MAURO CARDI Appunti del corso di SEMIOGRAFIA DELLA MUSICA Conservatorio di Musica “A.Casella” - L’Aquila a.a. 2014-2015 B. Hellermann, Graphic, in “Ear Magazine, New York 1978-79 In nessun’altra epoca come nel Novecento la notazione musicale ha segnato, in tempi assai ristretti, sviluppi così importanti, soprattutto testimoniando, al di là delle pur vaste esigenze di notare tecniche e suoni nuovi, una vera e propria valenza del segno, fino a diventare esso stesso senso e identificatore di uno stile. L’argomento appare dunque vasto e quanto si esaminerà risulterà necessariamente lacunoso, oltre che opinabile nelle scelte che si sono dovute operare. Questi Appunti non hanno la pretesa di costituire un libro di testo, rappresentano piuttosto una sorta di promemoria, ad uso degli studenti, di alcuni degli argomenti che verranno trattati durante le lezioni. Il corso è pensato, in larga misura, come presentazione, illustrazione, analisi e discussione di una serie di partiture e documenti significativi della musica del Novecento, spesso accompagnati da ascolti, e delle relative problematiche che sottendono. I temi e le partiture che verranno proposti saranno, per quanto possibile, inserite nel contesto storico che le ha prodotte e riferite alla poetica compositiva che le ha ispirate. Le problematiche della semiografia vengono desunte in primo luogo dall’esame delle fonti, cercando di scegliere come angolo di osservazione quello dell’interprete posto di fronte a una partitura contenente segni e simboli non convenzionali, oltre a più o meno complesse legende da interpretare. In questo senso alcuni argomenti di pertinenza non squisitamente semiografica sono stati inclusi per finalità didattiche, come modesto contributo alla formazione di una classe di interpreti della musica contemporanea che nei corsi tradizionali di strumento trova rare occasioni per avventurarsi in tecniche esecutive non tradizionali. Alcune parti dei presenti appunti sono riprese dai testi citati in bibliografia. Per un approfondimento si rimanda, oltre che ai testi citati, alle innumerevoli fonti sparse su pubblicazioni diverse, saggi monografici, enciclopedie, riviste, cataloghi, siti internet. Mauro Cardi, Aprile 2015 Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 2 Programma del corso 1. La notazione musicale tradizionale 2. Ampliamento dei simboli della notazione musicale nel primo Novecento 3. La scrittura idiomatica: nuove tecniche e nuovi segni nella musica contemporanea 4. Alea e iperdeterminismo 5. Le grafie della musica elettroacustica 6. Considerazioni conclusive. Cenni sul presente Bibliografia - AAVV., “Spartito preso” - Vallecchi, Firenze 1981 - U.Michels, “Atlante di Musica” (1977) - trad.it. Mondadori, Milano 1982, Sperling & Kupfer 1994 - AAVV., “DEUMM” (A.Lanza, Notazione) - Utet, Torino 1990 - AAVV., “Storia della Musica” - Utet, Torino 2004 - A.Valle, “La notazione musicale contemporanea - Aspetti semiotici ed estetici” - EdT De Sono, Torino 2002 - J.Villa Rojo, “Notazione e grafia musicale nel XX secolo”, Zecchini, Varese 2013 - A.Casella-V.Mortari, “L’orchestra moderna” - Ricordi, Milano 1979 - S.Adler, “The Study of Orchestration” - W.W.Norton & Company, London 1989 Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 3 Introduzione Vi furono lunghi periodi nei quali l’arte non cercava il nuovo, ma era fiera di abbellire la ripetizione, rinsaldare la tradizione e assicurare la stabilità di una vita collettiva; allora la musica e la danza esistevano solo nell’ambito dei riti sociali, delle messe e delle feste. Poi un giorno, nel XII secolo, a Parigi, un musico di chiesa ebbe l’idea di aggiungere alla melodia del canto gregoriano, immutato da secoli, una voce in contrappunto. La melodia principale rimaneva al stessa, ma la voce in contrappunto era una novità che apriva le porte ad altre novità: al contrappunto a tre, a quattro, a sei voci, a forme polifoniche sempre più complesse e imprevedibili. Poiché non imitavano più quel che si faceva prima, i compositori cessarono di essere anonimi e i loro nomi si accesero come lampade lungo un sentiero che si perdeva all’orizzonte. Avendo preso il volo, la musica divenne, per molti secoli, storia della musica. Tutte le arti europee, ciascuna a suo tempo, presero così il volo, trasformandosi nella loro storia. Questo fu in grande miracolo dell’Europa: non già la sua arte, ma la sua arte tramutata in storia. Milan Kundera, Il sipario, 2005, pp. 182-3 Forse sarebbe eccessivo datare l’inizio della storia della musica con l’invenzione della notazione musicale, così come avvenne per la Storia tout court che si fa tradizionalmente iniziare dall’invenzione della scrittura, nei diversi popoli. Gli scritti degli storici e le fonti costituite da atti ufficiali, contratti, editti, reperti, incisioni su statue, monumenti, lapidi costituiscono infatti una documentazione fondamentale per ricostruire gli eventi passati, pur con tutte le precauzioni che uno storico deve sempre assumere nell’interpretazione dei testi scritti, per valutarne la veridicità ed oggettività. Senza queste testimonianze, senza documenti scritti, la preistoria rimane in gran misura avvolta nella nebbia. Se quindi sarebbe eccessivo l’assunto dato all’inizio, va tuttavia ricordato che con la scrittura musicale passiamo da una storia della musica basata esclusivamente sulla memoria, sulla tradizione orale, a una