La_Dinamica Endogena - IC San Giovanni Bosco

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DINAMICA ENDOGENA
Finalità: avere una visione globale e unitaria dei fenomeni che avvengono all’interno della Terra e
collegarli a quelli esterni. Realizzare che le forze endogene sono distruttrici, ma anche creatrici delle
forme di paesaggio terrestre, in continua e incessante evoluzione, essendo le forme attuali
prodromi di quelle future.
Tempo previsto: 35-40 ore
Prerequisiti
⇒ Definire atomo, molecola, ione
⇒ Distinguere tra elementi e composti
⇒ Caratterizzare i diversi stati di aggregazione della materia
⇒ Leggere una formula chimica e i cartogrammi
⇒ Illustrare il concetto di ciclo in scienze della natura
⇒ Chiarire i concetti di densità, temperatura, calore e sapere come si propaga.
Conoscenze
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⇒
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I costituenti della litosfera: minerali, rocce e ciclo litogenetico
Il processo magmatico e le rocce ignee
L’attività vulcanica; il vulcanesimo in Italia
L’attività sismica
Il rischio vulcanico e sismico: analisi dei parametri (analitici e sintetico)
La struttura interna della terra: modelli
Deriva dei continenti e tettonica delle placche
Geologia strutturale: deformazioni tettoniche e processo metamorfico
La storia geologica della terra.
Competenze
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Definire un minerale e una roccia e confrontare i due concetti
Elencare, classificare, tabulare e descrivere tipi di minerali, di rocce e loro proprietà
Riferire alcuni esempi per ciascuna classe
Individuare i criteri di classificazione di minerali e rocce
Illustrare e rappresentare il ciclo petrogenetico e le forze che lo determinano
Descrivere il processo magmatico, classificare le rocce ignee e distinguere una roccia
intrusiva da una effusiva
Definire il vulcanesimo e individuarne la causa
Riconoscere e descrivere i vari tipi di materiali vulcanici
Definire e distinguere tra magma e lava
Riconoscere, classificare e descrivere i vari tipi di magma, collegandoli con i diversi tipi
di eruzione
Evidenziare i meccanismi che portano alla formazione dei vulcani
Distinguere e classificare i vari tipi di eruzione e di apparati vulcanici
Individuare sul planisfero la distribuzione geografica dei vulcani nel mondo e in Italia,
collegandola alla dinamica della litosfera
Distinguere tra plutonismo, vulcanesimo primario, secondario e fenomeni
pseudovulcanici
Definire sismi e bradisismi
Discutere le cause dei terremoti e spiegare la teoria del rimbalzo elastico
Caratterizzare le onde sismiche e descriverne gli effetti
Esporre parametri e scale di valutazione dei terremoti
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
1
⇒ Descrivere un sismografo e un sismogramma
⇒ Individuare le aree sismiche nel mondo e motivare questa distribuzione non casuale
⇒ Discutere sul rischio vulcanico e sismico, sulla previsione e prevenzione dei fenomeni
endogeni
⇒ Argomentare i metodi di studio dell’interno della Terra
⇒ Descrivere le discontinuità e i vari gusci
⇒ Spiegare la deriva dei continenti ed enunciare le prove che la sostengono
⇒ Enucleare e discutere i punti salienti della tettonica a zolle
⇒ Argomentare sui tipi di placche, tipi di margini e spiegare le strutture della Terra
⇒ Esporre l’origine delle rocce metamorfiche
⇒ Distinguere i vari tipi di metamorfismo
⇒ Discutere i vari tipi di deformazioni delle rocce (pieghe, faglie) e riconoscerle su una foto
⇒ Elencare e descrivere eoni, ere e periodi della storia geologica della terra.
Capacità di:
Interpretare in modo unitario i fenomeni endogeni
Collegare i fenomeni interni e quelli esterni al pianeta Terra, inteso come sistema
Assumere atteggiamenti consapevoli e razionali riguardo alla previsione, prevenzione e
difesa dei rischi geologici
Valutare criticamente le nuove informazioni e dare loro significatività logica per ampliare
e riorganizzare la propria rete di conoscenze
Migliorare il metodo di apprendimento costruendo in modo personale schemi e mappe
concettuali
Leggere ed interpretare fotografie, tabelle e grafici.
