EURO Monete: dall’età del bronzo alla Repubblica romana Corrado Sesselego 42 43 Parlare nell’età del bronzo di un’unica moneta, una specie di archeo-euro, che valesse come unità di rapporto tra i vari sistemi di valutazione dei beni nell’antichità è estremamente affascinante, soprattutto oggi che siamo di fronte alla moneta unica europea, dopo diverse manciate di secoli in cui le valute prendevano l’una campo sull’altra. EURO 44 EURO In questa pagina e a fronte in alto Ascia di bronzo, antica unità di misura monetaria. A fronte in basso Aes Signatum, gr 1750 ca., III sec. a.C. SOLDI, CAMBI E PREZZI NELL’ETÀ DEL BRONZO sisteva davvero il lingotto di lapislazzuli che permetteva il dialogo economico tra i diversi popoli che abitavano il Medio-Oriente antico e che commerciavano incessantemente tra loro esportando ed importando sia beni fondamentali che di lusso? Se sì, come sembra essere dimostrato, qual’era veramente il valore intrinseco di tale lingotto? L’Oriente antico era un patchwork di etnie diverse con usanze diverse, religioni che convergevano in alcuni punti e divergevano enormemente in altri. Una congerie di lingue, di intenzioni e di motivazioni sociali ed economiche si intrecciavano su un territorio che andava dalla Mesopotamia all’Egitto, all’Anatolia, alla Costa orientale del Mediterraneo. In questo mondo esistevano sistemi di misura dei beni, differenti per peso e frazionamento che permettevano lo spostamento dei beni stessi e dovevano trovare un punto di contatto, un dialogo economico capace di definire senza equivoci il valore di una merce e permettere il cambio di proprietà senza che si provocassero inimicizie e guerre. Se da un lato si accetta la scoperta dell’archeo-euro dall’altro si devono fare i conti con un sistema di rapporti economici estrema- E mente complesso e frammentario. Se consideriamo la moneta come unità di scambio e non il baratto, l’ambiente nel quale ci troviamo ad operare non è quello dei “liberi mercati”, ma quello delle grandi unità statali e religiose, sovrani e templi, che muovevano grandi quantità di risorse e di capitali e le cui scelte erano dettate sia da ragioni economiche che da motivazioni politiche. In questo contesto funzionava un sistema di forte accentramento delle risorse che poi venivano ridistribuite alla popolazione, in genere sotto forma di frumento, lana e olio. In questi casi la lira, il marco, il franco, che circolavano nelle tasche dei cittadini erano composti di chicchi, pezze o “aureo denaro liquido” che si scambiavano per ottenere altri beni di consumo, quali spezie, sale o cuoio. Sul piano internazionale, la situazione si faceva estremamente più complessa ed era regolata principalmente da rapporti numerici stabiliti dal sovrano e dalla sua burocrazia che tenevano fermamente in mano gli andamenti economici dello Stato. Non c’è stato sovrano in quel tempo che non abbia avuto da dire la sua in termini di distribuzioni e di fisco e che non abbia apportato ritocchi personali al rapporto argento/frumento, su cui si basavano le economie antiche. Ugarit è un esempio significativo il cui insieme di valori proporzionali può essere fatto risalire alla più antica età del Bronzo: un Talento valeva sessanta Mine e una Mina cinquanta Sicli. Complessivamente, quindi, il Talento corrispondeva a tremila Sicli come accadeva anche nel Regno di Israele e differiva da quello Mesopotamico che ne valeva 3600. Il suo peso poi era di 9, 29 g e corrispondeva ad una qtd egizia. Dall’altro lato, Ugarit conosceva un’altra suddivisione della Mina in quaranta Sicli, più vicina al sistema ittita: ogni Siclo era del peso di 11, 75 g. Ugarit e l’impero ittita condividevano dunque, in termini ponderali, il Talento e la Mina ma si rapportavano in una relazione di 4:5 quando si veniva ai Sicli. La cosa si faceva ancora più complicata quando entrava in gioco Karkemish. Qui la Mina di 470 g veniva suddivisa in sessanta Sicli di 7, 83 g, in rapporto di 5:6 con Ugarit. Questi rapporti poi perduravano nel tempo, perché la moneta nsp e il Siclo, diffusi nel territorio Filisteo, eredi rispettivamente del Siclo Ugaritico e Ittita, conservavano lo stesso peso ed il medesimo rapporto di 4:5. Si potrebbe andare avanti, ma il punto è ormai assolutamente chiaro: esisteva tra le monete in uso nell’area, un sistema di rapporti prestabiliti che è possibile estrarre dagli