storia della musica basata sui testi (le partiture). Questi testi rimarranno a lungo le uniche fonti musicali disponibili, almeno fino all’era tecnologica o della riproduttività dell’opera d’arte. Con le invenzioni del ‘900, relative alla registrazione sonora, e soprattutto con l’avvento delle nuove tecnologie, i mezzi di documentazione e di studio della musica si allargano enormemente, dando luogo a strumenti e risorse prima impensabili. Ma dobbiamo considerare anche un altro aspetto. L’invenzione della notazione musicale modifica profondamente lo stesso processo creativo che, dall’essere invenzione di un compositore, generalmente anonimo, il quale crea un’opera per poi trasmetterla nella pratica esecutiva e tramandarla oralmente, con l’introduzione della scrittura musicale si trasforma in un processo che l’autore costruisce scrivendo, con tempi e modalità del tutto diversi. Ed allora il tempo, inteso come durata dell’opera musicale, ed il tempo della composizione si allontano, a volte a dismisura, se è vero come è vero che alcune composizioni hanno richiesto mesi o anni di lavoro. La scrittura apre la strada a processi creativi del tutto inediti, sicuramente più speculativi e complessi, spesso anche più astratti e cerebrali, ma che vanno in ogni caso ben al di là del semplice atto documentativo, per dare inizio a una storia (e soprattutto a uno sviluppo, assente laddove storicamente o geograficamente la scrittura non è presente) di un’arte e di un pensiero musicale completamente nuovi. Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 4 La musica, se ci riflettiamo, ha percorso tutte le sue tappe in pochi secoli, riassumendo in qualche centinaio di anni un’arcata storica che procede dalle origini al presente, laddove la storia dell’arte e della letteratura hanno impiegato millenni. L’epoca classica della musica, intendendo per “classico” quell’autore, quella scuola o quell’epoca che definisce e tramanda dei modelli di riferimento sempiterni, espressi con dei capolavori irripetibili, l’epoca per intenderci dei grandi compositori viennesi, della stabilizzazione dell’orchestra classica e dello stile classico, del raggiungimento della perfezione formale nella definizione della forma sonata, quest’epoca classica in cui, per gli studiosi, come per l’immaginario collettivo, la musica raggiunge questi valori di riferimento, viene collocata storicamente a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, quando per la scultura e la tragedia generalmente parlando di “classici” pensiamo ai greci, un paio di millenni prima, a Fidia o Sofocle in definitiva, per la pittura ai grandi del ‘400-‘500, per la letteratura, a seconda dei casi, ai poeti del ‘300 o ai grandi lirici greci. Ecco, una delle ipotesi su tale condensarsi, per la musica, di tanta storia in pochi secoli si ricollega all’invenzione e diffusione più tarda della scrittura rispetto alle altre forme espressive umane. In altre parole è come se la musica, molto più giovane delle altre arti, almeno nel suo sviluppo storico legato alla scrittura, avesse percorso la sua arcata, la sua storia in un tempo minore e concentrato, per poi ritrovarsi a vivere i suoi destini paralleli alle altre arti, a partire dall’800. E sicuramente nel ‘900 troveremo sempre, nei fondamentali passaggi storici, il compositore accanto al poeta o al pittore, segno di una raggiunta maturità della musica. Non possiamo infine trascurare, in questa introduzione, di fare un cenno sull’importanza, e quindi sul significato, della notazione musicale in se stessa. Oltre a risultare uno strumento necessario, a volte ingombrante, altre volte forse imperfetto, ma comunque imprescindibile nel tentativo di voler fissare una musica per consegnarla agli interpreti e per tramandarla ai posteri, la notazione musicale assume in determinati casi una valenza in sé, finendo per rappresentare un elemento costitutivo dell’opera musicale che in alcuni casi travalica addirittura la sua funzione pratica, fino a rappresentare, nei casi estremi, un fine invece che un mezzo. Questo vale per quelle partiture con valenza artistica sul piano grafico, o addirittura pittorico, ma anche, in modo diverso, in tutti quei casi in cui la scrittura architetta e realizza una forma fondandosi sulla sua logica, fatta di segni e gesti, di simboli e cifre, andando oltre e altrove rispetto al tradizionale ruolo di mera trascrizione su carta di un evento sonoro. La partitura, o lo spartito, da strumenti nati per tramandare un’opera musicale, e trasmetterla al pubblico attraverso la (ri)lettura di un interprete, assumono col tempo un’importanza estrema. Potremmo arrivare a pensare, immersi come siamo nella dimensione della scrittura, che la partitura sia l’opera, come se, in altre parole, la creazione musicale del compositore e il conseguente testo scritto coincidessero, come se la prima si concretizzasse compiutamente solo nel secondo. Ma un’opera musicale non è, nella sua essenza profonda, la sua partitura, o non è solo questo, come non è la sua registrazione sonora, o forse neanche la sua esecuzione pubblica. È semmai tutte queste cose insieme, ma, ancora di più, un’opera è il suo non-essere esattamente ed esclusivamente nessuna di queste sue manifestazioni, ma qualcosa di altro, qualcosa di più volatile e ineffabile ed allo stesso tempo più complesso. Sospendiamo un attimo questi ragionamenti, che ci porterebbero