Articolazione del modulo (DSTV): contenuti
1. U.D. I costituenti della litosfera: minerali e
ciclo delle rocce
2. U.D. Il processo magmatico e le rocce
magmatiche
5. U.D. L’interno della Terra
3. U.D. L’attività vulcanica:
vulcanesimo primario,
secondario
fenomeni pseudovulcanici
4. U.D. L’attività sismica
7. U.D. Le deformazioni
metamorfismo
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e
6. U.D. La tettonica delle placche
tettoniche
e
il
8. U.D. Paleontologia e storia geologica
della Terra.
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COSTITUENTI DELLA LITOSFERA O GEOSFERA
PREREQUISITI
• tavola periodica
• significato di atomo, ione, molecola
• leggere una formula chimica.
OBIETTIVI in termini di conoscenze e competenze:
•
•
•
•
•
Definire un minerale
Elencare le classi chimiche più importanti
dei minerali
Riferire alcuni esempi di minerali
Distinguere tra struttura cristallina e
amorfa
Illustrare i concetti di filare, piano,
reticolo, cella fondamentale
•
•
•
•
Elencare i 7 sistemi cristallini e i 3 gruppi
Elencare e distinguere le proprietà
fisiche scalari e vettoriali dei minerali
Definire una roccia
Rappresentare
e
descrivere
il
ciclo litologico.
MINERALI: corpi solidi inorganici, la cui composizione è esprimibile con una formula chimica
ben definita.
In altre parole, sono sostanze:
•
NATURALI: perché si formano grazie a processi chimici e fisici che avvengono in natura;
•
OMOGENEE: perché mantengono la stessa composizione e le stesse proprietà in ogni loro
parte;
•
SOLIDE: perché le loro particelle (ioni, atomi, molecole) sono disposte regolarmente,
ordinatamente, in base ad un preciso disegno detto “reticolo cristallino” che si ripete con
regolarità e periodicità nelle tre direzioni dello spazio. Eccezione: il mercurio, minerale liquido.
Elementi costitutivi o strutturali
All’interno del reticolo è possibile individuare gli elementi costitutivi o strutturali:
•
•
•
•
Nodo posto occupato da una singola particella;
Filare di particelle, insieme di nodi collegati
Piano reticolare formato da filari
Cella elementare che si ripete mantenendo costanti le caratteristiche strutturali del cristallo: è
l’unità strutturale, il mattone, il più piccolo gruppo di atomi.
•
Reticolo cristallino = insieme di tutte le particelle nella loro disposizione regolare.
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3
Nella definizione di cristallo ci sono due concetti importanti:
1. Il concetto di omogeneità
2. Il concetto di periodicità (HAϋY, 1784).
MODELLO DI BRAVAIS (1848), cristallografo francese
Egli concepì i cristalli come reticoli spaziali, con punti materiali (nodi) posti ad una certa
distanza come i nodi di una rete metallica.
Secondo Bravais i cristalli hanno
1.
Una struttura discontinua, cioè sono fatti da particelle non ammassate ma ad una certa
distanza, tenute insieme da legami chimici, con spazi vuoti tra loro. Perciò, la distanza tra loro
può diminuire abbassando la temperatura, può aumentare alzando la temperatura del cristallo;
2.
Una struttura reticolare, poiché gli atomi sono disposti lungo dei filari nelle tre direzioni,
formando un reticolo cristallino. I nodi sono occupati dagli atomi, i fili che tengono assieme i
nodi sono le forze dei legami chimici, ma non sono materiali.
3.
Una struttura periodica, vale a dire gli atomi sono disposti regolarmente secondo un preciso
ordine, dove si ripetono dei parametri che costituiscono le costanti del reticolo. La cella
cristallina è il più piccolo gruppo di atomi costituenti il cristallo, costituito dal ripetersi regolare
della cella elementare nelle tre direzioni.
