storia-primo-anno - IT Galilei Canicattì

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Storia Antica
primo anno
1
Storia Antica - primo anno
Revisione 2015
a cura di:
2
• Coordinatore:
Fehi Annamaria
Itis “Malignani”, Udine
• Collaboratori:
Maria Buonocore
Gabriella Dell’Unto
Stefania De Mauro
Vincenzo Santopolo
Domenico Scarangella
Antonella Zocchi
Isis “Carlo Anti”, Villafranca di Verona
IIS “S. Pertini”, Alatri
ITIS “Majorana”, Brindisi
IIS “Paolo Frisi”, Milano
IIS “Bona”, Biella
ITE “Enrico Tosi”, Busto Arsizio (VA)
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 0
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA STORIA
Il termine storia è antico e deriva dal greco istorein, che significa “ricercare, informarsi”. Indagare sul passato è infatti il
compito della storia.
La nostra lingua lo utilizza sia per intendere lo svolgimento delle vicende umane nel corso del tempo (quelle che i Latini
chiamavano res gestae), sia la narrazione e l’interpretazione degli avvenimenti della società umana nel suo svolgimento
(historia rerum gestarum). Tale ambiguità del sinonimo italiano è oggi risolta con l’uso del termine storiografia, che sta ad
indicare l’elaborazione e la stesura di un’opera di argomento storico secondo una precisa metodologia.
In entrambe le precedenti definizioni compare lo stesso soggetto-oggetto: l’uomo. Senza di lui non esiste storia, perché
non ci sarebbe chi la produce, la narra, la interpreta.
ALESSANDRO MAGNO
ERODOTO
ERIC JOHN HOBSBAWM
Un grande uomo che ha fatto storia
il primo a scrivere una grande opera
storica
Uno storico contemporaneo che è un grande
interprete della storia
Il primo fattore della storia, quindi, è l’uomo, perché egli la produce, la narra, la interpreta.
Altro elemento fondamentale della storia è il tempo, quindi la storia è la scienza degli uomini nel tempo.
Con questa affermazione lo storico francese Marc Bloch vuole sottolineare sia l’aspetto umano della storia, sia il fatto
che un fenomeno storico si spiega pienamente tenendo conto del tempo in cui avviene.
Di quali uomini si occupa la storia?
In passato trattava solo “le gesta dei re”, dando cioè spazio esclusivamente alle vicende dei
grandi eventi, solitamente di natura politica e militare, e mettendo al centro di ogni interesse
le grandi personalità, quali: re, papi, condottieri e imperatori.
La ricerca storica contemporanea si muove invece in un campo più vasto e complesso:
quello che ha come attori anche gli uomini comuni e si propone di ricostruire i cambiamenti
della società in una dimensione più ampia, occupandosi, per esempio, degli aspetti
economici, sociali, culturali e della vita quotidiana del passato.
Vita umile nel Medioevo
IL TEMPO E LO SPAZIO
Il tempo oggetto della storia è quello passato, quindi immutabile. Per convenzione lo si divide in periodi o epoche, in ognuno
dei quali possono essere compresi fatti e fenomeni relativamente omogenei. Si può dunque cogliere sia la continuità
all’interno di un periodo, che la rottura fra periodi differenti. La storia quindi spiega la continuità e il mutamento.
Il divenire storico segue ritmi differenti. Si possono verificare eventi che segnano un cambiamento repentino (es:
l’affermazione di un regime dittatoriale oppure una guerra). Altri fenomeni, invece, durano più a lungo (es. l’importanza della
borghesia in ambito economico). Per questo il noto storico francese Fernand Braudel ha proposto il concetto di durata.
Il ritmo rapido degli avvenimenti politici e militari si caratterizza per la sua breve durata. C’è poi quello di media durata, che
contraddistingue le trasformazioni economiche e sociali. Infine quello della
LO SPAZIO FISICO TERRESTRE
lunga durata, che studia le strutture che mutano molto lentamente, fra cui
le mentalità dei popoli oppure le trasformazioni degli ambienti naturali.
Altro elemento fondamentale della storia è lo spazio, perché gli spazi fisici
hanno sempre posto precise condizioni all’esistenza e allo sviluppo
dell’uomo e delle civiltà. A sua volta l’uomo interagisce con essi,
modificandoli in base alle proprie necessità. Geografia e storia, perciò,
vanno un po’ a braccetto ed è del massimo interesse comprendere i
rapporti che legano le culture e le civiltà umane con gli ambienti che le
circondano e nei quali risultano inserite.
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Storia Antica - primo anno
LO STORICO E IL METODO STORICO
Le opere storiche, quelle che fanno parte della cosiddetta storiografia, vengono per lo più scritte da specialisti,
genericamente definibili come storici, i quali si propongono di ricostruire il passato avvalendosi di precise tecniche e
criteri, che costituiscono il metodo storico. Le testimonianze del passato non avrebbero alcun significato senza
l’interpretazione dello storico, perché i fatti si trasformano in storia solo grazie alla loro spiegazione.
Nello svolgimento del proprio lavoro lo storico deve innanzitutto reperire i documenti, detti anche fonti, utili per la sua
ricerca, selezionarli, eventualmente datarli, catalogarli, analizzarli e valutarne l’autenticità. I documenti scritti ufficiali sono
in genere conservati negli archivi.
Deve inoltre farsi un’ipotesi di lavoro, analizzare i documenti ponendosi delle domande, in base alla ricerca che intende
effettuare.
Come tutte le scienze umane, anche la storia pone un problema di obiettività. Spesso ci si è chiesti come possa essere
obiettivo uno studioso, quale è lo storico, che si accosta ai documenti partendo dai suoi interessi personali, dalle sue
convinzioni ideologiche, dagli inevitabili condizionamenti che il tempo in cui vive gli impone. Non dobbiamo inoltre
dimenticare che, in ambito storiografico, esistono diverse correnti, che si caratterizzano per la loro natura marcatamente
ideologica. Basti ricordare quella marxista oppure quella cattolica. Eppure anche lo storico può e deve essere obiettivo
e ciò è possibile solo se applica con correttezza e rigore il suo metodo di ricerca. I documenti, per esempio, vanno
studiati senza pregiudizi, infatti lo storico deve innanzitutto porsi il fine di comprendere e non di giudicare. Deve inoltre
provare ciò che afferma ed eventualmente modificare le sue ipotesi di partenza, se non vengono confermate dalle fonti.
LE FONTI DELLA STORIA
La storia si basa su una conoscenza per tracce, in quanto lo storico studia fatti che non
ha direttamente vissuto. Queste tracce sono le fonti o
documenti, termini con cui si indica ciò che gli storici
utilizzano per poter ricavare informazioni sul passato.
Un tempo le fonti scritte erano le privilegiate. Ora tutto
quello che l’uomo produce, costruisce e che in qualche
modo lo riguarda si ritiene possa dare preziose informazioni
Finte scritte rotolo del Mar Morto
su di lui; per questo hanno assunto particolare importanza
anche le fonti materiali: i manufatti, le opere iconografiche
Vaso Etrusco
e i monumenti, le fotografie, le modificazioni apportate dall’uomo sul paesaggio, i resti di
esseri viventi ecc.
Fra le fonti scritte si annoverano i documenti ufficiali (atti pubblici e privati, trattati, leggi, bilanci, verbali ecc.) e le fonti
narrative (cronache, opere letterarie, diari, lettere private, opere storiche, biografie ecc.). Non meno fondamentale è la
classificazione delle fonti in primarie o dirette e secondarie o indirette. Le prime mettono lo storico a contatto con un
frammento del passato senza una mediazione, perché appartengono al periodo studiato e riguardano specificamente
l’oggetto trattato, Tali sono i resti archeologici, ma anche molte fonti scritte archivistiche (un atto notarile, un diploma
imperiale, una mappa catastale ecc.) Sono primarie anche le fonti orali, che ci restituiscono la testimonianza di chi ha
partecipato ad un evento.
Le fonti indirette, invece, mettono a conoscenza di un avvenimento tramite un mediatore (un cronista, un pittore, un
letterato.). A questa categoria appartengono le opere storiografiche scritte in passato ed anche le opere letterarie che
contengono informazioni storiche.
Le fonti si possono suddividere in
volontarie e involontarie. Del primo
gruppo fanno parte tutti quei
documenti che sono stati realizzati
anche con la precisa consapevolezza
di lasciare una testimonianza ai
posteri: cronache storiche, ma anche
monumenti, quali le piramidi o gli archi
di trionfo, sono tutti esempi di fonti
volontarie.
Arco di Costantino
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Storia Antica - primo anno
Molto spesso, però, il passato ci parla attraverso indizi e testimonianze che non sono nati con l’intenzionale volontà di
lasciare un ricordo. In questo caso si parla di fonti involontarie. Il soldato che durante la prima guerra mondiale scriveva
dal fronte lettere ai suoi familiari, sicuramente non faceva ciò con l’intento di lasciare un ricordo ai posteri, eppure i suoi
scritti forniscono una miniera di informazioni sulla vita nelle trincee e sull’andamento del conflitto.
LA MEMORIA STORICA TRA CUSTODIA DEL PASSATO E PROGETTO PER IL FUTURO
«Il tempo di oggi risale nel contempo a ieri, ad un passato più lontano e ad uno remotissimo».
Questa affermazione dello storico Braudel ci invita a ricordare che gli uomini sono figli del loro passato, in quanto da
esso derivano situazioni, tradizioni, valori, istituzioni, idee che caratterizzano la società in cui vivono ed il loro presente.
L’interesse di studiare il passato risiede innanzitutto nel fatto di poter meglio comprendere il presente, ma è anche
essenziale per soddisfare il bisogno di identità individuale e collettiva, perché ciò che siamo è strettamente correlato a
ciò che siamo stati. Dal passato derivano infatti idee, valori, situazioni, istituzioni e tanto altro ancora, che caratterizzano
le società in cui viviamo.
La storia accresce inoltre la conoscenza degli uomini uniti in società e gruppi, facendo
comprendere la complessità. Educa alla responsabilità, mostrando ciò che accade come
conseguenza delle libere scelte degli uomini
I Latini dicevano che la storia è maestra di vita. Più efficacemente bisognerebbe dire che è
maestra degli uomini. Gli avvenimenti del passato sono infatti unici e irripetibili, tuttavia dalla
loro conoscenza si possono trarre alcune analogie con ciò che avviene nel presente, in modo
da poterlo meglio comprendere.
LE PRINCIPALI SCIENZE AUSILIARIE
Per le sue ricerche e i suoi studi, lo storico contemporaneo può avvalersi del contributo di alcune
MARCO TULLIO CICERONE discipline, solitamente definite scienze ausiliare della storia.
“historia magistra vitae”
Per le fonti materiali un ruolo di spicco riveste sicuramente l’archeologia, che si occupa della
ricerca, della classificazione e dello studio dei resti materiali dell’antichità. La paleontologia
invece studia i fossili, ossia i resti pietrificati di animali e vegetali.
Numerose sono le scienze per lo studio delle fonti scritte: la paleografia, che riguarda le antiche forme di scritture;
l’epigrafia che studia testi incisi su materiale durevole, come la pietra, il metallo, la terracotta, gli intonaci; la papirologia
analizza scritti riportati sui papiri; la filologia studia l’origine, la struttura e l’evoluzione della lingua ed è utilissima per
risolvere problemi di datazione, di autenticità e di attribuzione dei documenti.
Altrettanto fondamentale il contributo della numismatica, che riguarda lo studio delle monete, non
solo per quanto concerne la loro tipologia, ma anche per le importanti notizie che esse forniscono
sull’economia, la politica, la società e le istituzioni delle civiltà e delle epoche che le hanno coniate.
Nello studio del territorio fondamentali risultano la topografia, scienza che ha per oggetto la
rappresentazione grafica dettagliata della superficie terrestre e la toponomastica, che studia i
nomi dei luoghi, con particolare attenzione alle loro origini linguistiche.
Di rilevante importanza sono inoltre i contributi dell’antropologia, la disciplina che si occupa
degli
aspetti biologici e comportamentali della razza umana, della sociologia, con i suoi studi
MONETA ROMANA
sui comportamenti sociali, della demografia storica, della statistica, dell’economia e della
“numismatica”
geografia.
L’APPARATO SCHELETRICO DELLA STORIA: LA CRONOLOGIA
Per “mettere ogni cosa al proprio posto”, nella storia bisogna servirsi della cronologia, che non a caso è definita come:
“Disciplina che si occupa di stabilire la datazione dei fatti storici, la loro successione nel tempo”o, più semplicemente,
come: “Ordine temporale in cui determinati fatti si sono verificati”. Il termine dal punto di vista etimologico deriva dal
greco chrónos, che significa «tempo» e lógos, che significa discorso. Considerato che il tempo è, come abbiamo visto,
non solo uno dei fattori fondamentali della storia, ma anche il più peculiare, possiamo affermare che la cronologia è
intrinseca a questa disciplina. Essa ne costituisce il sostegno, l’apparato scheletrico. Nell’ambito della cronologia,
converrà distinguere due concetti fondamentali: diacronia e sincronia. Col primo termine s’intende lo svolgimento lineare
del tempo in un ambito spaziale singolarmente preso o nello spazio in generale. Col secondo termine, invece, s’intende
lo svolgimento parallelo e simultaneo del tempo in due o più ambiti spaziali diversi.
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Storia Antica - primo anno
CRONOLOGIA GENERALE
Chiarito tutto questo, diamo qui di seguito una cronologia di carattere generale e tradizionale, che ha più un valore pratico
che scientifico, giacché la storia è un flusso continuo, nel quale gli studiosi collocano dei punti d’inizio e di fine solo per
comodità; tant’è vero che tra gli storici sorgono spesso controversie e polemiche sulla scelta di queste “svolte”.
La cronologia che proponiamo consiste in una suddivisione della storia in tre grandi periodi, detti Evi, preceduti dalla
lunghissima preistoria. Mentre quest’ultima sembra aver avuto una durata di circa due milioni di anni, gli evi storici hanno
avuto una durata assai più breve, poco più di cinquemila anni, ripartiti assai diversamente tra ciascuno di essi. Ciascun
Evo, poi, viene suddiviso in sottoperiodi, anch’essi di durata assai variabile.
Occorre mettere in rilievo il fatto che le datazioni fino al Mesolitico sono espresse in migliaia di «anni fa» [in inglese si usa
la sigla “b. p.”– before present-], perché le cifre sono così grandi che il margine d’errore renderebbe ridicolo considerare
i duemila anni che ci separano dalla nascita di Cristo. Dal Neolitico in poi, invece, usiamo il sistema di datazione
tradizionale, che trova il suo punto zero nell’anno della nascita di Cristo (che in realtà andrebbe corretto, anticipandolo
di 4 o 7 anni) e che, pertanto, suddivide le date in a. C. – avanti Cristo – e d. C. - dopo Cristo – [in inglese si usano le
sigle “b. C.”– before Christ – e “a. C.”- after Christ].
SCHEMA DI CRONOLOGIA GENERALE
Inferiore 2.000.000 – 80.000 anni fa circa
Paleolitico
PREISTORIA
Dalla comparsa dei primi manufatti
umani all’invenzione della scrittura 2.000.000 di anni fa – 3.300 a. C.
circa
EVO ANTICO
Dall’invenzione della scrittura alla
caduta
dell’Impero
Romano
d’Occidente - 3.300 a. C. circa – 476
d. C.
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Medio 80.000 – 50.000 anni fa circa
Superiore 50.000 – 10.000 anni fa circa
Mesolitico
Neolitico
10.000 – 8.000 anni fa circa
VI millennio – prima metà del IV millennio
a. C. circa
Età del Bronzo
fine IV millennio a. C. – 1200 a. C. circa
Eneolitico
Seconda metà del IV millennio a. C.
Età del Ferro
dal 1200 a. C. in avanti
Vicino Oriente Antico
IV millennio a. C. – 330 a. C.
Egeo e Grecia
III millennio a. C. – 146 a. C.
Egitto
IV millennio – 331 a. C.
Italia e Roma
II millennio a. C. – 476 d. C.
Alto Medioevo
476 – XI secolo
Basso Medioevo
XI secolo - 1492
Età Moderna
1492 – 1815
Età Contemporanea
1815 – gg. nn.
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 1
LA PREISTORIA
SEZ 1: L’ORIGINE DELLA VITA
DAL BIG BANG ALLA FORMAZIONE DELLA TERRA E DEI PRIMI ORGANISMI VIVENTI
IL PROBLEMA DELLE ORIGINI DELL’UNIVERSO, DELLA VITA E DELL’UOMO
Da sempre l’uomo si è posto alcune fondamentali domande: «Chi sono? Cos’è l’universo ? In che rapporto siamo l’uno
con l’altro? Qual è la nostra origine? Qual è il nostro destino?».Le risposte ipotizzate e poi formulate in ambito religioso,
filosofico, scientifico, sono state varie e spesso in contrasto tra loro. Infatti alcuni hanno immaginato di poter conciliare i
tre diversi punti di vista, altri, invece, li considerano in conflitto irrisolvibile.
Le posizioni più in conflitto sembrano essere quelle poste dalla Religione e dalla Scienza, perché la prima parte da verità
rivelate, nelle quali crede per fede, mentre la seconda accetta solo ciò che la ragione può dedurre per via sperimentale
e logico-matematica dall’osservazione e studio della Natura.
La Storia, però, essendo una scienza umana, ha, come la Filosofia, una collocazione intermedia, che consente di spaziare
liberamente tra le diverse posizioni, scegliendo quelle che rispondono alle più oggettive e scientifiche conoscenze culturali,
intellettuali e morali.
Il problema delle origini dell’uomo è strettamente connesso a quello delle origini dell’universo e della vita (cosmogonia).
MICHELANGELO BUONARROTI: “Creazione dell’uomo”
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Storia Antica - primo anno
GENESI E STORIA DELL’UNIVERSO E DELLA TERRA
Con assoluta precisione non si conosce l’origine e la formazione dell’universo.
Secondo una delle più note teorie scientifiche, oggi maggiormente
accreditate, l’universo sarebbe scaturito da una grande esplosione, il Big
Bang, verificatasi circa 15 miliardi di anni fa, nel corso della quale si sarebbero
formate le galassie, le stelle, i pianeti e tutti gli altri corpi celesti.
La Terra, appartenente alla galassia detta Via Lattea, si sarebbe formata circa
4,6 miliardi di anni fa per aggregazione del materiale in orbita intorno al sole.
Raggiunta la massa propria di un pianeta, essa si sarebbe infuocata e poi
lentamente raffreddata all’esterno, formando una crosta soggetta a movimenti
e conseguenti trasformazioni.
L’idonea distanza dal sole e la massa sufficiente a trattenere i gas, ha
consentito la formazione dell’atmosfera e dell’acqua, fattori indispensabili alla
nascita della vita (miliardi di anni fa), passando dalla comparsa di semplici
organismi (batteri, alghe…) a quelli più complessi (pesci,anfibi, rettili, uccelli,
mammiferi). Gli scienziati chiamano questo processo: evoluzione.
In questo immenso universo, la Terra non occupa alcuna posizione centrale ed ha dimensioni così piccole da sembrare
un granello di sabbia in un deserto. Quale peso può avere l’uomo in questo contesto? Mettiamo a confronto la Terra
con gli altri pianeti del sistema solare, poi questi col Sole ed ancora il Sole con altre stelle giganti Nella nostra galassia
ci sono 100 o 200 miliardi di stelle e nell’universo miliardi di galassie. Le distanze cosmiche si calcolano in anni luce,
cioè nella distanza che la luce, che viaggia a circa 300 mila Km. al secondo, percorre in un anno. Di conseguenza, risulta
un po’ difficile continuare a sostenere ogni illusoria teoria geocentrica.
LESSICO
Evoluzione: teoria naturalistica che sostiene la lenta ed incessante trasformazione degli organismi viventi nel corso
del tempo, determinando l’affermazione di nuovi caratteri ereditari.
Geocentrica: concezione secondo la quale la Terra è posta al centro dell’universo.
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Storia Antica - primo anno
TEORIA DELL’EVOLUZIONE:
DISPUTA TRA CREAZIONISTI ED EVOLUZIONISTI
Charles Darwin
DARWIN E LA TEORIA EVOLUZIONISTICA PER
«SELEZIONE
NATURALE»
Il naturalista inglese Charles Robert Darwin (1809-1882), col libro Sull’origine
delle specie mediante la selezione naturale o preservazione di razze favorite nella
lotta per la vita, enunciò nel 1859 la «teoria dell’evoluzione».
Questa teoria potrebbe essere sintetizzata, più o meno, in questo modo:
«Tutte le specie viventi sul nostro pianeta sono derivate da una primitiva ed
occasionale forma di vita, inizialmente molto semplice, ma poi evolutasi e
diramatasi, per un processo di adattamento all’ambiente (anch’esso mutevole
nello spazio e nel tempo) definibile come “selezione naturale”, in forme sempre
più complesse, fino a quelle attuali (pur esse transitorie e destinate a mutare
nel tempo per le successive inevitabili variazioni ambientali)».
La teoria evoluzionistica si oppone a quella creazionista, configurando un contrasto tra due visioni del mondo:
- quella religiosa, basata sulla fede, che sottopone l’uomo a Dio, ma lo antepone ad ogni altra creatura
- quella scientifica, basata sulla ragione, libera l’uomo dai vincoli della “ divinità”, riducendolo ad una “ comparsa”
sulla scena del mondo.
Non sono mancati tentativi di conciliazione da parte di chi “crede”, senza però negare il valore della ragione. Infatti costoro
sostengono che la Bibbia abbia usato un linguaggio figurato, consono al popolo cui era diretto, mentre la scienza spiega
oggettivamente come Dio abbia operato realmente nella sua onniscienza ed onnipotenza.
Critiche alla teoria evoluzionista però vengono anche dal mondo scientifico, per le difficoltà che gli studiosi incontrano
nel trovare gli anelli mancanti della catena evolutiva (filogenesi). Tuttavia oggi la ricerca storica si avvantaggia
progressivamente di nuovi apporti scientifici, oltre a quelli tradizionali, di scienze ausiliarie, quali ad esempio l’embriologia,
la genetica, la biogenetica…nella rigorosa ricostruzione del nostro percorso evolutivo.
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Storia Antica - primo anno
SEZ. 2: FILOGENESI DELL’UOMO
PREISTORIA
“Preistoria” è una parola composta, formata dal prefisso “pre”, che vuol dire «prima», e dal sostantivo “istoria”, che sta
per «Storia». Perciò, etimologicamente, questa parola significa: «Prima della Storia».
Con il termine Preistoria convenzionalmente intendiamo il periodo che precede la Storia, che si fa coincidere
con la nascita della scrittura (3000 a.C.)
La Preistoria va dalla
a) comparsa dei primi ominidi (circa 5 milioni di anni fa)
oppure
b) dalla comparsa dell’homo habilis (2 o 1.8 milioni di anni fa) all’invenzione della scrittura
(3.000 anni fa circa)
Linea del tempo
PREISTORIA
STORIA
La durata della Preistoria può essere calcolata in 5 o 1.8 milioni di anni, a seconda dell’evento che si considera come
inizio (comparsa dei primi ominidi o comparsa dell’homo habilis).
RICOSTRUZIONE DELL’EVOLUZIONE DELL’UOMO E DELL’AMBIENTE
METODI DI DATAZIONE
Non potendo usufruire di documenti scritti, tutte le nostre conoscenze relative al periodo preistorico ci sono state fornite
principalmente dall’ausilio di due scienze complementari:
a) la Paleontologia umana o Paleoantropologia, che studia prevalentemente i fossili degli ominidi e dei primi uomini;
b) l’Archeologia preistorica, che ricerca e studia i manufatti degli uni e degli altri.
Accanto ad esse l’apporto di altre discipline e di sistemi di datazione ci ha permesso di ricostruire l’evoluzione dell’uomo
e dell’ambiente in epoca preistorica:
- Dendrocronologia, datazione delle piante fossili attraverso lo studio dell’accrescimento degli anelli delle piante
- Palinologia, ricostruzione dell’ambiente attraverso lo studio dei pollini e delle spore che permettono la diffusione
e la sopravvivenza di una specie
- Paleoecologia, ricostruzione degli ambienti attraverso lo studio dei resti faunistici
- Biologia molecolare, studio dell’origine dell’uomo attraverso le tecniche di ricombinazione del DNA
- Stratigrafia, scavo stratigrafico di rocce sedimentarie che permettono lo studio e la comprensione di tutte le
variazioni climatiche, ambientali e culturali
- Datazione al radiocarbonio, carbonio 14, cioè attraverso la valutazione in termini temporali e quantitativi
dell’isotopo radioattivo del carbonio, si può stabilire l’età di un reperto archeologico
- Datazione incrociata, confronto tra due o più reperti di cui si conosce l’età con altri di cui non si sa nulla
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Storia Antica - primo anno
PERIODIZZAZIONE
La Preistoria viene suddivisa in tre macroperiodi in base all’uso e alla lavorazione della pietra ed in altri tre
periodi, di durata assai minore, per l’utilizzo dei metalli:
1) una fase più antica e molto più lunga, detta Paleolitico («Antica età della pietra»),
in cui la pietra veniva scheggiata;
2) una fase di transizione durata pochi millenni, detta Mesolitico («Media età della pietra»), caratterizzata
dai microliti, che alcuni studiosi preferiscono integrare nell’ultima fase
del Paleolitico;
3) una fase più recente, durata anch’essa alcuni millenni, detta
Neolitico («Nuova età della pietra»), in cui la pietra veniva levigata.
Seguono quindi altri tre periodi in cui all’uso della pietra si va sostituendo quello dei metalli:
l’Età del rame, detta Eneolitico, ma anche Calcolitico o Cuprolitico;
l’Età del bronzo
l’Età del ferro
LESSICO
Microliti: manufatti in pietra di piccole dimensioni
Occorre rilevare che:
ÿ le età in periodi sono convenzionali
ÿ la loro durata è molto approssimativa, sia perché varia da zona a zona, sia perché tra gli studiosi possono
esserci profonde divergenze di opinioni
ÿ l’approssimazione è maggiore per le fasi più antiche e tende a diminuire per le fasi più recenti
ÿ alla suddivisione in macroperiodi, si aggiungono delle ripartizioni degli stessi in sottoperiodi sempre più
limitati come durata, per consentirne una migliore determinazione cronologica (vedi tabella relativa alla
scansione cronologica);
ÿ l’invenzione della scrittura viene convenzionalmente considerato fattore di separazione della preistoria dalla
storia; ma la scrittura è comparsa in tempi diversi nei diversi luoghi, sicché in alcune zone la preistoria è
finita già nell’età del Bronzo (Mesopotamia, Egitto ecc.), in altri durante l’età del ferro (Italia, Francia ecc.),
mentre esistono ancora zone dove alcuni uomini vivono nella tarda preistoria.
SCANSIONE CRONOLOGICA
La Preistoria va dalla comparsa dei primi manufatti umani all’invenzione della scrittura (1.800.000 di anni fa – 3.000
a. C. circa)
Paleolitico
Inferiore
1.800.000 – 80.000 anni fa circa
Superiore
50.000 – 10.000 anni fa circa
Medio
80.000 – 50.000 anni fa circa
Mesolitico
10.000 – 8.000 anni fa circa
Neolitico
VI – prima metà del IV millennio a.C. circa
Età del Rame o Eneolitico
(detta anche Calcolitico o
Cuprolitico)
Fine IV - inizi III millennio a. C.
Età del Bronzo
Inizio III millennio - 1200 a. C. circa
Età del Ferro
Dal 1200 a. C. in avanti
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Storia Antica - primo anno
COMPARSA DEI PRIMATI
Nell’Era Cenozoica, circa 50 milioni di anni fa, si assiste alla diversificazione dei mammiferi e allo sviluppo dell’ordine dei
Primati. Questi presentano come caratteristica principale, l’adattamento alla vita arboricola, in un habitat definito “foresta
pluviale”. Le scimmie si erano impadronite della nicchia ecologica rappresentata dalla cima degli alberi, dove potevano
godere di una notevole sicurezza e di una certa abbondanza alimentare (foglie, fiori, frutti, insetti…), favorita
dall’irradiazione solare.
La vita sugli alberi aveva determinato molteplici benefici:
- visione binoculare stereoscopica, percezione delle distanze e dei colori
- funzione prensile degli arti, pollici opponibili
- accorciamento e raddrizzamento del tronco
- ampliamento del torace
- acquisizione iniziale della stazione eretta
- sviluppo e differenziamento dell’encefalo
- aumento del cranio e riduzione dello scheletro facciale
- sviluppo di un apparato digerente adatto ad un regime alimentare onnivoro.
Questi Primati, che preannunciano le scimmie attuali, si
evolvono in due grandi gruppi: Platarrine e Catarrine.
Dal secondo gruppo, nel corso del Miocene inferiore
emerge il Proconsul, il più antico rappresentante della
famiglia degli Ominoidei, da cui derivano gli Ominidi.
LESSICO
Habitat: ambiente caratterizzato da una serie di
elementi fisici e chimici che determinano una specificità
di vita per ogni specie animale e vegetale
Visione binoculare stereoscopica: percezione del rilievo
volumetrico di un oggetto mediante l’uso di tutti e due
gli occhi contemporaneamente.
PROCONSUL
DALLE SCIMMIE AGLI OMINIDI
FATTORI DETERMINANTI IL PROCESSO DI EVOLUZIONE
Circa 10 milioni di anni fa, un nuovo
cambiamento
climatico
ed
ambientale determinò il parziale
riadattamento al suolo dalla vita
arboricola. Nell’Africa sud-orientale,
in particolare, si susseguirono
terremoti talmente violenti da
causare una profonda spaccatura
nel suolo: la Rift Valley.
Le piogge incominciarono a
diradarsi, poiché l’aria umida che
proveniva dall’Oceano Indiano, era
ostacolata dai venti che soffiavano
da Nord. Una parte della foresta
lasciò il suo posto ad un nuovo
ambiente: la savana.
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Storia Antica - primo anno
Fu proprio allora che i Primati si evolsero, seguendo percorsi differenziati.
Infatti alcuni si ritirarono nella parte occidentale della foresta che rimaneva, conservando abitudini di vita arboricola; da
questi ebbero origine le diverse specie di scimmie antropomorfe, tra cui i gibboni, i gorilla, gli oranghi, gli scimpanzé.
Altri invece, chiamati Ominidi, si adattarono gradualmente al nuovo habitat: la savana. Il ritorno al suolo determinò di
conseguenza il riadattamento degli arti inferiori e l’acquisizione graduale, nel tempo, di una stazione eretta. Veniva
conservata la capacità prensile delle mani, nonché la vista binoculare stereoscopica per scrutare l’orizzonte, al fine di
localizzare facilmente prede e pericoli. La coda invece, essendo ormai di impaccio nella posizione bipede, andò man
mano atrofizzandosi.
I più antichi resti di ominide, noto con il nome di Australopiteco, sono stati rinvenuti nell’Africa sud-orientale.
LESSICO
Savana: ambiente posto ai margini della foresta equatoriale, caratterizzato da una vegetazione costituita da distese
di erba e alberi sparsi, influenzata da stagioni secche e, per brevi periodi, umide.
L’AUSTRALOPITHECUS AFARENSIS
Comparve, anzitutto, un Pre-australopithecus,
detto anche Australopithecus Afarensis. Esso
è noto soprattutto per almeno due
straordinarie scoperte: quella di alcune orme a
Laetoli (al confine tra Kenia e Tanzania, datate
tra i 3,8 e i 3,6 milioni di anni), effettuata
dall’équipes di Mary D. Leakey, e quella di una
parte di uno scheletro di femmina, poi
chiamata Lucy, nella località di Hadar (Etiopia,
circa 3,5 milioni di anni fa), ad opera di
un’équipe franco-americana guidata da
Johanson e Taieb.
Indubbiamente questa sottospecie presenta già caratteristiche molto vicine a quelle umane, ma anche notevoli differenze.
Tra le prime si segnalano un marcato bipedismo ed una discreta stazione eretta.
Tuttavia l’insieme degli elementi ne fanno ancora un essere equidistante tra le scimmie e noi: era alto circa un metro,
con una capacità cranica tra 400 e 500 cm³ (più o meno un terzo della nostra) e provvisto di una dentatura in parte
scimmiesca ed in parte umana.
AUSTRALOPITECI AFRICANUS, BOISEI E ROBUSTUS
Molto prima che l’Afarensis si estinguesse, non prima di 2,8 milioni di anni fa, si aggiunsero altre sottospecie: l’
Australopithecus Africanus, l’ Australopithecus Boisei e l’Australopithecus Robustus.
MANI E CERVELLO
La capacità cranica è indicativa dello sviluppo
della massa cerebrale e, conseguentemente,
delle capacità intellettive.
Infatti, anche se il rapporto tra grandezza del
cervello e intelligenza rimane ancora tutto da
chiarire, non si può negare l’evidenza che
nell’uomo l’incremento del cervello sia andato
di pari passo con le manifestazioni della sua
potenza intellettiva.
Oggi si tende a credere che sia stato soprattutto l’uso specializzato delle mani a dare
impulso allo sviluppo del cervello e non viceversa.
13
Storia Antica - primo anno
L’OMINAZIONE (Homo habilis)
Il primo rappresentante della specie homo è l’Homo habilis, detto
così perché è il primo ad aver lasciato manufatti sicuramente
ascrivibili alla nostra specie. Compare innanzitutto nell’Africa sudorientale, in particolare ad Olduvai, in Tanzania, circa 2,5 - 2 milioni
di anni fa e sopravvive, probabilmente, fino ad 1.450.000 anni fa.
Appare diffuso anche in Etiopia, Kenia e Sudafrica dove convive per
un lungo periodo di tempo con gli ultimi rappresentanti degli
Australopiteci. È bipede, nomade e sa orientarsi, si adatta a vivere
sia nella foresta che ai margini della savana. Si nutre di vegetali, frutti
e carne, però consumata ancora cruda. Sa appena scheggiare gli
strumenti di uso quotidiano ( chopper) ed organizza cacce di animali
di piccole dimensioni. È alto 125-135 cm. e può pesare dai 30 ai 42
kg. La sua capacità cranica è compresa fra i 650-750 cm³.
La dentatura è quella di un onnivoro, relativamente vicina a quella
dell’uomo. Mostra alcuni segni di sviluppo del linguaggio.
Homo erectus
La specie cronologicamente successiva è Homo erectus e per circa 250.000 anni, questa
specie è convissuta con la precedente, pacificamente o antagonisticamente. Apparsa,
sembra, nella stessa area africana delle precedenti sottospecie, nell’arco di uno o due
centinaia di migliaia di anni, l’homo erectus si è diffuso in una vastissima area tra l’Asia e
l’Europa. Ciò determina anche una grande differenziazione nell’evoluzione anatomica e
culturale dei vari gruppi.
Nel corso della sua evoluzione l’Homo erectus vide aumentare la sua capacità cranica dagli
850-900 cm³, fino a raggiungere i 1200-1300 cm³ di alcune forme tardive (300.000250.000 anni fa). Ha un cranio allungato e appiattito, con fronte sfuggente, rilievo
sopraorbitale massiccio, mandibola pesante con mento sfuggente, molari e scheletro simili
a quello dell’uomo attuale.
Vive maggiormente ai margini della savana in gruppi numerosi e ben organizzati nelle
battute di caccia (gli uomini), e nella raccolta delle erbe e frutti ( le donne), sa usare e
conservare il fuoco.
È abile nell’uso di strumenti di selce finemente scheggiata e lavorata (amigdale).
Homo sapiens
Dopo l’Homo erectus abbiamo il primo passaggio cruciale verso l’uomo attuale, rappresentato dalla specie chiamata
Homo sapiens, con la quale compaiono le prime manifestazioni culturali (arte, sepoltura dei morti, ecc.).
Questa si divide in svariate sottospecie, di cui le seguenti sono quelle fondamentali: Homo sapiens arcaico, Homo
sapiens Neanderthalensis ed infine l’Homo sapiens sapiens (alla quale noi stessi apparteniamo).
La forma arcaica dell’Homo sapiens potrebbe essere comparsa circa mezzo milione di anni fa ed essere derivata da un
gruppo dell’Homo erectus, col quale sembra avere molto in comune.
Homo sapiens Neanderthalensis
Circa 300.000 anni fa andò sviluppandosi l’Homo sapiens Neanderthalensis
così detto perché i primi fossili vennero scoperti nella valle di Neander, presso
Dusseldorf (Germania). Le sue caratteristiche fondamentali sono: capacità
cranica tra i 1300 – 1600 cm³, fronte sfuggente, faccia alta e larga, mandibola
senza mento, altezza tra metri 1,58 e 1,71.
Tuttavia, dato che questa sottospecie appare diffusa in una vasta area tra
l’Europa e l’Asia centrale, è possibile rilevare molte differenze tra i vari gruppi locali.
Avevano la pelle piuttosto chiara e capelli e peli rossicci. Sembra che ci sarebbe stata una
lunga rivalità tra i neanderthaliani ed i più antichi sapiens sapiens, fino a quando questi ultimi,
più resistenti e forti, non prevalsero definitivamente.
14
Book in
progress
Storia Antica - primo anno
Homo di Cro-Magnon
Un discorso a parte è rappresentato dall’uomo di Crô-Magnon (il cui primo
ritrovamento è stato fatto nell’omonima località della Dordogna – Francia), ritenuto
in passato una sottospecie estinta dell’homo sapiens .
Questa specie dimostra di sapersi organizzare nella vita quotidiana, condividendo
le mansioni con gli altri, sa lavorare manufatti artigianali di un certo pregio ( con le
pelli cuce , usando l’ago, i propri abiti, spesso adornati con monili e collane).
Complessivamente mostrano caratteri molto simili all’uomo moderno.
Homo Sapiens-Sapiens
L’homo sapiens-sapiens, la sottospecie alla quale noi stessi
apparteniamo, sarebbe dunque il risultato, anch’esso transitorio,
di un lunghissimo processo evolutivo, i cui resti fossili
testimonierebbero, per altro, un’origine non lontana, tra i 50.000
e 35.000 anni fa.
Vivono organizzati in gruppi familiari, sono sedentari e per riparo
oltre alle grotte usano anche capanne. Si dedicano sistematicamente alla caccia e alla
pesca lungo i corsi d’acqua ove preferibilmente risiedono. Ciò consente
un’alimentazione più ricca e varia, che determina un incremento demografico. Riescono
abilmente ad accendere il fuoco, si specializzano nella lavorazione delle armi e degli
utensili. Grande importanza assume il culto della sepoltura dei morti nonché i diversi riti
propiziatori, ritenuti magici, che precedevano importanti eventi della comunità.
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Storia Antica - primo anno
SEZ. 3: RICOSTRUZIONE ARCHEOLOGICA E CULTURALE
L’ERA NEOZOICA
Dal punto di vista geologico, noi viviamo nell’era Neozoica (dal greco “nèos” nuovo e “zòon”
vivente) o Quaternaria, più esattamente nel periodo denominato Olocene. L’inizio di questa era
si colloca circa 1,8 milioni di anni fa e coincide perfettamente con la comparsa del primo vero
ominide, l’Homo habilis, assieme a moltissime nuove specie animali, in parte ancora esistenti.
Le condizioni climatico-ambientali del Quaternario, perciò, sono quelle nelle quali l’uomo si è
evoluto producendo culture e civiltà, realizzate nel corso della sua evoluzione.
Durante il Quaternario, le condizioni climatiche sono state caratterizzate da periodi freddi, in cui le temperature medie
sono scese di 6°- 8º centigradi e periodi intermedi di ristabilimento dei valori normali. Durante i periodi freddi, i ghiacciai
e le calotte polari si estendevano, si abbassava il livello medio del mare, si verificavano sprofondamenti e sollevamenti
della superficie terrestre a causa del peso del ghiaccio sui continenti mentre, in alcune zone, aumentava enormemente
la piovosità. Ovunque mutava sensibilmente la distribuzione della fauna e della flora. Situazioni opposte si verificavano
nei periodi di riassestamento della temperatura.
A causa di tutto ciò, questi periodi di alternanza di caldo e di freddo vengono definiti glaciali, interglaciali o post-glaciali
L’ETÀ DELLA PIETRA
La Preistoria, secondo le più recenti conoscenze archeologiche e paleantropologiche, ha inizio quando l’uomo riesce a
produrre, con un atto di intelligenza, il suo primo e semplice manufatto. Ciò avvenne circa 1,8 milioni di anni fa, nella
valle di Olduvai (Africa sud-orientale), quando l’Homo habilis cominciò a scheggiare da un solo lato un ciottolo, ottenendo
una lama affilata e tagliente, efficace sia come arma con la quale difendersi o cacciare, sia come strumento per tagliare
o raschiare (ad esempio il grasso o i peli dalle pelli degli animali uccisi).
Aveva inizio così, l’Età della Pietra, destinata a durare centinaia di migliaia di anni, fino a quando l’uomo non trovò il
sistema di forgiare i metalli per farne degli strumenti ancora più efficaci.
PERIODI E DURATE
L’archeologia divide la Preistoria in quattro macro-periodi: Paleolitico, Mesolitico, Neolitico ed Età dei metalli.
Questi, a loro volta, vengono suddivisi in ulteriori sottoperiodi e separati, in qualche caso, da fasi di transizione (come,
ad esempio, il cosiddetto calcolitico).
PALEOLITICO
Col termine Paleolitico (dal greco palaiòs, antico, e lithos, pietra) s’intende la «Antica età della pietra», facendo riferimento
alla primitiva tecnica della scheggiatura per costruire gli utensili litici (lo si è definito anche come «Età della pietra
scheggiata»), o di altri materiali deperibili, come ad esempio corna ed ossa di animali.
La necessità di procacciarsi il cibo o gli inevitabili cambiamenti climatici sfavorevoli costringevano l’uomo primitivo al
nomadismo. Gli insediamenti, quindi, potevano essere relativamente fissi, stagionali o semplicemente occasionali, a
seconda delle circostanze.
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Storia Antica - primo anno
CULTO DEI MORTI
Con l’homo sapiens-sapiens il culto dei morti si fa più ricco e complesso. Il defunto può essere sepolto in diverse
posizioni, ma sembra prevalere quella “rannicchiata”, sulla quale sono state formulate diverse ipotesi interpretative, tra
le quali prevale quella di voler riprodurre la posizione fetale, cioè quella del bambino nel grembo materno.
Ulteriori elementi sembrano confermare l’esistenza di una concezione che univa la morte alla vita, come il costume assai
diffuso di cospargere di ocra rossa i cadaveri o le ossa dei defunti, quello di porre vicino ad essi utensili ed ornamenti, il
culto dei teschi, ecc..
Sepoltura tripla di Crô-Magnon - Grotta dei Fanciulli ai Balzi Rossi
Sepoltura di una vecchia e di un giovane
LA NASCITA DELL’ARTE
Nascono in questo periodo l’artigianato artistico e l’arte, attività legate a funzioni magico-religiose, ma anche estetiche,
rivelando la natura intellettuale degli uomini che le hanno realizzati. Tra gli oggetti ornamentali si segnalano collane,
bracciali, pettorali, cavigliere, fatti con conchiglie e denti forati, tenuti assieme da fibre di origine vegetale o animale. A
volte gli strumenti di pietra, di corno, di osso, tendono a trasformarsi in figure. Compaiono statuine, come le cosiddette
Veneri, figure femminili con marcata accentuazione dei caratteri sessuali e materni, connesse all’idea della fecondità.
Incisioni rupestri e pitture parietali nelle caverne rappresentano invece scene di caccia, riti individuali e collettivi, eventi
particolari, simboli per noi di non sempre facile interpretazione.
Venere di Predmosti
Scene dalle grotte di Lascaux e Niaux
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Storia Antica - primo anno
LINGUAGGIO, STRATEGIE DI CACCIA E USO DEL FUOCO
Sembra del tutto plausibile credere che fin da questo periodo sia andato formandosi il linguaggio, destinato ovviamente
a diffondersi e differenziarsi a mano a mano che i gruppi
si separavano e si allontanavano, dando vita ad ulteriori piccole comunità.
Durante le battute di caccia l’Homo Sapiens-Sapiens usava complesse strategie che prevedevano l’uso di trappole, ma
anche del fuoco, utilizzato in particolare per impaurire gli animali di maggiori dimensioni. L’uso del fuoco fu di vitale
importanza così non solo per riscaldarsi in un periodo di freddo intenso, ma servì anche per illuminare i luoghi chiusi nei
quali ci si riparava, per lo svolgimento della vita quotidiana nei suoi molteplici aspetti (vita comunitaria ed attività
economiche più incisive, con il conseguente sviluppo del linguaggio, cottura del cibo, difesa dai predatori ecc.).
LESSICO
Nomadismo: spostamento di individui o gruppi umani in territori favorevoli alle proprie esigenze di vita.
Manufatto litico: oggetto di pietra lavorato a mano
IL MESOLITICO
Il periodo detto Mesolitico (dal greco “mèsos”, mediano e “lithos”, pietra), significa «età di mezzo della pietra», coincide
in buona parte con la lunga fase di passaggio dall’ultima glaciazione, quella di Würm, al cosiddetto post-glaciale. Il suo
inizio risale a circa 14.000 anni fa, 12.000 anni prima della nascita di Cristo, mentre la conclusione varia da zona a zona,
a partire da almeno 8.500 anni a.C. Esso ebbe una durata brevissima rispetto al Paleolitico e fu senz’altro una fase di
transizione tra due età dalle caratteristiche assai diverse.
Ora l’uomo è capace non solo di procacciarsi il cibo, ma ne diviene anche produttore. Il cambiamento climatico determinò
il progressivo venir meno della fauna e della flora alle quali gli uomini del Paleolitico superiore si erano abituati, destando
in loro una profonda preoccupazione per l’avvenire. Tutto questo emerge con grande evidenza nelle rappresentazioni
artistiche, che, come sappiamo, avevano soprattutto una funzione magica, destinata a favorire la caccia. Per far fronte
alla nuova situazione, gli uomini del mesolitico integrarono anzitutto la pesca alle precedenti attività economiche. Infatti
si stabilirono preferibilmente vicino a zone fluviali, costruendo prime forme di abitazioni su palafitte.
Con perizia riuscirono a realizzare le prime imbarcazioni ricavate dalla lavorazione dei tronchi di alberi con utensili
appropriati, quali ad esempio affilate asce. Inoltre andarono sperimentando le prime forme di allevamento e pastorizia
(capre e pecore in particolare). Le donne invece, attraverso la costante osservazione della natura, iniziarono a carpire e
a sperimentare il segreto della riproduzione delle piante (orzo e grano selvatico).
Gli utensili in questo periodo sono ricavati da svariati materiali e ciò che maggiormente colpisce sono le loro piccolissime
dimensioni (aghi, bulini, punteruoli…), segno di un grande perfezionamento tecnico artigianale.
LESSICO
Palafitta: abitazione costruita su una piattaforma di legno, sostenuta da pali conficcati nel terreno, specialmente
vicino a paludi, fiumi e laghi.
IL NEOLITICO
Il termine Neolitico (dal greco “nèos”, nuovo, e “lithos”, pietra), inteso come «nuova età della pietra»,
fu dato dagli studiosi per segnalare un’importante novità nella lavorazione degli utensili litici, che ora
venivano levigati, anziché semplicemente scheggiati. È stato definito anche «età della pietra levigata»,
sebbene molti degli utensili continuassero ad essere semplicemente scheggiati, anche se con tecnica
molto più raffinata che in passato.
In questo periodo, fase conclusiva della Preistoria, l’organizzazione sociale ed economica, nonché
lo stile di vita, furono completamente modificati : l’uomo da raccoglitore e cacciatore nomade o
seminomade si era trasformato in agricoltore ed allevatore più o meno sedentario, da procacciatore
era divenuto anche produttore del cibo di cui aveva bisogno per vivere. Gli individui iniziarono a riunirsi
in gruppi sempre più numerosi e a realizzare insediamenti più grandi, dando origine ai primi villaggi. Tali cambiamenti
furono così significativi da indurre gli studiosi a parlare di “Rivoluzione Neolitica”.
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Book in
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Storia Antica - primo anno
DURATA E PERIODIZZAZIONE DEL NEOLITICO
La durata dell’età Neolitica varia da
zona a zona, perché, così come
l’inizio, anche la fine risulta precoce
in alcune aree ed assai tardiva in
altre.
Durante
questo
periodo
si
svilupparono e perfezionarono
nuove tecniche relative alla
lavorazione
dell’argilla,
della
ceramica, dando vita ad una varietà
di suppellettili (vasi, ciotole, anfore...)
per contenere o conservare il cibo. Nasce anche l’attività della
filatura e della tessitura , lavori svolti quasi sempre all’interno della
comunità e per i bisogni della stessa.
PASSAGGIO DAL NEOLITICO ALL’ETÀ DEI METALLI
Questa fase avvenne gradualmente e con tempi diversi nei diversi Paesi. Solo in parte possiamo registrare una
coincidenza tra l’avvento dei metalli e l’inizio della Storia: abbastanza vero per il Vicino Oriente e l’Egitto, meno vero per
l’Europa e per molte altre regioni.
La transizione seguì più o meno questo percorso:
a.uso occasionale del rame per costruire utensili (fine IV inizi III Millennio a.C.), che per le caratteristiche del materiale,
non risultavano sempre vantaggiosi rispetto a quelli di pietra;
b.uso non ancora definitivo del bronzo (inizi III Millennio a.C.), – lega di rame e stagno, molto efficace e destinata a
sostituire completamente gli utensili in pietra;
c.Età del bronzo (III-II millennio a.C.), caratterizzata dalla diffusione dell’uso del bronzo come materiale per costruire armi
ed utensili vari, mentre decade quasi completamente l’uso della pietra;
d.Età del ferro (fine del II millennio – inizi del I millennio a.C.), caratterizzata dalla diffusione del ferro per la costruzione di
armi, molto più resistenti ed efficaci, ma anche per la produzione di molti e svariati utensili.
Durante questa età si assiste ad un radicale cambiamento sociale: l’uomo stringe rapporti commerciali con altri Paesi e
nella commercializzazione dei propri manufatti, inevitabilmente viene a contatto con nuovi popoli, con i quali interagisce
in uno scambio anche culturale che allarga e modifica la sua visione di vita.
LABORATORIO: PREISTORIA
1) Sulla linea del tempo disponi in ordine cronologico, indicando anche le date, i seguenti eventi:
età mesolitica / comparsa della scrittura / età paleolitica/ età neolitica/ morte di Gesù
a.C.------------------------------------------------------------------------------------0---------------d.C.
2) In quale continente sono stati ritrovati i resti fossili dell’Austrolopithecus Afarensis?
3) In quale località europea furono scoperti i primi fossili riguardanti l’Homo di Neanderthal?
___________________________________________________________________________________________________
19
Storia Antica - primo anno
4) Segna con una crocetta se le affermazioni sono vere o false:
a)
Il primo uomo in grado di usare il fuoco fu l’Homo sapiens-sapiens
V
F
b)
La Preistoria ha inizio quando l’uomo riesce a produrre semplici manufatti
V
F
c)
L’archeologia divide la Preistoria in quattro macro-periodi
V
F
d)
Durante l’età Neolitica, gli utensili non venivano levigati, ma scheggiati
V
F
e)
L’Homo sapiens-sapiens non praticava il culto dei morti
V
F
5) Collega ad ogni termine, la definizione corretta
1)
Palafitta
a) esplosione che avrebbe determinato la formazione dell’Universo.
2)
Nomadismo
b) spostamento da un luogo all’altro.
3)
Big-Bang
c) mammiferi che si adattarono alla vita arboricola nella foresta pluviale
4)
Primati
d) abitazione costruita su una piattaforma di legno,sostenuta da pali nel
terreno vicino ai corsi d’acqua.
6) Illustra con brevi testi ( max 5 righe) i caratteri fondamentali delle seguenti età:
1)
2)
3)
20
Paleolitica
Mesolitica
Neolitica
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 2
EGITTO E VICINO ORIENTE
INTRODUZIONE GENERALE
Come avevamo visto nella precedente
UdA, il trapasso dalla preistoria alla storia
si ebbe,tr a la seconda metà del IV e gli
inizi del III millennio a.C., anzitutto
nell’area compresa tra l’Africa del nordest, il Mediterraneo orientale e l’Asia
occidentale.
Dopo il periodo pluviale, che aveva
caratterizzato quest’area durante l’ultima
éra glaciale, quella di Würm, iniziò un
processo di desertificazione che costrinse
i gruppi umani, composti ormai
esclusivamente da sapiens-sapiens, a
concentrarsi nei luoghi dove c’erano
enormi riserve d’acqua, in particolare
presso le rive dei grandi fiumi.
Qui loro potevano trovare non solo il prezioso liquido (lo stesso corpo umano è composto per oltre il 70% di acqua) ma
anche piante ed animali di cui nutrirsi con la raccolta, la caccia e la pesca.
La possibilità di trovare tali cose in
luoghi determinati favorì la
sedentarizzazione e, col tempo, la
scoperta della riproduzione del cibo
attraverso
le
tecniche
dell’agricoltura e dell’allevamento.
Inoltre, gli uomini impararono ad
aggregarsi in gruppi sempre più
numerosi
e
a
realizzare
insediamenti più grandi. Dalle
famiglie si passò alle tribù e poi alle
comunità urbane; dalle singole
capanne si passò ai villaggi e poi
alle prime città.
In ogni campo dell’attività umana si
manifestava
una
progressiva
specializzazione: nell’agricoltura,
nell’allevamento e nella pastorizia,
nell’artigianato e nell’arte, ecc. La produzione di ogni cosa, dai cereali agli utensili da lavoro, dalla ceramica alla costruzione
degli edifici, s’incrementava sotto l’aspetto quantitativo e si migliorava sotto il profilo della qualità. Era tutto un fiorire di
nuove scoperte e invenzioni.
Parallelamente, si sviluppava in tutte le sue forme il linguaggio, fondamentale strumento di comunicazione tra gli individui
e i gruppi. Esso doveva servire a indicare persone, animali, cose, azioni e relazioni connesse alla vita quotidiana. Perciò,
non solo cose concrete, ma anche astratte; non solo presenti, ma anche passate o future. Da strumento di
comunicazione, quindi, il linguaggio si trasformò anche in strumento del pensiero, capace di rappresentare attraverso
simboli, le parole, ogni aspetto della realtà esperienziale e immaginativa.
Il passaggio successivo, inevitabilmente, venne rappresentato dall’invenzione della scrittura. Oltre ai simboli linguistici
nacquero quelli numerici e, con essi, le prime operazioni matematiche, tutte cose necessarie per la registrazione, la
contabilità e i calcoli.
21
Storia Antica - primo anno
Con l’ingrandirsi delle comunità, divenne sempre più articolata la divisione delle funzioni, del lavoro e delle attività
economiche.
Questo determinò un loro progressivo arricchimento,
ma anche una sempre più marcata divisione sociale in
classi, sulla base del potere e della ricchezza. Queste
differenze sociali era ovvio si manifestassero non solo
nella quantità di ricchezze immobili o mobili possedute
(terre, edifici, oro, argento, ecc.), ma anche nel lusso:
vestiti di tessuti pregiati e colorati, monili e gioielli, case
ampie e adorne. La domanda di questi beni, perciò, ne
stimolava l’offerta sia interna, fin dove essa poteva
giungere, sia esterna, laddove essa poteva essere
intercettata.
Il compito di mediare tra l’una (la domanda) e l’altra
(l’offerta) venne assunto dai mercanti, già presenti nella
LE VIE COMMERCIALI
società, ma che da ora acquisirono un ruolo
TRA L’EGITTO ED IL VICINO ORIENTE
particolarmente importante sotto il profilo economico
e, in prosieguo di tempo, anche finanziario.
Questi, infatti, si arricchirono enormemente e col tempo accumularono una tale ricchezza mobile da sentire la necessità
d’investirla a sua volta per realizzare ulteriori profitti.
Nacque così l’economia finanziaria. I mercanti svolsero una grandissima funzione nel
processo di civilizzazione, in quanto col commercio a distanza resero possibile la
conoscenza e l’interscambio culturale, oltre che economico, tra popoli diversi. Senza
di loro, questo processo sarebbe stato molto più lento e difficile.
Tale scambio avveniva in modo diretto, col baratto, cioè merce in cambio di altra merce.
Tuttavia è proprio grazie all’esperienza dei mercanti che nacque la moneta, come
mezzo capace di sostituire il ben più difficoltoso e limitante baratto.
Attribuendo un valore, reale o nominale, ad un oggetto specifico garantito da uno Stato,
ma semplice e leggero come la moneta, si poteva con esso acquistare qualsiasi cosa
d’equivalente valore.
Certo, non si giunse presto a tale soluzione, ma la strada venne aperta proprio dalle precoci sperimentazioni dei mercanti
e fiorì anch’essa nel corso del I millennio a.C.
In sostanza, ciò che avvenne tra la seconda metà del IV e gli inizi del III millennio a.C. nell’area considerata, fu che, in un
arco di tempo incredibilmente breve, rispetto ai lentissimi tempi della preistoria, le innovazioni prodotte in un luogo si
trasmisero in tutto il suo spazio, ed oltre, provocandone reazioni dialettiche che generarono un circolo virtuoso
stravolgente.
L’uomo, da specie animale che occupava alcune nicchie dei vari ecosistemi terrestri, si avviò a diventare il signore della
terra ed il protagonista della Storia.
22
Book in
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Storia Antica - primo anno
Definito così il contesto territoriale ed i caratteri fondamentali delle origini del processo storico, accingiamoci a determinare
l’ambito cronologico del quale parleremo, che risulta compreso tra la seconda metà del IV millennio a.C. ed il 331 a.C.,
anno in cui Alessandro Magno conquistò l’Impero Persiano, sconfiggendo definitivamente Dario III a Gaugamela.
È un periodo di ben tremila anni, molto lungo dal punto di vista storico, se consideriamo che la Storia, come noi la
definiamo (dalla nascita della scrittura ai giorni nostri), si aggira intorno ai cinquemila anni. In questo periodo è ovvio che
i soggetti collettivi (gruppi umani, popoli e nazioni) siano stati molti, interagendo gli uni con gli altri e succedendosi
diacronicamente. In tale complessità è facile perdere sia il filo della narrazione sia quello della comprensione, perciò serve
fare delle scelte semplificative che consentano di raccontare il tutto in estrema sintesi, cogliendone solo gli aspetti
essenziali. In questa direzione, può essere d’aiuto il lavoro di un grande studioso italiano della materia, Sabatino Moscati,
che in una sua opera magistrale propone la seguente scansione del succedersi logico e cronologico dei principali soggetti
collettivi coinvolti:
PROTAGONISTI
(dalla fine del IV millennio in avanti)
CATALIZZATORI
(dal II Millennio)
SINTESI (I millennio a.C.)
MESOPOTAMIA
Sumeri
Babilonesi ed Assiri
EGITTO
Egiziani
ANATOLIA
Hittiti
MESOPOTAMIA Nord-est
Hurriti
SIRIA - PALESTINA
Cananei (i più antichi abitatori)
SIRIA occidentale
Aramei
PALESTINA
Ebrei
PERSIA
Persiani
Questa suddivisione della materia può essere molto utile ai fini pratici di cui abbiamo detto, ma occorre non considerarla
rigidamente, altrimenti potrebbe prestarsi ad equivoci ed errori. Solo alla fine dello studio della presente UdA, apparirà
del tutto chiaro il senso di questa schematizzazione.
23
Storia Antica - primo anno
LA MESOPOTAMIA
DALLE CITTÀ-STATO AI PRIMI IMPERI (3500-1600 A.C)
IL TERRITORIO
Gli antichi Greci chiamavano Mesopotamia quel territorio
del Vicino Oriente (corrispondente all’Iraq più parte della
Sira a Nord) delimitata dai fiumi Tigri, ad Est, ed Eufrate,
ad Ovest. Il nome dell’area infatti significa proprio “terra in
mezzo ai fiumi” (da mesos, che significa in mezzo, e
potamòs, che significa fiume). Essa costituisce la zona
orientale della Mezzaluna fertile, comprendente anche
Egitto ed Anatolia.
Fino al 10.000 a.C. la regione era ricoperta da foreste e
vaste praterie e poteva beneficiare di abbondanti piogge.
Vi abitavano gruppi di cacciatori seminomadi, i cui resti
sono stati rinvenuti in caverne. Successivamente il clima
divenne arido, costringendo gli uomini a fissare i loro
insediamenti lungo il corso del Tigri e dell’Eufrate fino alla
zona della bassa Mesopotamia, dove si trova la foce dei due fiumi, che si riversano nel Golfo Persico.
La bassa Mesopotamia è una nicchia di vaste dimensioni, ma ha un territorio scarsamente ospitale, se non viene
adeguatamente attrezzato. Il Tigri e l’Eufrate, con le loro periodiche alluvioni, nella stagione di piena rendono acquitrinoso
il paesaggio, caratterizzandolo con acque ristagnanti e terreni troppo impregnati. Inoltre la zona è molto lontana da
territori che producono materie prime (metalli, pietre dure, legname), utili anche per la costruzione di attrezzi. Viceversa,
se opportunamente attrezzata, la bassa Mesopotamia offre enormi vantaggi, in quanto il terreno, quando viene ben
drenato, consente un rendimento molto alto della cerealicoltura e i fiumi possono costituire una via di collegamento per
gli scambi delle merci. Per questo la colonizzazione dei nuovi territori, dove sorsero villaggi di agricoltori, indusse le
antiche popolazioni mesopotamiche ad effettuare opere locali di intervento sull’ambiente: le acque dei fiumi
incominciarono ad essere incanalate, per poter irrigare anche le terre più aride e sabbiose e drenare quelle paludose;
vennero inoltre selezionate nuove specie di piante alimentari: la palma, il grano e l’orzo e si incominciarono a lavorare i
metalli.
Con il passare del tempo, le innovazioni tecniche ed il progressivo controllo
dell’uomo sull’ambiente, consentirono l’aumento della rendita agricola, in
grado anche di produrre eccedenze.
Nel territorio mesopotamico si sviluppò così la cultura Ubaid (5.300- 4.000
a.C), una cultura protostorica, che si estese fino al sud dell’Anatolia. Ma il
vero e proprio sviluppo della zona iniziò, intorno al 3.000 a.C., quando nel
territorio si affermò la civiltà sumera, a cui si deve anche l’invenzione della
prima forma di scrittura, la cosiddetta scrittura cuneiforme, che diede
l’avvio alla storia dell’umanità.
Da questo momento la civiltà mesopotamica rimase indipendente fino al
550 a.C., quando fu assoggettata dai Persiani. La sua storia si snoda
quindi per un periodo di circa duemilacinquecento anni, contraddistinto
dall’avvicendamento di differenti popolazioni che, tuttavia, almeno dal
punto di vista culturale, costituirono un insieme complessivamente
unitario.
LESSICO
Mezzaluna fertile: questa regione storica viene spesso indicata come la "culla della civiltà", per l’importanza che
ha avuto nello sviluppo della storia umana dal Neolitico all'Età del Bronzo e del Ferro. Fu infatti nelle valli fertili dei
quattro grandi fiumi del territorio (Nilo, Giordano, Tigri ed Eufrate) che si svilupparono le prime civiltà dell'Antichità.
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Book in
progress
Storia Antica - primo anno
I SUMERI E LA RIVOLUZIONE URBANA
La terra di origine dei Sumeri è ancora sconosciuta; è certo però che non erano una popolazione di stirpe semitica.