archivi di palazzo di quegli stessi luoghi che denota una pianificazione nel cambio per permettere il flusso continuo delle merci, stabilito in modo piuttosto rigido dall’autorità centrale. Il sistema contribuiva a far prosperare l’economia, sebbene soggetto a variazioni di prezzo e ad ondate inflative, come accadde in Assiria nel 712 a.C., sotto Sargon, durante il regno del quale il valore dell’argento si era parificato a quello del bronzo per la grande quantità di metallo prezioso razziato in Cilicia. Siamo in un mondo di forte accen- EURO 45 tramento economico, essenzialmente basato sulla ridistribuzione della ricchezza da parte della casta dominante, responsabile, essa stessa, della politica economica internazionale. Su questo piano esisteva un unico complesso di rapporti tra unità ponderali di diversa origine che veniva rigidamente preservato dal potere centrale di ciascuna unità nazionale. È probabilmente in questo quadro che si inserisce il proto-euro di lapislazzuli identificato da Menderos e Lamberg-Karlovsky. Il suo peso, come unità di scambio è probabilmente duplice. Da un lato consiste nel fatto che tutte le civiltà di riferimento riconoscevano la preziosità di questa pietra: per gli Egizi, di lapislazzuli erano fatti anche i capelli degli dei. Dall’altro entriamo, probabilmente, in un ambito particolare tipico delle culture antiche in cui il valore intrinseco di qualcosa è definito anche dal suo valore in quanto dono. È una riflessione che non deve stupire e gli esempi sono numerosi. Uno in particolare, degno di considerazione, è la pelekys, l’ascia di bronzo. Siamo nel VII sec. a.C. e in Asia Minore si compie il passaggio definitivo dalla valutazione economica basata sull’oggetto di pregio all’introduzione vera e propria della moneta, che poi è fondamentalmente il lingotto di metallo prezioso contrassegnato di cui si garantiscono peso e lega. La moneta stessa però non è che l’erede dell’artefatto di pregio, l’agalma, il bene speciale, il cui valore economico, sociale e religioso cresce via via che passa da un uomo ad un altro. La moneta si differenzia da questo solo perché mantiene costante il proprio valore nel tempo e contemporaneamente rimane circoscritta ad un ambito specifico, molto più ristretto di quello dell’oggetto di pregio. Non tutti infatti le riconoscono lo stesso valore che si riconosce ad un lebete o ad un elmo di buona fattura. Que- sti stessi oggetti però, che originariamente erano agalmata, assumono progressivamente un valore monetale di valutazione dei beni. Tripodi e lebeti hanno questa funzione nelle iscrizioni sul Pythion di Gortina. Caso simile può essere definito per la pelekys. L’ascia di Cipro aveva un valore ponderale di 4 Mine, quella di Creta di 6 o 10. Alla fine del VI sec. a.C., il decreto di Spensithlos stabilisce la quantità annua della carne secondo il peso della pelekys. L’ascia però non nasce come unità ponderale, ma come agalma. A Tenedo, la asce erano materiale di scambio, simbolo religioso, strumento per l’esecuzione del sacrificio e delle condanne. Aristotele ne parla, ricordando le pelekeis dedicate a Delphi da Periclito di Tenedo. Come unità di misura monetaria, l’ascia comincia ad agire in maniera incisiva su base locale, all’interno di quelle comunità che ne riconoscono il suo valore monetario, ma, all’esterno, non perde del tutto il suo significato come agalma. È ovvio che il fenomeno di valutazione del bene tramite un’unità ponderale era decisamente in espansione, fino ad imporsi in maniera decisiva sui mercati. Non è improbabile che il lingotto di lapislazzuli, se ne riconosciamo il valore di mediatore tra sistemi monetari antichi, abbia esordito come la pelekys, come un bene il cui valore veniva universalmente riconosciuto, scambiato e donato, e che sia passato da manufatto o pietra grezza a unità con un peso riconoscibile, imponendosi come strumento di relazione tra le “valute” nazionali di centri geografici ed economici diversi, ma senza mai sostituirsi ad essi. Per contro è anche vero che in un ambiente dove battere moneta era una prerogativa del potere centrale, fonte di autorità e propaganda, non si poteva fare più di così. D’altronde siamo solo nel II millennio a.C. EURO 46 LA REPUBBLICA ROMANA: DALLE PECORE ALL’ARGENTO ella società romana arcaica l’economia era basata sull’azienda familiare secondo un principio