono fra
organismi viventi in una data area e l'ambiente fisico. Lo studio suggerito
da Haeckel, le cui radici affondano nella storia naturale, nella fisiologia e
nella teoria dell'evoluzione, non ebbe subito molto ascolto per l'estrema
complessità che questo presentava e per il quale occorrevano
conoscenze acquisite o da acquisire in varie discipline; considerando
anche che a quei tempi il campo della ricerca scientifica era alquanto
ristretto e oneroso quindi, percorribile solo da pochi eletti. Tuttavia, anche
se lentamente, il termine ecologia percorse strada tra i botanici, intesa però solo come studio
delle relazioni fra organismi vegetali e l'ambiente. Questo significato, nato al Congresso
Internazionale di botanica svoltosi a Bruxelles nel I9I0, non rendeva giustizia al pensiero di
Haeckel, e in verità era una interpretazione assai restrittiva e soggettiva che non faceva
onore ai botanici. E' solo dopo il 1940 che, ad opera soprattutto di studiosi americani,
l'ecologia torna al concetto di base e di partenza suggerito da Haeckel: lo studio scientifico
del mutuo rapporto fra piante, animali e ambiente. Dopo alcuni decenni, nelle correnti più
feconde della biologia si avverte l'esigenza di concepire qualunque cosa come parte di un
contesto più ampio.
I sistemi ecologici, afferma Barry Commoner, noto biologo
americano, obbediscono ad una prima legge dell'ecologia che dice:
"Ogni cosa è connessa con qualsiasi altra cosa". L'uomo non sfugge
a questi legami. Sui maggiori testi di ecologia non è raro incontrare
espressioni come queste: " prendi una cosa qualsiasi e scoprirai che
è legata a tutto il resto dell'universo "non si può cogliere un fiore
senza turbare una stella ". Modi semplici che esprimono una
complessa realtà: viventi e non viventi siamo tutti strettamente legati
gli uni agli altri da mille invisibili fili.
1.2) Ecologia: le tendenze moderne
Una delle principali tendenze è l'uso crescente di modelli teorici elaborati con il computer. Le
simulazioni servono per controllare le fluttuazioni delle popolazioni, i cicli minerali e i flussi di
energia. I modelli per scoprire dove le nostre conoscenze sono inadeguate, per la
formulazione di principi ecologici, per ipotizzare il destino degli ecosistemi in determinate
situazioni antropiche. E’ in espansione il campo dell'ecologia dei sistemi, che ricorre alle analisi teoriche e a metodi sperimentali per studiare la distruzione degli ecosistemi e la loro
ricostituzione. L'ecologia dei sistemi richiede esperti in una vasta gamma di discipline:
matematica, tecnologia dei calcolatori, fisiologia, microbiologia, biochimica, climatologia e
tassonomia. Gli ecologi sono sempre più impegnati a risolvere problemi causati
dall'incremento della popolazione umana, dalla crescita dell'inquinamento, dall'aumento delle
richieste di energia e del sempre più alto ricorso alla distruzione degli ecosistemi per usi
umani. L'ecologia vegetale potrà rivelarsi necessaria per contribuire a risolvere i problemi del
nutrimento della popolazione umana mondiale, problemi che vanno dalla conservazione della
biodiversità, alla tutela delle specie vegetali e animali in via di estinzione.
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1.3) Gli ecosistemi
Un ecosistema è formato da una comunità di organismi viventi, animali e vegetali, nel cui
insieme costituiscono una " "biocenosi ", e da un ambiente fisico in cui si svolge la vita della
comunità stessa, che va sotto la denominazione di " "biotopo ", termine che deriva da bios (=
vita) e topos (= luogo): in biologia, unità ambientale in cui esistono condizioni favorevoli alla
vita di organismi. L'estensione di un ecosistema ha una importanza relativa, ciò che lo
qualifica come tale è che la vita degli organismi, il flusso di energia e il riciclo degli elementi
nutritivi avvenga completamente al suo interno. Un piccolo stagno è un ecosistema, come
pure un oceano o una vasta prateria, una palude o un pascolo sommitale, una foresta o un
bosco, oppure una carogna di animale in decomposizione, un albero abbattuto, un campo
coltivato, al limite anche una pozzanghera, sono altrettanti ecosistemi, ecologicamente
riconoscibili come singole unità funzionali nella Natura.
Sulla base delle dimensioni si distinguono :
macroecosistemi (oceani - grandi foreste - deserti - ecc.)
mesoecosistemi ( boschi - pascoli sommitali - stagni - ecc.)
microecosistemi ( tronchi di alberi abbattuti - carogne di animali in decomposizione ecc.)
1.4) Relazioni tra biocenosi e biotopo
Con le sue componenti fisico-chimiche che gli sono proprie (umidità, temperatura,
insolazione, sali minerali, ossigeno, ecc.) la parte non vivente dell'ecosistema, o biotopo, ha
una notevole influenza sulla composizione specifica della comunità vivente o biocenosi. In
gran parte dipende dalle sostanze organiche che compongono l'humus che per definizione
fanno parte dell'ambiente fisico. Accumulato al suolo e trasformato dagli organismi
decompositori, l'humus serve a sostenere, negli ecosistemi autosufficienti come lo è il
bosco, la tendenza della biocenosi a creare strutture via via sempre più complesse. Così
facendo, il biotopo viene costantemente modificato o stabilizzato dall'attività degli organismi
che ci vivono. Attraverso queste reciproche " relazioni ", biotopo e biocenosi evolvono
insieme fino a formare un solo sistema ecologico. La stabilità raggiunta o raggiungibile in
un ecosistema, è data da meccanismi equilibratori: alle spinte in una direzione si oppongono
spinte di segno contrario tendenti al riequilìbrio. Più la struttura ecosistemica è varia e
complessa, maggiore è la sua stabilità, più è semplice e monotona e meno resistenza
oppone ai fattori di pressione. Da ciò si comprende come l'ecosistema non sia un apparato
chiuso e come la biocenosi non sia una comunità stabile di organismi, ma debba essere
piuttosto considerata una complessa struttura dinamica, mutevole nel tempo i cui elementi,
gli organismi viventi, sono legati da interazioni del tipo della predazione, della simbiosi, del
parassitismo, o di altro tipo ancora, più sottili e indirette.
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1.5) Il gioco delle relazioni: la catena alimentare
Un ecosistema sufficiente non è altro che un "insieme" di organismi produttori,
consumatori e decompositori, i quali, in ultima analisi, derivano tutta la loro energia dalla
luce del Sole. I produttori più importanti sono le piante verdi, in una vasta gamma che va da
alberi, arbusti, erbe, felci, muschi, ecc.
Il primo anello della catena alimentare incomincia dunque dalle piante verdi, che sono in
grado di utilizzare l'energia solare per trasformare in cibi energetici la materia inorganica,
cioè l'anidride carbonica e l'acqua. La produzione delle piante verdi è la fonte di vita per i
consumatori primari, rappresentati dagli erbivori; a questi succedono i consumatori secondari
o terziari, i carnivori, che si nutrono di erbivori o esercitano un'attività predatoria nei confronti
di altri carnivori. A questa vasta opera di " consumazione " non si sottrae neppure l'uomo. La
terza classe di organismi, quella dei decompositori, è composta da batteri, funghi e da piccoli
animali come le termiti, i vermi e gli acari, i quali scompongono i materiali organici morti in
modo che il carbonio, l'azoto e i minerali che essi contengono possono rientrare in circolo.
L'energia solare, passando da un organismo all'altro sotto forma di nutrimento, concatena
tutte le forme di vita. Tutti gli organismi sono alla continua ricerca di nutrimento: come il
ragno tesse la sua tela per intrappolare le sue prede, così l'albero protende le foglie per
assorbire luce solare, mentre con le radici drena l'acqua e assorbe minerali dal suolo. Ecco
un piccolo esempio di catena alimentare: l'erba viene brucata da un grillo o dai roditori: poco
dopo il grillo è divorato da una lucertola e i roditori dal serpente. Se questo diviene preda di
un rapace.......soltanto a questo punto il rapace, che si libra su nel cielo, otterrà il rifornimento
di energia solare che stava immagazzinata dall'erba.
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1.6) Il sole in cellula
Epidermide superiore
Stereoma
O2
Stoma
CO2
Zuccheri
Vapore
Acqueo
Entrare nel chimismo della fotosintesi sarebbe fuori luogo in questo corso, certo che ogni
minuscola cellula dei tessuti verdi delle piante è in se un mirabile laboratorio che supera in
perfezione quello che c’è di più avanzato è costruito dall’uomo. La fotosintesi è quel
meccanismo sofisticato con cui il mondo delle piante cattura l’energia solare e manda avanti
la sua complessa catena di montaggio chimica per costruir, con acqua, anidride carbonica e
un po’ di luce, le molecole necessarie al proprio accrescimento. Così facendo, le piante verdi
liberano nell’atmosfera l’ossigeno come prodotto di scarto, quel buon ossigeno che serve per
il nostro respiro. La fotosintesi rappresenta per questo il processo biologico più importante
della vita terrestre, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Tutte le sorgenti di
energia provengono dall’assimilazione dell’anidride carbonica a spese dell’energia luminosa,
e la quantità di elementi sintetizzati dalle piante è enorme.
2.0) L’albero singolo
Comunemente è chiamato “albero” una pianta legnosa che può raggiungere durante il suo
ciclo vegetativo un’altezza di almeno cinque metri, con un tronco di almeno cinque
centimetri di diametro ad altezza di petto, che ha potenti radici e rami che si sviluppano in
alto sul tronco a formare una chioma fogliosa variamente conformata secondo la specie.
L’albero è capace di vita indipendente; mediante le foglie attinge dall’atmosfera l’ossigeno
per la respirazione e l’anidride carbonica per la fotosintesi; per mezzo delle radici assorbe
acqua e si rifornisce di elementi nutritivi dal terreno. Nel suo completo sviluppo, diventa una
delle più importanti manifestazioni della natura, e in tutti i tempi i poeti hanno cantato gli
alberi come simbolo di stabilità, fedeltà, resistenza e forza. È necessario quindi proteggerli e
diffonderli ovunque sia possibile.
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2.1) Chioma e portamento degli alberi
Caratteristica di ogni singola specie di albero, è quella di presentare la chioma più o meno
densa. Questa densità può essere assai scarsa oppure molto fitta, al punto da produrre, con
lo sviluppo massimo delle foglie, una chioma quasi impenetrabile ai raggi del sole, come nel
Faggio, nel Leccio ecc. piante arboree che non consentono al sottobosco di svilupparsi, e
pertanto definite poco “sociali”, al contrario delle Querce, che lasciano filtrare
abbondantemente i raggi del sole. Il portamento degli alberi può assumere svariate forme,
designate con termini tratti dalla geometria.
In alcuni casi si ricorre a denominazioni specifiche: a ombrello (paraploidale) per il Pino
domestico, piangente per il Salice, irregolare per alcune vecchie querce.
2.2) Utilità dell’albero
L’albero è prezioso per l’uomo perché gli fornisce
legno, frutti e altri accessori la cui utilità si estende a
svariati campi. Tuttavia non è mai sufficientemente
considerata la produzione di ossigeno da parte
dell’apparato fogliare, come pure la funzione di
protezione idrogeologica che un albero è in grado di
espletare, nonché l’arricchimento del suolo mediante la
sostanza organica prodotta con le foglie e
successivamente mineralizzata dai batteri e dai funghi
che operano una incessante attività di restituzione
verso le altre piante. In conclusione, l’albero da ombra
e protezione, abbellisce il paesaggio e caratterizza in
modo significativo sia il territorio agricolo che le aree
urbanizzate, nelle quali il verde sta assumendo un
ruolo sempre più importante per la stessa qualità della
vita di tutti i cittadini.
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2.3) L’albero in cifre
L’albero è un’autentica officina, ecco il suo lavoro in cifre: se
si considera una quercia secolare alta oltre 20 metri, con
una chioma di 10 metri di diametro, questa in 50 anni
produce per l’uomo servizi per circa centomila euro. È
quanto vale la sua produzione di ossigeno, la fissazione di
gas e vapori tossici, l’abbattimento del pulviscolo
atmosferico, la depurazione batteriologica dell’aria, la
funzione di schermo frangivento e antirumore, l’emissione di
vapore acqueo e la regolazione termica, la conservazione
del suolo e la regolamentazione delle acque, l’apporto vitale
al terreno, la produzione di biomassa, il sostentamento e
rifugio per altri esseri viventi. La stessa pianta, in una
giornata molto calda, libera attraverso l’evapotraspirazione
circa 500 litri di acqua reperita nel terreno attraverso
l’apparato radicale. In ogni litro d’aria presente nelle strade
urbane non alberate, vi sono da 10.000 a 12.000 particelle
di particolato atmosferico, mentre nelle stesse strade affiancate da due semplici filari, il dato
scende mediamente intorno a 2.000 particelle per litro d’aria. In condizioni ottimali di
luminosità, umidità e temperatura, con la sua attività vegetativa produce circa 1000 kg di
ossigeno e consuma circa 1300 kg di anidride carbonica. Quindi, anche se considerato
isolatamente, un albero rappresenta un’unità biologica di prima grandezza per tutti gli
organismi viventi. Tra le sue radici trovano rifugio tassi, volpi, conigli ecc.; sulla corteccia, tra
le foglie e dentro il tronco vivono numerose specie di insetti; nelle cavità del tronco si
nascondono scoiattoli, pipistrelli e gasteropodi, mentre gli uccelli costruiscono i loro nidi fra i
rami per proteggersi dai predatori.
2.4) L’albero non è eterno, il bosco non muore mai
Gli alberi vivono a lungo, tuttavia anche loro devono inevitabilmente sottostare al processo di
invecchiamento e di decadimento. Tale processo non interessa le piante arboree in quanto
individui: è la specie stessa che ha un ciclo evolutivo definito nel tempo e nello spazio, in
altre parole nasce, si sviluppa, vive e muore. Per nostra fortuna, la naturale attitudine di un
albero, di qualunque specie, è quella di volere vivere insieme con individui della medesima o
differenti specie, aventi in comune uguali o compatibili esigenze ecologiche. È per questo
che in natura tendono a formarsi quelle importanti comunità vegetali che vanno sotto la
definizione di “bosco”, comunità che, se non vengono annientate da eventi catastrofici o
distruttivi, sono eterne, cioè non muoiono mai perché di continuo si rinnovano naturalmente
attraverso la disseminazione operata dalle piante mature e la crescita del novellame.
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2.5) L’autunno fa cadere le foglie
Come ci ricorda una famosa canzone francese "Les feuilles mortes"in autunno le foglie
ingialliscono e cadono. Nelle latifoglie spoglianti il distacco delle foglie è provocato da uno
speciale tessuto separatore, collocato alla base del picciolo fogliare e formato da cellule a
membrana sottile. Questo strato separatore si forma generalmente poco prima della caduta
delle foglie, e nel punto dove si forma i fasci vascolari sono poco rinforzati e gli strati del
tessuto assai ridotti. Quando in autunno la temperatura comincia ad abbassarsi, la materia
intercellulare del tessuto separatore diventa mucosa e le cellule si distaccano. A questo
punto la foglia essendo sostenuta solo dal tessuto debole, per effetto della pioggia o di un
colpo di vento si spezza e cade. Però prima che avvenga il distacco le foglie cambiano
colore, donando al paesaggio un effetto suggestivo. Questo fenomeno è dovuto alla
scomparsa della clorofilla per disintegrazione dei cloroplasti contenuti nel tessuto: la
colorazione avviene per effetto della disintegrazione dei plastidi che producono i pigmenti di
carotene e di xantofilla responsabili di tale colorazione.