lontano, sicuramente ben oltre i limiti che ci siamo dati. Vorrei a questo punto citare un esempio emblematico, portatore di ulteriori elementi di riflessione, che può forse fornire una sorta di controprova di quanto detto precedentemente circa l’importanza centrale, nella nostra cultura, del testo scritto. Mi riferisco ad un caso di cui si discusse a lungo sul finire degli anni ’80, allorché l’ambiente della musica contemporanea si trovò fare i conti con un compositore che, in età avanzata, dopo essere stato a lungo ignorato, venne improvvisamente eletto dalla critica tra i grandi della musica del secondo Novecento. Sto parlando del ben noto affaire Scelsi e della querelle che scatenò nella cultura musicale europea, soprattutto dopo la sua morte, avvenuta nell’agosto del 1988. Il particolare curioso è Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 5 che l’autore in questione, notoriamente privo di quella formazione classica di cui è dotato normalmente un musicista, era anche del tutto estraneo alla pratica della scrittura musicale. La considerazione del compositore spezzino divise la critica, e il mondo della musica in generale quando, pochi giorni dopo la sua morte, alcuni noti musicisti ebbero a dichiarare di aver lavorato per lui nella composizione di alcune sue opere, poi divenute celebri. Le posizioni contrapposte possono essere così riassunte: da un lato alcuni musicisti e studiosi che, pur riconoscendo questi limiti a Giacinto Scelsi, lo eleggevano a compositore geniale, basando questo giudizio sulle sue opere in quanto tali. In sostanza essi dicevano: il fatto che Scelsi abbia ideato e composto mentalmente o all’organo (lo strumento su cui esercitava le sue improvvisazioni) le sue opere, e poi qualcuno le abbia fissate su carta, non può togliere nulla alla sua grandezza, che rimane tale, a prescindere dalle collaborazioni di cui si era avvalso che, secondo costoro, non hanno contribuito artisticamente ai suoi progetti, ma hanno avuto solo il compito di trascriverle su carta; gli altri, invece, rifiutavano di considerarlo compositore a tutti gli effetti, ritenendo la scrittura mezzo fondante di un’attività compositiva, rispetto ad essa imprescindibile. Per questi ultimi, in sostanza, la paternità delle opere di Scelsi andava quanto meno condivisa con i suoi vari collaboratori succedutisi nel tempo, senza i quali quelle opere non avrebbero mai visto la luce e sarebbero comunque risultate alla fine diverse da quello che sono state. Riprendiamo a questo punto gli interrogativi precedentemente interrotti, rappresentandoli come le posizioni estreme, contrapposte nell’esempio descritto: se è vero che un brano musicale non è la sua partitura scritta, può non esserlo fino al punto di poter prescindere del tutto da essa (come asseriscono i sostenitori della grandezza di Scelsi)? Oppure è vero che, vista l’importanza che assume oggi il testo scritto, la difficoltà a considerare il valore di un’opera che prescinda dal testo può arrivare al punto di rifiutarsi di considerarne autore il compositore che non l’abbia materialmente scritta (come asseriscono i detrattori di Scelsi)? 1 1 Si intende che quanto detto vale limitatamente per la musica colta contemporanea, non certo per la popular music, per il jazz, o per tutti quei generi musicali che prevedono organicamente l’improvvisazione, seppur entro formule o stilemi in parte definiti. Ma del resto, anche nella musica colta, l’improvvisazione, se prevista dall’autore (pensiamo ad esempio alle Cadenze dei Concerti o delle Arie d’opera) non rientra nelle problematiche sopra discusse. Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 6 La Notazione musicale tradizionale Prima di addentrarci nella mutevolezza e nella personalizzazione estrema della notazione musicale del Novecento, analizzeremo i vari elementi costitutivi della nostra consolidata notazione musicale tradizionale. Per ciascun simbolo si mostrerà come sia venuto nel tempo, a volte con percorsi contorti, ad assumere finalmente la sua forma attuale: dalle radici dei nomi delle note musicali, all’origine dei simboli per le chiavi, dall’evoluzione che ha portato a fissare a cinque i righi musicali, alla derivazione dei simboli che indicano le alterazioni, alla lunga e tortuosa definizione delle figure di durata. Cercheremo di ripercorrere insieme, con l’aiuto di fonti iconografiche, alcuni dei passaggi più significativi di questo lungo processo. Oltre ad un interesse storico, questa ricognizione fornisce la possibilità di ritrovare, in nuce, l’origine dei successivi sviluppi o dei superamenti del sistema di notazione tradizionale tentati soprattutto nel secondo Novecento. Illustrazione dei possibili passaggi che portarono alla definizione attuale del simbolo della chiave di Sol, o chiave di Violino (fonte DEUMM, op.cit. in Bibliografia) Indagando quel limite tra la componente convenzionale di un simbolo della notazione musicale, frutto di passaggi storici spesso non lineari e non sempre logici, in alcuni casi addirittura casuali, e quella intuitiva, che invece già rimanda immediatamente a un gesto o ad un’azione, sarà possibile interrogarsi sul senso della notazione tradizionale, sulla sua aderenza alla musica che vuole rappresentare graficamente, almeno relativamente alla musica colta tradizionale, come anche sui suoi limiti nella rappresentazione di ogni dettaglio, ogni sfumatura della creazione musicale. Ma potremo anche seguire il percorso opposto che porta, partendo dall’azione musicale, alla necessità di definire un simbolo che rappresenti quell’azione nel modo più esauriente e, a volte anche dal punto di vista grafico, esteticamente significativo. Su innumerevoli testi si possono reperire informazioni sulle vicende che hanno portato alla definizione della notazione musicale nella sua forma tradizionale; per l’estrema chiarezza e sintesi consigliamo la lettura del volume, “Atlante di Musica”, di U. Michels, citato in bibliografia. Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 7 La notazione musicale nel Novecento 2 Se il sistema di scrittura tradizionale, cristallizzatosi verso la fine del Medioevo, ha resistito, pur perfezionandosi, fino a tutto l’Ottocento, il secolo passato ha invece vissuto uno straordinario succedersi e sovrapporsi di notazioni sperimentali o dissidenti, sotto l’incalzare di nuove poetiche: dal futurismo, ai grandi rivolgimenti artistici condotti all’inizio del secolo scorso, fino alle rivoluzioni del secondo Novecento, caratterizzate da un’urgenza di sperimentazione e con esiti a volte iconoclasti. Questo fenomeno storico ha portato alla produzione di partiture di grande interesse artistico, se pur in qualche caso fine a se stesso, sotto la pressione di un pensiero musicale che arrivava a forzare la scrittura e con essa il suo tradizionale repertorio di simboli e convenzioni. Dagli anni ’80 assistiamo a un progressivo recupero, sotto diverse forme, della tradizione musicale, che in alcuni casi si configura come un vero e proprio ripiegamento. Ma accanto a questo fenomeno regressivo permane uno sviluppo del pensiero creativo nel campo della composizione, seppur in modo molto più realistico e concreto rispetto alle avanguardie novecentesche e comunque diverso dai folgoranti decenni del dopoguerra. Le spinte sotto l’effetto delle quali la notazione musicale si rinnova ai nostri giorni, possono essere così individuate: 1) introduzione o invenzione di nuovi strumenti musicali, o di nuove tecniche esecutive per gli strumenti tradizionali; 2) effetto delle nuove tecnologie e interazione strumento/macchina; 3) necessità compositive. Riguardo al punto 1) va detto che, mentre per alcune famiglie di strumenti, soprattutto gli archi, la perfezione costruttiva (la liuteria) ha raggiunto livelli irripetibili già diversi secoli or sono (Stradivari è vissuto tra il 1644 e il 1737), alcuni strumenti a fiato sono stati introdotti solo nel XIX secolo (il sax, ad esempio, che ha preso nome dal suo inventore, Adolf Sax, risale al 1840) ed altri ancora hanno subìto nel XX migliorie e perfezionamenti importanti. Tutt’altro discorso vale invece, ad esempio, per le percussioni, un settore in continua espansione a causa dell’introduzione di strumenti etnici di diversa provenienza, come per le scoperte scientifiche riguardanti i materiali costruttivi. Ma accanto alle novità rappresentate dagli strumenti, vanno annoverate anche le tecniche esecutive nuove. Gli uni e le altre impongono l’introduzione di simbologie adeguate. Ci chiediamo a questo punto: come nasce un simbolo musicale? La chiave di violino & ha impiegato diversi secoli prima di assumere la sua forma attuale, procedendo per lenta trasformazione grafica del carattere della lettera G da cui deriva, trattandosi di una chiave di Sol (Sol=G nella notazione alfabetica latina). Ogni nuovo segno che connota un nuovo gesto esecutivo, tecnico o espressivo procede gradualmente nell’uso, dalla sua prima introduzione, a opera di un compositore o interprete, che lo “noterà” in modo personale. Le legende sono un supporto ormai essenziale ad una partitura contemporanea. La diffusione nell’uso, in sostanza il successo di quel gesto musicale nuovo e conseguentemente del segno che lo identifica, fissa il segno in una forma grafica che diviene patrimonio condiviso. Riguardo al punto 2), rimanendo nel dominio della notazione della musica strumentale, farei solo alcune considerazioni sulla diffusione dei sistemi di videoscrittura musicale, ormai entrati nel bagaglio degli strumenti abituali di un compositore. La videoscrittura della musica 2 Tratto da un articolo di Mauro Cardi pubblicato sulla rivista “Progetto Grafica” - 2005 Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 8 favorisce la sua diffusione, così come agevola gli studi analitici, le revisioni, le rielaborazioni, le estrazioni di parti, e così via. Ma crea due pericoli, cui solo le coscienze individuali possono dare risposte. Il primo è nella copiabilità, legale o meno che sia, fortemente agevolata dall’uso del computer. Il secondo pericolo è invece di pertinenza grafica. La ricchezza dei simboli musicali e il fascino di un foglio manoscritto, prezioso in quanto irripetibile, nonostante le vaste librerie di font che i software mettono a disposizione, non potrà mai esaurirsi in una qualsiasi libreria, pena la standardizzazione e la preliminare autolimitazione compositiva. L’omologazione della notazione, come insegna una esperienza in giurie di concorsi di composizione, rivela un’omologazione nella scrittura, diffusa in molti giovani compositori. Arriviamo al punto 3), le necessità compositive come elemento propulsore di sviluppo nella notazione musicale. La musica “colta” si fonda generalmente, per sua natura, su un pensiero innovativo e la notazione segue l’evolversi del pensiero