di sussistenza e un margine di mercato estremamente basso. Il mercato stesso era basato sul bestiame che in massima parte veniva barattato. Il termine latino pecunia, piuttosto antico e che noi usiamo ancora oggi per indicare il denaro, deriva probabilmente da pecus, appunto bestiame. Parlando in termini più generali, già nel V secolo, periodo in cui Atene viveva il suo massimo splendore, e forse anche prima, esisteva in Italia Centrale un rudimentale sistema di scambio, basato sui metalli, che fungeva a mo’ di pietra di paragone standard per gli scambi tra popolazioni della zona. Il primo a riferirne è Plinio nella Naturalis Historia che chiama questa moneta primitiva, il cui valore di scambio non consisteva tanto nella quantità di materiale prezioso che conteneva quanto piuttosto nel suo peso, Aes Rude. Questo tipo di Aes era un blocco di bronzo non lavorato, totalmente privo di forma il cui peso era più o meno standardizzato. Non è poi da escludere che, come in altre parti dell’Europa Meridionale, circolasse bronzo forgiato ad anello o ad ascia, la cui forma e quindi il peso erano riconoscibili a vista. Il passo successivo nell’evoluzione della moneta non tascabile dei romani è l’Aes Signatum, un lingotto di bronzo, di cui lo stato garantiva peso e qualità della lega attraverso un proprio contrassegno sul blocco stesso. Questo nuovo sistema cambiava relativamente poco la realtà commerciale appena descritta e serviva principalmente per spese di dimensioni rilevanti che venivano pagate in lingotti. L’ultimo passo nell’evoluzione di N Aes Signatum, III sec. a.C. Statere in oro, VI sec. a.C. Moneta aurea, prima del VI sec. a.C. Siclo in argento, I sec. a.C. Quinarius bronzeo, III sec. a.C. questo sistema monetario è rappresentato dall’Aes Grave che già contiene tutti i principi fondamentali della produzione di moneta. In quest’ultimo caso il sistema di valutazione del peso era basato su una scala duodecimale e si basava sull’unità di 1 libbra e su tutta una serie di decimali che andavano dal Semis, mezza libbra, fino alla singola oncia. Questa “moneta” tipicamente romana ebbe una diffusione unicamente locale e non venne mai impiegata nelle transazioni con le città della Magna Grecia, le quali avevano già un sistema monetario perfettamente evoluto e un’ economia imprenditoriale e commerciale di tutto rispetto. Nel frattempo, però, Roma stava muovendo i primi passi per trasformarsi, in meno di due secoli, da centro pastorale a centro di potere mondiale. Siamo nel 269 a.C.: Plinio, molto più tardi fisserà questa data per stabilire la nascita del Denarius, la moneta che per la sua versatilità sarà la regina del sistema monetario romano. A quel tempo Roma, aveva già affrontato la guerra contro Taranto e Pirro, re dell’Epiro, famoso tattico e stratega militare, battuto a Benevento nel 275 a.C. Il Console Curio Dentato sfilò a Roma con gli elefanti del re dell’Epiro. La vittoria ebbe conseguenze importanti, la più significativa delle quali fu che Tolomeo Filadelfo, sovrano dell’Egitto, riconobbe il prestigio internazionale di Roma ed inviò un’ambasceria per instaurare rapporti di amicizia. Taranto ebbe l’autonomia “alla romana”, potendo mantenere un proprio esercito e una flotta, battere moneta e conservare le proprie fortificazioni, ma dovette accettare un presidio romano e promettere di fornire truppe e navi. Molti altri presidi furono posti in altrettante città del sud Italia. Roma era adesso in una posizione contraddittoria. Permetteva ad altri 47 di battere moneta, accumulava ricchezze, otteneva tributi e non aveva un sistema monetario degno di questo nome. Il primo esperimento venne fatto nel 269 a.C. con l’emissione di una moneta d’argento e un tentativo di fissare il valore di scambio tra l’argento e il bronzo. Tramite i suoi stretti rapporti con il mondo della Magna Grecia, Roma mise in circolazione la Didracma, una moneta con evidenti caratteristiche greche a cui vennero affiancate frazioni bronzee che ebbero forti oscillazioni di cambio fino al 187 a.C., anno in cui il Denarius venne a portare un po’ di pace nel travagliato sistema monetario romano. Queste modificazioni, tuttavia, non portarono alla sparizione definitiva dell’Aes Grave che continuò ad essere in uso ancora per diverse decadi. Nel frattempo Roma passava attraverso il torchio delle guerre contro Cartagine che