Forse provenivano dai monti Zagros dell’altopiano iranico o dalle regioni occidentali dell’India. Non è neppure sicuro che
il loro arrivo in Mesopotamia sia stato il risultato di un fenomeno migratorio massiccio precisamente databile e non
piuttosto una lenta e progressiva infiltrazione ed integrazione in un territorio dove già esistevano popolazioni che, come
abbiamo detto, avevano raggiunto un discreto sviluppo organizzativo. Sappiamo però che proprio i Sumeri, a partire dal
IV millennio a.C., trasformarono il piccolo centro di Uruk, sulle rive meridionali dell’Eufrate, in una vera e propria città,
iniziando così quel fondamentale fenomeno storico definito rivoluzione urbana, che non solo portò alla nascita di molte
altre città, ma causò mutamenti davvero rivoluzionari anche in ambito sociale e politico.
La rivoluzione urbana fu innanzitutto resa possibile dal continuo
aumento della produttività agricola, già avviata in epoca pre-sumerica,
che assicurò alla popolazione una continua disponibilità di eccedenze
alimentari. Grazie ad essa non tutti gli abitanti del territorio erano
costretti a dedicarsi al lavoro nei campi per poter provvedere al loro
sostentamento ed alcuni di loro poterono così intraprendere mansioni
più specialistiche (funzionari, mercanti, artigiani), andando a vivere
proprio nelle città, mentre nei villaggi e nelle campagne continuarono
a risiedere e a lavorare i produttori di alimenti. I primi, attraverso un
sistema di distribuzione centrale che avremo modo di illustrare,
davano agli altri il cibo; i secondi garantivano agli agricoltori servizi e
manufatti.
La città diede anche origine allo Stato, inteso come organizzazione
che controlla stabilmente un territorio, con la relativa stratificazione
socio-economica.
Il primo periodo sumerico (2.900- 2750 a.C.) vide sorgere e
SUMERIA
prosperare come unico centro la città di Uruk; successivamente
LE
PRINCIPALI
CITTA’
vennero fondate altre città, con potenzialità e dimensioni equivalenti
e spesso in rapporto competitivo fra loro: Ur, Eridu, Lagash, Umma, Nippur, Kish furono le più importanti.
Le organizzazioni cittadine si fecero carico anche dello scavo e della gestione dei canali, effettuando opere ben più
complesse delle prime sistemazioni idriche, che erano locali e di modesto impiego tecnico.
I Sumeri diedero origine ad una costellazione di città-stato, talvolta in guerra fra loro, talvolta unite da alleanze. Durante
il governo di re forti ed autorevoli il territorio riuscì a raggiungere una certa compattezza politica, come avvenne nel
periodo di Lugalzaggisi, re di Uruk, che verso il 2.460 a.C. riuscì a conquistare le città di Ur, Lagash, Larsa, Umma,
Nippur, l’Elam e la Siria, fondando un vero e proprio regno sumerico. Con questo sovrano per la prima volta si manifestò
una concezione politica di più ampio respiro, ormai improntata all’idea di un vasto impero, riunito sotto un unico scettro
che governava i popoli della Mesopotamia e quelli della zona siriaca.
LESSICO
Stirpe semitica: si intendono tutti quei popoli che parlano, o hanno parlato, lingue collegate al ceppo linguistico
semitico (tra questi Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi)
IL GOVERNO DELLE CITTA’
Non è da escludere che all’inizio la sovranità fosse detenuta da
un’assemblea di cittadini, chiamata a decidere su questioni riguardanti
la pace e la guerra. La successiva evoluzione politica portò però
all’affermazione di re.
Ogni città aveva un dio protettore ed i sovrani venivano ritenuti gli
intermediari fra la divinità e gli uomini.
Per questo il potere si configurò sempre in modo teocratico ed
anche le loro azioni di governo rispondevano spesso a finalità
religiose, volte a garantire la protezione del dio sulla città.
Stendardo di ur - Faccia della Pace
25
Storia Antica - primo anno
I re, infatti, erano promotori della costruzioni di templi,
come anche delle numerose opere di canalizzazione,
indubbiamente utili per contenere le violenze delle
piene e per l’irrigazione, ma concepite anche per dare
prosperità al popolo che la divinità proteggeva. Ai re
spettava anche il compito di organizzare la difesa da
attacchi esterni.
Poli decisionali delle città sumere erano il tempio ed il
palazzo reale. Il primo, costruito a forma di piramide a
Stendardo di ur - Faccia della Guerra
gradinate (ziggurat) era innanzitutto la casa del dio e
la sede di attività relative al culto. L’altro era la casa del re. Entrambi avevano anche funzione economica, in quanto
comprendevano ampi magazzini, dove venivano accumulate le eccedenze agricole, e botteghe artigiane.
La proprietà privata era quasi inesistente e tutte le risorse erano amministrate dai sacerdoti del tempio e dai funzionari
reali; essi assegnavano ai contadini le terre da lavorare,
organizzavano, registravano e distribuivano le eccedenze al resto
delle popolazione. I prodotti della terra venivano infatti portati al
tempio, dove gli amministratori, laici e religiosi, li dividevano in
base alle esigenze delle varie componenti della società
(professionisti, guerrieri, artigiani e contadini). Lo stesso accadeva
ZIGGURAT DI UR
per i prodotti lavorati, dalle armi agli utensili.
La base dell’economia era costituita dalla coltivazione di cereali, orzo soprattutto, e palme da datteri; importante anche
l’allevamento, che forniva la materia prima per l’unica manifattura praticata su ampia scala: quella tessile. Secondaria la
pesca.
LESSICO
Teocratico: Concezione per cui il potere di un sovrano è strettamente connesso con quello divino o perché
concesso dalla divinità al sovrano o perché il sovrano è egli stesso un dio.
LA STRUTTURA SOCIALE
La struttura sociale sumerica era di tipo
piramidale, non però costituita da caste
chiuse; era perciò possibile migliorare la
propria condizione sociale.
Oltre agli amministratori del re ed ai
sacerdoti, la classe dirigente comprendeva
gli ufficiali dell’esercito e gli scribi, depositari
della pratica della scrittura, fondamentale
per permettere un efficiente funzionamento
di un tale apparato redistributivo accentrato.
Il resto della popolazione era costituito dai
lavoratori (artigiani, contadini, professionisti,
mercanti), considerati uomini liberi. Gli
schiavi occupavano il posto più basso della
piramide. Potevano diventare schiavi i
prigionieri di guerra, gli indebitati, coloro che
erano stati venduti dai genitori o chi aveva
recato danno ad altri e non era in grado di
risarcire. Non si ha notizia di maltrattamenti
PIRAMIDE SOCIALE SUMERICA
verso gli schiavi e i loro figli nascevano liberi.
Le donne sumeriche godevano di una sostanziale parità rispetto agli uomini. Non erano rari i casi di donne al vertice
dell’ordinamento sacerdotale del tempio e le fonti confermano che, in caso di morte del marito, la moglie ne subentrava
nei diritti, compreso quello di vendita dei figli.
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progress
Storia Antica - primo anno
I SUMERI INVENTANO LA SCRITTURA
Furono i Sumeri ad ideare e ad utilizzare la prima forma di scrittura,
le cui testimonianze più antiche risalgono alla fine del IV millennio
a.C. La sua invenzione è da attribuirsi a necessità contabili, in
quanto era necessario registrare le entrate e le uscite dei prodotti
che affluivano nei magazzini del tempio e del palazzo. Per questo si
pensò di ideare dei segni pittografici, ossia dei disegni schematici,
che rappresentavano un determinato prodotto. Il frumento, per
esempio, veniva indicato con una serie di spighe. Tale tipo di grafia
elementare aveva però una serie di limiti, in quanto non permetteva
di esprimere concetti astratti e non prevedeva segni che
rappresentavano i predicati. Con il tempo si passò quindi ad una
scrittura fonetica, utilizzando segni convenzionali (sillabogrammi) che
indicavano le sillabe delle parole.
I segni venivano incisi su tavolette di argilla, utilizzando la punta affilata di una cannuccia; assomigliavano alla forma di
un chiodo o cuneo, per questo la scrittura sumerica viene chiamata cuneiforme.
Con l'avvento delle popolazioni semitiche, agli inizi del II millennio a.C., ed il conseguente tramonto della civiltà sumerica,
la scrittura cuneiforme fu appresa e utilizzata anche dai Babilonesi e dagli Assiri.
Rispetto alle attuali scritture alfabetiche, quella sumerica era molto più complessa da apprendere, divenne perciò
patrimonio di una precisa classe professionale: quella degli scribi. In origine essi erano addetti alla registrazione contabile
del tempio, in seguito vennero anche utilizzati per assolvere ad altri scopi pratici utili alla comunità: scrivere atti giuridici
o contratti, redigere lettere, diramare ordini, calcolare opere di ingegneria. Presso i Sumeri esistevano scuole in cui gli
aspiranti scribi imparavano a leggere e a scrivere ed il loro corso di studi durava per circa vent’anni. Con il passar del
tempo esse incominciarono ad essere frequentate anche da sacerdoti, funzionari statali, medici ed amministratori, in
quanto per tutti loro la conoscenza della scrittura divenne un requisito fondamentale per poter esercitare la propria
professione.
I Sumeri parlavano una lingua differente rispetto a quella degli altri popoli che si insediarono in Mesopotamia ed è stato
possibile comprenderla grazie ad iscrizioni bilingue scritte in sumerico e in babilonese. Con l’avvicendamento nella zona
di altre civiltà, l’antico sumerico non venne più parlato, ma continuò ad essere utilizzato per la redazione di alcuni testi
scritti, in quanto era ritenuto la lingua della scienza e della cultura. Si verificò così un fenomeno linguistico del tutto
analogo all’uso del latino in età medievale in molti territori del continente europeo. Ciò, fra l’altro, è un’ulteriore conferma
del fatto che i popoli mesopotamici ritrovavano nella cultura sumerica le radici della loro civiltà.
ACCADI, GUTEI E LA RINASCITA NEOSUMERICA
Questo regno unificato cadde intorno al 2370 a.C. con l’arrivo degli Accadi, un popolo di origine
semitica che si era insediato nella parte centrale della Mesopotamia, costituendo un regno con
capitale Akkad.
Fondatore dell’impero accadico fu re Sargon, che dopo aver conquistato il territorio sumerico
governato da Lugalzzagisi, promosse una serie di altre campagne militari, costruendo un impero
che si estendeva dalla Siria al Golfo Persico e dal Mar Rosso alle alture della Persia.
Nella storia orientale si affermava così un tipo di ideologia imperiale destinato ad avere fortuna
anche nei successivi avvicendamenti che contraddistinsero la zona.
Essa si basava sul principio che il compito storico di un sovrano forte e potente fosse quello di
porre sotto il suo dominio tutti i popoli circostanti.
La dinastia di Akkad tenne il controllo della Mesopotamia per quasi due secoli, poi i territori
RE SARGON I
vennero conquistati dai Gutei, una popolazione nomade e selvaggia che proveniva dall’altopiano
DI AKKAD
iranico.
E’ probabile che il loro dominio fosse maggiormente accentrato nella Mesopotamia centrale, più vicina alla loro zona di
provenienza, mentre le città sumeriche del sud riuscirono a recuperare la loro indipendenza, dando origine ad un nuovo
periodo di splendore definito neosumerico.
In quest’ultima fase si distinse la città di Ur, che con la sua III dinastia, fondata dal Re Ur-Nammu, riuscì temporaneamente
a riottenere il controllo di tutta la Mesopotamia, garantendo alla zona uno straordinario sviluppo culturale ed economico.
27
Storia Antica - primo anno
STELE DI UR-NAMMU
Fondatore della dinastia
di UR
I monarchi di Ur, a differenza degli Accadi che avevano lascito ampie autonomie ai territori
conquistati, costituirono un impero accentrato diviso in province, ognuna della quali era affidata
ad un governatore di nomina regia.
Il secondo periodo della civiltà sumerica fu però relativamente breve, in quanto intorno al 2.000
a.C. la Mesopotamia cadde nuovamente sotto il controllo dei Semiti. I nuovi conquistatori erano
gli Amorrei, provenienti dalla Siria. Erano tribù di nomadi bellicosi, con un livello culturale assai
inferiore rispetto a quello dei popoli mesopotamici, come ci conferma anche la loro descrizione
in un mito sumerico:
- L’amorreo che scava tartufi ai piedi dei monti
- Che non piega le ginocchia
- Che mangia carne cruda
- Che durante la vita non ha casa che dopo la morte non ha sepoltura.
Il loro arrivo portò a definitivo compimento la fusione delle genti sumeriche con i Semiti, da cui
ebbe origine la splendida civiltà babilonese.
IL PRIMO IMPERO BABILONESE
Dopo la conquista amorrea, la regione venne travagliata da guerre, poiché i nuovi dominatori non furono in grado di
organizzare un regno centralizzato, favorendo la rinascita delle varie città che, approfittando della debolezza della
monarchia, iniziarono a combattersi per imporre la propria egemonia. In Mesopotamia nacquero così molti regni, che si
affermavano e soccombevano in tempi brevi. Fra questi c’era anche quello fondato presso la città di Babilonia. Nel XVIII
secolo a. C., durante il regno del re Hammurabi, esso divenne una delle maggiori potenze dell’antico Oriente.
Dopo un primo periodo di pace, Hammurabi iniziò una risoluta politica di conquista, che gli consentì di estendere il suo
dominio su tutta la valle del Tigri e su parte di quella dell’Eufrate. Babilonia divenne il centro politico e culturale della
Mesopotamia; il suo dio protettore, Marduk, cominciò ad essere adorato in tutta la regione. Hammurabi si dedicò con
straordinario impegno all’amministrazione del suo impero, eliminando definitivamente ogni velleità indipendentistica delle
antiche città-stato. I centri urbani divennero semplici capoluoghi di provincia e sedi amministrative di un Paese che
politicamente costituiva una compagine unitaria. Il sovrano nominava personalmente i governatori delle città, i quali erano
tenuti a riferire direttamente al re sul loro operato. È infatti giunta sino a noi la vasta corrispondenza di Hammurabi, che
tramite continue lettere prendeva conoscenza e si intrometteva direttamente negli affari dei suoi stessi governatori.
Il periodo di Hammurabi segnò dunque il rafforzamento della posizione dello Stato e la centralizzazione politica operata
dal sovrano andò a discapito anche di alcuni poteri che fino a quel momento erano esercitati dai templi; i giudici templari
vennero infatti sostituiti da giudici del re ed ai templi si tolse il possesso delle terre, che divennero proprietà del palazzo,
il quale le distribuiva poi ai suoi dipendenti (soldati e funzionari).
L’economia passò dunque sotto il controllo del sovrano, riprendendo così l’antica impostazione sumerica dello Stato
quale principale detentore delle risorse e regolatore della vita produttiva e sociale. Tale impostazione, dettata anche dalla
necessità di controllare le acque e di ampliare le opere di canalizzazione, si era infatti notevolmente allentata dopo il
crollo dell’impero di Ur, quando la generale situazione di anarchia aveva permesso ai privati e alla potente casta
sacerdotale di impadronirsi e di gestire le risorse.
Ma l’impero di Babilonia iniziò a subire un progressivo processo di decadenza già subito dopo la morte del grande
sovrano; il suo successore Samsuiluna dovette affrontare un tentativo di invasione da parte dei Cassiti, una bellicosa
popolazione proveniente dai monti iranici, che successivamente sarebbe riuscita a stabilirsi in Mesopotamia. Di questa
situazione di debolezza approfittarono alcune città meridionali che, unendosi in leghe, tentarono di porre fine al dominio
di Babilonia. Nel 1595 a.C. Babilonia venne saccheggiata dagli Hittiti, una popolazione che aveva dato vita ad un vasto
impero nella penisola anatolica. Dopo aver messo a ferro e fuoco la città, gli Hittiti si ritirarono, aprendo la strada alla
conquista dei Cassiti, che detennero il dominio della Mesopotamia fino al XII secolo a.C., quando vennero conquistati
dagli Assiri.
IL CODICE DI HAMMURABI
Il nome di Hammurabi è legato anche ad un famoso codice, in passato ritenuto la prima raccolta di disposizioni legislative
scritte della storia; oggi si sa che ve ne furono di più antichi, poiché sempre in area mesopotamica sono stati ritrovati
frammenti di codici risalenti a tre secoli prima del regno di Hammurabi.
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Book in
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Storia Antica - primo anno
La stele del codice, alta più di due metri, conservata al museo del Louvre di Parigi, é in diorite nera ed il testo è scritto
in carattere cuneiforme. Si ritiene che fosse esposta a Sippar nel tempio di Shamash, dio del Sole e della giustizia; o
forse a Babilonia. Venne però ritrovata a Susa nel 1902, probabilmente giunta lì come bottino di guerra dopo una
conquista.
Il codice di Hammurabi si differenzia da quelli moderni, in quanto non è una
vera e propria raccolta di leggi, ma piuttosto di sentenze eterogenee che il re
indicava per regolare controversie di varia natura, riguardanti moltissime
situazioni dell’umana convivenza: la famiglia, il commercio, la proprietà,
l’amministrazione, il diritto penale.
Il testo del codice si apre con un prologo e si conclude con un epilogo.
Dall’epilogo e dal prologo si capisce che uno dei principali intenti del codice
era di natura propagandistica, cioè volto a dimostrare quanto fosse
giustamente governato l’impero babilonese sotto Hammurabi. Il sovrano infatti
si presenta come re prescelto dagli dei per garantire la giustizia, la prosperità
del Paese, il benessere del popolo e la difesa del debole dall’oppressione del
forte. Il fatto che la stele fosse eretta in un tempio, e quindi fosse pubblicamente
consultabile, riveste una straordinaria importanza, in quanto dimostra che essa
doveva costituire un punto di riferimento a cui tutti dovevano richiamarsi. Per
la prima volta nella storia dell’umanità i comportamenti sanzionabili venivano
portati a conoscenza dei sudditi, in modo che essi avessero la possibilità di
rapportare la propria condotta alle leggi del sovrano, evitando i comportamenti
che la legge sanzionava oppure scegliendo di attuarli, ma nella consapevolezza
di poter incorrere in pene. L’esposizione pubblica del codice affermava pertanto
il principio della conoscibilità della legge, alla base della moderna legislazione.
Codice di Hammurabi
Il codice è fonte preziosa anche perché offre un affresco completo sulla società
ai tempi di Hammurabi. Da esso apprendiamo che tre erano le classi sociali: quella dei liberi, quella dei semiliberi e quella
degli schiavi. L’ultima categoria non pone alcun problema di identificazione, indicando individui appartenenti ad un’altra
persona, che esercitava su di loro poteri assoluti, compreso quello della vita. Si acquisivano come bottino di guerra o
attraverso l’acquisto in Paesi stranieri. I Mesopotamici non potevano diventare schiavi, esisteva però l’asservimento per
debiti anche per lunghi periodi, che tuttavia non toglieva agli individui alcuni loro diritti di cittadini mesopotamici.La
distinzione fra liberi e semiliberi risulta invece più complessa e ha dato luogo a diverse interpretazioni. La differenza
fondamentale che li contraddistingueva è sostanzialmente economica, perché i semiliberi, a differenza dei liberi, non
erano detentori di propri mezzi di produzione, quindi dipendevano dallo Stato per il loro sostentamento e per questo
godevano di un prestigio minore rispetto agli altri.
In campo penale compare la legge del taglione (occhio per occhio dente per dente), probabilmente di origine amorrea, poiché
le pene del periodo sumerico ed accadico si richiamavano invece al principio del risarcimento pecuniario. In base ad essa chi
subiva un’ offesa poteva restituire all’offensore un danno uguale rispetto a quello subito, ma la perfetta corrispondenza fra
l’entità dell’ offesa e quella della vendetta era autorizzata tra individui appartenenti alla stessa classe. Se, ad esempio, una
persona di un ceto inferiore veniva privata di un occhio da un libero, non poteva accecare un occhio dell’offensore, come
invece sarebbe stato permesso fra individui liberi, ma doveva accontentarsi di un risarcimento pecuniario.
Il codice aboliva le vendette private, in vigore invece presso altre civiltà, ed è questo un altro aspetto di “modernità”
della stele ritrovata a Susa. Lo Stato infatti subentrava all’individuo per punire l’ingiustizia, mettendo fine alle faide.
Molte punizioni del codice risultano particolarmente violente e la stessa pena di morte veniva prevista con una certa
facilità, si ha tuttavia l’impressione che tutto ciò fosse più che altro concepito come un deterrente.
Le sanzioni non prevedevano la valutazione della responsabilità personale e pertanto punivano con la stessa pena chi
aveva ucciso intenzionalmente e chi involontariamente. Così perciò doveva essere ucciso l’architetto costruttore di una
casa che era successivamente crollata, causando la morte di chi l’abitava.
LESSICO
Conoscibilità della legge: con questa espressione si intende che lo Stato deve dare ai cittadini la possibilità di
venire a conoscenza delle leggi, in modo che essi sappiano a cosa sono assoggettati.
Faide: lotta privata fra individui, famiglie e gruppi rivali, alimentata da vendette o ritorsioni.
29
Storia Antica - primo anno
LA RELIGIONE DEI SUMERI E DEI BABILONESI
Presso i Sumeri la religione non era solo una forma di devozione, ma
rivestiva anche un ruolo fondamentale nell’organizzazione politica e sociale.
Si è visto infatti che il potere politico ed economico veniva esercitato in nome
del dio protettore, che variava in ogni città-stato. A lui erano innalzati i
caratteristici templi a gradoni, detti ziqqurat, e una numerosa e potente
casta sacerdotale provvedeva al suo culto.
Oltre alle differenti divinità cittadine, la religione sumerica si configurava
come un politeismo naturistico, da cui dipendeva anche la fertilità della
terra, essenziale per garantire la prosperità della popolazione. La triade
cosmica, alla quale era attribuita anche l’origine del mondo, era composta
da Anu, dio del cielo, Enlil, signore del vento e delle tempeste, ed Enki, la
divinità della terra. Era adorata anche la triade degli astri: la luna (Nanna), il
sole (Utu) e la stella Venere (Innin) . Le divinità si configuravano con
caratteristiche antropomorfiche: sembianze umane, vincoli di parentela,
passioni, diversificazioni di sesso. Solo l’immortalità e l’assoluta potenza li
contraddistingueva rispetto all’umanità.
Quando ai Sumeri subentrarono i Babilonesi, nel pantheon si verificò un
significativo cambiamento. Ciò avvenne soprattutto durante l’epoca di
Hammurabi e la svolta teologica rifletteva la nuova situazione politica,
caratterizzata dall’unificazione del Paese, che tolse ogni importanza di
governo alle città-stato. Assunse infatti un ruolo centrale il dio Marduk,
protettore di Babilonia, e le singole divinità cittadine persero la loro
importanza. Questa trasformazione religiosa ribadiva il primato assoluto ed
accentratore della città di Babilonia, che era riuscita ad imporre il suo potere
su tutta l’antica terra di Sumer. Fra gli altri dei assunsero importanza quelli
delle genti amorree, fra cui: Shamash, dio del sole e della giustizia e Isthar,
dea della luna e della fertilità.
Sumeri e Babilonesi credevano che il mondo fosse popolato da demoni:
alcuni buoni proteggevano i raccolti, gli uomini e i templi; altri malvagi erano
ritenuti la causa di paure e di sofferenze. Si riteneva che essi fossero spiriti
di defunti inquieti, che vagavano nelle tenebre e nei deserti. Per cercare di
contenere i loro influssi negativi l’unica possibilità erano gli scongiuri e le arti
magiche praticate dai sacerdoti.
Per interpretare il futuro e la volontà degli dei i sacerdoti sumerici e
babilonesi praticavano la divinazione, spesso basata sull’esame del fegato degli animali. Ci sono pervenute numerose
riproduzioni sumeriche di fegati realizzati con l’argilla, divisi in parti ed annotati con scritte per spiegare il significato di
ciascuna.
Soprattutto presso i Babilonesi tale pratica contribuì alla fioritura dell’astronomia, poiché il movimento degli astri, i loro
incontri, le loro posizioni al momento della nascita di un individuo erano ritenuti elementi fondamentali per la lettura del
futuro. In cima ai templi funzionavano veri e propri osservatori, in cui gli astronomi registravano il corso degli astri,
riuscendo pure a predire le eclissi. E così l’astronomia si congiungeva indissolubilmente con l’astrologia.
A differenza di quanto avvenne in Egitto, per le civiltà mesopotamiche l’oltretomba non rivestiva un ruolo fondamentale,
né veniva considerato in modo positivo. Era infatti un luogo dominato dalla tristezza, dove dimoravano infelici parvenze
di vita. Solo l’esistenza terrena era ritenuta la dimensione migliore per gli uomini, come conferma anche il mito di
Gilgamesh.
LESSICO
Politeismo naturistico: religione in cui si adorano molte divinità che sono personificazioni di elementi e forze della
natura
Pantheon: con questo termine nell’antica Roma si chiamava il tempio dedicato a tutti gli dei (da pan: tutto e theòs:
dio). Il termine si usa anche per indicare l’insieme delle varie divinità di una religione politeista.
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Storia Antica - primo anno
LABORATORIO
1) Rispondi alle seguenti domande:
- Illustra il rapporto che esiste fra sviluppo dell’agricoltura e rivoluzione urbana.
- Quali funzioni rivestiva il tempio nelle città sumere?
- Come è nata e come si è evoluta la scrittura?
- Cosa avvenne con la rinascita neosumerica?
- Per quale motivo le conquiste del re Sargon segnarono un rilevante cambiamento politico nei territori del Vicino Oriente?
- Istituisci un confronto tra la religione dei Sumeri e quella dei Babilonesi, mettendone in evidenza analogie e differenze.
- Quali interventi consentirono ad Hammurabi di rafforzare il suo potere e di governare la Mesopotamia in modo
centralizzato?
2) Attribuisci ad ogni civiltà le informazioni corrette. Attenzione: ci sono degli intrusi.
CIVILTA’
INFORMAZIONI
SUMERI’
ACCADI
BABILONESI
1) Vennero sconfitti dai Gutei.
2) Permettevano agli schiavi di partecipare alla vita politica.
3) Presso di loro era pressoché inesistente la proprietà privata
4) Sconfissero re Lugalzzagisi
5) Adoravano il dio Marduk
6) Deportavano i popoli conquistati
7) Fondarono la città di Uruk
8) Conquistarono l’Egitto
9) Vennero sconfitti dai Cassiti
10) Nei loro tempi si trovavano anche magazzini per la raccolta dei prodotti agricoli.
11) Un loro re tolse le terre ai templi
12) Nella loro società le donne non vivevano segregate
13) I nobili erano i proprietari delle terre
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Storia Antica - primo anno
3) Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e riscrivi correttamente quelle sbagliate
a)
Fra i Sumeri solo i sacerdoti sapevano scrivere, per registrare i prodotti portati al tempio
V
F
b)
Nel periodo amorreo si completò la fusione fra Sumeri e Semiti
V
F
c)
Il codice di Hammurabi riconosceva l’uguaglianza
V
F
d)
Con i re della dinastia di Ur si verificò un periodo di decadenza
V
F
e)
Il re sumero era anche intermediario del dio Marduk
V
F
d)
Per molti secoli i Sumeri dominarono tutta la Mesopotamia con un potere accentrato
V
F
4) Spiega il significato dei seguenti termini ed espressioni
Mezzaluna fertile ...........................................................................................................................................................
Scriba ...........................................................................................................................................................................
Pittogramma .................................................................................................................................................................
Ziqqurat ........................................................................................................................................................................
Rivoluzione urbana .......................................................................................................................................................
Cosmogonia .................................................................................................................................................................
5) Metti in ordine cronologico i seguenti fatti:
- Gli Amorrei conquistano la Mesopotamia.
- Regno di Lugalzzagisi.
- Rinascita neosumerica.
- Sargon fonda l’impero accadico.
- I Gutei conquistano parte della Mesopotamia.
- I Sumeri iniziano la rivoluzione urbana.
- Regno di Hammurabi.
6) Attività di ricerca e approfondimento
Confronta il concetto di Giustizia che emerge dagli articoli del codice di Hammurabi con quello sancito dalla nostra
legislazione.
32
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Storia Antica - primo anno
L’ ANTICO EGITTO
GEOGRAFIA ED AMBIENTE DELL’EGITTO
L’Egitto si colloca nell’estrema area nord-orientale del continente africano e comprende
anche un lembo di terra asiatica, la penisoletta del Sinai.
In Egitto l’ambiente è caratterizzato, fondamentalmente, dalla compresenza del deserto
sahariano e del Nilo, cioè della manifestazione più eclatante dell’aridità sulla terra con uno
dei più grandi corsi d’acqua che esistano al mondo.
Ciò genera uno stridente contrasto ambientale, tra
un’area tremendamente ostile alla vita ed una fascia
talmente favorevole ad essa da pullularne.
L’ecosistema egiziano non è rimasto sempre lo stesso
nel corso della storia, perché ha subito una serie di
modifiche dovute sia a cause naturali sia all’intervento umano.
Il dato essenziale dell’ambiente egiziano si evince dalla famosa affermazione che
Erodoto scrisse circa venticinque secoli fa: «L’Egitto è un dono del Nilo». Infatti, il Nilo
porta l’acqua, nell’arido deserto, rendendo possibile l’esistenza di numerosissime
specie animali e vegetali.
Ogni anno, da giugno a settembre, il Nilo straripa lentamente; poi, di
nuovo lentamente, si ritrae nel suo letto, lasciando sul terreno
asciutto una fertilissima fanghiglia nera, detta limo, derivante dal
dilavamento delle terre vulcaniche etiopiche. In questo terreno
fecondo, l’uomo può seminare e raccogliere nelle stagioni successive
a quella dell’inondazione, ottenendo almeno un raccolto l’anno lungo
la valle ed anche tre raccolti l’anno nel Delta.
CRONOLOGIA
Il quadro cronologico di riferimento per lo studio della Civiltà egizia risale proprio ad un antico sacerdote egiziano,
Manetone, vissuto tra la fine del IV e la prima metà del III secolo a.C., che scrisse una storia dell’Egitto in greco.
Purtroppo essa andò persa ed oggi è ricostruibile solo in parte grazie agli stralci, più o meno manipolati, presenti in
alcune opere di autori successivi. Ovviamente, vi si riscontrano molti errori, ma gli studi moderni ne hanno confermato
la generale validità, sicché quasi tutti gli egittologi hanno deciso di continuare a servirsene, sia pure con le modifiche e
le correzioni rese possibili dalle scoperte.
Tra queste ultime, un posto di primissimo piano per la definizione cronologica è occupato dalle “Liste dei re”: la Pietra di
Palermo, il Canone dei Re (o Papiro dei Re), la Tavola di Abido, la Tavola di Saqqara, la Tavola di Karnak (cfr.
approfondimenti).
Mettendo assieme la cronologia proposta da Manetone con i dati ricavati dai vari ambiti degli studi moderni, emerge la
seguente ripartizione cronologica:
PERIODI
PROTODINASTICO
ANTICO REGNO
PRIMO PERIODO INTERMEDIO
MEDIO REGNO
SECONDO PERIODO INTERMEDIO
NUOVO REGNO
ETÀ TARDA
Prima dominazione persiana
Seconda dominazione persiana
Epoca ellenistica
Dinastia tolemaica
Annessione all’Impero Romano
CRONOLOGIA
DINASTIE
0 - II
III - VI
VII - X
XI - XII
XIII - XVII
XVIII - XX
XXI - XXX
ANNI
3500-2850 a.C.
2850-2181
2181-2133 a.C.
2133-1786 a.C.
786-1570 a.C.
1570-1070 a.C.
1070-341 a.C.
525-404 a.C.
341-332 a.C.
332-304 a.C.
304-30 a.C.
Dal 30 a.C.
33
Storia Antica - primo anno
PRINCIPALI VICENDE STORICHE
Dopo la fase di popolazione del territorio, avvenuta nel periodo tardo preistorico, in
cui la popolazione si concentrò sulle rive del Nilo e nella zona del Delta, cominciò il
processo di unificazione del territorio in Stati regionali, detti nomoi, che, a loro volta,
si riunirono in due Regni: l’Alto Egitto (nella parte meridionale) e il Basso Egitto (nella
zona del Delta).
Per molto tempo è stato identificato con il faraone Menes il processo di unificazione
del Basso e Alto Egitto in un unico regno. In realtà non abbiamo certezza su qual sia
il primo faraone e su quando l’unificazione si sia realmente conclusa.
Nel periodo dell’Antico Regno la capitale viene posta a Menfi, alla fine della
lunghissima valle del Nilo ed all’inizio del delta, in una posizione da cui sarebbe stato
molto più facile avere il controllo delle Due Terre, il Basso e l’Alto Egitto. In questa
fase della storia egizia si verifica il progressivo accentramento del potere politico ed
Province del Basso Egitto
amministrativo nelle mani del faraone, monarca assoluto, considerato un dio vivente
che si concretizza nella costruzione delle grandi piramidi che sono rimaste come testimonianza della grandezza di questa
civiltà.
Tra l’Antico e il Medio Regno c’è una fase di crisi, detta Primo periodo Intermedio, caratterizzato da guerre civili, tensioni
sociali, recessione economica e incursioni di beduini, soprattutto nella zona del Delta.
Nel Medio Regno ripresero le attività produttive e venne riorganizzato l’apparato burocratico-amministrativo dello Stato,
dopo il periodo di crisi. Non vi fu una vera e propria politica espansionistica, ma venne riportata la pace all’interno e si
fecero delle campagne, non solo per assicurare i confini, ma anche per riprendere lo sfruttamento delle miniere che si
trovavano nelle regioni circostanti e per garantirne il flusso commerciale.
I faraoni della XII dinastia continuarono a ridurre il potere dei nomarchi, accentrando nelle proprie mani il potere, ben coadiuvati
da un apparato burocratico ed amministrativo efficientissimo, al quale, appena sotto al faraone, faceva capo il Visir.
Tra il 1786 e il 1575 una nuova crisi investe il Paese, che viene definita secondo periodo intermedio, caratterizzata da
un nuovo indebolimento del potere centrale di cui non conosciamo bene le cause.
In questo contesto, circa mezzo secolo dopo l’inizio della crisi, si inserisce la prima grande invasione straniera subita
dall’Egitto, di cui parlano le fonti storiche e di cui abbiamo sicuri riscontri archeologici. Ad invadere l’Egitto furono gli
Hyksos, termine che in egiziano significa “re pastori”.
Secondo il racconto di Manetone le popolazioni asiatiche si sarebbero riversate violentemente in Egitto, incapace di
difendersi, e dopo essersi comportate crudelmente avrebbero imposto tributi all’intero Paese. E, invece, più probabile
che si sia trattato di una infiltrazione lenta e progressiva e che gli invasori abbiano cercato di convivere pacificamente
con la popolazione indigena.
Agli Hyksos si suole attribuire l’introduzione in Egitto dell’uso del cavallo, del carro da combattimento, delle innovazioni
tecniche nel bronzo e nella tessitura, di un nuovo tipo di fortificazione. Non c’è, però una concordanza assoluta tra gli
studiosi.
Nel 1575 a.C. si completò il processo di liberazione dalla dominazione degli Hyksos ed ebbe inizio il Nuovo Regno.
Il Nuovo Regno rappresenta il periodo di massimo splendore dell’Antico Egitto, dopo l’opera di riunificazione operata da
Ahmose I.
E’ anche il periodo in cui l’Egitto raggiunge la sua massima
espansione, arrivando a comprendere un’area che andava dalla
Nubia fino al fiume Eufrate.
Centro della realtà politica e religiosa continua a essere Tebe,
sede del culto del dio Amon e del suoi sacerdoti il cui potere
aumenta progressivamente con l’aumentare della ricchezza del
Paese.
Tutta la prima parte del Nuovo Regno è caratterizzata da un
periodo di splendore economico e culturale e di stabilità, ma con
il faraone Amenothep IV si verifica una delle crisi interne, di
carattere religioso e politico, più discusse e controverse della
storia dell’Egitto e dell’antichità. Egli, infatti, impose il culto del
dio Aton (sole) come unica divinità, cambiando nome (prese il
Amenothep IV e Neferti sotto la protezione del dio Aton
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Book in
progress
Storia Antica - primo anno
nome di Akhenaton, che significa Aton è soddisfatto) e fondò una nuova capitale (Akhetaton, che significa l’orizzonte di
Aton), togliendo il potere a Tebe e trasferendovisi insieme e alla moglie Nefertiti.
Alcuni storici hanno visto in questa rivoluzione la prima forma di monoteismo della storia, che il faraone impose al Paese,
scatenando la reazione dei sacerdoti tebani che, alla sua morte, lo dichiararono “eretico”, ne cancellarono persino il
nome e riportarono la capitale a Tebe.
La seconda grande crisi del Nuovo Regno fu invece una crisi esterna: si
presentò mentre governava Ramses II il Grande. Questi, come i suoi due
predecessori, fu soprattutto un combattente e dovette arginare il potente
esercito degli Hittiti che stava espandendosi dall’Asia minore verso sud,
minacciando i confini dell’Egitto. L’esercito egizio riuscì a
fermare gli avversari a Qadesh (1274 a.C.), anche se in realtà si trattò di una
battaglia che si concluse sostanzialmente senza vinti nè vincitori, tuttavia
riuscì a fermare l’avanzata
hittita.
Altri attacchi furono
effettuati dai cosiddetti
“popoli del mare”, come li
chiamavano appunto gli
Amenothep IV e Neferti
Egizi,
popoli
che
provenivano dalle coste del Mediterraneo, che furono fermati da
Ramses III, ultimo grande sovrano dell’Egitto. Da quel momento,
nonostante la vittoria iniziò un periodo di progressiva decadenza del
Paese che non riuscì più a recuperare l’antico splendore.
Ramses 2ˆ
LA SOCIETA’ EGIZIA
Come in tutte le civiltà fluviali l’attività economica di base anche in Egitto era rappresentata dall’agricoltura, soprattutto
dalla produzione di cereali, particolarmente fiorente grazie alla fertilità del territorio, legata alle piene del Nilo e al limo
depositato dalle acque quando si ritiravano.
Il ritmo delle piene del Nilo scandiva anche le altre attività del regno e ne determinava la successione: durante il periodo
in cui le acque ricoprivano la maggior parte del territorio si svolgevano i grandiosi lavori di costruzione per ordine del
faraone, che venivano ricompensati con le eccedenze di prodotti date in tributo; durante le altre stagioni si coltivavano i
campi. Solo la regolare successione delle stagioni e delle piene del fiume consentiva la vita e il benessere di questa
popolazione e il conseguente sviluppo della sua fiorente civiltà. Era la dea Maat, la dea della giustizia, a garantire questa
regolarità e, quindi, la vita in Egitto.
La struttura sociale egizia, come quella sumerica, ha carattere piramidale: al vertice il faraone, di stirpe divina, che ha il
compito di conservare e garantire l’armonia che governa il mondo naturale e, quindi, anche la società umana. Se il
faraone fallisse in questo suo compito la regolare successione delle stagioni e delle piene del Nilo che garantivano la vita
in Egitto sarebbero venute meno. Il faraone è, quindi, superiore, in quanto dio, a ogni essere umano e deve sottostare
solo a Maat, ma la sua responsabilità è enorme.
Sotto al faraone stanno i sacerdoti, che conservano e curano il culto delle riverse divinità, collaborando così al
mantenimento dell’armonia e della giustizia. Ancora più in basso si trovano i funzionari, l’insieme di coloro che
garantiscono che l’ordine sia mantenuto al’interno dello stato. Successivamente abbiamo gli scribi, che padroneggiano
tutte le forme di scrittura, ne custodiscono e trasmettono la conoscenza, in apposite scuole nei templi, e, attraverso le
iscrizioni, che siano riportare su papiro o sui grandi monumenti, documentano tutte le attività dello stato. Al di sotto nella
scala gerarchica troviamo i soldati, gli artigiani e mercanti, i contadini e, infine, gli schiavi.
IL CULTO DEI MORTI
Nel guardare la documentazione archeologica dell’Antico Egitto, colpisce il fatto che la gran parte del materiale disponibile
deriva dall’ambito funerario, spingendo a credere che gli egiziani avessero più cura per la morte che per la vita. In questa
opinione c’è un errore di prospettiva, indotta dalla natura dei ritrovamenti. Anzitutto dobbiamo considerare che mentre
le necropoli sorgevano ai margini del deserto, in luoghi che continuano ad essere per lo più isolati, i villaggi e le città
antiche sono rimasti sepolti sotto i centri urbani che si sono susseguiti nei secoli.
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Storia Antica - primo anno
È molto più facile, perciò, trovare tombe piuttosto che case, suppellettili funerarie piuttosto che arredi domestici. In
secondo luogo, e questo è ancora più importante, la cura dedicata alla morte era un disperato tentativo di perpetuare
la vita terrena nell’oltretomba, e ciò rivela uno straordinario attaccamento alla vita. Insomma, gli egiziani curavano tanto
la morte proprio perché amavano straordinariamente la vita, e cercavano in tutti i modi di perpetuarla anche nell’aldilà.
Inoltre, considerando che la vita era con ogni evidenza caduca e peritura, mentre la vita oltre la morte s’immaginava
eterna ed incorruttibile, si facevano tombe di pietra, capaci di sfidare i secoli ed i millenni, contro case di fango e canne,
facilmente deperibili. Il culto dei morti, insomma, nasceva dal desiderio di eternare la vita e, perciò, si dedicava la massima
cura per la conservazione del corpo e la costruzione di una confortevole dimora dell’aldilà.
L’idea di conservare il corpo potrebbe essere nata, in epoca
antichissima, dalla scoperta che i cadaveri di persone morte nel
deserto si essiccavano e, in queste condizioni, potevano conservarsi
per lunghissimo tempo.
Da qui la soluzione di mummificare il corpo per conservarlo, cioè di
disidratarlo in modo che i tessuti rimangano “fissati”, con la pelle che
acquisisce la consistenza del cuoio o della pergamena, aderendo
bene alle ossa e conservando abbastanza bene i tratti della persona.
Dai procedimenti più primitivi si passò a quelli più sofisticati, fino a
giungere alla tecnica più raffinata che ci viene così narrata ne’ “Le
Storie” da Erodoto (2.86):
«C’è gente che attende a questo lavoro e che professa quest’arte.
[…] I clienti si mettono d’accordo
per un prezzo e si ritirano.
Nell’fficina restano gli artigiani e,
se
si
tratta
del
tipo
Mummia di SETI I
d’imbalsamazione più accurata, vi
attendono come segue.
Estraggono anzitutto con un ferro ricurvo il cervello dalle narici – in parte così, in parte
introducendovi dei farmachi -. Poi con una pietra etiopica tagliente praticano un’incisione
all’inguine; tirano fuori senz’altro tutti gl’intestini; trattili fuori, li nettano per bene con vino
di palma, e li tornano a pulire con polvere di aromi. Quindi riempiono il ventre di pura
mirra tritata, di cannella e di altri aromi, tranne l’incenso, e richiudono cucendo. Dopo
salano il corpo immergendolo nel salnitro per settanta giorni: non devono lasciarlo nel
sale per un periodo più lungo. Trascorsi i settanta giorni lavano il morto e, spalmandolo
di gomma – che gli egiziani usano in genere invece della colla -, avvolgono il corpo con
fasce tagliate in tela di bisso. Quindi i parenti ritirano la mummia, fanno fare una scultura
di legno in forma umana, e v’includono il morto. Ve lo richiudono e lo tengono
Sarcofago in legno inciso e dipinto
gelosamente in una camera funeraria ponendolo ritto contro la parete».
Questa narrazione di Erodoto è ancora oggi abbastanza utile per descrivere la mummificazione, anche se lo stesso
storico greco ne descrive altre due tipologie meno accurate e costoso e se, di contro, possiamo immaginare dei processi
ancora più sofisticati per gli uomini di altissimo rango e per i faraoni.
Interessanti sono i numerosissimi oggetti di cui la tradizione magico-religiosa egiziana era fornitissima e che spesso
venivano messi nelle tombe e tra le bende del
defunto. Ricordiamo anzitutto i quattro vasi
canopici nei quali venivano messe le viscere dei
defunti. I coperchi di questi vasi rappresentavano
le teste dei quattro figli di Horo: Hamset (umana),
per il fegato; Hapi (scimmia), per i polmoni;
Qebeshenuf (falco), per gli intestini; Duamutef
(sciacallo), per lo stomaco. Vi erano poi
moltissimi amuleti: Ankh (vita), Occhio di Horo
(prosperità e salute), pilastro Djed (stabilità),
scarabeo (rinascita) ecc.
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Book in
progress
Storia Antica - primo anno
Un discorso a parte merita il corredo funebre la cui
testimonianza più eclatante è quella del faraone
Tutankhamon, la cui tomba inviolata venne scoperta
dall’egittologo Howard Carter nel 1922, destando per la
sua ricchezza uno stupore così grande che ancora oggi
non accenna a diminuire.
Non meno grandiose furono le tombe, come le piramidi
dell’Antico Regno o quelle scavate nella roccia della Valle
dei Re e della Valle delle Regine, nei pressi di Tebe, risalenti
al Nuovo Regno. A tutte queste costruzioni erano associati
templi non meno grandiosi ed artisticamente raffinati.
C’è poi da considerare la letteratura funebre: dai Testi delle
Piramidi, delle dinastie V e VI, ai Testi dei Sarcofagi del
Dal tesoro di Tutankhamon
Amuleti Egizi
Medio Regno al Libro dei Morti del Nuovo Regno. Si tratta
di testi magico-religiosi destinati ad accompagnare il defunto nel mondo dell’aldilà per aiutarlo ad affrontare tutti i pericoli
e le insidie del viaggio e giungere sano e salvo alla meta finale: il cielo con le stelle e col dio sole Râ per il faraone, i Campi
di Ialu per gli uomini comuni, corrispettivo egiziano del nostro paradiso.
Testi delle Piramidi
Testi dei Sarcofagi
Libro dei Morti
LA RELIGIONE EGIZIA
Per capire la religione egizia, conviene risalire alle sue origini,
quando gruppi di cacciatori nomadi o seminomadi andarono ad
insediarsi lungo le rive del Nilo. Ciascuno di essi portava con sé
le proprie divinità (animali, naturali o astrali che fossero), con
relativi culti, riti e credenze. Man mano che questi gruppi
andavano unificandosi e costituivano entità sociali e territoriali
sempre più grandi, anche le divinità venivano giustapposte le
une alle altre. In seguito si cominciò a sentire la necessità di
umanizzarle, senza far perdere loro alcuni tratti animali
(generalmente la testa), trasformandoli in ibridi e collegandole le
une alle altre, come avveniva per gli stessi gruppi di fedeli.
Nacquero così coppie, triadi, famiglie e genealogie divine.
Queste, a loro volta, s’inserirono in complesse cosmogonie,
teogonie e cosmologie, elaborate dalle scuole sacerdotali che
andavano formandosi nei maggiori centri urbani, che divenivano così importanti luoghi di culto: Iunu (Eliopoli), Menfi,
Abido ecc. Il più importante di questi centri, nell’Antico Regno, fu Eliopoli.
Qui nove divinità (Enneade) erano coinvolte nella cosmogonia (origine del cosmo) e teogonia (origine degli dei) elaborata
dal clero locale. Atum, il dormiente (poi assimilato al dio sole Râ, in Atum-râ), emerse dal caos liquido, Nun. Egli
autogenerò la prima coppia divina, Shu (l’aria) e Tefnut (l’umidità), la quale generò la seconda coppia divina: Geb, il dio
terra, e Nut, la dea cielo.
Questi erano però congiunti in un amplesso amoroso, sicché Shu (l’aria) s’interpose tra loro separandoli. A questo punto
essi generarono altre due coppie di dei: Osiride ed Iside, Seth e Nefty.
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Storia Antica - primo anno
A queste ultime quattro divinità si legò il culto agrario-funerario di
Osiride, divinità adorata nella città santa di Abido. Il mito di
Osiride, narrava che egli, primogenito di Geb e Nut, era stato il
primo Re dell’Egitto. Però suo fratello Seth, geloso di ciò, ordì una
congiura contro di lui e lo uccise, facendone poi a pezzi il corpo.
Questi pezzi vennero da lui dispersi lungo tutto il Paese. Iside,
sorella e moglie di Osiride, ne pianse a lungo la morte, ma poi,
con l’aiuto della sorella Nefty, a sua volta moglie di Seth, andò
per tutto l’Egitto alla ricerca dei pezzi del marito. Dopo averli
ritrovati, li ricompattò con delle bende di lino, facendone la prima
mummia, alla quale diede tramite la magia, di cui ella era esperta.
KHEPRY
RÂ-HERAKHTE
ATUM
Ciò fatto, sempre tramite le sue arti magiche, fece sì che Osiride
le facesse concepire un figlio, il dio falco Horus.
Quando lo partorì, lo fece crescere nutrendolo e
tenendolo nascosto a Seth, finché non crebbe
abbastanza da combattere contro lo zio e
detronizzarlo. Così egli divenne il dio vivente,
mentre suo padre Osiride divenne il dio dei morti.
Con l’unificazione e l’affermazione del potere
faraonico, quest’ultimo si configurò subito come
teocratico: il sovrano stesso era un dio sia da
Shu separa Geb da Nut
vivo sia da morto. A questo scopo servirono
perfettamente la teologia eliopolitana e la mitologia di Osiride. Il faraone, in quanto Horus
era genealogicamente legato al dio Râ, e da morto veniva osirizzato, cioè assimilato ad
Osiride. A lui, perciò, si tributavano culti sia nella vita terrena sia in quella oltremondana
ed egli era un dio per l’eternità. Il suo compito fondamentale era quello di garantire la
Maat, l’ordine universale rappresentato da una dea che portava sulla testa una piuma.
Fin quando l’ordine regnava sulla terra, gli uomini di qualsiasi condizione potevano
trascorrere una vita serena e sicura, godendo dei beni che la generosa terra d’Egitto
offriva alla collettività ed a ciascun componente di essa; anche il più umile, a patto che
Enneade Eliopolitana
anch’egli si conformasse allo spirito della Maat. L’ordine, infatti, era anche giustizia, e chi
viveva secondo la Maat era un uomo giusto, mentre chi la violava era un malvagio, passibile di punizione umana e divina.
Alla religione, quindi, si collegava anche la morale, con la una concezione tipicamente conservatrice del bene come
ordine e del male come caos.
Ovviamente, accanto alle divinità, cosmogonie, e teologie citate ce ne furono molte altre, ma quanto abbiamo detto può
essere sufficiente a farci capire alcuni caratteri fondamentali della religione egizia. Essa fu capace d’includere divinità
assai diverse tra loro per caratteristiche e provenienza, trasformandole secondo le opportunità e le esigenze. In ciò
consiste il suo sincretismo, che di fatto ne determinò quella caratteristica tolleranza religiosa che le consentì una durata
plurimillenaria.
Iside
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TRIADE DIVINA
Horus
Osiride
Iside allatta
il piccolo Horus
Dea MAAT
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 3
I GRANDI IMPERI ASIATICI
Hittiti, Assiri, il secondo impero Babilonese e i Persiani (1600-500 a.C.)
IL NUOVO ORIZZONTE INTERNAZIONALE
A partire dalla metà del secondo millennio l’antica storia
del Vicino Oriente conobbe un cambiamento significativo.
Fino a quell’epoca infatti essa era fondamentalmente
incentrata sulla presenza e l’azione di due grandi potenze:
l’Egitto e la Mesopotamia. I popoli che abitavano nelle
regioni tutt’intorno avevano partecipato piuttosto
passivamente all’affermazione delle grandi civiltà fluviali.
Da quel momento invece la situazione internazionale
incominciò a trasformarsi: le genti delle montagne ,
stanziate nel nord-est di questa area orientale, costituirono
solidi regni, che si posero in competizione con le civiltà
delle valli fluviali.
Tre furono i popoli dei monti che riuscirono a costituire forti
Stati nei territori dell’Asia Occidentale: i Cassiti che, come
abbiamo visto nel precedente capitolo, conquistarono il primo impero babilonese e lo dominarono per quattro secoli, gli
Hurriti che fondarono il Regno dei Mitanni nella Mesopotamia del nord e gli Hittiti, che governavano parte dell’Anatolia.
Li accomunava un aspetto, in quanto in tutti questi popoli erano presenti
elementi indoeuropei, riscontrabili nella loro lingua, come nel caso degli
Hittiti, nella componente sociale, perché era indoeuropea la classe
nobiliare sia degli Hittiti che degli Hurriti, oppure nella presenza di alcune
divinità indoeuropee, così come ci dimostra il pantheon dei Cassiti.
La classe dominante di questi popoli dei monti era la nobiltà guerriera, che
deteneva i mezzi per il successo militare: il carro a due ruote ed il cavallo.
Dopo ogni conquista i nobili si dividevano le terre, su cui esercitavano ampi
poteri politici. Fra gli aristocratici veniva eletto il re.
I nuovi popoli assorbirono molti aspetti della più evoluta civiltà
mesopotamica: l’accadico divenne la lingua da loro utilizzata nelle
ambascerie, si servirono della scrittura cuneiforme, iniziarono a venerare
alcune divinità babilonesi e tramandarono i grandi testi letterari di quella
grande civiltà, fra cui il poema del Gilgamesh.
LESSICO
Indoeuropei: parlando di indoeuropei non si allude ad un gruppo
razziale, etnicamente distinto dagli altri, ma semplicemente ad un
gruppo legato da un certo tipo di linguaggio. Gli studiosi ritengono che
tra il V e il III millennio a.C. alcuni popoli, che parlavano questa lingua,
stanziati in un’area comprese fra le steppe asiatiche ed il mar Nero,
con migrazioni successive si insediarono nel continente euroasiatico,
stabilendosi sui territori fra l’Indo e l’Atlantico (cfr. lettura di
approfondimento).
Accadico: era una lingua semitica parlata nell'antica Mesopotamia dai
Babilonesi e poi dagli Assiri.
39
Storia Antica - primo anno
GLI HITTITI
IL TERRITORIO ANATOLICO E LE SUE RISORSE
La penisola anatolica, detta anche Asia Minore, è l’estrema propaggine
occidentale del continente asiatico. E’ bagnata dal mar Nero a nord, dal
mar di Marmara a nord-ovest, dall’Egeo a ovest e dal Mediterraneo a sud.
Il territorio è quasi interamente costituto da un altopiano, sui 1000 metri di
altezza. La favorevole posizione geografica fin dall’antichità ha fatto sì che
l’Asia Minore costituisse un punto di contatto fra il Mediterraneo e l’Oriente
asiatico.
L’ambiente naturale dell’Anatolia era ben diverso rispetto a quello della Mesopotamia, con i suoi campi attraversati da
canali che consentivano un’agricoltura molto produttiva. Nel paesaggio anatolico, prevalentemente montano, vi erano
ampissime zone boscose, talvolta inaccessibili, mentre le città e le coltivazioni erano concentrate nelle vallate.
L’abbondanza di boschi costituì sicuramente una caratteristica vantaggiosa: gli Hittiti infatti ebbero legname in
abbondanza, che invece le altre civiltà fluviali dovettero procurarsi lontano.
Lo stesso valeva anche per alcuni metalli, fra cui il rame, l’argento e il ferro, che gli Hittiti
impararono a lavorare e di cui il territorio era ricco.
La configurazione geografica era adatta anche per l’allevamento ovino e caprino, molto
praticato. Tutto ciò aveva dato origine ad un’economia prevalentemente agro-pastorale ed
estrattiva.
L’ARRIVO DEGLI HITTITI
Non si sa quando gli Hittiti giunsero in Anatolia, né il luogo della loro provenienza. Erano nomadi che parlavano una
lingua indoeuropea e si imposero come dominatori sulla popolazione locale, organizzata in villaggi gli uni indipendenti
dagli altri e talvolta in guerra fra loro. Non si sa neppure se il loro predominio fu causato da un vero e proprio fenomeno
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Book in
progress
Storia Antica - primo anno
improvviso di conquista e non piuttosto da una lenta e
progressiva penetrazione che si protrasse nel tempo. Ben
presto però si fusero con le genti indigene, da cui appresero
alcuni elementi culturali della Mezzaluna fertile. Possediamo
infatti documenti redatti da mercanti assiri che attestano
contatti, dovuti a scambi commerciali, fra i popoli
mesopotamici e le popolazione che abitavano l’Anatolia prima
dell’arrivo degli Hittiti.
Erano un popolo guerriero, con un’ aristocrazia votata al
mestiere delle armi e raccolta in un’assemblea; il titolo di re era
elettivo e alle origini ciò diede spesso origine a congiure e
disordini ogni volta che si doveva scegliere un nuovo sovrano. Per questo nel XVI secolo a.C. la carica fu resa ereditaria.
Il monarca era soprattutto un capo militare ed il suo potere era limitato in modo sensibile dall’assemblea dei nobili. La
sua regalità era ben diversa sia rispetto al faraone egiziano (considerato figlio di un dio), sia rispetto ai monarchi
mesopotamici (ritenuti rappresentanti del dio sulla terra). Si può dire quindi che gli Hittiti concepissero il potere del sovrano
in modo più “laico” rispetto ad altri popoli orientali.
L’ IMPERO HITTITA
In un primo momento gli Hittiti erano frazionati in numerose
città-stato; solo a partire dal 1800 iniziò il processo di
unificazione e di formazione di un grande regno.
Con Hattusili I (XVII sec.
a.C.), il primo re di cui si
hanno notizie certe, venne
fondata la capitale Hattusa
e si diede avvio al
fenomeno espansionistico,
occupando alcune città
della Siria.
Il
successore Mursili I
continuò le conquiste:
distrusse
Aleppo,
si
HATTUSA
impadronì di Ebla e
Bogazkale (gia Bogazkôy), L’imponente capitale degli Hittiti
saccheggiò
Babilonia,
aprendo la strada alla conquista dei Cassiti. La morte di Murshil l determinò un periodo
SUPPLILILIUMA
di lotte interne per la successione al trono e l’impero gradualmente si sgretolò,
Busto di una statua di suppiluliuma (I
riducendosi entro i confini della parte centrale dell’Anatolia.
o II?) da Kunulua
La potenza Hittiti si risollevò, intorno al 1380, con la salita al trono di Suppiluliuma,
che fortificò la capitale fino a renderla inespugnabile ed intraprese una vittoriosa
campagna militare contro il regno dei Mitanni, dominato dagli Hurriti. Con i vinti però
egli preferì utilizzare la diplomazia, facendo del regno uno Stato autonomo suo
vassallo. Strinse anche un’alleanza con il re di Babilonia, sposandone la figlia. Tutte
queste strategie, volte a cercare alleati e non solo nemici in area medio- orientale,
erano determinate anche dalla necessità di contrastare la potenza assira. Si mosse
poi alla conquista delle città siriane, conquistando Aleppo ed alcuni centri urbani del
nord della Siria.
Con Suppiluliuma ed il suo successore Mursili II l’impero degli Hittiti raggiunse la sua
massima espansione, ma quando Mursili II morì e gli successe il figlio Muwatalli
esplose un conflitto con l’Egitto per il dominio della Siria. Lo scontro avvenne nel 1297
a.C. a Qadesh, sul fiume Oronte, durante il regno del potente faraone Ramesse II .
La battaglia fu violenta e la sua vittoria consentì agli Hittiti di conservare le loro posizioni
in Siria, ma furono indeboliti dalle enormi perdite subite durante lo scontro.
MUWATALLI
41
Storia Antica - primo anno
Successivamente l’impero venne devastato da contese dinastiche interne e
dall’insurrezione di stati vassalli, che favorirono la sua distruzione da parte dei “
popoli del mare”, provenienti dall’Egeo. Hattusa fu distrutta e intorno al 1200 il
dominio Hittita cessò di esistere.
Trattato tra Mursili II
e Talmi-Sarruma di Aleppo
L’ORGANIZZAZIONE POLITICA SOCIALE E MILITARE
Più che un impero accentrato, quello degli Hittiti può essere considerato una grande federazione di popoli che da loro
venivano guidati. Ogni volta che conquistavano un nuovo territorio imponevano infatti alla popolazione tributi e l’impegno
di fornire aiuti militari, ma lasciavano sul trono il sovrano locale, così come dimostrano numerosi trattati di questo genere
in nostro possesso. Altrettanto frequenti erano le ambascerie e lo scambio di lettere e doni a monarchi stranieri, che
testimoniano un’innegabile attitudine per la diplomazia e per il diritto internazionale. Spesso le alleanze con popoli di altri
territori erano ratificate da matrimoni dinastici; il grande Suppiluliuma, per esempio, fece sposare ad uno dei suoi figli la
vedova del faraone Tutankamon.
La costituzione del vasto impero fu resa possibile grazie ad un potente esercito, la cui efficienza era costituita da una
fanteria ben addestrata e dall’uso del carro. Quest’ultimo non fu uno strumento militare utilizzato solo dagli Hittiti, ma
prima del loro arrivo ci si serviva di carri trainati da asini, mentre quello hittita usava il cavallo; era inoltre su due ruote e
non su quattro come i precedenti, molto leggero e quindi più maneggevole e veloce. Su di esso in genere prendevano
posto due combattenti: un auriga per condurlo e un arciere per colpire i nemici . Alcuni carri riuscivano a trasportare
anche tre persone, consentendo così maggiore disponibilità di uomini nei combattimenti ravvicinati.
Lo sviluppo della cavalleria ebbe anche fondamentali conseguenze dal punto di vista sociale. L’acquisto di un carro e
dei cavalli aveva infatti costi molto elevati; era pertanto prerogativa della nobiltà, che fece delle guerra la propria
professione. Questa bellicosa aristocrazia si metteva al servizio del re per combattere le numerose guerre di conquista
e in cambio veniva ricompensata con la cessione di grandi estensioni terra, coltivate da servi.
La società hittita si configurò quindi come una sorta di società feudale e la casta dei guerrieri di professione costituì
anche la classe dirigente dello Stato. Questo scambio di collaborazione veniva ratificato da un giuramento di fedeltà,
con cui i nobili offrivano il loro aiuto militare al sovrano e in cambio ricevevano le terre, su cui esercitavano mansioni
amministrative. Tale modello monarchico era molto diverso da quello assoluto delle popolazioni mesopotamiche e degli
Egiziani e la differenza è attribuibile anche alla diversità del territorio su cui fiorirono le civiltà. Nelle zone fluviali infatti era
fondamentale la presenza di una forte autorità politica centrale, che provvedesse anche all’organizzazione delle opere
pubbliche idriche, necessarie per rendere produttiva l’agricoltura dei Paesi. Gli Hittiti invece governavano sulla montuosa
Anatolia, dove le comunicazioni fra una zona e l’altra risultavano spesso difficoltose. Il territorio era quindi più adatto ad
un’organizzazione politica decentrata.
Al di sotto del re e degli aristocratici vi erano i cittadini liberi e gli schiavi. La stragrande massa della popolazione rimase
dedita all’agricoltura e all’allevamento, estranea ad ogni partecipazione politica e con l’unica funzione di pagare i tributi
al sovrano. Non particolarmente rilevante era la presenza dei mercanti, perché l’impero hittita fondò la sua superiorità
sulla grandezza militare e non fu in grado di dominare i commerci internazionali.
LESSICO
Società feudale: con tale espressione si intende quella struttura sociale in cui i nobili godono di un’ampia
autonomia nei confronti del sovrano e sono legati a lui da un rapporto personale e da un giuramento di fedeltà.
Per compensare i nobili dei loro servigi, per lo più a carattere militare, il re concede loro un territorio, detto feudo.