musicale, rispecchiandosi in esso. L’esigenza costante di nuovi segni è dunque un dato strutturale alla musica di ricerca, anche quando la ricerca non è intesa in modo scientifico ma artistico. La notazione musicale contemporanea usa di fondo la notazione musicale tradizionale, arricchendola di tutti i contributi (schemi, grafici, immagini, diagrammi) che di volta in volta il progetto compositivo richiede, attingendo a infinite discipline. Ma la scrittura musicale è in molti casi assai più di un semplice esercizio di trascrizione su carta di un’idea sonora o di un’esecuzione estemporanea; il problema quindi non va posto (o almeno non solo) in termini di necessità, per l’individuazione dei simboli idonei a “notare” un gesto musicale, perché nella scrittura il pensiero agisce, vivo, e di conseguenza nella partitura si rivela. E la prima cosa che una partitura documenta è se stessa. Se il compositore in passato ricorreva alla scrittura per fissare le sue invenzioni musicali, oggi le tecnologie disponibili rendono possibile, di fatto, una produzione musicale che prescinda totalmente dalla scrittura, automatizzandola, se non escludendola del tutto: il ricorso alla scrittura diventa allora, oltre che un atto d’amore, una scelta deliberata. Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 9 Alea (e dintorni) e iperdeterminismo «Se gli anni cinquanta sono contraddistinti dal particolare fenomeno dell’Informale, per cui l’artista vive una stagione assolutamente individuale, e proprio per questo paradossalmente comune a quella di tutti gli altri artisti, tanto che si è parlato di una sorta di koinè planetaria, la fine del decennio e i successivi vent’anni sono caratterizzati dal proliferare di movimenti, tendenze, gruppi fortemente diversificati e perfino in conflitto tra loro: sono le cosiddette “neoavanguardie”, termine adottato dalla critica quasi subito, e accettato dagli artisti oggetto di questa definizione».3 In questo clima culturale, ben sintetizzato da Marco Meneguzzo, in questa frenetica ricerca che coinvolge ogni disciplina artistica, anche in campo musicale si moltiplicarono le correnti, i gruppi di compositori, nacquero numerose associazioni storiche, spesso formate, oltre che da compositori e interpreti, da poeti, artisti, intellettuali. Nel proliferare delle etichette, coniate dagli storici o dagli stessi protagonisti, per designare i fenomeni nascenti, ebbe particolare successo un termine, sotto cui si raggrupparono, forse frettolosamente, correnti e poetiche diverse: quello di musica aleatoria,4 che in taluni casi finì per indentificarsi con la musica contemporanea tout court. Il fenomeno della musica aleatoria nasceva in contrapposizione, o forse si trattò solo di uno strano gioco del destino, alla ricerca più avanzata, intrisa di scientismo e pretese di rifondazione, che caratterizzava i giovani compositori degli anni ’50 e ’60, poi divenuti i maestri del secondo Novecento,5 autoproclamatisi postweberniani. Dai Ferienkurse di Darmstadt6, ed eleggendo appunto Anton von Webern loro padre spirituale, portarono alle estreme conseguenze i dettami della dodecafonia, definendo una serialità estesa, o integrale, che intendeva riportare ad ogni parametro musicale quanto aveva rappresentato la definizione della serie dodecafonica per le altezze. Lo strutturalismo e la musica aleatoria nascevano quindi da presupposti del tutto diversi, forse agli antipodi. L’uno e l’altro movimento erano tuttavia accomunati da pari furia iconoclasta rispetto alla tradizione, anche se con presupposti, strumenti e bagagli culturali del tutto diversi. Entrambi i movimenti rivoluzionarono la storia musica, la pratica musicale e la concezione stessa del concerto e conseguentemente la notazione musicale ne risultò sconvolta, in un paio di decenni arricchita da infinite semiografie personali, in perpetuo cambiamento, come mai lo era stata nei secoli precedenti. Della musica aleatoria, e delle sue ricadute a livello semiografico, il compositore Domenico Guaccero ha dato un’interpretazione personale, estremamente interessante: «Le filosofie esistenzialistiche o le illuminazioni mistiche, particolarmente di ascendenza orientale, sembrano suggerire l'intuizione incomunicabile, con grafie simboliche o ideografiche, o la soglia del silenzio, con gli spazi bianchi della pagina, o, addirittura, con la «pagina bianca»; filosofie del solipsismo, da un canto, e filosofie del «tempo» o dell'«istante» 3 Marco Meneguzzo, La Storia dell’Arte, vol.18 “L’arte contemporanea”, Edizioni Electa – La Repubblica Con musica aleatoria (da “alea”, caso, letteralmente dado in latino), si intende quella produzione musicale che, da Cage, include nell’opera una serie più o meno elevata di gradi di libertà per l’interprete che in alcuni casi partecipa, quasi da coautore dell’opera, alla sua realizzazione finale. 5 Oltre ai già affermati Olivier Messiaen, Theodor Adorno, Ernst Krenek, René Leibowitz, Edgard Varèse, citiamo, tra i tanti compositori che si incontrarono a Darmstadt, gli allora poco più che ventenni Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Luciano Berio, Luigi Nono, Bruno Maderna. 