prosciugarono completamente le sue risorse umane e finanziarie: flotte intere erano state costruite e decine di migliaia di uomini erano morti. Nel 249 a.C. i Romani dovettero fermare la guerra a causa delle ingenti perdite: 35.000 uomini solo nel corso di quell’anno e 103 navi gettate al vento per inesperienza nella navigazione. Nel 247 a.C. la guerra era costata complessivamente 100.000.000 di Denarii, anche se questa moneta ancora non esisteva. Le spese, generalmente, venivano coperte con le rendite delle province, con le indennità di guerra e con il prestito forzoso che veniva imposto ai cittadini e agli alleati, che tuttavia non potevano contare loro stessi su grandi risorse, avendo principalmente un sistema economico a scarsa concentrazione di capitali. I costi erano comunque destinati ad aumentare per tutto il corso delle Guerre Puniche. Nel periodo di pace tra il I e il II conflitto contro i Cartaginesi, che poi pace non fu, e durante il conflit- EURO Chiusura di tomba con monete incastonate nell’intonaco. Roma, Catacombe di Panfilo. Alcuni esempi di Aes Grave (a sinistra al centro) e di Aes Rude (a destra e a sinistra in basso). EURO Aes Grave e Victoriatus. Siclo in argento, VI sec. a.C. Denarius di Silla, I sec. a.C. Quinarii di Pirro, I sec. a.C. Denarius di Silla, I sec. a.C. 48 to contro Annibale, la monetazione romana fu aperta alla sperimentazione e portò all’immisione di nuove monete, che in molti casi ebbero vita breve e a nuovi rapporti di cambio tra l’argento e il bronzo. Tra il 222 e il 205 i Romani introdussero il Quadrigatus (che essenzialmente corrispondeva alla Didracma) e il mezzo-Quadrigatus, ridussero ancora il peso dell’Aes e immisero due monete d’oro, lo Statero e il mezzo-Statero che in periodo di pace non avrebbero potuto durare. Il prosciugamento economico della guerra colpì violentemente anche il Quadrigatus, composto quasi di argento puro, il cui peso venne dimezzato con le conseguenze che possiamo immaginare. La moneta stessa sparirà definitivamente dopo la fine delle Guerre Puniche. Nel 205, i Romani sostennero il proprio sistema monetario con l’introduzione di un nuovo conio in argento, il Victoriatus, immesso al peso del mezzo-Quadrigatus, non più in uso, che rimase la moneta d’argento in circolazione fino all’introduzione del famoso Denarius. Nonostante la confusione, le incertezze e i mutamenti nei rapporti di cambio, l’introduzione di nuove monete si rese necessaria a causa di circostanze eccezionali e mutamenti economici: l’afflusso di ricchezze dalle colonie o i deficit di guerra, l’apertura e la chiusura frequente di mercati e i continui cambiamenti di flusso nelle circolazione dei capitali. Mutamenti consistenti che erano avvenuti in tempi relativamente brevi. In questo frangente, i Romani si erano posti due obbiettivi primari: la realizzazione di un sistema di cambio stabile, basato sul valore della moneta bronzea come frazione della moneta d’argento, e l’istituzione di un sistema monetario fondato sul conio. Dopo le guerre Puniche e dopo che l’economia generale della Penisola e di tutta l’Europa sud-occi- dentale, esclusion fatta per la Grecia che avrebbe goduto di indipendenza fino al 167 a.C., Roma, ormai padrona di ingenti quantità di metallo prezioso e fulcro economico di un consistente gruppo di province, si lanciò in una riforma monetaria che avrebbe garantito il proprio successo economico, stabilità nei cambi, una consistente ma equilibrata circolazione di moneta, anche se non senza alti e bassi e avrebbe favorito l’imposizione dell’economia romana in tutto il bacino del Mediterraneo. Siamo nel 187 a.C., la data più probabile per la nascita del Denarius. Il vecchio sistema di rapporto tra le monete d’argento e di bronzo, che i romani avevano cercato di sostenere con la continua riduzione di valore della moneta bronzea e in ultima analisi con l’introduzione del Victoriatus era definitivamente collassato. L’introduzione del Denarius, strinse il legame tra la monetazione romana e quella degli stati greci, permettendo, se non un’equiparazione nella relazione argento/bronzo, almeno un avvicinamento consistente come non si era mai avuto. Nel 269 a.C., l’argento in Italia Centrale valeva 270 volte il bronzo, 2 volte più alto che in Magna Grecia. Nel 187 a.C., il rapporto era sceso 1:120. Accanto al Denarius vennero introdotti il