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
IL TESTAMENTO DI HATTUSILI I
Il testamento di re Hattusili I è una fonte interessante. Esso infatti dà informazioni riguardo al problema della
successione monarchica prima che il titolo diventasse ereditario, poiché l’approssimarsi della morte di un sovrano
dava spesso luogo a discordie e congiure, anche nell’ambito della stessa famiglia regale. Hattusili infatti lamenta
che nessuno dei suoi più stretti congiunti gli ha obbedito, per cui vuole che sia Mursili il suo successore. Dalle
parole del re emerge anche un altro aspetto degno di nota. Il sovrano infatti si raccomanda all’assemblea dei
nobili, affinché accetti di riconoscere la successione del suo prescelto. Si evince quindi che il monarca hittita non
poteva imporre in modo assoluto la propria volontà, ma era ritenuto, e lui stesso si considerava, un potente fra
gli altri potenti del regno, un capo i cui poteri potevano essere condizionati dall’assemblea nobiliare.
Ecco, io mi sono ammalato. Io vi avevo presentato il giovane Labarna (1) come colui che dovrà sedere sul trono;
io, il re, l’ho chiamato mio figlio. l’ho abbracciato, l’ho esaltato, mi sono curato senza posa di lui. Egli, tuttavia, si
è mostrato un giovane indegno a guardarsi: non ha versato lacrime, non ha mostrato compassione, è freddo e
senza cuore. Allora io, il re, l’ho chiamato e l’ho fatto venire al mio capezzale. Dunque, non si può più continuare
a tenere un nipote per figlio! Alle parole del re non ha dato ascolto: ma a quelle di sua madre ha dato ben ascolto,
quel serpente! Fratelli e sorelle gli riportavano male parole e quelle le ascoltava. Ma io, il re, l’ho saputo, ed allora
ho contrapposto la lotta alla lotta. Ora basta! Egli non è più figlio. Allora sua madre ha muggito come un bue:
“Hanno lacerato il grembo della mia carne viva! Lo hanno annientato e tu lo ucciderai!” Ma io, il re, gli ho forse
fatto qualcosa di male? Non l’ho forse fatto sacerdote? Sempre l’ho onorato, pensando al suo bene. Egli però
non ha mai seguito con amore la volontà del re. Come potrebbe, procedendo secondo il suo volere, portare
amore a Khattusha? (2) Ecco, Mursili è ora mio figlio! Lui dovete riconoscere. Lui porre sul trono. A lui la divinità ha
posto ricchi doni nel cuore. Nell’ora della guerra o dell’insurrezione siate al suo fianco, o miei servitori, e voi, o
capi dei cittadini! Finora, nessuno della mia famiglia ha obbedito alla mia volontà. Ma tu, o Mursili, tu che sei mio
figlio, obbedisci! Segui le parole di tuo padre.
Sabatino Moscati, Antichi imperi d’Oriente, Milano, Il Saggiatore, 1963, p.164
NOTE
(1)
(2)
Labarna: era il nipote prediletto del re
Khattusha: si intende la città di Hattusa, capitale dell’impero.
QUESTIONARIO
1) Anche dalle parole di Hattusili si comprende che la successione monarchica non ereditaria spesso dava luogo a
instabilità. Spiega come emerge ciò dal documento proposto.
2) Nella fonte risulta chiaro che il re incarica sceglieva il successore, ma la ratifica definitiva della sua scelta dipendeva
da altro. Spiega da chi e chiarisci che conseguenze aveva sulla concezione della regalità questo tipo di
successione.
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Storia Antica - primo anno
GLI ASSIRI
L’AFFERMAZIONE DEGLI ASSIRI
Verso la fine del II millennio a.C. scomparve l’impero hittita e venne
meno la pressione dei popoli del mare nell’Egeo in area mediorientale.
Anche l’Egitto, unica potenza ad aver loro resistito, incominciò a dare
segni di declino. La Babilonia cassita – trattata nel capitolo 2 - era a
sua volta in decadenza e fu poi conquistata dagli
Assiri.
Si verificò quindi una nuova era nella storia
dell’antico Oriente, poiché al crollo delle forze
tradizionali che per secoli si erano imposte
sull’area, subentrò la potenza degli Assiri, un
popolo di origine semita che abitava le terre poco
fertili dell’Alto Tigri.
Da lì, essi si imposero rapidamente sulla regione mesopotamica e, procedendo di conquista in
conquista, costituirono un vasto dominio destinato a durare per cinque secoli.
Pur essendo rimasti ai margini delle vicende storiche, gli Assiri avevano subito l’influenza della
superiore civiltà sumerico- babilonese, che avevano in parte assimilato senza però arricchirla di apporti
originali.
Abilissimi e feroci guerrieri, erano temuti per la loro violenza e per il loro spirito di sterminio, praticato
anche in nome del dio Assur, che portava il nome della loro più antica capitale.
ASSUR
L’IMPERO ASSIRO
SARAGON II
ASSURBANIPAL
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Il primo fondatore della potenza assira fu il re
Tiglatpileser I (XII secolo a.C.), che conquistò
parte dell’Anatolia e pose fine all’indipendenza
di Babilonia, deportando la maggior parte degli
abitanti e rendendo lo Stato babilonese suo
vassallo.
La politica espansionistica, contraddistinta da
massacri,
decapitazioni,
deportazioni,
scuoiamenti, mutilazioni, impalamenti, continuò
anche con i suoi successori. Con spietata
ferocia, così come dimostrano le loro cronache
di guerra, gli Assiri si imposero sulla Siria, la
Fenicia e la Palestina.
L’espansionismo raggiunse il suo culmine tra
l’800 ed il 650 a.C. . Re Sargon II (VIII secolo
a.C.) sottomise il regno di Giuda (la parte
meridionale dello Stato ebraico in Palestina); il
SENNACHERIB
suo successore Sennacherib rase al suolo
Babilonia, che successivamente venne ricostruita e posta sotto il suo diretto dominio;
Assurbanipal (VII a.C.), ultimo grande re assiro, mosse guerra all’Egitto e lo conquistò
temporaneamente, poiché nel 655 a.C. il faraone Psammetico I riuscì a liberare il suo Paese
dall’oppressione straniera.
Con queste conquiste tutte le principali civiltà dell’antico Oriente si trovarono a far parte di
un unico organismo politico.
Il regno di Assurbanipal segnò l’ultimo momento di splendore degli Assiri. Il sovrano, amante
dell’arte e delle lettere, fece di Ninive la città più ricca e splendida dell’Oriente, costruendovi
un’ immensa reggia con una ricchissima biblioteca, dove raccolse i testi della letteratura
mondiale.
Book in
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Storia Antica - primo anno
Alla sua morte (629 a. C.) l’impero cadde in un’irreversibile situazione di crisi, che nel giro di pochi anni ne decretò la
fine. Debolezza interna, innanzi tutto, perché a corte scoppiarono una serie di rivolte di cui poco si sa, ma anche ribellioni
anti-assire in molti territori da loro dominati. Incominciò Babilonia, che dopo essersi ribellata si alleò con i Medi, un popolo
dell’altopiano iranico, e con altri Stati. La lega mosse guerra agli Assiri, che vennero sconfitti dopo aver resistito
strenuamente. Nel 612 a.C la splendida Ninive venne espugnata e rasa al suolo: degli Assiri e del loro impero non rimase
nulla.
Le mura della città di Ninive
LE RAGIONI DEL SUCCESSO E DELLA DISFATTA DEGLI ASSIRI
Strumento della potenza assira fu l’esercito, al punto che l’immagine più appropriata
del loro impero è quella di una “macchina militare”, che diffuse terrore e distruzione.
Il numero delle spedizioni belliche condotte è impressionante e costò alla
popolazione assira un impegno molto oneroso e continuo, poiché tutti gli uomini
adatti alle armi erano obbligati a partecipare alle guerre. L’esercito era fanaticamente
fedele al re, che in genere conduceva le varie campagne militari. L’esercito
comprendeva grandi masse di cavalleria (i soldati montavano direttamente a cavallo
armati di archi, in modo da essere più veloci e agili), carri da combattimento e una
fanteria numerosa, attrezzata con macchine da guerra per gli assedi.
Le conquiste si caratterizzavano per le
massicce distruzioni, che divennero sempre più devastanti a partire dall’ottavo
secolo a.C. Distruzioni di mura e palazzi, devastazioni delle colture agricole,
dispersione della classe dirigente ed artigiana, deportazioni, abolizione di
qualsiasi attività culturale di stampo locale, che portava alla scomparsa delle
forme artistiche e religiose dei territori conquistati.
L’antico Oriente era stato un mondo ricco e vario, dal punto di vista economico
come dal punto di vista culturale, fatto di etnie diverse con le loro differenti
tradizioni e le loro espressioni artistiche, ma ciò venne d’un tratto impoverito e
reso omogeneo dalla conquista assira.
Il sistema militare imponeva la mobilitazione permanente della popolazione
dell’impero e privava l’economia di quasi tutta la forza lavoro; per questo si
ricorse alle deportazioni di massa dei popoli soggiogati. I deportati erano poi
utilizzati per la coltivazione dei campi, per le attività artigianali e per realizzare
grandi opere pubbliche (canali d’irrigazione e fortificazioni ). Le deportazioni
erano anche utili per stroncare le identità nazionali ed eventuali desideri di
rivolta. Per questo si attuò un sistema di deportazioni incrociate da un territorio
all’altro dell’impero, che non solo causava disagio nei deportati, costretti a
vivere in terre nuove e fra genti sconosciute, ma provocava malcontenti anche
fra gli abitanti del posto, che si sentivano colonizzati dai nuovi arrivati,
considerati un ulteriore strumento dell’oppressione imperiale.
45
Storia Antica - primo anno
Le regioni conquistate erano tenute in pugno da governatori scelti dal sovrano e ogni forma di resistenza veniva repressa
con la più totale crudeltà. Così una cronaca del tempo descrive lo sterminio voluto da un sovrano contro una città ribelle:
“Davanti alla porta della città innalzai un monticello di terra, scorticai tutti i capi dei ribelli e disposi le loro pelli lì sopra;
alcuni li seppellii vivi, altri li impalai. Molti prigionieri li bruciai, molti li presi vivi: ad alcuni tagliai le mani e le dita, ad altri il
naso e le orecchie, ad altri cavai gli occhi. Feci un mucchio dei vivi ed un mucchio dei morti; legai le loro teste ai pali,
tutto intorno alla città. Bruciai col fuoco i loro figli e figlie. Distrussi e devastai la città, la bruciai col fuoco, la annientai
completamente”.
L’esercito ed il continuo stato di guerra gravavano pesantemente anche sull’economia della popolazione, che era
costretta a versare onerosi contributi per poterli mantenere.
Per molto tempo questa superiorità militare fu un’arma vincente, ma aveva in sé anche le cause che portarono al
repentino crollo dell’impero. Innanzitutto l’assoluta priorità delle esigenze militari aveva impedito lo sviluppo di un’efficiente
burocrazia, fondamentale per poter governare a lungo un dominio tanto vasto. Né tantomeno gli Assiri riuscirono a
costituirsi una rete di alleati e un sistema di relazioni internazionali basato sulla diplomazia, come invece avevano fatto
gli Hittiti, animati com’erano da un assoluto e violento spirito di sopraffazione Odiati e isolati dai popoli vicini e da quelli
conquistati, erano temuti solo per la feroce potenza, ma quando la loro superiorità militare incominciò ad affievolirsi le
genti sottomesse capirono di non poter essere più punite per il loro tradimento; si volsero perciò tutte in massa contro
gli Assiri, sfogando le frustrazioni subite nei secoli precedenti. Si costituì così una vasta coalizione anti-assira, che in
breve tempo li spazzò via dalla storia, insieme al loro impero.
DOCUMENTI
CONQUISTA E DEPORTAZIONI
Nel passo tratto dagli annali del re Sargon II è descritta la conquista della città di Asdod, in Palestina. Il testi rivela
anche uno degli aspetti più ricorrenti del dominio assiro: le deportazioni di massa dei popoli vinti.
Azuri, re di Asdod, aveva progettato di non dare più tributi ed aveva inviato messaggi contro l’Assiria ai re suoi
vicini. A seguito del male da lui commesso, io gli tolsi il governo del popolo del suo paese e nominai Akhimiti, suo
fratello minore, loro re. Ma gli Hittiti, che progettano sempre misfatti, odiarono il suo regno ed elevarono al potere
su di loro un greco che, senz’alcun diritto al trono, non ebbe rispetto per la mia autorità, proprio come loro. Acceso
d’ira, non mi fermai a riunire tutta la massa del mio esercito né a preparare il campo, ma mossi contro Asdod con
quei soli guerrieri che, anche in zone pacificate, non lasciano mai il mio fianco. Questo greco, però, seppe da
lontano dell’avanzare della mia spedizione e fuggì in Egitto, al confine dell’Etiopia, né poté essere scoperto. Io
assediai e conquistai le città di Asdod, Gat, Asdudimmu, dichiarai bottino i suoi dei, sua moglie, i suoi figli, tutti i
possedimenti ed i tesori del suo palazzo, come pure gli abitanti del suo paese. Riorganizzai quelle città e vi stabilii
della gente delle regioni orientali, che avevo io stesso conquistato. Posi un mio ufficiale a governarli e li dichiarai
cittadini assiri.
Sabatino Moscati, Antichi imperi d’Oriente, Milano, Il Saggiatore, 1963, p.72
QUESTIONARIO
1) Riferendoti a quanto hai studiato, spiega per quali motivi gli Assiri praticavano la deportazione delle popolazioni
conquistate.
2) Per quale motivo re Sargon II decide di conquistare la città di Asdod?
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Storia Antica - primo anno
IL SECONDO IMPERO BABILONESE
Il crollo degli Assiri, consentì la nascita del secondo impero babilonese, che durò meno di un secolo e conobbe un
periodo di grandissimo splendore con il re Nabucodonosor ( 604- 562 a.C.). Sotto di lui Babilonia tornò ad essere una
magnifica e potente capitale, fortificata da re con possenti mura, abbellita di palazzi, adornata con i famosi giardini pensili,
che gli antichi celebravano come una delle sette meraviglie del mondo.
Nabucodonosor non si dedicò solo ad opere di pace. Anch’egli infatti fu impegnato in una serie di guerre ed imprese di
conquista . Si scontrò con gli Egiziani, per il controllo della Siria e riuscì a batterli, imponendo il dominio babilonese in
Egitto ed anche in Palestina. Qui l’unico Stato che tentò di ribellarsi fu il regno di Giuda; il re allora decise di saccheggiare
Gerusalemme, deportando a Babilonia gran parte della popolazione e il regno ebreo finì di esistere ( 586 a.C.).
Con i suoi successori, spesso deboli e condizionati dalla casta sacerdotale che tendeva a prevaricare il potere dei sovrani,
l’impero cadde in una progressiva decadenza e di ciò ne approfittarono i Persiani, una popolazione indoeuropea
proveniente dall’altopiano iranico. Guidati dal loro re Ciro II nel 539 a.C. espugnarono Babilonia ed imposero il loro
dominio su tutta la regione. La conquista segnò la definitiva conclusione della storia degli imperi mesopotamici. L’intera
regione entrò in un batter d’occhio e senza violenza a far parte del grande impero multinazionale dei Persiani, che
assimilarono e diffusero la ricca eredità culturale di Babilonia nelle varie zone del mondo da loro conquistate.
LESSICO
Le sette meraviglie del mondo antico: sono opere architettoniche, sculture ed edifici che i Greci ed i Romani
ritenevano fra le più belle e straordinarie dell'intera umanità. Esse annoveravano: la piramide di Cheope a Giza, i
giardini pensili di Babilonia, il colosso di Rodi, il faro di Alessandria, il mausoleo di Alicarnasso, il tempio di Artemide
ad Efeso, la statua di Zeus ad Olimpia.
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Storia Antica - primo anno
I PERSIANI
IL TERRITORIO E LE SUE RISORSE
La culla della civiltà persiana fu l’altopiano iranico, una
vasta regione arida ed in parte desertica, posta ad est
della Mesopotamia, oggi corrispondente all’Iran.
L’altopiano è delimitato da due catene montuose: quella
dell’Elburz a nord e i monti Zagros a sud-est. Qualche
pianura, non particolarmente estesa, si trova a nord, lungo
le rive del mar Caspio, e a sud, lungo la costa del Golfo
Persico e del Golfo di Oman.
Una sufficiente disponibilità di acqua e’garantita
soprattutto dai fiumi, la cui modesta portata viene
alimentata da piogge invernali e dallo scioglimento delle
nevi delle montagne durante la primavera.
Il clima, prevalentemente arido, nell’antichità aveva favorito
soprattutto lo sviluppo della pastorizia, mentre l’agricoltura
poteva essere praticata quasi esclusivamente nelle
pianure litoranee ed era per lo più basata sulla coltivazione
del riso e dei cereali. Un certo sviluppo aveva invece la
pesca nel mare e nei fiumi.
LA FORMAZIONE DELL’ IMPERO PERSIANO
Qui, nel corso del II millenio a.C., si erano stanziate alcune popolazioni indoeuropee, fra cui quella dei Medi a nord, in
prossimità del mar Caspio, e quella dei Persiani a sud-est. Per secoli i Medi avevano esercitato una sorta di supremazia
sul resto della zona, distinguendosi anche in importanti imprese militari, come la conquista dell’impero Assiro (612 a.C.),
portata a termine in alleanza con i Babilonesi.
I Persiani erano tenuti in una condizione di assoggettamento, costretti a pagare ai Medi onerosi tributi per poter mantenere
la loro libertà.
La situazione mutò quando nel 558 a.C. divenne loro re
Ciro II, discendente della dinastia degli Achemenidi. Dopo
aver vinto i Medi (550 a.C.) ed essersi proclamato Gran
Re di entrambi i popoli, Ciro iniziò una serie di vittoriose
campagne di espansione. Conquistò il regno di Lidia (547
a.C.), situato nell’odierna Turchia e le città greche della
Ionia (in Asia Minore), riuscendo così ad assicurarsi il
controllo dei porti e dei traffici marittimi nel Mediterraneo
orientale .
Si spinse poi fino alle steppe asiatiche dell’Asia centrale,
per consolidare ad est i confini del suo impero,
assoggettando la Battriana, una parte dell’attuale
Afghanistan, ed alcune zone dell’India Occidentale.
L’Impero Persiano al tempo degli Achemenidi
Nel 539 a.C., con la conquista di Babilonia, divenne sovrano del’impero
mesopotamico, assicurandosi il dominio anche sull’area siro-palestinese.
Alla fama di conquistatore affiancava quella di magnanimità: nessun re vinto venne
ucciso, le città dei nemici non furono distrutte, i culti locali rispettati. Dopo aver
espugnato Babilonia, il re persiano permise agli Ebrei, che lì vivevano in schiavitù,
di ritornare in Palestina e di ricostruire il tempio di Gerusalemme.
Nel modo di rapportarsi con i popoli conquistati, sia Ciro che i suoi successori
mantennero un atteggiamento ben diverso rispetto a quello degli Assiri, che
basavano il loro potere sull’eliminazione dei regni precedenti, di cui radevano al
Tomba di Ciro il Grande a Pasargade
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Storia Antica - primo anno
suolo le città e deportavano la popolazione. I sovrani persiani invece preferirono sempre presentarsi come eredi delle
regalità locali, proponendo una concezione dell’impero universale che assorbiva, assimilava e riformulava, ma non
distruggeva, i centri conquistati. In tal modo essi riuscirono spesso ad ottenere la benevolenza dei vinti, garantendo per
lungo tempo stabilità interna e benessere al grande impero che avevano costruito. Ciro il Grande morì nel 529 a.C.; il
suo corpo fu trasportato a Pasargade, l’antica capitale persiana, dove venne tumulato in un mausoleo che tutto’oggi ne
custodisce le spoglie.
I SUCCESSORI DI CIRO
A Ciro il Grande successe il figlio Cambise (529-522 a.C.), che a sua volta continuò
l’opera d’espansione, conquistando l’Egitto nel 525 a. C.
Cambise morì del 522 a.C., forse vittima di una congiura di corte. Per breve tempo
l’impero conobbe una serie di disordini per la successione al trono, finché la nobiltà
persiana decise di assegnare la corona a Dario (522 – 486 a.C.), appartenente ad un
ramo collaterale degli Achemenidi. Egli si impegnò a dare un’efficiente organizzazione
amministrativa
al suo vastissimo impero multietnico, che si estendeva su di una
Cambise cattura il Faraone
Psammetico
superficie di circa cinque milioni di chilometri quadrati e contava cinquanta milioni di
(Immagine tratta da un sigillo)
abitanti circa. Anche Dario continuò le imprese di conquista, annettendo ad ovest la
Tracia ( nell’estrema punta sud-orientale della penisola Balcanica) ed alcune isole
dell’Egeo; ad est si impadronì della valle dell’Indo. Fallì invece nel tentativo di assoggettare le città-stato della Grecia (
cfr. La prima guerra persiana, cap.....).
A Dario seguì il figlio Serse, che riprese il contrasto con le città greche, ma fu a sua volta sconfitto (cfr seconda guerra
persiana, cap....). Il sovrano morì assassinato (465 a.C.) e la corona passò al figlio Artaserse, il cui regno durò più di
quaranta anni e fu contraddistinto da un periodo di pace, perché il sovrano non intraprese alcuna conquista.
Dopo di lui iniziò il declino del
grande impero, indebolito anche
da congiure per la successione al
potere. Ciò favorì la conquista di
Alessandro Magno avvenuta nel
330 a.C.. Si concludeva così
l’esperienza
straordinaria
dell’impero persiano, che per più
di due secoli aveva garantito
l’unione di tutti i popoli di quello
che è passato alla storia come il
Vicino Oriente Antico.
Serse I
Dario I
L’ORGANIZZAZIONE DELL’IMPERO PERSIANO
L’impero persiano non fu solo una grande entità politica, ma anche un efficiente modello di organizzazione statale. Fu
Dario l’artefice della sistemazione amministrativa del vastissimo dominio e la sua opera diede origine ad un impero
plurinazionale che, pur salvaguardando e mantenendo sostanzialmente distinte le varie zone conquistate, le collegò
attraverso rapporti politici, commerciali, diplomatici, militari. L’impero, sempre nel rispetto di una certa autonomia locale,
non costituì però una compagine poco controllata dal sovrano, poiché tutte le sue riforme amministrative si
preoccuparono di dare al territorio un’organizzazione centralizzata, per non favorire spinte centrifughe ed indipendentiste
nei vari territori. Il potere centrale garantiva inoltre alle varie zone, anche quelle più periferiche, l’erogazione di sevizi: la
sicurezza, il rispetto delle leggi, la civiltà, la costruzione di strade e di infrastrutture agricole, quali per esempio opere di
irrigazione,
Il vastissimo dominio fu diviso in 20 satrapie, la cui amministrazione era affidata ad un satrapo, un governatore scelto dal
sovrano e che godeva della sua fiducia..A lui spettava anche il compito di riscuotere i tributi e reclutare le truppe per
l’esercito imperiale.
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Storia Antica - primo anno
Il Gran Re ne controllava regolarmente l’operato, inviando nelle varie satrapie dei suoi ispettori itineranti, non a caso
chiamati “gli occhi del re”.
E’ pur vero, però, che questo sistema amministrativo funzionò in modo esemplare finché al potere ci furono sovrani
autorevoli ed amati come Dario e alcuni dei suoi immediati successori. In seguito i satrapi iniziarono a manifestare velleità
indipendentiste, che portarono alla decadenza dell’impero e facilitarono la conquista di Alessandro Magno.
Ogni satrapia doveva versare tributi e doni, ossia prodotti locali come cavalli e legnami, ma non risulta che il prelievo
fiscale dello Stato fosse particolarmente esoso.
Per favorire la coesione e il controllo dell’immenso territorio, venne realizzato un efficiente sistema di comunicazioni,
attraverso la costruzione di strade, le cosiddette vie regie.. La più famosa era la Strada Imperiale, lunga 2400 chilometri,
che collegava la capitale Susa con la città di Sardi, in Asia Minore, attraversando l’Anatolia, l’Armenia e la Media. Lungo
il suo percorso sorgevano caravanserragli, per dare ricovero a viaggiatori e mercanti, presidi di sicurezza e stazioni per
il cambio dei cavalli. Per un pedone, che poteva tranquillamente transitavi senza il timore di brutti incontri, l’intero tragitto
durava poco più di tre mesi.
Venne anche promossa l’unificazione ponderale e si diffuse la moneta, che da poco aveva fatto la sua comparsa in
Lidia.
Il darico in oro o in argento divenne la moneta ufficiale dell’impero; all’inizio nacque per esigenze
amministrative (pagamento dei tributi) e militari (pagamento delle truppe), ma ben presto assunse
anche usi commerciali.
Sempre per soddisfare l’esigenza di controllo del territorio, durante il regno di Dario fu approntato un
razionale sistema di posta reale a cavallo, in modo che l’imperatore potesse celermente essere
informato su quanto accadeva anche nelle zone più remote dei suoi domini. Lo storico greco Erodoto
Moneta persiana
racconta che una lettera impiegava solo sette giorni da Susa all’Egeo;
Darico
con il precedente sistema, che affidava la posta alle carovane, ne
sarebbero occorsi 90.
Venne anche messo a punto un espediente per le comunicazioni urgenti. Le notizie
venivano trasmesse da torri di segnalazione, con un sistema di segnali luminosi sul tipo
dell’alfabeto Morse, poiché i guardiani delle torri coprivano a intervalli prestabiliti una
fiamma. In Persia le torri di segnalazione vennero utilizzate fino al sec. XIX, per poi essere
sostituite dal telegrafo elettrico.
La saggezza di Dario si espresse anche in una vasta attività legislativa, sempre ispirata a
principi di umanità, volti alla difesa dei deboli e dei poveri.“Verrà osservata la mia legge,
che il povero non subisca ingiustizie dal ricco”. Così si legge su una pietra della tomba
rupestre di Dario, nei pressi di Persepoli.
Tomba di Dario Persepolis
LESSICO
Caravanserragli: edifici costruiti per dare servizi e ospitalità ai viaggiatori che attraversavano le zone desertiche
dell’Asia. Erano costituiti da un ampio cortile, cinto da un porticato.
Unificazione ponderale: unificazione dei pesi e delle misure.
Alfabeto Morse: e’ un sistema che si avvale di un codice ad intermittenza per trasmettere lettere, numeri e
punteggiatura. Fu inventato dallo statunitense Samuel Finley Morse nel 1836 e venne utilizzato per la telegrafia e
per la radiotelegrafia.
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Storia Antica - primo anno
LA RELIGIONE DEI PERSIANI: IL MAZDEISMO
Il pensiero dell’antica Persia trovò una delle sue massime espressioni nell’elaborazione di una religione monoteista: il
mazdeismo. Essa, per la sua profondità spirituale e morale, prevale su molti altri culti politeisti del tempo ed ha influenzato
alcuni principi teologici delle successive religioni, fra cui il Cristianesimo e l’Islamismo.
Alle origini della loro storia i Persiani adoravano molteplici divinità che rappresentavano alcune forze della natura, fra cui:
Mitra, (il sole), Atar (il fuoco), Vayu (il vento).
Probabilmente fra il VII ed il VI secolo a.C. iniziò la predicazione del profeta Zarathustra, noto
ai Greci con il nome di Zoroastro. La sua biografia è avvolta nella leggenda; forse nacque verso
il 630 a.C. in Battriana, da una nobile famiglia di pastori e da qui iniziò a diffondere il suo credo:
il Mazdeismo. Si racconta anche che Zarathustra ottenne la protezione di un potente principe,
che alcuni storici identificano con Istaspe, padre di Dario.
Forse Ciro, ma sicuramente Dario, furono mazdeisti e tale religione divenne poi centrale nel
mondo iranico, al punto da sopravvivere anche dopo la fine degli Achemenidi.
I principi dell’antico Mazdeismo sono contenuti nel libro sacro dell’Avesta, costituito da parti
diverse per contenuto e che furono scritte in epoche differenti. Il nucleo più antico è la Ghota,
composta da 17 inni, che con buone probabilità risalgono allo
stesso Zarathustra. Il resto fu redatto in età successive dai Magi,
appartenenti ad una potente casta sacerdotale.
Il pensiero religioso del profeta parte da una premessa rigorosamente
monoteista, poiché afferma che esiste una sola divinità, Ahura Mazda,
Zarathustra
Avesta
principio unico del Bene e creatore del mondo.
Ahura Mazda possiede precise entità al suo servizio, che non sono divinità a sé stanti, ma attributi dell’unico dio. Esse
sono: il Buon pensiero, la Verità, la Sovranità, la Docilità, l’Integrità e l’Immortalità. Queste entità esprimono una profonda
esigenza morale, facendo delle rettitudine e della giustizia dei fondamentali cardini anche nella vita sociale.
Ad Ahura Mazda tenta di opporsi Angra Mainyu, lo spirito del
Male, che opera aiutato da una schiera di demoni. Il mondo
terreno vede la continua opposizione dualistica fra Bene e
Male e gli uomini sono chiamati a scegliere se rimane schiavi
di Angra Mainyu, attraverso il peccato, o se aspirare alla via
della perfezione morale, scegliendo per Ahura Mazda.
Per portare l’umanità sulla via del Bene, Ahura Mazda ha
inviato sulla terra il suo profeta Zarathustra e continuerà ad
inviare ogni millennio un nuovo salvatore. Questo aspetto
legato alla profezia di un salvatore, fece pensare ai primi
cristiani che Zarathustra avesse profetizzato l’avvento di
Ahura Mazda
Gesù e ciò spiega anche il motivo per cui nei Vangeli si narra
che i magi, seguendo la cometa, portarono doni e adorarono il bambino nato nella capanna di Betlemme.
L’eterna lotta fra Bene e Male si concluderà nel giorno del giudizio universale, quanto i morti resusciteranno dalle tombe
e davanti a dio risponderanno della loro vita. Chi avrà accettato il messaggio di Zarathustra otterrà in premio la vita eterna
in Paradiso, regno di Ahura Mazda, per gli altri ci sarà la condanna nei tormenti dell’Inferno.
Ci si trova dunque di fronte ad una religione etica, in cui gli uomini sono chiamati nella vita terrena
ad operare e scegliere per il Bene, aspetto teologico ribadito anche da altre successive religioni
monoteiste, quali il Cristianesimo e l’Islamismo.
A lungo si è discusso sulle reciproche influenze fra il Mazdeismo e l’Ebraismo, chiedendosi se
Zarathustra abbia elaborato qualcosa di nuovo rispetto gli insegnamenti dell’Antico Testamento, tanto
più che il predicatore persiano visse dopo Mosè e i profeti ebraici Elia e Geremia. Sicuramente
l’aspetto meno originale del suo pensiero è il monoteismo, in cui già gli Ebrei credevano. Molti studiosi
di storia delle religioni concordano invece sul fatto che Zarathustra fu il primo a predicare il tema della
giustizia compensatrice nell’Aldilà, che dà in premio ai buoni il Paradiso e condanna i malvagi
all’Inferno. Prima di Zarathustra gli Ebrei credevano in una visione più terrena della punizione divina.
I peccatori infatti espiavano le loro colpe con punizioni che Jhavè mandava loro nell’Aldiqua.
Angra Mainyu
51
Storia Antica - primo anno
Non è da escludere, dunque che, riguardo a questo aspetto, gli Ebrei abbiano subito l’influenza del profeta persiano,
forse conoscendo il suo credo quando Ciro conquistò Babilonia e li liberò dalla schiavitù.
LESSICO
Mazdeismo: il nome deriva da Ahura Madza, il dio di questa religione monoteista. Il credo si può chiamare anche
Zoroastrismo, riprendendo l’appellativo greco di Zarathustra.
Magi: sacerdoti del culto di Zoroastro, esperti anche di astrologia. I Re Magi della tradizione cristiana erano
probabilmente dei sacerdoti zoroastriani.
Religione etica: religione che predica valori morali.
Giustizia compensatrice: giustizia divina secondo cui il Bene deve essere ricompensato con il bene e il Male punito
con il male.
Le principali città dei Persiani
Ai tempi di Dario la capitale era Susa. Lì il sovrano amava risiedere e solo d’estate talvolta si trasferiva ad Ecbatana,
l’antica capitale dei Medi. Non visse mai a Pasargade, la capitale fondata da Ciro, non lontano dal luogo dove
aveva sconfitto i Medi e dove Ciro venne sepolto.
Susa era una città popolosa e cosmopolita; per renderla ancora più bella Dario chiamò i migliori architetti
dell’impero, che vi eressero suntuosi palazzi.
Nel 520 a. C. il Gran Re volle la costruzione di un’altra meravigliosa città: Persepoli, la cui edificazione venne
terminata sotto il regno del figlio Serse.
Benché fosse una città superba e splendida, con il maestoso palazzo reale dell’Apadana, di cui si possono
ancora ammirare le rovine, Dario non vi trasferì mai stabilmente la corte. Pare che fosse stata pensata solo per
scopi celebrativi, lì infatti venivano incoronati i sovrani e lì erano sepolti. Il sovrano inoltre vi accoglieva nel fasto
le delegazioni dei territori a lui sottomessi, fra un lusso e una solennità destinati a stupire. Persepoli venne
incendiata da Alessandro Magno nel IV secolo a.C.
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Storia Antica - primo anno
LABORATORIO
1) Rispondi alle seguenti domande:
- Perché gli Hittiti potenziarono la diplomazia?
- Quali erano le caratteristiche che distinguevano un sovrano hittita da un sovrano babilonese?
- Quali ragioni stavano alla base del militarismo assiro?
- Metti a confronto i comportamenti che Assiri e Persiani tennero verso i vinti.
- Per quali ragioni crollò il dominio assiro?
- Presenta le direttrici dell’espansionismo di Ciro.
- Presenta tutte le caratteristiche che conosci del secondo impero babilonese.
- In che modi e con quali strumenti Dario riuscì a controllare e a rendere unitario il suo vastissimo impero?
- Presenta le caratteristiche più innovative del mazdeismo.
2) Attribuisci ad ogni civiltà le informazioni corrette. Attenzione: ci sono degli intrusi.
CIVILTA’
INFORMAZIONI
HITTITI
ASSIRI
PERSIANI
1) Sargon II conquistò il regno di Guida
2) Scrissero il primo codice di leggi
3) Conquistarono la Lidia
4) Deportarono la popolazione di Babilonia
5) Intrattenevano fiorenti commerci con i Greci
6) Permisero agli Ebrei di ricostruire il tempio di Gerusalemme
7) Vennero sconfitti dai popoli del mare
8) La loro capitale Ninive fu rasa al suolo
9) Rimasero sempre organizzati con un sistema di città-stato
10) Vennero conquistati da Alessandro Magno
11) Erano una popolazione che parlava una lingua indoeuropea
12) Prima di affermarsi nel Vicino Oriente erano insediati nell’area dell’alto Tigri
13) Non effettuarono alcuna conquista
14) Il re veniva eletto da un’assemblea di nobili
15) La loro prima capitale fu Pasargarde
16) Furono sconfitti in due guerre dai Greci.
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Storia Antica - primo anno
3) Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e riscrivi correttamente quelle sbagliate
a)
Giunti sull’altopiano iranico, per molti secoli i Persiani dominarono i Medi
V
F
b)
Gli Hittiti costituirono un impero accentrato
V
F
c)
I Persiani erano una popolazione indoeuropea
V
F
d)
Gli Assiri erano l’unico popolo del Vicino Oriente che praticava le deportazioni
V
F
e)
Ninive fu la più antica capitale degli Assiri
V
F
f)
Il persiano Nabucodonosor ordinò il saccheggiò del tempio di Gerusalemme
V
F
g)
Il mazdeismo fu fondato da Zoroastro
V
F
h)
Gli Hittiti furono fra i primi popoli ad usare il carro coi cavalli
V
F
i)
Le satrapie dovevano versare onerosi tributi al sovrano persiano
V
F
l)
Gli Assiri furono conquistati dai popoli del mare
V
F
m)
Gli Hittiti combatterono a Qadesh contro gli Egizi
V
F
n)
Ciro coniò la prima moneta dell’impero persiano
V
F
4) Spiega il significato dei seguenti termini ed espressioni
Satrapo ..........................................................................................................................................................................
Deportazione .................................................................................................................................................................
Darico ............................................................................................................................................................................
Magi ...............................................................................................................................................................................
Popolo indoeuropeo ......................................................................................................................................................
Attività di ricerca e approfondimento
Come hai appreso da questa unità, gli Hittiti furono il primo popolo antico a coltivare rapporti diplomatici coi Paesi vicini.
Svolgi un’attività di ricerca sull’importanza della diplomazia nei rapporti internazionali, soffermandoti ad analizzare alcuni
casi sia della storia passata che di quella contemporanea.
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
LA FINE DELLA SCHIAVITU’ DEGLI EBREI A BABILONIA
Nel primo libro di Esdra, che fa parte dell’Antico Testamento, è ricordato l’editto con cui Ciro nel 539 a.C. liberò
gli Ebrei dalla schiavitù a Babilonia, consentendo loro di ritornare in Palestina e di riedificare il tempio di
Gerusalemme. Vi si sottolinea anche la liberalità del sovrano persiano, che consegnò agli Ebrei tutti i tesori che il
re babilonese Nabucodonosor aveva sottratto al tempio, al momento della conquista.
L’anno primo di Ciro, re dei Persiani, per adempiere la parola del Signore pronunziata per bocca di Geremia, il
Signore eccitò lo spirito di Ciro, re dei Persiani, il quale fece pubblicare a voce e per iscritto, in tutto il suo regno,
questo editto: “ Così dice Ciro re dei Persiani. Il Signore Dio del cielo mi ha dato tutti i regni delle terra, e m’ha
comandato d’edificargli una casa in Gerusalemme, che è in Giudea. Chi fra di voi appartiene al suo popolo? Il
suo Dio sia con lui; ascenda pure a Gerusalemme nella Giudea, a edificare la casa del Signore Dio d’Israele, il Dio
che è in Gerusalemme. Tutti quelli che rimangono, dovunque dimorino, gli uomini del posto li aiutino con argento,
oro, beni e bestiami, oltre le offerte volontarie a ricostruire il tempio di Dio che è in Gerusalemme.”
Allora i capi delle famiglie di Giuda e di Beniamino, i sacerdoti, i leviti, e tutti quelli a cui Dio eccitò lo spirito, si
mossero per andare a edificare il tempio del Signore in Gerusalemme. E tutti quelli che erano all’intorno aiutarono
la loro opera con vasi d’argento, d’oro, e beni e bestiame e suppellettili, oltre le offerte in bestiame.
Di più, il re Ciro mise fuori i vasi del tempio del Signore, che Nabucodonosor aveva portato via da Gerusalemme
e posti nel tempio del suo dio. Ciro re dei Persiani li trasse fuori per mezzo di Mitridate, figlio di Gazabar, e li contò
Sassabasar principe di Giudea. Eccone il numero: trenta coppe d’oro, mille coppe d’argento, ventinove coltelli,
trenta tazze d’oro, quattrocento dieci tazze d’argento di second’ordine e mille altri vasi. In tutto i vasi d’oro e
d’argento erano cinquemila quattrocento. Sassabar li riportò tutti con quelli della trasmigrazione che salivano da
Babilonia a Gerusalemme.
La Bibbia, primo libro di Esdra, 1-11, trad. di Eusebio Tintori, Edizioni Paoline, Alba, 1945
QUESTIONARIO
1) Istituisci un confronto fra il comportamento di Nabucodonosor e quello di Ciro nei confronti degli Ebrei.
2) Questa testimonianza tratta dalla Bibbia propone un’interpretazione religiosa della generosità di Ciro. Spiega
perché.
L’EDIFICAZIONE DEL PALAZZO DI SUSA
Il seguente testo compare su un’iscrizione commemorativa che ricorda la costruzione del palazzo reale a Susa,
voluto da Dario Come tutti i palazzi degli achemenidi, anche questo fu costruito con materiali provenienti da ogni
parte dell’impero. Ciascun popolo infatti contribuiva all’edificazione delle residenze regie, offrendo il meglio di
quanto possedeva.
Il testo conferma anche la grande devozione di Dario per Ahura Mazda. Il sovrano fu infatti un fervente seguace
del Mazdeismo.
Un grande dio è Ahura Mazda, che creò questa terra, che creò quel cielo, che creò l’uomo, che creò la felicità
per l’uomo, che fece Dario re, unico re di molti, un unico signore di molti, un unico signore. Io sono il re Dario, il
Re dei Re, re dei paesi, re in questa terra, figlio di Istaspe, l’Achemenide. Parla il re Dario: Ahura Mazda, il più
grande degli dei, egli mi creò re, egli mi conferì questo regno, grande, dai buoni cavalli, dagli uomini bravi. Per
volere di Ahura Mazda mio padre Istaspe e Arsame, mio nonno, erano ambedue in vita quando Ahura Mazda mi
fece in questa terra. Questo fu il desiderio di Ahura Mazda: egli mi scelse come unico uomo in tutta la terra e mi
fece re. Io venero Ahura Mazda, Ahura Mazda mi portò aiuto. Ciò che era deciso da me, questo egli compiva per
me. Ciò che io ho fatto, tutto ho fatto con il volere di Ahura Mazda.
Questo palazzo che io edificai a Susa, la decorazione fu portata da lontano. Il suolo fu scavato giù fino a che
giunsi alla roccia nella terra. Quando lo scavo fu fatto, allora fu riversato il pietrame, in parte alto quaranta cubiti,
in parte alto venti cubiti. Su questo pietrame venne costruito il palazzo.
E che la pietra fu scavata e il pietrame fu accumulato e i mattoni furono battuti sopra, il popolo di Babilonia fece
questo. Il legno di cedro, questo – c’è una montagna di nome Libano - da lì fu portato. Il popolo assiro lo portò
a Babilonia; da Babilonia i Cari e gli Ioni lo portarono a Susa. Il legno di Yaka fu portato da Gandara e dalla
Carmania. L’oro fu portato da Sardi e dalla Battriana, e qui fu lavorato. Le pietre colorate, lapislazzuli e corniola,
che furono lavorate qui, furono portate dalla Sogdiana. Le pietre colorate turchesi, queste furono portate dalla
Chorasmia e furono lavorate qui. L’argento e l’ebano furono portati dall’Egitto. La decorazione, con cui il muro fu
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Storia Antica - primo anno
adornato, fu portata dalla Ionia. L’avorio, che fu lavorato qui, fu portato dalla Nubia, dall’India e dall’Arachosia. Le
colonne di pietra, che furono lavorate qui - c’è un luogo di nome Abiradu nell’Elam – da lì furono portate. Gli
scalpellini, che lavoravano la pietra, questi erano Ioni Sardiani e Egiziani. Gli uomini, che lavoravano i mattoni,
questi erano Babilonesi. Gli uomini che decoravano il muro, questi erano Medi e Egiziani. Parla il re Dario. A Susa
una cosa molto bella fu pensata, una cosa molto bella fu. Me protegga Ahura Mazda e mio padre Istaspe e il mio
paese.
A.Pagliaro, Letteratura della Persia preislamica, Nuova Accademia, Milano, 1960
QUESTIONARIO
1) La fonte offre una chiara idea della vastità del dominio persiano. Da cosa si evince ciò?
2) Chiarisci il motivo per cui tale documento fornisce anche notizie importanti sulla religione al tempo di Dario.
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 4
IL MEDIO ORIENTE
I FENICI
IL NOME
Tanto il nome del popolo, Fenici, quanto quello del territorio, Fenicia, derivano da due parole greche, rispettivamente
Phoinikes e Phoinikee. In greco il termine Phoinix indicava il “rosso porpora”, quindi il nome assegnato al popolo ed alla
regione risulta chiaramente collegato a questo colore. Anche i Micenei (pre-greci) sembra li chiamassero in modo simile,
mentre da fonti bibliche ed epigrafiche risulta che i Fenici si chiamassero Cananei e Canaan era il nome che davano alla
loro terra. Dai testi si è potuto evincere il fatto che anche in accadico la parola kinakhkhu indicasse il colore rosso porpora,
per cui si può legittimamente supporre che Canaan fosse il nome autoctono e significasse “rosso”, forse dal colore che
solevano dare alle vesti, per le quali andavano famosi in tutta l’area mediterranea, e che poi il termine sia stato trasferito
e tradotto da altri popoli.
LE ORIGINI
Le origini della civiltà fenicia si possono far risalire alla fine del XIII secolo
a.C., quando grossi spostamenti di popoli sconvolsero l’assetto etnico
precedente, comprimendo le popolazioni preesistenti della costa orientale
del Mediterraneo approssimativamente nella regione dell’attuale Libano.
Ciò provocò l’unificazione culturale di quelle genti ed una loro proiezione
verso il mare, indotti dallo scarso territorio arabile della zona costiera e
dall’abbondanza dell’ottimo legname (il famoso cedro del Libano) di cui
erano prospere le foreste delle vicine montagne.
L’ORGANIZZAZIONE POLITICO-ECONOMICA
Anche la nazione fenicia, come già altri popoli, si organizzò in Città Stato, quasi certamente per la presenza di montagne
che ne rendevano discontinuo il territorio. Presto, a capo si pose un re, Signore della città, coadiuvato da un consiglio
di notabili.
La ricchezza di queste città risiedeva in alcuni prodotti tipici e nelle straordinarie capacità commerciali del popolo. Tra i
primi, vanno annoverati il legname e la porpora di cui abbiamo parlato, nonché il vetro, che alcuni specialisti erano capaci
di produrre attraverso la lavorazione della sabbia. Artigianato e commercio erano, quindi, le principali attività economiche
dei Fenici, mentre l’agricoltura era in secondo piano. Da ottimi marinai, quali erano, ovviamente non disdegnarono
l’esercizio occasionale della pirateria. Il dominio del mare e le esigenze commerciali spinsero i Fenici, come avremo modo
di vedere, a fondare colonie lungo tutte le coste del Mediterraneo, in particolare nel Nord Africa, in Sicilia e Sardegna e
nella penisola Iberica, divenendo un importante veicolo di civilizzazione, soprattutto per l’occidente.
LA STORIA
Intorno al 1200 a.C. l’invasione dei Popoli del
Mare distrusse molte città della costa siropalestinese, mentre l’invasione assira spingeva
i popoli dell’area (Cananei) a comprimersi
proprio su quella costa e le grandi città qui
situate furono costrette a pagare tributi ai re
assiri. Il dominio assiro sulle città fenicie
continuò fino al VII secolo. Solo nel 617 a.C.,
infatti, con la caduta dell’Impero assiro, la
presa di quest’ultimo sulle città della Fenicia si
allentò, fino a scomparire con la definitiva
Espansione Fenicia nel mediterraneo
vittoria dei Medi sugli Assiri.
Il periodo di autonomia e libertà, però, fu di breve durata, perché il re babilonese Nabucodonosor attaccò nuovamente
le città fenicie e ne ebbe la meglio, sottomettendole e riprendendo una dura politica di sfruttamento e repressione.
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Storia Antica - primo anno
Solo con la vittoria definitiva dei Persiani la Fenicia si riprese, sebbene ridotta a satrapia, perché le sue città pacificate e
sottomesse ad un moderato tributo poterono nuovamente rifiorire. I Fenici, perciò, collaborarono con i Persiani, fornendo
l’apporto della loro formidabile flotta contro gli egiziani e contro i greci.
Quando, però, il re persiano Cambise chiese la flotta per conquistare Cartagine, la più fiorente colonia fenicia sulla costa
del Nord Africa (nei pressi dell’odierna Tunisi), le città fenicie si opposero, dando prova del loro forte legame con le
proprie colonie (l’episodio è narrato da Erodoto).
Il livellamento determinato dalla cultura ellenistica in tutta l’area del Mediterraneo orientale, causò la perdita di molti
caratteri distintivi della civiltà fenicia. Tuttavia le città continuarono a rimanere divise e non formarono mai delle vere e
proprie leghe, nonostante sentissero di far parte di un ambito culturale comune.
LA RELIGIONE
Esistono, per la religione fenicia, fonti indirette, come Filone di Biblo, e fonti dirette, come le testimonianze archeologiche
trovate in territorio fenicio o coloniale o anche altrove. Non è tuttavia facile ricostruire esattamente la religione di questo
popolo.
Possiamo dire che si adoravano delle triadi divine, che rappresentavano soprattutto delle forze o degli elementi naturali
amati o temuti. A Biblo erano El, Baalat e Adonis. A Biblo esistevano poi altre divinità, molte delle quali di origine straniera,
dato che questa città intratteneva rapporti commerciali con molti paesi. A Sidone la triade era composta da Baal, Astarte
ed Eshmùn, dove Baal è la trasposizione maschile di Baalat, Astarte è il nome della dea madre, ed Eshmùn è l’equivalente
di Adonis. A Tiro, invece, si adorava una sola divinità, Melqart, il cui nome significava “Re della città”.
Come luoghi di culto si preferivano le montagne, dove si trovavano acque o alberi o pietre che si ritenevano sacre.
A Biblo si adorava un fiume detto adonis, che ogni anno si colorava di rosso, e perciò veniva collegato col mito
dell’omonimo dio. Nei santuari si adoravano alcune pietre coniche dette Betili, nome che significava «Dimora del dio», le
quali venivano posti sugli altari. Analoga funzione aveva l’ashêrâh una piccola colonna votiva probabilmente di legno.
I templi erano semplici recinti al centro dei quali era un Betilo o una cappella con dentro un Betilo. Di fronte ad essi stava
un altare per i sacrifici. Generalmente, a completare il tutto c’era una fonte o un bacino sacro e un boschetto. Vi dovevano
essere, però, anche edifici sacri coperti, come sembra dimostrato da alcune fonti.
Addetti al culto, vi erano sacerdoti e sacerdotesse. Nel tempio di Astarte era praticata, perfino, la prostituzione sacra.
Generalmente si facevano sacrifici animali e libazioni, alcune fonti riferiscono anche la pratica di sacrifici umani.
L’ARTE
I Fenici non furono dei grandi costruttori, perciò non si distinsero nelle opere monumentali. Si ritiene fossero dei bravi
architetti, infatti Salomone decise di rivolgersi a loro per edificare il Tempio di Gerusalemme. Possiamo quindi credere che,
accanto a quei templi all’aperto di cui abbiamo parlato, ce ne fossero anche di coperti, com’è dimostrato dall’effigie di
una moneta romana che ne rappresenta uno di Biblo.
Nelle opere architettoniche appaiono evidentissime le influenze straniere, soprattutto egizie. Particolari erano le tombe,
alle quali si accedeva attraverso un pozzo verticale sulla cui parete veniva scavata la cripta vera e propria. Per quel che
riguarda le case, ne costruivano di molto alte, forse fino a sei piani.
Ben altra importanza e diffusione ebbe, invece, l’artigianato artistico, che produceva oggetti facili da commerciare, come
statuine di bronzo, avorio lavorato a tutto tondo o in rilievo, coppe e piatti in oro, argento o bronzo, sigilli etc. Tutti questi
oggetti assorbono l’iconografia tradizionale del Vicino Oriente e dell’Egitto ed, in particolare tra l’VIII ed il VII secolo a.C.,
la trasmettono in tutto il mondo mediterraneo, determinando quel fenomeno artistico che è stato giustamente definito
dagli studiosi “Periodo Orientalizzante”.
In passato, questa espansione dei canoni artistici orientali era apparsa come una prova che, in questo periodo, ci fosse
stata una migrazione di genti provenienti dal mediterraneo Orientale verso le coste del Mediterraneo Occidentale.
Tale prova venne presa a sostegno soprattutto per la tesi della venuta degli Etruschi dalla Lidia, fondata anzitutto su un
racconto di Erodoto. Vedremo più avanti come tale tesi sia da rigettare, ma qui ci basta constatare come l’arte
orientalizzante, diffusasi soprattutto attraverso il commercio fenicio e greco, non abbia nulla a che vedere con una
migrazione di popoli.
Tutt’al più è possibile credere che alcuni artigiani orientali si siano trasferiti in occidente, portandovi le loro conoscenze,
ma questa ipotesi plausibile è tutt’altro che necessaria per spiegare il fenomeno dell’Orientalizzante, che si spiega invece
perfettamente come effetto del commercio.
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Storia Antica - primo anno
ECONOMIA E COMMERCIO
Avevamo già detto quanto fossero richiesti il pregiatissimo legno delle foreste libanesi, i tessuti che i fenici coloravano in
varie tonalità di rosso (ma anche in altri colori), i molteplici prodotti dell’artigianato artistico, soprattutto in materiali pregiati
(oro, argento, bronzo, avorio ecc.), il vetro di cui avevano perfezionato la tecnica di lavorazione, realizzando anche quello
trasparente, che era un’assoluta novità. Anche i prodotti agricoli, oli, balsami ed unguenti venivano commerciati da
Fenici.
Tuttavia, a rendere possibile la commercializzazione di tutti questi prodotti erano le capacità nautiche dei Fenici. In genere
si trattava di navigazione sottocosta (cabotaggio), che avveniva di giorno, mentre di notte i marinai andavano a rifugiarsi
in qualche posto sicuro sulla terraferma. Di tanto in tanto, però, i fenici si avventurarono anche in mare aperto e, dopo
aver acquisito la conoscenza di quasi tutte le rotte del Mediterraneo, giunsero ad avventurarsi oltre lo Stretto di Gibilterra.
Tra il VI ed il V secolo a.C., il grande navigatore Annone sembra sia giunto fin sotto il Golfo di Guinea, mentre Imilcone,
circumnavigando la Penisola Iberica, giunse sulle coste delle isole britanniche.
In questo contesto s’inserisce la fondazione delle colonie. Disseminate un po’ ovunque sulle rotte marittime del
mediterraneo ed oltre. Alcune di queste ebbero dimensioni e po tenza tale da poter competere con quelle della
madrepatria, ma la più grande ed importante fu Cartagine, sorta sulla costa prospiciente alla Sicilia (dove erano sorte
importanti colonie cartaginesi), nei pressi dell’odierna Tunisi. Essa costituì nel Mediterraneo Occidentale un impero
potentissimo, contro il quale Roma dovette affrontare, come vedremo più avanti, una sfida mortale, conclusasi nel 146
a.C. con la totale distruzione della città.
L’ALFABETO
Tra tutti i meriti attribuiti ai fenici, c’è anche quello di essere stati gli inventori dell’alfabeto. Anche questo, probabilmente,
non è del tutto vero, ma ai fenici va il merito di aver trasformato i segni monolitteri egiziani, semplificandoli ulteriormente
e trasformandoli in uno strumento semplice e flessibile, che ne rese a portata di tutti l’apprendimento e l’utilizzazione.
Già ad Ugarit, però, si era operata una simile trasformazione, sicché ai fenici va forse il merito di aver proseguito su
questa strada ed aver poi diffuso l’alfabeto in tutto il Mediterraneo, attraverso le stesse vie del loro commercio.
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Storia Antica - primo anno
GLI EBREI
ORIGINALITÀ D’ISRAELE: “IL POPOLO DI DIO”
Ciò che caratterizza gli Ebrei e li rende unici rispetto a tutti gli altri popoli che abbiamo fin qui studiato è la loro religione,
che coinvolge profondamente non solo tutti gli aspetti della vita individuale, sociale e politica di questo popolo, ma anche
la sua storia. Infatti gli Ebrei credono in un solo Dio (monoteismo), spirituale ed irrappresentabile, creatore e signore
dell’intero universo e di tutto ciò che in esso si trova, compreso l’uomo, che è stato fatto a sua immagine e somiglianza,
in quanto dotato di spirito divino, e perciò posto al centro del creato.
LA STORIA BIBLICA DELL’ANTICO TESTAMENTO
MICHELANGELO BUONARROTI “La caccia dell’Eden” (cappella Sisitna, Musei Vaticani - Roma)
Dio è per gli uomini, quindi, un padre benevolo ed amorevole, ma anche un giudice severo e vendicativo quando deviano
dalla strada che Egli ha tracciato per loro. Tutto questo è narrato in un testo sacro, la Bibbia, in quella parte di essa che
viene oggi denominata “Antico Testamento”. L’inizio è composto da cinque libri (Pentateuco), che narrano le vicende
della creazione e della più antica storia dell’uomo. Secondo questi racconti, già dopo la creazione, il primo uomo, Adamo,
che era stato posto nel “Paradiso terrestre” (l’Eden) assieme alla sua donna, Eva, aveva peccato nutrendosi dell’unico
frutto che gli era stato proibito di mangiare (Peccato originale). Per questo Dio lo cacciò dall’Eden, condannandolo ad
una vita dolorosa e mortale sulla terra.
In seguito, i discendenti di Adamo si erano corrotti a tal punto che Dio mandò un enorme diluvio per distruggerli (Diluvio
Universale), salvandone solo uno con la sua famiglia, Noè, al quale diede anche l’incarico di costruire un’arca in cui dare
rifugio ad una coppia di ciascuna specie di animali, che avrebbero poi ripopolato la terra.
In altre occasioni gli uomini trasgredirono al volere di Dio e furono da Lui prontamente e gravemente puniti (Sodoma e
Gomorra, Torre di Babele ecc.). Nella Bibbia, perciò, la storia è narrata fin dall’inizio come determinata dalle vicende della
relazione subordinata dell’uomo con Dio, dal quale tutto deriva e dipende.
L’episodio centrale della storia dell’Antico Testamento è però costituito dal patto che un discendente di Adamo, Abram,
uomo ispirato dalla fede, stabilì con Dio. Egli abitava ad Ur, nel sud della Mesopotamia, quando Dio gli apparve e gli
disse di andare verso una terra che gli avrebbe indicato. Giunto a Canaan, Dio gli rivelò che quella era la Terra Promessa
e gliela diede in eredità, rinnovando il suo patto. Cambiò il nome di Abram in Abramo, che significa “Padre di una
moltitudine”, perché da lui sarebbero discese molte nazioni, ma per queste ultime impose che avrebbero dovuto adorarlo
ed osservare tutte le Sue leggi.
Più tardi, un suo discendente, Giuseppe, a causa di una carestia portò il suo popolo in Egitto. Qui, però, gli Ebrei vennero
poi terribilmente sfruttati. In effetti, anche alcune fonti egiziane parlano di gruppi di immigrati asiatici, i Khabiru (gli ebrei?),
che venivano impiegati in vari lavori, soprattutto edili.
Conseguenza di questo sfruttamento, sarebbe stato l’Esodo, avvenuto per volere di Dio per mezzo di Mosè, che riuscì
a liberare il popolo d’Israele e a ricondurlo, dopo un lungo e difficile viaggio, nella terra di Canaan.
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Storia Antica - primo anno
Esodo degli Ebrei dall’Egitto
La menzione delle città alla cui costruzione gli ebrei sarebbero stati impiegati, Pitom e Ramesses, permette di assegnare
la loro permanenza in Egitto e, quindi, il loro esodo, al tempo di Ramses II o del figlio di questi, Merenptah,verso la fine
del XIII sec. a.C.. Durante il viaggio, presso il Monte Sinai Mosè avrebbe ricevuto da Dio i “Dieci Comandamenti”, cioè
le leggi fondamentali per il popolo d’Israele.
Mosè, per volere di Dio, non giunse nella terra di Canaan, in Palestina, la cui conquista sarebbe stata opera di Giosuè.
Egli vi avrebbe fatto irruzione da est, passando il fiume Giordano presso Gerico, ed avrebbe conquistato in breve l’intero
Paese. Infine, il territorio sarebbe stato suddiviso tra le dodici tribù di cui era composto Israele.
DALLA NARRAZIONE BIBLICA ALLA STORIA
Compito dello storico moderno, però, è di distinguere quanto ci sia di
vero tra le righe della narrazione biblica ed è interessante scoprire come,
all’interno di una trasposizione mitica e leggendaria, ci siano tantissime
realtà storiche, confermate da molte altre fonti: archeologiche,
epigrafiche, letterarie ecc.
Per gli studiosi moderni, la storia d’Israele inizia con lo stanziamento degli
Ebrei in Palestina e la formazione della Lega sacrale delle dodici tribù (tra
la fine del XIII ed il XII sec. a.C.), unite dal culto del Dio Yahweh.
Centro della Lega sacra era il santuario che custodiva l’Arca Santa (una
cassa fatta costruire da Mosè per ordine di Dio al fine di custodire,
soprattutto, le tavole della Legge), la quale tuttavia subì degli
spostamenti, fin quando il re Salomone non costruì il Tempio di
Gerusalemme.
Il periodo compreso tra lo stanziamento in Palestina e l’inizio della
monarchia è detto dei giudici, in quanto a capo della Lega veniva eletto
un “Giudice”, scelto da una delle tribù che la componevano
I rapporti con i vicini cananei furono vari e non sempre ostili. Si ebbero
però spesso dei contrasti e delle guerre, che terminarono a volte con la
conquista delle città cananee da parte degli israeliti, a volte
semplicemente con la vittoria non decisiva di una delle parti.
Nel 1000 a.C. Israele si dà una costituzione monarchica, in un periodo
di forti tensioni con i Filistei, eleggendo per acclamazione popolare il
primo re: Saul, cui successero Davide e Salomone.
Appena salito sul trono, Salomone (961-922 a.C.) eliminò i suoi avversari
politici e rafforzò la monarchia attraverso una saggia politica interna ed
un’estensione territoriale del Regno. Ebbe buoni rapporti con la città
fenicia Tiro, dei cui architetti ed artigiani si servì per la costruzione del
famoso Tempio di Gerusalemme.
Il david di Michelangelo
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Storia Antica - primo anno
Dopo la morte di Salomone, avvenuta nel
922 a.C., gli successe il figlio Roboamo,
ma il Regno d’Israele non lo riconobbe ed
anzi gli contrappose come proprio sovrano
Geroboamo, alto funzionario di Salomone.
Fino al 587 a.C., i due regni svolsero quindi
una politica separata, che solo in qualche
caso, per effetto di un comune pericolo
esterno, ebbe dei riavvicinamenti.
Il problema maggiore fu costituito dagli
Assiri: che invasero il Regno d’Israele e lo
ridussero a loro Provincia, deportandone
gran parte della popolazione nell’alta
Mesopotamia e nella Media.
Successivamente Israele fu attaccata
dall’impero babilonese il cui sovrano,
Nabucodonosor II, assediò Gerusalemme
e la espugnò nel 598 a.C., arrivando a
incendiare il Tempio di Salomone e a
deportare le classi più elevate della città
(Cattività babilonese).
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Book in
progress
Storia Antica - primo anno
U.d.A. 5
LA GRECIA
LA CIVILTÀ MINOICA
Le prime civiltà che si svilupparono lungo il corso
del Tigri , dell'Eufrate e del Nilo (V-IV millennio a.C),
nell'area geografica che gli storici hanno definito
"Mezzaluna fertile", poterono affermarsi grazie alla
capacità, tutta umana, di sfruttare la vicinanza
dell'acqua e di avviare così un'economia basata
sull'agricoltura irrigua. Furono le stesse condizioni
climatiche e la particolare morfologia del territorio,
quindi, a determinare la vocazione "agricola" di quei
gruppi umani.
Anche per comprendere la peculiarità della civiltà
cretese o minoica (l'aggettivo che le attribuì
l'archeologo inglese Evans, il primo a scoprirla, dal
nome del mitico sovrano dell'isola, Minosse), è
importante partire dall'ambiente naturale in cui essa
ebbe origine e si sviluppò. Creta (che deve il suo nome alla presenza di una grande quantità di creta nel suo territorio,
con la quale i suoi antichi abitatori hanno fabbricato moltissimo vasellame), è una grande isola situata al centro del
Mediterraneo orientale. Essa chiude a sud il bacino del mar Egeo, costellato dalle isole Cicladi, ed è pressoché
equidistante dalle coste del Peloponneso, da quelle asiatiche e dal Nord Africa, e grazie a venti e correnti favorevoli è
facilmente raggiungibile dagli abitanti di queste regioni. Una posizione molto vantaggiosa che ha favorito gli scambi
commerciali e culturali in tutto il bacino del Mediterraneo orientale e reso possibile la sua affermazione di grande potenza
marittima tra il 2000 e il 1400 a.C.