2.6) Testimoni viventi nel tempo
Tempo ed albero hanno consegnato insieme, come cronometri di precisione, una serie di
dati che oggi servono addirittura per l’esplorazione dello spazio cosmico. Questi dati sono
scritti nei diversi strati di accrescimento dell’albero e continuano ad aumentare anno dopo
anno. Questa caratteristica è tipica soprattutto degli alberi della zona temperata e risulta
dall’attività del tessuto di rinnovamento, detto cambio. L’attività del cambio ha una cadenza
periodica: in primavera realizza soprattutto la formazione del legno, che si compone di cellule
a membrana fine e sottile e di cellule più grosse. Con l’andar del tempo la formazione di
legno rallenta, le cellule diventano sempre più piccole, ma la loro membrana si ispessisce e
prima che finisca l’estate, in agosto, cessa la produzione.
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Man mano che diminuisce la formazione del legno, di pari passo
aumenta quella del libro: questo tessuto permette la risalita, per
osmosi, verso le foglie della linfa grezza che verrà poi elaborata
mediante il processo della funzione clorofilliana. La crescita di un
albero è influenzata dall’ambiente, dalle variazioni termiche, dalla
frequenza delle piogge e da numerosi altri fattori cui la scienza
moderna sta ancora indagando. Già Leonardo da Vinci
accennava alla stretta relazione che intercorre tra le influenze
meteorologiche e la formazione degli strati annuali di accrescimento. Alcuni secoli dopo, in
Svezia, Carlo Linneo osservò che le querce formavano degli strati annuali più larghi nei
periodi caldi e più sottili nelle annate fredde. E così che gli alberi danno all’uomo la possibilità
di indagare i più antichi dati dendroclimatici. La
dendroclimatologia è una disciplina scientifica che studia
l’influenza dei fattori variabili della meteorologia, deduce le
variazioni passate in base alle osservazioni sulla crescita
degli alberi e predice le variazioni future. Basandosi sulla
ricostruzione
meteorologica
dei
periodi
passati,
considerandone il ritmo e la connessione dei cicli
dell’attività delle macchie solari, che sono a intervalli di
undici anni, possiamo quindi prevedere l’evoluzione
climatica del nostro emisfero boreale. Da questa scienza sono nate nuove discipline
scientifiche come la “dendroecologia”, che studia tra l’altro gli effetti dell’inquinamento
atmosferico sulla formazione degli strati di accrescimento annuale dei nostri alberi.
3.0) Ecologia ed il mondo delle piante
Percorrendo i sentieri boschivi, capita spesso di posare lo sguardo su dei funghi colorati, di
ammirare i licheni che ornano i tronchi degli alberi e le rocce affioranti, di guardare con
curiosità Le alghe che vivono ai margini delle pozze d'acqua, di restare incantati di fronte ai
morbidi cuscini dei muschi, che tappezzano il sottobosco. Ebbene, si tratta nientemeno che
di vegetali cosiddetti "inferiori", la cui importanza per gli equilibri biologici non è sfuggita agli
ecologi. Capita anche di rimanere impressionati dalla maestosità di un albero che svetta
verso il cielo, di ammirare le ampie distese di Felci e i colorati fiori degli arbusti e di molte
piante erbacee, e soprattutto di ammirare il paesaggio vegetale dei boschi, quando gli alberi
perdono foglie in autunno con una spettacolare esibizione di colori: in questo caso si tratta di
piante superiori, dotate da Madre Natura di un sistema di vasi nei quali circola la vitale linfa.
Quanto fin qui esposto porta inevitabilmente a delle considerazioni: quali differenze
morfologiche e riproduttive esistono tra i vegetali superiori e quelli inferiori? Vediamolo
insieme !!
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3.1) Le piante inferiori
Si tratta di vegetali a struttura semplice, privi di vasi linfatici e dotati di minuscoli organi
sessuali distinguibili solo al microscopio. Questa vasta categoria è composta di muschi,
epatiche, alghe, funghi, e licheni: questi ultimi sono il frutto di un fenomeno biologico di
simbiosi fra alghe e funghi. Questi duplici organismi si sono rivelati efficaci indicatori
fisiologici della qualità dell’aria; popolano i più disparati habitat dalle regioni desertiche fino a
quelle artiche dove le specie del genere Cladonia costituiscono il principale alimento delle
renne, mentre da altre specie si ottengono coloranti, medicinali, ecc..
I funghi sono privi di clorofilla, quindi per soddisfare le loro
esigenze nutritizie devono far vita in comune con organismi
vegetali e animali, sfruttandone le loro sostanze organiche,
vive o morte che siano. I modi di sfruttamento sono vari, per
questo abbiamo funghi saprofiti, parassiti, microrrizici,
simbiotici. Particolare interesse economico è dato da tartufi,
porcini, ovoli, ecc., prelibate delizie dei nostri boschi.
Le alghe sono vegetali che hanno una enorme importanza per la vita
sulla Terra, se consideriamo che solo quelle marine compiono oltre il
90% dell’attività fotosintetica che si svolge sul nostro pianeta,
costituendo così la più importante fonte di ossigeno. Questi vegetali
sono il primo anello della catena alimentare che mantiene in vita tutti
gli organismi eterotrofici, compreso l’uomo. Oggi si presta una
maggiore attenzione a tutte le specie di alghe, nella ricerca di
sostanze alimentari per la popolazione mondiale e per la possibilità di vita degli astronauti,
nei loro viaggi futuri..
3.2) Le piante superiori
Vasta categoria di specie vegetali (circa 300.000 in tutto il mondo) in cui si ha la presenza di
un sistema di vasi nei quali circola la linfa. Essa comprende alberi, arbusti, liane, piante
erbacee, Felci e alcuni gruppi affini (equiseti, licopodi, selaginelle, ecc.). la loro diffusione
spontanea interessa le terre emerse del nostro pianeta, ma non poche specie sono rimaste
legate all'acqua, primordiale elemento di tutte le specie vegetali oggi esistenti. Per la maggior
parte si tratta di piante "autotrofe", cioè che fabbricano esse stesse i propri alimenti, quelle
che non lo sono conducono vita parassitaria, semiparassitaria, ecc. A seconda del grado
evolutivo raggiunto nella riproduzione, le piante superiori vengono suddivise in tre distinte
unità sistematiche.
Pteridofite: da pteris = Felce e phyton = pianta. Comprende
solo piante erbacee, perenni, con radici, fusti e foglie contenenti
elementi conduttori la linfa (vasi). Le felci sono quindi
considerate il “phylum” più rappresentativo delle pteridofite. La
maggioranza di esse si riproduce per via “gamica” (sessuale)
mediante spore, tuttavia, esistono numerose specie in cui la
riproduzione “agamica” (asessuale) è prevalente: in tal caso, la
riproduzione degli individui che appartengono a queste specie
avviene attraverso la divisione o gemmazione del loro corpo. Sono anche le prime piante
terrestri che hanno iniziano a differenziare il sistema di trasporto dei fluidi nutritivi.
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La descrizione del loro sistema riproduttivo esula dal
nostro
compito,
quello
che
possiamo notare è che essa ha costituito per millenni
un mistero tanto da
far nascere, causa la
superstizione, una grande quantità di leggende talvolta
di rilevante interesse antropologico.
Un mistero svelato: si attribuisce a Plinio il Vecchio (23 79 d.C.), il più grande naturalista del periodo classico, di
avere notato per primo che le felci non hanno né fiori né
semi, lasciando perplessi per secoli coloro che le
studiavano. La spiegazione venne fornita nel 1851, nel
saggio pubblicato da un botanico dilettante, il tedesco
Friedrich Benedikt Hofmeister (1824–1877), modesto
libraio afflitto da miopia, che aveva risolto l’enigma dopo
lunghi e pazienti studi di embriologia e genetica sulle
Briofite e le Pteridofite. Va ricordato che Hofmeister aveva
abbandonato gli studi a 14 anni e per le sue scoperte che
fecero scalpore, ottenne nel 1863 la nomina a docente
presso la prestigiosa Università di Heidelberg e poi
spostato nel 1872 presso l’università di Tubinga,
dimostrando che tra i migliori botanici vi possono essere
anche semplici appassionati e dilettanti.
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Gimnosperme: da gymnos = nudo, con significato di seme non protetto
contro le offese dell'ambiente esterno. Nell’ambito della nostra flora le
Gimnosperme si identificano con le Conifere o Aghifoglie, piante
legnose produttrici di resine, monoiche o dioiche, a fiori unisessuali; i
maschili riuniti in amenti, i femminili raggruppati o solitari in coni o
strobili, che si sviluppano fino a maturità.
Le specie arboree indigene sono riunite in tre famiglie: Pinacee,
Cupressacee e Tassacee.
Le Conifere rappresentano una delle classi più interessanti del regno vegetale, ove si pensi
che esse (da sole) costituiscono oltre il 30 % della vegetazione
boschiva e forestale che copre le terre emerse del nostro
pianeta. A questa classe appartengono anche le specie arboree
più grandi in assoluto: alcune Sequoie della California (USA)
superano i 100 m di altezza, con tronchi di 6 metri di diametro;
in numerose altre specie, le dimensioni diametriche del tronco
raggiungono valori eccezionali, in Messico è stato misurato un
Taxodium mucronatum Ten. dal diametro di 16 m; in quanto a
longevità, tra le Conifere non sono rari esemplari millenari. La
classe è formata da circa 50 generi, per un totale di 650 specie,
distribuite in 7 famiglie. La loro diffusione interessa soprattutto le
zone temperate e fredde di entrambi gli emisferi. Boschi e
foreste di Conifere vantano un altissimo valore biologico,
economico e paesaggistico: la foresta più bella in senso
estetico, è senza dubbio la Taiga siberiana, che copre una superficie di circa 5 milioni di
Kmq, in cui dominano Larice, Pino silvestre e Pino cembro.
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Il legno delle Conifere è omoxilo, ossia
composto da un solo tipo di vasi, le
fibrotracheidi
che
hanno
contemporaneamente la funzione di
trasporto e di sostegno. La resina che
scorre nei canali secretori, viene
raccolta dalle incisioni praticate nel
tronco: dalla sua distillazione si ricava
la trementina, la colofonia e l’acqua
ragia, utilizzate per la fabbricazione di
vernici, coppali, mastici, inchiostri, pece greca, saponi, ecc. Le
Conifere indigene che forniscono una quantità maggiore di resina sono: il Pino marittimo, il
Larice e il Pino silvestre.
Le piante appartenenti a questo genere non sono molto esigenti nei confronti della
natura chimico-fisica dei suoli che le ospitano, ma non è così per quanto riguarda le
caratteristiche climatiche. Infatti, le montane richiedono un clima sufficientemente umido
per tutti i periodi dell'anno, quelle mediterranee sopportano bene sia i gelidi e aridi
venti invernali come pure l'aria calda e salmastrosa delle coste litoranee. Per queste loro
capacità di
adattamento e rapida crescita, sono state oggetto nel passato di estese
piantagioni che hanno interessato quote inferiori e non corrispondenti alle esigenze delle
specie montane, e in molti casi sono andate ad occupare zone climatiche in dominio delle
latifoglie decidue. Queste pratiche colturali hanno costituito per decenni una perseveranza di
metodologia errata, che non teneva in debito conto che, con le Conifere, entrano in gioco
cicli biochimici nuovi che modificano l'ambiente cui erano fino allora estranee e rompono
quei delicati equilibri biologici antecedentemente stabiliti da altre forme di vegetazione
forestale con gravi ripercussioni su tutta la flora e la fauna. Per ovviare
a questi
inconvenienti, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa emise la Risoluzione n. 76
(16) del 15 marzo 1976 che limitava l'uso delle Pinacee alle sole zone di debole valore
ecologico.
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Angiosperme: da “aengeion” = involucro e
“spermos” = seme, con significato di pianta con
ovuli protetti entro una cavità chiusa chiamata
ovario.
Questa
importante
sottodivisione
comprende tutte quelle specie che portano fiori
vivacemente colorati, dette appunto "piante a fiori"
o Antophite, da anthos = fiore, i cui semi si
sviluppano e sono contenuti dentro un ovario che,
dopo la formazione del seme, diventa frutto. Il loro
tipo apparve sul nostro pianeta nell'era dei
dinosauri e dei rettili volanti, qualcosa come 150
milioni di anni fa, ed oggi noi le ritroviamo adattate
ai più svariati ambienti e diffuse in ogni angolo
della Terra. Il successo delle Angiosperme, che
sono le piante più altamente evolute, stava nel
seme incapsulato, il quale rappresenta il "termine"
di un complicato processo evolutivo che, partendo dai Muschi e attraverso le Felci e le
Gimnosperme, ci porta a queste meraviglie del regno vegetale, la cui presenza rallegra non
solo il nostro pianeta, ma delizia anche il nostro animo con la bellezza dei loro splendidi fiori.
Le Angiosperme più antiche furono probabilmente anemogame, circa 100 milioni di anni fa
con la comparsa degli insetti passarono a una diffusione entomogama che si è evoluta con
strutture molto complesse capaci di attirare gli insetti pronubi. Dal punto di vista pratico e
utilitaristico, le Angiosperme rivestono una grande importanza nell'economia delle risorse
umane, ove si pensi che da queste piante dipendono le attività di numerosi settori
dell'agricoltura, della zootecnia, dell'industria del legno, delle derrate alimentari, della carta,
dei medicinali, delle costruzioni e della tessitura, per non citare l'uso diretto da parte
dell'uomo e degli animali, di foglie, frutti, tuberi, ecc. La flora spontanea del nostro paese
annovera ben 4500 specie di Angiosperme, suddivise in due distinte classi: le "
Monocotiledoni e le Dicotiledoni.
Tale suddivisione venne stabilita da John Ray (1627–1705)
testimoniandola negli scritti “Methodus”,“Historia Plantarum” e ” la
Nova”. Riprese gli studi di altri due illustri botanici, Caesalpinus e
Junge che per la classificazione si basavano sul frutto mentre lui
aveva osservato che in alcuni gruppi di specie l'embrione era
accompagnato da un solo cotiledone (foglia appena abbozzata), e in
altri era formato da due cotiledoni, per cui fece la distinzione in
Monocotiledoni (dal greco mònos = solo, unico), nel primo caso,
Dicotiledoni, nell'altro, come lo testimonia l'etimologia del termine.
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Le monocotiledoni
Questa Classe è costituita da circa 40.000 specie, prevalentemente erbacee, ma sono
numerose anche le arbustive, le rampicanti legnose e quelle arboree, rappresentate solo
dalle Palme. La loro distribuzione geografica interessa tutti i continenti, ad ogni latitudine e
altitudine, a partire dai fondi marini costieri, dove si hanno estesi popolamenti di posidonie,
zostere, altene, ecc., dette erroneamente Alghe, salendo fino alle più eccelse e scoscese
regioni alpine, interessando progressivamente le zone umide costiere e interne, prati,
boscaglie e pascoli sommitali. Non solo il numero di cotiledoni dell’embrione da caratteristica
a questa classe ma anche la disposizione parallela della nervatura fogliare; l’inserzione delle
foglie dentro il fusto mediante una guaina che lo avvolge; il numero di parti di cui è composto
il fiore (3 o multipli di 3); l’incapacità di aumentare lo spessore del fusto; la disposizione a
fasci dei vasi vascolari (vedi tab. 1). E' quasi inutile sottolineare i vantaggi ecologici, estetici
ed economici offerti all'uomo e a molteplici specie di animali: le zone umide coperte di canne
palustri e falaschi costituiscono un ricovero ideale per uccelli acquatici che vi vengono a
nidificare; le Palme forniscono vari tipi di cibo (datteri, noci di cocco, ecc.), oltre a molti
prodotti essenziali per le svariate industrie; le Monocotiledoni erbacee includono il frumento,
il granturco, la canna da zucchero, il riso, il bambù, la canna regina, l'asparago, l'aglio ecc. ;
tra le piante a fiori, tulipani, narcisi, giacinti, gladioli, gigli, orchidee, scille, ecc.