Quinarius, che come dice il suo nome valeva metà del Denarius e il Sestertius, a sua volta metà del Quinarius. Entrambe le monete, però, non rispondevano bene alle esigenze di mercato dell’epoca e furono ritirate entro il 172 a.C. Il Denarius subì gli ultimi aggiustamenti tra il 155 e il 120 a.C., originariamente di 4 scripule (4, 52 gr) scese a 3 scripule (4 gr), il cui peso rimase costante circa fino all’età di Nerone (54-68 a.C.). Per comprendere a fondo cosa rappresentasse il sistema monetario romano, è necessario comprendere anche come funzionas1/4 1/2 EURO 49 sero le magistrature relative all’immissione di denaro liquido sul mercato. Solo lo Stato godeva del diritto di battere moneta, anzi potremmo dire che questo diritto era un “sacro diritto”. A Roma esisteva una dea, Sacra Moneta, che non era solo la dea delle finanze e della produzione monetaria, ma lo spirito divino stesso, il Genius, del conio. Concretamente, gli aspetti erano assolutamente inseparabili: la zecca si trovava nel tempio di Giunone Moneta, nel quale, probabilmente si trovava tutta l’attrezzatura per la produzione materiale delle monete. Nella capitale esistevano i Triumviri Monetales, che per un breve periodo furono portati a 4 da Cesare nel 44 a.C., ma ridotti nuovamente a 3 nel 36 a.C. I Triumviri, generalmente, erano rampolli di famiglie abbienti che iniziavano una carriera politica e che garantivano al proprio potente nucleo familiare un certo grado di controllo sulle emissioni monetarie. La moneta, in Roma antica, era uno strumento durevole di dimostrazione di prestigio personale. Uomini politici, famiglie in vista, Tribuni della Plebe usavano la moneta per dichiarare al popolo i propri successi militari, la necessità di riforme sociali, un legame speciale con una qualche divinità. Uno dei casi più interessanti è senz’altro Silla, il quale mostra un meccanismo particolarmente complesso. Silla era definito Felix, ed era considerato il prescelto di una divinità: il titolo gli venne ufficialmente tributato dal Senato dopo l’83 a.C. La sua felicitas era il dono di Venere che gli aveva concesso di vincere contro tutti i suoi avversari e di riportare l’ordine a Roma; credere in questo aspetto della personalità di Silla era un elemento obbligatorio del credo sociale e religioso. Questa Venere, dea della vegetazione di origine romana era già molto popolare da prima del 205 a.C ed era già entrata in contatto con l’Afrodite della Magna Grecia con cui si era fusa. Sull’Aureus e sul Denarius di Silla compaiono, come su un manifesto elettorale estremamente sincretico, la testa di Venere insieme alla doppia cornucopia egiziana che attesta abbondanza, unitamente al fiocco del diadema dei re. Espressamente sul Denarius Venere è unita al caduceo, simbolo di fortuna e giustizia. La propaganda è ancora più profonda se si pensa che elementi di iconografia greca collegano già la dea all’Afrodite Troiana, da cui discendevano i Romani attraverso Enea. Come dea lunare, era assimilabile a Bellona, la dea romana della guerra, che in sogno aveva consegnato a Silla i fulmini per sterminare i propri nemici, a cui si univa la profezia di un fanaticus di Bellona che aveva profetizzato la vittoria del dittatore. Silla, ovviamente, non fu l’unico a fare uso di questo strumento di propaganda. Dopo di lui, nel tempo, le rappresentazioni divine astratte si accompagneranno alle rappresentazioni di persone realmente esistite. Il processo avviene in modo piuttosto peculiare: l’Aureus del 44 a.C. mostra una figura femminile il cui profilo coincide con quello di Cesare; nello stesso periodo Pompeo conia in Spagna degli Assi di bronzo su cui lui stesso è rappresentato come Giano bifronte. Antonio, si fa a sua volta rappresentare per dimostrare la legittimità della sua successione a Cesare. In breve, nella Roma repubblicana la moneta è un doppio strumento di potere, sia per il suo valore intrinseco, sia per la sua capacità di circolazione, semplicemente detto, per la sua capacità di infilarsi nelle tasche di tutti. È ovvio che una moneta con scarso valore di acquisto faceva fare una pessima figura all’uomo che vi aveva fatto imprimere il suo volto. Al contrario, invece una moneta con un alto quantitativo di argento faceva contenti tutti. Moneta di electron e Julius. Primitiva Didracma. Quadrigatus. Sestertius e Moneta aurea del III sec. a.C.