I MINERALI VENGONO ANALIZZATI E CLASSIFICATI DA 3 PUNTI DI VISTA (CRITERI)
1. CHIMICO: classificazione in classi, con il criterio fondamentale della presenza dell’anione.
Nella composizione chimica prevalgono gli ioni positivi o cationi (Fe, Mg, Pb, Cu, Na, K),
mentre ci sono pochi anioni come S-2, F-1, Cl-1, O-2, CO-23, SO4-2, SiO4-4. La classificazione
chimica si basa sul criterio fondamentale della presenza dell’anione. Nei minerali terrestri i
principali costituenti sono: O, Si, Al, Fe, Ca, Mg, Na, K, …….. .
2. CRISTALLOGRAFICO: in 7 sistemi e in 3 gruppi;
3. FISICO: proprietà scalari e vettoriali.
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CLASSIFICAZIONE DEI MINERALI
Vengono suddivisi in due gruppi: silicati e non silicati, riuniti in 12 classi, in base ad un punto di
vista chimico:
1. Elementi nativi: metalli (oro, argento, platino, rame, ferro); semimetalli (arsenico,
bismuto); non metalli (zolfo, diamante, grafite). Sono nativi perché non reagiscono con
altri.
2. Solfuri: pirite (FeS2), galena (PbS), blenda (ZnS), calcopirite (CuFeS2), cinabro (HgS).
L’anione è S-2
3. Ossidi e idrossidi: l’anione è O-2. Quarzo (SiO2), ematite (Fe2O3), limonite (Fe2O3 n H2O).
-
-
-
-
4. Alogenuri: Cl , Br , F , I , XZ e XZ2: salgemma, silvite
5. Carbonati e Nitrati: (CO3)2- e (NO3)1-: calcite, magnesite, siderite, dolomite
6. Borati: BO3 e BO4, borace
7. Fosfati: (PO4)3-: apatite
8. Solfati: (SO4)2- anidrite, gesso (solfato idrato)
9. Silicati: (SiO4)-4 nesosilicati, sorosilicati, ciclosilicati, inosilicati, fillosilicati, tectosilicati.
Olivina, granati, pirosseni, anfiboli, miche, feldspati, berilli, quarzo.
I SILICATI
Derivano dalla combinazione di due elementi principali: O2, Si con aggiunta di Al, Na, K, Ca,
Mg. L’unità strutturale è lo ione (SiO4)-4 che è un tetraedro con al centro uno ione di silicio e ai
4 vertici ioni di ossigeno.
Minerali femici, scuri con Fe e Mg (biotite, anfiboli, olivina, pirosseni).
FAMIGLIE:
Minerali sialici, chiari con Si (quarzo, feldspati).
1. NESOSILICATI: neso = isola, con tetraedri isolati. Es. olivina, topazio, zircone.
2. SOROSILICATI: soros= gruppo, con tetraedri in gruppi di due - sei ad anello. Berillo,
tormalina.
3. INOSILICATI: inos = catena, con catena singola (pirosseni) o doppia (anfiboli).
4. FILLOSILICATI: fillon = foglia, strato, i tetraedri formano strati piani con struttura lamellare
(miche).
5. TECTOSILICATI: con struttura tridimensionale (quarzo, feldspati).
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5
STRUTTURA CRISTALLINA E AMORFA
La struttura cristallina dei minerali è dovuta alla disposizione ordinata delle particelle (atomi,
ioni, molecole) e i minerali in tal caso si dicono cristalli.
La struttura amorfa è dovuta alla mancanza di una disposizione ordinata e regolare delle
particelle e i minerali si dicono vetri o sostanze amorfe.
Classificazione dei cristalli
La classificazione dei cristalli si basa sugli elementi di simmetria e sul valore dei parametri
della faccia fondamentale. In base alla forma e alla disposizione delle celle fondamentali, i
minerali vengono classificati in 3 gruppi. I gruppi si dividono in 7 sistemi che comprendono i
cristalli con la stessa inclinazione degli assi cristallografici. I sistemi comprendono 32
classi con i cristalli che hanno lo stesso grado di simmetria.
Gruppo monometrico, in cui la cella
elementare è un cubo e a = b = c; cioè, le
tre dimensioni sono uguali tra loro. Ha un
solo sistema: cubico.