L'isola, abitata fin dal Neolitico da gruppi umani di
origine sicuramente diversa da quella dei greci,
come testimoniano la lingua, i tratti somatici e il
colore più scuro della pelle, oggi si presenta molto
meno verde a causa di un lunghissimo processo
di disboscamento, ma un tempo era ricca di
vegetazione e le sue scarse, ma fertili pianure,
consentivano la coltivazione della vite, dell'olivo,
di diversi alberi da frutto e dei cereali (orzo, miglio,
grano). Era, inoltre, praticato l'allevamento degli
ovini, che fornivano un'abbondante produzione di
lana, e dei maiali.
Creta è prevalentemente montuosa, alcune cime
superano i 2000 metri di altezza e un tempo i
suoi boschi fornivano il legname con cui gli antichi cretesi costruirono le imbarcazioni di una flotta in grado di assicurare
un'intensissima e florida attività economica basata sul commercio marittimo.
La civiltà minoica fiorì all'incirca tra il 3000 e il 1400 a.C.. Gli studiosi hanno diviso la sua storia in tre periodi, corrispondenti
grosso modo alle diverse epoche in cui sono stati edificati i suoi palazzi, veri e propri centri direzionali della vita politica,
economica e sociale dell'isola:
Prepalaziale (3000-2000 a.C.), corrispondente all'epoca in cui i cretesi
diventarono esperti nella lavorazione dei metalli.
Palaziale (1900-1700 a.C.), coincidente con un'epoca di grande splendore
e ricchezza per l'isola.
Neopalaziale (1700-1400 a.C.) epoca in cui i palazzi furono ricostruiti in seguito
ad una catastrofe naturale, più belli e maestosi di prima, e la civiltà rifiorì.
Monte IDA
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Storia Antica - primo anno
I PALAZZI: IL CUORE POLITICO, ECONOMICO E RELIGIOSO
Nelle zone orientale e meridionale dell'isola erano sorti e si andavano sempre più
sviluppando importanti centri, prossimi alle miniere di rame, ai depositi di argilla, ai porti
naturali d'imbarco per l'Egitto e per l'Asia minore. Nei tre centri urbani principali, Cnosso,
Festo, Mallia, vere e proprie capitali di regni territoriali che non costituirono mai un regno
unitario , sorsero i primi palazzi monumentali su aree molto vaste (Cnosso copriva
circa due ettari). Essi erano il fulcro della vita politica, economica, sociale e religiosa di
tutto il territorio circostante. Costruiti a terrazze digradanti, comprendevano la residenza
del re, i luoghi di culto, le sale per i giochi e gli spettacoli, i magazzini per la raccolta di
viveri e per la custodia dei tributi in natura o in metalli preziosi , le officine per lavorare la
ceramica, l'oro e l'argento, i laboratori artigiani, i frantoi, i forni, i bagni. Erano privi di
Mappa del Palazzo di Cnosso
fortificazioni o mura difensive, di torri e bastioni, evidentemente perché i cretesi
pensavano che il mare costituisse una barriera sufficientemente sicura da attacchi nemici
e che le loro flotte, militari e mercantili, erano in grado di assicurare l’inviolabilità dell’isola.
Il re della città-palazzo governava sul territorio di pertinenza della città, gestiva quindi il suo regno
indipendente, aveva al suo servizio agricoltori (che producevano olio, grano, vino), operai, artigiani,
pastori e gestiva la totalità delle risorse che i funzionari redistribuivano alla popolazione dopo averle
conteggiate e immagazzinate.
Questa incombenza fu senz'altro all'origine dell'uso di un sistema di scrittura che gli storici hanno
definito lineare A, che non è ancora stata decifrata, e quindi tutto ciò che conosciamo della civiltà
cretese lo dobbiamo agli archeologi.
Tavoletta in lineare A
LESSICO
Lineare A: forma di scrittura usata a Creta nei documenti ufficiali, non decifrata.
IL COMMERCIO MARITTIMO
I cretesi praticavano la navigazione di cabotaggio, si mantenevano cioè sempre vicini alla costa servendosi del vento o
dei remi, evitando di spingersi in mare aperto, così come del resto facevano tutti i naviganti dell'antichità, perché
l'orientamento in mare aperto costituiva una difficoltà in assenza di punti di riferimento certi. Navigavano quindi solo di
giorno e si fermavano di notte a bordo di imbarcazioni lunghe circa 20 metri.
Verso il 3000 a.C. grazie alla diffusione in tutta quest'area dell'uso dei metalli, Creta iniziò ad avere rapporti con le isole
Cicladi, l'Asia minore e l'Egitto con cui commerciava oro, rame, bronzo, avorio, legname, pietre preziose, oggetti di lusso,
ossidiana, marmo, attraverso un ricco e opulento scambio commerciale, ma anche culturale, di costume, di tecniche e
di uomini come dimostrano gli scavi archeologici in tutta l'area interessata.
Il Mediterraneo orientale pullulava di genti che,
andando per mare, in un incontro sempre fecondo
di culture diverse e complementari, resero grandi le
loro civiltà.
Durante i primi secoli del secondo millennio Creta
visse un nuovo e intenso sviluppo commerciale.
L'isola, infatti, si trovò al centro di un importante
traffico che trasportava lo stagno (indispensabile
nella lega del bronzo) dall'Europa al Mediterraneo
orientale.
Creta, grazie alla sua posizione geografica, diventò
l'intermediaria di questo commercio tra la Grecia,
l'Asia minore, le bocche del Nilo, la Siria di fronte
alla quale si trova Cipro, un'isola ricca di rame, l'altro
elemento indispensabile per realizzare il bronzo.
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Storia Antica - primo anno
I marinai e i mercanti cretesi si recavano in Cirenaica a ricercare spezie esotiche, esportavano le loro produzioni nella
Grecia centrale, a Cipro, nell'alto Egitto, a Byblos, in Fenicia, acquistavano oggetti dalla lontana Babilonia. Il commercio
cretese divenne sempre più florido e l’isola s’impose come potenza senza rivali in tutto il Mediterraneo Orientale,
affermandovi un monopolio economico e commerciale che gli storici hanno definito talassocrazia.
LESSICO
Talassocrazia: Termine di derivazione greca (Thalassa “θθθθθθθ”, mare, e Kratos “θθθθθθ”, potere), che significa
letteralmente “Dominio del mare” e che indica il potere che si appoggia su questo dominio.
L’ARCHITETTURA, L’ARTE, L’ARTIGIANATO, LA RELIGIONE.
Grazie agli influssi esterni e all'agiatezza dei suoi abitanti, i cretesi diedero
vita ad una architettura solida ed elegante, decorata con disegni e colori
vivaci. Essa, così come tutta l'espressione artistica dei cretesi, testimonia
il loro profondo legame con la natura: soggetti antropici, animali e vegetali,
paesaggi terrestri e acquatici, dai colori caldi e mediterranei, affrescano
le superbe pareti dei palazzi e danno chiara l'idea di una vita collettiva
religiosa e laica libera ed esuberante, espressione di una società agiata e
pacifica in cui il commercio contava più delle conquiste territoriali.
L'industria dell'artigianato creava una quantità di piccoli
oggetti in rame, oro, argento, pietre dure e un'ampia e varia
produzione di ceramica, testimonianza di buon gusto e
ricchezza.
La società di cui stiamo parlando era più libera delle società
asiatiche con cui i marinai e i mercanti cretesi avevano
continui rapporti. La donna aveva in essa un ruolo senz'altro
più centrale, ne sono ancora una volta testimonianza gli
Affresco con scena di Taurocatapsia
affreschi che raffigurano donne intente a svolgere le più
svariate attività, soprattutto sportive, oppure colte durante
una conversazione, vestite con eleganza e civetteria e ornate di gioielli.
Come ci dice Hauser, “le testimonianze dei monumenti evocano una vita splendida, una corte fastosa, magnifiche dimore
signorili, ricche città, immensi latifondi”
A Creta erano venerate numerose divinità legate all'ambiente naturale e divinità femminili riguardanti il culto della dea
madre o della fertilità, come del resto avveniva in tutte le società agricole del Mediterraneo. Un particolare culto era
riservato al toro, al quale si riconduce il mito del Minotauro.
In tutta l'isola non sono stati trovati templi, perché il culto era esercitato all'aperto o all'interno dei palazzi.
Vaso Minoico
Rappresentazione
di un polipo
Oreficeria
Minoica
Dea
dei Serpenti
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Storia Antica - primo anno
LA FINE DELLA CIVILTÀ CRETESE
Attorno al 1400 a.C. i meravigliosi palazzi cretesi furono distrutti e non più ricostruiti, probabilmente a causa delle
conseguenze di un terribile terremoto (così come era avvenuto altre volte, quando però i palazzi erano stati ricostruiti),
essendo l'area, allora come oggi, altamente sismica.
Questo evento avrebbe favorito, secondo gli storici, l'insediamento degli Achei nell'isola e sancito la fine di questa
splendida civiltà che abbiamo potuto conoscere grazie agli scavi archeologici che ne hanno riportato in luce le
magnificenze e alla decifrazione della scrittura lineare B, succeduta alla lineare A, in cui sono redatte circa tremila tavolette
che il primo scopritore della civiltà cretese, l'archeologo Evans, rinvenne a Cnosso.
Queste tavolette, tuttavia, riguardano la vita economica dell'isola: le entrate dell'olio e del grano, gli affitti delle terre di
proprietà regale, i dipendenti al servizio del palazzo.
LESSICO
lineare B: forma di scrittura, usata a Creta e derivata dall’influenza micenea, ci di tipo sillabico.
La fine della civiltà cretese è, tuttavia, ancora avvolta nel
mistero. Alcuni storici ne attribuiscono la fine all'invasione
degli Achei, un popolo bellicoso e determinato che aveva
occupato, quasi sempre con la forza, ampi territori della
penisola greca e con cui i cretesi avevano da tempo
rapporti. Altri pensano che la catastrofe naturale,
indebolendo il potere politico ed economico delle città
palaziali, abbia determinato la conquista di Creta da parte
degli Achei e accolgono quindi entrambe le ipotesi.
Per il mito di Teseo, Arianna e il Minotauro si rimanda al
CD agli approfondimenti.
Guerrieri achei rappresentati su un vaso miceneo
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Book in
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Storia Antica - primo anno
LA CIVILTÀ MICENEA
La Grecia occupa la parte più meridionale della penisola
balcanica ed è essa stessa una penisola bagnata dai
mari Egeo, Mediterraneo e Ionio, e circondata da una
miriade di isole di diversa grandezza, il cui gruppo più
consistente è quello delle Cicladi, nel cuore dell' Egeo.
Essa è costituita da un territorio prevalentemente
montuoso, le pianure sono molto spesso delle piccole
vallate o delle esigue strisce costiere, quelle più estese si
trovano nelle regioni della Tessaglia e della Beozia.
Questa configurazione geografica ha influito sulla natura
delle sue genti, condizionandone le scelte sociali,
economiche, politiche e culturali.
Gli antichi abitatori dell'isola, gli Elleni, di origine
indoeuropea, vi arrivarono a ondate migratorie
successive. I primi, attorno al 1600 a.C., furono gli Achei,
seguiti dagli Ioni, dagli Eoli e dai Dori intorno al 1200 a.C.
Essi occuparono territori diversi, si fusero con le popolazioni indigene, a volte in modo traumatico, come nel caso dei
Dori, che s'insediarono con la violenza nei territori occupati in precedenza dagli Achei (soprattutto il Peloponneso).
Provenienti probabilmente dalla penisola balcanica o dalla Russia meridionale, queste genti non costituirono mai uno
Stato unitario, sentirono, però, sempre forte l'appartenenza ad una stessa discendenza, di cui erano testimonianza viva
le comuni lingua e religione; inoltre sapevano coalizzarsi per compiere delle imprese importanti o nei momenti di pericolo.
L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE, POLITICA, ECONOMICA
Gli Achei si stanziarono nel Peloponneso dove
fondarono numerosi centri, delle cittadelle fortificate il
cui fulcro era costituito dal palazzo del re. Tra queste
città la più famosa è sicuramente Micene, da cui gli
Achei prendono il nome. Altri centri famosi furono Tiro,
Argo, Tebe, Tirinto.
Edificate sul punto più alto del territorio in cui
sorgevano, le città achee erano circondante da
imponenti mura, così possenti da essere definite
ciclopiche; se ne attribuiva, infatti, la costruzione ai
Ciclopi, i mitici giganti figli di Poseidone.
Gli Achei non costituirono mai uno Stato unitario, la
reggia del re costituiva il centro della vita politica ed
economica, l'organizzazione sociale era fortemente
gerarchica, al vertice c'era il wanax, un re guerriero,
legittimato dal ceto aristocratico al quale apparteneva e
i cui componenti erano valorosi e nobili guerrieri suoi pari
che, tuttavia, in tempo di pace non disdegnavano i lavori
agricoli e pastorali; al di sotto di loro il demos si
occupava dei lavori più umili. Il re era affiancato dal
lawagetas, un comandante militare: a entrambi spettava
la gestione politica, amministrativa ed economica della
società.
La porta dei Leoni a Micene
L'attività economica era prevalentemente legata alla
coltivazione della vite, dell'olivo, dei cereali, come il
grano e l'orzo, di alcune spezie, della pianta del lino.
Anche l'allevamento di capre, pecore, maiali e cavalli era molto praticato.
L'artigianato era fiorente soprattutto nella produzione di tessuti, di manufatti in oro e in bronzo.
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Storia Antica - primo anno
La struttura di queste città era l'espressione del carattere bellicoso e conquistatore degli abitanti che, dopo aver occupato
il Peloponneso, si spinsero in mare e appresero dai Cretesi, molto più evoluti, le tecniche della coltivazione dell'olivo e
della vite e quelle della navigazione, riuscendo a diventare, così, degli ottimi mercanti marittimi. Oggetti micenei sono
stati trovati in Sicilia, nell'Italia meridionale e persino in Inghilterra oltre che sulla costa siriana e a Cipro.
Essi fecero anche da intermediari tra l'Asia e l'Europa per l'approvvigionamento, da parte dei popoli del Mediterraneo
orientale, di rame, stagno e ambra.
In oro da Micene,
detta di Agamennone,
ma in realtà anteriore di qualche secolo
a questo sovrano di cui parla Omero.
Infatti, mentre la guerra di Troia si
collocherebbe intorno al 1180 a.C., questa
maschera è databile al XVI sec. a.C. ca.
C’è anche si sostiene che si tratti di un falso.
Vaso miceneo con la rappresentazione di
guerrieri Achei
Maschera Funeraria
LA RELIGIONE
Gli Achei erano politeisti, i loro dei dominavano il mondo, avevano le stesse caratteristiche degli uomini, ma a differenza
di loro erano potenti e immortali, come gli uomini avevano pregi e difetti, invidie, generosità e gelosie. Essi potevano
persino innamorarsi degli uomini, avere dei figli con loro ed erano favorevoli soprattutto agli eroi, che erano i veri interpreti
dello spirito acheo, così come ci raccontano l’Iliade e l’Odissea.
Le gesta degli eroi e le vicende degli dei sono la materia del mito. A capo della stirpe divina c’era Zeus, accanto a lui
governavano sulle vicende dei mortali la moglie Era e una miriade di altre divinità, più o meno importanti.
LA SCRITTURA
I segni della scrittura sillabica micenea
detta LINEARE B
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La scrittura usata dagli Achei era la lineare B, una scrittura sillabica con 89 segni,
impiegata per scopi esclusivamente pratici, commerciali; essa è un dialetto
greco, antenato dei dialetti greci che conosciamo.
Le fonti principali per la conoscenza della civiltà micenea sono i poemi omerici:
Iliade e Odissea. Queste opere, considerate per molti secoli il prodotto della
fantasia, sono invece il racconto, senz'altro alterato e romanzato, di un evento
realmente accaduto: la guerra di Troia.
Fu un ricco commerciante tedesco, Heinrich Schliemann, innamorato dei poemi
omerici, a dimostrare la fondatezza di molto di ciò che in essi veniva narrato;
egli, infatti, a dispetto di tutto, avviò, a proprie spese, una campagna di scavi
basandosi sulla descrizione che Omero aveva fatto di Troia, nell'Iliade.
Nel 1872 l'archeologo identificò il sito della Troia omerica ed ebbe ragione;
valendosi della stessa fonte e della stessa intuizione portò anche alla luce, nel
Peloponneso, la rocca di Micene dove rinvenne le sepolture di coloro che egli
ritenne essere gli eroi della guerra contro Troia. Le tombe erano magnifiche per
la quantità e la qualità degli oggetti di lusso in esse rinvenuti, tra cui gioielli e
maschere facciali d’oro.
La civiltà micenea iniziò a decadere a partire dal XIII sec., ma furono le invasioni
dei Dori, poco dopo il 1200 a.C., a darle il colpo mortale. Il saccheggio, la
distruzione e l'incendio dei palazzi di Tiro, Pilo, Micene e la conseguente fine del
potere dei re sancirono la fine degli Achei.
Book in
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Storia Antica - primo anno
LA PRIMA COLONIZZAZIONE GRECA, IL MEDIOEVO ELLENICO
La prima colonizzazione greca avvenne attorno all'XI sec, in seguito alle ripetute invasioni subite dal territorio greco da parte
di popolazioni nomadi di origine indoeuropea.
Tra queste, quella dei Dori era senz'altro la più violenta e numerosa. I Dori conoscevano la tecnica della lavorazione del ferro
che si era diffusa nel Mediterraneo dopo il crollo della potenza Ittita che ne aveva custodito il segreto.
Essi, tuttavia, erano molto meno evoluti delle popolazioni che vivevano da secoli in Grecia, ma grazie all'esercizio spietato delle
armi di ferro e all'uso dei carri trainati da cavalli, riuscirono a sconfiggerle e ad imporsi ad esse frantumandone l'assetto sociale,
politico e culturale, come dimostrano gli scavi archeologici a proposito, ad esempio, della fine della civiltà micenea.
Le istituzioni politiche preesistenti al loro arrivo furono smantellate, cessarono gli scambi commerciali, scomparvero la scrittura
e l'architettura monumentale unitamente ad ogni forma d'arte e per almeno quattro secoli la Grecia attraversò un lungo periodo
di decadenza e involuzione che è stato definito dagli storici "Medioevo ellenico" (per indicare un arco di tempo della Storia
greca che sta tra la civiltà micenea e la nascita della polis).
La popolazione diminuì notevolmente a causa delle guerre,delle carestie, delle epidemie che l'arrivo degli invasori aveva determinato.
I Dori erano organizzati in tribù guerriere, le loro elementari istituzioni erano fondate su rapporti di parentela, sul ghenos, cioè
sulla stirpe. Ogni ghenos era composto da famiglie aristocratiche imparentate tra loro che avevano il controllo della società e
i cui valori fondamentali erano il coraggio militare e l'onore sul campo di battaglia.
Si trattava di una società molto più semplice di quella achea, molto frazionata politicamente ed economicamente fondata
sull'agricoltura e la pastorizia, ma anche sulla razzia ai danni di altre popolazioni. Una società molto diversa, quindi, da quella
degli Achei, che avevano espresso un potere politico e una struttura sociale molto più complessi e un' economia basata sugli
scambi commerciali che i Dori disprezzavano.
L'arrivo dei Dori fu sicuramente una delle principali cause di un vasto processo migratorio che interessò l'intera penisola greca,
come luogo di provenienza, e tutta l'area dell'Egeo, come destinazione.
Il crollo dell'Impero Ittita aveva reso i territori dell'Asia Minore più accessibili e così Ioni, Eoli, quello che era rimasto degli Achei,
gruppi di Dori si spostarono in massa verso le isole dell'Egeo e le coste dell'Anatolia. Qui le popolazioni greche conservarono
la loro identità etnica, come dimostrano i nomi che diedero alle regioni in cui si insediarono: Ionia, Eolide, Doride, e fondarono numerose
città tra cui Mileto, Efeso, Chio, Samo, Focea in cui riproposero modelli politici, sociali, religiosi già realizzati nell'area di provenienza.
L'ETÀ ARCAICA ( VIII- VI SEC.A.C.) E LA NASCITA DELLA POLIS
A partire dall' VIII sec a. C., iniziò in Grecia un periodo di ripresa, la popolazione crebbe e ripresero i rapporti col mondo esterno,
ricomparvero la scrittura e la decorazione della ceramica, ma l'elemento più significativo fu la nascita della polis: una forma di
organizzazione politica e sociale molto originale esclusivamente greca, che raggiunse una sua definitiva fisionomia nel VI sec. a.C..
La polis era un'entità politica autonoma, con istituzioni proprie, una propria amministrazione della giustizia e dell'economia, un
proprio territorio di pertinenza e naturalmente una propria comunità di individui. Insomma uno Stato completamente
indipendente, il cui governo era nelle mani degli aristoi, cioè dei nobili che detenevano il potere politico, economico e militare.
E così fu fino all’affermazione in molte poleis, prima fra tutte Atene, dove nacque, della democrazia.
La nascita della polis, fu senz'altro favorita dalla morfologia del territorio greco, che rendeva difficili gli insediamenti umani e
soprattutto le comunicazioni tra le diverse comunità, a causa delle naturali barriere rappresentate dalle montagne e dal mare.
Anche per questo la polis, come struttura politica e sociale, fu sempre orgogliosamente chiusa nel suo territorio, spesso vittima
di rivalità e campanilismi , incapace di uscire da un’idea di comunità che inglobasse le altre poleis.
Col tempo, nella maggior parte delle poleis si affermò una forma di governo basata sulla partecipazione diretta dei cittadini,
era necessario quindi che il territorio da governare non fosse troppo grande, e questo può essere un altro motivo per cui in
Grecia non si arrivò mai alla costituzione di uno stato unitario.
Fisicamente la polis era divisa in tre parti: l’akropolis, cioè la parte alta dove venivano edificati i templi, ma anche spazi di uso
pubblico, l’asty, cioè la parte bassa abitata e la chora, cioè il territorio
agricolo, sia quello coltivabile che quello adibito al pascolo. Il cuore
della polis era l’agorà, la piazza, dove si radunavano i cittadini per
sbrigare gli affari comuni e scambiare notizie, opinioni e merci.
Soprattutto a partire dal VII sec, con l’introduzione delle monete d’oro
e d’argento come mezzo di scambio, l’agorà assunse sempre più la
funzione di piazza del mercato, ma non perse mai il suo ruolo di luogo
d’incontro, di intrattenimento e di affari.
Molte poleis raggiunsero livelli di organizzazione politica alti e si
distinsero per le più elevate espressioni del pensiero, una di esse, e
senz’altro la più grande in questo senso, fu Atene. Tutte sentivano
forte l’appartenenza ad una stessa cultura i cui elementi comuni erano
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Storia Antica - primo anno
la lingua, la religione, le abitudini di vita. Espressione di quest’unica sensibilità ellenica erano i giochi olimpici e gli eventi religiosi
che avevano luogo presso i grandi santuari, soprattutto quelli in cui si trovavano gli oracoli, dove i greci si recavano per celebrare
sacrifici e onorare le comuni divinità con feste e giochi sacri. Solo per questi motivi religiosi le poleis si associarono nella forma
dell’anfizionia (letteralmente associazione dei circonvicini). Tra i giochi sacri i più importanti erano senz’altro quelli olimpici che
furono istituiti nel 776 a.C. e si tenevano ogni quattro anni presso il santuario di Apollo ad Olimpia, nel Peloponneso occidentale,
durante il loro svolgimento venivano sospese le ostilità e tutta la Grecia viveva con grande interesse questo momento.
RELIGIONE
I greci erano politeisti, i loro Dei erano numerosi, ma quelli che svolgevano un ruolo decisivo nelle vicende degli umani erano
dodici e ogni polis aveva una sua divinità protettrice con cui instaurare un rapporto privilegiato e a cui chiedere protezione e
consiglio nei momenti difficili. Zeus, Era, Atena, Afrodite, Ares, Apollo, Efesto, Ermes, Dioniso, Artemide, Poseidone ,Demetra:
erano questi i nomi degli dei con i quali i greci intrattenevano rapporti quotidiani e intensi.
Gli dei abitavano sul monte Olimpo e si occupavano dei vari aspetti della vita degli uomini, avevano caratteristiche umane, sia
fisiche che morali, ma espresse in forme assolute. Come gli uomini gli dei nutrivano odi, vendette e gelosie, si detestavano e
si tradivano, si innamoravano di fanciulle e fanciulli bellissimi esattamente come poteva accadere ai comuni mortali. Le storie
degli dei e degli eroi, figure metà divine e metà umane, costituiscono la materia del mito (racconti leggendari antichissimi,
attraverso i quali i popoli spie gano le proprie origini e le origini del mondo).
ORDINAMENTO SOCIALE
Gli abitanti della polis potevano essere liberi o non liberi e da questa distinzione dipendeva il ruolo e il peso che essi avevano
nella vita pubblica. I non liberi erano gli schiavi, generalmente prigionieri di guerra, ma in seguito anche i contadini che si erano
indebitati con gli aristocratici. Gli schiavi costituivano un elemento fondamentale nella società greca, venivano impiegati in ogni
campo delle attività umane, sia pubbliche che private. Erano operai, muratori, minatori, servi, ragionieri, e persino precettori,
cioè insegnanti privati. La loro condizione li rendeva uomini privi di ogni libertà, poteva accadere, raramente, che si liberassero
dalla schiavitù pagando un riscatto o per volere di un padrone particolarmente generoso. Liberi erano, invece, tutti gli abitanti
della polis, ma non tutti i liberi erano uguali perché non tutti godevano degli stessi diritti. Solo gli individui maschi appartenenti
ad un ghenos, cioè a una delle famiglie più antiche, fondatrici della polis, e proprietari di un appezzamento di terra, godevano
dei diritti civili e politici e quindi erano cittadini, partecipavano cioè al governo della città. I meteci, cioè gli stranieri, sebbene
liberi e residenti nella polis e importantissimi per le attività economiche che in essa svolgevano, non avevano alcun diritto di
cittadinanza perché il presupposto per essere cittadino della polis e godere dei diritti civili e politici era la discendenza familiare
e non la residenza. Le donne non godevano dei diritti civili e politici, esse erano relegate ai ruoli di figlie, di mogli e di madri e
non si emancipavano mai da un rapporto di subordinazione dai padri e dai mariti. Erano fin da piccole educate a occuparsi
dei lavori domestici e dei figli e anche di quelli agricoli se appartenevano a famiglie contadine. Solo a Sparta le donne godevano
di una maggiore libertà.
L'EDUCAZIONE
L’educazione dei bambini avveniva in famiglia mentre l’istruzione era affidata alle scuole private fino all’età dell’efebìa, cioè fino
al compimento dei diciotto anni, quando ai giovani veniva impartita la disciplina militare. Col tempo furono istituite scuole
pubbliche anche per i figli delle famiglie più povere. Solo a Sparta, come studieremo in seguito, l’educazione dei fanciulli aveva
caratteristiche diverse. Per tutto l’VIII sec. le poleis furono interessate da un crescente sviluppo demografico, ciò se da un lato
testimoniava la ripresa complessiva del territorio greco e le migliori condizioni di vita dei suoi abitanti, dall’altro poneva problemi
di sussistenza per gli appartenenti al demos, dal momento che le terre, già esigue in un territorio prevalentemente montuoso
come quello greco , non erano più sufficienti a sfamare una popolazione tanto in crescita e la maggior parte di esse erano di
proprietà degli aristocratici.
LABORATORIO
1) Rispondi alle seguenti domande:
- Quali erano le principali caratteristiche della civiltà cretese?
- Spiega il termine talassocrazia riferito alla civiltà cretese.
- Che significato assume nella realtà storica il mito del Minotauro?
- In che senso i Palazzi cretesi erano il fulcro della vita politica, economica e sociale delle città?
- Quali erano le principali caratteristiche della civiltà micenea?
- Quali sono le fonti principali per la conoscenza della civiltà achea?
- Quale fu la causa della fine della civiltà achea?
- Cosa intendono gli storici con il termine Medioevo ellenico?
- In quale periodo si colloca l'Eta' arcaica e quale ne fu l'elemento più significativo ?
- Pur nelle differenze le poleis avevano elementi culturali comuni, spiega quali.
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Storia Antica - primo anno
LA SECONDA COLONIZZAZIONE GRECA
La crisi agraria si accentuò ed ebbe due esiti molto significativi per lo sviluppo politico, economico e sociale della Grecia:
una nuova ondata migratoria, favorita dai governi delle stesse poleis di origine e l’inasprimento del conflitto sociale tra
l’aristocrazia, detentrice del potere, delle terre e dei privilegi, e il demos, al quale appartenevano i contadini, i quali sempre
più spesso erano costretti ad indebitarsi con gli aristocratici, per acquistare sementi e attrezzi. Quando non riuscivano
a onorare il debito per il quale avevano ipotecato il loro piccolo appezzamento di terra, erano costretti a cederlo o
addirittura a diventare schiavi dei creditori. Questo stato di cose portò a un massiccio fenomeno migratorio tra l’VIII e il
VI sec a. C., definito dagli storici seconda colonizzazione , verso l’Asia minore, il sud dell’Italia, la Sicilia, le coste meridionali
della Francia, le coste orientali della Spagna, l ’Ellesponto.
In queste terre d’approdo i migranti greci speravano di trovare terre coltivabili, materie prime e migliori condizioni di vita.
Ma nulla era facile, spesso questi viaggi della speranza si risolvevano tragicamente, a volte le popolazioni indigene
rendevano difficile l’insediamento che si risolveva con la violenza, altre volte le condizioni si rivelavano più propizie ed
indolori per tutti.
Come tutti gli esodi e le migrazioni, anche questa era una storia di abbandoni, speranze sofferenze e violenza.
Le poleis fondate dai coloni mantennero sempre rapporti culturali ed economici assidui con la propria terra , la lingua,
la religione, la comune cultura, l’amore per le proprie origini costituirono sempre un forte collante .
In molti casi le colonie, che erano entità autonome a tutti gli effetti, divennero più belle e più floride delle poleis d’origine,
come nel caso di quelle fondate nel sud d’Italia che meritarono l’appellativo di Magna Grecia, proprio grazie allo
straordinario sviluppo economico e culturale di città come Taranto o come nel caso di Siracusa, in Sicilia, tanto florida e
bella da competere con Sparta ed Atene.
Il fenomeno della colonizzazione era considerato un ottimo rimedio per risolvere i conflitti sociali al punto da essere
organizzato dalle stesse poleis di origine che mettevano a disposizione le navi e i mezzi per il viaggio e persino una guida:
l’ecista (letteralmente il fondatore),che quasi sempre era un nobile. La colonizzazione creava, inoltre, nuovi sbocchi
commerciali, nuovi mercati e possibilità di arricchimento per molti.
SPARTA
Nel 1200 a.C. i Dori invasero la Laconia, la regione più meridionale del Peloponneso, occuparono la pianura circondata
dai monti e attraversata dal fiume Eurota e dall’unificazione politica di quattro villaggi diedero origine alla città di Sparta.
La Laconia confinava a ovest con la regione della Messenia, una delle più estese e fertili pianure della Grecia, abitata da
antiche popolazioni di contadini. I Dori guardarono subito con interesse alla Messenia che avrebbe garantito loro terre
coltivabili, grano e uno sbocco al mare. Dopo lunghi decenni di guerre, tra l’VIII e il VII secolo a.C. la sottomisero e
ridussero i messeni in stato di schiavitù.
Con la conquista della Messenia i Dori costituirono la città-stato con il territorio più vasto di tutta la Grecia.
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Storia Antica - primo anno
L’invasione di questi territori, densamente popolati e ben coltivati , da parte dei Dori fu violenta e sanguinosa, essi non
si fusero mai con i laconi e i messeni nei confronti dei quali conservarono sempre l’atteggiamento dei conquistatori.
Dal canto loro le popolazioni conquistate, numericamente superiori, nutrirono sempre forti sentimenti di ostilità verso chi
aveva tolto loro la libertà e le terre. Il rapporto tra i Dori conquistatori e le popolazioni assoggettate fu, quindi,
necessariamente improntato alla violenza.
Le popolazioni indigene furono private di ogni diritto politico, di quasi tutti i diritti civili, furono espropriate di ogni proprietà
fondiaria, vennero assegnati loro solo alcuni ettari di terra che dovevano bastare al sostentamento delle loro famiglie e
a pagare i tributi ai padroni.
Gli spartani furono costretti a instaurare un regime di governo che controllasse le popolazioni assoggettate
permanentemente, continui per secoli furono, infatti, i tentativi di queste ultime, soprattutto di quella dei messeni, di
riconquistare la libertà, ed è senz’altro questa la ragione per cui gli spartani non lavoravano, non svolgevano alcun
mestiere che non fosse quello delle armi.
Liberi dalle preoccupazioni materiali che ritenevano umilianti, essi trascorrevano l’intera esistenza dediti all’esercizio delle
armi, mentre la massa degli iloti provvedeva al loro sostentamento materiale.
Era questa infatti la prima necessità dal momento che bisognava garantire ad ogni costo e con la forza la stabilità dello
Stato che era per gli spartani la condizione necessaria della loro concezione dello Stato.
Una oligarchia guerriera governò per secoli su una massa inerme di sudditi, orgogliosa del suo ruolo e della sua diversità
rispetto al governo di tutte la altre poleis greche
L’ORDINAMENTO SOCIALE
Dal punto di vista sociale la gerarchia spartana era rigidissima, in alto c’erano gli spartiati, gli unici ad essere liberi e a
godere dei diritti politici, spartiati si nasceva e non si diventava, si poteva però cessare di esserlo se non si rispettavano
i molti obblighi che questa condizione comportava, il loro numero non superava le 15.000 unità e col tempo diminuì
drasticamente, erano loro i discendenti degli antichi dori conquistatori, un mondo chiuso il cui ideale massimo era
diventare un buon soldato. Erano e si consideravano tutti uguali, la loro vita era scandita da rigide regole e dall’impegno
militare che durava fino alla vecchiaia.
Gli spartiati si consideravano “homoioi”, cioè pari e lo erano dal punto di vista militare e politico, mentre da un punto di
vista economico e sociale i discendenti delle famiglie più nobili e antiche erano superiori. Ma non erano la nobiltà e
ricchezza ciò che gli spartani desideravano, bensì l’onore militare. Sparta non ebbe mai mura difensive e conobbe solo
l’invasione dei tebani nel 37 a.C., gli spartiati difesero per secoli la loro poleis e portarono avanti una politica
espansionistica tesa al controllo di tutto il Peloponneso, come vedremo in seguito e il loro esercito fu il più potente della
Grecia.
Al di sotto di loro c’erano i perieci, cioè “quelli che abitano intorno”, essi non risiedevano nella città, ma in villaggi nel
territorio circostante e soprattutto lungo la costa dove si dedicavano ai commerci, erano nominalmente liberi, ma di fatto
non potevano partecipare alla vita politica e avevano diritti molto limitati.
Erano, forse, di stirpe dorica come gli spartiati, ma non appartenevano alle famiglie più nobili e antiche che avevano dato
origine alla polis, e quindi il loro ruolo era comunque marginale, tuttavia affiancavano gli spartiati in guerra, costituivano
infatti le truppe ausiliare e avevano obblighi militari in tempo di pace. Insieme agli spartiati essi erano chiamati Lacedemoni.
Al gradino più basso della società c’erano gli iloti, veri e propri servi della gleba, erano di proprietà dello Stato esattamente
come la terra che lavoravano. Essi lavoravano per il padrone al quale erano assegnati, lo seguivano in guerra armati alla
leggera oppure svolgevano il ruolo di rematori nella flotta.
Erano i discendenti dei laconi e dei messeni, asserviti col terrore, erano numerosissimi e per questo ritenuti molto
pericolosi per la stabilità dello Stato che era continuamente armato contro di loro, pronto a sedare ogni rivolta col sangue
o a terrorizzarli. Il rapporto tra i conquistatori e i conquistati determinò tutta la storia di Sparta che è unica all’interno del
panorama variegato, ma per molti versi simile, delle poleis greche. Sparta fu l’unica polis a mantenere nei secoli, e fino
alla conquista romana, immutati l’ordinamento politico e l’assetto sociale. Essa fu una monarchia o meglio una diarchia,
furono cioè due re a governare, probabilmente i discendenti delle più antiche famiglie di re.
L’ORDINAMENTO POLITICO
La tradizione fa risalire al legislatore Licurgo la costituzione di Sparta, sicuramente una figura mitica dal momento che
invece la costituzione a Sparta sembra essere il risultato di un processo molto lungo.
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Storia Antica - primo anno
Quattro erano le istituzioni della polis:
La diarchia, cioè il governo di due re, che ereditavano il trono e svolgevano
funzioni sacerdotali giudiziarie e militari .
L’apella, cioè l’assemblea popolare, di cui facevano parte tutti gli spartiati di età
superiore ai trent’anni, che veniva convocata ogni mese, eleggeva i magistrati
e deliberava sugli affari più gravi e soprattutto sulla pace e sulla guerra. Essa
non poteva prendere iniziative perché i suoi rappresentanti votavano sulle
proposte presentatele dalle magistrature competenti.
La gerusia che era un ristretto consiglio di anziani di cui facevano parte i re e
28 spartiati di età superiore ai sessant’anni, eletti a vita per acclamazione
dell’assemblea .
Col tempo la gerusia acquistò sempre maggior potere, essa aveva funzioni
giudiziarie, soprattutto per quanto riguardava i reati più gravi puniti con l’esilio
o la morte, e deliberative, controllava la rettitudine dei costumi di tutti i cittadini,
si occupava del mantenimento dell’ordine.
Gli efori, cioè cinque magistrati eletti ogni anno dall’apella, che col tempo
acquisirono sempre maggiori funzioni e potere. Essi vigilavano sulla disciplina
dei cittadini, avevano la giurisdizione civile e quella criminale ad eccezione dei reati di sangue di competenza della gerusia.
Durante l’assenza dei re per ragioni militari assumevano il governo dello Stato. Gli efori col tempo divennero davvero
l’espressione dello stato: convocavano l’Apella, sottoponevano i progetti di legge alla gerusia con la quale trattavano gli
affari più importanti, trattavano gli affari esteri, mobilitavano l’esercito, comandavano la polizia, decidevano la soppressione
degli iloti e dei perieci e l’espulsione degli stranieri sospetti, davano o meno il permesso agli Spartiati di trattenersi fuori
dallo Stato, rendicontavano l’operato dei magistrati alla fine della carica.
L’EDUCAZIONE DEGLI SPARTANI
Gli spartiati appartenevano allo Stato, era lo Stato che si occupava dell’educazione dei fanciulli e decideva fin dalla
nascita se essi sarebbero stati in grado o meno di diventare dei bravi soldati.
I neonati fragili o malati venivano lasciati morire, tutti gli altri all’età di sette anni venivano tolti alle cure materne e allevati
nelle caserme dove, oltre a imparare a leggere e a scrivere, si preparavano con duri e continui esercizi fisici, a diventare
degli ottimi soldati. All’età di dodici anni iniziava l’ addestramento alla vita militare: venivano educati alla resistenza fisica,
all’ubbidienza, al coraggio, alla rinuncia, alla sopportazione di ogni disagio primi fra tutti la fame e il freddo, erano costretti
a camminare scalzi e ad indossare un solo capo di vestiario per tutto l’anno, venivano aspramente puniti se non riuscivano
a svolgere bene le mansioni loro assegnate.
Alla fine di questo percorso un rito d’iniziazione li rendeva adulti: i giovanetti venivano mandati singolarmente nei territori
sottomessi dove avrebbero affrontato ogni genere di pericolo naturale e umano e dove avrebbero dimostrato di essere
diventati dei bravi soldati per esempio dando la caccia agli iloti, superando le asprezze del territorio, procurandosi il cibo
con la caccia.
Una volta superata la prova, i giovani spartiati venivano ammessi alla mensa degli adulti, un momento importantissimo
della vita della caserma che gli spartiati erano tenuti a onorare anche quando per i limiti dell’età ritornavano a casa. I
giovani durante li pranzo frugale erano tenuti ad ascoltare gli anziani, ma non a parlare.
IL RUOLO DELLA DONNA A SPARTA
Da quanto detto si capisce bene come il ruolo delle donne a Sparta fosse molto diverso da quello di tutte le altre figlie,
mogli e madri greche. Le spartane, infatti, libere dall’impegno giornaliero di accudire i figli e occuparsi della loro educazione
e prive della compagnia e della cura del coniuge che trascorreva la maggior parte del tempo in caserma con i compagni,
avevano molto tempo a disposizione, molto del quale era dedicato agli esercizi fisici, come la corsa, il lancio del disco e
del giavellotto, che garantivano loro quella forma fisica necessaria per una buona gravidanza e per un buon parto e
quella tempra psicologica che le addestrava a sopportare il distacco dai figli. Durante le feste religiose cantavano,
danzavano e partecipavano alle processioni nude, i loro corpi non avevano nulla di indecoroso perché erano forti e
vigorosi e perché fin da piccole esse erano abituate a non concedere nulla alla seduzione, venivano, infatti, allevate con
rigore e disciplina. Il loro stile di vita era improntato alla semplicità e all’essenzialità.
Per gli approfondimenti si rimanda ai contenuti digitali presenti nell’UDA corrispondente.
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Storia Antica - primo anno
ATENE
Secondo la leggenda Atene sarebbe nata dall’unificazione di numerosi villaggi dell’Attica, ad opera del mitico re Teseo,
attorno alla figura del quale nacquero numerose leggende che lo vedono protagonista di azioni eroiche come quella
della sua lotta col Minotauro.
L’Attica è la regione più orientale della Grecia, una piccola penisola prevalentemente montuosa, ma con ampi spazi
pianeggianti, piccole miniere d’argento e cave di marmo.
Già in epoca micenea Atene era una città florida situata su un’acropoli che la protesse dalla distruzione da parte degli
invasori Dori. Durante i secoli bui del medioevo ellenico, la polis continuò ad essere abitata e governata da una monarchia
di origine achea che, pian piano, fu esautorata da una aristocrazia sempre più decisa a prendere in mano il governo
della città. Gli aristocratici istituirono un governo di nove magistrati detti arconti (da archè, comando): l’arconte re, l’arconte
polemarco che comandava l’esercito, l’arconte eponimo che dava il nome all’anno, e altri sei, detti tesmoteti, che
legiferavano e si occupavano della giustizia.
Una volta cessata la carica, gli ex arconti entravano in un Consiglio detto Aeropago ( perché si riuniva sul colle di Ares)
che affiancava gli arconti nell’amministrazione della giustizia e nella elaborazione delle leggi . E’ probabile che già tra il
VII e il VI sec. a.C., ci fosse ad Atene una rappresentanza del demos, cioè del popolo, sicuramente però con poteri
ancora molto limitati. Un fatto importantissimo nella storia di Atene, ma anche di molte altre polis, è rappresentato dalla
riforma dell’esercito. Nel VII sec. a.C., fu istituita la falange oplitica (chiamata così perché i soldati avevano uno scudo
chiamato òplon), cioè un esercito di fanteria pesante, che per la sua struttura e il modo in cui era concepito, favoriva tra
gli opliti un forte senso di solidarietà e di uguaglianza.
Prima della riforma l’equipaggiamento dei cavalieri era così costoso che solo gli aristocratici potevano permetterselo,
quello di un oplita, sebbene sempre costoso per molti, era comunque più accessibile a tanti commercianti, artigiani,
piccoli proprietari terrieri che, così, entrarono a far parte dell’esercito. La riforma oplitica ebbe un’importanza enorme
per quanto riguarda la strategia militare, essa costituiva infatti una barriera umana fortissima contro le schiere nemiche.
DRACONE
Ad Atene la disuguaglianza sociale cresceva e in assenza di leggi scritte gli aristocratici avevano
sempre ragione, avvalendosi di un sistema basato sulla consuetudine essi di fatto operavano sulla
classe media e su quelle meno abbienti ogni tipo di sopruso. Cresceva così il malcontento e si
acuiva il conflitto sociale. Attorno al 620 a.C. fu redatto un corpo di leggi scritte che la tradizione
attribuisce a Dracone, il primo legislatore. Anche queste leggi erano fin troppo clementi con gli
aristocratici, tuttavia esse rappresentarono un importante passo avanti nella storia della polis.
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Storia Antica - primo anno
SOLONE
Il secondo legislatore ateniese fu l’aristocratico Solone che fu eletto arconte con poteri straordinari nel
594 a.C.. Egli aveva viaggiato molto ed era stato un capo militare durante la guerra che Atene aveva
condotto contro la vicina Megara per il possesso dell’isola di Salamina, era molto stimato e considerato
soprattutto dai ceti popolari in nome dei quali aveva portato avanti una battaglia contro la schiavitù per
debiti . La schiavitù per debiti era la consuetudine da parte degli aristocratici di rendere schiavi i contadini
che, dopo essersi indebitati con loro, non riuscivano a restituire il prestito. Solone abolì la schiavitù per
debiti e rese il provvedimento retroattivo, per cui fece restituite le terre ai contadini a cui erano state tolte
e a quelli divenuti schiavi fu restituita la libertà. Egli varò una riforma sociale che aveva lo scopo di riordinare la costituzione
dello Stato e di pacificare la società ateniese dilaniata dai conflitti tra il demos e gli aristocratici, nel tentativo di limitare il
potere di quest’ultimi. Divise gli abitanti in classi a seconda di quelli che erano i loro possedimenti di terra e i proventi
delle loro attività, il risultato fu che l’appartenenza ad una classe sociale era data dalla ricchezza e non più dalla nascita,
come era sempre successo nel passato. Per misurare la ricchezza egli scelse il medmino, la misura di capacità del grano
e il metreto, la misura di capacità del vino e dell’olio.
Questa la nuova struttura sociale:
• PENTACOSIOMEDIMNI: PROPRIETARI TERRIERI CON UNA RENDITA ANNUA DI 500 MEDMINI DI GRANO
• IPPEIS (cavalieri): PROPRIETARI DI UN CAVALLO O DI UNA RENDITA ANNUA DI 300 MEDMINI DI GRANO
• ZEUGITI: PROPRIETARI DI DUE BUOI O DI UNA RENDITA ANNUA DI 200 MEDMINI DI GRANO
• TETI: SEMPLICI SALARIATI
Al di sotto di queste categorie si trovavano gli schiavi e i meteci, questi ultimi erano tutti gli stranieri abitanti nella polis
che si occupavano prevalentemente di commercio e di artigianato. A loro era vietato anche diventare proprietari di terra
o di immobili.
Solo chi apparteneva alle prime tre classi sociali godeva di diritti politici e poteva far parte dell’esercito.
L’accesso all’arcontato era riservato solo ai pentacosiomedmini in quanto essi , in caso di malversazione o cattiva
gestione della cosa pubblica, avrebbero potuto rispondere di persona, mentre gli ippeis, o cavalieri, potevano aspirare
a cariche minori. Entrambe le categorie fornivano cavalieri all’esercito mentre gli zeugiti svolgevano il ruolo di opliti.
I teti potevano votare all’ecclesìa ,l’assemblea popolare, e potevano partecipare, dopo aver compiuto i trent’anni, al
tribunale popolare dell’Eliea (un’altra novità istituita da Solone), al quale si potevano rivolgere tutti coloro che si fossero
sentiti danneggiati da una sentenza ritenuta iniqua.
In questo modo Solone inaugurava il principio della timocrazia, secondo il quale non era la nascita a determinare
un’appartenenza ma il censo, contemporaneamente però tentava di limitare il potere degli aristocratici consentendo
l’ingresso nella vita pubblica anche ad altre classi sociali.
LA TIRANNIDE DI PISISTRATO
Nonostante lo sforzo di riformare la società ateniese compiuto da Solone, i contrasti tra le classi sociali
e il malcontento crebbero, sempre a causa dello strapotere degli aristocratici e avvenne ad Atene,
come in molte altre poleis, che si ricorresse all’opera di un tiranno, un individuo considerato capace
di salvaguardare i diritti del popolo e di riportare la pace in città. Col tempo l’istituzione della tirannide,
che all’origine aveva intenti e carattere positivi, acquistò una connotazione negativa perché molto
spesso il tiranno s’impossessava del governo della città che addirittura lasciava in eredità ai figli.
Ad Atene la tirannide di Pisistrato, un aristocratico che prese il potere della città nel 546 a.C., con
l’appoggio dei ceti popolari dopo vari tentativi falliti, non pacificò le parti in lotta, perché i problemi
sociali erano tanti e complessi, ma le tenne a bada assicurando alla polis un periodo di prosperità e crescita economica.
Attraverso un’azione di governo che favorì i contadini e diede grande impulso all’artigianato, al commercio e alle opere
pubbliche, Pisistrato riuscì a rimanere al potere e a far ereditare il governo ai suoi figli, Ippia e Ipparco, che non furono
però in grado di conservarlo.
La tirannide ad Atene coincise con un periodo di generale sviluppo per la città: fu abbellita l’acropoli con nuovi templi e
la religione assunse ancora maggiore importanza, fu allestita una flotta navale in grado di intraprendere una politica
espansionistica e di colonizzazione moderata. Tutto sommato il governo di Pisistrato fu attento al benessere materiale
dei cittadini, non fu crudele o repressivo come quello di molti altri tiranni greci del sesto secolo.
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Storia Antica - primo anno
CLISTENE
Nel 508 a.C., dopo un lungo periodo di conflitti tra aristocratici e popolari fu eletto arconte Clìstene,
il cui principale intento fu quello di spezzare il potere degli aristocratici e di dare più spazio al demos
che durante la tirannide si era notevolmente trasformato, acquistando una maggiore consapevolezza
della propria condizione e delle proprie potenzialità.
Base della sua opera riformatrice fu la divisione del territorio dell’Attica in tre diverse zone: la costa
( Paralia )dove era molto sviluppato il commercio; l’interno ( Mesogea) più povero e montuoso; la
città ( Astu ); attorno alla quale si stendevano le pianure.
Ognuna di queste zone fu divisa in piccole unità amministrative chiamate demi. Più demi formavano
delle unità amministrative più grandi chiamate trittrie che erano in tutto trenta, dieci per ogni zona. Tutta la popolazione
fu poi divisa in dieci tribù, ognuna delle quali era formata dai membri di tre trittie: una della costa, una dell’interno, una
della città. In questo modo Clistene assicurava la presenza, in ogni tribù, dei rappresentanti di tutte le classi sociali: i
ricchi aristocratici proprietari dei latifondi; i commercianti e gli artigiani; i contadini, anche quelli più poveri. Tutti i cittadini
ateniesi potevano partecipare alla vita politica della città ad eccezione dei teti e dei meteci ai quali non era ancora
riconosciuto alcun diritto.
Le tribù eleggevano per sorteggio i cinquecento membri della Bulè, un nuovo organo dello Stato istituito da Clìstene che
col tempo divenne sempre più importante. L’attività annuale della bulè era scandita in dieci sezioni che corrispondevano
ai dieci mesi dell’anno, ogni sezione era detta pritanìa.
A turno ogni tribù presiedeva la Bulè per una decima parte dell’anno. Alla Bulè spettavano funzioni di controllo e le
proposte di legge.
L’altro importante organo di governo era l’ecclesìa cioè l’assemblea popolare, alla quale partecipavano tutti i cittadini
ateniesi che avessero compiuto i venti anni , essa approvava, modificava, respingeva le leggi presentate dalla Bulè,
eleggeva ogni anno i magistrati (gli arconti, eletti uno per tribù) e gli strateghi (i comandanti dell’esercito). Tutti i suoi
membri rimanevano in carica un anno e non potevano essere eletti più di due volte nella vita e comunque non di seguito.
Ciò per scoraggiare ogni tipo di attaccamento al potere e ai vantaggi che ne potevano derivare.
Affinchè nessun cittadino ateniese assumesse più potere di altri, Clìstene introdusse la pratica dell’ostracismo, che
consisteva nella denuncia ( scritta su di un pezzo di coccio chiamato ostrakon), da parte dei componenti dell’ecclesìa,
di coloro ritenuti pericolosi per l’equilibrio dello Stato. Chi era denunciato dalla maggioranza era costretto all’esilio per
dieci anni. Ciò se da una parte impediva l’instaurarsi di una nuova tirannide, dall’altra poteva mandare in esilio individui
senza alcuna intenzione di cospirare contro lo Stato. L’ostracismo finì col diventare una pratica molto abusata della lotta
politica tra fazioni, bastava che un personaggio riscuotesse simpatia o fosse economicamente e socialmente potente
per essere inviso ai più e quindi ostracizzato.
La riforma di Clìstene secondo gli storici, primo fra tutti Erodoto, coincide con la nascita della democrazia(da demos =
popolo e kràtos = potere), cioè con la partecipazione diretta di tutti i cittadini al governo della città. E se è vero che i
cittadini meno abbienti non potevano ricoprire alcune importanti magistrature con poteri esecutivi e giudiziari, e vero
anche che tutti i cittadini potevano partecipare al governo dello Stato mediante il sorteggio nella Bulè. Nonostante questo
spesso furono gli stessi cittadini meno abbienti a rinunciare alla partecipazione alla vita politica che significava l’abbandono
del proprio lavoro di contadino o di artigiano, e nonostante l’introduzione del gettone di presenza per incoraggiarne la
partecipazione di fatto gli aristocratici continuarono ad essere i protagonisti indiscussi della scena politica ateniese.
Tuttavia è proprio così: è in Grecia, ad Atene, in questo momento storico che è nata la democrazia. Essa non era
considerata allo stesso modo di come la consideriamo noi oggi, era una forma di governo tra le tante e da molti non fu
apprezzata necessariamente come la migliore. Insieme a quello della democrazia si affermarono altri importanti principi,
come quelli della isonomìa, cioè dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e quello della isegorìa, cioè della
piena libertà di parola. Sono principi che sono arrivati fino a noi e che sono alla base della nostra vita politica.
LESSICO
Democrazia (da demos = popolo e kràtos = potere): forma di governo in cui il popolo interviene direttamente o
indirettamente nella gestione del potere
Isonomia: (da isos=uguale e nomos= diritto) riconoscimento per tutti i cittadini di uguali diritti
Isegoria: (da isos e θθθθθθθ= parlare in assemblea) riconoscimento per tutti i cittadiii del diritto di parlare in
assemblea
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Storia Antica - primo anno
LA PRIMA GUERRA PERSIANA
Dopo aver conquistato la Lidia (546 a.C.), Ciro aveva esteso il controllo dell’impero anche sulle città greche dell’Asia
Minore. Benché il dominio persiano non fosse particolarmente gravoso, iniziò a serpeggiare un diffuso malcontento
verso i dominatori, i quali chiedevano un costante versamento di tributi e inoltre affidavano il governo dei territori a satrapi
loro devoti, spesso non graditi alle popolazioni locali.
La situazione precipitò nel 499 a.C., quando Mileto insorse contro i dominatori, ben presto seguita da altri centri della
Ionia. Consapevoli di non poter affrontare da sole l’esercito persiano, le città in rivolta chiesero aiuto militare alle poleis
greche, ma solo Atene e Eretria, nell’isola Eubea, mandarono rinforzi, la prima inviando venti navi, l’altra cinque.
Gli insorti riuscirono a ottenere qualche successo, arrivando persino a occupare Sardi, la città principale della satrapia.
La reazione di Dario non si fece attendere. L’esercito persiano non solo riuscì a sedare la rivolta, ma, obbedendo agli
ordini del Gran Re, rase al suolo Mileto, uccise e ridusse in schiavitù i suoi abitanti (494 a.C.). La violenta punizione
doveva costituire un deterrente per altre eventuali sedizioni .
La vicenda, però, non era finita così. Dario infatti non poteva accettare che le poleis greche avessero osato intromettersi
nella politica di territori da lui controllati e anche per loro voleva una punizione esemplare . Come dice Erodoto, le navi
inviate da Atene e Eretria in aiuto agli insorti “furono l’inizio delle sciagure per i Greci e per i barbari”.
Nella primavera del 490 a.C. la flotta persiana, comandata dai generali Dati e Artaferne, navigava alla volta della Grecia.
Dopo aver espugnato Eretria, si diresse verso l’Attica, sbarcando nella baia di Maratona, a una quarantina di chilometri
da Atene. Consapevoli del pericolo, gli Ateniesi chiesero aiuto agli Spartani, ma Sparta si rifiutò di mandare
tempestivamente dei rinforzi, perché la celebrazione di alcuni riti sacri non consentiva di dare inizio ad imprese militari.
Il generale ateniese Milziade decise allora di schierare un contingente di 10.000 opliti, molto inferiore rispetto all’esercito
persiano che, a quanto racconta Erodoto, aveva 20.000 soldati. Nello scontro però gli Ateniesi riuscirono a sbaragliare
il nemico, costringendolo a riprendere il mare.
Dal punto di vista strettamente militare la vittoria di Maratona ebbe un’importanza inferiore rispetto alla sua fama.
La sconfitta, infatti, non intaccò la potenza dell’impero persiano, che non perse alcun territorio, né fu particolarmente
dannosa per il grandissimo esercito del Gran Re. Rilevanti invece furono le conseguenze sotto l’aspetto psicologico,
poiché la vittoria di Maratona trasmise alla poleis greche, e soprattutto a Atene, un’incredibile fiducia nelle proprie capacità
belliche. Da quel momento la città dell’Attica sentì di possedere un primato militare che, fino a quel momento, era
appartenuto solo a Sparta.
La battaglia dimostrò anche che la falange oplitica, meglio armata, più compatta e più organizzata del contingente
persiano, era in grado di sostenere vittoriosamente temibili sfide.
La battaglia di Maratona
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Storia Antica - primo anno
LESSICO
Oplita: era il soldato della fanteria pesante, armato con una corta spada in ferro, una lancia e uno scudo. Indossava
una corazza pesante, l’elmo e schinieri in bronzo.
Falange oplitica: formazione di combattimento, composta dalla fanteria pesante (gli opliti). Avanzava compatta
con le lance alzate e con gli scudi posti davanti alle parti più vulnerabili del corpo, in modo da costituire una sorta
di muro agli attacchi nemici.
Erodoto (484-425 a.C. circa)
Una nota definizione considera Erodoto “il padre della storia”. Fu lui infatti
il primo ad intendere la storia come ricerca e soprattutto fu il primo a
ricercare le cause degli eventi storici.
Così infatti scrive all’inizio della sua opera: “ Questa è l’esposizione che
Erodoto di Tiro fa delle sue ricerche, affinché gli avvenimenti umani non
sbiadiscano nell’oblio col tempo e le grandi e meravigliose imprese
compiute tanto dai Greci quanto dai Barbari non restino senza gloria.
Le sue Storie trattano del conflitto greco-persiano, ma non si limitano
solo a presentare eventi bellici e politici, poiché egli riserva ampio spazio
alla descrizione dei costumi dei popoli, in quanto concepisce la storia
anche come il prodotto di credenze a tradizioni.
Spinto sempre dal desiderio di capire, si accosta con tolleranza a usi
diversi da quelli dei Greci. Nella sua opera si legge infatti: “Se si
proponesse a tutti gli uomini di vagliare le varie usanze e li si invitasse a
scegliere le migliori ciascuno, dopo aver ben ponderato, preferirebbe
quelle del suo paese. A tal punto ciascuno è convinto che le proprie
usanze siano le migliori di tutte”.
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Storia Antica - primo anno
LA SECONDA GUERRA PERSIANA
Per un decennio i Persiani abbandonarono il loro progetto di una nuova impresa militare contro le poleis greche. Nel
484 a.C. Dario moriva e la successione al trono passò al figlio Serse; a lui spettava il compito di portare a termine ciò
che il padre aveva intrapreso.
Dopo aver domato una rivolta scoppiata in Egitto, Serse incominciò a preparare contro i Greci una spedizione di
vastissime dimensioni, che doveva garantirgli la vittoria. Secondo quanto scrive Erodoto, fu armato un esercito di
duecentomila uomini che, attraversato su un doppio ponte di barche l’Ellesponto (l’attuale stretto di Dardanelli), avrebbe
puntato sull’Attica, dopo aver occupato la Tracia, la Macedonia e la Grecia del nord. Una flotta di 1200 navi doveva
accompagnarlo, navigando lungo la costa, per provvedere ai rifornimenti.
Nel frattempo anche Atene si era preparata per un nuovo scontro. Aveva infatti allestito una potente flotta di 100 triremi*,
assecondando il volere del partito democratico, capeggiato da Temistocle, che rivendicava per la città un ruolo egemonico
sul mare e voleva quindi un nuovo scontro per annientare i Persiani.
La notizia dei preparativi militari di Serse indusse molte poleis greche ad incontrarsi a Corinto (481 a.C.) per costituire
una lega e per prendere accordi sulla strategia bellica da seguire. Spinte dalla necessità di fronteggiare il nemico comune,
le città greche riuscirono a vincere il loro particolarismo politico*. Si decise di costituire due linee difensive: una presso le
Termopili, il passo della Grecia che era l’unico accesso verso l’Attica; l’altra nei pressi dell’istmo di Corinto, per fermare
l’attacco persiano verso il Peloponneso.
Nella primavera del 480 a.C. l’esercito di Serse
iniziò la spedizione secondo i piani stabiliti. Giunto
alle Termopili senza aver incontrato resistenza si
scontrò con un contingente di 300 opliti spartani,
guidati dal loro re Leonida. Pur di fermare l’avanzata
del nemico, i soldati si sacrificarono eroicamente
fino all’ultimo uomo e ciò diede tempo a Temistocle
di far evacuare gli abitanti di Atene sulle isole di
Salamina e di Egina.
Oltrepassate le Termopili, l’esercitò persiano dilagò
in Attica e distrusse Atene, incendiando i templi e
l’acropoli. Prima di procedere verso il Peloponneso,
Serse ordinò l’attacco della flotta ateniese, che
Temistocle aveva fatto posizionare nello stretto
vicino all’isola di Salamina. Ma nella battaglia gli
Ateniesi riuscirono ad avere la meglio, anche perché
l’angusto braccio di mare in cui si scontrarono le
due flotte non consentì a Serse di sfruttare al meglio la superiorità numerica delle sue navi.
Dopo la sconfitta, il Gran Re si ritirò a Sardi, lasciando gran parte dell’esercito persiano a svernare in Tessaglia, sotto il
comando del generale Mardonio. Gli scontri ripresero nella primavera del 479 a.C., ma i Persiani furono nuovamente
sconfitti nella battaglia campale vicino a Platea e in quella di mare presso il promontorio di Micàle.
Si concludeva così un lungo periodo di conflitti. Le vittorie conseguite dai Greci avevano dimostrato che l’esercito
persiano, pur tanto superiore nel numero dei combattenti, aveva però una serie di debolezze. Non va dimenticato infatti
che esso era composto da truppe mercenarie*, differenti per lingua e nazionalità, e quindi non facilmente coordinabili
durante le imprese. A loro volta le poleis potevano contare su una perfetta conoscenza dei luoghi in cui si svolsero gli
scontri. Diverse anche le motivazioni che animavano i combattenti. Per i Greci infatti resistere e sconfiggere il nemico era
una questione di vita e di morte, era in gioco la loro sopravvivenza e la loro libertà. I Persiani, invece, combattevano
spinti da motivazioni più deboli e per eseguire gli ordini del loro monarca.
