VINCENZO BELLINI E IL TORMENTO DEL SUO COMPORRE di Giovanni Tavcar La vera rivoluzione di Bellini fu quella di intensificare il rapporto parola-musica, traducendo il ritmo delle parole in ritmo musicale. “Io mi sono posto in capo di introdurre un nuovo genere e una musica, che strettissimamente esprima la parola…” Lo stile di Bellini esprime una corposità sonora di nuovo tipo, un immergersi in un suono estatico che ne fa il musicista romantico per eccellenza. Stile che ha conquistato e influenzato perfino Wagner, e che si estrinseca attraverso la melodia, accompagnata da suggestive e sorprendenti modulazioni armoniche che corrono sui passaggi dal modo maggiore al modo minore e viceversa; il passaggio si esplica però in così breve spazio che l'effetto è sorprendente e spesso travolgente. Ed è spesso l'orchestra che costringe le voci in un preciso rapporto di ritmo e di tempo. Non bisogna però commettere l'errore di limitare la musica di Bellini alla sua elegiaca liricità, alla sua sentimentalità tenera e malinconica (per quanto la musica e essenzialmente sentimento), alla melodiosità di suprema purezza. Certo, Bellini è questo, ma è anche compositore drammatico e passionale, ricco di contrasti e di chiaroscuri. Bellini fu un creatore tormentato, forse il più tormentato compositore del suo tempo. Tormentato dal travaglio mentale e spirituale nel quale tentava di dare vita e sentimenti ai personaggi che vivevano nel suo mondo interiore. Un tormento continuo e assillante che lo scuoteva tutto nella ricerca di una frase melodica, di un accento ritmico, di un empito drammatico, che aderissero il più fedelmente possibile al valore della parola, alla coesione tra musica e dramma, tra canto e poesia. Tormento ed eccitazione che finivano per procurargli profonde crisi nervose, che egli stesso temeva. Possiamo rilevare quest'ansia creativa dalle stesse parole del musicista nell’unico scritto in cui egli, molto riservato e schivo per tutto che riguardava l'intimità del suo travaglio creativo, ci svela le direttive del suo comporre: “... gran parte del successo dipende dalla scelta di un tema interessante, dal contrasto delle passioni, dai versi armoniosi e caldi d'espressione, dai colpi di scena. ... dopo aver studiato attentamente il carattere dei personaggi, le passioni che li dominano e i sentimenti che li esprimono, immagino di essere diventato quello stesso che parla e mi sforzo di sentire e di esprimere efficacemente alla sua stessa guisa. . . . chiuso nella mia stanza comincio a declamare la parte del personaggio del dramma con tutto il calore della passione ... così trovo i motivi e i tempi musicali adatti ... poi li getto sulla carta e li provo al clavicembalo; quando ne sento la corrispondente emozione giudico di esserci riuscito. In caso contrario torno a ispirarmi finché abbia conseguito lo scopo.” Il proposito di un Bellini alle prime armi parla del progetto di non scrivere più di un'opera all'anno. Proposito che mantenne poi, salvo l'eccezione della “Zaira” con regolare metodicità. Bellini ha bisogno di tempo per poter esprimere compiutamente il suo genio artistico e musicale; ne sono tangibile prova i tanti abbozzi di brani che rimasero poi inediti. Ai suoi tempi un'opera bisognava di norma scriverla in fretta, per diversi motivi: o perchè il compositore, pur di non perdere una scrittura, sottoscriveva troppi impegni quasi contemporanei, se non addirittura contemporanei (come Rossini o Donizetti), o perchè l'impresario, messo alle strette da qualche risposta negativa o inadempienza, commissionava un'opera a poche settimane dalla prevista messa in scena. Bellini, che non aveva la vena pronta e facile, ma spesso superficiale, dei succitati Rossini e Donizetti, aveva bisogno di immedesimarsi nei personaggi, nel loro modo di sentire, nel loro più intimo io per poter far sgorgate le sorgenti della musica. Dopo lo studio del carattere, egli cerca di immedesimarsi nel personaggio con le parole che gli ha messo a disposizione il poeta. Recitandole