Gruppo dimetrico: la faccia fondamentale
ha due parametri uguali e uno diverso, quello
verticale.
Ha
tre
sistemi: esagonale,
trigonale, tetragonale.
Gruppo trimetrico: La faccia fondamentale
ha i tre parametri diversi. Ha tre
sistemi: rombico, monoclino, triclino.
romboedrico (una dimensione dive
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SE LO SI ALLUNGA
SE LA BASE
TETRAGONALE
ROMBICO
DIVENTA UN
RETTANGOLO
Se la base diventa esagono
MONOCLINO
ESAGONALE
TRICLINO
CUBICO
Se lo si inclina su tutti e 3 i lati
Se lo si comprime
ROMBOEDRICO
ISOMORFISMO: fenomeno per cui sostanze diverse per la composizione chimica,
cristallizzano in forme simili.
POLIMORFISMO: fenomeno per cui una stessa sostanza cristallizza in forme diverse.
Esempio, il carbonio cristallizza sotto forma di diamante o di grafite.
DIAMANTE
GRAFITE
1. Cristallizza nel cubico
1. …. Nell’esagonale
2. ogni C con altri 4 atomi
2. ogni C con altri 3 atomi
3. angoli di legame di 109°,5
4. struttura tetraedrica
3. angoli di 120°
4. struttura esagonale
5. reticolato di legami nelle 3 dimensioni
5. legami in piani uniti da deboli legami.
PROPRIETA’ FISICHE DEI MINERALI
A) SCALARI: non direzionali, non dipendono dall’orientamento secondo il quale si misurano, cioè
il loro valore non dipende dalla direzione di misurazione.
• Peso specifico = peso per unità di volume
• Punto di fusione = temperatura alla quale si ha il passaggio dallo stato solido allo stato
liquido.
B) VETTORIALI O DIREZIONALI: sono diverse in relazione alla direzione di misurazione.
•
•
•
•
•
•
•
Duttilità = capacità di ridursi in fili
Malleabilità = capacità di ridursi in lamine
Sfaldabilità = rottura lungo piani tipici
Durezza = resistenza alla scalfitura
Magnetismo = proprietà di attirare o respingere altri magneti
Struttura = aspetto esterno
Frattura = rottura non secondo piani tipici
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• Piezoelettricità e piroelettricità = proprietà di elettrizzarsi in seguito a compressione o
riscaldamento e deformarsi
• Rifrazione = modificare la velocità della luce e la sua direzione. Il grado di deviazione =
indice di rifrazione.
LE ROCCE IGNEE O ERUTTIVE O MAGMATICHE
•
•
•
OBIETTIVI:
Definire una roccia
• Distinguere una roccia effusiva da una
intrusiva
Esporre l’origine delle rocce ignee
• Indicare i criteri di classificazione e
Elencare le caratteristiche delle rocce
classificare le rocce ignee.
LE ROCCE sono un aggregato di minerali, pertanto sono dei corpi eterogenei, cioè variano le
loro proprietà fisiche e chimiche, in base alle proporzioni con cui entrano a far parte i vari
minerali costituenti, e non sono, quindi, esprimibili con una formula chimica ben definita.
Esse possono essere considerate il libro della storia della Terra, perché in esse si possono
leggere la storia e l’evoluzione del Pianeta.
Le rocce sono classificate in tre diversi litotipi (criterio origine):
1. Ignee o magmatiche (65% in volume, di cui 40% effusive o vulcaniche, 25% intrusive o
plutoniche;
2. Sedimentarie (8%)
3. Metamorfiche (27%).
Ogni roccia è contraddistinta da:
COMPOSIZIONE MINERALOGICA (dipende dalla genesi): tipo e percentuale di minerali che
la costituiscono. I minerali possono essere:
1. accessori = presenti in quantità minime
2. fondamentali = i più abbondanti e caratterizzanti
3. accidentali = che non caratterizzano la roccia anche se in gran quantità.
Un’altra caratteristica importante delle rocce è la loro STRUTTURA, cioè la forma, la
dimensione e la reciproca disposizione nello spazio di ciascuno dei minerali costituenti
(essa dipende dalla velocità di raffreddamento del magma).