LESSICO
Triremi: navi da guerra che utilizzavano come propulsione tre file di rematori disposti sulle due fiancate. Erano
anche dotate di vela.
Particolarismo politico: si intende il fatto che ogni città-stato difendeva gelosamente la propria indipendenza, le
proprie istituzioni, le proprie linee politiche e spesso ciò comprometteva la collaborazione fra le poleis
Truppe mercenarie: truppe composte da soldati di mestiere, che ricevono uno stipendio per il lavoro prestato.
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Storia Antica - primo anno
LABORATORIO:
LE GUERRE PERSIANE
1) Rispondi alle seguenti domande:
- Quale fu la causa reale delle guerre persiane?
- E quale quella occasionale?
- Perché la battaglia greca di Maratona è diventata leggendaria?
- Nella seconda guerra persiana come si organizzarono le poleis greche?
- Come si giunse alla battaglia delle Termopili?
- Cosa aveva dimostrato la vittoria dei greci sui Persiani?
L'ETA' DI PERICLE
Nel 460 a.C. ad Atene venne eletto stratega Pericle, un giovane aristocratico di idee
democratiche, colto e intelligente, che rimase alla guida della città per trent’anni, dal
460 al 429, anno della sua morte.
Questo periodo della storia della polis è stato definito dagli storici “Età di Pericle” e
coincide col periodo di massimo splendore della civiltà greca, di cui Atene è
l'indiscussa protagonista.
Pericle fu amante e sostenitore delle Arti e della cultura, elementi che ritenne
indispensabili per affermare la grandezza di Atene in tutto il territorio greco, ma che
sentiva anche espressioni profonde del suo animo.
Durante i trent'anni del suo governo, Pericle portò la polis a diventare un
importantissimo centro commerciale e finanziario, grazie ad una politica estera
aggressiva e spregiudicata.
Nella politica interna operò in modo da favorire la partecipazione di tutti i cittadini alla vita della polis e di limitare il potere
degli aristocratici, in questo senso possiamo affermare che egli si impegnò ad estendere la Democrazia.
Nel 480 a.C. Atene era stata distrutta dai Persiani, il suo luogo simbolo, l’acropoli, non esisteva più. Pericle fu l'ideatore
della ricostruzione che la rese splendida. L’agorà, il luogo in cui i greci svolgevano tutte le loro attività pubbliche e
commerciali, fu interessata da un ampio progetto di riqualificazione urbana, mentre il porto del Pireo, indispensabile per
la ripresa del traffico commerciale, fu ricostruito su progetto dell’architetto Ippodamo da Mileto.
I costi, altissimi, furono sostenuti grazie al tesoro della Lega di Delo ( un’alleanza politica e militare tra molte poleis
dell’Attica ), e alle ricche miniere d'argento. L'uso del denaro della Lega, frutto dei tributi pagati da tutte le poleis aderenti,
provocò sconcerto e disapprovazione persino tra gli stessi ateniesi.
Per la direzione dei lavori dell'immenso cantiere dell’Acropoli, tra i quali spiccava il Partenone, fu chiamato Fidia (lo
scultore più grande dell’antichità insieme al contemporaneo Policleto, anch’egli attivo ad Atene negli stessi anni ed autore
del Doriforo) autore, insieme ad un enorme numero di collaboratori, degli splendidi fregi che lo adornavano (oggi
conservati al British Museum di Londra e in minor parte al Louvre di Parigi). Il progetto del tempio, che doveva accogliere
la statua in oro e avorio della dea Atena Parthenos, protettrice della città, fu affidato agli architetti Iktinos e Callikrates.
idia Sculture del Partenone
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Storia Antica - primo anno
Il Partenone è il più imponente monumento dell’acropoli di Atene, la meglio conservata del mondo greco, ma non l’unico.
Accanto ad esso troviamo : i Propilei; il tempio di Atena Nike; l’Eretteo con la famosa Loggetta delle Cariatidi ( statue di
fanciulle vestite con ricchi pepli, che sorreggono l’architrave al posto delle colonne).
Tutti i monumenti e le sculture esprimono misura, armonia delle forme e delle proporzioni, rispondono cioè all’ideale
classico della bellezza che, attraverso i secoli, è giunto fino a noi.
Eretteo Loggetta delle Cariatidi
Mirone Il Discobolo
Policleto Il Doriforo
Oltre alla scultura e all'architettura, anche la letteratura ebbe un importante ruolo nell’Atene di Pericle. La tragedia e la
commedia, nate come poemi da declamare durante le feste dionisiache, divennero, nel V sec., delle opere letterarie
grazie ad Aristofane, autore di commedie, e Sofocle, Eschilo ed Euripide, autori di tragedie.
Aristofane
Sofocle
Euripide
Eschilo
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Storia Antica - primo anno
Il teatro esercitava sugli ateniesi una forte attrazione.
Tutti, indipendentemente dalla posizione sociale,
partecipavano alle rappresentazioni, esso metteva in
scena le vicende, spesso drammatiche, della loro vita
pubblica e privata e costituiva un momento di
riflessione e di presa di coscienza degli eventi che
riguardavano la vita della città, soprattutto per quanto
riguardava la politica.
Mentre all’origine gli spettacoli, sempre allestiti in
occasione delle ricorrenze religiose, venivano
rappresentati in spazi aperti, a partire dal V sec.
cominciarono ad essere allestiti in uno spazio
architettonico appositamente studiato.
Esso era composto:
- dalla cavea, cioè la scalinata semicircolare dove siedono gli spettatori;
- dall’orchestra, cioè lo spazio circolare dove si esibiva i danzatori del coro;
- dalla scena, cioè il fondale;
- il proscenio, cioè l’area rettangolare dove gli attori recitano.
La tragedia fu l'espressione letteraria più alta, essa interpretò il senso di un'epoca
attraverso le opere dei grandi tragediografi ateniesi, che seppero leggere le contraddizioni
della società e della politica del loro tempo, lasciandoci tuttavia un messaggio universale
e senza tempo.
La filosofia, nata nella Ionia tra il VII e IL VI sec. A.C., ebbe una grande e nuova fioritura
nell’Atene di Pericle, grazie all’opera dei Sofisti, i quali spostarono il campo dell’interesse
dalla natura all’uomo. Tra i più importanti filosofi del tempo ci furono Anassagora e
Democrito, richiamati ad Atene dal fervente clima culturale.
Democrito
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Storia Antica - primo anno
LA GUERRA DEL PELOPONNESO
I Greci erano riusciti a sconfiggere i Persiani perché avevano messo da parte tutti i sentimenti di rivalità che da sempre
caratterizzavano il rapporto tra le diverse poleis. In nome dell’indipendenza essi avevano unito le loro forze e combattuto
per la libertà. Ciò era stato possibile anche grazie ai tanti elementi che sentivano di avere in comune e che erano la
lingua, la religione, i sistemi politici, la cultura.
Tuttavia, e nonostante questa nuova consapevolezza, dopo le guerre contro i Persiani, i Greci non tornarono più ad
essere uniti, anzi gli scontri tra le poleis si moltiplicarono, così come le rivalità e le discordie. Non riuscirono mai a portare
avanti una politica comune, in grado di preservarli dagli invasori esterni.
Atene era senz’altro la polis protagonista delle guerre persiane e alla fine delle guerre inaugurò una politica egemonica
sulle altre poleis il cui strumento fu la Lega Delio-Attica. Si trattava di una lega navale, nata per fronteggiare ogni futuro
pericolo persiano; essa prese il nome dall’isola di Delo, dove si trovava il santuario in cui era custodito il tesoro della
Lega e dove si tenevano gli incontri tra i federati.
Gli Stati federati erano le città della Ionia, quasi tutte le isole dell’Egeo e alcune città greche, tutti erano tenuti a versare
tributi in denaro o navi ed erano pari tra loro. Ben presto, però, Atene acquistò un ruolo dominante all’interno della Lega,
soprattutto perché molti federati preferirono versare il tributo in denaro non avendo la possibilità di costruire le navi.
Questo denaro, sebbene custodito a Delo, veniva gestito direttamente da Atene che lo usò prevalentemente per
arricchire la sua flotta e abbellire la città.
La polis era ormai decisa ad affermare la propria supremazia anche grazie alla politica dei democratici che erano al
governo con a capo Temistocle, il quale era convinto che una politica estera aggressiva ed espansionistica fosse
indispensabile per lo sviluppo economico della città.
Al contrario, gli aristocratici, guidati da Cimone, erano fautori di una politica che favorisse dei buoni rapporti con Sparta,
con la quale l’alleanza sarebbe stata indispensabile in un eventuale altro scontro con i Persiani. I democratici, invece,
volevano affermare il primato di Atene, anche a costo di scontrarsi con Sparta, così come avvenne.
Pericle, eletto stratega nel 460 a.C., estese il controllo dell’ecclesia sull’operato dei governanti, allargando quindi, almeno
formalmente, il potere del demos e limitando contemporaneamente quello degli aristocratici. Per consentire a tutti i
cittadini di ricoprire cariche pubbliche, previde la corresponsione di uno stipendio per chi doveva abbandonare il proprio
lavoro a tale scopo. Inaugurò una stagione di lavori pubblici senza eguali nella storia di Atene che garantirono
l'occupazione e la sicurezza economica agli abitanti della città che sotto il suo governo acquistò la bellezza e il prestigio
che la resero grande.
L’acropoli al tempo di Pericle
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Storia Antica - primo anno
E’ opportuno ricordare però che i cittadini, quindi tutti coloro che potevano esprimersi politicamente, erano ancora una
percentuale esigua della popolazione ateniese e che solo un decimo di essa godeva dei diritti politici.
Pericle continuò una politica estera imperialista e portò Atene a scontrarsi con la Persia e con Sparta. Con la prima
stipulò il trattato di Callia nel 449 a.C., e con la seconda nel 446 a. C firmò una pace che stabiliva le aree d’influenza
dell’una e dell’altra polis.
La tregua che avrebbe dovuto essere trentennale durò molto meno, ad inasprire Sparta e i suoi alleati della Lega
Peloponnesiaca (l’alleanza militare che si era costituita intorno a Sparta verso la metà del VI sec. a.C.,tra le poleis del
Peloponneso ), ma anche gli stessi alleati di Atene, era ancora una volta l’imperialismo ateniese, sempre più aggressivo,
anche nei confronti degli stessi alleati della Lega di Delo, trattati ormai sempre più come sudditi.
LESSICO
Imperialismo ateniese: la politica estera di Atene che, dopo la vittoria sui Persiani, si impegnò politicamente e
finanziariamente ad affermare la propria supremazia sul territorio greco e delle colonie.
Pericle sapeva che Sparta avrebbe presto sfruttato a proprio vantaggio il clima di tensione che si era creato tra Atene e
gli alleati della Lega di Delo a causa della prepotenza ateniese e volle anticiparne le mosse portando la città rivale
all’esasperazione e quindi ad uno scontro armato, convinto che Atene ne sarebbe uscita vittoriosa.
Il pretesto fu l’emanazione di un decreto col quale si impediva alla polis di Megara, alleata di Sparta, di accedere ai porti
e ai mercati della Lega Delio-Attica e l’invio, l’anno seguente, di un contingente contro Potidea, alleata di Sparta, che
reagì esattamente come Pericle aveva previsto e, a distanza di soli tredici anni dal trattato di pace, nel 431 a.C. scoppiava
la guerra tra Atene e Sparta che coinvolse tutti gli alleati dell’una e dell’altra polis, insanguinò l’intera penisola greca e fu
causa del suo irreversibile declino.
La guerra aveva motivazioni economiche, ma sottese ad esse, e altrettanto forti, c’erano le motivazioni culturali e
ideologiche che opponevano Atene e Sparta da sempre e che avevano radici antiche quanto la loro stessa fondazione.
Da una parte c’era la democratica, bella e colta Atene, capace di una politica estera aggressiva e imperialista persino
con i suoi stessi alleati; dall’altra la chiusa, autoritaria e militarizzata Sparta, in grado però di tenere testa alle pretese
egemoniche ateniesi.
La ragione dello scontro tra Atene e Sparta, della guerra che sconvolse il territorio greco e segnò la fine della civiltà delle
poleis, fu innanzitutto la politica estera ateniese, tesa ad affermare in tutta la Grecia e nelle colonie il proprio predominio
economico, politico e culturale.
La guerra del Peloponneso visse due fasi, la prima va dal 431 al 421 a.C. e si concluse con la pace di Nicia che negli
accordi doveva durare cinquant’anni, ma nei fatti non fu così; la seconda va dal 415 al 404 a.C. e si concluse con la
vittoria di Sparta.
LA PRIMA FASE DELLA GUERRA
Durante la prima fase della guerra, Pericle, consapevole di essere forte sul mare e debole sulla terraferma, fece evacuare
l’Attica e accolse tutti gli abitanti entro le mura della città, forte degli approvvigionamenti che venivano dal mare, con
l’intenzione di logorare l’esercito nemico che intanto devastava l’intera regione. Sparta e i suoi alleati della Lega
peloponnesiaca, al contrario, avrebbero voluto condurre una guerra lampo che affermasse la sua superiorità militare e
non mettesse in crisi il loro sistema economico, molto meno solido di quello ateniese.
Nel 429 a.C. ad Atene scoppiò una terribile epidemia di peste, senz’altro favorita dal numero altissimo dei residenti nella
città, che come abbiamo già detto aveva accolto tanti profughi in condizioni igieniche precarie. La peste fu devastante
e tante furono le vittime, tra le quali Pericle.
La città rimase priva della sua guida, nessuno tra i suoi seguaci e collaboratori sembrava essere all’altezza della situazione,
tra di essi, tuttavia, prevalse Cleone, un commerciante di cuoio sostenitore della guerra a tutti i costi; mentre Nicia, un
aristocratico rappresentante della fazione moderata, sosteneva la necessità di far cessare il conflitto.
La guerra continuava senza risolversi in un vantaggio per l’una o l’altra coalizione; si giunse così alla pace di Nicia,
avvenuta nel 421 a.C., così chiamata dall’aristocratico Nicia che la negoziò. Con essa Sparta e Atene vedevano
confermate le rispettive aree di influenza e si impegnavano a risolvere i futuri dissidi pacificamente, ma nella realtà dei
fatti non era cambiato nulla in quanto rimanevano irrisolti i motivi che avevano portato le due rivali di sempre alla guerra.
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Storia Antica - primo anno
LA SECONDA FASE DELLA GUERRA
La pace era stata firmata, ma non era veramente sentita né dall’una né dall’altra coalizione; troppi infatti continuavano
ad essere i motivi di scontro e di risentimento. Ad Atene, attorno ad Alcibiade, un ambizioso aristocratico senza scrupoli,
riprese energia la fazione favorevole ad uno scontro armato decisivo con Sparta in vista di una ripresa della politica
espansionistica ateniese e, infatti, le ostilità ripresero nel 415 a.C..
L’occasione fu fornita dalla decisione di Atene di mandare una spedizione contro Siracusa, alleata di Sparta, che aveva
attaccato Segesta, alleata degli ateniesi. Alcibiade era convinto che Atene avrebbe tratto enormi vantaggi dalla conquista
della terra di Siracusa, fertile e ricca di risorse minerarie. La guerra durò fino al 413 a.C. e fu disastrosa per gli ateniesi
che vi avevano impiegato una flotta imponente e un numero altissimo di uomini. In seguito alla disfatta militare iniziò per
Atene un declino che investì ogni aspetto della vita della polis, economico innanzitutto, ma poi anche politico e sociale.
Nel 411 a.C. la stessa democrazia fu in pericolo, a causa dell’instaurarsi di un governo oligarchico, detto dei Quattrocento,
sostenuto dagli aristocratici, fautori della pace con Sparta. Fu presto ripristinata la democrazia, ma ad Atene niente era
più come prima.
Le ostilità con Sparta ripresero nell’area dell’Egeo e dell’Ellesponto, con vicende alterne per l’una e per l’altra coalizione.
La novità fu l’intervento della Persia in aiuto di Sparta con lo scopo di sconfiggere definitivamente Atene e la sua politica
imperialista. A Egospotami ci fu lo scontro decisivo, la flotta ateniese fu annientata dal generale spartano Lisandro; dopo
pochi mesi Atene, assediata dagli Spartani, si arrese.
Finivano così tutti i progetti egemonici di Atene, ormai ridotta, dai trattati di pace, ad un piccolo Stato satellite di Sparta
che la obbligò ad entrare nella Lega peloponnesiaca e le impose un governo aristocratico, detto dei Trenta Tiranni, che
compì ogni sorta di violenza e sopruso, ma che ebbe vita breve.
Sparta aveva vinto la guerra, tuttavia non era in grado di proporsi come potenza egemone, non glielo consentivano la
sua economia, ancora prevalentemente agricola, la sua forma di governo e la sua struttura sociale. Affermò il suo potere
col terrore, tanto da far rimpiangere la dominazione ateniese e tanto da inimicarsi in poco tempo alcune grandi poleis
come Tebe, Corinto e Argo che costituirono una Lega antispartana con l’appoggio del re persiano Artaserse, il quale
poteva trarre solo vantaggi dalle rivalità tra le città greche.
Sparta mosse con una spedizione contro la Persia, ma venne sconfitta e costretta a firmare la pace nel 386 a.C. Pochi
anni dopo occupò Tebe alla quale impose un governo oligarchico, ma nel 371 a.C. l’esercito tebano guidato da Pelopida
ed Epaminonda, due grandi generali che avevano elaborato una nuova tattica di battaglia (la cosiddetta falange tebana),
riuscì a riprendere il governo della città e a sconfiggere Sparta. Tebe, allora, forte di questa vittoria tentò di affermare la
sua egemonia sulla penisola greca, ma solo per un breve periodo, ormai la crisi delle poleis era irreversibile, soprattutto
in un mondo in cui sempre più si affermavano altre realtà territoriali e politiche, prima fra tutte il regno di Macedonia.
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Storia Antica - primo anno
L’ELLENISMO
L’ASCESA DELLA MACEDONIA
Dopo i vani tentativi egemonici di Atene, Sparta e Tebe, intorno alla metà del sec. IV a.C. le poleis greche versavano in
una crisi irreversibile. Il loro particolarismo, infatti, le rendeva incapaci di costituire uno stato più solido e la frammentazione
politica era ancor più aggravata da contrasti e da guerre fratricide. Contemporaneamente, al nord della penisola greca,
andava via via rafforzandosi il regno di Macedonia. Esso si estendeva su un territorio per lo più montuoso, che aveva
consentito uno scarso sviluppo economico, basato principalmente sulla pastorizia e sull’allevamento. Altra fonte di
ricchezza era costituita dal legname, fornito dalle estese foreste.
Gli stessi Ateniesi compravano qui gran parte del legno per costruire le loro triremi.
Per secoli la Macedonia era rimasta uno stato marginale, con un’organizzazione politica
monarchica e arcaica, in cui rivestivano grande importanza le famiglie aristocratiche, che
avevano anche il diritto di eleggere il re.
Benché gli abitanti parlassero un dialetto di origine greca, gli Elleni li consideravano barbari
e non avevano mai guardato con timore a questo stato limitrofo, chiuso nel suo isolamento.
Ma, a partire dal 359 a.C., gli equilibri erano destinati a cambiare rapidamente. In
quell’anno infatti divenne re dei Macedoni Filippo II, della dinastia degli Argeadi. Colto,
determinato, dotato di grande realismo politico e di non comuni capacità diplomatiche e
militari, Filippo consolidò e fece progredire il suo regno. Rafforzato il potere regale a scapito
dell’aristocrazia, si dedicò alla riorganizzazione dell’esercito, creando la potentissima
falange macedone.
Filippo II di Macedonia
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Storia Antica - primo anno
FILIPPO II E I RAPPORTI CON LA GRECIA
Dopo aver conquistato parte della penisola balcanica combattendo contro gli Illiri che premevano ai confini, nel 357 iniziò
la sua espansione verso sud-est, conquistando prima la città costiera di Anfipoli, per potersi garantire uno sbocco sul
mar Egeo, poi il massiccio del Pangeo, ricco di miniere d’oro, infine gran parte della Tracia. Impose quindi guarnigioni
macedoni in Tessaglia e si impadronì di Olinto, nella penisola Calcidica.
Qualche anno dopo, l’ennesimo contrasto scoppiato fra le città greche, gli offrì l’occasione per intromettersi anche nelle
questioni delle poleis. Il pretesto fu costituito dalla cosiddetta “guerra sacra” (356-346) combattuta fra Tebani e Focesi
per il controllo del santuario di Apollo a Delfi. Filippo intervenne a favore di Tebe, mentre la Focide era appoggiata da
Sparta e Atene. La vittoria gli procurò il diritto di imporsi, come alleato, nelle relazioni fra le poleis .
Ormai era evidente che la Macedonia poteva costituire un pericolo anche per le altre città greche, pericolo avvertito in
particolar modo da Demostene, oratore e uomo politico ateniese, che scagliò contro Filippo veementi orazioni, dette
appunto Filippiche, in cui proponeva anche un’alleanza militare delle poleis per contrastare il possibile conquistatore.
Grazie ai suoi discorsi, Demostene riuscì a convincere gli Ateniesi, che insieme a Tebe e ad altre città organizzarono
un’alleanza per contrastare il nemico. Lo scontro avvenne a Cheronea nel 338 e le falangi macedoni riportarono una
decisiva vittoria. Benché Atene avesse svolto un ruolo prioritario per scatenare la guerra, Filippo si comportò con
moderazione nei suoi confronti, liberando i prigionieri e consentendole di mantenere la sua organizzazione politica.
L’anno successivo, in un congresso tenutosi a Corinto a cui furono chiamate tutte le città greche, impose la costituzione
di una lega. Filippo impegnò le poleis a non combattere più tra di loro, riconobbe, almeno formalmente, la loro autonomia,
ma le costrinse a mettere a sua disposizione i loro eserciti, per organizzare una campagna contro i Persiani.
La sconfitta di Cheronea non solo segnò la fine dell’indipendenza greca, ma anche il tramonto del modello politico delle
città-stato, che da quel momento dovettero gravitare nell’orbita politica del sistema monarchico macedone.
Filippo però non ebbe modo di condurre la programmata campagna contro i Persiani, poiché nel 336 a.C. moriva,
probabilmente vittima di una congiura di palazzo.
ALESSANDRO MAGNO
Non sempre la storia è segnata da eventi che determinano la fine di un’epoca e ne aprono
una nuova. Così avvenne, però, nel periodo in cui regnò Alessandro (336-323 a.C.), ricordato
con l’appellativo di Magno (il Grande).
Successore di Filippo sul trono della Macedonia, egli riuscì a operare una svolta tanto radicale
non solo per le eccezionali imprese compiute, gravide di interessanti sconvolgimenti politici,
ma anche perché segnò un cambiamento definitivo nello spirito della cultura, fino ad allora
dominato dal centralismo del mondo greco, facendo finire l’età classica per dare inizio a una
nuova era: quella ellenistica.
Alessandro iniziò a governare a soli vent’anni, ma già precedentemente aveva affiancato il
padre, distinguendosi anche per il suo eroismo nella battaglia di Cheronea.
Tutte le fonti antiche gli riconoscono doti eccezionali, come sovrano, come guerriero e come estimatore del sapere, caratteristica
acquisita anche grazie al suo precettore, il filosofo Aristotele, che gli aveva insegnato ad apprezzare la cultura greca.
I primi anni del suo regno vennero dedicati al consolidamento del potere. L’ascesa al trono di “un ragazzino”, come lo
definì Demostene, aveva spinto i suoi nemici alla rivolta. Fece dunque una campagna al nord della Macedonia, per
sconfiggere gli Illiri, e, proprio lì, gli arrivò la notizia che Tebe aveva cacciato la guarnigione macedone imposta dal padre
Filippo e stava organizzando una lega di poleis greche per muovergli guerra.
La reazione del giovane sovrano fu immediata e terribile: rase al suolo Tebe e rese schiavi i suoi abitanti . La ferocia
doveva servire da deterrente per altre sedizioni e dimostrare al mondo greco la sua determinazione al comando.
GUERRA CONTRO I PERSIANI
Risolte le questioni interne, decise di dedicarsi al progetto che la morte improvvisa del padre non aveva permesso di
realizzare: la sconfitta dei Persiani. L’obiettivo era anche un efficace strumento per vincere altre possibili opposizioni dei
Greci al suo potere, catalizzando intorno alla sua figura i loro desideri di vendetta contro l’antico nemico, che aveva
osato distruggere Atene su ordine di Serse.
L’impero persiano, governato dal Gran Re Dario III, era ormai un colosso dai piedi d’argilla, indebolito da congiure di
palazzo e dalle velleità autonomistiche dei satrapi, che i sovrani cercavano di contenere con una politica sempre più
dispotica.
87
Storia Antica - primo anno
Nella primavera del 334 Alessandro iniziava la spedizione partendo da Pella, capitale della Macedonia, con un esercito
di circa 35.000 uomini, per lo più Macedoni. Subito dopo aver attraversato lo stretto dei Dardanelli, nella battaglia presso
il fiume Granico vinse un contingente organizzato dai satrapi persiani e, in tal modo, riuscì a liberare la Lidia e tutte le
città greche dell’Asia Minore.
A Isso (333) avvenne il primo scontro con Dario III. La clamorosa vittoria gli consentì la conquista della Siria, della Fenicia
e della Palestina.
Mosaico della battaglia di Isso
Da lì passò in Egitto; accolto dalle popolazioni locali come un liberatore, si fece incoronare faraone e, rispettando le
tradizioni degli Egiziani, permise loro di adorarlo come figlio del dio Ammone. Fondò inoltre la città di Alessandria, che
ben presto diventò uno dei più importanti centri culturali del mondo antico.
Riprese quindi la via dell’Asia, all’inseguimento di Dario III, e lo sconfisse definitivamente a Gaugamela (331 a.C.),
occupando poi Babilonia, Susa e Persepoli. La guerra contro i Persiani era terminata, per questo Alessandro congedò
le truppe greche, tenendo con sé in Oriente solo i Macedoni e i volontari, coi quali continuò la campagna di conquista
fino all’Indo. Pensava infatti alla realizzazione di un ambiziosissimo progetto: estendere il suo potere su tutto il mondo
fino ad allora conosciuto, costituendo un impero universale.
Conquistò i territori dell’attuale Afghanistan e del Pakistan ma, dopo otto anni di ininterrotte campagne militari, i soldati
stanchi lo costrinsero al ritorno. Nel 324 giunse a Babilonia, dove iniziò ad occuparsi dell’organizzazione politica dei suoi
vastissimi territori. Tuttavia non ne ebbe il tempo, perché appena un anno dopo morì, probabilmente per febbri malariche.
IL CONCETTO DI ELLENISMO
Le straordinarie imprese militari gli avevano consentito di fondare un impero enorme; con lui era anche iniziato il periodo
ellenistico, caratterizzato dalla mescolanza e della fusione della cultura occidentale con quella dell’Oriente. Alessandro
stesso si era unito in matrimonio con Rossane, una principessa persiana, e aveva imposto ai suoi veterani di fare
altrettanto.
Era questa una novità veramente eccezionale, perché fino a quel momento i vinti diventavano schiavi, gli stranieri nemici
da soggiogare. Promosse l’istruzione della cultura greca fra migliaia di giovani orientali, li addestrò all’arte della guerra
secondo la tecnica macedone, convinto che fra i popoli del suo vasto dominio non dovessero esistere più barriere e
fratture.
La straordinaria avventura di Alessandro aveva inoltre contribuito ad ampliare i confini della conoscenza del mondo,
aveva fatto nascere l’idea di uno stato cosmopolita, senza distinzioni fra le razze, unite fra loro da una lingua comune:
il greco, che iniziò ad essere parlato nella varie parti dell’impero al posto degli idiomi e dei dialetti locali.
Sempre per fondere tradizioni occidentali con quelle orientali, Alessandro accettò di farsi adorare come dio da alcuni
popoli conquistati e impose a corte il cerimoniale della proskynesis, ossia la prostrazione davanti al sovrano, suscitando
fra l’altro la disapprovazione dei Macedoni, che non potevano accettare la divinizzazione dell’imperatore, troppo lontana
dalla loro concezione di regalità.
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Storia Antica - primo anno
Si è a lungo discusso su questa sua decisione, tanto estranea alla sensibilità della cultura greca, che fu sempre la matrice
dominante del suo pensiero. E’ probabile che essa su dettata da un’avveduta scelta propagandistica. Il suo dominio
infatti si estendeva su popoli usi a considerare divinità i propri regnanti, aspetto che il realismo politico di Alessandro non
poteva certo trascurare.
Cartina delle conquiste di Alessandro
LESSICO
Guarnigione: truppe messe a difesa o a controllo di un luogo
Impero universale: un impero che si estendeva su quasi tutte le terre allora conosciute.
Veterani: militari con molti anni di servizio.
Stato cosmopolita: comprendente più territori e popoli.
Sarcofago di Alessandro Magno al museo di Istanbul
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Storia Antica - primo anno
LA FORMAZIONE DEI REGNI ELLENISTICI
La prematura e improvvisa morte del sovrano aprì un violento periodo di lotte per la sua successione. Il re macedone
non aveva ancora eredi diretti, anche se la principessa Rossane era incinta. Subito dopo la sua scomparsa, il fedele
generale Perdicca divenne la massima autorità in Asia, mentre in Occidente la figura più carismatica fu Antipatro, un
anziano capo militare, già al servizio di Filippo.
Per anni i generali di Alessandro, detti diadochi, scatenarono contrasti per poter affermare il loro potere; in questa
situazione di continue guerre e congiure anche Rossane e il giovane principe Alessandro IV vennero uccisi.
Solo a partire dal 301 si stabilì la definitiva divisione dell’impero, con la nascita dei regni ellenistici, monarchie governate
da case regnanti stabili.
Fra essi i principali furono: il regno d’Egitto, retto dalla dinastia dei Lagidi; quello di Siria, sotto i Seleucidi; il regno di
Macedonia, che comprendeva anche la Grecia, con al potere gli Antigonidi. Non molto esteso, ma florido, fu il regno di
Pergamo, sotto gli Attalidi, che si formò in un momento successivo, staccandosi dal regno di Siria .
Regni minori furono: quello di Tracia, assorbito poi da Pergamo; il regno di Epiro, stato satellite della Macedonia, il regno
di Bitinia in Asia Minore, il regno dei Parti e quello di Battriana nell’Oriente asiatico.
LE MONARCHIE ELLENISTICHE
I regni ellenistici furono caratterizzati da peculiarità molto differenti fra loro, che in parte si innestavano sulle tradizioni
politiche precedenti alla propria formazione.
Tuttavia, anche in un contesto così variegato, si possono individuare degli elementi comuni.
Erano innanzitutto monarchie assolute a carattere territoriale e dinastico, in cui la regalità della famiglia al trono aveva
tratto origine dalla forza delle armi e dove il re era fonte di ogni potere.
Scomparve la partecipazione dei cittadini alla vita politica, poiché gli abitanti venivano relegati al ruolo di sudditi. Le
antiche virtù civili, tanto care ai cittadini di molte poleis greche, non erano più sentite come patrimonio della collettività,
poiché la politica si svolgeva indipendentemente dalla partecipazione dei sudditi. Questa situazione determinò un
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Storia Antica - primo anno
progressivo disinteresse degli abitanti nei confronti della politica, le stesse speculazioni filosofiche se ne allontanarono,
assumendo delle caratteristiche più intimiste, volte a dare una risposta a problematiche riguardanti l’individuo e non il
bene comune, come in passato era invece avvenuto, quali per esempio: il conseguimento della felicità e le problematiche
concernenti la religione.
In gran parte dei regni ellenistici non si realizzò la completa fusione, tanto auspicata da Alessandro, fra l’elemento grecomacedone e quello autoctono, in quanto il primo costituiva la classe dominante vicina al sovrano e deteneva le principali
cariche burocratiche. Gli stessi eserciti erano per lo più greco-macedoni.
Il funzionamento degli stati era affidato a un’efficiente e organizzata burocrazia, i cui vertici venivano direttamente scelti
dai sovrani. Solo gli incarichi amministrativi meno importanti erano affidati a elementi locali.
Pesante l’imposizione fiscale, da essa infatti i re traevano i proventi per il funzionamento della macchina burocratica, di
quella militare e per le ingenti spese delle corti.
Altare di Pergamo
L’ECONOMIA
Anche in ambito economico il mondo ellenistico si presentava in modo eterogeneo, per cui le linee generali che si possono
tratteggiare sono estremamente essenziali
Dappertutto l’agricoltura rimase l’attività principale, spesso molto fiorente come in Egitto, che deteneva il primato nella
produzione di grano. La diffusione della vite e dell’olivo in molti territori che erano in grado di vendere questi prodotti a
prezzi concorrenziali spesso danneggiò le esportazioni della Grecia. La proprietà fondiaria era concentrata nelle mani di
pochi possidenti e ciò accentuò gli squilibri sociali, resi ancora più aspri dall’abbondanza di schiavi, che toglievano il
lavoro ai contadini salariati.
Le conquiste di Alessandro avevano ampliato i confini del mondo conosciuto e da ciò trassero enorme beneficio i commerci,
ulteriormente incentivati dalla regolare circolazione della moneta, dalla costruzione di strade, di ponti e di scali portuali.
Carovane di mercanti e navi mercantili si spingevano fino all’Oceano Indiano, al Golfo Persico e al deserto dell’Arabia, per
acquistare merci rare come: le spezie, le stoffe pregiate, le pietre preziose, i profumi e gli elefanti da guerra.
Atene e il porto del Pireo persero la passata centralità commerciale, sostituiti da Rodi, che costituiva un vero e proprio
crocevia fra l’Europa, l’Asia e l’Africa, e dalla città di Alessandria.
Un fenomeno peculiare dell’età ellenistica fu la rilevante urbanizzazione; si incrementò lo sviluppo delle città esistenti e
molti sovrani, seguendo l’esempio del grande Alessandro, ne fondarono di nuove.
Moneta ellenistica
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Storia Antica - primo anno
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Storia Antica - primo anno
U.d.A. 6
GLI ITALICI E ROMA
L’ITALIA PREROMANA
GLI ITALICI
I popoli che abitarono l’Italia prima che questa venisse definitivamente unificata dai romani, nel III secolo a.C., vengono
genericamente detti “Italici”. Questi vanno distinti sia dai Punici (cartaginesi), che colonizzarono le coste occidentali della
Sicilia e quelle meridionali e settentrionali della Sardegna, sia dai greci, che colonizzarono ampiamente le coste dell’Italia
Meridionale e della Sicilia ad est e a sud. Questi coloni greci, anzi, vengono definiti meglio dai termini “Italioti”, per quelli
dell’Italia Meridionale, e “Sicelioti”, per quelli della Sicilia, termini coi quali gli stessi greci li identificavano (Iθθθθvθθθ,
θθθvθθθ).
Le popolazioni italiche vengono suddivise, sulla base delle lingue
da loro parlate, in due grandi gruppi: preindoeuropei e
indoeuropei. Al primo appartengono tutte quelle popolazioni che
abitavano la penisola già prima che vi giungessero quelle del
ceppo linguistico indoeuropeo, tra il secondo ed il primo millennio
a.C. Queste antiche popolazioni vengono considerate autoctone,
vale a dire originarie del luogo, anche se anch’esse, in epoche
remote della preistoria, erano giunte in piccoli gruppi da terre
lontane. Certo, queste popolazioni si erano ormai radicate nei
territori in cui vivevano, costituendo, soprattutto dal neolitico in
avanti, delle culture più o meno ben definite. A partire dall’Età del
Bronzo, poi, si erano fatte sentire le influenze delle superiori civiltà
del Mediterraneo Orientale, soprattutto col sopraggiungere dei
primi popoli navigatori, e forse anche colonizzatori, come i
Minoici ed i Micenei, che giunsero sulle coste italiane per
scambiare i loro raffinati prodotti con le materie prime di cui
avevano bisogno. Gli apporti materiali e culturali di queste civiltà
furono talmente intensi da spingere alcuni studiosi a supporre il
costituirsi di una comune civiltà mediterranea. Il successivo
arrivo, con l’inizio dell’Età del Ferro, dei Fenici prima e dei Greci
poi, stimolò lo sviluppo di vere e proprie culture superiori, una delle quali, quella degli Etruschi, giunse a realizzare una
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Storia Antica - primo anno
vera e propria civiltà.
Nel frattempo, però, erano sopraggiunte alcune ondate migratorie di Indoeuropei, in gran parte da Est, dalle coste
occidentali della Penisola Balcanica, ed in parte anche da Nord. Probabilmente non si trattò di una o più massicce
ondate migratorie, bensì di continue infiltrazioni di gruppi umani, più o meno consistenti, che alla fine produssero un
quadro linguistico-culturale della Penisola assai più complesso del precedente. Qualche studioso moderno avanza perfino
l’ipotesi che nascano da qui il campanilismo e la tipica frammentazione politica dell’Italia.
Comunque sarebbe un errore considerare l’Italia preromana come divisa semplicemente tra popolazioni preindoeuropee
ed indoeuropee, perché ciascuna di queste due grandi unità linguistiche era a sua volta suddivisa in vari sottogruppi,
ciascuno dei quali appariva solo in minima parte collegato agli altri. Nell’Età del Ferro, pertanto, si possono individuare
in Italia i seguenti grandi gruppi linguistici: Veneto, Retico, Ligure, Etrusco, Piceno, Umbro, Latino, Osco, Messapico,
Siculo, Sicano, Elimo. Ad essi vanno aggiunti quelli degli invasori
punici, greci e celtici.
Per quanto concerne le grandi aree etnico-culturali, più o meno
corrispondenti a quelle linguistiche, sono state identificate nel Nord
quelle Atestina, di Golasecca e Villanoviana; nel Centro, quelle
adriatiche ad Est, in particolare Picena ed Apula-Salentinta, e quella
Laziale ad Ovest; nel Sud quella delle Tombe a fossa ed infine quelle
insulari della Sicilia e della Sardegna Nuragica.
Uno degli aspetti culturali più interessanti per individuare
archeologicamente una cultura antica, è rappresentato certamente
dal culto dei morti, soprattutto dal modo in cui veniva trattato il corpo
del defunto. In particolare, possiamo distinguere tre diverse modalità:
la conservazione (come, ad esempio, la mummificazione degli egizi),
la semplice inumazione (cioè il puro e semplice seppellimento del
cadavere) ed infine la cremazione o incinerazione (cioè l’uso di
bruciare il corpo per ridurlo in cenere). Ebbene, durante l’Età del Ferro
in Italia erano diffuse sia l’inumazione sia la cremazione dei corpi. Nel
Nord prevaleva la cremazione; nel Centro c’erano luoghi in cui
coesistevano i due riti; nel Sud era prevalente l’inumazione. È però
significativo il fatto che la prevalenza di un rito non escludesse
completamente l’altro, perché indica la compresenza di gruppi culturali, e forse anche etnici, diversi.
IL VILLANOVIANO
In questo quadro articolato e complesso dell’Età del ferro italiana, , il Villanoviano emerge come fenomeno più importante,
perché più ricco, vario e gravido di sviluppi. Il nome deriva dalla località di Villanova, in provincia di Bologna, dove vennero
ritrovati ed identificati per la prima volta i resti di questa cultura. Essa era caratterizzata da tombe a cremazione, in cui le
ceneri venivano deposte in grandi urne biconiche ad impasto nero, decorate con motivi geometrici incisi, generalmente
con una sola ansa e con la bocca coperta da una ciotola o da un elmo di bronzo o di terracotta.
Certamente l’elmo identificava un guerriero ed un personaggio importante, per il quale la stessa urna poteva essere di
bronzo. La ciotola, invece, poteva forse identificare una donna o una persona comune. Nell’area tirrenica, dove poi
sorgerà la civiltà etrusca, oltre a queste tipologie, compare anche la cosiddetta urna a capanna, che riproduceva la forma
delle abitazioni, con il chiaro intento di garantire una dimora per l’aldilà.
Urna cineraria a capanna
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Urne cinerarie villanoviane
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Storia Antica - primo anno
Quest’ultimo tipo di urna era caratteristico della vicina Cultura Laziale.
Proprio sulla costa tirrenica, l’evolversi della cultura Villanoviana portò
alla nascita della Civiltà Etrusca, la prima vera grande civiltà italica
preromana, che è possibile individuare attraverso quattro fasi
archeologiche ben definite:
1) un Villanoviano tipico con l’uso pressoché esclusivo della
cremazione (IX-VIII sec. a.C.);
2) un Villanoviano evoluto caratterizzato dalla compresenza dei
riti dell’incinerazione e dell’inumazione, nonché da uno
straordinario sviluppo della metallurgia, anche artistica, e dalle
prime influenze delle nascenti colonie greche d’occidente (VIIIVII sec. a.C.);
3) un periodo Orientalizzante, col prevalere dell’inumazione
nell’Etruria meridionale e la comparsa di tombe monumentali
con un ricchissimo corredo funebre, l’importazione e
l’imitazione di oggetti dell’artigianato artistico orientale portato
dai mercanti fenici e greci;
4) un tardo Orientalizzante, caratterizzato dall’importazione della
ceramica corinzia e dal progressivo passaggio alla Civiltà Etrusca arcaica del VI sec. a.C.
Quindi, intorno al VI sec. a.C. si aprì per l’Italia una nuova éra, anche perché la civiltà degli Etruschi fu l’epicentro di un
processo che avrebbe portato la nostra penisola ad acquisire quel ruolo centrale nel Mediterraneo che le era assegnato
dalla sua stessa posizione geografica.
Fibula Etrusca orientalizzante
Cratere Corinzio
GLI ETRUSCHI
Intorno al popolo degli Etruschi, la storiografia moderna e la fantasia popolare, hanno costruito un alone di mistero che
ne ha condizionato per lungo tempo la ricostruzione storica e culturale. In particolare, il mistero etrusco si è incentrato
su due aspetti fondamentali: le origini e la lingua.
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Storia Antica - primo anno
IL PROBLEMA DELLE ORIGINI
Sulle origini del popolo (etnogenesi) etrusco esistono quattro fondamentali ipotesi: due antiche, riprese ed approfondite
con forza dagli studiosi dei secoli XIX e XX; due esclusivamente moderne, di cui una ormai quasi del tutto abbandonata
mentre l’altra risulta, invece, più valida e scientificamente fondata.
La prima sostiene che gli etruschi siano venuti
dall’Oriente. Essa venne esposta per la prima volta da
Erodoto (Storie, I, 94) e poi ripresa da tanti altri autori
antichi e dagli studiosi moderni, che l’hanno arricchita
con dati ed argomentazioni molto forti.
La seconda sostiene che gli etruschi siano autoctoni,
cioè originari del luogo, che abitavano fin dalla preistoria.
Questa tesi venne sostenuta per la prima volta da
Dionigi di Alicarnasso (Storia antica di Roma, I, XXX),
vissuto nel I sec. a.C., il quale può essere considerato
perciò il fondatore della “questione etrusca”.
Anche in questo caso gli studiosi moderni hanno portato
molti elementi a sostegno di questa tesi.
Vi è stata poi, da parte di archeologi e filologi del XIX secolo e degli inizi del XX, la teoria secondo la quale gli etruschi
fossero giunti dal Nord, attraverso le Alpi, ma oggi essa ha pochissimi seguaci, perché le prove a suo sostegno si sono
dimostrate fallaci.
Contro queste teorie semplicistiche si pose un grande etruscologo italiano, Massimo Pallottino, che in una sua opera
fondamentale (Etruscologia, Milano 1942) ne rilevò soprattutto un difetto d’impostazione. Piuttosto che parlare di venuta
o autoctonia, sarebbe stato più opportuno parlare di formazione del popolo etrusco e della sua civiltà; infatti, prima della
loro comparsa, tra il VII e gli inizi del VI secolo a.C., non esistevano in alcun luogo ed è quindi più logico credere che,
come tali, si siano formati nel corso dei secoli precedenti, nel luogo stesso della loro comparsa. In quel contesto è
altamente probabile che nella popolazione preesistente si siano innestati individui e gruppi etnici nuovi (altri italici, greci,
fenici ed orientali in genere); ma questo non dovrebbe averne stravolto il substrato etnico. È dimostrato , invece, che in
esso abbiano agito significativi e fecondi influssi artistico-culturali esterni, che ne hanno promosso lo sviluppo fino al
sorgere della prima grande civiltà italica. Questo è possibile constatarlo nel passaggio dalla cultura Villanoviana alle prime
manifestazioni della Civiltà Etrusca, soprattutto nell’area costiera, dove poi sorsero le prime grandi città storiche. Si ebbe,
insomma, un indubbio salto di qualità, ma non una frattura rispetto al passato, e questo concorda con l’idea di
un’evoluzione nella continuità, che non lascia spazio all’ipotesi di una massiccia invasione. Infine, questo passaggio si
ebbe in quell’ambito artistico che va sotto il nome di Orientalizzante, durante il quale l’espandersi del commercio fenicio
e greco diffusero in tutto il Mediterraneo prodotti dell’artigianato artistico orientale (avori, argenteria, oreficeria) o
d’imitazione dei motivi orientali (come nella ceramica greca). Questo spiega anche molti di quei caratteri orientali dell’arte
etrusca, che ne rimase fortemente influenzata.
IL PROBLEMA DELLA LINGUA
L’altro mistero etrusco sarebbe costituito dalla lingua, la quale non
sarebbe stata decifrata. Anche su questo problema Pallottino ha
evidenziato un difetto d’impostazione. Anzitutto ha messo in
evidenza come l’etrusco sia perfettamente leggibile, in quanto usa
un alfabeto conosciuto: quello greco di Calcide (una polis dell’isola
greca d’Eubea).
La direzione della scrittura era prevalentemente sinistrorsa (da
destra verso sinistra), ma poteva essere anche destrorsa o
bustrofedica (alternando le due direzioni, come i buoi quando
aravano il terreno).
Si hanno anche casi particolari, come quelle di iscrizioni a spirale.
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Storia Antica - primo anno
Per quanto concerne la lingua, essa è solo parzialmente conosciuta, ma non perché sia così difficile decifrarla, ma perché
manca una letteratura etrusca. Sono stati ritrovati meno di una diecina di testi di una certa lunghezza, che vanno dalle
1200 parole della Mummia di Zagabria alle 36-37 delle lamine d’oro di Pyrgi. Queste ultime rivestono un’importanza
notevole perché sono iscritte sia in etrusco sia in punico, costituendo praticamente un testo bilingue. Vi sono poi una
diecina di migliaia di iscrizioni su vasi, sarcofagi, cippi ecc., che sono brevissime e ripetono sostanzialmente le medesime
cose, per cui aggiungono poco o nulla al vocabolario dei testi più lunghi. Come si fa, in queste condizioni, a parlare di
una vera e propria lingua da conoscere e, quindi, da tradurre? Tuttavia, questa non è una situazione diversa da quella
che caratterizza le altre culture italiche e desta meraviglia solo se la si confronta con quella del latino o del greco; ma
questo confronto è improponibile, perché di questi possediamo tanti di quei testi, che se anche se ne perdesse la lingua,
non sarebbe difficile ricostruirne la conoscenza. Perciò, anche sulla lingua etrusca non vi è alcun mistero da svelare, ma
vi sono solo dei limiti obiettivi che impedisco nodi conoscerla appieno.
Le lamine d’oro di Pyrgi
LA STORIA E LA CIVILTÀ
L’Etruria era il territorio compreso tra i fiumi Tevere a Sud e
Arno a Nord. Essa , come avevamo visto parlando degli
Italici, nell’Età del Ferro faceva parte dell’area culturale
villanoviana, che tra l’VIII ed il VII sec. a.C., per effetto della
colonizzazione greca dell’Italia Meridionale e della
Sicilia,venne inserita nell’orbita commerciale degli elleni, ma
anche della Fenicia (soprattutto di Cartagine). Questi vi
esportavano i prodotti
del loro evoluto artigianato
in cambio di materie prime
come stagno, rame,
piombo, argento e ferro,
di cui le località costiere dell’Etruria meridionale erano ricche. Ciò determinò, all’interno
di alcuni dei principali insediamenti villanoviani, l’arricchimento delle classi dominanti e
di un ceto artigianale e mercantile in grado di far fronte alle richieste della crescente
domanda di beni, interna ed estera.
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Storia Antica - primo anno
Patera d’oro - Tomba Bernardini di Preneste
Tumulo della tomba Regolini-Galassi di Cerveteri
Questo spiega perché, quasi improvvisamente, compaiano in queste località del sud e della costa tirrenica dell’area
villanoviana, degli evoluti centri urbani (Falerii, Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia, Populonia, Volterra) dominati
da ricchi signori, di cui alcune tombe sontuose rappresentano un’eloquente testimonianza (come la Regolini-Galassi di
Cerveteri, o la Barberini e Bernardini di Preneste).
Gli oggetti che provengono da queste tombe appartengono al periodo detto Orientalizzante, perché in parte di
provenienza orientale, per lo più fenicia, in parte di produzione greca o locale, ma ispirata a motivi artistici orientali. Si
trovano anche oggetti di provenienza orientale, però chiaramente ritoccati dalle mani di artigiani etruschi, per renderli più
idonei ai gusti dell’aristocrazia locale. Oltre alla ceramica greca, compaiono monili, utensili e vasellame lavorati in avorio,
bronzo, argento ed oro.
Intorno agli inizi del VI sec. a,C., le principali città dell’Etruria
si unirono in una Lega delle dodici città (Dodecapoli, una
specie di anfizionia), intorno al santuario del dio Vertumno a
Volsini, presieduta da un magistrato detto “Zilath mekhl
rasnal” (in latino Praetor Etruriae), e diedero inizio ad una fase
espansiva che le portò a Nord fin nell’Emilia e la valle
padana, ed a Sud nel Lazio e nella Campania, fino a Capua
(la più settentrionale delle colonie greche). Così anche nei
territori padani conquistati si formò un’altra Dodecapoli,
mentre un’alleanza coi cartaginesi consentì agli Etruschi di
bloccare il tentativo di espansione di coloni focesi che si
erano stanziati sulle coste orientali della Corsica, fondandovi
la colonia di Alalia (Battaglia di Alalia, 535 a.C.). In questo
momento di massimo splendore, gli Etruschi, divenuti ormai
abili marinai, dominavano sul Tirreno (talassocrazia tirrenica),
mare che non a caso viene denominato col loro nome greco.
Però, sul finire del VI sec. a.C. le ribellioni di alcuni popoli
italici sottomessi, l’inevitabile scontro con le colonie greche
dell’Italia Meridionale e della Sicilia a Sud, forse l’inizio di
dissidi interni sia nella Lega sia nelle singole città e, infine,
l’espansione dei Celti (Galli, tra il V ed il IV sec. a,C.) a Nord,
ne determinarono il Declino, soprattutto tra il V e il III sec.
a.C., quando vennero poi definitivamente conquistati e
latinizzati da Roma. Anche quest’ultima aveva fatto parte, nel
VI sec. a.C., dei domini etruschi, com’è dimostrato dai nomi di due dei suoi ultimi re: Tarquinio Prisco e Tarquinio il
superbo. Tuttavia, secondo la tradizione, nel 509 a.C. Roma si liberò dal giogo etrusco e poco dopo una lega latina
comandata da Aristodemo di Cuma sconfisse gli etruschi ad Ariccia, espellendoli dalla Campania. Infine, nel 474 a.C.,
la flotta etrusca viene gravemente sconfitta da quella siracusana nelle acque di Cuma, perdendo la sua talassocrazia sul
Tirreno.
Da questo momento in poi, le città meridionali e costiere perdono la loro preminenza, cadendo una ad una sotto il
dominio di Roma, mentre acquistano sempre maggiore importanza quelle settentrionali e dell’interno (Bolsena, Orvieto,
Chiusi, Perugia, Cortona, Arezzo, Fiesole). L’Etruria, da potenza navale e commerciale, si trasforma in una forza territoriale
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Storia Antica - primo anno
ed agricola, restringendosi nella sua sede storica, tra il Tevere e l’Arno. Nel 396 a.C. Roma conquista Veio, poi Caere,
Tarquinia e, nel 295 a.C. Volsini, il cuore della Dodecapoli.In pratica, l’Etruria entra definitivamente nell’orbita di Roma e
ne condivide i destini. Nel I sec. a.C., però, le città etrusche parteciparono alle Gerre Sociali, e ciò permise loro di ottenere
la piena cittadinanza romana.
ARTE, SOCIETÀ E RELIGIONE
L’arte etrusca non ebbe mai una piena autonomia, ma trasse sempre spunto dalle grandi civiltà artistiche con le quali
venne a contatto. Tuttavia essa seppe raggiungere, in alcuni casi, una certa originalità, manifestando quel fondo di libertà
espressiva propria delle culture italiche ed, in genere, delle culture più primitive. Si guardino, ad esempio, statue come
l’Apollo di Veio o il Sarcofago degli Sposi. Quest’ultimo è interessante per fare riferimento alla posizione della donna nella
società etrusca. Essa godeva di ampia libertà e questo era motivo di scandalo per i greci ed i latini, che non le
concedevano di banchettare con gli uomini e la relegavano, per lo più, in alcuni locali domestici a lei riservati, i ginecei.
La donna Etrusca è stata perciò accusata di facili costumi, mentre è più probabile che fosse solo più emancipata.
APOLLO DI VEIO
Opera di Vulca, VI sec. a.C.
oggi al Museo Nazionale Etrusco di
Villa Giulia a Roma
SARCOFAGO DEGLI SPOSI
VI Sec.. a.C., da Cerveteri, oggi al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma
C’è da dire, comunque, che la società mantenne a lungo caratteri piuttosto arcaici, con una rigida distinzione tra una
classe privilegiata di ricchi proprietari terrieri, alla quale sottostava una massa di servi privi di diritti politici. Nella fase
iniziale del periodo arcaico, a capo delle città vi era un re, il cui nome, Louchme, venne trascritto in Lucumones e confuso
successivamente con un nome proprio.
Quando poi cadde la forma monarchica, i termini summenzionati ed alcune loro forme derivate, divennero nomi di famiglie
o termini per indicare funzionari religiosi (come l’Arconte basileus di Atene o il Rex sacrorum di Roma).
Tra le insegne della sovranità, meritano menzione le seguenti: corona d’oro, sedia d’avorio, scettro con aquila, tunica di
porpora intessuta d’oro, mantello di porpora ornato di ricami. Anche i generali romani che festeggiavano un
trionfo,avevano il diritto di portare per un giorno questi elementi, salvo che la corona era d’alloro. Un altro famoso simbolo
etrusco fu la Scure bipenne, costituita da un fascio di verghe (forse dodici, a simboleggiare la Dodecapoli) con una
doppia scure indicante il potere di vita o di morte. Essa fu senz’altro il prototipo del Fascio littorio romano. Con la fine
della monarchia, a capo delle città vi erano dei magistrati che portavano nomi con la radice Zil, che probabilmente
indicava l’atto di governare. Zilat era il nome comune per magistrato e si conoscono cariche specifiche come Zilat Maru
(carica al contempo civile e religiosa) e lo Zilath Mechl Rasnal, capo della Lega Etrusca (di cui abbiamo già parlato).
Per quanto riguarda la religione, questa assimilò tanto dai popoli coi quali venne in contatto, e identificò molte delle
proprie divinità con quelle greche e puniche.
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Storia Antica - primo anno
Tuttavia c’era un campo in cui i sacerdoti etruschi eccellevano e venivano tenuti in gran conto dai romani: l’arte divinatoria,
cioè quella d’interpretare i segni e di predire, in base ad essi, gli eventi.
Essa era divisa in tre branche fondamentali: fulguratoria (interpretazione dei
fulmini); augurale (interpretazione del volo degli uccelli); aruspicina
(interpretazione dei segni nelle interiora degli animali sacrificati).
Si può dire che gli etruschi non intraprendessero alcuna attività (fondazione di
città, costruzione di templi, imprese militari) senza prima consultare gli dei per
conoscerne la volontà.
Anche gli Etruschi dedicavano molta cura ai loro defunti, immaginando una
vita dell’aldilà intesa a riprodurre gli aspetti migliori della vita terrena. Lo si
deduce dai sarcofagi e dalle tombe dipinte, soprattutto quelle di Tarquinia, che
rappresentano alcune delle opere più belle e straordinarie che l’antichità ci
abbia lasciato.
Bipenne Etrusca
TOMBA DEGLI AUGURI - Tomba dipinta di Tarquinia
La “Tomba dei Leopardi” a Tarquinia
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Storia Antica - primo anno
LA CIVILTA’ ROMANA
LE ORIGINI DI ROMA
LA LEGGENDA
Per gli antichi le origini di Roma
erano immersi nel mito e nella
leggenda. Il nucleo centrale era
rappresentato dalle storie di
Enea e di “Romolo e Remo”, con
diverse versioni e varianti.
Il primo era un eroe troiano,
fuggito da quella città mentre i
greci la davano alle fiamme.
Per volere del fato, con un
gruppo di fuggiaschi era giunto
sulle coste del Lazio dove aveva
sposato Lavinia, figlia del re di
Latino, e poi fondato una città,
alla quale aveva dato il nome di
sua moglie, Lavinium. Suo figlio
Ascanio, invece, circa trent’anni dopo, era riuscito a fondare sui monti Albani un’altra città, Alba Longa, destinata a
divenire la principale metropoli delle genti latini.
Dalla dinastia fondata da Ascanio, molte generazioni dopo era nato Numitore, legittimo sovrano d’Alba Longa.
Suo fratello Amulio ne usurpò il trono e ne distrusse la discendenza maschile, costringendo l’unica figlia, Rea Silvia, a
farsi vestale, obbligandola così al voto della castità. Il dio Marte, però, s’invaghì di lei e la prese con la forza, facendole
concepire due gemelli, Romolo e Remo.
Questi vennero messi in una cesta ed abbandonati nel Tevere, ma la cesta si arenò in una palude tra i monti Palatino e
Campidoglio, dove vennero allattati da una lupa scesa dalle montagne. In seguito vennero adottati da un pastore,
Faustolo, e da sua moglie, Acca Larenzia. Romolo e Remo crebbero, così, sul palatino, forti e audaci. Ma un giorno dei
banditi riuscirono a catturare Remo e lo portarono dal re Amulio, che lo diede come schiavo a Numitore.
Quest’ultimo, però, sentita la storia di Remo comprese che lui ed il suo fratello gemello potessero essere i suoi due
nipoti; e ciò avveniva, proprio mentre Faustolo svelava la verità a Romolo. I due gemelli, perciò, riunito un gruppo di
compagni, attaccò la reggia, uccisero Amulio e rimisero sul trono di Alba Longa il loro nonno, Numitore.
Dopo di ciò, Romolo e Remo decisero di fondare nei luoghi dove erano vissuti una nuova città e, ottenutone il permesso
dal re, vi si erano recati.
Per stabilire chi dei due sarebbe
dovuto diventarne re, si
affidarono al responso augurale,
che però non diede un esito
incontestabile.
Nondimeno,
Romolo, giudicando il suo
auspicio più credibile, tracciò sul
terreno il pomerium, confine
sacro della nuova città. Per
scherno, Remo lo valicò, e
Romolo lo uccise, pronunciando
subito dopo queste terribili
parole: «Sic deinde, quicumque
alius transiliet moenia mea»
[Così, d’ora in poi, possa morire
chiunque osi scavalcare le mie
La lupa Capitolina
mura].
101
Storia Antica - primo anno
DALLA LEGGENDA ALLA STORIA
ÿ Prima della fondazione
Appare evidente che i racconti mitologici e leggendari non possono rappresentare lo svolgimento reale dei fatti, ma
sarebbe un grave errore destituirli di ogni fondamento. Solo la comparazione di questi racconti coi dati offerti
dall’archeologia può aprire uno squarcio di luce nell’oscurità che avvolge le origini di Roma.
Già gli antichi avevano calcolato, sulla base della tradizione, che la fondazione della città dovesse collocarsi nel 753 a.C.
(21 aprile). Ebbene, anche l’archeologia conferma che un insediamento dell’età del ferro sul monte Palatino debba
collocarsi intorno alla metà dell’VIII sec. a.C., almeno parzialmente in accordo col dato tradizionale.
Tuttavia nell’area romana sono stati ritrovati insediamenti ancora più antichi ed abitati anche con una certa continuità.
A parte i resti neandertaliani del cosiddetto Uomo di Sacco Pastore (ritrovati nella campagna romana sulla riva sinistra
dell’Aniene e risalenti a circa 120.000 anni fa), la presenza umana fu praticamente costante ad iniziare dall’Età del Bronzo,
con la Cultura Appenninica, dal XVI al XII sec. a.C., poi quella detta Proto-villanoviana (XII-X sec. a.C.) ed infine
Villanoviana (X-VIII sec. a.C.) o, più specificamente, Protolaziale (X-IX sec. a.C.) e Laziale (IX-VIII sec. a.C.).
In questi contesti preistorici vanno collocati gli arrivi di popolazioni di diverse origini, tra le quali quella dei Latini,
indoeuropei. Questi sembrano essere giunti dall’area adriatica, scendendo poi lungo il percorso della riva sinistra del
Tevere, insediandosi soprattutto sui Colli Albani, da dove avrebbero poi colonizzato parte del territorio circostante. Essi
usavano ed imposero il rito della cremazione, che li accomunava ai protovillanoviani, ma con una particolarità costituita
dall’uso delle urne cinerarie a capanna, che riproducevano in piccolo le loro abitazioni. Anche il corredo funebre che
accompagnava i defunti era costituito da oggetti riprodotti in miniatura.
Crani Neonderthaliani di sacco pastore
Urna Cineraria a capanna
La tradizione e i dati archeologici concordano anche su un altro aspetto: il carattere pastorale di questi antichi popoli.
Ovviamente essi praticavano anche la raccolta di ciò che la natura offriva spontaneamente, la caccia, forme rudimentali
di agricoltura ed anche la pesca: ma la loro economia era basata prevalentemente sulla pastorizia e l’allevamento, adatti
al territorio collinare e montano nel quale vivevano. Carni, lana, pelli, latte e latticini ne erano i prodotti tipici.
Col tempo, i nuclei familiari si sparsero e poi si costituirono villaggi sulle alture dei colli e dei monti.
Questi villaggi intrattennero tra di essi rapporti, a volte amichevoli a volte ostili; ma quando nell’VIII sec. a.C. si affacciarono
sui loro confini genti più evolute e meglio organizzate, come i Greci, i Punici e gli Etruschi, furono costretti ad unirsi prima
in leghe sacre e poi in aggregazioni sempre più grandi, destinate a divenire, per un processo più o meno spontaneo di
sinecismo, vere e proprie città.
Questo fu quel che accadde a Roma, dove i villaggi sorti sui suoi Monti (Septimontium, da non confondere coi sette
Colli, alcuni dei quali non vennero acquisiti fino alla tarda età monarchica) andarono aggregandosi intorno al nucleo del
Palatino: Velia, Fagutal, Cermalus, Caelius, Oppius, Cispius. Questo fu il cuore della Roma primitiva, insieme alla Subura.
Il nome degli abitanti delle alture del Palatino e del campidoglio, nonché della valle sottostante, era quello di Ramnes,
cioè “gli abitanti del fiume, i «fiumaioli»; esso derivava da rumon, nome comune equivalente a “fiume”.