ad alta voce, si impossessa delle inflessioni, del ritmo, degli accenti e li trasforma in intonazione musicale. Ecco materializzarsi così il discorso musicale vero e proprio. Un discorso fatto di suoni e di pause, di melodie e di armonie, di accenti e di chiaroscuri. Dopo che i sentimenti umani, attraverso la parola, si sono incarnati in musica, al musicista non rimane che realizzarli graficamente, provandone la corrispondenza tra intento ed effetto. Spesso è poi solo la scena a confermare questa validità; e Bellini spesso e volentieri taglia, aggiunge, lima e perfeziona i brani proprio durante le prove in teatro. Questo è naturalmente solo l'atto esteriore della composizione. Come e perchè poteva nascere “quel” motivo, “quella” melodia, “quell’accento”, poteva saperlo solo l'autore; ma per questo non esistono parole. Lo stesso Bellini non poteva che rispondere: ” Non lo so, e non posso neanche dirvelo; mi sono venute e io le ho scritte.” Si può descrivere l'opera, le ragioni che l'hanno provocata e ispirata, ma non si può descrivere l'iter compositivo. Tentare di indagare le profondità della coscienza e della psiche è un atto senza significato e che non può produrre nessuna risposta. La stessa parola “ispirazione” è spesso fonte di equivoci, se non è illuminata dall'aspetto dello spirito capace di fermarsi e di raccogliersi, di porre attenzione e ascolto alle vicende interiori. Perchè ispirazione è essenzialmente contemplazione. Fra tutti coloro che conobbero Bellini, solo Ferdinand von Hiller riusci a coglierlo in uno dei suoi momenti creativi: “Quando, seduto al pianoforte incominciava a cantare i versi del suo poeta, in cento modi, rigirandoli, provandone l'effetto, e pensando anche al Rubini e alla Pasta, il suo sentimento non si raffreddava. Simile a un grande attore sentiva le emozioni di coloro che la sua musica ispirava, la loro gioia, il loro affanno. Piangeva e giubilava con loro, mentre le dita, solamente per aiuto, accarezzavano alcuni arpeggi al pianoforte. Passione, dramma, stati d'animo si incarnavano nel canto, diventavano l'espressione dei personaggi. L'accompagnamento era solo un di più, una veste armonica che rendeva più sublime le emozioni del canto. Gli autografi musicali ci parlano di correzioni, di pentimenti, di cancellazioni che precedono la stesura definitiva di un motivo, il quale è in definitiva l'unico tormento che assilla la mente dell'autore. Frasi che vengono ripetute più volte, sempre modificate, finché non assumono la loro sembianza definitiva, quella cioè che realizza compiutamente l'emozione del musicista. Bisogna poi aggiungere che Bellini aveva un innato e' profondo senso dì autocritica, che gli faceva troncare di colpo una qualche frase musicale che gli appariva scialba o priva di ispirazione, senza più riprenderla. Lo stesso senso di autocritica gli faceva tagliare, totalmente o parzialmente, pezzi che durante le prove in teatro rallentavano o appesantivano l'azione. Se poi il personaggio, malgrado l'immedesimazione che Bellini sempre tentava di realizzare, non riusciva a rivivere nel suo animo, o vi riviveva solo di vita riflessa, rimaneva senza un'efficace fisionomia, freddo, distante, incompiuto. Il caso più evidente è il personaggio di Pollione, nella Norma. I suoi motivi denotano numerose varianti, che parlano chiaramente della difficoltà di Bellini a dargli un volto convincente e caratterizzante. Il duetto tra Pollione e Adalgipa costò a Bellini ben sette varianti, che riguardano specificatamente la seconda parte del duetto. Nessuna delle sette varianti convinse però Bellini. Egli allora non si fece scrupolo di andare a pescare, letteralmente, in una sua composizione da camera "Bella Nice che d'amore", composta nel 1829. Ma con ciò il suo tormento interiore non si placò. Egli non amò mai quell'aria e infatti, alla prima della Norma, quell'aria al pubblico non piacque. Così scrisse Bellini stesso: "Non piacque il duetto tra Pallione e Adalgisa, e mai piacerà, perchè non piace neppure a