Le dicotiledoni
A questa importantissima Classe vi sono
ascritte circa 160.000 specie, la cui diffusione
spontanea interessa tutti i continenti. Ad essa
appartengono la quasi totalità degli alberi e
degli arbusti da frutto: pesco, ciliegio, melo,
pero, prugno, olivo, vite, caucciù, cotone, caffè,
mirto, mirtillo, ecc.; tra le erbacee abbiamo la
fragola, il lampone, il pomodoro, le insalate, i
radicchi, gli spinaci, ecc. I frutti assumono
diverse forme e strutture: alcuni sono carnosi
come il pomodoro e l’arancio, alcuni sono
spinosi, altri hanno tegumenti duri (noci, ghiande, drupe), altri ancora sono aggregati di
acheni, come quelli della fragola ad esempio, e di frutti multipli (ananas). In altre
dicotiledoni, la forma del frutto è caratteristica di una famiglia, come avviene per i semi alati
(schizocarpi) degli aceri e dei tigli.
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3.3) Impollinazione e fecondazione delle piante
Un ritornello di una nota canzone dice
testualmente: " per fare un fiore ci vuole l'albero,
per fare l’albero ci vuole un fiore ". Tale concetto
non tiene certo conto che un fiore non può
produrre semi che assicurano la perpetuazione
della sua specie fintanto che non viene impollinato e i suoi ovuli fecondati. Per trasportare i
granuli di polline dall'organo riproduttivo
maschile(antera), a quello femminile (stimma) vi
sono in Natura varie possibilità, come si può
verificare dal quadro riassuntivo, e quando
queste vengono meno, per una causa o un'altra, il fiore ricorre all’autoimpollinazione. Da un
punto di vista biologico, per le piante a fiori è più vantaggioso se il polline viene trasportato
dagli insetti, incrociando il volo dal fiore di una pianta ad un'altra della stessa specie: i germi
prodotti dall'impollinazione incrociata tendono ad essere più robusti, più vistosi, più
profumati, più variati, quindi più adatti alla vita di quelli prodotti dall'autoimpollinazione.
Il quadro riassuntivo delle modalità d'impollinazione è il seguente:
Tipo d'impollinazione
Anemogama
Idrogama
Ornitogama
Malacogama
Chirotterogama
Zoogama
Entomogama
Agente responsabile
II vento
L'acqua
Gli uccelli
Le lumache
I pipistrelli
Animali vari
Gli insetti
L'impollinazione entomogama dimostra indubbi vantaggi su
tutte le altre, lo testimonia la grande diffusione sulla Terra di
specie vegetali che si avvalgono di tale sistema, le
Angiosperme, caratterizzate da una particolare organizzazione
fiorale che le colloca tra le.ultime e più evolute forme vegetali
che coprono il nostro pianeta con la loro bellezza, quali
magnolie, mandorli, ciliegi, biancospini, rose, ecc., oppure piante
erbacee, come tulipani, gigli, orchidee, margherite, campanule,
viole, papaveri, ecc. Nel trattare questo argomento, C. Darwin ha
lasciato scritto: " se gli insetti non si fossero sviluppati sulle
Terra, le piante produrrebbero solo fiori insignificanti come quegli
degli abeti, dei pini, dei cipressi e delle querce, oppure come
quelli delle ortiche, delle graminacee, ecc, che vengono
fertilizzati dal vento ".
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3.4) Ecologia e il mondo degli insetti
Lo studio degli insetti è compito dell'entomologia, disciplina che si è rivelata un supporto
indispensabile in numerosi campi della ricerca "biologica, e soprattutto oggi, che sono stati
evidenziati gli stretti rapporti che esistono tra gli insetti e l'ecologia. Gli insetti costituiscono
un mondo magico, la cui esplorazione è ben lungi dall'essere esaurita. Questa importante
classe zoologica annovera a tuttoggi circa un milione di specie e un'infinità di varietà che, per
i vantaggi e le offerte che recano direttamente e indirettamente all'uomo, non trovano
raffronto con nessuna altra classe del regno animale.
La loro ecologia
Nel dominio aerobio gli insetti si insediano negli ambienti più disparati, dalle vette più alte dei
monti ai litorali marini, dalle torride zone equatoriali e desertiche alle terre subglaciali,
invadendo ogni angolo della superficie terrestre. Questi piccoli esseri si infiltrano anche nel
sottosuolo con una larga rappresentanza di specie e varietà, sfruttando oltremodo lo spazio
occupato dalle forme vegetali, vivendo sulle foglie, sulla corteccia, dentro i tronchi, nelle
radici, in ogni organo vegetale. Inoltre, gli insetti si trovano a loro agio negli organi animali,
nelle sostanze putrefascenti delle carogne di animali morti, nei rifiuti organici, ecc. Questa
capacità di adattamento consente loro di sopravvivere in luoghi dove altri organismi muoiono,
e di mangiare ciò che gli altri rifiutano; nel caso poi che l'ambiente sia favorevole, essi
manifestano la loro prolificità in un modo sorprendente.
La loro utilità
Si può intuire come gli insetti, nel loro insieme, costituiscono una
massa biologica fondamentale nell'equilibrio della natura, basti solo
pensare all'opera compiuta dagli insetti "necrofori", che in breve
tempo fanno sparire le carcasse degli animali morti, che altrimenti
resterebbero a putrefare spandendo odori nauseanti e veicolando
ad altri animali possibili infezioni. Numerose specie d'insetti
collaborano con funghi, muffe, vermi, acari e batteri nella
demolizione della lettiera che si accumula nei boschi, soprattutto nel periodo autunnale,
quando le latifoglie spoglianti perdono contemporaneamente le foglie, liberando sostanze
chimiche che possono essere di nuovo utilizzate dalle piante del bosco. Per non parlare poi
dell'importanza degli insetti impollinatori (pronubi) , che volando da un fiore all'altro
provvedono alla fecondazione incrociata dei fiori, assicurando l'allegagione e il relativo
prodotto, Come non ricordare anche gli insetti ausiliari, specie che aggrediscono e
distruggono insetti dannosi alle coltivazioni orticole e alle piante a fiori coltivate nei giardini. In
questa lotta biologica occupano un posto di rilievo le
coccinelle (foto sopra), divoratrici accanite di afidi
(pidocchi delle piante) sia allo stato adulto che larvale.
A queste vanno aggiunte le iridescenti crisope, che
operano la sera e la notte: si calcola che ogni crisopa
(foto a lato) riesca ad uccidere più di un centinaio di
afidi al giorno. In conclusione, è dunque per mezzo di
continui rapporti reciproci che la vita vegetale si collega
al mondo degli insetti, e se dovesse mancare la loro
opera l'aspetto della flora terrestre sarebbe meno
poetico e invitante.
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3.5) Funghi e insetti
La maggior parte delle specie vegetali esistenti intreccia stretti rapporti con gli insetti, ma
spesso queste " relazioni " non sono vantaggiose né per le piante né per l'uomo, che ha visto
spesso le sue coltivazioni aggredite e distrutte dagli insetti (locuste, dorifere, ecc.), e
splendidi "boschi di Conifere e di Latifoglie completamente defogliati da processionarie e
limantridi. Per non contare la miriade di altri insetti che parassitano piante da fiore e da frutto,
costringendo i coltivatori ad utilizzare pericolosi fitofarmaci che, immancabilmente, avvelenano le falde acquifere compromettendo la salute della gente. Ma in natura, non
mancano esempi in cui a farne le spese sono proprio gli insetti, dei quali ne citeremo solo
due: le piante insettivore e un fungo che parassita coleotteri, farfalle, e le loro larve. Le piante
con attitudini carnivore sono circa 400, il fungo appartiene al genere Cordyceps, al quale
sono ascritte un centinaio di specie, tutte parassite o
quasi di insetti. La specie più anticamente nota per
l'Europa è Cordyceps militaris, frequente su coleotteri,
su farfalle e su tutte le loro larve. La riproduzione del
fungo avviene con queste modalità: quando il corpo
fruttifero di questo fungo e giunto a maturazione, i suoi
organi riproduttori (ascospore) vengono proiettati
all'esterno; se cascano su l'insetto adatto o sulla larva
iniziano subito la loro germinazione, e con una
sottilissima ifa perforano il duro dermascheletro
dell'ospite. Una volta attraversata la corazza chitinosa I’ifa si allarga, ramifica abbondantemente e invade i vari tessuti dell'ospite: ben presto questo muore, ma rimane conservato
solo nel suo dermascheletro esterno, mentre internamente esiste solo un fitto ammasso di
ife.
3.6) Le piante insettivore
Sono in tutto 400 specie, la cui distribuzione geografica comprende gran
parte delle regioni di tutto il mondo. Queste speciali piante autotrofe
colonizzano "nicchie ecologiche" poverissime di azoto,
quali torbiere, paludi, lande, brughiere, ecc, . Nella flora
spontanea italiana si ha la presenza di quindici specie,
riunite in quattro generi: Drosera, Pinguicola,
Aldrovanda e Utricularia, presenti anche nella nostra
regione. Ma perché queste piante catturano gli insetti?
Tra gli elementi indispensabili alla vita delle piante, oltre ai cosiddetti
biogeni o macronutritivi, c'è anche l'azoto, essenziale per la preparazione delle proteine. Le
piante, pur utilizzando una parte dell'azoto presente nell'atmosfera, hanno bisogno di quello
disponibile nel terreno, perchè facilmente assimilabile in quanto presente sotto forma di sali
derivati dalla decomposizione di sostanze animali e vegetali che compongono l'humus. Le
piante insettivore, tuttavia, vivono in ambienti poveri, o addirittura privi di
azoto, perché la mancanza di ossigeno determina una
incompleta demolizione delle sostanze biologiche
presenti, ciò avviene per mezzo dei batteri. Le piante
insettivore compensano le carenze nutritive con un
complemento di sostanze carnee, e le vittime prescelte
sono gli insetti. E’ un adattamento che consente loro di affermarsi in ambienti dove nessun'
altra pianta vascolare potrebbe sopravvivere.
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3.7) Influenza del clima sulla vita delle piante
In botanica i fattori più interessanti del clima sono quelli che si riferiscono alla presenza di
umidità, sia nel suolo che nell'aria, alla temperatura e alla luce. L'esperienza quotidiana c’è lo
insegna: bisogna annaffiare le piante e tenerle alla luce perché queste crescano, ed esse
muoiono se fa troppo freddo o troppo caldo. Questo vale tanto per i batteri che per gli alberi
più maestosi. La luce è un fattore climatico la cui funzione è estremamente variabile a
seconda delle piante, che non hanno tutte le medesime esigenze di luminosità: ve ne sono
molte che non possono vivere che nei sottoboschi fitti, quasi nell'oscurità “ombrofile“, altre
che ricercano i luoghi soleggiati “eliofile”, altre ancora che sono una via di mezzo
“mesofile”. Anche la durata relativa del giorno e della notte influisce sullo sviluppo delle
piante: vi sono specie che per svilupparsi hanno bisogno da 12 a 14 ore di luce “piante
longidiurne”, come il frumento, la segale, l'avena, la lenticchia, il pisello, ecc., mentre altre
sono “brevidiurne”, come il tabacco ed il mais; poi vi sono anche le “indifferenti”, come ad
esempio il riso. Altri fattori climatici, come la neve, il vento, la grandine, i fulmini, le brinate,
hanno influenze diverse e sovente accidentali. La neve è una forma di precipitazione che
nelle zone montagnose si presenta, generalmente, con forti precipitazioni, preserva il
terreno e la piccola flora contro il freddo; il fulmine fa incendiare le foreste asciutte ed ogni
anno migliaia di ettari di vegetazione scompaiono fra le fiamme; le brinate tardive, se si
producono quando i semi germinano o i fiori sono in antesi, possono compromettere
seriamente le future piante e recare danno alla frutticoltura, ecc. Come si vede tutte queste
azioni climatiche sono complesse, la loro influenza è ben lungi dall'essere pienamente
compresa, anche perché essa viene esagerata o compensata dalle reazioni delle piante
sull'ambiente stesso, senza contare l'influenza dell'uomo nelle regioni coltivate .
4.0 ) Nome e cognome delle piante
Nell'antichità la botanica costituiva un ramo della medicina, e le piante erano
studiate e classificate in funzione delle loro proprietà terapeutiche. Bisognava
dare loro un nome breve e appropriato e descrivere le principali
caratteristiche: lo scopo era di fornire "parole immagini" che
aiutavano altre persone al riconoscimento delle, piante stesse. I
loro nomi erano invariabilmente lunghissimi ma giustificabili, se non altro
perché descrivere gli eventuali colori, profumi, o solo delle forme di una pianta
economizzando sulle parole, parve ai botanici un compito troppo improbo per
un comune mortale. Tuttavia, i mostri sacri esistevano anche nei tempi antichi,
e forse più di oggi: Aristotele (384-322 a.C.) aveva scritto un trattato sulle
piante andato perduto; Teofrasto (372-287 a.C.) , nella sua "Storia delle
piante", classifica i vegetali in alberi, arbusti, cespugli e erbe; Dioscoride (I°
secolo d.C.) , nel suo trattato in lingua greca "Sulla Scienza Medica", suddivide
le piante in aromatiche, medicinali, alimentari, e velenose; Plinio il Vecchio
(23-79 d.C.) , nella sua “Naturalis Historia” riassume le conoscenze dell'epoca anche sul
mondo delle piante. Nel Medio Evo, la botanica si è limitata essenzialmente allo studio di
queste opere antiche: per conoscere un fiore non si andava a coglierlo nei prati o nei campi,
ma se ne cercava la descrizione nei testi degli autori greci o latini. Nel XVI secolo la botanica
assume una nuova importanza, grazie a eminenti studiosi e alle loro pubblicazioni: sorgono i
primi giardini botanici; a Pisa (1544) (vedi logo), a Padova (1546), a Bologna (1548), a
Montbéliard (1578) a Montpellier (1597), a Parigi (1626). la tecnica degli erbari, ossia delle
collezioni di erbe essiccate, è stata impiegata per la prima volta in Italia.
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4.1) La nomenclatura binomia
II XVII secolo è contrassegnato dalle opere dello svedese Carlo
Linneo (1707 - 1778), a conferma dell'eccezionale talento in
botanica sistematica di questo autore. In diverse sue pubblicazioni,
Linneo semplifica e razionalizza la sistematica sia vegetale che
animale, prima fondata su descrizioni lunghissime e di necessità
imprecise, introducendo i principi della nomenclatura latina
binomia come regola tassonomica. Ogni specie, precisa lo
scienziato, è designata da due termini: il primo, quello del genere,
comune a tutte le specie vicine - il secondo, proprio della specie
considerata. Linneo si poneva due obiettivi principali: dare un nome
distintivo a ciascun genere, e un nome, il più accuratamente
descrittivo alla specie. Per il primo, Linneo intese onorare il
Pantheon della Grecia e di Roma, i grandi eroi del passato, varie figure
mitologiche, e infine i suoi amici e colleghi botanici; con il nome della
specie intendeva invece descrivere le caratteristiche più salienti della
pianta. Ecco alcuni esempi: officinale (letteralmente della bottega, ossia il
tipo di erba che il farmacista ha in magazzino); sylvestris (della selva,
cioè del bosco); pratensis (del prato); ligulatus (a forma di lingua), ecc.