102
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Storia Antica - primo anno
Il nome proprio doveva essere
Albula, “fiume dei monti”, poi
sostituito
da
Tevere,
di
derivazione etrusca. Il legame tra
questo fiume e la città è, quindi,
evidente e deriva dal fatto che
l’ansa che essa controllava,
caratterizzata
anche
dalla
presenza dell’Isola Tiberina, era
un luogo ottimo sia come
approdo
sia
per
l’attraversamento. Inoltre per
Roma passava la strada che dalla
costa tirrenica portava il sale
verso l’interno (Via Salaria).
Più tardi divenne anche evidente
come Roma fosse un naturale
crocevia al centro delle più
importanti strade della Penisola,
la quale, a sua volta, era al centro
del mare più importante dell’antichità: il Mediterraneo. Una posizione privilegiata, dunque, destinata a rivelarsi tale sempre
di più nel corso del tempo.
Altri due popoli sembra abitassero il territorio di Roma al tempo della sua fondazione: i Tities, appartenenti all’etnos dei
Sabini, che si erano stabiliti soprattutto sul Quirinale e che ebbero in Tito Tazio il loro eroe eponimo; i Luceres, il cui nome
derivava forse da lucus “bosco” ed indicava appunto gli abitatatori dei boschi dell’Esquilino e del Celio.
103
Storia Antica - primo anno
ÿ La fondazione di Roma
I SETTE RE DI ROMA
1
ROMOLO
TITO TAZIO
753 – 716 a.C.
2
NUMA POMPILIO
716 - 673 a.C.
3
TULLO OSTILIO
673 - 641 a.C.
4
ANCO MARCIO
641 – 616 a.C.
5
TARQUINIO PRISCO
616 – 579 a.C.
6
SERVIO TULLIO
579 – 535 a.C.
7
TARQUINIO IL SUPERBO
535 – 509 a.C.
FONDAZIONE
E DIARCHIA
PERIODO
SABINO?
PERIODO
ETRUSCO
Il valore storico della tradizione, quindi, è
tutt’altro che trascurabile, ove si abbia cura di
discernere in essa tutto ciò che vi è di
trasposizione mitica e leggendaria. Romolo,
infatti, dopo aver fondato la sua città (vedi
approfondimento), se ne fece sovrano e ne
divise la popolazione nelle tre summenzionate
tribù: Tities, Ramnes, e Luceres.
Ognuna di esse venne divisa in 10 curiae (per
un totale di 30) ed aveva l’obbligo di fornire 100
cavalieri (patrizi) e 1.000 fanti (plebei), per un
totale di 3.300 uomini (cifra che fa pensare ad
una popolazione intorno ai 15.000 abitanti).
Inoltre, da ogni tribù provenivano 100 Patres
(10 per ciascuna curia) per il Senatus,
l’assemblea dei notabili anziani.
L’assemblea popolare, invece, era costituita dai
Comitia curiata, dove forse partecipavano
anche i plebei, ma sicuramente in posizione
subordinata rispetto ai patrizi.
Non è necessario credere che questo complesso ordinamento sia stato realizzato in una sola volta e da un solo sovrano.
È sicuramente più probabile che esso sia stato il frutto di una lenta evoluzione, ma rimane il fatto che sembra avere un
fondamento storico nel riscontro con gli analoghi ordinamenti che erano stati realizzati in Grecia e che, probabilmente,
ne costituirono il modello (per il tramite delle colonie dell’Italia meridionale e della Sicilia).
ÿ Il periodo sabino
Dopo il Ratto delle sabine (vedi approfondimento), tra i Latini ed i Sabini si sarebbe giunti ad un accordo: insieme a
Romolo avrebbe regnato Tito Tazio (diarchia) ed i loro successori sarebbero stati, alternativamente, un latino ed un
sabino.
Forse questa storiella nasconde una supremazia sabina, che si sarebbe protratta fino all’affermazione della dinastia
etrusca; ipotesi suffragata dal fatto che tutti i successori sembrano essere stati solo sabini (come sarebbe dimostrato
dall’uso del praenomen e del nomen, secondo l’uso sabino, anziché del solo nomen, secondo l’antico uso latino).
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Storia Antica - primo anno
Altre due indizi possono essere utilizzati a sostegno di questa ipotesi. Il primo sta nel fatto che nelle più antiche citazioni
delle tre tribù di Roma, quella dei Tities, cioè dei Sabini, viene messa per prima.
Il secondo sta nel famoso acronimo “S.P.Q.R.”, che originariamente non sembra indicasse “Senatus Populusque
Romanus” (“Il Senato ed il Popolo di Roma”), bensì “Senatus Populusque Quiritium Romanorum” (“Il Senato e il popolo
dei Quiriti Romani”). In questo caso Quirites o sarebbe da riportare a Cures, la città da dove sarebbero giunti i Sabini di
Roma (da cui poi il nome “Quirinale” dato al colle sul quale s’insediarono) o dalla parola sabina curis, “lancia”, nel senso
di uomini armati di lancia. È comunque probabile che da Tito Tazio ad Anco Marcio (o Marzio), vada collocato un periodo
di predominio dell’etnos sabino su quello latino.
Se a Romolo venne dato il merito di aver fondato l’Urbe, a Numa Pompilio venne dato quello di averne codificato la
religione. Egli per primo regolò il calendario, poi stabilì la prima Triade Capitolina, composta da Giove, Giano e Quirino
(poi divenuti, sotto l’influenza Etrusca, Giove, Giunone e Minerva – da Tinia/Uni/Minerva). Molti furono i culti, i riti e le
fondazioni sacre che gli vennero attribuiti.
La figura di Tullo Ostilio è invece legata soprattutto alla guerra con Alba Longa ed alla pri ma espansione di Roma.
Questo conflitto non sarebbe facile da spiegare senza l’ipotesi del predominio nell’Urbe dei Sabini, dato che Alba Longa
era, come abbiamo visto, la metropoli dei Latini. Se il progetto dei nuovi sovrani di Roma era quello di scendere lungo
la riva sinistra del Tevere per giungere alla costa, sarebbe stato necessario assicurarsi le spalle eliminando una forza
potenzialmente ostile come i Latini dell’area Albana. Così la guerra fu inevitabile e divenne presto estrema. Inizialmente,
infatti, si sarebbe cercato di renderla meno cruenta attraverso una sfida (leggenda degli Orazi ed i Curiazi);
successivamente, però, la guerra riprese e Roma rase al suolo la città avversaria, deportandone poi la popolazione e
insediandola sul Celio.
Fu così che l’ultimo re sabino, Anco Marcio, poté spingersi verso
le foci del Tevere, dove fondò la colonia di Ostia. Era la zona delle
saline e questo dava a Roma il pieno controllo della via Salaria,
facendone una città molto ricca ed importante, in grado di
mettersi in concorrenza con le grandi città dell’Etruria
meridionale. Sotto il suo regno venne realizzato anche il primo
ponte stabile sul Tevere: il ponte Sublicio. Questo ormai metteva
in contatto diretto Roma ed il mondo etrusco, che si trovava sulla
sponda opposta del fiume.
Qui, all’interno di città Stato come Veio, Cere, Volsinii e Tarquinia,
c’erano gruppi familiari ricchi e potenti, desiderosi di affermarsi
come signori nei territori circostanti, circondati e sostenuti da
compagni (sodales) che ne costituivano la forza armata. Si
trattava, insomma, di avventurieri desiderosi di acquistare potere
ovunque se ne offrisse l’opportunità e ce ne fosse l’interesse.
Nella Roma di questo periodo (fine VII sec. a.C.) c’erano
entrambe le cose: una città ricca e potente, ma anche un po’
instabile a causa della rivalità tra Sabini e Latini.
ÿ La grande Roma dei Tarquini
Esattamente in questo contesto s’inserisce l’avvento della dinastia etrusca a Roma; un contesto ormai storico, anche
se un po’ infiorato dalla leggenda. Tarquinio Prisco, figlio di un artigiano greco, Demarato, stabilitosi in Etruria (secondo
la tradizione a Tarquinia, ma la tomba gentilizia è stata ritrovata a Cere), lasciò la sua città in cerca di fortuna,
accompagnato dalla moglie Tanaquil (espertissima nell’Etrusca disciplina) e dai suoi sodales. Si stabilì a Roma, dove
divenne amico e consigliere del re Anco Marcio, che lo adottò e ne fece l’educatore dei figli.
Perciò, alla morte del re poté approfittare della situazione per presentarsi legittimamente come suo successore.
Egli fece venire da Vulci una specie di capitano di ventura, Celio Vibenna, col quale conquistò il territorio dei Prisci Latini,
tra l’Aniene e il Tevere. Molti di questi vennero trasferiti sull’Aventino e, pian piano, l’etnos latino divenne preponderante
rispetto a quello sabino. Procedette, poi, all’aumento del numero dei senatori, che portò a 300, ed al raddoppio dei
contingenti di cavalieri, che divennero 600. I successi di Tarquinio Prisco, però, non bastarono ad impedire che egli
cadesse vittima di una congiura.
105
Storia Antica - primo anno
Gli successe Servio Tullio, una delle figure più interessanti della storia romana. Un enigma avvolge la sua ascesa al trono,
sulla quale possediamo una versione latina ed una etrusca. È probabile che le due versioni non siano in contrasto, ma
vadano solo interpretate correttamente. A Vulci è stata ritrovata una tomba dipinta del IV sec. a.C.(Tomba François) con
delle scene che rappresentano le sequenze di una storia che potrebbe essere quella di Servio Tullio, il cui nome etrusco
sarebbe stato Macstarna (secondo una testimonianza dell’Imperatore Claudio).
Quest’ultimo era un sodales di Celio Vibenna e si trovò coinvolto nelle lotte di quest’ultimo contro i nemici di Tarquinio.
La morte del re e di Caile Vibenna, nonché il favore della regina Tanaquil gli consentirono di giungere al trono, dove si
dimostrò estremamente capace. Il nome di Servio Tullio è legato soprattutto all’Ordinamento Centuriato, col quale riformò
sia la società sia l’esercito. Con essa integrò gli immigrati e distribuì gli abitanti in base al censo, dando potere alla plebe
e fondando la forza dell’esercito non più sulla cavalleria, ma sulla falange oplitica. L’onere dell’armamento, costituito da
elmo, corazza, schinieri, scudo, lancia e spada, ricadeva tutto sui cittadini abbienti, che ne ricevevano in cambio i diritti
politici, dai quali risultava escluso chi non poteva acquistare le armi. Il territorio di Roma venne diviso tra 20 tribù, 4
urbane e 16 rustiche. Ciascuna tribù doveva fornire 2 centurie, per un totale di 40, a capo di ciascuna delle quali vi era
un praetor. Ai patrizi rimaneva l’onere di fornire 6 centurie di cavalieri.
Servio Tullio fece costruire anche la prima cerchia di mura difensive, che
correva per sette chilometri cingendo 300 ettari di territorio interno. Roma,
però, dominava ormai anche il territorio esterno, per un’area valutabile
intorno ai 900 Kmq. Inoltre, il Tempio di Diana sull’Aventino divenne il centro
di una Federazione Latina di cui Roma era la capitale indiscussa.
Neanche a Servio Tullio, però i successi ed i meriti bastarono per evitargli
di cadere vittima di una congiura. Ordita dal figlio (o nipote) del primo
Tarquinio, di nome Lucio Tarquinio, che venne poi soprannominato il
Superbo per il suo carattere, e dalla moglie, secondogenita di Servio Tullio.
Nonostante ciò, egli si dimostrò un re capace sotto il profilo militare e
politico, proseguendo la politica di espansione, di riorganizzazione interna
e di collegamento con gli altri popoli del Lazio. Il primo trattato con
Cartagine, stipulato all’indomani della caduta della monarchia, evidenzia
una città che, sebbene non possa arrogare diritti sul mare, viene
riconosciuta come predominante su tutto il territorio laziale. I lavori pubblici,
i templi, il benessere economico e la forza militare la rendono superiore alle
coeve città dell’Etruria meridionale. Nella costruzione del tempio dedi cato
alla Triade Capitolina lavora Vulca, un’artista famoso della città di Veio, di
cui rimangono testimonianze scritte e forse anche artistiche.
Mentre Tarquinio si trovava impegnato in una campagna militare contro i
Rutuli, il figlio Sesto fece violenza ad una nobildonna romana, Lucrezia,
che si suicidò a causa dell’oltraggio subito. La rabbia scaturita da questo
ennesimo atto di prepotenza dei Tarquini scatenò la rivolta, ed il re si trovò
nell’impossibilità di rientrare a Roma. Finiva così l’età monarchica ed
iniziava quella repubblicana (509 a.C.).
Triade Capitolina
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Storia Antica - primo anno
LA REPUBBLICA A ROMA
LA NASCITA
Come si è visto, gli ultimi tre monarchi romani, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, erano etruschi. Essi
si trovarono a regnare in un momento di cambiamento abbastanza complesso e favorevole all'affermazione di Roma
come nuova potenza nel quadro dell'Italia centrale prima e del Mediterraneo poi.
Furono proprio i regnanti etruschi, che possedevano una cultura cittadina, a promuovere le opere pubbliche che
trasformarono Roma da villaggio all'Urbe da tutti conosciuta.
Gli anni finali della monarchia ed i primi due secoli della repubblica sono piuttosto confusi dal punto di vista delle fonti
storiche: sia Tito Livio che Dionigi di Alicarnasso, gli storici che ne parlarono diffusamente nelle loro opere, si basarono
non solo sulle fonti scritte, ma anche sulle leggende e sui falsi che le famiglie patrizie inserirono negli annali nell'intento
di costruire, a sé stessi ed alla città, un passato più nobile di quanto non fosse in realtà.
Tuttavia, si conoscono alcuni atti di Tarquinio il Superbo, che Dionigi di Alicarnasso definì come “tirannici” in senso greco,
che sicuramente pesarono sulla fine della dominazione etrusca e della monarchia:
• la salita al potere con l'uso della forza, contrastando la volontà dei “patres” e facendosi sostenere dal popolo;
• l'attenzione alla prevenzione di attentati attraverso la creazione di una guardia armata mista, cioè formata da
elementi latini ed etruschi;
• l'ostilità nei confronti dell'aristocrazia;
• la tendenza a trattare personalmente gli affari di stato, consultandosi al massimo con alcuni consiglieri privati a
cui, poi, andavano i suoi favori;
• l'annodare legami personali con alcune famiglie anche straniere;
• la volontà di accrescere lo splendore della città con opere pubbliche che gli ingraziavano i bisognosi impiegati
come operai.
Anche se la leggenda parla di una violenza alla nobile e virtuosa Lucrezia, giovane romana, sposa di Tarquinio Collatino
e figlia di Lucio Giunio Bruto (personaggio forse inventato), che avrebbe preferito il suicidio al sospetto di aver ceduto
allo stupro tentato dal figlio stesso del re, l'espulsione dei Tarquini nel 509 a.C. avvenne perché i patrizi erano ormai
pronti a gestire il potere ed i cittadini romani erano abbastanza maturi, sotto il profilo politico, da scegliere i loro
rappresentanti all'interno della propria gente, istituendo un regime repubblicano. L'espressione “res publica”, da cui
deriva il moderno “repubblica”, significa “cosa pubblica” cioè responsabilità di tutti i cittadini.
LA SOCIETÀ ROMANA
Originariamente, i cittadini romani erano divisi in tre tribù (Ramnes, Titties e Luceres) suddivise ciascuna in dieci curie,
per un totale di trenta. A causa della necessità di amalgamare un tessuto sociale più vario, Servio Tullio aveva operato
una riforma che ebbe i suoi effetti anche nella Roma repubblicana, distinguendo cinque classi di cittadini secondo il
censo, valutato non in base alla quantità di denaro posseduta bensì in base ai terreni ed al bestiame posseduti. La
conseguenza immediata fu l'istituzione dei comizi centuriati ed una nuova organizzazione militare.
Ciascuna classe di cittadini venne divisa in centurie, formazioni di cento uomini di cui gli iuniores (i più giovani, tra i 17
ed i 46 anni) formavano le truppe effettive ed i seniores (i più anziani, dai 46 ai 60 anni) costituivano le riserve.
Armamento e vettovagliamento erano a carico del soldato stesso, per cui dall'esercito erano esclusi, oltre agli schiavi,
ai liberti ed a coloro che erano stati privati dei diritti civili in seguito ad un reato commesso, anche coloro il cui reddito
troppo modesto non consentiva queste spese. Il farne parte corrispondeva ad una partecipazione attiva alla vita civile e
politica della patria. La prima classe era tenuta a reclutare 18 centurie di cavalieri e 80 di fanti con armi offensive e
difensive; la seconda, la terza e la quarta 20 centurie di fanti con armi leggere, 2 di genieri e 2 di musici; la quinta 30
centurie di uomini armati di fionda.
L'ESERCITO ROMANO
L'esercito si basava sulla figura del civis-miles, il cittadino soldato. Ogni cittadino, quindi, era un soldato inquadrato in
una centuria, pronto a lasciare la propria attività lavorativa ed a rispondere alla chiamata dello Stato. L'esercito romano,
quindi, era un esercito di popolo.
Motivati e capaci, i soldati romani furono insuperabili e conquistarono una inimmaginabile vastità di territori. La disciplina
era severissima, ma non vi era distinzione di ranghi: anche i superiori potevano subire punizioni inflitte con imparziale
severità.
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Storia Antica - primo anno
L'amore per la patria ed i senso dell'onore erano altissimi: come una punizione
poteva distruggere una carriera, un elogio o un premio influivano beneficamente
anche sulla famiglia del soldato. Le onorificenze erano simboliche perché si
trattava di oggetti senza alcun valore intrinseco. I tre principali erano:
Stendardi dell’esercito
• la corona civica, attribuita al soldato che avesse salvato la vita ad un
cittadino;
• la corona vallaris, dal nome latino “vallum”, fortificazione, a chi fosse salito
per primo sulle fortificazioni nemiche;
• la corona muralis a chi fosse salito per primo sulle mura del nemico.
Oltre alle corone esistevano braccialetti e decorazioni varie da applicare alla
corazza, ma anche ricompense più concrete come divisioni del bottino di guerra,
aumenti della paga, promozioni.
L'esercito era suddiviso in legioni, “gruppi scelti”, a loro volta suddivise nei manipoli, formati da 120 soldati. La relativa
esiguità dei manipoli consentiva un'ampia possibilità di schieramenti.
I soldati, comunque, erano schierati su quattro file:
• la prima fila era formata dai Veliti, impegnati in azioni di esplorazione o di disturbo del nemico;
• la seconda fila era formata dagli Astati, giovani soldati armati di asta;
• la terza fila era formata dai Principi, i veterani;
• la quarta fila era formata dai Triari, armati di daga e pugnale per il combattimento corpo a corpo nella parte finale
della battaglia.
Ai lati dello schieramento operavano le centurie di cavalleria, a difesa dei fianchi della legione oppure impegnate in rapidi
attacchi.
IL CURSUS HONORUM
Come il passaggio dalla monarchia alla repubblica aveva portato alla costituzione della carica consolare di tipo collegiale
in sostituzione del re, l'ampliarsi del territorio in seguito alle conquiste e l'accresciuta complessità della “res publica”
resero necessaria la creazione di ulteriori figure di governo, sia per delegare a più persone gli accresciuti carichi del lavoro
amministrativo ed organizzativo, sia per recuperare o mantenere l'equilibrio sociale che garantì a Roma la supremazia
prima in Italia e poi in tutta l'area mediterranea.
Memori degli errori dovuti alla monarchia, nell'intento di sedare sul nascere le ambizioni dei singoli, accresciute di molto
dal notevole miglioramento economico e del tenore di vita portato dalle conquiste territoriali e dal contatto con popoli
più raffinati ed amanti del lusso, come le genti della Magna Grecia, l'oligarchia patrizia stabilì delle caratteristiche comuni
alle varie magistrature e cioè:
• la collegialità (le cariche erano almeno doppie, ciascuno, cioè, aveva almeno un collega);
• la temporaneità (un anno, salvo diciotto mesi per i censori);
• l'eleggibilità: non era possibile, dunque, autoeleggersi o proporsi per ricoprire delle cariche ma si doveva essere
eletti dai comizi;
• la gratuità, vale a dire la carica non era pagata;
• la non ripetibilità, stabilita nel 151 a.C. dalla Lex de Consulatu non iterando, appoggiata da Catone;
• la responsabilità: alla fine dell'incarico ogni magistrato poteva essere giudicato sul suo operato.
La regolamentazione della carriera politica, stabilita per consuetudine, prevedeva che per poter accedere alla più alta
carica dello stato, il consolato, era necessario percorrere una serie di tappe che vennero definite “cursus honorum”,
codificato solo nel 180 a.C. con la Lex Villia.
Non esistendo nella Roma antica alcunché di paragonabile ai moderni partiti politici, l'elezione avveniva per l'appartenenza
ad una famiglia nota per essersi distinta nella cura della cosa pubblica o per via clientelare. Pertanto, venne stabilito che
coloro che intendevano dedicarsi alla carriera politica avrebbero dovuto conseguire nell'ordine le cariche seguenti, dopo
aver prestato un servizio triennale in un tribunato militare od in una magistratura civile minore all'età di vent'anni:
• Questura: a trent'anni; inizialmente, i questori erano giudici che si occupavano di cause capitali; acquisirono in
seguito funzioni amministrative e finanziarie, occupandosi dell'erario, cioè del tesoro dello Stato, che veniva
conservato nel tempio di Saturno, gestendo le uscite e le entrate formate da tasse, ammende e bottini di guerra;
si occupavano dell'archivio di Stato e di custodire le bandiere di guerra.
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Storia Antica - primo anno
• Edilità: carica creata nel 494 a.C. insieme al tribunato della plebe. Gli edili erano così chiamati dalla parola latina
“ædes”, cioè “tempio” di Cerere, in cui erano conservati l'archivio e l'erario della plebe di cui essi avevano cura,
oltre ad occuparsi del culto e ad affiancare i tribuni della plebe nel loro lavoro. Si poteva accedere a questa carica
a trentasei anni d'età ottenendo anche il diritto all'inviolabilità , come i tribuni della plebe. Oltre ad occuparsi di
edilizia pubblica, dell'approvvigionamento di Roma, delle condizioni sanitarie delle terme e delle strade, erano
incaricati di organizzare i giochi, ricevendo, per questo, una somma dallo Stato. Essi, tuttavia, mettevano mano
al patrimonio personale per legare il proprio nome alla sfarzosità dei giochi che organizzavano. Questa carica non
era obbligatoria nel cursus honorum; seguiva comunque la carica della questura.
• Pretura: carica accessibile dai trentanove anni d'età. Dopo essere stati investiti del potere esecutivo, nel 366 a.C.
i pretori divennero magistrati giudiziari. Il “pretor urbanus” dirimeva le liti tra cittadini romani, il “peregrinus” quelle
tra cittadini romani e stranieri o fra due stranieri.
• Consolato: carica accessibile dai quarantadue anni d'età. I consoli esercitavano le funzioni supreme civili e militari:
convocavano e presiedevano il Senato e le assemblee popolari, proponevano progetti di legge, ed erano gli
esecutori delle decisioni del Senato e del popolo, rappresentavano l'alto comando dell'esercito romano,
indicevano il reclutamento e dirigevano le azioni militari. Il nome dei consoli dava il nome all'anno. Potevano
esercitare reciprocamente diritto di veto, per cui le loro decisioni scaturivano dal totale accordo tra i due. Se
entrambi si trovavano a Roma, esercitavano il potere un mese ciascuno. Se, invece, uno dei due si trovava lontano,
ad esempio perché impegnato in una guerra, il potere veniva esercitato da entrambi pur in luoghi diversi. Il console
veniva accompagnato nei suoi spostamenti da dodici littori, giovani che portavano un fascio di verghe (segno di
potere trasportato a Roma dopo il contatto con la civiltà etrusca a cui esso apparteneva); poiché fuori dall'urbe
il console aveva pieni poteri, quando non si trovava a Roma i littori aggiungevano un'ascia al centro del fascio di
verghe; anche questo simbolo proveniva dagli etruschi.
Era motivo di orgoglio essere eletto “in suo anno”, cioè all'età minima consentita.
• Censura: tra gli ex consoli venivano scelti i Censori, carica istituita intorno al 443 a.C. per redigere il “census”,
ossia l'elenco ufficiale dei cittadini e sollevare da questo incarico i consoli ai quali era stato inizialmente attribuito.
A differenza di tutte le altre cariche, la censura durava diciotto mesi. Ogni cinque anni, il cittadino romano veniva
sottoposto al giudizio del censore che ne valutava il censo, stabilendo la portata dei tributi e la classe di
appartenenza. I censori si occupavano anche della moralità pubblica, ed avevano il diritto di espellere i senatori
che si fossero comportati in modo contrario alla morale o alla legge.
Da questa prerogativa derivava loro un grande prestigio.
In casi di eccezionale pericolo, il Senato eleggeva un Dittatore, che godeva di pieni poteri ma la cui carica durava solo sei mesi.
Fuori dall'obbligatorietà del Cursus Honorum esisteva poi il tribunato della plebe, di cui si tratterà più avanti.
CARICA
DURATA
ELETTORI
COMPETENZE
QUESTURA
Un anno
Comizi tributi
Funzioni amministrative e finanziarie
EDILITÀ
Un anno
Comizi tributi
Erario e archivio della plebe.
Culto di Cerere.
Manutenzione di strade e terme.
Controllo dell'approvvigionamento della città.
Organizzazione dei giochi.
TRIBUNATO DELLA PLEBE
Un anno
Concili della plebe
Ius auxilii.
Diritto di veto.
PRETURA
Un anno
Comizi centuriati
Magistratura giudiziaria.
CONSOLATO
Un anno
Comizi centuriati
Poteri militari e civili.
Potere esecutivo.
Diritto di veto reciproco
Comizi centuriati
Gestione del census.
Suddivisione dei cittadini nelle classi e definizione
dei tributi.
Custodi della moralità.
CENSURA
Diciotto
mesi
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Storia Antica - primo anno
LE ASSEMBLEE POPOLARI
Furono create delle assemblee attraverso le quali si esprimeva il parere di tutti i cittadini, cioè dei maschi maggiorenni (la
maggiore età si raggiungeva tra i quindici e i diciassette anni), chiamati comizi:
• i comizi curiati, residuo dell'epoca regia, derivavano dal raggruppamento dei cittadini in trenta curie. Ridotti alla
votazione formale per l'investitura dei magistrati, furono definitivamente aboliti da Cesare nel 44 a.C.
• i comizi tributi, riformati da Appio Claudio nel 312, erano basati su unità territoriali, cioè le tribù, e non sulla famiglia
di nascita, accogliendo al loro interno anche operai e proletari. Ad ogni tribù corrispondeva ad un voto.
Quest'assemblea eleggeva edili e questori e votava i plebisciti, oltre ad avere competenza giudiziaria sui reati che
comportavano la pena di un'ammenda;
• i comizi centuriati, i più importanti, fondati sulla divisione dei cittadini in cinque classi di censo che determinavano
le 193 centurie di cui era composto l'esercito, operata da Servio Tullio sulla base della capacità di fornire uomini
ed armi. Ogni centuria era formata da cento uomini armati ed aveva diritto ad un solo voto e, poiché 98 centurie
appartenevano ai più ricchi, si capisce come la maggioranza appartenesse ancora all'oligarchia censoria. Una
volta raggiunta la maggioranza la votazione veniva interrotta, per cui le 95 residue centurie il più delle volte non
votavano nemmeno. I comizi centuriati eleggevano i pretori, i consoli ed i censori; dichiaravano guerra o sancivano
la pace su proposta del Senato;
• i concili della plebe, che vennero spesso confusi con i comizi tributi dal momento in cui i plebisciti ebbero valore
di legge per il fatto che, comunque, la plebe vi era largamente maggioritaria.
Il Senato, custode, secondo Cicerone, e difensore della Repubblica, era composto da 300 membri; dopo la legge Ovinia
del 319a.C., i censori ebbero l'incarico di redigere la lista dei suoi componenti scegliendoli tra “i migliori”. Tutti i senatori
avevano avuto cariche pubbliche ed il Senato si riuniva su convocazione di un magistrato superiore che lo presiedeva.
La decisione espressa dal Senato vincolava i magistrati. Le sue deliberazioni, i senatus consulta, trasformavano in legge
i plebisciti, riguardavano l'amministrazione, la politica estera ed il controllo dei magistrati. Era l'organo più importante
della Repubblica perché, a differenza di magistrature temporanee, possedeva un carattere di stabilità.
LA RELIGIONE
Nel mondo romano, la religione era indissolubile dalla politica. L'archeologia ha mostrato che già in epoca arcaica
esistevano luoghi di culto pubblici. Il re era strettamente coinvolto nei riti religiosi, come lo furono i magistrati in epoca
repubblicana. Essi stessi conducevano dei riti, la cui perfezione formale era il principale requisito per un corretto rapporto
con gli dèi.
Durante l'epoca monarchica, la religione si occupò di tre esigenze fondamentali dell'uomo:
• la fertilità della terra, la fecondità delle greggi e della famiglia (ad esempio i Lupercali in onore delle divinità pastorali
Pales e Fauno, o i Saturnali che si tenevano nel mese di dicembre come apertura dei riti dedicati al raccolto);
• la vittoria in guerra (ad esempio i Quinquatrus per la purificazione delle armi e gli October Equus in occasione
della chiusura delle attività militari prima dell'inverno);
• la morte; ai defunti ed alla purificazione è dedicato il mese di febbraio (ad esempio, Lupercalia).
A partire dalla fine del VII – inizio VI secolo, iniziarono ad entrare nel pantheon romano divinità corrispondenti a quelle
greche oppure appartenenti ai popoli italici con i quali i romani iniziarono a venire in contatto. Gli dèi principali formavano
la cosiddetta “triade capitolina”: Giove, Giunone e Minerva.
Giove che deriva dal Tinia etrusco e dallo Zeus greco, ha gli attributi di “Optimus” (garante dell'abbondanza) e “Maximus”
(signore degli dèi e degli uomni).
Giunone, derivata da Uni moglie di Tinia e dalla greca Hera, sorella di Zeus, si chiama in latino “Iuno Regina”; è una
divinità multivalente che si occupa prevalentemente delle donne.
Minerva, simile alla divinità etrusca Tecvum ed alla greca Athena, protegge le arti e gli artigiani; è la dea dell'intelligenza
e della spiritualità.
Altre divinità da ricordare sono: Febo, il dio del Sole; Diana, la dea della caccia e degli animali selvatici; Venere, la dea
della bellezza; Marte, il dio della Guerra; Bacco, il dio del vino; Mercurio, il messaggero degli dèi; Nettuno, il dio del mare.
Il ciclo delle purificazioni, quello della guerra ed il ciclo agrario raccolgono 45 feste durante l'anno, ordinate secondo i
giorni principali del mese: le calende (il primo), le none (il 5 o il 7) e le idi (il 13 o il 15).
Anche le magistrature sacerdotali sono gerarchizzate, sia quelle individuali che quelle collegiali. La carica principale è
quella del “rex sacrorum” (re del sacro) che compete ad un patrizio sacerdote di Giano.
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Storia Antica - primo anno
Seguono i tre flamini maggiori (Dialis, Martialis, Quirinalis) e i dodici flamini minori che si occupano di culti specifici. Il
maggiore responsabile della religione romana è il pontefice massimo, il più importante tra i sacerdoti, che dirige il collegio
dei pontefici, interpreti del sacri diritto. Le funzioni religiose pubbliche erano condotte dai sacerdoti. Le Vestali, fanciulle
che si occupano del culto di Vesta, dea del focolare domestico, hanno il compito di mantenere sempre accesa la fiamma
che brucia nel suo tempio; gli auguri sono gli specialisti dell'osservazione del cielo e dell'interpretazione degli aruspici,
indovini che praticavano l'arte di esaminare i fulmini e le viscere (soprattutto il fegato) delle vittime sacrificali per trarne
segni divinatori e norme di condotta. Essendo l'arte aruspicina d'origine etrusca, gli aruspici erano considerati stranieri
e non costituivano alcun collegio sacerdotale ufficiale.
Il collegio degli epuloni si occupava dei banchetti e quello degli uomini incaricati dei sacrifici contribuì a diffondere il rito
greco a Roma.
Esistevano, inoltre, delle “solidarietà” o confraternite, che mantennero vivi i riti arcaici anche quando di questi si era perso
il significato e non si interpretavano più correttamente le parole: erano i Luperci, i 12 fratelli Arvali, i 12 Salii e i 20 Feziali
che sacralizzavano le dichiarazioni di guerra ed i trattati di pace.
Con la nascita della Repubblica, a partire dal 509 a.C., vengono costruiti a Roma moltissimi templi. Questo carattere di
città sacra conferì a Roma una sorta di superiorità rispetto alle altre città che fu abilmente sfruttata per promuovere e
giustificare l'espansione ed il predominio.
LA “FAMILIA” - LA GENS
Base della società romana fin dai tempi più arcaici, la famiglia era composta dai genitori, dai figli, dai loro consorti e figli,
dagli schiavi, dai possedimenti terrieri e dal bestiame, e dai Lari, dèi protettori della casa, insieme ai penati, divinità
protettrici della famiglia.
Il paterfamilias, cioè il padre di famiglia, ebbe il potere assoluto, anche di morte, sui componenti della famiglia, fino al
450 a.C., quando la legge delle Dodici Tavole ne ridusse il potere. I figli maschi divenivano a loro volta paterfamilias alla
morte del loro padre, scomponevano la famiglia di origine componendone di nuove, legate comunque tra loro da un
antenato comune e facenti quindi parte di una medesima gens.
Gli uomini avevano tre nomi: il prenome, il nome della gens e il nome della famiglia; ad esempio, Publio (prenome) Cornelio
(nome della gens) Scipione (nome della famiglia); poteva essere aggiunto un soprannome, in questo caso “l'Africano”
per ricordare un'impresa compiuta. Le donne ne avevano due: il nome della gens al femminile, eventualmente preceduto
da prima, secunda, tertia… a seconda di quante donne appartenevano alla famiglia, e quello della famiglia.
I patrizi potevano anche circondarsi di una “clientela” formata da clientes, generalmente stranieri o plebei, ai quali si
offriva protezione in cambio di favori quali il combattere per il proprio patrono ed il non testimoniare contro di lui. Quando
i plebei ebbero accesso al voto, il patrizio si assicurava la preferenza dei suoi clientes.
Il liberto, cioè lo schiavo liberato, pur divenendo cittadino con i diritti equiparati agli uomini nati liberi, restava comunque
legato al suo ex padrone da un rapporto di clientela.
PRIMI CONFLITTI ESTERNI
Nei primi anni della repubblica vi furono diverse difficoltà esterne: l'affermazione del re di Chiusi, Porsenna, la cui sconfitta
fu decisiva nella guerra che Tarquinio, di cui era alleato, intraprese per rientrare a Roma; il risveglio dei popoli italici ed i
sommovimento nelle colonie della Magna Grecia. L'alleanza con gli abitanti della colonia greca di Cuma permise ai
Romani di sconfiggere Porsenna, mettendosi al riparo dal ritorno dei re etruschi, nel 508 a.C.; la vittoria del lago Regillo
contro i Latini del 501 a.C. portò ad un'alleanza paritaria con la lega Latina (nata come reciproca protezione dai nemici
esterni) che consentì, in seguito, di respingere le incursioni di Equi e Volsci, popoli che occupavano i territori laziali.
PATRIZI E PLEBEI
Nel frattempo gli scontri fra patrizi e plebei erano destinati a rimodulare l'organizzazione amministrativa dell'Urbe.
I patrizi erano gli appartenenti ad un ristretto numero di gentes (famiglie aventi in comune un importante antenato legato
alla fondazione della città): erano l'ordine sociale più ricco la cui ricchezza era basata sulla proprietà terriera.
I plebei rappresentavano il resto della popolazione libera. Non si deve confondere, però il termine “plebeo” con “povero”:
infatti l'insieme dei cittadini, definito “plebe”, era in realtà composto da plebei ricchi già riconosciuti dalla riforma centuriata
e da plebei poveri, soprattutto proprietari di piccoli appezzamenti di terra danneggiati dalle continue guerre.
Alle cariche pubbliche potevano accedere solo i patrizi, in virtù della loro ricchezza e del peso dei loro antenati,
garantendosi il controllo assoluto del governo dello Stato.
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Storia Antica - primo anno
CONTRASTI TRA PATRIZI E PLEBEI
Da questo derivarono i conflitti con i plebei, esclusi dalle magistrature. Le richieste della plebe erano diversificate tra
plebei ricchi e plebei poveri; i primi, forti del loro censo, chiedevano di poter finalmente essere eletti alle diverse
magistrature; i secondi, invece, chiedevano soprattutto interventi in campo di giustizia sociale, come l'abolizione della
schiavitù per debiti ed una più equa distribuzione dell'ager publicus. Tutta la plebe, poi, chiedeva la creazione di leggi
scritte.
I plebei usavano l'arma formidabile della secessione, cioè l'abbandono delle attività collettive, con il conseguente rifiuto
di fornire uomini all'esercito. Nel 494 a.C., dopo quella sull'Aventino conclusa grazie alla mediazione del senatore Menenio
Agrippa, i plebei ottennero di poter eleggere due tribuni della plebe, dichiarati inviolabili. Il tribuno, il cui compito principale
e più antico era lo “ius auxilii”, cioè il diritto d'intervento, doveva essere reperibile giorno e notte e non poteva allontanarsi
dalla città per più di ventiquattr'ore; infatti, doveva essere sempre a disposizione dei cittadini che avessero da sporgere
lamentele contro qualunque magistrato ad eccezione del dittatore. Il tribuno, con il diritto di veto, poteva bloccare e
sospendere qualsiasi legge o misura a danno della plebe; inoltre, i tribuni della plebe convocavano e presiedevano i
concili della plebe, assemblee riservate ai soli plebei.
Nonostante le loro conquiste sociali, i plebei continuavano a subire grosse limitazioni in materia giuridica, per due motivi:
• i giudici erano patrizi
• le leggi continuavano ad essere non scritte.
LE DODICI TAVOLE
Per sanare la mancanza di leggi scritte, venne creato un decemvirato (insieme di dieci uomini) perché fissasse le leggi
su tavole di bronzo, in modo che la loro interpretazione non fosse più soggetta ad alcun arbitrio.
I Decemviri ebbero il comando al posto dei consoli e dei tribuni della plebe nel 451 e nel 450 a.C.; il secondo decemvirato,
dove furono eletti anche dei plebei, si comportò in modo iniquo e tentò di mantenere il potere anche nel 449 a.C., ma
contro questa ipotesi furono i plebei stessi ad insorgere, con una nuova secessione sull'Aventino.
Nel 451 a.C. furono compilate dieci tavole, nel 450 a.C. le ultime due. I Decemviri crearono un documento che fu la
base della giurisprudenza romana fino all'emanazione del codice giustinianeo nel 529 d.C.
Le tavole furono affisse nel Foro ed i giovani romani vi furono accompagnati per secoli affinché le leggessero e le
imparassero a memoria.
I punti salienti delle Dodici Tavole erano i seguenti:
• i diritti privati dei cittadini venivano garantiti; erano protette la famiglia e la proprietà, riconosciute come
fondamento della società romana; si definivano e si limitavano chiaramente i poteri del pater familias; veniva
organizzato l'ordine ereditario;
• la giustizia veniva resa accessibile a tutti, favorendo la conciliazione tra ricorrenti e regolamentando la procedura
giudiziaria; la giurisdizione criminale dei consoli, che pure conservavano il potere coercitivo, amministrativo e
poliziesco, venne affidata ai comizi centuriati, che soli potevano comminare la pena di morte;
• lo statuto del cittadino venne modificato instaurando una divisione di censo (tra ricchi e poveri) piuttosto che di
nascita (tra patrizi e plebei). Venne tuttavia stabilito il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei, anche se questa
norma venne presto cancellata dalla Legge Canuleia del 445 a.C.
Nel 449 vennero eletti consoli Lucio Valerio e Marco Orazio i quali, con le leggi Valeriæ Horatiæ, regolamentarono le
cariche pubbliche in senso democratico:
• i tribuni della plebe, già considerati inviolabili per tradizione, lo furono per legge; il colpevole sarebbe stato privato
dei beni e allontanato dalla società (reso “sacro”, perché obbligato a consacrarsi a Giove);
• ai plebisciti, cioè le decisioni dei concili della plebe, venne riconosciuta un'autorità ufficiale, anche se essi
avrebbero avuto forza di legge solo con la legge Hortensia del 286 a.C.;
• le cariche non avrebbero più potuto prescindere dal consenso popolare.
L'azione della plebe portò a due nuovi risultati; infatti nel 445 a.C. venne approvata una legge che consentiva i matrimoni
tra patrizi e plebei e nel 326 a.C. venne finalmente abolita la schiavitù per debiti.
In sostanza, venne riconosciuto il peso della plebe nella politica romana; questo fu ulteriormente confermato nel 367
a.C. dalle Leggi Licinie Sestie, che autorizzavano l'accesso dei plebei alla carica consolare.
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Storia Antica - primo anno
LABORATORIO:LA REPUBBLICA ROMANA
LE ISTITUZIONI
1) Rispondi alle seguenti domande:
1.Come avvenne, secondo la leggenda, ed in che anno l'espulsione dei Tarquini da Roma?
2. Perché avvenne nella realtà?
3. Che cosa sono i Ramnes, i Tities ed i Luceres?
4. Quale fu la carica che sostituì il re?
5. Quale problema si proponeva di risolvere la riforma di Servio Tullio?
6. Come venne divisa la popolazione romana in epoca repubblicana?
7. Di quali beni si teneva conto per il computo del censo?
8. Quale fu la conseguenza immediata della riforma di Servio Tullio?
9. Com'erano costituite le centurie?
10. Chi era escluso dal servizio militare? Perché?
11. Quali e quante centurie doveva reclutare ciascuna classe?
12. Quali erano le tre corone attribuibili come premio ai soldati più valorosi e per quale motivazione?
13. Com'era suddiviso l'esercito romano?
14. Con l'ampliarsi del territorio, perché vennero istituite nuove cariche di governo?
15. Che cos'è il “cursus honorum”?
16. Che cosa stabiliva la Lex Villia?
17. Quale carica esercitava il potere in caso di eccezionale pericolo?
18. In che cosa consistevano i comizi curiati? Quando furono aboliti e da chi?
19. Spiega che cosa furono i comizi tributi e centuriati ed i concili della plebe.
20. Qual era il compito del Senato? Che cosa cambiò dopo la legge Ovinia del 319 a.C.?
21. Che cos'erano i “senatus consulta”?
22. Di quali esigenze fondamentali dell'uomo si occupò la religione in epoca monarchica?
23. Perché entrano nuove divinità nel Pantheon di Roma? In quale periodo?
24. Quali sono le cariche religiose di Roma repubblicana? Quali erano le loro competenze?
25. Quali effetti ebbe sulla “familia” romana la Legge delle Dodici Tavole?
26. Analizza la composizione del nome “Publio Cornelio Scipione l'Africano”.
27. Definisci i due termini: “patrizio” e “plebeo”.
28. Quali erano le richieste dei plebei ricchi e quali quelle dei plebei poveri?
29. Spiega che cos'è lo “ius auxilii”.
30. Quali erano i punti principali delle Leggi delle Dodici Tavole?
2) Completa la tabella seguente:
SCHIERAMENTO DELL’ESERCITO ROMANO
FILA
DENOMINAZIONE
DEI SOLDATI
CARATTERISTICHE
PRIMA
SECONDA
TERZA
QUARTA
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Storia Antica - primo anno
3) Completa la seguente tabella indicando: nella prima colonna il nome delle caratteristiche comuni a tutte le
magistrature e, nella seconda, una breve descrizione:
4) Completa la seguente tabella, riferita al Cursus Honorum.
CARICA
ETÀ
ELETTORI
DURATA
COMPETENZE
QUESTURA
EDILITÀ
PRETURA
CONSOLATO
CENSURA
5) Completa la tabella seguente riferita alla Triade Capitolina
DIVINITÀ
DERIVAZIONE
CARATTERISTICHE
6) Indica l'avvenimento o gli avvenimenti corrispondenti a ciascuna di queste date:
a) 508 a.C.
b) 501 a.C.
c) 451 a.C.
d) 450 a.C.
e) 449 a.C.
f) 445 a.C.
g) 367 a.C.
h) 326 a.C.
i) 529 d.C.
APPROFONDIMENTO:
descrivi brevemente le cariche governative della Repubblica Italiana; confronta similitudini e differenze con il governo della
repubblica romana esprimendo il tuo parere sulla bontà del loro funzionamento.
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Storia Antica - primo anno
LE CONQUISTE DI ROMA
L'ESPANSIONE NELL'ITALIA CENTRALE
Successivamente, venne istituita una nuova carica, i tribuni militari, alla quale potevano accedere anche i plebei che,
però, non dava diritto ai privilegi post-carica, che consistevano nell'accesso al senato, nella toga bordata di porpora e
nello “ius imago”, cioè il diritto di esporre i ritratti degli antenati. Benché questa carica rispondesse soprattutto ad esigenze
politiche, poteva essere giustificata dalle guerre via via più importanti che portarono ad una significativa espansione del
territorio:
• 444 a.C.: approfittando di un arbitrato tra Aricia e Ardea, Roma si annette Corioli e la piana pontina;
• 435 a.C.: presa di Fidene, centro di controllo della via Salaria (via del sale) e del commercio di grano tra Campania
ed Etruria;
• 396 a.C.: distruzione di Veio ed annessione del suo territorio.
La guerra contro Volsinii e Tarquinia, iniziata nel 398 a.C., fu interrotta nel 390 a.C. con un accordo
di pace per fronteggiare l'ondata dell'invasione gallica.
Apollo di Veio
Nel 381 Roma venne occupata dai Galli. I racconti eroici, l'avvertimento delle oche sacre a Giunone
e l'impresa di Furio Camillo, riferiti da storiografi posteriori, rientrano nel filone dell'abbellimento del
passato; in realtà, i Galli si ritirarono da Roma perché essi dovettero affrontare i Veneti e le
popolazioni alpine. Una nuova discesa dei Galli avvenne tra il 347 ed il 343 a.C.: questa volta Roma
fu salvata dall'azione del dittatore Lucio Furio, mentre nel 332 – 329 a.C. era già abbastanza forte
da imporre ai Galli una tregua di trent'anni.
Mentre il pericolo nordico contribuiva a far emergere personalità di
rilievo nella politica romana, non venne abbandonato
l'espansionismo nel territorio italico. Nel 292 a.C. si concluse la
centenaria pacificazione ed annessione dei territori campani; nel
frattempo, Roma piegò i sanniti nel corso di tre cruente guerre:
• prima guerra sannitica, 341 a.C.;
• seconda guerra sannitica, 327 - 304 a.C.;
• terza guerra sannitica, 298 – 291 a.C.
Guerrieri sanniti
LE GUERRE SANNITICHE
Nell'immaginario romano queste guerre assunsero il carattere di un'epopea, perché furono sicuramente molto più
sanguinose di quelle fino ad allora combattute; i Sanniti erano un popolo, probabilmente di origine indoeuropea, che,
dal suo originario territorio collocato tra Abruzzo e Molise, attorno al V secolo era sceso ad occupare l'attuale Campania.
Ad indicare le difficoltà del conflitto, è il conosciutissimo episodio dell'umiliante sconfitta patita dai Romani alle Forche
Caudine, tra Caserta e Benevento, con i Romani costretti a passare sotto i gioghi formati da due lance sormontate da
una terza posta trasversalmente.
Decisiva fu per i Romani, nel 295 a.C., la vittoriosa battaglia di Sentino che costrinse alla resa i Sanniti ed i loro alleati.
Le conseguenze delle guerre sannitiche furono:
• l'ordinamento di Capua come municipio federato (334) ed in seguito territorio annesso (tra il 318 ed il 312);
• lo scioglimento della Lega Latina;
• la costruzione, nel 335, del porto di Ostia;
• la costruzione di uno stato romano – campano in seguito agli accordi tra i patrizi romani e campani, con
l'accoglimento in senato delle grandi famiglie campane; in particolare, quella degli Atilii aprì Roma alla politica
marittima;
• l'attrazione di Roma verso il sud dopo il contatto con i popoli della Magna Grecia e con quelli che contrastavano
le colonie, come i tarantini;
• i primi contatti con Cartagine che portarono all'accordo del 348 (il primo secondo alcuni autori antichi, mentre
Polibio ne cita uno del 509 a.C.) secondo il quale Roma poteva commerciare nel Mediterraneo solo con Cartagine
stessa o le sue colonie.
UNA NUOVA ROMA
Alla conclusione delle guerre sannitiche, dunque, Roma appariva come uno stato in perfetto equilibrio, essendosi dato
delle istituzioni interne che garantiscono la libertà e la partecipazione politica dei cittadini, e mantenendo un saldo controllo
su tutta l'Italia centrale. I frequenti contatti con le colonie della Magna Grecia favorirono un'ellenizzazione delle arti e della
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Storia Antica - primo anno
religione, oltre ad un generale balzo culturale unito ad un sempre maggior coinvolgimento nelle dinamiche mediterranee.
Nel corso del III secolo comparve la moneta romana, inizialmente in bronzo e, dal 269, anche in argento, che diede un
assetto più ordinato agli scambi economici e, con una moneta accettata in tutto il bacino mediterraneo (nel Foro
comparvero i primi uffici di cambio), ne permise un'ulteriore espansione. Chiamata in un primo tempo “pecunia” (il
“cambio” si basava sulla proprietà di armenti, “pecus” in latino significa “pecora”), prese poi il nome attuale dal tempio
di Iuno Moneta (Giunone Monitrice, perché delegata ad avvisare la città di pericoli incombenti, da cui il famoso e
leggendario episodio delle oche del Campidoglio al momento della presa di Roma da parte dei Galli) presso il quale tre
giovani magistrati presiedevano al conio. La società romana, resa più dinamica dall'ingresso nell'élite di famiglie abbienti
di provenienza italica, tende ad allargare i propri orizzonti e ad estendere la potenza dell'Urbe.
L'ESPANSIONE CONTINUA
L'espansione nella parte centrale della penisola seguì queste tappe:
• 290 a.C.: Manio Curio Dentato devastò ed annesse la Sabina, territorio normalmente attraversato dai mercanti romani;
• 283 a.C.: annessione di una parte del territorio dei Galli Senoni, bloccati presso Volsinii e poi respinti fino al mare;
• 268 a.C.: annessione di Ariminum (Rimini), anch'essa gallica, compreso il territorio fino ad Ancona;
• 265 a.C.: dopo decenni di erosione del territorio etrusco da parte di Roma, Volsinii è infine presa; questo segna
la fine definitiva dell'Etruria
L'ANNESSIONE DELL'ITALIA DEL SUD
Le conquiste avevano portato Roma a contatto con le città della Magna Grecia, molte delle quali, riconoscendo la
potenza romana, conclusero con essa trattati di alleanza.
Discorso a parte merita la vicenda di Taranto. Nel 284 a.C., in seguito ad un appello di Turi, città rivale di Taranto, i
Romani stabilirono una guarnigione nella piccola città; Locri, Reggio e Crotone ne seguirono l'esempio. Nel 281, Taranto
marciò contro Turi per scacciarne i Romani, cosa che indusse questi ultimi ad intervenire massicciamente. Taranto chiese
aiuto a Pirro, re d'Epiro, il quale, a 23 anni, nel 296, aveva ricevuto in eredità un piccolo regno montagnoso che si trovava
tra l'Illiria, la Macedonia, la Tessaglia e l'Etolia. Lo aveva modernizzato e ne aveva riformato l'esercito.
La sua ambizione lo spinse a rispondere alla richiesta d'aiuto tarantina e, nel 280, egli sbarcò a Taranto con il suo esercito
ed alcuni elefanti, che ebbero un grande impatto sui Romani che mai ne avevano visti prima. Benché Pirro fosse
inizialmente vincitore ad Eraclea e ad Ascoli, non ne seppe approfittare (da qui viene la famosa espressione “vittoria di
Pirro”, intendendo un successo che non porta risultati positivi).
Nel 275 a.C. i Romani sconfissero pesantemente l'esercito di Pirro nella località di Maleventum in Campania; da allora,
la città ebbe il nome di Beneventum per ricordare la vittoria.
Pirro ritornò in Epiro nel 274a.C., lasciando una guarnigione a Taranto; nel 272a.C., durante l'assedio di Argo, in Grecia,
un'anziana lo uccise lanciando una tegola dal tetto di casa e colpendolo al capo.
Nel 273a.C., Roma inviò un esercito contro Taranto. Per avere via libera, la guarnigione epirota consegnò la cittadella ai
Romani che, pur concedendo a Taranto lo statuto di città libera, le imposero un pesante tributo di guerra.
La sottomissione di Taranto trascinò quella di tutto il meridione, Magna Grecia compresa. Il termine “Italia”, di norma
applicato solo alla Calabria o alle colonie greche, si estese da quel momento a tutta la penisola. Dal contatto con le
colonie greche derivarono due conseguenze importanti:
• l'ellenizzazione dell'arte, della letteratura e della religione romane;
• il contatto diretto tra le truppe di terra romane e la flotta armata cartaginese che,successivamente, portò alle
guerre puniche
LABORATORIO: LE CONQUISTE DI ROMA REPUBBLICANA
1) Rispondi alle seguenti domande:
1.A quali conquiste corrispondono le date seguenti: 444, 435 e 396 a.C.?
2.Perché ed in che anno venne interrotta la guerra contro Volsinii e Tarquinia?
3.Perché i Galli abbandonarono Roma nella realtà? E nella leggenda?
4.Quali sono le date della seconda e della terza invasione gallica? Chi fermò la seconda? In che modo venne arrestata la terza?
5.Quali sono le date delle guerre sannitiche?
6.Che cosa furono le “Forche Caudine”?
7.Quale fu la battaglia decisiva che piegò definitivamente i Sanniti alla dominazione romana? In che anno avvenne?
8.Elenca e spiega le sei conseguenze della conquista dei Sanniti da parte dei Romani.
9.Qual è l'origine del nome “moneta” dato al denaro?
10. Elenca le quattro tappe dell'espansione romana nell'Italia centrale.
11. Quale elemento consentì a Pirro di vincere le battaglie di Eraclea e di Ascoli? Da che cosa deriva l'espressione “vittoria di Pirro”?
12. Da che cosa deriva il nome della città di Benevento?
13. Da quando il termine “Italia” venne applicato a tutta la penisola?
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Storia Antica - primo anno
ESPANSIONE DI ROMA NELL'AREA DEL MEDITERRANEO
LE GUERRE PUNICHE
All’inizio del III secolo a.C., Roma estese incontrastata il suo dominio su quasi tutto
il territorio peninsulare. Le popolazioni sottomesse però non entrarono a far parte
direttamente del suo organismo statale.
Roma, per garantirsi la sottomissione dei popoli conquistati, istituì una complessa
confederazione di colonie, all'interno delle quali ogni popolo o territorio sottomesso,
ebbe un trattamento politico-amministrativo diverso.
Le colonie permisero ai Romani di esercitare il controllo militare di luoghi
strategicamente importanti, col vantaggio di poter meglio distribuire la popolazione
che si accalcava nell'Urbe, in particolare i veterani, che terminate le campagne
militari,poterono ritirarsi in questi luoghi e amministrare un appezzamento di terra,
sottratto ai vinti. Essi garantirono a Roma assoluta fedeltà e costituirono un
elemento di coesione con lo Stato centrale, contro ogni tentativo di ribellione dei
popoli locali.
I coloni conservarono gli ordinamenti e i costumi della madre-patria. Il loro peso politico non fu sempre determinante, in
quanto per esercitare i propri diritti politici, dovevano ogni volta far ritorno in patria e ciò non sempre era possibile.
Roma suddivise le colonie in: Colonie romane e Colonie latine.
Le colonie romane, compresero cittadini cui erano riconosciuti diritti civili e politici, nonché il diritto di voto.
Le colonie latine, costituite da genti di etnie diverse, conservarono la propria autonomia, godendo però solo di alcuni
diritti( ad esempio la libertà di commercio con la stessa Roma). A questi coloni, nel caso di un loro trasferimento a Roma,
fu riconosciuta la possibilità di ottenere, su richiesta, la cittadinanza romana.
Con grande perspicacia, i Romani non concessero a tutte le colonie lo stesso trattamento, per impedire che tra di esse
si potesse costituire una qualsiasi alleanza contro la stessa Roma. Sul piano culturale invece, le colonie contribuirono ad
una più rapida diffusione ed assimilazione degli usi, dei costumi e della lingua romana
Tuttavia obbedendo sempre al principio di tenere uniti a sè più popoli, ma gli stessi divisi tra di loro, Roma distinse le
città, assegnando a ciascuna diritti ed obblighi politici e civili diversi, in:
Municipi: città già esistenti prima del dominio romano; conservano la propria autonomia e verso i romani hanno solo
alcuni obblighi ( munia), come ad es. rifornire di nuovi uomini l'esercito romano. Come diritti hanno solo quelli civili ( diritto
di matrimonio,di commercio...) ma non sempre quelli politici ( diritto di voto). Infatti vi erano i municipia cum suffragio e
sine suffragio ( diritto di voto /non diritto di voto).
Prefetture: forma di governo affidata ad un prefetto romano. Non godono di autonomia
Città Federate: città libere, autonome politicamente ma alleate e legate a Roma da particolari obblighi ( es. provvedere
al personale di cui necessitava la flotta, oppure rifornire di viveri i soldati che stanziavano sui loro territori).
L'alleanza ha o un carattere di parità ( foedere aequo) o di disuguaglianza ( foedere iniquo).
LESSICO
Colonia: centro abitato da persone che provengono da un paese diverso, con l'intenzione di sfruttare il territorio
economicamente e/o militarmente. Le colonie dei Fenici ebbero una finalità quasi sempre solo commerciale, per
i Greci anche politica ( città-stato), per i Romani prevalentemente militare.
Colonie romane: città che godono di diritti civili e politici
Colonie Latine: città che godono solo di alcuni diritti civili
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Storia Antica - primo anno
L’ESPANSIONE DI ROMA NEL MEDITERRANEO OCCIDENTALE (III - II S. A.C.)
Stando così le cose, Roma manifestò tutto l’interesse a continuare la sua politica di espansione verso il Mediterraneo
occidentale, volendo incrementare i suoi traffici commerciali. I Romani da pastori-guerrieri si trasformarono allora in
commercianti, contrastando le rotte marittime che un tempo erano state dominio dei Greci e che in quel momento, erano
gestite prevalentemente da Cartagine, ora superiore anche ai suoi rivali, i coloni greci della Sicilia. Apparve allora
inevitabile uno scontro tra le due grandi potenze, per l’egemonia su tutto il Mediterraneo. Intanto in Oriente le potenze
ellenistiche continuarono ad essere impegnate tra loro in continui scontri e contese.
CARTAGINE
Secondo la leggenda Cartagine sarebbe stata fondata da Elissa, detta anche Didone, figlia del re di Tiro. Avendole il
fratello ucciso il marito, si dice che la regina, a capo di un gruppo di suoi seguaci, costeggiando il litorale dell’Africa, sia
sbarcata ad ovest a poche miglia di distanza dal luogo ove oggi sorge Tunisi. Lì avrebbe fondato la “ Nuova Città”, Kart
Hadasht, che poi i greci chiamarono Karchedon e i romani Carthago.
I dati archeologici confermano che Cartagine sia stata fondata nell’814 a.C. da coloni Fenici, venuti da Tiro.
La città divenne subito un importante scalo strategico da cui passava ogni genere di merci provenienti da ovest ad est
e viceversa ( ad esempio dalla Spagna i minerali, dalla Britannia lo stagno, dal Senegal l'oro), abbracciando tutto il
Mediterraneo. Inoltre dai territori interni confinanti, Cartagine importò principalmente schiavi, utilizzati nel lavoro dei campi
( vigneti, uliveti, grano), ed esportò i propri prodotti artigianali, quali ad esempio i tessuti, colorati con la porpora , i vasi
in ceramica o vari utensili in metallo. I Cartaginesi costrinsero inoltre le popolazioni indigene al pagamento di tributi, in
denaro, assicurando alla città ulteriore ricchezza.
L'organizzazione politica della città fu
quella di una Repubblica oligarchica,
composta da un'assemblea di trecento
membri cui era affidato il potere legislativo
e quello di eleggere due magistrati annuali,
i Suffeti, affiancati da un senato, i cui
membri erano gli esponenti più illustri di
famiglie nobili del luogo.
Nave Cartaginese
Ben presto Cartagine raggiunse una
smisurata ricchezza, assicurata anche dai fitti rapporti commerciali stabiliti con le numerose colonie circostanti, alcune
delle quali da essa stessa fondate (Ibiza, nelle Baleari, Cartagena e Cadice, sulle coste della Spagna, Palermo e Trapani,
in Sicilia, Sulcis, Cagliari e Thorres, in Sardegna).
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Storia Antica - primo anno
Dopo vari scontri con i Greci, cui sottrassero varie colonie, tra cui Agrigento (406 a.C.), Cartagine riuscì ad avere il
controllo di tutto il bacino del Mediterraneo, grazie soprattutto alla sua temibile ed efficiente flotta ed al suo
addestratissimo esercito, composto essenzialmente da mercenari. Con il denaro la città si assicurò una valida difesa,
senza impegnare nei combattimenti la propria popolazione, se non in minima parte. Solo i generali, posti a capo degli
eserciti, furono di solito cartaginesi. Essi provenivano da famiglie locali che vantavano grandi tradizioni e perizia nell’arte
della navigazione e nel campo militare.
CONFLITTO TRA ROMA E CARTAGINE
Dopo la morte di Agatocle di Siracusa (289 a.C.) e dopo la
partenza di Pirro dal meridione della penisola, un gruppo di
mercenari campani decise di riprendere le armi e di sottomettere
la città di Messana (Messina), cacciando i suoi abitanti greci, con
l’intento di trasformarla in una comunità indipendente . A questi
si affiancarono cittadini campani (senza diritto di voto) che si
impossessarono di Rhegion (Reggio Calabria). Questi mercenari
avevano il nome di Mamertini, cioè seguaci e sostenitori del culto
di Marte, dio della guerra. Riuscirono a compiere varie razzie nella
Sicilia nord-orientale, ma alla fine furono sconfitti da Gerone II,
tiranno di Siracusa. Vista la situazione, un gruppo di Mamertini
chiese aiuto a Cartagine, con la promessa di porsi al suo servizio
e di cederle Messana. Contemporaneamente, però, altri Mamertini (la parte campana) chiesero invece aiuto a Roma,
con la stessa promessa. Il Senato a Roma, spinto da motivi politici ed economici, colse il pretesto per dichiarare guerra
alla sua temibile rivale.
Secondo quanto afferma lo storico Polibio, il senato romano, dopo accese discussioni con le altre forze politiche, finì
con l'accettare lo scontro, in quanto si temeva che i Cartaginesi, conquistando la Sicilia, potessero crearsi un varco per
arrivare in Italia, dominando tutto il Mediterraneo. I Cartaginesi a loro volta, consapevoli della loro superiorità sul mare,
furono favorevoli alla guerra, in quanto se Messana fosse caduta nelle mani dei Romani, questi avrebbero potuto
sottomettere tutta la Sicilia, creando così un passaggio diretto per sbarcare in Africa e attentare all' egemonia punica.
In effetti, entrambe le potenze avevano fondati motivi per temersi reciprocamente e solo la disfatta di una delle due,
avrebbe assicurato all’altra un dominio incontrastabile.
PRIMA GUERRA PUNICA (264-241 A.C.)