me!” Per ciò che concerne la "povertà " di orchestrazione, spesso rimproverata da taluni a Bellini (oggi, per fortuna, un rimprovero del tutto ridimensionato) particolarmente nella Norma, pensiamo sia giusto menzionare che fu lo stesso Bellini ad accennarne, dopo aver ascoltate e dirette molte esecuzioni dell’opera. Ma egli, più che ritoccarne la strumentazione, aveva l'intenzione di riequilibrare alcune sonorità degli strumenti, specialmente rispetto allo voci. L'amico Florimo non cessò mai di ricordare a Bellini la modifica dello strumentale della Norma. Nei mesi di inattività che Bellini passò a Parigi, dopo la rappresentazione trionfale dei Puritani, l'insistenza del Floriio divenne quasi ossessiva. Nella lettera del 18 luglio del 1835, poco prima della morte di Bellini, il Florimo così gli scrive “L'ozio nel quale marcisci mi mantiene in una continua inquietudine. Dimmi, ci avresti perduto se in questi sei mesi avresti strumentato e corretto la Norma? Come sei duro nel pensare come ti detta la tua gloriosa testa...basta ... i consigli che non si pagano, non si apprezzano. Quando parlo io tu continui a fare orecchie di mercante; poi il tempo giudicherà se ho ragione o torto”. Questa particolare insistenza del Florimo su un argomento che per Bellini era giá scontato, finì per irritarlo: “E tu ritorni sempre con la Norma! Ti ho replicato molte volte che con ho alcuna intenzione di farla dare qui. Se non dovrà servire per Parigi, sarà inutile fatica, e poi tu credi che io potrò usate la maniera di instrumentare dei Puritani? T'inganni: in qualche parte potrà essere, ma generalmente mi sarà impossibile per la natura piana e corsiva delle cantilene, che non ammettono altra natura d'instrumentazione: e ciò l'ho ben riflettuto”. E che Bellini avesse ragione se ne accorsero, a loro spese, due grandi musicisti: Bizet e Wagner. Ambedue reputarono di poter migliorare e completare la strumentazione, a loro detta manchevole, della Norma. Ma i loro tentavivi si infransero miseramente. Bellini adoperava dei singoli fogli, sui quali annotava, di volta in volta, spunti musicali idee, germi di emozioni, abbozzi tematici che poi con l'occasione adoperava, sviluppandoli, nelle opere che andava componendo. “Cerco di provvedermi di motivi, e ne vado facendo di non cattivi, che spero, avendo il libro (libretto), di situarli e svilupparli con effetto" (lettera al Florimo del 7 luglio 1828). Questi motivi, non sviluppati in una forma completa e definitiva erano dei semplici spunti emotivi, la esteriorizzazione di un'idea affiorata dalle profondità dello spirito. Emozioni dell'anima, intuizioni astratte, espressioni emotive, spesso di poche battute, che egli fermava in un appunto, in modo che poi, tornando a leggerle, potesse risentirne la forza ispiratrice. A lui bastava lo spunto; come svolgerlo, che forma dargli in bocca a chi porlo, con che accenti rivestirlo, con quali armonie accompagnarlo, come concluderlo, glielo avrebbe suggerito la parola del dramma che andava di volta in volta musicando. Ma non sono solo melodie quelle contenute in questi fogli musicali, ma anche progressioni armoniche piuttosto elaborate, o frammenti ritmici da poter intercalare nei recitativi. Qualche frase melodica è preceduta da una o due battute di accompagnamento; sotto qualche spunto è accennato un basso cifrato. In tutti questi temi, abbozzati per pianoforte, sono indicati il tempo e la tonalità. La cancellatura di qualche tema stava a indicare che il compositore se ne era servito per immetterlo in qualche opera. Le centinaia di temi che riempiono questi fogli, fascicolati dopo la sua prematura morte, e non adoperati ancora in nessuna delle sue composizioni, ci dimostrano che la fantasia di Bellini era in procinto di creare altre grandi opere. Osservare questi fogli è come osservare dei brandelli, vivi e palpitanti, della sua anima. Sono cellule sgorgate dalle profondità del suo essere. Inizi di discorsi rimasti incompiuti, per nostra disgrazia, per sempre. Trieste, 29/7/2001