Insomma, quei settecento termini e passa del latino botanico, che vanno
da abbreeviatus (accorciato) a zeyland (Ceylon), fanno della botanica una
cosa internazionale come la musica e la medicina, contribuiscono a una
maggiore chiarezza della materia e rendono il lavoro di raccolta e di determinazione assai
più piacevole.
Ecco un esempio:
GENERE
Plantago
epiteto
specie
maritima
Autore
Linneo
Eventuale
Subspecie
serpentina
Autore
(All.) Arcang.
4.2) La vegetazione naturale potenziale
In tempi ormai lontani l'Italia era una terra coperta di estesi boschi secolari, celebri per
Etruschi, Romani e altri popoli italici, ma non solo per la prodigiosa grandezza delle piante
arboree, ma anche perché i boschi erano ritenuti "luoghi particolari" di miti e di leggende,
dimora ora di spaventosi mostri, ora di misteriose divinità benefiche. Attraverso i millenni,
l'uomo ha ridotto la loro estensione per fare spazio alle coltivazioni, alle città, alle industrie, ai
pascoli, ecc., tanto da ridurre il manto boschivo al 25 % della superficie pregressa. All'azione
modificatrice dell'uomo, si sono sovrapposte variazioni climatiche, idrogeologiche, frane,
erosioni, introduzione di specie esotiche, ecc., così che i consorzi boschivi relittuali, già di per
se relegati nelle zone più impervie e poco produttive, soggetti a tagli più frequenti del dovuto,
a periodici incendi e a pascolo eccessivo, hanno forse perduto per sempre la loro originaria
struttura e composizione in specie vegetali, per cui diventa arduo quantificare gli effetti negativi dell'attività antropica nel tempo, oltre alla teorica ricostruzione del paesaggio originario
di un territorio senza dover fare ricorso allo studio della vegetazione naturale potenziale.
Quanto sopra esposto introduce un principio da tenere ben presente, se si vuole capire,
almeno a grandi linee, l'evoluzione dinamica dei raggruppamenti vegetali attuali, specie in
aree geografiche dove l'uomo è presente fin dalla più remota antichità, come nella vasta
provincia di Pisa.
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A tale scopo i botanici hanno stabilito una serie teorica di "piani" altitudinali, divisi in orizzonti
e sub-orizzonti, che si succedono l'uno all'altro spostandoci dal mare fino alle regioni alpine,
in quanto salendo di quota il clima si fa via via sempre più freddo, e quindi si ha una
progressiva sostituzione di specie vegetali con altre più adatte alle mutate condizioni
climatiche. Anche quando ci si sposta da sud verso nord succede quasi la stessa cosa, in
realtà esistono delle variazioni fra le due situazioni: è vero che in montagna, salendo, la
temperatura diminuisce, ma sia la radiazione solare che la piovosità aumentano; in ogni caso
esiste un certo parallelismo tra le variazioni della vegetazione sia in senso altitudinale che in
latitudine.
4.3) Bosco e Foresta sono sinonimi ?
Per quanto possa sembrare strano, bosco e foresta
non sono sinonimi, anche se in tutti i canali
dell'informazione corrono paralleli come due fratellini
gemelli, l'etimologia di questi due termini, deriva dalle
radici germaniche, "busch" e "first", introdotti in
Toscana dai Longobardi durante il loro dominio. Il
primo indica vegetazione bassa e densa, quasi
impenetrabile, costituita più di piante cespugliose che
di alberi, l'altro, secondo l'interpretazione in auge
nella Francia carolingia e nelI’Inghilterra normanna,
allude ai luoghi di caccia esclusivi dei re e delle loro
corti, "foris" cioè da ingerenze d'altra sorte e lontani da
comunità di una certa consistenza per evitare di essere
sfruttate o di appropriarsi degli animali. In verità, sulla loro
distinzione non sono d'accordo neppure gli studiosi, alcuni
ritengono che il termine bosco dovrebbe indicare solo
quelle formazioni arboree soggette alla continua opera
dell'uomo, mentre il termine foresta si dovrebbe applicare
ad estese formazioni composte di alberi appartenenti a
generi diversi, dove lo strato arboreo si presenta
pluristratifìcato. Anche se esistono delle affinità, i due
termini indicano consorzi di vegetazione sostanzialmente
diversi, i quali imprimono al paesaggio un proprio carattere
distintivo.
4.4 Gli alberi che danno il nome ai boschi italiani
I consorzi boschivi della vegetazione forestale del nostro paese, per antica consuetudine
prendono il nome dalle specie dominanti, cioè quelle che all'interno delle rispettive
comunità vantano una maggiore presenza di individui maturi rispetto alle altre. Tali specie
sono ecologicamente considerate un punto di riferimento essenziale per seguire lo
sviluppo degli aggruppamenti vegetali in senso altitudinale, e perciò meritevoli di essere
studiate per poterle riconoscere. II quadro che qui presentiamo segue tali principi. I gruppi
di appartenenza delle specie dominanti sono riportati nell'ordine seguente:
•
Aghifoglie o Conifere delle regioni alpine, montane e mediterranee;
•
Latifoglie spoglianti o decidue ;
•
Latifoglie sempreverdi della regione mediterranea
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BOSCHI DI CONIFERE: ALPINE
•
•
•
Pecceta:
specie dominante, Peccio o Abete rosso (Picea abies)
Cembreta: specie dominante, Cembro (Pinus cembra)
Lariceto: specie dominante, Larice (Larix decidua)
BOSCHI DI CONIFERE: MONTANE
•
•
Pineta a Pino nero: specie dominante, Pino nero (Pinus nigra)
Abetina a Duglasia: specie dominante, Duglasia (Pseudotsuga menziensii)
BOSCHI DI CONIFERE: MEDITERRANEE
•
•
•
Pineta a Pino domestico: specie dominante, Pino.domestico (Pinus pinea)
Pineta a Pino marittimo: specie dominante, Pino marittimo (Pinus pinaster)
Pineta a Pino d’Aleppo : specie dominante ,Pino d’ Aleppo (Pinus halepensis)
BOSCHI DI LATIFOGLIE: SPOGLIANTI
La Faggeta ad Abete bianco rappresenta la vegetazione finale della fascia subatlantica
inferiore (800-1000 m di altitudine) in ambiente suboceanico, ma con precipitazioni non molto
elevate, situazione climatica tipica dell’Appennino settentrionale. Si tratta quindi dell’anello di
congiunzione di due fasce.
•
•
•
•
•
•
•
•
Faggeta: specie dominante, Faggio (Fagus sylvatica)
Cerreta: specie dominante, Cerro (Quercus cerris)
Castagneto: specie dominante, Castagno (Castanea sativa)
Carpineto: specie dominante, Carpino bianco (Carpinus betulus)
Ostrieto: specie dominante, Carpino nero (Ostrya carpinifolia)
Ontaneto: specie dominante, Ontano comune (Alnus glutinosa)
Querceto a Roverella: specie dominante, Roverella (Quercus pubescens)
Querceto a Rovere: specie dominante Rovere (Quercus petraea)
BOSCHI DI LATIFOGLIE: SEMPREVERDI
•
•
Lecceta: specie dominante, Leccio (Quercus ilex)
Sughereta: specie dominante, Sughera (Quercus suber)
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
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4.5) Le fasce di vegetazione in base all’altitudine
La distribuzione in fasce altitudinali dei vari consorzi boschivi che compongono l'attuale
vegetazione forestale della nostra regione, per altro ben rappresentati dalle specie arboree
dominanti disposte nell'ottimo disegno, è in stretta dipendenza del clima, che in una vasta
area geografica è il principale artefice sia dei popolamenti vegetali naturali e artificiali, che
della loro distribuzione nei vari ambienti a loro congeniali. Per accertarsi di questa semplice
verità, basta risalire il territorio dalle zone litoranee ai pascoli sommitali del nostro Appennino,
e
all'attento
naturalista
appariranno via via, salendo
di quota, ambienti ben
definiti
sul
piano
vegetazionale e dall'aspetto
ben differenziato. Allora, egli
si renderà consapevole che i
vari elementi del clima,
convergendo, conferiscono
ad
ogni
altitudine
sufficientemente distaccata
dalla precedente, un aspetto
vegetativo e ambientale nel
suo
complesso
caratteristico.
Fascia Mediterranea
Orizzonte mediterraneo delle sclerofille: include vegetazione naturale sempreverde,
impianti artificiali di Conifere, vegetazione coltivata sempreverde.
Pinete e pini mediterranei: Pino domestico (Pinus pinea),
marittimo (Pinus pinaster) e Pino d’Aleppo (Pinus halepensis);
zone litoranee e sub-litoranee, spesso influenzate da falda
acquifera superficiale; zone interne di media e alta collina,
degradate da frequenti incendi, oltre alle zone serpentinose,in
cui le pinete a pino marittimo hanno recuperato al paesaggio
ambienti ofiolitici di grande interesse scientifico; vegetazione
coltivata rappresentata da floridi oliveti il meno possibile
soggetti alle gelate invernali, spesso delimitati da file di cipressi
svettanti verso il cielo.
Particelle boscate, più o meno estese, a dominanza del
Leccio (Quercus ilex) con Sughera scarsa o assente,
consociato con Corbezzolo, Fillirea, Alaterno, Viburno tino,
Lentisco, Erica da ciocco, ecc.; zone costiere, sublitoranee,
pedecollinari e collinari a substrato calcareo e in condizioni
termiche estremamente favorevoli.
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Vegetazione arbustiva sempreverde a scarsa presenza di
alberi “Macchia mediterranea” , con Cisto rosso e marittimo,
Ginepro comune e oxicedro, Erica da ciocco e scoparia, Ginestra
odorosa, Mirto, Palma nana ecc.; zone costiere aride e pietrose,
dove questa forma di vegetazione rappresenta la degradazione
della Lecceta. Quando le cause che l’hanno determinata
scompaiono definitivamente, il processo di degradazione può
mutarsi in un processo di “evoluzione” e dar vita ad un tipo di
vegetazione che prende il nome di FORTETO.
Lembi di vegetazione a cespugli sempreverdi bassi e
discontinui “Gariga”, che segna la seconda fase del degrado
della Lecceta; la composizione della vegetazione varia in
funzione del substrato in cui si è sviluppata; se deriva da
rocce silicee, la Gariga è caratterizzata dalla presenza di
Elicriso o Cisto marittimo, se da rocce carbonatiche, da Erica
da scope, Spigo, Salvia, Euforbie, ecc; zone costiere
rocciose.
Vegetazione coltivata sempreverde, rappresentata da floridi oliveti il meno possibile
soggetti alle gelate invernali; zona di bassa, medio-alta collina.
Fascia submediterranea dei querceti caducifogli
Nella provincia pisana si estende dalle zone costiere fino a quelle di alta collina e include
vegetazione potenziale a foglia caduca, che può essere ridotta ai seguenti consorzi
principali:
1.
querceti misti a dominanza della Roverella,con altre specie di Querce (per lo .più
ibridi), Carpino nero, Orniello, Ciavardello, Olmo campestre, Sorbo comune, eco.; in tali
consorzi il Leccio, che ha esigenze ecologiche simili, vi penetra e si afferma, accompagnato
come sempre da elementi mediterranei sempreverdi (Alaterno, Fillirea, Viburno , ecc.);
2.
boschi di Carpino nero e Orniello: vegetazione secondaria che occupa i versanti più
freschi e le forre; trae origine dalla involuzione dei querceti misti, percorsi da ripetuti incendi
che favoriscono l'espansione delle specie legnose più rustiche, come lo sono il Carpino e
l'Orniello, specie a spiccate doti di colonizzazione e rapida diffusione che danno vita sia a
boschi puri (Ostryeti) che misti (Orno-Ostryetum) ; bosco misto a Carpino nero e Orniello.
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3.
boschi ripariali di fondovalle: vegetazione igrofila che si sviluppa lungo i corsi d'acqua
della piana. Tra le specie caratteristiche troviamo il Pioppo bianco e quello nero, il Salice
rosso e il cinereo, il Salice da vimini, oltre a numerosi ibridi di questo genere che
costituiscono un vero rompicapo per un appassionato di botanica.
4.
Aggruppamenti litoranei a essenze caducifoglie: vegetazione a temperamento igrofilo
e palustre, spontanea nelle zone costiere a falda freatica elevata e in quelle dove si ha
ristagno delle acque meteoriche e fluviali. Specie caratteristiche
sono: Farnia (foto a sinistra), Ontano, Carpino bianco, Pioppo
bianco
e
nero,
Nocciolo,
Frangula, ecc.; nelle zone ad
acqua stagnante, la componente
vegetazionale è data in gran
parte dalla Cannuccia palustre, il
Giaggiolo acquatico, le Tife, il
Coltellaccio, la Salcerella (foto a
destra), le Carici, i Giunchi, eco.
Tali consorzi di vegetazione sono riconducibili alla Silva pisana
degli antichi Romani, che si estendeva da Castiglioncello fino a
Luni, antica città etrusca che ha dato il nome alla Lunigiana.
Fascia submontana
La fascia submontana si estende in Toscana dalle zone
di alta collina alle zone di bassa montagna, occupando
di fatto un settore altimetrico che va da 550 a circa 900
m di quota, che segna il limite altitudinale con la fascia
montana, regno incontrastato del Faggio (Fagus
sylvatica) (foto a destra). Risulta caratterizzata da una
molteplicità di ambienti fortemente diversificati dal
punto di vista edafico e morfologico, generalmente
anche aperti alle correnti umide provenienti sia
dall'Atlantico che dal Tirreno, fattori che favoriscono lo sviluppo di
cenosi arboree a latifoglie spoglianti (Querceti misti, boschi a
Carpino e Orniello, Cerrete mesofile, lembi di Faggeta). Come
già ricordato, nel corso dei secoli la vegetazione boschiva ha
subito forti regressioni per far posto alle coltivazioni dell'uomo,
teso a soddisfare le sue molteplici esigenze. Quei pochi boschi
rimasti preservati dalla scure, relegati nelle zone più acclivi,
sfruttati intensamente, percorsi spesso da incendi, persero ben
presto l'assetto fisionomico e di composizione originario. Fra le
varie coltivazioni, ci soffermeremo un attimo su quelle del Castagno da frutto, che hanno significato molto per le tante generazioni vissute all'ombra di questa poderosa latifoglia
decidua, nei momenti in cui le castagne costituivano l'unica risorsa alimentare e alle quali
sono associate tante tradizioni. Come storia insegna, l'imperativo dominante le società
costruite dall’uomo è il mutamento, e infatti, dal tardo medioevo al 1850, le coltivazioni del
castagno da frutto subirono un declino inarrestabile: quelle ubicate nelle zone scomode da
raggiungere vennero abbandonate e in seguito trasformate in cedui per paleria agricola, le
altre furono sostituite da impianti artificiali a Pino marittimo, destinati alla resinazione.
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La scomparsa dalla provincia di Pisa dei pochi castagneti, scrive
Giordano E.(1953), è imputabile alla antropizzazione dei Monti
Pisani e alle Cerbaie, dove da tempo si è sviluppata la coltura
del Pino marittimo. Tornando alla fascia submontana in esame,
è noto da tempo presso gli studiosi che questa parte altitudinale
si configura area transizionale fra le latifoglie eliofile del piano
basale e le latifoglie sciafile (ombrofile) del piano montano. Al
limite superiore si ha transizione fra la Faggeta termofila (foto a
lato) dell'orizzonte montano e la Cerreta mesofila submontana,
le quali finiscono di compenetrarsi a vicenda, dando vita a
frange boscate ad elevata biodiversità vegetale per la
compresenza di specie forestali appartenenti a orizzonti separati
dal punto di vista climatico.