Lo storico Polibio sostiene che questa guerra sia stata “la più lunga,
ininterrotta e tremenda guerra di cui abbiamo conoscenza”. Infatti
durò ben 23 anni, ( 264 al 241 a.C.) e fu combattuta lungo le coste
della Sicilia.
Appio Claudio con l’aiuto dei Mamertini occupò Messana (264
a.C.) I Cartaginesi, appoggiati da Siracusa, cercarono di
Corvo Romano
costringerlo alla resa, ma invano. Siracusa allora decise di trattare
la pace con i Romani, che richiesero la cessione di alcuni territori e la loro alleanza.
I Cartaginesi, tentando la difesa della città di Agrigento, furono sconfitti. Restò loro solo la
parte occidentale dell’isola.
A questo punto ai Romani toccò di affrontare i nemici sul mare, sapendo di dover competere
con la loro abilità nell’arte della navigazione. (Polibio I,20,7-10). Il console Duilio (III s. a.C.)
affrontò nelle acque di Milazzo il nemico e grazie ai famosi corvi, riportò una grande vittoria
(40 vascelli punici furono distrutti).
A Roma fu eretta una colonna trionfale nella quale vennero incastonati i rostri delle navi
nemiche (Colonna Rostrata).
Seguirono altre vittorie sul mare, quale quella di Capo Ecnomo (256 a.C.), nella quale i consoli
Lucio Manlio Vulsone e Marco Attilio Regolo, distrussero 250 vascelli punici, guidati da
Amilcare Annone. Orgogliosi dei successi riportati, i Romani sbarcarono in Africa,
sconfiggendo i punici più volte.
COLONNA ROSTRATA
eretta in onore della vitoria
di Caio Duilio
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Storia Antica - primo anno
Ma a causa di condizioni di pace inaccettabili,
proposte al nemico, che invece si era
mostrato disponibile a trattare, nonché per il
richiamo di Vulsone in Sicilia, da parte del
senato, le legioni romane, poste al comando
del solo Attilio Regolo, furono sconfitte dalle
truppe cartaginesi, poste al comando dello
spartano Santippo.
Roma inviò una nuova flotta e presso Capo
Ermeo (vicino a Cartagine), sconfisse il
nemico, però sulla strada del ritorno verso
casa, subì la perdita di gran parte delle navi,
distrutte da una tremenda tempesta. I
Romani decisero a quel punto di indirizzare
tutti gli sforzi bellici verso la Sicilia.
L’esercito romano, con a capo Cecilio
Metello, riuscì a sconfiggere i Cartaginesi che avevano tentato di occupare Panormos (Palermo). Ma ancora una volta,
sulla strada del ritorno verso Roma, presso Capo Palinuro (a sud di Salerno), la flotta subì ingenti perdite, a causa di
violente tempeste.
I Cartaginesi, ormai esausti e desiderosi di pace, cercarono di trattare con Roma, disposti a cedere come ostaggio
Attilio Regolo. Questi, dal suo canto, convinto della definitiva resa di Cartagine, incitò i Romani a non trattare, a costo
della propria vita.
La guerra si riaccese e mentre i Cartaginesi schierarono a capo del proprio esercito, Amilcare Barca, soprannominato
“la folgore”, i Romani, grazie ad un prestito fornito dai cittadini più abbienti, riuscirono a ripristinare una potente flotta di
200 vascelli che, posti al comando di Caio Lutezio Catulo, attaccarono i punici presso le isole Egadi (241 a.C.), riportando
una decisiva vittoria. Le condizioni di pace furono molto pesanti.
I Cartaginesi furono costretti ad abbandonare la Sicilia, a non dichiarare guerra a nessun alleato dei Romani, a restituire
i prigionieri di guerra senza la pretesa di alcun risarcimento, infine a pagare la somma di 3200 talenti d’argento in 10
anni.
LESSICO
Corvi: ponte mobile, fornito di un uncino. I Romani riuscivano ad agganciare le navi nemiche e con l’inserimento
di una passerella, trasformavano a loro vantaggio lo scontro navale ,come se avvenisse sulla terraferma.
Punici: i Romani chiamavano i Fenici con il termine latino Puni o Poeni
Conquista della Sicilia
La Sicilia, al termine della prima guerra punica, divenne provincia
romana, ma a differenza degli altri territori precedentemente annessi,
fu amministrata con una nuova modalità, estesa poi anche alle future
province conquistate. Solitamente i Romani avevano cercato di
stabilire dei rapporti di tolleranza e di rispetto nei confronti dei popoli
sottomessi, considerati associati; ora invece ridussero i nuovi popoli
assoggettati ad un rapporto di sudditanza.
Roma mirò a sfruttarle economicamente e a rafforzarne il controllo
militare. L’amministrazione delle province era affidata a dei consoli o
pretori, al termine del loro incarico. Infatti ogni magistrato poteva
essere eletto governatore, assumendo il titolo di proconsole o di
propretore.
Questi governarono gestendo sia il potere civile, sia quello militare.
Infatti potevano confiscare i beni dei provinciali, comandare ai soldati,
disporre dunque di poteri assoluti e non necessariamente condivisi
da altri.
Espansione Romana
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Storia Antica - primo anno
Naturalmente ciò provocò in breve una dilagante corruzione, conseguenza inevitabile per gli abusi di potere nel perseguire
l’arricchimento personale.
Il Senato da parte sua avrebbe dovuto denunciare tali misfatti, ma ciò quasi mai accadde, in quanto il più delle volte
erano gli stessi senatori ad essere coinvolti con loro in loschi affari, quale ad esempio lo sfruttamento e messa a profitto
di quei vastissimi territori confiscati ai popoli sottomessi e che gli stessi prigionieri di guerra, ridotti in schiavitù, a prezzo
di dure fatiche, erano obbligati a coltivare.
Di solito il proconsole o propretore sarebbe dovuto rimanere al potere un solo anno, di fatto invece la carica fu rinnovata
anche per più anni di seguito.
Dopo la sottomissione della Sicilia, Roma rivolse il suo sguardo verso i popoli stanziati nell’Italia settentrionale. I Galli,
pur avendo un forte esercito, furono ben presto sconfitti a Casteggio nel 222 a.C. e tutta la Pianura Padana fu posta
sotto il controllo romano. Furono fondate 2 colonie, Cremona e Piacenza. Anche la costa dell’Illiria fu ben presto liberata
dagli attacchi dei pirati che seminavano il terrore lungo la fascia costiera, affacciata sull'Adriatico, impedendo il regolare
svolgimento di traffici e commerci.
In pochi anni dunque, prima la Sicilia ( 230-222 a.C.), poi altri territori posti ad oriente dell’Adriatico, cioè l’Illiria, ed altri
disposti lungo la fascia della pianura Padana (Gallia Cisalpina) divennero province, perdendo ogni libertà politica ed
autonomia economica. Roma si assicurò anche il controllo dei confini territoriali posti a nord-est del sempre suo più
vasto regno.
LESSICO
Provincia: Con tale termine, a differenza di oggi, si indicava ogni territorio conquistato da Roma. La provincia era
governata da un proconsole o da un propretore, il quale aveva il compito di amministrare la giustizia, riscuotere i
tributi, assicurare l’ordine pubblico.
GESTIONE ECONOMICA DELLE PROVINCE
Gli abitanti delle province furono obbligati a pagare i tributi proporzionali ai loro profitti o proprietà. Questa tassazione
variava in quanto i versamenti potevano essere fissi, cioè sempre la stessa somma da versare (stipendium), oppure
variabile (decima) secondo il raccolto che si effettuava ogni anno. A queste poi si aggiunsero altre tasse, quali: il consumo
di certi prodotti, l’utilizzo di determinati servizi, lo sfruttamento del patrimonio boschivo, minerario o anche di un terreno
pubblico.
Per la riscossione delle tasse furono nominati degli esattori o pubblicani, persone spesso prive di scrupoli, che
nell’esercizio delle proprie funzioni (oltre alla riscossione delle tasse, curarono anche la realizzazione di opere pubbliche),
pensarono avidamente ad arricchirsi, a danno della stessa Roma
Nonostante ciò, le province trassero a loro volta alcuni benefici dalla sudditanza a Roma. Infatti questa spinse e determinò
la creazione di importanti infrastrutture, quali ad esempio strade, ponti, acquedotti, che determinarono conseguentemente
un incremento degli scambi commerciali nelle varie parti del dominio romano, alimentando una rapida crescita economica.
LESSICO
Esattore o pubblicano persona cui spetta il compito di riscuotere le imposte erariali, cioè. somme di denaro per
lo Stato.
CAUSE DELLA SECONDA GUERRA PUNICA
Mentre Roma era intenta nel consolidare la sua espansione territoriale
a nord-est, Cartagine, ripresasi dalla dura sconfitta, ponendo a capo
dell’esercito il generale Amilcare Barca, invase i territori della Spagna,
privati del controllo e gestione delle maggiori isole del Mediterraneo
La Spagna, essendo ricca di miniere di argento e di rame, permise ai
punici di rimettere in sesto velocemente le loro finanze e di progettare
la ripresa di un conflitto contro l’odiato nemico, per impedirne il suo
crescente dominio nell’area mediterranea.
Cartagine e Roma alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale
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Storia Antica - primo anno
SECONDA GUERRA PUNICA
Alla morte di Amilcare, successe il fratello Asdrubale che, già durante le sue
spedizioni militari, fu accompagnato dal giovane nipote Annibale. Questi, cresciuto
sul campo di battaglia, si fece presto amare dagli stessi soldati di cui condivideva
le sorti. Spinto ad un odio profondo contro Roma, allorché Cartagine gli diede la
carica di generale e lo pose al comando dell’esercito, ritenne fosse giunto il
momento di riprendere la guerra contro i Romani. Era inoltre convinto che in uno
scontro bellico, le popolazioni sottomesse a Roma lo avrebbero sicuramente
appoggiato , nel tentativo di riconquistare la propria libertà.
Nel trattato di pace tra le due potenze era stato stabilito che l’espansione punica
non doveva oltrepassare i confini posti a sud del fiume Ebro.
Ma i Cartaginesi presero di mira la città di Sagunto, la quale pur essendo nei confini
stabiliti, era amica di Roma. Il tentativo di espugnarla,fu interpretato dai Romani
come una vera dichiarazione di guerra, anche perchè di fatto Sagunto fu distrutta
e tutta la sua popolazione trucidata dai cartaginesi. La guerra inevitabilmente
Annibale Barca
riprese ( 218 a.C.)
A capo dell’esercito romano fu posto il console Scipione, il quale avrebbe dovuto
ostacolare l’ingresso in Italia dell’esercito cartaginese, guidato da Annibale. Ma ciò non avvenne. Infatti con mossa
fulminea, Annibale valicò le Alpi dirigendosi verso la pianura
Padana con un addestratissimo esercito, conquistandone
tutto il territorio. Furono conseguite alcune vittorie, prima
presso il fiume Trebbia, presso il Ticino e poi presso il lago
Trasimeno.
Roma sprofondò nel caos e per arginare la gravissima
situazione, fu eletto dittatore Quinto Fabio Massimo, detto “il
temporeggiatore”. Questi cercò di impedire che Annibale si
avvicinasse a Roma e fece in modo che l’esercito nemico non
fosse rifornito di viveri e di tutto ciò di cui necessitava, dai
popoli dei territori circostanti.
DISFATTA DI CANNE ( 216 A.C:)
Annibale, dal suo canto, piegò verso la Puglia. I Romani commisero ingenuamente un errore di valutazione: pensarono
che uno scontro in campo aperto avrebbe messo in seria difficoltà l’esercito nemico.
Invece dopo brevi scontri, a Canne (216 a.C.) i due eterni rivali furono impegnati in una durissima battaglia. I Romani
subirono una terribile sconfitta.
Intanto tra tutte le colonie greche, solo Siracusa e Capua passarono dalla parte di Annibale, il quale si vide costretto a
ritornare in patria, essendo ormai il suo esercito stremato nelle forze. Ciò permise ai Romani di riorganizzarsi e in poco
tempo di riuscire ad espugnare Siracusa (la città cadde nonostante le macchine da guerra, inventate da Archimede) e
la stessa Capua, che fu duramente punita. In Spagna invece fu inviato Publio Cornelio Scipione, che liberò il territorio
dalla presenza cartaginese ed espugnò la capitale Cartagena. Intanto in Italia in aiuto ad Annibale giunse il fratello minore,
Asdrubale, che, colto di sorpresa dai Romani, fu sconfitto ed ucciso a Metauro, nelle Marche ( 207 a.C)
SPEDIZIONE IN AFRICA
Scipione L’Africano
122
Lo scontro conclusivo si consumò però sul territorio africano.
Grazie all’alleanza stabilita con i Numidi, ai quali era stato promesso un regno, Scipione,
soprannominato l’Africano, inflisse ad Annibale, rientrato precipitosamente in patria, la
gravissima sconfitta a Zama ( 202 a.C.).
La vittoria dei Romani fu schiacciante, dure furono le sanzioni imposte. I Cartaginesi furono
costretti:
• a rinunciare a qualsiasi possedimento al di fuori del territorio africano
• a cedere la flotta
• a non dichiarare guerra a nessun paese, senza il consenso dei Romani
• a pagare un’ingente indennità pecuniaria.
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Storia Antica - primo anno
Roma riprese sotto di sé il controllo di numerosi territori, promuovendo anche la fondazione di nuove colonie: Bologna,
Parma, Modena, Aquileia.
ATTEGGIAMENTO DI ROMA NEI CONFRONTI DEI POPOLI SOTTOMESSI
Verso i popoli sottomessi Roma cercò sempre di apparire come la potenza costretta a combattere per la difesa della
libertà dei suoi alleati. Quindi la sua azione bellica non fu mai presentata come una “ guerra di offesa” espansionistica,
ma come una“ guerra di difesa” delle libertà dei popoli, suoi alleati.
Al termine di ogni conflitto, Roma ne ricavò vantaggi, impossessandosi di nuovi territori che tolse al nemico e che
ingrandirono il suo dominio territoriale.
Inoltre cercò sempre di distruggere la flotta dei vinti, in modo tale da assicurarsi il dominio commerciale su tutta l’area
marittima del Mediterraneo.
La sua azione politica assunse però ben presto un carattere imperialista. Tale atteggiamento potrebbe essere spiegato
con alcune ipotesi.
Roma:
a) potrebbe aver pianificato volontariamente, nei minimi dettagli, l’azione espansionistica da svolgere nei confronti
dei paesi da sottomettere.
b avrebbe sfruttato semplicemente le opportunità che le si erano presentate nel momento delle conquiste.
c) tale azione politica potrebbe essere stata voluta dalla classe dei nuovi ricchi che avevano bisogno di nuovi spazi
e mercati , ove svolgere i propri affari e commerci
d) potrebbe essere stata spinta dalla necessità militare di garantire più solidi confini al suo regno, sempre più esteso.
LESSICO
Imperialista: volontà di uno stato di estendere la propria egemonia politica ed economica su nuovi territori, da
annettere al proprio.
ESPANSIONE DI ROMA AD ORIENTE
Roma, dopo aver sconfitto i Cartaginesi a Zama ( 202 a.C.) e consolidato il dominio commerciale ad occidente del
Mediterraneo, rivolse la sua attenzione espansionistica verso Oriente. La sua aspirazione ad impossessarsi delle ricchezze
dei regni ellenistici, fu accompagnata anche dall'intento di impedire che questi potessero allearsi con i Cartaginesi e
favorire la ripresa delle ostilità.
GUERRA CONTRO I MACEDONI
Filippo V di Macedonia, durante la seconda guerra punica, alleatosi con i
Cartaginesi, approfittò delle rivalità interne tra i regni ellenistici e cercò di
estendere il suo dominio in Oriente. Così quando il regno di Pergamo e la cittàstato di Rodi, si scontrarono con la Macedonia e la Siria, chiesero aiuto a Roma,
che accettò subito di intervenire. Molti Romani, in particolare imprenditori e
mercanti, sostennero la ripresa della guerra, poichè avrebbe incrementato i loro
commerci e permesso di impadronirsi di nuovi mercati, ove svolgere i propri
affari .Inoltre vi furono anche coloro, tra cui lo stesso Scipione, l'Africano, che
auspicavano un'integrazione della civiltà romana con il mondo ellenistico, di cui
ammiravano la sua superiorità culturale. Contrari alla guerra invece furono
coloro, tra cui Marco Porcio Catone, che proprio nella “raffinatezza” della cultura
Filippo V di Macedonia
greca, videro un pericolo di inesorabile corruzione morale e di decadenza
economica per la società romana. In realtà costoro, esponenti dell'aristocrazia terriera, ebbero il timore che i nuovi conflitti
avrebbero impedito la ripresa dell'economia agricola, già tanto penalizzata dai precedenti scontri bellici.
Roma pose a capo del suo esercito il console Quinzio Flaminio che in breve sbaragliò il nemico con la sconfitta di
Cinocefale, in Tessaglia ( 197 a.C.). La vittoria era stata facilitata anche dall'aiuto prestato dalle città greche, riunite nella
Lega Etolica, nemiche di Filippo V Questi, per ottenere la pace, fu costretto a pagare un forte risarcimento di guerra, a
consegnare la flotta, a rinunciare a qualsiasi espansione territoriale, oltre la stessa Macedonia, infine a riconoscere
l'indipendenza di tutte le città greche. Nel frattempo i Romani, in occasione dei giochi istmici che si svolgevano a Corinto,
riconobbero a tutte le città greche la libertà, assicurandosi abilmente l'accettazione della sua presenza sul territorio.
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Storia Antica - primo anno
CONFLITTO CON ANTIOCO III, RE DELLA SIRIA
Ma ben presto le città greche si ribellarono, consapevoli della continua interferenza di Roma nella loro gestione politica.
Allora chiesero aiuto ad Antioco III, re della Siria, che da tempo mirava alla conquista della Macedonia. Al rifiuto di ritirare
il proprio esercito, i Romani gli dichiararono guerra. Antioco III fu sconfitto prima presso le Termopili (191 a.C.), poi presso
la città di Magnesia (189 a.C.) da Scipione, fratello dell’Africano, posto a capo dell’esercito romano. La Siria divenne
provincia romana e Annibale, per non cadere nelle mani dell'odiato nemico, preferì uccidersi (183 a.C.)
RIPRESA DELLE OSTILITÀ CON LA MACEDONIA
Approfittando dell'accresciuta ostilità delle città greche nei
confronti dei Romani, Filippo V riprese le ostilità, seguite poi
alla sua morte dal figlio Perseo. Questi però subì una grave
sconfitta a Pidna ( 168 a.C.) ad opera del console Lucio
Emilio Paolo. La Macedonia fu divisa in quattordici
repubbliche, sottomesse a Roma. Le trattative di pace
imposero che le miniere d'oro e d'argento passassero ai
romani, così come un notevole numero di prigionieri. Tra
questi vi fu lo storico Polibio, che, accolto a Roma dalla
famiglia degli Scipioni, avrebbe in seguito narrato le vicende
di guerra. Il conflitto però non era del tutto concluso. Infatti
la Macedonia e le città greche, riprese le armi, furono
nuovamente sconfitte a Pidna ( 146 a.C.) dal console
Quinto Cecilio Metello. La città di Corinto fu distrutta
completamente e agli abitanti rimasti toccò la condizione di schiavi.
La Grecia, con il nome di Acaia, fu annessa alla Macedonia, e divenne provincia romana.
TERZA GUERRA PUNICA
Annibale, dopo la sconfitta di Zama, cercò di convincere i Cartaginesi a non continuare le ostilità contro Roma e ad
accettare le dure condizioni di resa, non disponendo più di efficienti forze militari.
Ma al di là di ogni aspettativa, ancora una volta, le condizioni economiche di Cartagine migliorarono tanto da destare
serie preoccupazioni tra i Romani.
Sia i conservatori, capeggiati dal censore Marco Porcio Catone, sia il ceto dei cavalieri, cioè la nuova classe
imprenditoriale, volendo assicurare a Roma i possedimenti acquisiti e incrementare i commerci marittimi, sostennero
con forza l'argomentazione che Cartagine dovesse essere distrutta definitivamente, perché Roma potesse prevalere
incontrastata nell'area mediterranea.
Il pretesto per la ripresa delle ostilità fu dato dal tentativo di Massinissa, re della Numidia, di occupare il territorio
cartaginese.
La risposta dei punici non tardò a farsi sentire e per questo, venendo meno ad una condizione del trattato di pace
imposto dai Romani, diede a questi ultimi la possibilità di pretendere la resa della flotta, di tutte le armi e la distruzione
della stessa Cartagine, da riedificare nell'entroterra, lontana dal mare.
Cartagine reagì non accettando l'ultimatum. La guerra riprese e durò alcuni anni (149-146 a.C.) finché la stessa Cartagine
cadde per mano di Scipione Emiliano. La città fu rasa al suolo. La leggenda dice che i Romani abbiano sparso su tutto
il territorio del sale, perché la città non risorgesse più. I pochi abitanti che riuscirono a salvarsi furono venduti come
schiavi e il territorio divenne nuova provincia .
Intanto con successive spedizioni militari, Scipione Emiliano assoggettò anche la popolazione iberica, espugnando la
città di Numanzia (133 a.C.). La penisola iberica fu divisa in due province: la Spagna Citeriore e la Spagna Ulteriore. Poi,
a completamento delle conquiste territoriali ad occidente, i Romani occuparono i territori lungo il Rodano, creando la
provincia della Gallia Narbonense.
Ad Oriente invece, il re di Pergamo, Attalo III, non avendo eredi al trono, stabilì con un testamento che, alla sua morte,
il suo regno, comprendente quasi tutta l'Asia minore occidentale, divenisse dominio romano.
Con tale donazione il disegno politico di espansione e di dominio di Roma nel Mediterraneo (II s. a.C.) poteva dirsi
concluso.
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LABORATORIO:
ESPANSIONE DI ROMA NEL MEDITERRANEO
1) Disponi in ordine cronologico gli avvenimenti che si riferiscono alla 1° guerra punica
- Attilio Regolo viene sconfitto in Africa
- La Sicilia diventa prima provincia romana
- I Mamertini chiedono aiuto ai Romani che inviano un proprio esercito a Messina
- Presso le isole Egadi i Cartaginesi sono sconfitti da Lutazio Catulo
- I Mamertini occupano Messina
2) Segna con una crocetta se le seguenti affermazioni sono vere o false
a)
Cartagine ebbe un governo democratico
V
F
b)
Il Senato Romano accettò lo scontro,poiché temeva che i Cartaginesi, conquistando la Sicilia,
potessero invadere facilmente Roma
V
F
c)
Dopo la battaglia di Canne, Annibale decise di non marciare contro Roma, perché i Cartaginesi
glielo avevano impedito
V
F
d)
Scipione l’Africano fu duramente sconfitto dai Cartaginesi nella battaglia di Zama ( 202 a.C.)
V
F
e)
Le città greche per liberarsi dell’ingerenza politica di Roma, chiesero aiuto alla Siria che appoggiò
la guerra
V
F
f)
La Grecia con il nome di Acaia, fu annessa alla Macedonia divenendo provincia romana
V
F
g)
Con la 3° guerra punica, Scipione Emiliano sconfisse definitivamente Cartagine che fu rasa al suolo.
V
F
3) Rispondi alle seguenti domande:
a) Spiega quali furono le cause che determinarono lo scontro tra Roma e Cartagine
b) Quali territori furono conquistati da Roma al termine della prima guerra punica?
c) Quali obblighi avevano gli abitanti delle province nei confronti di Roma? Quale era il potere dei pretori?
d) Illustra brevemente i principali avvenimenti della seconda guerra punica.
e) Quali furono le condizioni di pace imposte a Cartagine, al termine dei primi due conflitti punici?
4) Spiega il significato dei seguenti termini:
• CORVO
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
• PROVINCIA
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
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Storia Antica - primo anno
• ESATTORE (o PUBBLICANO)
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
• IMPERIALISTA
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________
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progress
Storia Antica - primo anno
IL TENTATIVO RIFORMISTA DI TIBERIO E GAIO GRACCO
LE GUERRE DI CONQUISTA: UN TRIONFO... MA NON PER TUTTI
La vittoria su Cartagine e l’annessione dei territori punici unitamente alla conquista di Macedonia, Grecia e dei regni
ellenistici d’Oriente, posero Roma al centro di un vero e proprio “impero Mediterraneo”.
Questa politica espansionistica, però, portò alla luce alcuni problemi che avrebbero minato sempre più la solidità dello
Stato.
Tiberio e Caio Gracco
Da un lato, infatti, si era creata un'oligarchia senatoria enormemente arricchita dall'indebita appropriazione di “ager
publicus”, dedita ad una vita sempre più lussuosa e lontana dagli antichi ed austeri valori dei progenitori ed ostile a
qualsiasi cambiamento che potesse ridurre i suoi privilegi.
Dall'altro, i piccoli proprietari terrieri che, costretti ai lunghi periodi di servizio nelle legioni, al loro ritorno si trovavano
nell'impossibilità di proseguire l’attività agricola; erano costretti, quindi, a vendere le loro terre, andando, così, ad
aumentare il numero dei nullatenenti che si recavano nell'Urbe in cerca dell'appoggio di famiglie facoltose (fenomeno
della clientela) oppure in attesa delle elargizioni gratuite di grano o denaro ad opera dell'autorità romana.
L'accumulo di terre da parte di un ristretto numero di proprietari diede origine al “latifondo”. Questo portò con sé due
aspetti negativi: la sostituzione dei contadini liberi con la grande massa di schiavi giunti dopo le conquiste ed il parziale
abbandono delle coltivazioni, sia per l'impossibilità di controllare tutta l'estensione del latifondo e sia per la concorrenza
produttiva e dei prezzi delle nuove province.
Contemporaneamente, la prospettiva di nuove ricchezze spinse i cavalieri, prima unità militare fornita di cavallo, poi
gruppo trasformatosi in un vero e proprio ordine sociale, ad accentuare la loro attività imprenditoriale, basata soprattutto
sul commercio, aggiungendovi l'odiata, ma lucrosa riscossione delle tasse per conto dello Stato; in questa veste venivano
chiamati “pubblicani”.
La società romana, dunque, era composta da tre ordini sociali:
• l'aristocrazia senatoria
• i cavalieri
• il popolo
LESSICO
Ager publicus: lett. “terreno pubblico” era l’insieme delle porzioni di territorio di proprietà della stato di cui veniva
concesso lo sfruttamento con o senza canone
TIBERIO E GAIO GRACCO
In questa situazione di forte squilibrio sociale, s'inseriscono le figure dei fratelli Tiberio (Roma 163 a.C. – Roma, 133 a.C.)
e Gaio (Roma, 154 a.C. – Roma, 121 a.C.) Gracco. Nati dal matrimonio di Tiberio Sempronio Gracco con Cornelia, figlia
di Scipione l'Africano, il famoso vincitore di Zama, e appartenenti, quindi, ad una nobile famiglia romana, i due fratelli, in
virtù anche di una formazione aperta d'impronta greca, seppero comprendere le difficoltà dei ceti più disagiati, intuendo
che la soluzione ai loro problemi sociali ed economici avrebbe garantito la saldezza dello Stato.
127
Storia Antica - primo anno
TIBERIO: UN NOBILE A FIANCO DELLA PLEBE
Il 133 a.C. fu un anno cruciale:
ÿ Scipione Emiliano distrusse Numanzia, ultima città ribelle della Spagna del Nord, segnando la conclusione delle
guerre di conquista romane;
ÿ Tiberio Gracco, a Roma, venne eletto tribuno della plebe, dando inizio alla sua attività politica a favore del popolo.
Tiberio era convinto che un'equa distribuzione delle terre avrebbe contribuito a ridare dignità alla
classe dei piccoli proprietari terrieri, praticamente scomparsa a causa delle guerre di conquista,
ed
utilizzare al meglio l'ager publicus contrastando l'appropriazione indebita ed illegale da parte
dell'aristocrazia senatoria. Per questo, l'atto più importante fu la presentazione di un progetto di
Legge per la riforma agraria che comprendeva quattro punti fondamentali:
• ogni proprietario terriero poteva possedere al massimo 500 iugeri (corrispondenti a 125 ettari circa); se avesse
avuto figli, lo Stato gli avrebbe concesso altri 250 iugeri per figlio, senza, però, superare il limite massimo di 1000
iugeri.
• la terra rimanente, anche se posseduta da anni ma illecitamente, doveva essere restituita allo Stato;
• l'insieme delle terre così ottenuto doveva essere diviso in lotti da 50 iugeri da distribuirsi in affitto ereditario ai
contadini poveri col divieto di vendita per evitare un nuovo impoverimento;
• la realizzazione pratica della riforma doveva avvenire sotto il controllo di una Commissione composta da tre
membri, eletti da un'assemblea popolare con la possibilità di proseguire il mandato per un altro anno se rieletti.
La proposta di riforma, ovviamente, suscitò la dura opposizione dell'aristocrazia senatoria, che vedeva colpiti i propri
privilegi e le proprie ricchezze. Nonostante questo, dopo aver respinto il tentativo estremo di Marco Ottavio,
rappresentante dell'oligarchia senatoria, il progetto divenne legge.
Per fornire una prima copertura economica all'attuazione della riforma al fine di consentire l'avvio delle nuove aziende
agricole, Tiberio chiese di poter utilizzare un cospicuo insieme di beni donati allo Stato Romano dal Re Attalo III di
Pergamo (Asia Minore); ancora una volta egli fu fortemente contestato dal Senato.
Tiberio sapeva che il potere tribunicio gli avrebbe garantito la possibilità di portare a termine la riforma iniziata e l'immunità
contro i tentativi di eliminarlo. Decise dunque di ricandidarsi alla stessa carica, contravvenendo alla consuetudine romana.
Questa sua intenzione scatenò la violenta reazione dei suoi oppositori, che la fecero passare come il tentativo d'instaurare
una tirannide o, peggio ancora, una nuova monarchia. Nel giorno delle nuove elezioni, un gruppo di nobili, capeggiati da
Scipione Nasica, si scontrò con Tiberio, circondato dai suoi seguaci. Tiberio fu ucciso insieme a trecento dei suoi; il suo
corpo fu gettato nel Tevere.
LESSICO
potere tribunicio: potere dei tribuni delle plebe consistente nel diritto di veto contro ogni provvedimento ritenuto
lesivo dei diritti della plebe
Il periodo successivo alla morte del tribuno della plebe fu segnato da una tenace repressione nei confronti della sua
fazione. La sua riforma, però, continuò ad essere attuata anche se lentamente e tra moltissime difficoltà.
128
Book in
progress
Storia Antica - primo anno
GAIO: IL SOGNO DI UN NUOVO STATO
Nel 123 a.C., il fratello di Tiberio, Gaio, fu eletto tribuno della plebe, carica che egli riuscì a ricoprire anche l’anno
successivo, violando con successo la consuetudine che era stata fatale a Tiberio.
A differenza del fratello, Gaio coltivava l’idea di una riforma strutturale dell’ordinamento dello Stato romano, da lui ritenuto
ormai obsoleto e troppo incentrato sul potere di una ristretta oligarchia senatoria, alla luce dell’ampliamento dei confini
e della complessità sociale ad esso connessa. Questo prevedeva l’inserimento nello Stato del ceto popolare, dei cavalieri
e degli Italici.
Era convinto, inoltre, che, per tale progetto, avrebbe avuto bisogno di un’ampia base di consenso tra il popolo ed i
cavalieri, che cercò di ottenere attuando una serie di riforme:
• la “Lex Frumentaria”, che prevedeva la vendita mensile ai poveri a basso costo di frumento da parte dello Stato;
• la concessione ai cavalieri degli appalti di riscossione delle tasse nelle nuove province d’Asia;
• l’immissione di cavalieri nelle giurie dei tribunali che si occupavano di malversazione finanziaria e tributaria
commessa dai governatori delle province.
L’ultimo progetto di riforma, cioè l’allargamento della cittadinanza romana ai latini, venne, però, avversato trasversalmente
dalla maggioranza dei Romani, perché nessuno era disposto a condividere i propri diritti e privilegi vecchi e nuovi.
Il giorno in cui Gaio si presentò al Campidoglio davanti ai cittadini romani, per illustrare il nuovo disegno di legge
sull’allargamento della cittadinanza, scoppiò un tumulto tra le diverse fazioni. Il Senato proclamò immediatamente lo
stato d’emergenza ritenendo Gaio “nemico dello Stato”. Egli, allora, si rifugiò sull’Aventino con i suoi, dove fu attaccato
dalle truppe consolari. Vistosi perduto, nel bosco detto “della Furrina” si fece uccidere da un suo fedele servitore. Era il
121 a.C. .
129
Storia Antica - primo anno
La repressione del Senato fu durissima e più di tremila seguaci di Gaio furono uccisi, ma, soprattutto, il Senato decise
per la “damnatio memoriæ” (condanna in uso a Roma consistente nell’eliminazione di tutte le memorie e i ricordi destinati
ai posteri) per entrambi i fratelli Gracchi, Tiberio e Gaio. Entrò anche in uso il detto: “Quis tulerit Gracchos de seditione
querentes?” che letteralmente significa: “chi avrebbe potuto sopportare i Gracchi quando si lamentavano di una
sedizione?” intendendo con questo dare un giudizio negativo sul loro operato. Essi, infatti, non venivano più visti come
le vittime, ma come la causa dei disordini da essi stessi creati.
Di lì a poco lo Stato romano sarebbe stato attraversato dalla lunga e tristissima stagione delle guerre civili a dimostrazione
della fragilità di un impianto statale ancora basato su un ristretto gruppo dominante.
I Gracchi:
l’utopia dell’Impero repubblicano
Per rafforzare i plebei,
soprattutto gli strati più elevati,
occorreva migliorare le condizioni
di quelli più bassi.
Migliori condizioni in
basso sarebbero stae provocate
dalle guerre.
(conquiste imperialiste)
Cercano di costruire un sistema
politico che inscriverebbe la guerra
come fatto istituzionale, per
garantire benessere e stabilità
sociale.
Si può dire che la loro fosse
l’utopia dell’Impero Repubblicano
LABORATORIO: I GRACCHI
1) Rispondi alle seguenti domande:
1.Dopo le guerre puniche, qual era lo stile di vita dell'oligarchia senatoria?
2.Quali erano, invece, i problemi dei piccoli proprietari terrieri?
3.Quali furono le conseguenze negative della nascita del latifondo?
4.Chi erano i “pubblicani”? Quale compito svolgevano?
5.Da quali tre gruppi sociali era formata la società romana?
6.Chi erano i genitori ed il nonno di Tiberio e Caio Gracco? Che tipo di formazione ricevettero dalla loro famiglia? Quali ne
furono le conseguenze?
7.Quali due avvenimenti resero significativo l'anno 133 a.C.?
8.Elenca e spiega i quattro punti fondamentali della riforma agraria di Tiberio Gracco.
9.Dove venne trovata la copertura finanziaria per attuare la riforma agraria?
10. Per quale motivo e da chi Tiberio venne ucciso?
11. In quale anno Gaio Gracco venne eletto tribuno della plebe?
12. Quale obiettivo si proponeva di raggiungere durante il suo periodo di governo?
13. Quali riforme attuò per ottenere il consenso del popolo e dei cavalieri? Perché aveva bisogno del loro sostegno?
14. Quando e quale fu la fine di Gaio?
15. Come vennero trattati i fratelli Gracchi dopo la loro morte?
16.Quale avvenimento dimostrò, invece, che la mancata attuazione della riforma dello stato avrebbe portato con sé gravi
conseguenze?
2) Spiega il significato dei termini seguenti:
1. Ager publicus
2. Potere tribunizio
APPROFONDIMENTO: Fai una ricerca sulla distribuzione delle risorse nel mondo moderno con una tua riflessione sulle
disuguaglianze economiche e sociali tra le diverse parti del mondo.
130
Book in
progress
Storia Antica - primo anno
MARIO E SILLA
LA GUERRA GIUGURTINA
L’eliminazione di Caio Gracco per circa un decennio riportò al potere la classe senatoria che si impegnò a riaffermare i
propri privilegi, smantellando la riforma agraria. Tuttavia la restaurazione oligarchica si rivelò precaria, in quanto non fu in
grado di risolvere i numerosi squilibri e problemi che erano emersi durante l’età dei Gracchi. Fra i democratici, detti anche
populares, permaneva un forte desiderio di rivincita e l’occasione propizia si presentò con la guerra giugurtina.
Moneta con effige di giugurta
Il conflitto riguardava il regno africano della Numidia, da tempo alleato e protetto dai Romani. Nel 118 a. C., prima di
morire, il re Micipsa aveva diviso il suo dominio fra i figli Aderbale, Iempsale ed il nipote Giugurta.
Desideroso di diventare il solo sovrano del territorio, Giugurta ordinò l’uccisione di Iempsale e successivamente attaccò
Aderbale, inducendolo a porsi sotto la protezione di Roma. Il Senato decise allora di inviare in Numidia una commissione
che stabilì la divisione del territorio fra Aderbale e Giugurta, ma ciò non riuscì a riportare la pace. Giugurta infatti riprese
le ostilità contro il rivale e pose l’assedio alla città di Cirta (113 a.C.). Dopo averla conquistata, ordinò la crocifissione di
Aderbale ed il massacro di numerosi mercanti italici che avevano partecipato alla resistenza contro di lui.
La notizia della strage provocò l’indignazione dei popolari romani, in particolar modo fra i cavalieri, che costrinsero il
riluttante Senato a dichiarare guerra a Giugurta (111 a.C.).
Le ostilità si trascinarono ingloriosamente per alcuni anni, contraddistinte da azioni fiacche ed inconcludenti, anche
perché i comandanti romani spesso si fecero corrompere dall’oro del nemico, così come sostiene lo storico delle guerre
giugurtine Sallustio. Il conflitto offrì pertanto ai popolari il pretesto per screditare la politica dell’oligarchia senatoria, con
l’obiettivo di strapparle il monopolio del potere. Così nel 107 a.C. i popolari imposero al consolato un loro uomo: Caio
Mario ed a lui venne affidato il comando della guerra giugurtina. Nel 104 Mario riuscì a vincere, anche grazie al tradimento
di Bocco, re della Mauritania, che gli consegnò Giugurta.
LESSICO
Populares: popolari. Con questo termine si indicavano i sostenitori del partito democratico, mentre gli aristocratici
costituiva il gruppo degli optimates ( ottimati).
CAIO MARIO E LA RIFORMA DELL’ESERCITO
Nato ad Arpino, nel Lazio meridionale, da un’agiata famiglia appartenente all’ordine dei
cavalieri, Caio Mario era un homo novus, ossia il primo di una famiglia non nobile che riusciva
a ricoprire alte cariche pubbliche. Ambizioso ed intraprendente, dopo essersi distinto in
alcune imprese militari, aveva deciso di dedicarsi alla carriera politica, che si concluse
trionfalmente con la sua elezione al consolato nel 107 a.C.
In ambito militare Mario non solo si rivelò un abile generale, ma anche un avveduto
riformatore. L’esercito romano si trovava infatti in una situazione di grave crisi, in quanto
l’impoverimento dei piccoli proprietari terrieri aveva drasticamente ridotto il numero di coloro
a cui era permesso il sevizio militare, perché un’antica legge consentiva ai soli proprietari
di un capitale immobiliare o mobiliare la possibilità di prestare servizio di leva.
Caio Mario
131
Storia Antica - primo anno
Mario allora riuscì a superare le difficoltà reclutando volontari nullatenenti, a cui lo Stato doveva versare uno stipendio ed
assegnare terre al momento del congedo. Si trattava di una novità di grande importanza, che cambiò radicalmente la
composizione dell’esercito, anche perché la possibilità di arruolamento fu estesa ai proletari romani, agli Italici e persino
agli alleati delle altre province.
La riforma militare di Mario costituì un esercito di soldati di mestiere, permettendo ai disagiati della Repubblica di trovare
un’occupazione sicura, che al momento del congedo garantiva pure il possesso della terra. Per estrazione sociale e per
origine etnica questi soldati non si sentivano particolarmente legati allo Stato e al suo sistema politico; molto più forte
era il vincolo verso il loro comandante, perché dalle sue vittorie dipendevano le fortune dei soldati. In tal modo l’esercito
iniziò a costituire una specie di realtà a se stante e divenne il mezzo fondamentale che consentì ai generali di affermare
il loro potere personale nel periodo delle guerre civili.
LE GUERRE DI MARIO
Dopo il successo della guerra giugurtina, Mario
ottenne il consolato per altre cinque volte
consecutive. Questa continua riconferma nella
principale carica dello Stato gli conferì un
notevole potere, in evidente contrasto con le
istituzioni repubblicane. La scelta era però
dettata anche dalla necessità di portare a
termine altre imprese militari. Da anni infatti i
Cimbri e i Teutoni, popolazioni di stirpe
germanica del Nord Europa, effettuavano
scorrerie tra la penisola Iberica, le Gallie e la
pianura Padana e per più volte avevano
sconfitto le milizie romane mandate contro di
loro. Le capacità militari di Mario sembrarono
perciò la miglior garanzia per poter contrastare nemici tanto pericolosi ed effettivamente l’abile generale nel 102 a.C.
riuscì a riportare una trionfale vittoria contro i Teutoni ad Aquae Sextiae, presso Marsiglia, e contro i Cimbri ai Campi
Raudii, vicino a Vercelli (101 a. C.). Le vittorie accrebbero enormemente la sua popolarità, al punto che Mario venne
considerato il terzo fondatore di Roma (dopo Romolo e Camillo).
DOCUMENTI
MARIO UOMO NUOVO
Di seguito si propongono alcuni stralci del discorso che Sallustio ( 86-35 a.C.), principale storico della guerra giugurtina,
immaginò pronunciato da Mario in occasione della sua elezione al consolato nel 107 a.C.. Le parole attribuite al generale
romano sono dunque una libera ricostruzione dello storico, tuttavia non è da escludere che rispecchino la psicologia di
Mario “uomo nuovo”, orgoglioso del proprio talento militare e della propria rettitudine morale, messe in contrapposizione
con la presunzione e l’incapacità dell’antica nobiltà senatoria.
Mi avete affidato la guerra contro Giugurta, i nobili però l’accettano malvolentieri. Giudicate nella vostra coscienza, vi
prego, se sarebbe meglio togliermi questo incarico e affidarlo ad altri, magari a un nobile d’antico lignaggio carico di
ritratti d’antenati ma digiuno di scienza militare, sicché, quando si troverà sbalzato al comando di un’impresa ardua come
questa, si mostri incerto, smarrito e finisca per assumere uno del popolo a insegnargli il mestiere: così il più delle volte
avviene che l’uomo al quale è stato conferito il comando vada a cercarne un altro che comandi a lui .
[...] E ora, o Romani, paragonate me, uomo nuovo, con la superbia di costoro: le cose che quelli sanno attraverso i libri o
per sentito dire, io le ho viste con i miei occhi o vi ho preso parte; ciò che quelli hanno imparato leggendo io ho sperimentato
con la pratica delle armi. Giudicate voi stessi se valgono più le parole o i fatti: loro guardano dall’alto in basso le mie modeste
origini, io la loro inettitudine; loro mi fanno una colpa della mia condizione, io li accuso delle loro infamie.
[...]Per ispirare la vostra fiducia, io non posso esibire ritratti, trionfi, consolati dei miei avi; ma, se ce n’è bisogno, lance,
vessilli, decorazioni al merito e altre ricompense al valore militare; e inoltre le mie cicatrici, tutte sul petto. Son questi i
miei ritratti, la mia nobiltà: essa non m’è stata trasmessa, come a quelli la loro, ma me la sono guadagnata a furia di
fatiche e di rischi.
132
Book in
progress
Storia Antica - primo anno
Io non so esprimermi con arte; non me ne curo. Il valore lo si vede abbastanza da solo. Loro sì hanno bisogno di artifizi
per mascherare con belle parole le loro turpitudini! E non ho neppure studiato le lettere greche: non mi interessava
apprenderle, dato che non sono servite ad istillare forza morale nella coscienza di quei sapienti. Ma conosco a fondo le
cose che sono utili allo Stato: dare addosso a un nemico, difendere un presidio, aver paura di una cosa sola: del disonore;
sopportare i rigori dell’inverno e il caldo dell’estate, dormire per terra, resistere alle privazioni e alla fatica: sono questi i
principi che impartirò ai miei uomini. E non li terrò a stecchetto riservando a me un trattamento da signore, né mi farò un
vanto delle loro fatiche: così deve comportarsi chi è sollecito del bene della patria, chi sa che gli uomini a cui comanda
sono cittadini, che se io mi tenessi al sicuro tra gli agi e opprimessi i soldati a furia di punizioni, non mi comporterei da
comandante, ma da padrone.
Sallustio, La guerra giugurtina, 85, 10-36, trad. L Storoni Mazzolani, Rizzoli, Milano,1976.
LABORATORIO
ÿ Individua i riferimenti storici a cui questo documento si collega.
ÿ Spiega per quale motivo Mario si considera un uomo nuovo.
ÿ Quali gravi difetti Mario attribuisce all’antica nobiltà?
ÿ Mario esalta alcuni aspetti della sua personalità e delle sue capacità da condottiero militare. Spiega quali.
LA NUOVA OFFENSIVA DEI POPOLARI
Tornato a Roma, Mario consolidò la sua alleanza con i popolari e grazie all’appoggio dei loro leader, i tribuni Lucio Apuleio
Saturnino e Caio Servilio Glaucia, nel 100 a.C. venne eletto console per la sesta volta. Il momento sembrò allora propizio
per scatenare una grande offensiva filo-popolare, che indusse Saturnino, riconfermato per la seconda volta al tribunato
della plebe, a far approvare una legge che prevedeva la distribuzione di grandi appezzamenti di terre a tutti i soldati
veterani, sia Romani sia Italici, che per almeno sette anni avevano prestato servizio nell’esercito di Mario. Gli Italici, molto
numerosi nelle legioni mariane, avrebbero ottenuto anche il diritto di cittadinanza romana.
La legge provocò un’ampia opposizione, non solo da parte del Senato, ma anche fra i cavalieri e la plebe di Roma,
poiché il popolo romano era contrario a concedere terra e diritti di uguaglianza agli Italici.
A Roma scoppiarono contrasti da guerra civile, che indussero il Senato a dichiarare lo stato d’assedio e ad affidare al
console Mario il compito di eliminare gli uomini che costituivano un pericolo per l’ordine pubblico. Per non perdere il
consenso dei cavalieri romani, Mario attuò una feroce repressione, durante la quale anche Saturnino e Glaucia persero
la vita. Tale mossa alienò al console l’appoggio dei popolari, che da quel momento lo considerarono un traditore; per
questo Mario decise di ritirarsi temporaneamente dalla vita politica.
LESSICO
Veterani: con questo termine venivano indicati i militari congedati dopo un luogo servizio.
LA GUERRA SOCIALE
La sconfitta dei popolari riportò gli ottimati alla direzione della vita
politica, ma agli inizi del I sec. a.C. un’altra grave crisi investì la
Repubblica e fu scatenata ancora una volta dal problema del diritto di
cittadinanza agli Italici.
Da tempo fra queste popolazioni serpeggiava un notevole malcontento;
esse infatti in molte guerre di espansione avevano contribuito in
maniera determinante al successo di Roma, ma non godevano degli
stessi vantaggi dei Romani, in quanto non possedevano la cittadinanza.
Così gli Italici erano esclusi da una struttura che avevano contribuito ad
edificare; erano a loro precluse la partecipazione al governo dello Stato,
la divisione dell’ager publicus, le cariche di comando in ambito militare.
Nel 91 a.C. il tribuno Marco Livio Druso presentò un ampio ed articolato
programma di riforme (cfr lettura di approfondimento), fra le quali era
compresa anche la concessione della cittadinanza agli Italici, ma la sua
proposta suscitò una profonda ostilità, sia da parte dei ceti elevati, che
non vedevano di buon occhio l’ampliamento politico dello Stato, sia da
133
Storia Antica - primo anno
parte della plebe urbana, come al solito non disposta a condividere con altri i propri tradizionali privilegi. In questo clima
di tensioni Druso venne ucciso da un sicario e la sua morte tolse agli Italici la speranza di poter ottenere la cittadinanza
per vie legali.
Il clima che si venne a creare non poté che esplodere in una rivolta. Essa scoppiò alla fine del 91 a.C. nel Piceno, ad
Ascoli, dove gli Italici uccisero il pretore e tutti i cittadini romani là residenti. Divampò poi a nord, nel territorio dei Marsi
ed a sud, in quello dei Sanniti. Restarono fuori dal conflitto le colonie latine, gli Etruschi, gli Umbri e le città della Magna
Grecia.
I rivoltosi si diedero un’organizzazione federale, scelsero come capitale Corfinio, presso Sulmona, che ribattezzarono
con il nome di Italica, costituirono magistrature e assemblee sul modello romano, iniziarono a coniare monete proprie;
in una di queste è rappresentato un toro, simbolo delle tribù sannite, mentre colpisce la lupa romana!
La cosiddetta “guerra sociale” fu una delle più minacciose ribellioni che Roma dovette affrontare nella sua storia. Per
fronteggiarla vennero inviati due eserciti, che si scontrarono con gli Italici dal 91 all’88 a.C., ma questa volta il conflitto si
rivelò particolarmente difficile, perché gli avversari conoscevano strategie e tecniche delle truppe romane, in quanto
avevano ricevuto il medesimo addestramento. Per evitare che la ribellione dilagasse ulteriormente, alla fine del 90 a.C.
Roma concesse la cittadinanza a tutti i socii italici che non erano entrati nella federazione separatista e successivamente
a tutti quelli che si impegnavano ad interrompere le ostilità. Questi provvedimenti permisero alla Repubblica di riottenere
la superiorità militare e di concludere le operazioni belliche nell’88. a.C.
Con la concessione della cittadinanza agli alleati, lo Stato cessò di essere solo romano e si posero le basi per la nascita
di una comune civiltà italica.
PRIMA GUERRA CONTRO MITRIDATE
Mentre era ancora in corso la guerra sociale, Roma dovette affrontare un altro grave
problema nei territori asiatici. Mitridate VI, re del Ponto, regione della penisola Anatolica,
aveva approfittato della situazione di debolezza in cui riversava la Repubblica per attuare
un programma espansionistico in Oriente.
Nella primavera dell’88 a.C: attaccò i territori romani in Asia Minore, dove le popolazioni
avevano in odio il dominio di Roma, che si caratterizzava per la sua rapacità; per questo,
non appena Mitridate incominciò le imprese di conquista, lo salutarono come un liberatore.
Il re del Ponto organizzò una violenta strage di Romani e Italici che risiedevano nei territori
da lui occupati; il massacrò colpì 80.000 persone circa, neppure le donne ed i bambini
furono risparmiati. Conquistata parte dell’Asia, Mitridate si rivolse anche all’Europa,
sottomettendo la Macedonia e la Grecia. La Repubblica aveva inviato alcune legioni contro
Mitridate, ma le operazioni belliche non erano state risolutive e si prospettava il pericolo di
Mitridate
perdere definitivamente alcune importanti province.
Nell’88 a.C. si decise pertanto di
affidare il comando della spedizione
all’aristocratico Lucio Cornelio Silla,
che in quell’anno deteneva il
consolato e che si era già distinto
durante la guerra giugurtina e quella
sociale. Le origini nobiliari di Silla e la
sua simpatia verso gli ottimati lo
rendevano però particolarmente
inviso ai popolari che, in un secondo
momento, riuscirono a fare affidare il
comando dell’esercito da mandare
contro Mitridate a Mario, da poco
ritornato sulla scena della politica.
134
Book in
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Storia Antica - primo anno
INIZIO DELLO SCONTRO TRA MARIO E SILLA
Silla però non era assolutamente disposto a rinunciare al prestigioso incarico militare e non
lo erano neppure le sue truppe, che insieme a lui stavano combattendo in Campania per
vincere le ultime resistenze dei sanniti. I soldati infatti non volevano cedere ad altri la guerra
contro Mitridate, che avrebbe permesso loro di fare un ricco bottino. Con il sostegno del
proprio esercito, Silla marciò su Roma e qui mise in fuga gli avversari popolari, fra cui lo
stesso Mario che si rifugiò in Africa.
Con questa azione di forza per la prima volta vennero alla luce i pericolosi effetti a cui poteva
portare la riforma militare voluta da Mario, perché le legioni della Repubblica furono usate
da un comandante per risolvere un contrasto politico interno e per affermare propri personali
interessi.
La necessità di recarsi in Oriente non consentì a Silla di consolidare la sua vittoria sul partito
mariano; si limitò solo ad immettere nel Senato 300 nuovi componenti a lui fedeli e a stabilire
che nessuna proposta di legge poteva essere presentata ai comizi tributi senza la preventiva
Lucio Cornelio Silla
autorizzazione del Senato, distruggendo così l’iniziativa legislativa dei tribuni della plebe.
Fatto ciò, nella primavera dell’87 a.C. Silla salpò per l’ Oriente.
Mentre Silla era impegnato a combattere contro Mitridate, Mario e Lucio Cornelio Cinna riuscirono a riportare i popolari
al potere: tutti i provvedimenti sillani furono abrogati e i due popolari, divenuti consoli per l’86 a.C., organizzarono una
violenta repressione contro gli oppositori del partito aristocratico. Di lì a poco Mario morì e Cinna rimase l’unico leader
dei democratici. Ma nell’84 Cinna fu ucciso, per motivi non chiari, dai suoi soldati e la sua morte costituì un grave colpo
per i popolari che rimasero senza capi veramente significativi.
Contemporaneamente a questi fatti, in Oriente Silla riuscì ad ottenere numerose vittorie contro Mitridate. Nell’85 a.C.,
spinto dalla necessità di ritornare in Italia per vendicarsi dei popolari, firmò con il re del Ponto una sbrigativa pace, che
costringeva Mitridate a ritirarsi dai territori occupati e a pagare un’indennità di guerra. Fatto ciò, si recò in Grecia, per
preparare la sua spedizione punitiva e nella primavera dell’83 a.C. sbarcò a Brindisi.
GUERRA CIVILE E DITTATURA DI SILLA
Gneo Pompeo
Marco Licinio Crasso
Quando Silla arrivò in Italia disponeva di un esercito
meno numeroso di quello dei popolari, ma subito
ottenne l’appoggio di molti ottimati che misero a sua
disposizione le loro legioni; fra questi Gneo Pompeo e
Marco Licinio Crasso, futuri protagonisti della storia
della. Repubblica. Per due anni la penisola venne
devastata da una sanguinosa guerra civile, che si
concluse nell’82 a.C. con la battaglia di Porta Collina,
vinta dai sillani.
Sullo scenario politico Silla divenne l’unico protagonista
e si fece attribuire il titolo di dittatore a vita. Iniziò poi una
spietata repressione degli oppositori. Tutti coloro che
avevano appoggiato i popolari vennero considerati fuori
legge e furono vittime di violentissime vendette.
Silla fece pubblicare le liste di proscrizione, in cui erano elencati i nomi delle persone dichiarate fuori legge e passibili di
uccisione. Si posero taglie sulle loro teste, anche gli schiavi ed i liberti erano autorizzati ad eliminarli.
I beni dei proscritti furono messi all’asta, permettendo ai sostenitori di Silla di arricchirsi considerevolmente. Venne anche
stabilito che i figli e i nipoti dei proscritti non avrebbero potuto accedere alle cariche pubbliche; con questa drastica
disposizione si voleva evitare la riaffermazione politica dei popolari anche per gli anni futuri.
Silla non si limitò alla repressione dei vinti; il cadavere di Mario venne esumato e gettato nel fiume Aniene.
Contemporaneamente Silla si occupò della riforma dello Stato, perseguendo l’obiettivo di restaurare il potere del Senato
e degli ottimati. Il numero dei Senatori fu fissato a 600 e fu di nuovo stabilito che nessuna proposta di legge poteva
essere votata dai comizi tribuni se prima non aveva ottenuto l’approvazione del Senato. Il diritto di veto dei tribuni della
plebe perse ogni significato, in quanto una legge stabiliva che i tribuni potevano essere multati se lo esercitavano
inopportunamente.
135
Storia Antica - primo anno
I senatori ritornarono ad esercitare l’autorità giudiziaria nei tribunali di concussione, tolta ai cavalieri, ed a loro fu affidata
anche l’amministrazione delle province.
Per impedire che altri generali attaccassero con l’esercito in armi lo Stato, come lui stesso aveva fatto, Silla spostò il
pomerio fino ai fiumi Magra e Rubicone, a sud della Gallia Cisalpina.
Perfezionata la sua riforma, nel 79 a.C. Silla lasciò la politica, ritirandosi a vita privata. La scelta confermava che egli non
aveva mai aspirato ad instaurare una monarchia personale, ma il suo unico obiettivo era quello di riportare al potere
l’oligarchia senatoria. Molti però furono gli errori di valutazione politica da lui commessi. In primo luogo i senatori non
rappresentavano certo la parte più capace e disinteressata della società romana, né erano più in grado di dirigere da
soli il governo, come nei primi secoli della Repubblica, perché la compagine sociale era diventata ben più complessa ed
era pertanto impensabile affidare il potere ad un unico gruppo. Roma inoltre, dopo le numerose guerre di espansione,
governava un dominio geograficamente molto esteso, che non poteva certo essere controllato con i medesimi sistemi
politici di quando la Repubblica si estendeva sul solo Lazio.
Inquietanti furono inoltre i rimedi che Silla attuò per risolvere quelli che riteneva essere i mali dello Stato, in quanto la
distruzione della democrazia da lui attuata andava contro la migliore tradizione della Repubblica romana.
LESSICO
Pomerio: era il confine sacro della città di Roma che non poteva essere attraversato da eserciti in armi.
DOCUMENTI
LE LISTE DI PROSCRIZIONE
Nella sua Vita di Silla lo scrittore greco Plutarco (50 d. C. – 120 circa) descrive con particolare attenzione le violenze
perpetrate dai sillani a seguito delle liste di proscrizione. E’ probabile che molti particolari da lui narrati siano stati romanzati
e caricati di elementi truculenti, tuttavia il suo racconto ha il merito di aver colto alcuni aspetti delle liste di proscrizione
ed il terrore sanguinario che esse provocarono.
Silla si immerse ora nei massacri. Stragi senza limiti e senza discriminazioni riempirono la città; molte persone vennero
uccise a causa di inimicizie private, che non avevano nulla a che fare con Silla ed egli lo permise per compiacere i suoi
fautori.
[...] Veniva proscritto anche chi occultava un proscritto in casa propria; e non si facevano eccezioni per i fratelli, figli o
genitori: così la morte veniva fissata come punizione di un atto di umanità. Chi viceversa uccideva un proscritto, riceveva
un compenso di due talenti per l’omicidio commesso, anche se era uno schiavo che ammazzava il padrone o un figlio
che ammazzava suo padre. La cosa che sembrò più ingiusta di tutte fu però questa: i figli e i nipoti dei proscritti erano
privati dei diritti politici e tutte le loro proprietà venivano confiscate. Le proscrizioni non interessavano soltanto Roma: ne
avvennero in ogni città d’Italia e non rimase tempio di dei, focolare d’ospite, casa paterna che il sangue degli uccisi non
insozzò. Mariti furono sgozzati nelle braccia delle mogli, figli nelle braccia delle madri. Le persone uccise per passione e
per inimicizia politica non rappresentarono che la minima parte rispetto a coloro che furono massacrati allo scopo di
appropriarsi dei loro beni. Agli uccisori stessi capitava di dire: “ Costui l’ha ucciso la sua ricca casa; questo il giardino;
quest’altro i bagni caldi”. Quinto Aurelio, per esempio, era un uomo pacifico; credeva che, dei mali che accadevano, a
lui non ne dovesse toccare alcuno, se non la pietà per gli sventurati. Un giorno si recò però nel Foro e lesse la lista dei
proscritti: tra i loro nomi trovò anche il suo. “ Ohimè infelice - esclamò – la mia tenuta di Alba mi perseguita”. E non aveva
fatto pochi passi che cadde, scannato da un tale che lo aveva seguito fin là.
Plutarco, Vite parallele, Vita di Silla, trad. C. Carena, Einaudi, Torino, 1958.
LABORATORIO
ÿ A quale momento delle guerre civili si riferisce il passo di Plutarco?
ÿ Aiutandoti anche con quanto hai studiato nel profilo storico, spiega perché anche i figli e i nipoti dei proscritti
venivano privati dei diritti politici.
ÿ Cosa vuole dimostrare lo storico raccontando quanto successo a Quinto Aurelio?
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progress
Storia Antica - primo anno
LABORATORIO
1) Rispondi alle seguenti domande:
- Perché la guerra giugurtina fu un’importante occasione per i popolari?
- Perché Mario rivestì un ruolo centrale nella storia della Repubblica romana?
- Come mutò l’esercito con la riforma di Mario e quali conseguenze politiche ebbe la sua riforma?
- Per quali motivi scoppiò la guerra sociale?
- Quali sostanziali modifiche furono apportate da Silla alle istituzioni romane?
- Quale obiettivo intendeva perseguire Silla con le sue riforme politiche e quale risultato ottenne?
2) Collega con una freccia ogni fatto alla relativa conseguenza
FATTI
CONSEGUENZE
1) Silla stipula una frettolosa pace con Mitridate
1) Il Senato decide di vendicare l’affronto di Giugurta
dichiarando guerra.
2) Mario ottiene il comando della guerra contro Mitridate
2) A Roma scoppiano violente rivolte contri i poolari
3) Giugurta assedia Cirta e massacra i mercanti Italici
3) Partendo con il suo esercito dal Sannio, Silla marcia
su Roma e mette in fuga Mario.
4) In una legge il tribuno Saturnino propone di dare la
cittadinanza agli Italici
4) Le istituzioni repubblicano vengono modificate
5) Alla morte di Micipsa, Giugurta uccide Iempsale e fa
guerra ad Aderbale.
5) Rientra in Italia per combattere contro i popolari
6) Mario promuove una riforma militare.
6) Roma concede la cittadinanza agli Italici
7) L’esercito di Roma fatica a vincere la guerra sociale.
7) I nullatenenti possono diventare soldati dell’esercito
romano.
8) Silla diventa dittatore a vita
8) Il Senato decide di mandare una commissione in
Numidia per riportare la pace nel regno.
3) Nel seguente elenco compaiono fatti o riforme riferibili a Mario ed altri attribuibili a Silla. Assegna la corretta
attribuzione: attenzione agli intrusi.
- Vengono predisposte le liste di proscrizione.
- Si concede la cittadinanza agli Italici.
- Finito il servizio militare, i veterani ottengono dallo Stato un appezzamento di terra.
- Si costituisce un esercito di professionisti.
- I Cimbri e i teutoni vengono sconfitti.
- Si aumenta il potere dei tribuni della plebe.
- Il numero dei Senatori viene portato a 600.
- Si ridefinisce la successione delle cariche per svolgere la carriera politica.
- E’ vincitore nella battaglia di Porta Collina.
- Ottiene il consolato per la sesta volta.
- Il pomerium è fissato al confine con la Gallia Cisalpina.
- Si toglie il diritto di veto ai tribuni della plebe.
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Storia Antica - primo anno
4) Spiega il significato dei seguenti termini ed espressioni
- Homo novus........................................................................................................................................................................
- Populares............................................................................................................................................................................
- Liste di proscrizione ..................................................................................................................................................................
- Pomerio................................................................................................................................................................................
- Veterani................................................................................................................................................................................
5) Metti in ordine cronologico i seguenti fatti:
- Silla firma la pace con Mitridate.
- Uccisione di Saturnino.
- Uccisione di Iempsale
- Battaglia di Porta Collina
- Assedio di Cirta
- Battaglia dei Campi Raudii.