La struttura e la composizione mineralogica dipendono dalla genesi delle rocce
(litogenesi).
Tre sono i processi litogenetici o petrogenetici:
•
•
•
Processo magmatico
processo sedimentario
processo metamorfico.
L’insieme dei cambiamenti (rifusione, alterazione, metamorfismo) che trasformano una roccia
in un’altra costituisce il ciclo delle rocce.
LE ROCCE IGNEE O MAGMATICHE O ERUTTIVE: prendono origine dal raffreddamento e
solidificazione del magma, massa incandescente di silicati.
In base al criterio della velocità o modalità di raffreddamento si dividono in tre categorie:
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•
•
•
intrusive o plutoniche
effusive o vulcaniche o vulcaniti
intermedie o ipoabissali.
Esse non si differenziano molto per composizione chimica, visto che l’origine è comune, ma
solo per la struttura, che dipende dalla velocità di raffreddamento o di solidificazione o di
cristallizzazione.
Di regola le intrusive sono granulari, cristalline con cristalli dei diversi minerali, mentre quelle
effusive sono microgranulari, oppure caratterizzate dalla presenza di pochi cristalli
macroscopici (fenocristalli), immersi in una matrice amorfa o vetrosa.
CLASSIFICAZIONE E DENOMINAZIONE DELLE ROCCE IGNEE
Classificare significa dividere in classi, cioè in gruppi omogenei. Ogni gruppo presenta
caratteri specifici, detti sistematici, perché permettono la sistemazione, cioè l’ordinamento
degli elementi da classificare.
La scienza che studia la descrizione e la classificazione delle rocce è denominata petrografia.
CARATTERI SPECIFICI O SISTEMATICI (criteri di classificazione)
1.
2.
3.
Genesi, cioè modalità di formazione
Aspetto
Struttura
4.
5.
Composizione chimica
Modalità di solidificazione.
Le rocce ignee in base alla % di SiO2 sono classificate in 4 classi:
•
•
•
•
Felsiche (feldspati e silice)
Intermedie o andesitiche
Mafiche (magnesio e ferro)
Ultramafiche (peridotite).
Tipo di
magma
Felsico
%
SiO2
> 70%
viscosità
Alta
temperatura di
solidificazione
700° C
Roccia
intrusiva
Granito
Roccia
effusiva
Riolite
Intermedio
60%
Media
900° C
Diorite
Andesite
Mafico
40 50%
Bassa
1000°C
Gabbro
Basalto
Ultramafico
< 40%
Molto bassa
> 1200° C
Peridotite
Komatite
La peridotite spesso è associata a giacimenti di minerali e metalli preziosi (diamanti, platino).
1. MODALITA’ INTRUSIVA DI RAFFREDDAMENTO: il processo di cristallizzazione richiede che
il raffreddamento si verifichi lentamente come accade nelle rocce intrusive, che impiegano
migliaia di anni per raffreddarsi completamente (struttura olocristallina o granulare). In queste
condizioni i componenti chimici dei minerali hanno tutto il tempo per separarsi e dare luogo alla
struttura ordinata (granulare).
2. MODALITA’ EFFUSIVA DI RAFFREDDAMENTO: del tutto diversa è la situazione per le rocce
effusive, perché quando il magma fuoriesce da un condotto vulcanico, subisce un brusco
raffreddamento, in pochi giorni, i componenti chimici del magma non hanno il tempo di
organizzarsi geometricamente per formare i cristalli. Ne deriva una struttura vetrosa, del tutto
priva di cristalli. Se in una roccia effusiva esistono cristalli, ciò significa che questi si erano già
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formati nel magma al momento della fuoriuscita, di prima generazione, (struttura porfirica) con
fenocristalli in una massa amorfa.
LE ROCCE IGNEE IN BASE AL CONTENUTO IN SILICE:
1. ACIDE O SIALICHE o felsiche (= feldspati + silice): quando sono ricche di silicio e ossigeno.
Sono leggere e di colore chiaro, con struttura granulare. Famiglia dei graniti/sieniti.