6 Gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik si inaugurarono nel 1946, a Darmstadt, quindi solo pochi mesi dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in una cittadina ancora pesantemente segnata dalla guerra, durante la quale era stata praticamente rasa al suolo. Si tennero dal 1946 con cadenza annuale fino al 1970 diventando poi, a tutt’oggi, biennali. Ebbero modo di incontrarsi a Darmstadt alcune tra le migliori menti della musica e della musicologia, oltre che della filosofia della musica del ‘900. 4 Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 10 dall'altro, sembrano concorrere a isolare, nella relazione di successione che è l'opera musicale, i segni fra di loro. Il tempo si ferma, facendo violenza al tempo come durata, e la grafia si ferma; oppure il tempo scorre, come pura velocità fisica, e la grafia raccosta segni in sempre minor spazio grafico. Nell'opera temporalmente ferma si realizza esteticamente la mancanza di apertura verso orizzonti trascendenti (la mancanza di «intenzionalità» tipica della coscienza contemporanea) ed ecco la grafia accettare il dato, anche materiale, della macchia caduta per caso sul foglio di carta o dei segni tracciati senza una precedente chiara immagine sonora da realizzare. Indeterminismo scientifico, relazionismo, filosofie esistenzialistico-mistiche, filosofie Domenico Guaccero, Variazioni 2 (1968) dell'istante, materialismo e rispetto del dato empirico, struttura degli orizzonti trascendenti, filosofie della temporalità, filosofie del solipsismo e del comportamento: tutte rivelano una relazione di concomitanza con la sintassi e con la grafia aleatoria.E tutte concorrono a porre il segno grafico (musicale) come evento autonomo. Cosa significa ciò? Abbiamo già accennato alla funzione assolta generalmente dalla grafia musicale e da tutte le grafie, quella di notare il pensiero dell'autore e di servire quindi alla resa fonica di tale pensiero. È funzione pratica di segno, di denotare convenzionalmente qualcosa, nel nostro caso i suoni. Ebbene, nella grafia aleatoria il fenomeno più «autre» è il valore autonomo che essa ha raggiunto in certi casi; i quali non sono soltanto estremi in quanto assolutizzano detta autonomia, ma perché indicano la direzione, quella dell'autonomia priva di relazione, in cui si dispone un settore della speculazione e della prassi musicale».7 La musica aleatoria diede luogo, oltre ad una serie di filiazioni dirette, in genere meno rilevanti musicalmente, ad una vasta produzione di partiture i cui autori, seppur appartenenti all’area più legata all’avanguardia, come si era venuta definendo a Darmstadt, aprivano ora la strada a proposte e soluzioni inedite, alcune volte rimettendo in discussione precedenti atteggiamenti di assoluto determinismo di impronta strutturalista, altre tentando di inglobare il ruolo del caso, nelle sue diverse accezioni, intellettuallistiche, ludiche, o matematicocombinatorie, nel pensiero compositivo. Tale influenza attraversa in tutta la sua ampiezza le poetiche degli anni ’60 e ’70, scomparendo progressivamente negli anni successivi, lasciandoci un vasto catalogo di partiture di grande interesse semiografico e in taluni casi di rara bellezza dal punto di vista visivo. Appare altresì innegabile il ruolo interpretato dalla musica aleatoria nella messa in crisi di un sistema iperstrutturato che caratterizzava l’esperienza postdarmstadtiana. Come spesso accade, i due opposti estremismi finirono per toccarsi, aprendo insieme un solco nella musica colta, tra il grande repertorio del passato e la contemporaneità, mai ricucito e tuttora visibile nelle programmazioni dello società concertistiche, come nei cataloghi delle case discografiche o nelle preferenze del pubblico che segue la musica colta. 7 Per un approfondimento si rimanda al saggio di Domenico Guaccero, «L’Alea, da suono a segno grafico». Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 11 Dopo l’esperienza per taluni aspetti sconvolgente della musica aleatoria, e dopo le reazioni alle svolte semplificative o neocomunicative degli anni ’80, rappresentate dalla nuova semplicità, o naïveté, o dal neo-romanticismo, va dato infine conto, anche per l’interesse semiografico che rappresentò, della cosiddetta nuova complessità, che appunto a tali movimenti si contrappone, riallacciandosi invece allo strutturalismo, di cui può essere vista come l’estrema propaggine. Un nome per tutti, quello del compositore inglese Brian Ferneyhough. Sullo stretto rapporto compositore-interprete si fondano le esperienze più avanzate e sperimentali che ha prodotto la musica degli ultimi decenni. Ne abbiamo già trattato in precedenza. Nel caso di Ferneyhough, il virtuosismo funambolico richiesto all’interprete nel padroneggiare il suo strumento nella esecuzione di una musica ai limiti dell’eseguibilità, o forse già oltre, si unisce a quello esercitato dal compositore nel controllo di una complessità dei processi compositivi altrettanto ai limiti. Dal punto di vista della notazione musicale, che per certi aspetti rimane in Ferneyhough dentro le regole tradizionali, anche se forzate fino alle estreme conseguenze, questo pensiero compositivo produce infiniti, spesso eccessivi segni, didascalie strabordanti, stratificazioni registriche e metriche, ritmi annidati l’uno nell’altro all’infinito. L’esperienza del compositore inglese rimane tuttavia un caso isolato, probabilmente sopravvalutato negli ambienti “in” dell’avanguardia, ma ormai marginale nel panorama della musica d’oggi. Proprio per quanto detto la visione delle sue musiche può dare a un interprete di oggi la dimensione di un punto estremo