- I soci in guerra fondano Italica
- Mitridate attacca i territori romani in Asia Minore
- Bocco consegna Giugurta a Mario.
- Mario ottiene il primo consolato
- Marco Livio Druso redige un nutrito programma di riforme
- Pompeo e Crasso si schierano a fianco di Silla
Attività di ricerca e approfondimento
Non solo nella storia romana, ma anche in epoche più recenti eserciti fedeli al loro generale sono stati elemento destabilizzante
nelle vicende politiche dei loro Paesi. Svolgi una ricerca su tale tema.
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Storia Antica - primo anno
LA FINE DELLA REPUBBLICA
LA RIBELLIONE IN SPAGNA E L’ASCESA DI POMPEO
Mario e Silla avevano tracciata una strada che negli anni successivi fu seguita da altri ambiziosi generali, pronti a sfruttare
le loro vittorie e l’appoggio dell’esercito per imporre in ambito politico il proprio potere personale. Fu questo il caso di
Gneo Pompeo, un ricco aristocratico che aveva militato nei sillani, partecipando anche alla battaglia di Porta Collina.
Nel 76 a.C. il Senato diede a Pompeo l’incarico di reprimere una vasta rivolta che era scoppiata in Spagna. Qui, nel
periodo delle proscrizioni di Silla, si era rifugiato Quinto Sertorio, generale di Mario, ed approfittando del diffuso
malcontento verso il dominio romano, insieme ad altri esuli mariani aveva organizzato la sollevazione di quasi tutta la
penisola iberica, arrivando anche ad organizzare un governo proprio. La guerra contro Sertorio era iniziata nell’80 a.C.,
ma sconfiggerlo non fu facile, sia per le sue abilità strategiche, sia per il consenso che godeva fra la popolazione locale.
Lo stesso Pompeo non riuscì ad avere la meglio sui campi di battaglia, ma alla fine risultò ugualmente vincitore, perchè
Sertorio venne tradito dal suo generale Perpenna, che lo fece uccidere ( 72 a.C.)
Pompeo tornò a Roma nel 71 a.C. ed il suo prestigio ne risultò enormemente accresciuto.
LA GUERRA SERVILE
Mentre in Spagna si combatteva la guerra contro Sertorio, molti territori della penisola furono devastati da una rivolta
organizzata dagli schiavi.
Da una scuola di gladiatori presso Capua nel 73 a.C. erano fuggite alcune decine di schiavi, lì rinchiusi per
l’addestramento agli spettacoli gladiatori; erano comandati da Spartaco, uno schiavo trace, di cui le fonti mettono in
luce la cultura, l’intelligenza e l’umanità. A questo primo nucleo di ribelli si erano uniti altri schiavi e diseredati, che nel
giro di poco tempo avevano costituito un agguerrito esercito, che probabilmente arrivò a comprendere 120.000 rivoltosi.
All’inizio il loro obiettivo era quello di superare le Alpi per tornare nei territori germanici, celtici e balcanici da cui
provenivano; perciò, dopo aver saccheggiato la Campania e le terre che attraversavano, si erano diretti verso nord,
riuscendo a fronteggiare gli eserciti romani che erano stati inviati contro di loro. Ad un certo punto, però, decisero di
invertire la marcia, forse con l’intento di attaccare la stessa capitale, e questa fu la decisione che determinò la loro
sconfitta. Non sono chiari i motivi di tale cambiamento di programma che pare non fosse condiviso da Spartaco. Non è
da escludere che le brillanti vittorie fecero perdere agli schiavi il senso della realtà e li indussero a sentirsi invincibili, al
punto da pensare alla conquista della stessa capitale.
Le bande di rivoltosi percorsero di nuovo la penisola, arrivando nel Bruzio, l’attuale Calabria. Gli storici romani raccontano
che qui vennero raggiunti da ricchi mercanti che volevano acquistare da loro il bottino accumulato durante i loro
combattimenti, ma Spartaco proibì ai suoi uomini di ricevere come pagamento oro ed argento, preferendo invece il ferro
ed il rame con cui si potevano fabbricare le armi.
Contro gli schiavi Roma mandò un esercito comandato da Marco Licio Crasso, un ricchissimo uomo d’affari legato alla
classe dei cavalieri che aveva combattuto al fianco di Silla nel periodo delle guerre civili. Nella primavera del 71 a.C. ebbe
luogo in Apulia l’ultimo disperato combattimento, che permise a Crasso di vincere i ribelli. Durante la battaglia morirono
più di 60.000 schiavi, fra i quali lo stesso Spartaco. Altri 6.000 furono fatti prigionieri per poi essere crocifissi lungo il
tratto della via Appia che congiungeva Capua a Roma. Un gruppo di qualche migliaio di schiavi riuscì ad evitare la strage,
ma durante la fuga venne sconfitto in Etruria da Pompeo, che con le sue truppe stava tornando vittorioso dalla Spagna.
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
LA SCONFITTA DEGLI SCHIAVI
Il brano di Plutarco, tratto dalla Vita di Crasso offre un convincente quadro sulla conclusione della guerra servile e mette
in luce le solite rivalità fra i generali romani, che sfruttavano le vittorie in campo per ottenere prestigio e vantaggi personali.
L’orgoglio si impadronì degli schiavi. Non tollerarono più di dover evitare la battaglia né di ubbidire ai comandanti. Appena
ripresero la marcia, circondarono i loro capi, brandendo le armi, e li costrinsero a ricondurli nuovamente indietro, attraverso
la Lucania, contro i Romani. Crasso non cercava altro. Si dava già come imminente l’arrivo di Pompeo, e non poche
persone andavano in giro facendo propaganda per lui e sostenendo che la vittoria finale della guerra sarebbe stata sua:
bastava arrivasse e con una battaglia sola avrebbe concluso le ostilità. Crasso aveva perciò fretta di finirla. Si accampò
vicino al nemico e fece scavare una fossa. Gli schiavi balzarono all’assalto e impegnarono battaglia coi soldati occupati
nel lavoro. Da una parte e dall’altra accorsero rinforzi sempre più numerosi; alla fine Spartaco si vide costretto a schierare
in campo tutto l’esercito. Prima di iniziare la battaglia si fece portare il suo cavallo, sguainò la spada e lo abbatté, dicendo:
“ Se vincerò, ne avrò molti e belli: quelli dei nemici; se perderò, non avrò più bisogno di cavalli”. Quindi si gettò nel folto
della mischia, ove cadevano più numerosi i feriti, in cerca di Crasso. Non lo trovò, però uccise due centurioni da cui era
stato assalito simultaneamente. Quando infine attorno a lui era già cominciata la fuga, fu accerchiato da una folla di
nemici e abbattuto, mentre si difendeva ritto in piedi. Crasso fu comunque sfortunato, perché, dopo aver condotto
ottimamente la campagna ed essersi esposto personalmente al pericolo, non riuscì a impedire che la sua vittoria giovasse
alla gloria di Pompeo. Infatti gli schiavi che scapparono alla battaglia andarono a cadere nelle braccia di Pompeo e furono
sterminati da lui; Pompeo poté così scrivere al Senato che, se Crasso aveva battuto gli schiavi in campo aperto, lui
aveva estirpato la radice della guerra.
Plutarco, Vite parallele, Vita di Crasso, trad. C. Carena, Einaudi, Torino, 1958.
LABORATORIO
ÿ Le prime righe del brano fanno riferimento ad un momento fondamentale della guerra servile. Spiega quale.
ÿ Individua nel testo le parole che mettono in rilievo la fama di generale invincibile che Pompeo godeva.
ÿ Spiega in che modo Spartaco e gli schiavi affrontarono le fasi conclusive della guerra.
ÿ Perché Pompeo scrisse al Senato che se Crasso aveva battuto gli schiavi in campo aperto, lui aveva estirpato la
radice della guerra?
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Book in
progress
Storia Antica - primo anno
IL CONSOLATO DI POMPEO E CRASSO
Vinta la guerra di Spagna e quella servile, Pompeo e Crasso tornarono a Roma con la precisa volontà di essere
ricompensati per i servigi militari che avevano offerto alla Repubblica: reclamarono perciò la candidatura al consolato.
Il Senato era riluttante, in quanto i due generali vittoriosi incominciavano ad essere temibili anche politicamente, inoltre
Pompeo non aveva ricoperto tutte le tappe del corsus honorum previste dall’ordinamento sillano.
Perso l’appoggio dell’aristocrazia senatoria, i due decisero di cercare sostegno politico fra popolo, a cui promisero
l’abolizione dell’ordinamento sillano.
Così i maggiori rappresentanti del partito di Silla si trasformarono in democratici e tale opportunistica mossa consentì
loro di ottenere il consolato per il 70 a.C.
Vennero smantellate tutte le riforme che Silla aveva imposto durante la sua dittatura: i tribuni della plebe riacquistarono
i loro poteri, i tribunali di concussione tornarono ad essere divisi fra senatori e cavalieri, i senatori che tentarono di opporsi
ai cambiamenti furono destituiti dalla carica.
Questo nuovo corso sembrò riaffermare la democrazia, ma la rivincita era solo apparente, in quanto le scelte politiche
dei due consoli non erano certe dettate da un programma di riforma volto all’affermazione del bene comune, bensì dal
desiderio di appianarsi la strada, attraverso il consenso del popolo, per affermare il loro potere personale: la Repubblica
era entrata nella sua fase finale.
LESSICO
Corsus honorum: a Roma le cariche politiche si rivestivano in un determinato ordine di successione. Il cursus
honorum era appunto la successione delle magistrature e delle cariche politiche per i cittadini che intraprendevano
la vita pubblica.
POMPEO CONTRO I PIRATI E CONTRO MITRIDATE
Negli anni successivi, sempre grazie all’appoggio dei popolari, Pompeo ottenne una serie di incarichi che nel giro di
poco tempo lo resero l’uomo più potente della Repubblica.
Nel mar Mediterraneo la presenza dei pirati era diventata sempre più dannosa e il loro numero andava continuamente
aumentando, anche a causa del generale disordine provocato dalle guerre civili, che aveva indotto molti diseredati ad
unirsi ai briganti del mare. Le loro continue scorrerie continuavano a provocare ingenti danni ai traffici commerciali, lo
stesso approvvigionamento di grani era stato compromesso, facendo aumentare sul mercato il prezzo di tale prodotto.
Commercianti e plebe reclamavano perciò un’azione militare decisiva, in grado di eliminare il terribile flagello.
Nel 67 a.C., su proposta del tribuno della plebe Aulo Gabinio, Pompeo ottenne ampissimi poteri per combattere i pirati,
a cui vennero affiancati ingenti mezzi finanziari ed una potente flotta. La campagna fu condotta con successo,
contribuendo ad alimentare ulteriormente la popolarità di Pompeo.
Il potere raggiunto nel 66 a.C. gli permise di ottenere anche il comando di una nuova guerra contro Mitridate, che in
Oriente aveva ripreso la sua politica espansionistica. Pompeo avanzò vittorioso dal Bosforo fino all’Armenia e alla
Palestina, sconfiggendo definitivamente il re del Ponto. Si accinse poi a riordinare i territori conquistati e, senza chiedere
il parere del Senato, punì i nemici e premiò i nemici di Roma, depose e rimise sul trono i sovrani.
GIULIO CESARE E CICERONE
Sullo scenario politico di Roma anche Caio Giulio Cesare stava diventando una figura di spicco del partito popolare.
Nato intorno al 100 a.C da una delle famiglie romane di antica nobiltà, quella degli Iulii, che sosteneva addirittura di
discendere da Enea e dalla stessa dea Venere, Cesare aveva rinnegato politicamente le sue origini aristocratiche,
schierandosi dalla parte dei popolari, probabilmente più per convinzione ideologica che per opportunismo. Nipote di
Mario e marito della figlia di Cinna, durante la guerra civile aveva militato tra i mariani, salvandosi dalle proscrizioni sillane
grazie alla protezione degli amici aristocratici della sua famiglia. Nel 63 a.C. era stato eletto pontefice massimo, riuscendo
a prevalere sulle candidature di influenti personaggi legati all’oligarchia senatoria.
Schierato dalla parte del Senato era invece Marco Tullio Cicerone, un uomo nuovo originario di Arpino e discendente da
una famiglia di cavalieri. Grazie alla sua attività di avvocato, svolta con successo anche per le non comuni capacità
oratorie, a cui affiancava una vasta cultura, Cicerone si era creato seguito e credito, ottenendo l’accesso ad alte cariche
e l’elezione al consolato per il 63 a.C. Uomo probo e fermamente convinto che le istituzioni repubblicane rischiavano di
essere distrutte dall’incalzare del partito democratico, egli sostenne il Senato, anche se talvolta aveva apertamente
attaccato la corruzione politica e morale che caratterizzava l’aristocrazia. Per Cicerone, però, il Senato rimaneva l’unico
141
Storia Antica - primo anno
baluardo per la difesa della democrazia e della libertà, pericolosamente messe a rischio dalla politica demagogica che
spesso contraddistingueva il partito popolare.
LA CONGIURA DI CATILINA
Proprio in questi anni un oscuro personaggio, militante fra i popolari, cercò di spazzare via la Repubblica per instaurare
un potere personale. Si trattava di Lucio Sergio Catilina, un aristocratico che riversava in pessime condizioni finanziarie.
Dopo aver sostenuto Silla ed essersi distinto per la sua crudeltà durante il periodo delle liste di proscrizione, con l’usuale
voltafaccia dettato da convenienza politica, era passato dalla parte dei popolari. Nel 66 e nel 64 a.C. aveva presentato
la propria candidatura al consolato, ma ne era uscito perdente. Ci riprovò nel 63 e questa volta fece della cancellazione
dei debiti il punto centrale del suo programma, riuscendo così ad ottenere consenso fra diversi strati della popolazione:
dai diseredati ai senatori, a loro volta spesso oberati di debiti. Nel contempo, con alcuni cospiratori stava preparando
una rivolta, proponendosi di marciare su Roma per conquistare il potere. Per questo aveva reclutato un esercito in Etruria
che raccoglieva aristocratici spiantati, veterani di Silla, plebei ridotti in povertà.
Quando le elezioni per il consolato lo decretarono perdente per la terza volta, Catilina decise di passare all’azione, ma
pochi giorni prima dell’ inizio della congiura Cicerone, console in carica per quell’anno, ne venne a conoscenza tramite
una delazione e ne diede immediata comunicazione al Senato. I cospiratori furono dunque costretti a rimandare i loro
piani, che divennero però ancora più violenti: questa volta si proponevano di uccidere lo stesso Cicerone e gli ottimati
che non li sostenevano, mentre Catilina con il suo esercito avrebbe occupato la capitale.
Per la seconda volta Cicerone fu avvisato della losca trama e in una storica riunione del Senato comunicò quando aveva
scoperto. La mancanza di prove non permise di procedere subito all’arresto dei cospiratori, l’unico risultato ottenuto fu
l’allontanamento di Catilina da Roma:il cospiratore si recò in Etruria.
Con capacità e astuzia Cicerone riuscì a procurarsi le prove per accusare e arrestare i congiurati rimasti a Roma. ( cfr
lettura di approfondimento) . Per loro Cicerone propose ed ottenne l’immediata condanna a morte, non fu neppure
concessa la possibilità di appellarsi all’assemblea popolare, come invece prevedeva l’ordinamento repubblicano per i
casi di sentenze capitali.
Orazione di Cicerone contro Catilina
Solo Giulio Cesare levò la sua voce in Senato per chiedere che venisse evitata questa grave illegalità e propose di
commutare la condanna capitale con l’esilio e la confisca dei beni degli imputati, ma non fu ascoltato.
In Etruria Catilina aveva raccolto un esercito di 10.000 uomini per tentare un’ultima disperata resistenza. Lì il senato inviò
le sue legioni e all’inizio del 62. a.C. l’esercito dei cospiratori venne sconfitto a Pistoia: lo stesso Catilina cadde in battaglia,
dopo aver combattuto valorosamente.
La Repubblica era per il momento salva, ma i costi umani della vittoria erano stati alti. La congiura di Catilina aveva
dimostrato ancora una volta quanto i disagi sociali potevano diventare un’arma pericolosissima in mano a personaggi
ambiziosi e senza scrupoli. Nel contempo la repressione della congiura rafforzò considerevolmente il prestigio degli
ottimati.
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Book in
progress
Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
SALLUSTIO E LA CONGIURA DI CATILINA
Le fonti romane ci hanno tramandato un quadro a tinte fosche di Catilina e della congiura che egli organizzò. Lo storico
Sallustio ( 86-34 a.C.), che sui fatti ha scritto la più importante opera in nostro possesso, non si discosta da questa
interpretazione. Egli sostiene che la congiura fu il risultato più evidente e pericoloso della corruzione dell’aristocrazia
sillana, nelle cui fila Catilina aveva militato, ed il frutto più terribile dei contrasti fra i vari partiti politici.
Nell’opera di Sallustio non mancano deformazioni romanzesche, utili per rappresentare in modo inquietante ed eccessivo
il personaggio di Catilina, come si può evincere dal primo passo proposto.
Già nella prima adolescenza Catilina aveva commesso molti nefandi stupri, con una nobile vergine, con una sacerdotessa
di Vesta(1) e altre azioni di tal genere contro le leggi umane e divine. Infine, preso d’amore per Aurelia Orestilla di cui
nessun uomo onesto lodò mai qualcosa, tranne la bellezza, poiché ella esitava a sposarlo per timore del figliastro già
adulto, egli, come si ritiene per certo, uccise il proprio figlio e rese libera la casa per le nozze scellerate.[...]
Ma insegnava in molti modi ai giovani che, come ho detto poc’anzi, aveva attirato nella sua rete, a commettere male
azioni. Si serviva di costoro per fare testimonianze e firme false, li spingeva a non tenere in nessun conto la parola data,
gli averi, i pericoli; dopo, quando aveva logorato la loro fama e il sentimento d’onore, comandava imprese più ardue: se,
per il momento, non si presentava l’occasione di scelleratezze, ciò nondimeno ordinava di assalire e di strozzare chi gli
aveva fatto del male e chi verso di lui era del tutto innocente: certo, affinché nell’ozio non si intorpidissero le mani e
l’animo, preferiva essere, anche senza motivo, malvagio e crudele.
C. Sallustio Crispo, Opere complete, La congiura di Catilina, 15-16, trad. Raffaele Ciaffi, Adelphi, Milano, 1969, pp. 26- 27.
Allo stesso tempo, tuttavia, in altre parti dell’opera non mancano pagine di analisi sociale, in cui lo storico dimostra di
aver colto i principali problemi della plebe urbana e dei fenomeni connessi all’urbanesimo.
Non solo era sconvolta la mente di quelli che erano stati complici della congiura, ma tutta quanta la plebe, per desiderio
di rivolgimenti politici, era favorevole ai disegni di Catilina. Sembrava agire in tal modo secondo il costume che le è
proprio. Infatti sempre in una città coloro che non hanno nessun bene invidiano gli onesti, portano in auge i malvagi,
odiano le vecchie istituzioni e ne bramano di nuove; per odio alla loro sorte cercano di sovvertire ogni cosa e senza
preoccupazione si nutrono di torbidi e di sedizioni, poiché chi non ha nulla facilmente non teme alcun danno. Ma la plebe
di Roma, quella veramente, anche per molte altre ragioni, si lasciava trascinare nei tumulti. In primo luogo quelli che
dappertutto eccellevano nella disonestà e nell’infamia, poi altri che avevano dissipato in eccessi vergognosi i loro
patrimoni, infine tutti coloro che erano stati costretti a venir via dalla loro patria per i delitti e le turpitudini erano affluiti a
Roma come in una sentina. Inoltre molti, ricordando la vittoria di Silla, poiché vedevano che da soldati semplici alcuni
erano divenuti senatori, altri così ricchi che mantenevano tenore di vita e fasto regali, speravano, se avessero preso le
armi, di poter conseguire con la vittoria la stessa fortuna. Infine i giovani, che in campagna, a causa degli scarsi guadagni
dei lavori manuali, avevano dovuto sopportare la miseria, attirati dalle elargizioni che facevano i privati e lo Stato, avevano
preferito all’ingrata fatica l’ozio della città.
C. Sallustio Crispo, Opere complete, La congiura di Catilina, 37, trad. Raffaele Ciaffi, Adelphi, Milano, 1969, pp. 59- 61.
NOTE
(1)
Le sacerdotesse di Vesta, o Vestali, avevano il compito di mantenere sempre acceso il fuoco sacro della dea, che
rappresentava la vita della città.
LABORATORIO
- Nei due passi viene ricordata la gioventù romana. Illustra perché si parla di lei nel primo brano e come è invece
presentata nel secondo.
- E’ corretto sostenere che per Sallustio la ricchezza non uniformemente distribuita fu una delle cause che favorirono
la congiura? Rispondi facendo riferimento al secondo testo.
- Quali problemi causò l’urbanizzazione di Roma e in che modo Sallustio li mette in relazione con la congiura di
Catilina ?
143
Storia Antica - primo anno
LETTURA DI APPROFONDIMENTO
LE LETTERE DEGLI ALLOBROGI
Per poter arrivare all’arresto di Catilina e degli altri congiurati, erano necessarie prove inequivocabili e certe. Nel passo
che segue lo storico Kovaliov illustra le strategie con cui Cicerone riuscì a procurarsele.
Si trovavano allora a Roma ambasciatori della tribù gallica degli Allobrogi(1), venuti per ottenere dal senato un
alleggerimento dei loro debiti. Lentulo(2) pensò di guadagnare quella tribù al movimento e, preso contatto con gli
ambasciatori, promise l’abolizione di tutti gli obblighi derivanti dai loro debiti in caso di successo del colpo di Stato. I
Galli, sospettosi, decisero di consigliarsi prima con il loro patrono Fabio Sanga,(3) il quale, venuto a conoscenza della
cosa, ne informò Cicerone.
Finalmente al console si presentava l’occasione di raggiungere le prove giuridiche del complotto. Egli ordinò a Sanga di
far sì che gli ambasciatori fingessero di acconsentire e cercassero di ottenere i maggiori particolari possibili dai cospiratori.
Gli Allobrogi così fecero.
Prima del ritorno in patria i Galli, dietro ordine di Cicerone, chiesero ai capi del complotto una lettera diretta agli Allobrogi
che confermasse quanto essi avrebbero a dire verbalmente, giustificando la loro richiesta col fatto che in caso contrario
non sarebbero stati creduti. Lentulo, Gabinio, Cetego e Statilio(4) furono così incauti da consegnare una simile lettera.
Inoltre, siccome gli ambasciatori chiedevano anche che fosse loro concessa la possibilità di incontrarsi con Catilina,
Lentulo lasciò partire con loro uno dei cospiratori con una lettera. diretta a Catilina, sia pure non firmata.
Nella notte dal 2 al 3 dicembre gli ambasciatori Allobrogi furono arrestati mentre si accingevano a partire da Roma e
portati da Cicerone. Ora egli aveva in mano prove dirette: il mattino del 3 dicembre Lentulo, Cetego e Statilio furono
arrestati .
Il senato fu subito convocato e davanti ad esso Cicerone interrogò tutti gli arrestati, compresi gli Allobrogi. La maggior
parte dei cospiratori confessò.
S.I. Kovaliov, Storia di Roma, vol.I, trad. R. Angelozzi, Editori Riuniti, Roma, 1982, p 440.
NOTE
Allobrogi: erano una popolazione della Gallia Narbonese.
(2)
Publio Cornelio Lentulo Sura ( 100 a.C. circa- 62 a.C.) ex- senatore, fu uno dei personaggi di spicco della congiura.
Le sue condizioni economiche erano disastrate ed è probabile che appoggiò Catilina perché quest’ultimo prometteva
l’abolizione dei debiti.
(3)
Quinto Fabio Sanga era un avvocato romano.
(4)
Sono nomi di altri congiurati
(1)
IL PRIMO TRIUMVIRATO
Quando Pompeo tornò a Roma alla fine del 62.a.C. il suo legame con il Senato si incrinò irrimediabilmente; i senatori
infatti consideravano ormai con sospetto il valoroso generale, perché temevano che gli onori ottenuti con tante vittorie
lo inducessero all’instaurazione di un regime personale. Perciò gli consentirono solo di celebrare il trionfo, ma non
permisero l’assegnazione di terre ai suoi veterani, né furono disposti a riconoscere l’ordinamento politico che Pompeo
aveva dato all’Asia dopo aver vinto Mitridate.
Approfittando di tale tensione, Caio Giulio Cesare propose a Pompeo un’alleanza, che venne estesa anche a Marco
Licino Crasso, rappresentante dei cavalieri e dell’alta finanza. L’accordo fu stipulato nel 60 a.C. ed è ricordato con il
nome di primo triumvirato.
Si trattava di un patto privato, attraverso il quale i tre uomini si impegnavano a fornirsi reciproco appoggio, unendo le
proprie forze per conseguire obiettivi ed interessi personali che stavano a cuore a ciascun triumviro, in contrapposizione
alla politica senatoria.
L’accordo permise a Cesare di diventare console per il 59 a.C., in cambio dell’appoggio ricevuto per la sua elezione,
una volta in carica egli consentì a Pompeo di ottenne le terre da distribuire ai suoi soldati e la ratifica dell’ordinamento
politico in Oriente; Crasso ebbe in cambio agevolazioni economiche per i pubblicani.
LESSICO
Pubblicani: erano coloro che acquistavano dallo Stato l’appalto delle imposte.
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Storia Antica - primo anno
IL CONSOLATO DI CESARE
Durante il suo anno di consolato, Cesare non si limitò a mettere in pratica gli accordi presi con i triumviri, ma fece
approvare un provvedimento che assegnava agro pubblico in Italia ai poveri con almeno tre figli. Emanò anche una legge
volta a contrastare gli abusi dei governatori nelle province ed impose di rendere pubblici i decreti del Senato e delle
assemblee popolari. Si trattava di importanti riforme democratiche che aumentarono il suo consenso fra i ceti disagiati
e fra i provinciali.
Al termine dell’anno consolare, Cesare indusse il Senato ad assegnargli il proconsolato in Gallia Cisalpina, in lllirico ed in
Gallia Narbonese, l’attuale Provenza. Erano questi dei territori non particolarmente ricchi ed anche piuttosto turbolenti,
ma la loro scelta faceva parte di un lungimirante progetto che Cesare aveva in mente di attuare. L’instabilità politica delle
province gli permise infatti di ottenere anche l’assegnazione di diverse legioni, che il proconsole si proponeva di utilizzare
in vere e proprie imprese di conquista. Egli infatti, a differenza di Pompeo, non si era ancora distinto in una grande
campagna militare, utile per aumentare il suo prestigio. La sua idea era perciò quella di conquistare i territori della Gallia
non romana, che si estendevano oltre le sue province.
Prima di partire Cesare si preoccupò anche di allontanare Cicerone dallo scenario politico romano, in quanto lo riteneva
l’unico uomo che, in sua assenza, avrebbe potuto nuocergli. Per questo spinse il tribuno della plebe Publio Clodio a
fare approvare una legge con valore retroattivo che stabiliva l’esilio per coloro che avevano condannato alla pena capitale
senza dare agli imputati la possibilità di appello presso il popolo. E’ evidente che il provvedimento era stato pensato per
colpire Cicerone, perché proprio lui aveva fatto condannare in tal modo i responsabili della congiura di Catilina. Così Il
temibile avversario fu messo a tacere, le sue proprietà vennero confiscate e alcune delle sue ville distrutte. Intimorito,
Cicerone partì per la Macedonia.
CESARE IN GALLIA E GLI ACCORDI DI LUCCA
Giunto in Gallia Cisalpina nel 58 a.C., Cesare trovò subito il pretesto per poter entrare con le sue legioni anche nei territori
della Gallia non romanizzata. Infatti gli Elvezi, che abitavano la parte occidentale dell’attuale Svizzera, incalzati da altre
tribù germaniche, avevano iniziato una migrazione, portando scompiglio e guerra alle tribù confinanti. Tra queste c’erano
anche gli Edui, alleati dei Romani. L’azione militare di Cesare contro gli Elvezi fu tempestiva e vittoriosa e gli permise di
presentarsi alle altre tribù galliche come il difensore della loro libertà. Poco dopo, perciò, esse chiesero la protezione
dell’esercito romano per fermare il principe germanico Ariovisto, che il proconsole romano riuscì a sconfiggere,
ricacciandolo oltre il Reno. L’anno dopo Cesare conquistò alcuni territori nella Gallia belgica e in quella nord-occidentale,
prendendo come pretesto atti di rivolta contro i Romani.
Per consolidare ed ampliare questi primi successi, Cesare aveva però bisogno di tempo. Per questo nel 56 a.C. si
incontrò a Lucca con Pompeo e Crasso. Qui i triumviri rinnovarono il loro reciproco sostegno e, prevaricando ancora
una volta ogni altra autorità politica, decisero le sorti della Repubblica. L’accordo infatti prevedeva il rinnovo per altri
cinque anni del proconsolato in Gallia di Cesare; Pompeo e Crasso si vedevano riconosciuto il consolato per il 55 a.C,
allo scadere del mandato il primo avrebbe avuto l’incarico proconsolare in Spagna, l’altro in Siria, sempre per un
quinquennio.
spada celtica
Gli accordi di Lucca furono ben presto vanificati perché, scaduto l’anno consolare, Pompeo si rifiutò di recarsi in Spagna,
in quanto riteneva che la permanenza a Roma gli avrebbe permesso di affermare con più agio il suo potere personale.
Nel 53 a.C. il triumvirato si sciolse, perché Crasso morì a Carre, in Oriente, combattendo contro la bellicosa popolazione
dei Parti.
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTI
GALLI E GERMANI
Nel De bello gallico, l’opera in cui Giulio Cesare raccontò la sua spedizione in Gallia, oltre che alla trattazione degli avvenimenti
bellici vi sono parti dedicati alle istituzioni, ai costumi, alla società dei popoli con cui il condottiero venne a contatto nella sua
campagna militare. Ecco di seguito due passi, in cui l’autore descrive la società dei Galli e quella dei Germani.
In tutta la Gallia vi sono due classi di persone tenute in conto e onorate. La plebe è considerata come una massa di
schiavi: nulla osa fare da sola e non prende parte alle riunioni. Di quelle due classi una è quella dei druidi, l’altra quella
dei cavalieri. I primi attendono al culto, regolano i sacrifici pubblici e privati, si pronunciano in fatto di religione. I druidi
non vanno di solito in guerra e non pagano come gli altri i tributi [...]. Non credono lecito affidare alle loro scritture le loro
dottrine, mentre in tutte le altre materie fanno uso dell’alfabeto greco. La seconda classe è quella dei cavalieri. Costoro,
quando ve ne è bisogno o quando capita qualche guerra, vi prendono parte.
Tutta la nazione gallica è oltremodo dedita alle pratiche religiose. Sopra ogni altro dio onorano Mercurio.
Giulio Cesare, La guerra gallica, VI, 11 ss, trad. G. Lipparini, Zanichelli, Bologna, 1951
I Germani hanno costumi molto diversi [dai Galli]. Non hanno druidi a regolare il culto e non si danno troppo pensiero di
sacrifici. Nel numero degli dei pongono soltanto quelli che vedono e dalla cui potenza sono apertamente favoriti: il Sole,
Vulcano, la Luna; degli altri non sanno neppure il nome. Tutta la loro vita consiste nella caccia e nella milizia; fin da piccoli
si addestrano alla fatica e alla vita dura.
Non hanno disposizione per l’agricoltura e la maggior parte del loro vitto consiste in latte, cacio e carne. nessuno
possiede una determinata misura di terreno o una proprietà particolare; i magistrati e i capi ogni anno assegnano, dove
credono meglio, alle famiglie e alle parentele e a quanti si uniscono in società, una certa quantità di terreno. Non si vuole
che essi, abituandosi a una fissa dimora, sostituiscano con l’agricoltura l’amore della guerra. [...]
Quando una tribù fa guerra difensiva o offensiva, si scelgono magistrati che siano signori della guerra, con diritto di vita
e di morte. In tempo di pace non c’è nessuna magistratura generale; i capi dei distretti e dei villaggi amministrano la
giustizia fra i loro e ne appianano le controversie. [...]. Oggi i Germani continuavo a vivere come un tempo, poveri,
bisognosi, rassegnati al medesimo vitto e durezza di vita; mentre i Galli, data la vicinanza delle nostre province e la
conoscenza dei prodotti d’oltremare, hanno grande abbondanza e comodità.
Giulio Cesare, La guerra gallica, VI, 21 ss, trad. G. Lipparini, Zanichelli, Bologna, 1951.
LABORATORIO
- Spiega chi erano i druidi presso i Galli e per quali motivi erano una classe privilegiata.
- Quali sono le principali differenze fra Galli e Germani?
- Quale caratteristica fondamentale dei Germani Cesare vuole sottolineare?
- Nei due passi Cesare sostiene che le condizioni di vita dei Galli erano migliori rispetto a quelle dei Germani.
Partendo da questo giudizio si può trovare nel testo un messaggio ideologico che l’autore vuole comunicare?
CESARE CONQUISTA LA GALLIA E VARCA IL RUBICONE
Tornato in Gallia, Cesare proseguì nella conquista del territorio ed effettuò anche alcune rapide spedizioni nell’isola
sconosciuta della Britannia. Tra il 53 e il 52 a.C. fu impegnato a sedare una rivolta di numerose tribù galliche, guidate dal
valoroso Vercingetorige, capo degli Arverni, una bellicosa popolazione della Gallia centrale. Dopo la presa della città
d’Alesia ( 52 a.C.), Vercingetorige fu costretto ad arrendersi ed il grande Paese dei Galli divenne provincia romana.
effige di Vercingetorige
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Storia Antica - primo anno
Le conseguenze della conquista della Gallia furono importantissime anche per l’affermazione politica di Cesare che,
come lui ben sapeva, non poteva prescindere dal rovesciamento del governo senatorio. Il successo della guerra gallica
gli diede i mezzi per poter combattere contro il Senato anche con le armi, nel caso in cui non si riuscisse ad evitare
questa possibilità, anche se Cesare era contrario alla guerra civile e sperava di riuscire ad imporsi solo utilizzando la sua
abilità politica. La campagna in Gallia gli aveva infatti garantito un esercito forte, ben addestrato e fedele. Poteva inoltre
contare sul denaro dei saccheggi e sui tributi dei popoli conquistati.
A Roma intanto Pompeo si era riavvicinato al Senato, che nel 52 a.C. lo aveva nominato unico console ( console senza
collega), conferendogli pertanto poteri straordinari.
L’oligarchia senatoria e Pompeo consideravano Cesare il nemico comune da annientare, perciò quand’egli fece sapere
che intendeva presentare la propria candidatura al consolato per il 48 a.C., il Senato gli ordinò di presentarsi a Roma
come privato cittadino, intimandogli di sciogliere l’esercito. La volontà di Cesare non era quella di scatenare una guerra
civile senza prima tentare una mediazione, per questo si dichiarò disposto a soddisfare la richiesta, a condizione che
anche Pompeo sciogliesse le sue legioni.
La proposta però fu rifiutata, per cui Cesare decise di aprire le ostilità, varcando con il suo esercito il Rubicone, nel
gennaio del 49 a.C. Il piccolo fiume divideva la Gallia Cisalpina dai territori di cittadinanza romana e dalla Costituzione
sillana era stato scelto come confine oltre il quale non si dovevano condurre gli eserciti: la decisione di Cesare segnava
dunque l’inizio di una nuova guerra civile.
CESARE CONTRO POMPEO
Il Senato affidò a Pompeo il comando della guerra contro Cesare e mentre questi
marciava in armi verso la capitale, Pompeo e la maggior parte dei senatori fuggirono da
Roma ed a Brindisi si imbarcarono alla volta della Grecia. Il piano di Pompeo prevedeva
infatti di arruolare un grosso esercito proprio nei territori del Vicino Oriente, dove il politico
romano poteva contare su alleanze strette ai tempi della guerra di Mitridate.
Cesare, però, con una serie di rapide azioni, vanificò ogni progetto di vittoria
dell’avversario. Nella primavera del 49 a.C. andò in Spagna e sbaragliò alcune legioni
pompeiane lì stanziate; all’inizio del 48 a.C. partì per la Grecia e sconfisse gli avversari
nella battaglia di Farsalo. Pompeo si diresse allora in Egitto, dove sperava di poter
confidare sull’ospitalità del re Tolomeo, ma quest’ultimo lo fece uccidere a tradimento e
quando Cesare giunse in Egitto per catturare il suo nemico, Tolomeo gli consegnò la
testa imbalsamata di Pompeo.
Cesare rimase in Egitto per nove mesi, aiutando Cleopatra, sorella e sposa di Tolomeo,
ad impossessarsi del regno. L’affascinante e giovane regina divenne la sua amante e da
Cesare
lei Cesare ebbe un figlio: Cesarione.
Mentre Cesare era in Egitto, i pompeiani ed i tradizionali nemici dei Romani ebbero tempo per riorganizzarsi. In Asia
Minore Farnace, figlio di Mitridate, aveva intrapreso l’ennesimo progetto espansionistico a danno di Roma invadendo
parecchi territori asiatici. Lasciato l’Egitto, Cesare lo affrontò e lo sconfisse con una stupefacente campagna che durò
solo cinque giorni e che si concluse con la vittoria di Zela. Comunicando per lettera il repentino successo, Cesare scrisse
la famosa frase: Veni, vidi, vixi (venni, vidi e vinsi).
L’anno dopo a Tapso, in Africa settentrionale, sbaragliò l’esercito dei repubblicani , che si erano rifugiati in quel territorio
sotto la protezione di Giuba, re della Mauritania.
Nel 45 a.C. fu la volta dei pompeiani che ancora cercavano di resistergli in Spagna e che vennero sconfitti nella battaglia
di Munda.
LA DITTATURA DI CESARE
Sbaragliati tutti i nemici, Cesare era ormai l’unico signore di Roma e si impegnò ad effettuare un radicale programma di
riforme dello Stato e della società. Per ottenere il consenso da parte dell’aristocrazia, già dopo Farsalo si dimostrò
benevolo nei confronti dei suoi avversari politici: nessuna ritorsione venne effettuata verso chi aveva parteggiato per
Pompeo, i nemici furono perdonati e ciò gli permise di ottenere una certa stima anche da parte di alcuni repubblicani
convinti, primo fra tutti Cicerone.
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Storia Antica - primo anno
In favore della plebe promosse una serie di riforme, per lo più volte a contenere la disoccupazione, mentre cassò
programmi di impostazione demagogica e meramente assistenzialistica. Ridusse pertanto il numero di coloro che
avevano diritto alle distribuzioni gratuite di grano, anche per scoraggiare l’affluenza a Roma di enormi masse di diseredati,
ma promosse l’esecuzione di molti lavori pubblici, per dare lavoro ai poveri.
Quasi 10.000 proletari vennero inviati in Spagna, sul mar Nero, in Gallia, in Africa, per popolare colonie e per fondarne
di nuove. In tal modo non solo garantì una collocazione ai ceti disagiati, senza toccare la proprietà terriera dei latifondisti
italici, ma promosse anche un’avveduta politica di romanizzazione delle province.
In ambito istituzionale le magistrature repubblicane vennero mantenute, ma Cesare assunse così tante cariche da dare al
suo potere una configurazione praticamente monarchica. Nel 46 a.C gli era stato conferito, per dieci anni il titolo di dittatore,
a cui si aggiunse la potestà tribunizia, che rendeva la sua persona sacra ed inviolabile. Dal 63 a.C. continuava ad essere
pontefice massimo, ossia la principale autorità religiosa; gli fu inoltre attribuito a vita il titolo di imperator, che prima veniva
concesso solo ai generali in occasione del trionfo; si riservò infine di poter imporre alle magistrature candidati a lui graditi.
La composizione del Senato fu portata da 600 a 900 membri e Cesare nominò senatori personaggi delle élite italiche e
provinciali che gli avevano mostrato fedeltà. Di fatto, però, la più importante magistratura romana perse ogni potere
effettivo, diventando un’assemblea di consiglieri, priva di poterei decisionali.
Molta cura venne riservata anche al governo delle province, dove aumentarono controlli e riforme per evitare i reati di
concussione; inoltre si stabilì con maggior precisione l’ammontare dei tributi che i pubblicani dovevano riscuotere, per
evitare i soliti latrocini ai danni delle popolazioni locali.
Fra i numerosi provvedimenti va ricordata anche l’introduzione di un nuovo calendario, detto giuliano,che in Europa
rimase in vigore fino alla fine del sec.XVI.
LA FINE DI CESARE
All’inizio del 44 a.C. Cesare decise di preparare una grandiosa spedizione contro i Parti, probabilmente con l’intento di
usare una campagna militare di grande importanza per rafforzare il suo prestigio ed il suo potere. Non è da escludere infatti
che egli mirasse all’instaurazione di una monarchia di tipo ellenistico. E’ vero che in occasione della festa dei Lupercali del
44 a.C., aveva rifiutato in pubblico la corona offertagli dal console Marco Antonio, ma probabilmente si era trattata di
una’astuta messinscena, dettata anche dal fatto che riteneva i tempi ancora prematuri per mettere in pratica il suo progetto.
La preparazione della guerra contro i Parti affrettò l’organizzazione di una congiura, ordita da sostenitori dell’oligarchia
senatoria, ex-pompeiani e anche seguaci di Cesare, che vedevano in lui il tiranno o il nemico mai sconfitto. Ideologo dei
cospiratori era Giunio Bruto, che Cesare considerava come figlio, affiancato da Caio Cassio.
morte di Cesare
Il 15 marzo, giorno delle Idi, Cesare fu ripetutamente pugnalato in Senato dai cospiratori: sul suo corpo si contarono
23 ferite. Molti dei congiurati pensavano che con l’uccisione di colui che ritenevano un tiranno si potesse ritornare alla
libertà, ma l’assassinio dimostrò altro. Subito dopo il fatto il Senato si disperse in fuga, atterrito dalle conseguenze che
il gesto avrebbe potuto provocare. A Roma iniziò a regnare il panico e fra la plebe ed i veterani fu evidente la rabbia per
la morte di Cesare.
LESSICO
Idi: con questo termine nell’antico calendario romano si indicavano il giorno 15 dei mesi di marzo, maggio, luglio
e ottobre, e i giorno 13 dei rimanenti mesi:
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STORIOGRAFIA
LA SCONFITTA DEI CONGIURATI
Nei primi momenti dopo l’attentato, Bruto e gli altri hanno compiuto una serie di conati in varie direzioni, per lo più
fallimentari. Che per un tempo brevissimo abbiano rischiato di avere in pugno la situazione è provato dalla reazione di
panico di Antonio, che si traveste da popolano e fugge. Bruto ha cercato di parlare ai senatori, ma questi sono fuggiti
a precipizio dall’atrio dove avevano assistito all’agguato. Trascurando di occuparsi del morto e di procedere magari con
un tempestivo colpo di mano alla cancellazione dei suoi atti, non ha trovato di meglio che salire sul Campidoglio, agitando
i pugnali e incitando cittadini immaginari (le strade erano deserte. le botteghe erano chiuse) a “godere la libertà”. Sul
Campidoglio i congiurati restarono per un po’ in attesa. Ad un certo punto sopraggiunsero alcuni senatori e una piccola
folla che insistette molto perché scendessero. Il gruppo, rassicurato, scese fino al Foro e qui Bruto fu issato sui rostri. E
si mise a parlare. La folla radunatasi lo ascoltava in silenzio. Poi parlò Cinna e incominciò ad accusare Cesare. Qui la
folla esplose in una collera violenta e i congiurati fuggirono a precipizio daccapo sul Campidoglio. Bruto temette che la
folla assaltasse il colle, e che tutto fosse ormai perduto.
Così in poche ore, sprecate a tentare di parlare al popolo in nome di una astratta “libertà”, i congiurati persero tutto il
vantaggio della sorpresa e dello smarrimento degli avversari.
Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza, Bari, 1999, pp.371-372.
ROMA DOPO LA MORTE DI CESARE
L’uccisione di Giulio Cesare non favorì la riconquista della libertà, come invece alcuni congiurati pensavano. Gli
anticesariani non avevano un chiaro programma da attuare e lo stesso Senato fece una politica contraddittoria. Qualche
giorno dopo l’assassinio stabilì di lasciare impuniti i congiurati, nel contempo però confermò tutti i provvedimenti di
Cesare e organizzò per lui solenni funerali di Stato, durante i quali la folla si riversò nelle case dei congiurati, costringendoli
a lasciare Roma.
Marco Antonio, luogotenente di Cesare ed uno dei suoi più stretti collaboratori, si riteneva l’uomo più adatto a succedergli,
ma per la sua personalità autoritaria era odiato dal Senato, in particolar modo da Cicerone, che lo considerava il principale
ostacolo al ripristino delle libertà repubblicane.
Qualche giorno dopo la congiura, venne aperto il testamento di Cesare e, contrariamente alle aspettative generali, si
scoprì che Antonio non era stato prescelto come erede, in quanto Cesare aveva lasciato il suo ingente patrimonio al
pronipote Caio Ottaviano, non ancora ventenne, nato da una figlia di sua sorella Giulia e da lui adottato. Il giovane, che
in quel momento si trovava in Epiro, tornò a Roma, fermamente convinto a rivendicare quanto gli spettava.
Alcuni componenti del Senato, primo fra tutti Cicerone, videro allora in Ottaviano l’uomo giusto e malleabile che, a
differenza dell’ambizioso Antonio, avrebbe potuto garantire una politica moderata, volta a chiudere il periodo della
dittatura.
Il contrasto fra il Senato ed Antonio divenne guerra aperta quando quest’ultimo iniziò a reclamare il governo della Gallia,
rifiutando una provincia in Oriente che gli era stata assegnata per il 43 a.C., dopo l’anno di consolato.
Fu in questa occasione che Cicerone pronunciò delle celebri orazioni contro Antonio, ricordate con il nome di Filippiche,
chiamandolo nemico della patria. Antonio non si fece intimorire e decise di occupare militarmente il territorio che
reclamava, inducendo il Senato ad organizzare un esercito, a cui si affiancò anche un contingente di legionari di Ottaviano,
che a Modena sconfissero Antonio ( 43 a.C.).
LESSICO
Filippiche: il nome delle orazioni di Cicerone riprende quello dei discorsi che Demostene pronunciò contro Filippo
di Macedonia.
IL SECONDO TRIUMVIRATO
Subito dopo la battaglia di Modena risultò evidente che l’alleanza fra Ottaviano ed il Senato non poteva durare a lungo,
soprattutto perché il nipote di Cesare incominciò a fare una politica autonoma, spinto da una notevole ambizione
personale, che mal si accordava con il desiderio di controllo che su di lui voleva esercitare l’oligarchia repubblicana.
La vittoria su Antonio gli aveva consentito di ottenere anche l’assoluta fedeltà dell’esercito, per cui reclamò la carica di
console, pur non avendo compiuto la carriera prevista dal corsus honorum.
Il Senato cassò la sua richiesta ed il rifiuto indusse Ottaviano a marciare su Roma, ottenendo con la forze ciò che voleva.
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Storia Antica - primo anno
Privato dell’appoggio del Senato, Ottaviano pensò di accostarsi ad Antonio; con lui e con Marco Emilio Lepido, capo
della cavalleria di Giulio Cesare, alla fine del 43 a.C. strinse a Bologna il secondo triumvirato. A differenza del primo, fra
Cesare e Pompeo e Crasso, l’accordo non era un’alleanza fra privati cittadini, ma divenne una vera e propria magistratura,
in quanto fu ratificato dai comizi.
Il patto, della durata di cinque anni, prevedeva la formazione di un esercito, sotto il comando di Ottaviano ed Antonio,
da mandare in Oriente per sconfiggere gli uccisori di Cesare. Lì infatti si erano rifugiati Bruto e Cassio, mossi dalla
necessità di formare un esercito da schierare contro i sostenitori di Cesare. Lepido invece sarebbe rimasto a Roma con
la carica di console. I triumviri inoltre si attribuivano il potere di prendere provvedimenti per governare lo Stato e fra questi
ci furono delle liste di proscrizione, per vendicare i nemici di Giulio Cesare. Roma conobbe così un nuovo periodo di
vendette e violenze, spesso ancora più violente di quelle effettuate durante la dittatura di Silla, anche perché l’odio politico
talvolta era solo un pretesto per impossessarsi dei beni degli avversari, che poi venivano utilizzati per finanziare l’esercito.
Vittima illustre di tanta efferatezza fu Cicerone, che Antonio ordinò di uccidere perché lo riteneva uno dei suoi peggiori
nemici.
Lasciato Lepido in Italia, Ottaviano e Antonio si scontrarono a Filippi, in Macedonia, ( 42 a.C.) con gli eserciti di Bruto e
Cassio, che vennero sconfitti. Gli uccisori di Giulio Cesare si diedero la morte: finiva così l’ultima temibile resistenza dei
cesaricidi.
Antonio
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DOCUMENTI
LA MORTE DI CICERONE
Quella che segue è la versione che lo storico greco Appiano di Alessandria ( 95 circa- 165 circa) ci ha dato riguardo alla
morte di Cicerone, una delle prime vittime delle liste di proscrizione stabilite dai triumviri . Non è da escludere che alcuni
raccapriccianti particolari non rispondano alla realtà dei fatti storici, tuttavia il passo evidenzia con una certa efficacia il
feroce desiderio di vendetta che Antonio nutriva nei confronti del famoso oratore romano.
Cicerone, che dopo la morte di Cesare ebbe un potere che potrebbe essere definito “ la monarchia di un oratore”, era
stato condannato con il figlio, il fratello, il figlio del fratello e tutti i famigliari, i compagni di partito, gli amici; fuggendo per
mare non sopportò i disagi della navigazione e tornò in un suo podere, che io sono andato a visitare per la narrazione di
questa vicenda, nei pressi di Gaeta, una città dell’Italia, e li se ne stava nascosto. Avvicinandosi coloro che lo cercavano
( Antonio, e con Antonio tutti, voleva lui più di tutti gli altri), dei corvi volarono nella sua camera e destatolo con il loro
gracchiare gli strapparono dal corpo la coperta, finché i servi, interpretando quanto avveniva come un segno di un dio,
misero l’oratore su di una lettiga e lo riportavano attraverso una fitta macchia verso il mare, cercando di non dare
nell’occhio. Intanto molti correvano qua e là a chiedere se da qualche parte si fosse visto Cicerone, e tutti, per
benevolenza e per pietà, dicevano che egli era ormai salpato e si trovava in mare; ma un conciapelli, cliente di quel Clodio
che era divenuto acerrimo nemico dell’oratore, indicò al centurione Lenate e ai suoi pochi uomini il sentiero. Subito
Lenate vi corse, e accortosi che molti più uomini dei suoi si preparavano alla difesa, con tono imperioso gridò: “ Vengano
avanti i centurioni che stanno dietro!” A questo punto i servi, convinti che sarebbero giunti più soldati, furono presi dal
panico.
Lenate, che una volta in un processo se l’era cavata proprio con l’intervento di Cicerone, gli tirò la testa fuori dalla lettiga
e la staccò con tre colpi, maciullando le ossa per imperizia; poi tagliò anche la mano con la quale l’oratore aveva intitolato
“Filippici”, come i discorsi di Demostene, i suoi discorsi contro Antonio, presentato come un tiranno.
Subito alcuni a cavallo e gli altri per nave corsero a portare la buona notizia ad Antonia: a lui seduto nel foro Lenate
mostrò da lontano, scuotendole, testa e mano dell’oratore. Antonio ne provò una soddisfazione grandissima, premiò il
centurione con una corona e gli attribuì, oltre la ricompensa convenuta, un donativo di duecentocinquantamila dramme
attiche perché gli aveva ucciso il nemico più grande e pericoloso. La testa e la mano di Cicerone rimasero a lungo
esposte nel foro, pendendo dalla tribuna dalla quale egli era solito pronunciare i suoi discorsi, e accorsero a vederle più
persone di quante mai lo avessero ascoltato. Si tramanda pure che Antonio a mensa pose la testa di Cicerone sulla
tavola finché fu sazio di tale orrenda vista.
Appiano, La storia romana, Le guerre civili, Libro IV, 73-81, trad. D. Magnino, Utet, Torino, 2001, pp. 581-583.
LABORATORIO
- Illustra i motivi per cui Antonio considerava Cicerone uno dei suoi peggiori nemici.
- Spiega perché, secondo Appiano, il centurione Lenate tagliò una mano a Cicerone e la esibì soddisfatto ad
Antonio.
- Ritrova nel testo e fra le tue conoscenze tutte le informazioni che riguardano la figura di Cicerone e la sua attività
politica. Indica quali furono le caratteristiche di questo personaggio e di quali ideali politici si fece portatore.
LO SCONTRO TRA OTTAVIANO E ANTONIO
Ormai unici detentori della politica romana, nel 40 a.C. i triumviri si divisero le terre su cui governare: a Ottaviano fu dato
l’Occidente, ad Antonio l’Oriente, mentre Lepido ebbe il controllo dell’Africa.
In Italia Ottaviano si impegnò in una grande distribuzione di terre ai veterani che avevano combattuto a Filippi; per
assolvere il compito non bastò la vendita delle proprietà dei proscritti, per cui fu necessario effettuare delle requisizioni,
a danno degli Italici, che provocarono delle vere e proprie rivolte.
Si rese anche necessaria una guerra contro Sesto Pompeo, figlio di Pompeo il Grande, che nel periodo di disordini
seguito alla morte di Cesare era riuscito ad occupare la Sicilia e dà lì compiva azioni di pirateria contro le navi che
portavano merci a Roma.
151
Storia Antica - primo anno
In un primo momento Ottaviano gli aveva promesso il controllo sulla Sicilia, sulla Sardegna e sulla Corsica in cambio
della cessazione della scorrerie, ma Sesto Pompeo non rispettò gli accordi, per cui nel 36 a.C. fu sconfitto in guerra e
la vittoria aumentò la fama di Ottaviano.
Antonio si era recato in Oriente per raccogliere denaro con cui finanziare le truppe e in Egitto si era innamorato di
Cleopatra, stabilendosi presso di lei alla corte di Alessandria.
Qui aveva assunto mentalità e modi molto diversi da quelli romani, governando le province orientali come se fossero dei
suoi domini personali e comportandosi da monarca orientale, al punto che aveva destinato alcuni territori della regione
ai figli avuti da Cleopatra. Questo modo di agire fu il pretesto che Ottaviano utilizzò per denunciare il suo rivale agli
occhi dell’opinione pubblica di Roma, accusandolo di essere un nemico della patria, che voleva fare dell’Egitto il centro
principale dei domini romani, al posto della stessa capitale. L’accusa era indubbiamente esagerata, ma conteneva anche
un fondo di verità, in quanto Antonio e Cleopatra erano i sostenitori di un modello monarchico ellenistico, in cui il sovrano
governava per diritto divino, ed il loro prevalere sul modello occidentale avrebbe sicuramente posto fine a tradizioni
politiche romane.
Sostenuto dal popolo, Ottaviano si scontrò con Antonio ad Azio ( 31 a.C.) e riuscì a sconfiggerlo. Antonio e Cleopatra
tornarono ad Alessandria, ma dopo pochi mesi furono di nuovo sconfitti dalle legioni di Ottaviano: Antonio si uccise e
Cleopatra fece altrettanto, secondo la tradizione facendosi mordere da un aspide.
Finiva così la lunga crisi della repubblica romana: Ottaviano era ora l’unico governante di Roma e si apprestava ad una
radicale riforma del potere, dando inizio all’impero.
Ottaviano
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Storia Antica - indice
LABORATORIO
1) Rispondi alle seguenti domande:
- Dopo aver militato nell’esercito di Silla, Crasso e Pompeo decisero di appoggiare i popolari. Spiega da cosa fu determinato
questo cambiamento di rotta.
- Riassumi i fatti che consentirono a Pompeo di diventare l’uomo più forte della repubblica romana.
- Per quali motivi commercianti e plebei reclamavano un’energica azione contro i pirati?
- Che significato riveste nel periodo della crisi della repubblica la congiura di Catilina?
- Perché il Senato decise di prendere le distanze da Pompeo dopo le sue vittorie su Mitridate?
- Cosa fu il primo triumvurato?
- Spiega i motivi che indussero Cesare a volere il proconsolato in Gallia.
- Perché Giulio Cesare decise di varcare il Rubicone?
- Quali furono le più importanti riforme varate da Cesare in ambiti politico?
- Spiega perché si può sostenere che nei confronti dei poveri Giulio Cesare non effettuò una politica demagogica.
- Perché il progetto di una grande campagna contro i Parti, contribuì a far nascere nei nemici di Cesare il desiderio di
eliminarlo?
- Per quali motivi gli ideali di libertà difesi da Bruto e Cassio non avevano alcun significato concreto per il popolo romano?
- Cosa avvenne nei rapporti fra Ottaviano e Antonio dopo la sconfitta di Modena?
- Spiega la differenza politica sostanziale fra il primo e il secondo triumvurato.
- Quale pretesto Ottaviano utilizzò per fare guerra ad Antonio e Cleopatra?
2) Attribuisci ai personaggi le informazioni corrette. Attenzione: ci sono degli intrusi
PERSONAGGIO
INFORMAZIONI
POMPEO
CRASSO
GIULIO CESARE
1) Sconfisse Ariovisto
2) Fece varare una legge per la distribuzione gratuita di Grano
3) Ottenne il proconsolato in Spagna
4) Sconfisse per la seconda volta Mitridate
5) Non era di nobili origini
6) Vinse la battaglia di Farsalo
7) Partecipò alla battaglia di Porta Collina, sostenendo i sillani
8) Era un sostenitore di Mario
9) Fece redigere liste di proscrizione contro i nemici
10) promosse la fondazione di nuove colonie
11) Attuò una riforma dell’esercito
12) Morì a Carre
13) Sconfisse gli Elvezi
14) fece esiliare Cicerone
15) Sconfisse l’esercito di Spartaco.
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Storia Antica - primo anno
3) Metti in ordine cronologico i seguenti fatti:
- Guerra contro Sesto Pompeo
- Morte di Cicerone
- Secondo triumvirato
- Morte di Cleopatra
- Battaglia di Modena
- Battaglia di Azio
- Ottaviano reclama il consolato
- Battaglia di Filippi
4) Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e riscrivi correttamente quelle sbagliate:
154
a)
Pompeo fu sempre un convinto nemico del Senato
V
F
b)
Il primo triumvirato fu voluto da Giulio Cesare
V
F
c)
Mitridate era riuscito a conquistare la Grecia
V
F
d)
Ottaviano era un figlio illegittimo di Giulio Cesare
V
F
e)
Salito al potere, Giulio Cesare perseguitò i suoi avversari politici
V
F
f)
Cesare conquistò la Britannia
V
F
g)
Antonio morì nella battaglia di Azio
V
F
h)
Catilina era sostenuto dall’oligarchia senatoria
V
F
i)
Sesto Pompeo cercò di organizzare un colpo di stato
V
F
l)
Prima di varcare il Rubicone Cesare cercò un accordo con il Senato
V
F
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Storia Antica - primo anno
DOCUMENTO
Leggi il seguente brano dello storico Plutarco, poi rispondi alle domande
L’insurrezione dei gladiatori e la conseguente devastazione dell’Italia, nota comunemente con il nome di guerra di
Spartaco, ebbe origine dal motivo seguente. A Capua esisteva, tenuta da un certo Lentulo Batiato, una scuola di
gladiatori, in maggioranza Galli e Traci che, senza aver commesso nulla di male, solo per iniquità del padrone, vi erano
tenuti rinchiusi a viva forza e destinati a duellare nell’arena. Duecento di costoro decisero di fuggire, ma furono scoperti
in seguito a una delazione. Solo settantotto, che furono avvertiti in tempo, presero da una cucina coltellacci e spiedi, e
si allontanarono. per strada. Incontrati casualmente alcuni carri che trasportavano armi destinate ai gladiatori di un’altra
città, fecero presto a saccheggiarli e ad armarsi. Poi occuparono una piazzaforte e lì elessero tre capi., il primo dei quali
era Spartaco, un Trace appartenente ad una nazione di nomadi, dotato non solo di grande coraggio e forza, ma anche
di intelligenza e di educazioni superiori a quanto ci si aspetterebbe da una persona della sua condizione.[...]
Sulle prime i gladiatori respinsero le truppe arrivate da Capua per assalirli e si impadronirono di molte armi da guerra.[...]
Dopo aver sconfitto il pretore medesimo in molte altre battaglie, culminate con la cattura dei littori e del suo cavallo
personale, Spartaco divenne in breve tempo potente e terribile. Ponderando però bene le probabilità di riuscita che
aveva, non si fece illusioni di poter sopraffare la forza romana. Cercò quindi di portare la sua armata verso le Alpi,
pensando che il meglio era di valicare e raggiungere ognuno la propria casa, in Tracia o in Gallia. Ma i suoi compagni,
sentendosi forti per il numero ed esaltati per le vittorie, non gli diedero ascolto e percorsero l’Italia saccheggiando.
1) Quali sono le caratteristiche che rendono Spartaco particolarmente adatto al comando della rivolta?
2) Nella valutazione dell’obiettivo da raggiungere con la rivolta, Spartaco denota senso della realtà e lucidità Spiega perché.
3) Riferendoti alle tue conoscenze, spiega come si concluse la rivolta.
Attività di ricerca e approfondimento
Esegui una ricerca su Cicerone, approfondendo i seguenti aspetti:
- l’estrazione sociale e la sua formazione culturale;
- la carriera politica e la sua concezione di Stato
- le opere che di lui possediamo
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Storia Antica - primo anno
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Storia Antica - primo anno
UdA 0: Introduzione allo studio della storia .............. 3
UdA 1: La preistoria ..................................................... 7
Sez. 1: Dal Big Bang alla formazione della terra e
dei primi esseri viventi ............................................... 7
Sez. 2: Filogenesi dell’uomo .................................... 10
Sez. 3: Ricostruzione archeologica e culturale ......... 16
UdA 2: Egitto e Vicino Oriente .................................. 21
Introduzione generale .............................................. 21
La Mesopotamia dalle città stato ai primi imperi
(3500-1600 a.C.) ..................................................... 24
L’antico Egitto .......................................................... 33
UdA 3: I grandi imperi asiatici .................................. 39
Hittiti ........................................................................ 40
Assiri ....................................................................... 44
Il secondo impero babilonese .................................. 47
I Persiami ................................................................ 48
UdA 4: Il Medio Oriente ............................................. 57
I Fenici ..................................................................... 57
Gli Ebrei ................................................................... 60
UdA 5: La Grecia ........................................................ 63
La civiltà minoica ..................................................... 63
La civiltà micenea .................................................... 67
La prima colonizzazione greca, il Medioevo Ellenico ... 69
L’età arcaica e la nascita della Polis ......................... 69
La seconda colonizzazione Greca ........................... 71
Sparta ..................................................................... 71
Atene ....................................................................... 74
La prima guerra Persiana ........................................ 77
La seconda guetta Persiana .................................... 79
La guerra del Peloponneso ..................................... 83
L’Ellenismo .............................................................. 86
UdA 6: Gli italici e Roma ........................................... 93
L’italia Preromana .................................................... 93
La civiltà romana ................................................... 101
La repubblica a Roma ........................................... 107
Le conquiste di Roma ........................................... 115
Espansione di Roma nell’area del Mediterraneo .... 117
Il tentativo riformista di Tiberio e Gaio Gracco ....... 127
Mario e Silla ........................................................... 131
La fine della Repubblica ........................................ 139
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