Fascia montana
La fascia montana, relativa alla vegetazione potenziale
della Toscana, ha inizio da 900 m di quota e si estende
fino ai limiti dei piani cacuminali (culminali). Viene
suddivisa in due settori altimetrici (orizzonti), il montano
inferiore, che da 900 va fino a 1450, il montano
superiore, che da 1450 m giunge fino a 1650/1700 di
altitudine, che segna il limite della vegetazione arborea
caducifoglia. Nei diversi ambiti che caratterizzano l'intera
fascia montana, la vegetazione naturale è dominata dal
Faggio, specie forestale che ha grandi capacità di dar
vita ad estese formazioni boschive (Faggete), dove
assume il dominio quasi assoluto. Il Faggio esige un
clima di tipo atlantico cioè a temperature livellate,
frequenza di nebbie, incidenza di venti umidi, però teme
molto le gelate primaverili. In epoche lontane, il Faggio
conviveva con l'Abete bianco (foto a lato) e altre
latifoglie decidue (Tiglio nostrale, Acero riccio, Frassino
maggiore, Carpino, Olmo, ecc.). Spostandosi verso il
settore culminale, le Faggete acquistano in purezza ma
perdono in biodiversità, poiché il sottobosco delle
Faggete pure è assai più povero in specie erbacee e
arbustive. Nelle zone cacuminali, dove dominano i venti
gelidi e siccitosi, le basse temperature, ed il periodo
vegetativo si fa troppo breve, non si hanno più le condizioni adatte allo sviluppo delle specie
arboree a foglia caduca, ciò nonostante, il Faggio riesce a sopravvivere anche se sottoforma
di un piccolo e contorto arbusto, confuso al limitare dei vaccineti e delle praterie sommitali.
Ad un attento esame della vegetazione attuale della fascia in esame, appare evidente che
oggi è assai al di sotto delle potenzialità, inoltre il paesaggio vegetale rivela un elevato grado
di antropizzazione, riconducibile anche alla sostituzione di varie faggete con impianti artificiali
di conifere, Abetine di Abete bianco, Douglasia, (specie americana a rapido accrescimento) e
frange boschive a Pino nero.
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4.6) Un classico esempio di ecosistema bosco
Tra i numerosi ecosistemi forestali che compongono il paesaggio vegetale italiano, quelli che
si sono rivelati più confacenti ad un approccio positivo e funzionale ai temi ecologici da
svolgere, sono senza dubbio i Querceti misti, boschi ad elevata socialità, quindi ricchi in
biodiversità vegetale, e di conseguenza anche di specie animali che questa comporta.
Studiare una comunità nel contesto di un ecosistema bosco richiede la perfetta conoscenza
dei caratteri fisici dell'ambiente in cui essa vive (BIOTOPO), oltre alle popolazioni vegetali e
animali che compongono la comunità (BIOCENOSI).
I primi passi logici da compiere sono i seguenti:
1) che specie vegetale è questa ? in questo modo viene definita la "flora", cioè l'insieme
delle specie vegetali che formano il bosco;
2) che organismo animale è questo ? in questo modo viene definita la "fauna", cioè tutte
le specie di animali che vivono in rapporto al bosco.
Combinando i due tipi di analisi si arriva a definire quali organismi viventi, vegetali e animali,
sono presenti e quale sia l'incidenza di ciascuno di essi: si giunge così al concetto di
"biocenosi", cioè di una comunità di piante e animali che vivono in stretto rapporto
mutualistico.
Come abbiamo già accennato, altro passo importante è lo studio delle caratteristiche
climatiche, morfologiche idrologiche e della natura del suolo dell'area occupata dalla
comunità, che per altro viene costantemente influenzata da un insieme di fattori abiotici e
biotici. Così facendo si arriva al concetto di biotopo e, tirando le somme, si arriva alla
conclusione che BIOTOPO + BIOCENOSI = ECOSISTEMA.
I diversi strati del bosco
La vegetazione in un bosco non è
distribuita caoticamente: le varie specie
che la compongono rispondono a
svariati criteri coordinazione nello spazio
e nel tempo, combinazione di specie a
differenti esigenze di luce, di umidità e
di temperatura, integrazione delle forme.
Tenendo conto dell'altezza delle piante,
dall'alto al basso, vi si può distinguere:
1) lo strato arboreo, che riceve
direttamente la luce e il calore
solare;
2) lo
strato
arbustivo,
che
comprende arbusti e alberi allo
stato giovanile;
3) lo strato erbaceo alto, costituito in prevalenza da Palei;
4) lo strato erbaceo basso;
5) lo strato delle crittogame, nel quale Muschi, Licheni e Funghi formano spesso un
mosaico con la lettiera.
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4.7) II clima interno di un bosco di Latifoglie
All'interno di un bosco a dominanza di latifoglie spoglianti, si riscontra un particolare
microclima che trae origine dalle modificazioni che subisce la luce penetrando tra le fronde
degli alberi. Mentre in un bosco di conifere, ad esempio, la luce viene fortemente indebolita
ma poco modificata sotto l'aspetto qualitativo, nei boschi caducifogli la luce subisce un forte
assorbimento selettivo, che tra le altre cose le dona anche una caratteristica tinta gialloverde. A seconda della quantità di fogliame che gli alberi possiedono, l'intensità luminosa
cambia molto nel corso delle stagioni, che in alcuni casi scende al 2% dell'illuminazione che
riceve un terreno scoperto. Durante il giorno, le chiome degli alberi provvisti di foglie sono le
zone più calde del bosco, mentre di notte la temperatura si mantiene abbastanza uniforme,
salvo un leggero vantaggio a favore del suolo e dello strato d'aria compreso fino a due metri
di altezza. Quando in autunno gli alberi perdono le foglie,i fenomeni di inversione
scompaiono quasi del tutto e il massimo della temperatura si registra vicino al suolo.
L'umidità relativa raggiunge il massimo livello durante la notte, mantenendosi costante anche
quando piove, poiché le chiome degli alberi intercettano una buona parte della
precipitazione: oltre i due terzi delle piogge deboli, e oltre un quinto di quelle a carattere
temporalesco. In un bosco di questo tipo, la fauna gode i vantaggi che derivano da un clima
più temperato di quello che esiste all'aria aperta, una umidità media più alta, con movimenti
dell'aria molto attenuati, una illuminazione ridotta nel periodo estivo, una luce ricca di raggi
rossi e infrarossi e povera di raggi giallo-verdi. Tuttavia, nell'ambito del bosco esistono
variazioni abbastanza grandi di temperatura e di umidità, da porre in relazione alla densità
fogliare degli alberi, e dall'altezza delle loro chiome rispetto al suolo.
4.8) II risveglio del bosco
La ruota delle stagioni apporta notevoli cambiamenti in tutti gli ecosistemi forestali, in
particolare nei boschi a dominanza di latifoglie spoglianti (Faggio, Castagno, Querce, ecc.),
specie arboree che durante l'anno alternano un periodo di vita vegetativa (primavera estate)
e un periodo di "letargo" (autunno inverno), in cui gli alberi riescono a superare i freddi mesi
invernali. Questa sequenza annua ha una influenza notevole sulla vita dei vegetali e degli
animali che fanno parte della biocenosi, i quali si sono adeguati al ritmo di vita delle latifoglie,
l'arrivo dell'inverno trova tassi, marmotte, pipistrelli, rettili, rospi, raganelle, ecc., bene al
riparo e immersi in un sonno profondo, le latifoglie rimangono spoglie fino alla primavera, ma
hanno fatto in modo che nessun tessuto delicato resti esposto ai gelidi venti invernali.
Quando la primavera risveglia il bosco, ecco arrivare il tordo, mentre i crochi spuntano dal
suolo con le prime tiepidi piogge. Gli organismi viventi, isolati e rinchiusi, non tardano a
uscire all'aperto. Il Sole risveglia il seme nel suo involucro, la chiocciola nel suo guscio, le
gemme degli alberi nella loro guaina protettiva: il bosco brulica di esseri in movimento,
protesi verso la vita che giunge dalla benefica luce del Sole. La vita nuova arriva sotto forma
di gemme e di larve, di semi e di uova, mentre sullo stesso terreno vi sono ancora gusci
aperti di vecchi baccelli, corazze smesse di coleotteri, le ossa calcinate di uno scoiattolo
morto, le impronte stellate di corvi e ghiandaie, uccelli volati via chissà da quanto tempo. Se
riflettiamo su quante cose si possono osservare in un bosco, ci renderemo conto che esso,
presenta una molteplicità di aspetti diversificati ad ogni stagione, il che ci fa capire che un
bosco non è soltanto un insieme di alberi più o meno sviluppati, ma un corpo vivente che
segue i dettami imposti da madre natura, nel cui ambito l’uomo può trovare una dimensione
più umana.
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5.0 Aspetti vegetazionali del territorio pisano
Note introduttive
La provincia di Pisa si estende per 2448,8 Kmq su un territorio in gran parte costituito di
rilievi collinari di "bassa e medio - alta elevazione altimetrica, digradanti verso le valli dove
scorrono i rispettivi corsi d'acqua e i loro affluenti: a Sud il Cecina,
tributario del Tirreno, a sud est l'Era, che sfocia in Arno all'altezza di
Pontedera, a Est e a Nord, l'Arno stesso ed il Serchio, le due
principali lame che a suo tempo, con i loro delta, diedero origine alla
vasta piana di Pisa, che a Ovest si affaccia al mar Tirreno dando vita a
quella splendida fascia costiera che va da Migliarino pisano alla
tenuta di Tombolo, racchiudendo nella parte centrale la tenuta di San
Rossore, che si estende dalla sponda nord dell'Arno fino a quella sud
del Serchio, che sfociano entrambi in mare. Dalla
vasta trama collinare si ergono due modeste catene montuose: le
Colline Metallifere, con la loro "Aia dei Diavoli" che si eleva fino a 867
m slm e rappresenta la cima più alta dell'intero settore meridionale; a
nord i leggendari Monti Pisani, citati da Dante come quelli per cui " i
Pisan veder Lucca non ponno ", che culminano nelle cime dei monti
Faeta (831 m slm) e Serra (917 m). Questa catena è anche tristemente
nota per la "sospettosa" frequenza di incendi dolosi che ogni volta
devastano ampie aree, favorendo in esse forme di vegetazione che
indicano decadimento del paesaggio in senso biologico e umano. Il territorio pisano confina
con le provincie di Lucca, Firenze, Siena, Livorno e Grosseto: dal lato amministrativo è
suddivisa in 39 comuni, di cui 10 di pianura, 13 di piano-colle, 14 di collina, e 2 di colle-monte
(vedi zonizzazione altimetrica Istat). Se consideriamo solo l'aspetto altimetrico, si può
giungere ad una errata convinzione di essere in presenza di un territorio omogeneo nel suo
complesso, ma che in realtà si presenta con un quadro assai composito specialmente dal
punto di vista ambientale, ricco di contrasti morfologici, accentuati dall'intrico dell'idrografia
superficiale, dalla varietà dei suoli che ospitano i popolamenti
vegetali naturali e coltivati, dai caratteri del clima che grava su tutta
l'area, dall'azione modificatrice dell'uomo che condiziona ogni forma
di paesaggio. Dal punto di vista ecologico, il territorio vanta una serie
di luoghi di vita (biotopi) da considerarsi autentiche scuole a cielo
aperto per i naturalisti, degni di essere esplorati per le emozioni che
possono offrire al visitatore, fortunatamente inseriti nei vari Parchi
Naturali istituiti dalla provincia di Pisa, ormai noti al grande pubblico
attraverso delle ottime pubblicazioni ad essi dedicate, frutto di studi e ricerche condotte per
anni da emeriti studiosi.
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5.1 Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli
II Parco Naturale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli
(vedi foto satellitare a lato) si estende dalla foce dell'Arno fino
a quella del Serchio, occupando di fatto una superficie di
cinquemila ettari, nel cui ambito sono protetti e conservati vari
ambienti vitali per flora e fauna, ad iniziare dalla famosa e
stupenda pineta a Pino domestico e marittimo di genesi
artificiale, che inoltre costituisce un elemento di grande valore
ornamentale. In altri preziosi ambienti sono presenti lembi
residuali di una foresta paludosa di Ontano nero (Alnus
glutinosa) che in tempi lontani si estendeva dal Promontorio di
Castiglioncello ai monti di Luni, occupando tutta la pianura
acquitrinosa: si tratta di lembi di vegetazione climatogena di
epoche passate, conservatesi nella Regione Mediterranea in due sole località; nel Parco di
San Rossore e lungo le rive del Lago di Paola nel Parco Nazionale del Circeo.
Percorrendo il viale alberato a Pino domestico che attraversa il Parco di San Rossore, resta
evidente che separa di fatto due distinti consorzi di vegetazione, da una parte la Macchia
Mediterranea, con bassi lecci e arbusti sempreverdi ombreggiati
dalle chiome di sparsi pini domestici, dall'altra il bosco mesofilo di
latifoglie decidue che occupa le bassure umide interne, ed è in
queste zone che si trova il bosco di San Bartolomeo nel quale
possiamo ammirare quei lembi di vegetazione d'altri tempi,
rappresentati da maestosi esemplari di Farnia, di Ontano nero, di
Frassino comune e ossifillo, di Pioppo bianco e Carpino comune,
con un sottobosco fitto di Rovi, Felci e piante lianose, tra le quali
spicca la rara Periploca greca (foto a lato), detta in loco "topa",
che avvolge i fusti degli alberi fino a strangolarli.
Altro aspetto di rilevante interesse ecologico è dato dalla fascia
sabbiosa litoranea dove nel 1822 naufragò trovandovi la morte il
poeta inglese Shelley, formata dalla famosa spiaggia del Gombo
e da una serie di ondulate dune di sabbia predisposte in cordoni e
intervallate da depressioni spesso inondate che prendono il nome di "lame". In questo
selvaggio ambiente, non più gravato dal turismo balneare,
nel quale trovano nutrimento e riposo innumerevoli specie di
uccelli stanziali e migratori, è quanto mai interessante
seguire le serie evolutive della vegetazione "alofita e
psammofila", composta di specie erbacee altamente
specializzate e caratterizzate da un elevato pionierismo. Le
alofite si dividono in due associazioni o cenosi che prendono
il nome dalla specie dominante: il Cakileto, dal Ravastrello
marittimo (Cakile marittima Scop.); l’Agropireto, dalla
Gramigna delle spiagge (Agropyron junceum) . Queste
cenosi si evolvono in funzione del prosciugamento e della
diminuizione della salinità delle dune più prossime alla
spiaggia. Sulle dune scoperte, o mobili che dir si voglia,
s'insedia una cenosi pioniera di grandi doti colonizzatrici: l'Ammofileto, dallo Sparto pungente
(Ammophila littoralis), il cui compito assegnategli da madre natura è quello di stabilizzare le
dune per renderle atte a ricevere associazioni vegetali più ricche e più complesse.
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5.2 I Monti Pisani
Prendono il nome di "Monti pisani"un insieme di
rilievi che danno vita ad una catena montuosa
che incombe e precipita sulle piane alluvionali
dell'Arno e del Serchio. Essa trae origine, così
dicono gli esperti, da una trasgressione marina
riferibile al Carnico (Triassico superiore),
qualcosa come 220 milioni di anni fa. Senza
alcun dubbio costituisce l'elemento più antico e
caratterizzante il paesaggio pisano, ma sotto altri
aspetti è anche uno dei luoghi ideali per
l'osservazione diretta di peculiarità floristiche e
vegetazionali sia del presente che del passato.