dell’esercizio mentale ed atletico richiesto ad un esecutore moderno. Questa ricerca dei propri e altrui limiti, e mi riferisco agli interpreti ma anche all’impegno richiesto al pubblico, trova invece un ambiente più fertile e congeniale nella dimensione digitale del comporre, dove l’informatica musicale metterà a disposizione strumenti raffinati e davvero apparentemente senza limiti nel controllare il suono, come anche i processi compositivi. B.Ferneyhough, Lemma, Icon, Epigram, per pianoforte (1982) Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 12 Problematiche della grafia della musica elettroacustica L’importanza che riveste la musica elettroacustica nell’ambito della produzione musicale contemporanea è fondamentale e costantemente in crescita. Non riguarda più una cerchia ristretta di compositori forniti di competenza scientifica, né impone un periodo di studio e di training così lungo come in passato. La diffusione delle nuove tecnologie, le interfacce user friendly, la crescita esponenziale della velocità dei processori aprono le porte di accesso al computer, il più importante strumento musicale introdotto da un secolo a questa parte, praticamente a tutti i compositori. Sul fronte che ci interessa, quello della notazione, la musica elettroacustica pone istanze e solleva quesiti nuovi, soprattutto nella relazione uomo-macchina. Infatti, sia che il progetto compositivo sia destinato a un interprete strumentale o vocale, come nel caso della musica con live electronics, sia che il brano non preveda altro che lo stesso calcolatore, la necessità di notare la musica elettroacustica rimane. E rimane fondamentalmente per esigenze che poco hanno in comune con la musica tradizionale. Non servirebbe infatti fissare su carta ciò che all’interno di un sistema informatico è stato concepito e al cui interno verrà riprodotto. Non ci sono le motivazioni tradizionali necessarie per trasmettere ad altri un pensiero musicale. Ma ci sono motivazioni nuove: 1) la necessità per un compositore di lavorare a un progetto avendo la possibilità di visualizzarlo graficamente; 2) la necessità di fornire all’interprete strumentale una graficizzazione degli eventi elettronici a cui dovrà riferirsi musicalmente durante il proprio gesto esecutivo; 3) la necessità di comunicare le intenzioni compositive a nuove figure di interpreti, determinanti alla riuscita del concerto, costituiti dall’esecutore elettronico al mixer o a qualsiasi altro sistema informatico. Gli esiti di queste diffuse esigenze hanno prodotto scritture assai diversificate, in continua evoluzione, sempre oscillanti tra i due estremi costituiti dalle notazioni del tutto sbilanciate sul versante del linguaggio informatico (annotando con cifre e simboli un susseguirsi di eventi e azioni decifrabili soltanto dagli addetti ai lavori, di formazione e competenza scientifica) a quelle del tutto improntate a una resa ideografica, attingendo alle fonti più diverse, e in ultima analisi creando segni ispirati a una metafora suono-segno. Franco Evangelisti, Incontri di fasce sonore (1956-57) Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 13 Considerazioni conclusive Giunti al termine di una visione panoramica di tante partiture del Novecento, dopo aver esaminato tante esperienze che, soprattutto per quanto riguarda le poetiche del secondo dopoguerra, hanno cambiato radicalmente lo stesso concetto di opera musicale, dovrebbero a questo punto seguire delle considerazioni generali sul presente, soprattutto, rimanendo all’argomento del corso, sulle implicazioni semiografiche delle poetiche del presente. Diverse volte, durante queste lezioni, abbiamo incontrato delle opere che assumevano posizioni estreme, per l’impegno elevato che richiedevano all’interprete, al pubblico, o a entrambi, o per quel frainteso senso di “superamento del limite”, di esasperazione virtuosistica, di concezione dell’utopia, che ostentavano. Alcune partiture presentate, invece, inducevano naturalmente a una sorta di sorriso, per quell’atteggiamento ludico o giocosamente provocatorio che sottintendevano, non molto distante da una poetica dadaista. Da compositore verrebbe di prendere le distanze da tali posizioni ed in alcuni casi, quando la velleitarietà, non disgiunta da un paradossale risvolto di naïveté, diventava il principale tratto caratteristico dell’opera esaminata, risulta inevitabile farlo8. Ma le dimensioni del problema, le circostanze storiche e le motivazioni interiori dei compositori in questione sono talmente ampie e complesse da lasciare ancora aperto e non storicizzato, anche perché, in fin dei conti, ancora assai poco studiato, il caso delle avanguardie musicali del secondo Novecento. Se gli anni ’50 della musicale occidentale, e quelli che seguirono, segnarono un violento distacco dalla tradizione ed un altrettanto violento strappo con il pubblico e il sistema della musica, il presente sembra non aver affatto ricucito tali lacerazioni, quanto aver piuttosto proceduto riannodando, o cercando di riannodare, le fila di quel discorso che si era interrotto dai tempi di Ravel, Debussy, Stravinskij, Bartòk, Hindemith, Sciostakovic… Ma con alcune significative contraddizioni e da una posizione assai debole. Il presente della musica, ne abbiamo già accennato di sfuggita, è contrassegnato non solo da un ripensamento critico delle posizioni eccessive di alcune poetiche espresse nei decenni