Per entrare nel merito, basti pensare che nel
I878 in una stretta e fresca vallecola sita tra Calci e Buti, venne
accertata la presenza di un nucleo di pini larici, detti in loco "alici" per
distinguerli dai pini marittimi. Il Pino laricio (foto a lato), con il suo
disgiunto areale Corsica - Aspromonte - Sila - Etna, si ricollega alle
pinete che in gran parte coprivano le montagne mediterranee
durante una fase fredda del Pliocene. Sulla naturalità di questo
lembo relittuale di antica vegetazione, come lo hanno confermato
numerose ricerche, non vi sono più dubbi.
Le pinete a Pino marittimo presenti sui Monti Pisani sono il frutto di
pregressi impianti artificiali iniziati attorno al 1840/50 allo scopo di
recuperare aree abbandonate e fatte sterili ad ogni coltura, di trasformare in boschi redditizi i castagneti abbandonati a se stessi, come
pure le misere boscaglie di Quercia, rese quasi sterili da inconsulte
ed eccessive ceduazioni; la scomparsa dei pochi castagneti nella
provincia di Pisa, è imputabile ai Monti Pisani dove si è largamente
estesa la coltura del Pino marittimo (Giordano 1953).
II Pino marittimo è una specie atlantica con elevate doti
pionieristiche, ma purtroppo è amica del fuoco (pirofila), che ne favorisce sia il rinnovo che la
diffusione. Ad ogni incendio che si sviluppa in una pineta, segue l'impoverimento del terreno,
sul quale alla fine riescono ad affermarsi solo specie frugali ma infiammabilissime, come il
Ginestrone (Ulex europaeus) e le Eriche (Erica arborea e scoparia), anch'esse specie
spiccatamente atlantiche.
E' questa la ragione per cui si riscontrano forme atipiche di Macchia mediterranea e sono
osservabili tutti gli stadi di degradazione della vegetazione mediterranea che ha nel Leccio la
specie simbolo; passando dalla lecceta alla macchia, da questa al cespuglieto basso o
gariga, fino alla steppa a graminacee.
Può sembrare un paradosso, ma dagli incendi delle pinete ne traggono vantaggio le geofite
bulbose e rizomatose, con il loro apparato radicale che affonda nel terreno e ne consente la
sopravvivenza.
Quindi, nello spettro biologico si ha una consistenza maggiore di tali specie, e ben lo sanno i
“cacciatori” di orchidee che fanno parte del GIROS Sezione Tyrrena, che dopo anni di ricerca
sul campo hanno accertato la presenza sui Monti Pisani di ben 37 specie, 10 ibridi
intragenerici e 4 ibridi intergenerici.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
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5.3 Il Complesso Forestale "Santa Luce"
Le formazioni boschive nel cui insieme costituiscono il Complesso Forestale "Santa Luce",
uno tra i più interessanti della provincia di Pisa, occupano complessivamente una superficie
di circa 1600 ettari, di cui 1380 ricadenti nel Comune omonimo e 220 nel Comune di Chianni.
Sotto l'egida della Regione Toscana e con il patrocinio del Comune di Santa Luce, nel 1995,
con il fine primario valorizzare un ambiente naturale degno di essere conosciuto, il
Complesso Forestale è stato oggetto di una esauriente pubblicazione realizzata con il
contributo di diversi esperti.
La pubblicazione pone in evidenza le principali caratteristiche geomorfologiche, idrologiche e
climatiche del territorio oggetto di studio, infine passa ad illustrare i vari tipi di bosco, i loro
caratteri ecologici e la loro composizione in specie vegetali.
Questi sono stati così ripartiti:
• Boschi termofili misti di latifoglie sclerofille
• Boschi termofili misti di Cerro e Leccio
• Boschi mesotermofili misti di Cerro e Carpino nero
• Boschi mesotermofili di Cerro = cerreta
• Boschi mesofili misti di Cerro e Carpino nero
• Boschi mesofili di Cerro = cerreta
• Formazioni mesoigrofile di Latifoglie decidue
• Soprassuoli artificiali di Pini marittimo.
Dalle formazioni boschive citate , risulta
evidente che il Complesso Forestale si
colloca in un'area fitoclimatica compresa fra
l'orizzonte
superiore delle
sclerofille
sempreverdi, rappresentate dal Leccio,
specie
simbolo
della
vegetazione
mediterranea, e l'orizzonte inferiore dei
querceti caducifogli, rappresentati da
Roverella, Cerro, Carpino nero, ecc., specie arboree dominanti della vegetazione submediterranea.
Dal punto di vista biologico quindi,nelle zone transizionali fra tipi di vegetazione a diversa
ecologia si registra una maggiore ricchezza in biodiverisità, in quanto varie specie riescono
ad affermarsi in altre formazioni che non è la loro, come il Leccio che penetra nei querceti, e
allo stesso modo la Roverella penetra nel forteto e nella macchia mediterranea.
La biodiversità è data dall'assieme delle specie vegetali, delle specie animali, degli organismi
saprofiti, come funghi e batteri: in altre parole, per queste ragioni il Complesso Forestale
“Santa Luce", deve essere considerato un ecosistema complesso, quindi meritevole di
essere conosciuto e conservato per le nuove generazioni.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
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5.4 Le Cerbaie: aspetti ecologici e vegetazionali
Con il nome di Cerbaie (= spazio da cervi) si indica un particolare terrazzamento di origine
sedimentaria che di fatto divide il Padule di Bientina da quello di Fucecchio. Dal punto di
vista morfologico si presenta come una trama di basse colline ondulate, da cui emerge la
cima del Montefalcone, che si impone al paesaggio con i suoi 115 metri di altitudine. La
copertura vegetale di questo particolare ambiente è in gran parte assicurata da pinete a Pino
marittimo, alle quali si alternano sparsamente consorzi di latifoglie decidue, in parte a carattere mesofilo la cui composizione in specie vegetali si richiama ad un tipo climatogeno di
epoche passate, in parte a carattere termofilo in cui si ha la presenza di elementi della
macchia mediterranea.
Inoltre, sono stati da tempo segnalati consorzi di Phragmites australis di Carex elata, di prati
acquitrinosi floristicamente interessanti, di fondi vallivi
acquitrinosi, dove tra gli sfagni è stata segnalata la presenza
della Drosera rotundifolia subsp. corsica Maire, rarissima pianta
carnivora e di un esteso consorzio di Osmunda regalis, felce di
elevato interesse scientifico sulla via dell'estinzione, propria di
luoghi umidi, boschivi a substrato acido e caratterizzati da clima
temperato oceanico. Questa varietà del clima temperato marittimo, trova conferma nella
presenza di antichi reperti di Faggio fra le pinete delle Cerbaie (Piussi 1982) , di sparse
ceppaie di castagneti abbandonati e di nuclei di cedui (Bernetti G. 1987). In quanto alla
presenza del Pino marittimo, del quale tratteremo solo gli aspetti ecologici più significativi, si
può parlare di un fenomeno di ritorno, poiché questa conifera è indigena di questa stazione,
anche se il suo insediamento è stato favorito dall'uomo. La sua ampia presenza nella
Toscana collinare è spiegata dalle notevoli doti pionieristiche di questa specie, la quale fu
prescelta dai proprietari dei fondi per ricostituire una copertura vegetale sui suoli denudati o
coperti di vegetazione degradata. Intorno alla metà dell'ottocento, come riferiscono Piussi e
Bellucci (1953), si procedeva ad eseguire semine di Pino marittimo nei castagneti
abbandonati o nei cedui degradati di latifoglie dislocati vicino alle fattorie. La "coniferazione"
pura fu molto praticata nel passato, è oggi ampiamente superata. Tali studi suggeriscono di
non usare mai solo conifere per
rimboschire dove esisteva
già vegetazione naturale di
latifoglie, ma di utilizzare
popolamenti misti (conifere più
latifoglie messe a dimora a
mosaico). Vediamo in sintesi gli
aspetti ecologici negativi dei
rimboschimenti a sole conifere.
Sotto le latifoglie decidue la
popolazione
batterica
si
distribuisce
in
tutti
gli
orizzonti del suolo, mentre sotto
le conifere si concentra in
superficie e attorno alle radici (Nikola 1954 - Sonn I960). Ne consegue una diminuzione dei
batteri dell'umificazione e dei vermi di terra, il che si traduce in un rallentamento dell'attività
biologica. Le reazioni chimiche vengono sospese e nella lettiera composta di aghi vengono
immobilizzati i materiali nutritivi, in particolare l'azoto, il fosforo, il calcio ed il potassio. Vi è da
tenere presente che gli aghi dei pini di ogni specie non sono foglie ma rami speciali
(pseudofilli), che non sono in grado di assorbire l'acqua delle piogge, destinandola quasi
integralmente al suolo: quindi al pericolo di degradazione del suolo si unisce quello della
poca protezione contro l'erosione. Ci sembra inutile aggiungere che i popolamenti vegetali di
sole conifere sono maggiormente esposti agli attacchi della processionaria (Taumatocampa
Pitycompa) e la famigerata cocciniglia corticola (Matsucoccus feytaudi), che sta
defogliando i pini della fascia costiera presenti fra Viareggio e Calambrone. Tuttavia, questi
aspetti ecologici negativi, tutt’altro che trascurabili a lunga scadenza, sono comunque
compensati dalle numerose utilizzazioni delle conifere nei più svariati settori industriali, nella
protezione delle aree interne coltivate e nell'abbellimento del paesaggio.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
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5.5 Le colline metallifere
Devono il loro nome in quanto sede di importanti giacimenti minerari storicamente sfruttati fin
dal tempo degli etruschi. Si tratta di un complesso non uniforme di rilievi che si estende a
cavallo delle provincie di Pisa, Livorno, Siena e Grosseto e la cui altitudine varia da quote
minime di 300 m. , medie di 500/600 m, massime di oltre i mille metri con Poggio Montieri
(1051 m) e le Cornate di Gerfalco (1060 m) da cui si originano i bacini imbriferi del fiume
Cecina, del Merse, del Cornia e della Bruna.
Il manto forestale che in gran parte copre le Colline Metallifere e in modo particolare quello
contermine alle antiche miniere, mostra i segni delle pregresse utilizzazioni, attuate
intensamente e senza mai curararsi delle problematiche legate alla sua stabilità e
perpetuazione, determinando così nei consorzi boschivi di oggi, alterazioni nella loro
composizione, nella struttura spaziale e nel processo evolutivo che conduce verso uno stato
di equilibrio , che è già di per sé difficile da raggiungere, figuriamoci nei territori modificati
dalla profonda e plurimillenaria azione dell'uomo.
Nella parte centrale, esiste un'area di notevole interesse floristico e vegetazionale, che si
estende dalle Cornate ai versanti orientali del monte Gabbro e del monte Arsenti, e su fino al
Poggio di Montieri.
Percorrendo questa area boscata, si può ammirare uno dei complessi forestali più estesi e
interessanti di questa parte di Toscana, dove uno stupendo paesaggio vegetale armonizza,
nei vari livelli altitudinali, gran parte delle forme di vegetazione che dalla macchia costiera
sempreverde si distende fino ai margini interni dell’Appennino toscano.
In questo interessante consorzio forestale, le specie arboree costruttrici delle forme
spontanee di vegetazione sono: Leccio, Roverella, Carpino nero, Cerro, Faggio e con nuclei
sparsi di Castagno e Olivo come specie coltivate.
Lo studio delle comunità boschive in cui è suddiviso il territorio, non deve tenere conto della
distribuzione in senso altitudinale di queste specie guida isolatamente, ma deve prendere in
esame la distribuzione delle comunità vegetali alle quali esse hanno dato vita.
Infatti, dobbiamo sempre tenere presente che le specie vegetali sono soggette a diversi livelli
di organizzazione sociale, come lo è per gli uomini del resto, i quali si organizzano in clan,
tribù, popoli, nazioni, ecc.
Dunque, le specie guida della vegetazione forestale italiana si associano sempre con
aggruppamenti affini, formando un "insieme" che non presenta processi dinamici disordinati,
e col tempo può raggiungere un equilibrio biologico comunemente detto climax, a meno che
l'uomo non ci metta lo zampino
come sempre avviene.
Ma se prendiamo una specie guida
isolatamente perdiamo di vista la
sua natura associativa e la sua
storia evolutiva, per cui sarebbe
come se volessimo descrivere e
comprendere il carattere di un
essere umano senza tener conto dei
rapporti con i suoi congiunti, gli
amici, le persone che incontra nella
sua vita affettiva e professionale.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
a cura di Bruno Acciai
6.0) Studio e ricreazione nel bosco
Note introduttive
Nella comunità del bosco flora e fauna si fondono armonicamente a
tutti i livelli; studiare le relazioni che legano tra loro gli organismi
vegetali e animali può significare costruirsi la propria piccola banca di
nozioni ecologiche, quindi compiere i primi passi, i più difficili, verso
consistenti orizzonti della conoscenza scientifica. Tra i diversi
ambienti che la natura ci offre, il bosco è forse quello che più di ogni
altro ci da la sensazione immediata di essere a contatto diretto con
madre natura, anzi di essere immersi in essa. Addentrarsi nel folto di
un bosco sia per motivi di studio che per pura ricreazione, ci pervade
un senso di liberazione dalla routinaria vita quotidiana. In una
dimensione umana ritrovata, i sensi vengono tutti sollecitati anche dal
più piccolo fruscio del vento tra le fronde, dal canto di un uccello sulla chioma di un albero,
dalla fuga di uno scoiattolo , dal quieto mormorio dei ruscelli fra le pietre, fino a sconfinare
nella pura fantasia, a cui il particolare ambiente lascia libero corso. Questo lento scorrere
della vita è un toccasana non solo per gli adulti, stremati dai rumori assordanti del traffico
cittadino o della fabbrica, ma anche per i ragazzi in età scolare per le ore trascorse sotto il
tutoraggio di mamma TV e di papa computer. Naturalmente, prima di avventurarsi in un
bosco dobbiamo essere consapevoli che non siamo di fronte ad un insieme di alberi più o
meno sviluppati, ma ad una struttura ecologica straordinariamente complessa, il cui studio
può significare un passo avanti nella cultura scientifica. Il grande Charles Darwin ci ha
lasciato scritto: " fare quel poco che si può per aumentare il patrimonio di conoscenze è tra
gli scopi della propria vita che uno può perseguire con ogni convenienza ".
6.1) Come comportarsi nel bosco
I boschi naturali sono protetti da leggi severissime, sia per la loro funzione
idrogeologica, cioè la regimazione delle acque méteoriche, e paesistica, ossia
l'abbellimento del paesaggio, poiché essi rispecchiano fedelmente l'identità
estetica dei luoghi, nel loro clima e nei costumi stessi delle popolazioni. Per
cui, è buona regola non commettere atti che siano in contrasto con le vigenti
leggi od eventuali disposizioni locali. Dunque, chi entra in un bosco deve
essere consapevole di ciò che esso esprime, e deve cercare di non
commettere infrazioni alle vigenti leggi di tutela. Incominciamo con il considerare che tutto ciò
che il bosco produce, dalla legna ai funghi, dai frutti ai fiori, appartiene al proprietario, che
può essere un privato od un ente pubblico (Stato, Regione, Provincia, ecc.), per cui gode di
tutti i diritti della proprietà, che può essere soggetta ad eventuali protezioni speciali. Gli
animali selvatici che vivono nel bosco, che sono timidi per natura, non vanno disturbati né
con suoni o rumori né con becere grida; se capita di trovare dei covi o dei nidi con i piccoli,
non conviene avvicinarsi troppo o toccare i piccoli nati, perché con tutta probabilità
verrebbero abbandonati dalla loro madre. Ogni vita che incontriamo, sia essa di un
organismo insignificante o di un insetto dall'orrido aspetto, deve essere rispettata, perché
degna di vivere.
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6.2) Chi ama il bosco non coglie i suoi fiori
Nei parchi nazionali e nelle aree protette, vistosi cartelli
avvertono che è vietata la raccolta non solo dei fiori e dei
funghi e dei frutti del sottobosco ma anche la loro
manomissione:
divieti
dettati
dalla
necessità
di
salvaguardare la biodiversità, in quanto la raccolta
indiscriminata da parte dei gitanti stava portando
all'estinzione un gran numero di piante a fiori endemiche o
rare, come genziane, gigli, orchidee, stelle alpine, ecc. (nella
foto fiore di Atropa belladonna)
Nei nostri boschi, per gli stessi motivi, sono in sofferenza orchidee rarissime, tulipani,
asparagi selvatici, il pungitopo, agrifoglio, vischio e i muschi che vengono raccolti per le feste
natalizie e utilizzati come ornamento per i presepi e gli alberi di Natale. Conservare ciò che la
Natura crea è atto di intelligenza che esige competenza, scienza, sensibilità, amore....amore
per la Natura stessa. Conviene limitarsi alla raccolta di qualche esemplare particolarmente
rappresentato, in ogni caso mai estirpare con le radici: meglio immortalare con una macchina
fotografica che depauperare il sottobosco.
6.3) Precauzioni e pericoli
Quando siamo nel bosco, prima di sedersi
conviene battere il terreno con un bastone per
assicurarsi che non vi sia una vipera (Foto a
sinistra). In quanto agli insetti (zanzare, vespe,
calabroni, zecche, ecc.) ci si può difendere con
le apposite creme e con gli spray, reperibili in
qualsiasi farmacia. E' consigliabile vestirsi con
abiti chiari per individuare al meglio le eventuali
zecche (ciclo vitale nel disegno in basso),
formiche, ecc.; per questo motivo in primavera e
nel periodo autunnale non conviene sdraiarsi in terra nei luoghi frequentati da cervi,
daini,caprioli, cinghiali, pecore e altri animali.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
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6.4) Come orientarsi nel bosco
Per i meno esperti il bosco non offre molti punti di riferimento, in modo particolare in quelli
monospecifici, come faggete e abetine, dove il sole penetra a fatica tra le fronde e i diversi
punti sembrano tutti uguali per la loro uniformità.
E' opportuno quindi
disporre sempre di una
bussola che ci indica i
punti cardinali, e di una
cartina dei sentieri del
bosco in esame.
Leggere strumenti e
cartine
topografiche
richiede
una
certa
esperienza e non è
cosa che si possa
improvvisare.
Per
cui
conviene
lasciare sempre dei
segnali sul sentiero che
stiamo
percorrendo,
che possono essere
degli accumuli di sassi in terra o delle strisce colorate poste all'altezza di petto d'uomo ai
rami degli alberi, sistemati nei punti critici dove si incrociano i sentieri, ma non fare mai delle
incisioni che potrebbero danneggiare le piante.
Quando si è in gruppo conviene stabilire un segnale convenzionale e ripeterlo con una certa
frequenza, onde evitare che un compagno di gita perda " la bussola", per non dire
l'orientamento.
Se incontriamo una "chiaria" (spiazzo
privo di alberi) e c'è il Sole, dobbiamo
ricordarci che la nostra ombra, a
mezzogiorno, volge a Nord o settentrione,
nella direzione opposta si trova il Sud o
meridione.
Nel cielo notturno un riferimento preciso
viene dato dalle stelle e in particolare
quella polare che nell'emisfero boreale
indica la direzione Nord.
Come la indicano i licheni ai tronchi degli
alberi, ma nel caso di completo
disorientamento
conviene
aspettare,
senza farsi prendere dalla paura gli
eventuali soccorsi, che arriveranno ben
presto ancora prima se si ha con se un
telefono cellulare.
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6.5 ) La fauna dei nostri boschi
Note
Come abbiamo già accennato, il territorio della provincia di Pisa è in parte coperto di latifoglie
spoglianti e di aghifoglie sempreverdi, nel cui insieme offrono ad una miriade di specie
animali, che vanno dai grossi cervi ai piccoli insetti, innumerevoli " nicchie ecologiche " in cui
esse trovano protezione, nutrimento e ampia possibilità di potersi riprodurre.
Oltre a queste specie cosiddette " stanziali ", il territorio in esame, grazie ad una serie di
fattori geografici,climatici,morfologici e vegetazionali, svolge annualmente la determinante
funzione di sosta, svernamento e nidificazione, per rare specie di uccelli migratori, sia
dell'avifauna acquatica che terrestre.
In questa sede ci limiteremo ad elencare le specie più importanti, la cui presenza è stata
accertata nel corso di osservazioni e indagini condotte da studiosi e appassionati.
Mammiferi
Capriolo, Daino, Cinghiale (foto in alto a sinistra), Tasso, Donnola, Lepre (foto in alto a
destra, Faina, Cervo (foto al centro), Istrice (foto in basso a sinistra), Scoiattolo, Volpe (foto
in basso a destra), Talpa, Topo campagnolo, ecc.
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Anfibi e rettili
Rana comune (foto in alto a sinistra), Rana rossa, Rospo comune, Rospo smeraldino,
Vipera comune, Biacco, Orbettino, Ramarro, Lucertola muraiola, Raganella, Geco, ecc.
Uccelli stanziali
Poiana, Fagiano, Gufo comune, Ghiandaia, Starna, Tortora dal collare,
lodolaio, Gheppio, Passero reale, Coturnice, Passero montano.
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Civetta, Falco
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Uccelli di passo terricoli
Upupa, Tordo, Pettirosso, Picchio verde, Cardellino, Quaglia, Allodola, Cuculo,
Fringuello, Picchio muraiolo, Codirossone, Beccaccia, Averla, Prispolone, Zigolo, Capinera,
Luì, Scricciolo.
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Uccelli di passo acquatici
Garzetta, Martin pescatore, Airone
Cavaliere d'Italia.
cinerino, Gallinella d'acqua,
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Folaga, Nitticora,
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NOTE CONCLUSIVE
II nostro "Ecologia a Scuola e sul Campo", non ha altra pretesa che quella di essere un
modesto compendio su argomenti relativi a certi aspetti ecologici della vegetazione forestale
del nostro Paese, in particolare sulla distribuzione in senso altitudinale dei vari tipi di bosco di
cui è composta, sulla loro importanza sotto l'aspetto biofisico e paesaggistico, un bosco
inteso come ecosistema, le relazioni che intercorrono tra biotopo e biocenosi, le piante
inferiori e superiori, gli alberi che danno il nome ai boschi italiani, il lavoro in cifre di un
singolo albero, ecc.; oltre ad una sintetica trattazione di certi aspetti vegetazionali che
riguardano il territorio pisano.
Certamente, non ignoriamo le lacune e le schematizzazioni a cui, in certi punti, siamo stati
costretti per non venire meno a quel carattere di divulgazione che ci eravamo proposti
all'inizio.
Tuttavia, nel prosieguo del lavoro ci sembra di non avere mai avuto la pretesa di affermare
niente di nuovo né di più di quanto gli studiosi conoscono da tempo e ai quali va la nostra
riconoscenza, l'unica ambizione che ci permettiamo di manifestare è quella di sperare che
anche lavori modesti come questo servino a stimolare nei giovani una sensibilità di rispetto
verso madre Natura, una maggiore attenzione per il degrado che ci sta investendo e
portando alla deriva, una più attenta valutazione per le condizioni fisico-chimiche e biologiche
del pianeta Terra, le quali permettono e favoriscono la vita di tutti gli organismi vegetali e
animali ed il loro perpetuarsi.
Sono problemi insuperabili? Quello che più preoccupa sono le dimensioni
raggiunte da questo "vento di follia" che coinvolge tutti i popoli della Terra, e
le nuove generazioni dovranno fare enormi sforzi collettivi se vorranno
risolverli. Mai come in questo momento che stiamo attraversando possono
applicarsi le sagge parole con cui Teilhard De Chardin (1881-1955) descrive
il processo di " planetizzazione " dell'umanità che si è avviato dal Neolitico: "
popoli e civiltà giunte a un tale grado di contatto periferico sia di
interdipendenza economica sia di comunione psichica che essi non possono
più crescere che interpenetrandosi" (Le phenom. hum. p. 280)
www.chasque.net
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
a cura di Bruno Acciai
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI :
Foto originali di piante e ambienti fornite da: prof. A. Messina; B. Acciai; archivio Provincia di
Pisa, Servizio Forestazione e Difesa Fauna.
Foto e disegni tratti da siti INTERNET di seguito citati:
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G. Carboni e Dr. G.P. Sini, marzo 2007
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www.groveestate.co.uk
www.anisn.it
www.ipaacapodorlando.it
www.sarracenia.com
www.spatafora.science.oregonstate.edu
www.scientificando.splinder.com
www.reptiworld.it
www.biologia.unipi.it/ortobotanico
www.w3c.it
www.mondomarino.net
www2.provincia.pisa.it/
Foto Giuntini da Galleria foto - Parco di Migliarino
www.plant-identification.co.uk/skye/cruciferae/cakile-maritima.htm
www.50hikesintuscany.com
www.mondomarino.net
www.regione.calabria.it/ambiente
www.andreavellani.it
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www.comune.roma.it
www.arpnet.it
www.hobbyuccelli.com
www.venadelgesso.org
www.regione-romagna.it
www.regionefvg.com
www.regione.piemonte.it
www.provincia.pisa.it
www.toscanavolo.it
www.arsia.toscana.it
www.leserre.it/img/dicotiledoni3.jpg
www.chasque.net
Sezione della foglia tratta dall’enciclopedia IL MONDO DELLE PIANTE – Motta Editore.
Disegni tratti da: La flora d’Italia – Touring Club Italiano anno 1958.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
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GLOSSARIO
Abiotico
Relativo ai fattori chimico - fisici dell'ambiente, (caratteri del clima, del
suolo, della morfologia, eco.) i quali esercitano una notevole influenza
sugli organismi viventi.
Abissale
Insediamento di specie orofile che, a causa di un microclima particolare, i
trova ad una altitudine inferiore a quella normalmente occupata.
Acaule
Pianta senza un fusto evidente.
Achenio
Frutto secco indeiscente, contenente un solo seme, libero, che non
aderisce all’involucro del frutto.
Acido
Suolo a reazione acida (ph < 7) (esempio terreni di brughiera).
Acidofile
Piante che preferiscono terreni a reazione acida; sono anche dette
silicicole (impropriamente: non ricercano infatti i terreni silicei).
Adattamento
Modificazione di forma e comportamento di una specie sotto l'influenza di
fattori esterni.
Afillo
Fusto privo di foglie.
Agamica
Riproduzione per via vegetativa (asessuata).
Albero
Pianta perenne legnosa con fusto colonnare e ramificazioni non a livello
del suolo.
Alloctono
Corpo roccioso trasferito dal luogo d’origine.
Alluvionale
Suolo originato da depositi fluviali.
Alofile
Piante che preferiscono suoli salati (o vi sono esclusive: alofite).
Alpine
Piante che vivono oltre il limite della vegetazione arborea.
Anemofila
Impollinazione che si realizza attraverso il vento.
Annuali
Piante che svolgono il loro ciclo vitale in un solo anno.
Antesi
Sinonimo di fioritura.
Antropizzato
Territorio adattato e modificato dall’uomo a propri scopi o usi.
Apicale
Organo posto alla sommità ( es. la gemma).
Arboreto
Consorzio di alberi.
Arbusteto
Consorzio di arbusti.
Arbusto
Pianta perenne frutice o suffrutice, alta da 1 a 5 m.
Areale
Regione geografica nella quale vive una specie: può essere potenziale
(dove potrebbe vivere), pregresso (dove viveva), continuo (costituito da
un’unica regione) e disgiunto (costituito da regioni separate fra loro da
altre in cui non è presente).
Arenarie
Rocce sedimentarie costituite prevalentemente da sabbie a grana fine,
media o grossa (0,06-2 mm).
Associazione vegetale Raggruppamento di specie che vivono insieme: costituiscono la base
della sistematica fitosociologica.
Autoctono
Corpo roccioso che non ha subito trasporto dal sito di origine.
Autogamia
Autoimpollinazione, autofecondazione.
Avventizie
Piante introdotte casualmente in un areale estraneo, dove riescono a
diffondersi e ad affermarsi, divenendo “naturalizzate”.
Bacca
Frutto carnoso privo di nocciolo.
Biennali
Piante che compiono il proprio ciclo vitale in due anni, fiorendo e
fruttificando nel secondo.
Biocenosi o Cenosi
Dal greco koinosis = associazione di specie diverse (animali o vegetali)
che vivono in un certo ambiente.
Biotopo
Bipennate
Boscaglia
Bosco
Area con peculiari caratteristiche, in cui vive una specie (animale o
vegetale) o una associazione vegetale.
Foglie pennate con rachidi secondarie a loro volta pennate.
Formazione vegetale di arbusti e cespugli con pochi alberi.
Formazione vegetale delle zone temperate, dominata da essenze arboree
mono - o plurispecifiche (bosco puro o misto).
Assessorato Agricoltura Forestazione Difesa Fauna
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
Bosco coetaneo
Brattea
Bulbilli
Bulbo
Bulbose
Caducifoglie
Calcicole
Calcifughe
Camefite
Capolino
Capsula
Caule
Cauline o Caulinari
Ceduo
Cenosi
Ceppaia o Ceppo
Cespitose
Chiaria
Ciclo vegetativo
Circumboreali
Clima
Climax
Conglomerati e
Brecce
Conifere
Consorzio vegetale
Continentale
Contrafforte
Corologia
Cosmopolite
Cotiledone
Crinale
Culmo
Dioica
Ecologia
Ecosistema
a cura di Bruno Acciai
Consorzio di vegetazione forestale costituito di alberi tutti della stessa età,
esempio pioppeta, pineta, ecc.
Foglia modificata, posta alla base del fiore o dell’infiorescenza.
Piccoli bulbi di riserva con capacità di riproduzione agamica, posti attorno
al bulbo principale o, più raramente, all’ascella delle foglie, all’apice delle
radici, al posto dei fiori.
Organo sotterraneo carnoso e più o meno globoso, avvolto da foglie
trasformate, con funzione di riserva nutritizia.
Piante con radici a forma di bulbo.
Piante a foglie caduche, ovvero che cadono nella stagione avversa.
Detto di piante che prediligono terreni calcarei.
Detto di piante che rifuggono i suoli contenenti carbonato di calcio, come il
Castagno, il Brugo, ecc.
Piante perenni con fusto almeno in parte legnoso, che nella stagione
sfavorevole portano le gemme fino ad un’altezza massima di 20-25 cm dal
suolo. Si distinguono in suffruticose, scapose, succulenti, reptanti,
pulvinate, tallofitiche, fruticose. Sigla: Ch.
Infiorescenza formata da fiori sessili, addensati su di un ricettacolo
comune, circondato da un involucro di brattee (es. centauree).
Frutto secco deiscente, che contiene e poi disperde i semi maturi.
Fusto.
Foglie che si inseriscono sul fusto (o caule).
Bosco periodicamente sottoposto a taglio.
Insieme di entità animali e vegetali che hanno relazioni fra loro e
l’ambiente circostante; più corretto il termine “biocenosi”.
Residuo del tronco di un albero tagliato, dal quale si originano polloni.
Piante che si presentano a ciuffi fitti.
Schiarita, ovvero zona boschiva poco fitta e relativamente luminosa.
L’intero periodo di vita di una pianta fino alla fruttificazione.