passati, ma anche, in molti casi, da un ritorno acritico alle tecniche, alle forme, ai linguaggi della musica che precedettero tali sperimentazioni, con una frettolosa liquidazione dell’avanguardia e delle sue implicazioni e frutti possibili. Questi movimenti avrebbero dovuto recuperare una maggiore circolazione, e forse anche una ritrovata funzione della nuova musica nell’ambito del sistema e del mercato. Ma di fatto la musica contemporanea, anche se continua a produrre compositori ed opere rilevanti, vive in una condizione di isolamento senza precedenti, segnata da una diffusione sempre più ristretta e da una pressoché totale esclusione dai circuiti che contano, tranne per quei rari casi di mistificanti operazioni di facciata9. Beninteso, la diffusione della opere delle avanguardie musicali non aveva mai raggiunto un pubblico vasto e probabilmente non aveva strumenti, né intenzioni, per farlo; riscuoteva però intorno a sé se un grande interesse da parte delle élites culturali e poteva vantare il sostegno delle istituzioni, grazie alle quali, ad esempio, in Italia, da Palermo a Venezia, da Milano a Roma, fiorirono nel secondo dopoguerra festival di assoluta rilevanza internazionale. Oggi, più 8 Vorrei incidentalmente far notare, se non è stata già notata, l’appartenenza spesso a compositori minori delle partiture più sperimentali e antitradizionali dal punto di vista grafico: di alcuni di questi nomi non rimane traccia, tranne che nei testi di semiografia. 9 Negli ultimi anni assistiamo infatti ad un fenomeno che, se non del tutto nuovo, assume proporzioni inedite. Sotto la spinta di abili operazioni di marketing culturale si vanno affermando nomi che, sulla scia dei movimenti citati, ispirati cioè da una polemica presa di distanza dalle avanguardie dei decenni passati e, nella poetica e nelle tecniche, a una conseguente semplificazione della composizione musicale, si propongono come il nuovo che avanza. Il quotidiano “la Repubblica”, per citare un esempio, alla fine del 2007, ha presentato una collana di quattro CD dedicata al Pianoforte Italiano contemporaneo. I nomi proposti per la musica colta erano Giovanni Allevi e Ludovico Einaudi. Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 14 in generale, è il livello del dibattito sull’arte ad essere scemato, perdendo di interesse anche presso quello stesso mondo della cultura che in precedenza aveva sempre seguito con attenzione i fenomeni, anche quelli più elitari ed eccessivi, che segnavano il progresso della musica. E la presente esclusione della musica contemporanea dai circuiti importanti risulta paradossale soprattutto se confrontata con la reale, o presunta esigenza del compositore che, per ritrovare un legame, o quanto meno un dialogo col pubblico, in molti casi programmaticamente, se non cinicamente, semplifica la sua poetica e la sua scrittura. L’esperienza dei compositori “neoromantici”, negli anni ’80, e le analoghe correnti di volta in volta denominate come “neosemplici”, o naïf, nate polemicamente contro le avanguardie musicali dell’epoca, accusate di eccessivo cerebralismo, si rivelò fallimentare proprio sul piano del consenso e della visibilità che, per gli esponenti di questi movimenti, non risultarono meno anguste che per la generalità dei compositori contemporanei10. Abbandonando tematiche estetiche o sociologiche, torniamo all’oggetto del corso, provando a calare le considerazioni precedenti nello specifico della scrittura musicale. Non possiamo non rilevare come le partiture di oggi, sotto il profilo semiografico, presentino in misura assai minore che in passato dei tratti caratteristici degni di nota o, quanto meno, questi tratti personali assumono aspetti meno eclatanti, anche in quei compositori che continuano a portare avanti una ricerca personale, vuoi perché molti effetti strumentali, e i conseguenti segni grafici originali messi a punto per notarli, sono ormai entrati nel patrimonio comune, vuoi perché la ricerca strumentale, dopo anni di innovazione continua, sembra segnare il passo. Ma il senso della ricerca e della sperimentazione nel campo della musica solo in alcuni momenti storici coincidono con una ridefinizione dalle fondamenta delle tecniche compositive e strumentali, come sicuramente è stato, in larga misura, nel XX secolo, determinando una proliferazione di grafie e sistemi di notazione individuali. La ricerca musicale può esercitarsi su altri livelli, coinvolgere parametri che in maniera meno vistosa influenzano il testo scritto, nascondendo le innovazioni di carattere semiografico tra le pieghe di partiture solo apparentemente tradizionali. Infine, un’indagine semiografia seria non deve dimenticare che la quasi totalità dei compositori si avvale oggi del computer, nelle forme più diverse, per creare musica. La diffusione dei programmi di videoscrittura musicale11 e, più in generale, del mezzo informatico come supporto alla composizione impongono, per indagare sul presente della scrittura, una maggiore attenzione a questi nuovi strumenti impiegati dai compositori per scrivere la propria musica. 10 Una storia del tutto diversa, per il contesto culturale in cui è fiorito e per i valori espressi, è rappresentata dal minimalismo, che tra le sue fila ha annoverato compositori come Morton Feldman o Steve Reich. 11 Per le problematiche connesse vedi pagine 8-9 Mauro Cardi – Appunti di Semiografia della Musica 15