Piante diffuse nelle zone temperate e fredde di tutto l’emisfero boreale.
Complesso delle condizioni meteorologiche (umidità, temperatura,
precipitazioni ecc.) che si ripetono periodicamente caratterizzando un
ambiente o una regione geografica.
Situazione di equilibrio definitivo a cui tende l’evoluzione delle
associazioni vegetali in un determinato ambiente.
Rocce sedimentarie grossolane costituite da depositi di frammenti
arrotondati (conglomerati) o angolosi (brecce), superiori a 2 mm.
Piante fruticose e arboree a foglie aghiformi e con pigne portanti i semi.
Associazione di diverse entità sistematiche nello stesso ambiente, in
equilibrio fra loro.
Clima temperato arido, con estati calde e inverni freddi.
Propaggine secondaria che si stacca da un sistema montuoso.
Studio della distribuzione geografica delle specie e delle cause della
distribuzione stessa.
Piante diffuse in tutto il mondo.
Foglia embrionale (1 o 2) presente nel seme.
Linea di massima elevazione di un rilievo montuoso.
Fusto delle Poacee ex Graminacee
Pianta con fiori unisessuali portati da individui differenti (quindi ogni
individuo è o maschio o femmina).
Studio delle relazioni fra esseri viventi e fra questi ed il loro ambiente.
Insieme degli esseri viventi (bioma) e non viventi (ecotopo) che
interagiscono fra loro in un dato ambiente.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
Ecotipo
Ecotono
Edafismo
Edule
Eliofile
Emicriptofite
Endemismi
Entomofila
Epifite
Erbacee
Esposizione
Essenza arborea
Europee
Eutrofizzazione
Fasce di vegetazione
Falda idrica
Fanerofite
Feromoni
Fitocenosi
Flora
Foglia
Foglie caduche
Fogliolina
Forma biologica
Fronda
Frutice
Fustaia
Fusto
Gariga
Geofite
a cura di Bruno Acciai
Categoria analoga alla sottospecie, riferita a popolazioni dalla morfologia
più o meno differente da quella tipica, perché adattata ad un ambiente
diverso e divenuta ereditaria.
Zona di transizione fra associazioni vegetali diverse.
Complesso delle condizioni biofisiche, chimiche e meccaniche di un
terreno in rapporto alla vita delle piante.
Commestibile
Piante che preferiscono esposizione soleggiata.
Piante perennanti che trascorrono la stagione avversa con i germogli a
livello del suolo, protetti dai residui organici della pianta. Si distinguono in
cespitose, reptanti, scapose, rosulate, bienni, scandenti. Sigla: H.
Piante che vivono spontanee in un territorio determinato (isola, regione,
ecc.) o su di un particolare litosuolo (es. serpentinofite).
Impollinazione che si realizza attraverso il concorso degli insetti.
Piante che non hanno radici a contatto col suolo, ma vivono su altre
piante, senza parassitarle.
Piante con fusto non lignificato.
Orientamento di una pianta o comunità vegetale in rapporto ai punti
cardinali; meno comunemente si può intendere al sole, ai venti, ecc.
Ogni specie di albero che popola i boschi: una Quercia, un Faggio, un
Abete, ecc.
Piante ad areale europeo; euro-mediterranee se l’areale comprende le
regioni mediterranee, euro-atlantiche se comprende quelle atlantiche, e
così via (centro-europee, europee orientali, nord-europee…).
Incremento eccessivo di materiali nutritivi nelle acque.
Naturale successione della vegetazione naturale che si riscontra dal
basso verso l'alto a diversi livelli di altitudine.
Acque presenti sul piano di contatto fra rocce permeabili e impermeabili.
Piante perenni che superano la stagione avversa con gemme poste ad
oltre 25 cm dal suolo, protette da apposite squame. Comprendono alberi
e arbusti (megafan. e mesofan. alti > 8 m; microfan. alti 2-8 m; nanofan.
alti da 25 cm a 2 m). Si distinguono in cespitose, arboree, lianose,
succulenti, epifite e reptanti. Sigla: P.
Ormoni sessuali prodotti dagli insetti in funzione di richiamo.
Insieme di entità vegetali diverse, legate da precise relazioni ecologiche
fra loro stesse e l’ambiente in cui vivono.
Elenco delle specie vegetali presenti in un dato territorio.
Espansione laterale del fusto, dalle forme più varie, di primaria importanza
per la fotosintesi e la traspirazione della pianta.
Che cadono in autunno, opposte a foglie persistenti.
Divisione di una foglia composta.
Forma di classificazione delle piante legata soprattutto alla modalità di
superare la stagione avversa (da noi l’inverno); la più seguita è quella
proposta da Raunkiaer.
Caratteristica foglia delle felci.
Arbusto legnoso e ramificato fin dalla base.
Alberatura ad alto fusto.
Organo portante nelle piante superiori, generalmente aereo; per le piante
erbacee si può usare come sinonimo il termine caule.; se è privo di foglie
(escluse le basali) si denomina scapo.
Vegetazione mediterranea che rappresenta l’ulteriore degradazione delle
macchie xerofile, costituita da erbe e arbusti prostrati.
Piante che sopravvivono nella stagione avversa per mezzo di organi di
rinnovamento sotterranei (bulbi, tuberi ecc.). Si distinguono in radici
gemmate, bulbose, rizomatose, parassite. Sigla: G.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
Geologia
Glabro
Glauco
Habitat
Humus
Ibrido
Idrografia
Impollinazione
Indigene o Autoctone
Infestanti
Infiorescenza
Latifoglie
Lattice o Latice
Lichene
Lignina
Macchia
Magmatiche o Ignee
Matricine
Mediterranee
Mediterraneo ( clima)
Mediterraneismo
Mesofile
Microclima
Nemorale
Neutro
Neutrofile
Nitrofile
Nodo
Orizzonti
vegetazionali
Orofile
a cura di Bruno Acciai
Scienza che studia la Terra dal punto di vista dell’origine, della natura e
della storia della sua struttura fisica attuale.
Liscio, senza peli.
Colore verde con riflessi azzurrognoli.
Insieme dei fattori che caratterizzano il territorio e l’ambiente di vita di una
pianta.
Parte del terreno di natura organica che proviene dalla decomposizione di
animali e piante.
Individuo che origina dall’incrocio di due specie diverse (parentali) e che
spesso ha caratteristiche intermedie fra le due. Può essere fertile o sterile.
Branca della geografia fisica che studia i corsi e i bacini d’acqua.
Passaggio del polline dagli elementi maschili a quelli femminili del fiore.
Piante originarie della regione dove vivono.
Piante particolarmente invadenti, che crescono nelle colture o comunque
in luoghi dove non sono gradite dall’uomo (muri, marciapiedi ecc.).
Insieme dei fiori disposti su un asse principale semplice o ramificato di
una pianta (> anche racemo, spiga e corimbo).
Piante forestali a foglie larghe (in opposizione ad aghifoglie).
Liquido biancastro o giallognolo secreto da alcune piante (es.
Euforbiacee).
Organismi simbionti composti da due tipi di piante, un fungo e un'alga, i
quali vivono assieme con reciproco beneficio (simbiosi).
Insieme di sostanze che nel processo di lignificazione vanno ad incrostare
la cellulosa delle pareti delle cellule vegetali, formando il tessuto legnoso.
Associazione vegetale delle regioni temperate, con arbusti fitti, erbe e radi
alberi, espressione di fasi di degrado o ricostituzione del bosco.
Rocce originate dal consolidamento dei magmi (miscele minerali fuse
provenienti dalla regione crostale e subcrostale terrestre).
Alberi lasciati per la disseminazione durante il taglio del bosco ceduo.
Piante con areale incentrato sul bacino mediterraneo; possono essere
med. atlantiche (diffuse fino all’Atlantico), med. montane (che salgono in
altitudine), euri-med. (areale esteso verso l’Europa continentale),
stenomed. (areale ristretto al bacino mediterraneo).
Clima di transizione fra quello subtropicale e quello temperato caldo, con
piogge invernali e aridità estiva, dal breve periodo freddo con gelate
occasionali.
Da Mediterraneo = scala di valori ordinati per intensità, dovuti ad un
insieme di fattori geografici e climatici che danno a un territorio un
ambiente temperato caldo-asciutto di tipo mediterraneo.
Piante che preferiscono ambienti in medie condizioni di umidità.
Condizioni climatiche locali a livello del suolo (possono essere diverse da
quelle del clima generale di quel territorio).
Di ambiente boschivo.
Suolo con ph prossimo al valore neutro (7).
Piante che preferiscono substrati a reazione neutra.
Piante che preferiscono i terreni molto azotati o comunque dove
abbondano i batteri nitrificanti.
Punto di inserzione di foglie o altri organi sul fusto.
Zone altitudinali che corrispondono a condizioni climatiche e floristiche
relativamente omogenee. L'orizzonte montano per eccellenza è
rappresentato dalla Faggeta.
Piante che preferiscono vivere in altitudine.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
Orogenesi
Orografia
Ovario
Pannocchia
Parassite
Parassitismo
Pascolo
Perenne
Ph
Plantula
Prateria
Prato
Predazione
Pubescente
Riproduzione
Rizomatose
Ruderale
Samara
Saprofite
Scabro
Scapose
Schiarita
Sciafile o Ombrofile
Sclerofille
Sedimentarie
Sempreverdi
Serpentinofite
Simbiosi
Sistematica
Sottobosco
Sottospecie (subsp.)
Spartiacque
Specie
a cura di Bruno Acciai
Fase del ciclo geologico nel quale si formano le montagne, sotto l’azione
di forze compressive che deformano, corrugano ed eventualmente fanno
traslare le rocce
Branca della geografia fisica che studia i rilievi montuosi.
Parte basale del pistillo che contiene gli ovuli e, successivamente, i semi.
Infiorescenza con peduncoli disposti in verticilli stratificati, la cui ampiezza
decresce dalla base verso l’apice.
Piante che vivono a spese di altri organismi viventi.
associazione biologica fra due specie nella quale l’una ha vantaggio a
spese dell’altra.
Prateria percorsa da erbivori domestici.
Pianta erbacea che vive più anni: gli organi viventi, sono generalmente
sotterranei (radici, bulbi, rizomi), ma possono essere anche a livello del
terreno (cespi o rosette di foglie).
Misura del grado di acidità o alcalinità (7:neutro;<7:alcalino; >7:acido).
Piccola pianta appena formata
Vegetazione di basse erbe: naturale, se oltre il limite degli alberi,
seminaturale, se mantenuta attraverso il periodico sfalcio o dal pascolo di
erbivori.
Coltura di erbe foraggiere periodicamente falciate.
Animale o pianta che usa, per cibarsi, un altro organismo preda
Provvisto di peli fini, corti, morbidi e radi.
Processo di formazione di nuovi individui. Si parla di r. agamica o
asessuata o vegetativa quando non vi è l’intervento dei gameti (cellule
sessuali); di r. gamica o sessuata quando vi è l’intervento dei gameti e
quindi produzione di semi.
Piante con radici a forma di rizoma.
Specie che cresce fra le macerie, i luoghi abbandonati dall' uomo, ecc. .
Frutto alato di alcune piante ( es. Acero, Ailanto, Frassino ecc..)
piante senza clorofilla che si nutrono di materiali organici decomposti.
ruvido al tatto.
Piante dotate di fusto.
Tratto di bosco meno fitto di alberi o arbusti e quindi più luminoso.
Piante che preferiscono ambienti ombrosi; contrario: lucivaghe.
Piante a foglie coriacee, per lo più piccole e spesse, idonee a ridurre la
dispersione di acqua in climi aridi e secchi.
Rocce formatesi sulla superficie terrestre (di solito stratificate sul fondo
marino) per accumulo di depositi di origine detritica, organica o chimica;
sono coerenti (consolidate), incoerenti (non consolidate: pietre sparse,
argille, limi), a composizione mista (es. calcareniti, marne).
Piante per lo più legnose, che non perdono contemporaneamente le foglie
dopo la stagione vegetativa (non rimangono mai spogli).
Piante proprie di litosuoli di serpentino.
Rapporto di convivenza tra due o più specie, con scambio di sostanze fra
loro.
Branca della scienze naturali che si propone di classificare e dare il nome
agli esseri viventi e ai fossili. Sinonimo = TASSONOMIA
Gegetazione erbacea o arbustiva di solito composta da specie ombrofile.
Rango sistematico immediatamente inferiore alla specie, distinguibile solo
in caso di popolazioni che si ritrovano in aree piuttosto vaste).
Linea che divide due versanti idrografici diversi; in montagna di solito
corrisponde alla linea di crinale (o di displuvio).
Unità sistematica basilare, comprendente tutti gli individui simili, che di
norma sono interfecondabili e producono altri simili.
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
Spiritromba
Sporangio
Stazione
Steppa
Temperato
Termofile
Tomentoso
Varietà
Vascolari
Vegetazione
Verrucano
Versante
Villoso
Xerofile o Xerofite
Xeromorfosi
Zonazione
a cura di Bruno Acciai
Lungo apparato boccale delle farfalle.
Struttura che porta i semi (vedi felci).
Estensione territoriale di caratteristiche omogenee e più o meno ampia,
nella quale è presente una specie vegetale.
Formazione vegetale delle zone aride, costituita da erbe e bassi arbusti.
Clima con inverni ed estati non troppo freddi né caldi: possono essere t.
caldi (piovosi o umidi, oceanici o marittimi) o t.aridi (continentali).
Piante che preferiscono ambienti caldi.
Organo coperto di peli fitti, più o meno lunghi e incrociati fra loro.
Unità di rango inferiore alla specie ed alla sottospecie; di importanza solo
nel caso di piante coltivate (cultivar).
Vegetali a struttura differenziata (radici, fusto e foglie).
Insieme delle aggregazioni vegetali di un determinato ambiente territorio.
Formazione geologica che prende il nome dal monte Verruca che fa parte
dei monti Pisani. Risale al Carnico (triassico superiore), circa 220 milioni
di anni fa, ed è considerata una formazione continentale di ambiente
costiero.
Impluvio tributario di un corso d’acqua; in una valle si definisce destro o
sinistro rispetto alla direzione in cui scorre il corso d’acqua.
Organo coperto di peli folti, fitti e lunghi.
Piante capaci di sopportare un prolungato stato di siccità.
Particolari forme di adattamento a condizioni di aridità ambientali (es.
serpentinofite).
Zone successive di vegetazione costituite in zone successive per i
graduali cambiamenti climatici legati all’altitudine ed alla latitudine.
Elaborazione grafica:Prof. Antonino Messina
Assessorato Agricoltura Forestazione Difesa Fauna
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VIAGGIO INTORNO AI BOSCHI DELLA PROVINCIA DI PISA
a cura di Bruno Acciai
RINGRAZIAMENTI
II mio più sentito ringraziamento vada al prof. Antonino Messina, amico e compagno
inseparabile di appassionati studi e ricerche sulla flora vascolare di "ambienti di vita"
particolari, ritenute interessanti e in seguito sfociate in pubblicazioni commissionate dal
Comune di Montemurlo (PO).
Ringrazio nuovamente l'amico Antonino per aver curato con diligenza la realizzazione grafica
di questa monografia e, da esperto botanico quale egli è, di avermi suggerito i temi meritevoli
di essere trattati.
Siamo entrambi soci dell'Associazione Naturalistica G.I.R.O.S. della quale il prof. Messina è
il coordinatore della sezione pratese e responsabile del “Laboratorio Naturalistico delle
Volpaie” a Bagnolo di Montemurlo che fa capo a questa sezione del GIROS pratese.
Bruno Acciai
Assessorato Agricoltura Forestazione Difesa Fauna
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