2. BASICHE o femiche o mafiche (magnesio + ferro): sono povere di silicio e di ossigeno, ma
ricche di pirosseni, olivina. Sono pesanti e hanno colore scuro. Formano il pavimento
oceanico.
3. INTERMEDIE: contenenti minerali neutri come miche e anfiboli
4. ULTRAFEMICHE O ULTRABASICHE: composte unicamente da pirosseni e olivina.
5. Rocce alcaline, da magmi alcalini: hanno un maggior contenuto in sodio e potassio
(feldspatoidi invece di feldspati). Tra queste rocce ricordiamo le sieniti, leucititi (intrusive) e le
trachiti (effusive).
Tra le rocce ignee le più diffuse sono effusive tra cui predominano i basalti e andesiti. Tra le
rocce intrusive le più frequenti sono i graniti.
TESSITURA ROCCIA = dimensioni e forma dei cristalli.
1. Tessitura microcristallina: brusco raffreddamento, i minerali non hanno avuto tempo di
raggiungere dimensioni visibili ad occhio nudo.
2. Tessitura porfirica: il magma si inserisce in fratture e sarà soggetto ad una accelerazione nei
tempi di raffreddamento, per cui i primi cristalli che si sono formati in strati profondi,
presenteranno dimensioni macro e il resto della massa sarà micro (rocce filoniane).
3. Tessitura granulare o macrocristallina: le rocce intrusive hanno invece tempi lunghi per il
raffreddamento, i cristalli possono svilupparsi in modo visibile.
4. Tessitura vetrosa o amorfa: se la cristallizzazione è tanto rapida da impedire la
cristallizzazione (ossidiana).
Frequenza
Rocce
intrusive
ACIDE
80%
BASICHE
40% SiO2
Cioè la maggior parte dei magmi ha natura acida o basica. La frequenza dei magmi intermedi
è molto bassa.
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Frequenza
ROCCE MAGMATICHE
GRANITI
Gabbri
80%
40% SiO2
Cioè tra le rocce intrusive predominano i graniti.
Frequenza
Tra le Rocce effusive
prevalgono i basalti
Rioliti
Basalti
80%
40% SiO2
ORIGINE E DIFFERENZIAZIONE DEI MAGMI
1.
MAGMI BASICI O PRIMARI: derivano dalle rocce ultrabasiche dell’astenosfera. Sono un
distillato del mantello. Se si trova nella litosfera oceanica, sottile e fratturata, può uscire in
superficie sotto forma di colate basaltiche; se il magma basico si trova nella litosfera
continentale, spessa e non fessurata, comincia una lenta risalita in superficie, subendo una
graduale differenziazione che aumenterà il suo grado di acidità, perché cristallizzano e si
depositano i componenti mineralogici più basici e pesanti, mentre la restante massa, più
leggera e acida, continua la risalita. Ciò spiega perché i magmi superficiali sono più acidi e
viscosi rispetto a quelli profondi.
2. MAGMI SECONDARI: leggeri, possono dar luogo a masse plutoniche o a vulcanesimo acido.
Sono una rielaborazione delle rocce della crosta continentale.
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CLASSIFICAZIONE DELLE ROCCE
SEMPLICI
1.
ASPETTO
con una sola specie di minerali
COMPOSTE
con più specie di minerali.
a) macrocristalline
CRISTALLINE
b) micro
c) cripto…
VETROSE
2.
STRUTTURA
CLASTICHE
Acide
SILICEE
Neutre
Basiche
3.
COMPOSIZIONE
CHIMICA
CALCAREE
Ultrabasiche
CARBONICHE
IGNEE
4.
= clastiche
ORIGINE
= intrusive + effusive + filoniane
SEDIMENTARIE
METAMORFICHE
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clastiche +chimiche +
organogene
ortometamorfiche
e
parametamorfiche.
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SISMOLOGIA
OBIETTIVI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Definire i sismi e i bradisismi
Presentare la teoria del ritorno elastico
Elencare e caratterizzare le onde sismiche
Catalogare gli effetti di un terremoto
Definire e descrivere un sismografo e un sismogramma
Discutere le cause dei sismi, la prevenzione e la previsione dei sismi
Illustrare la valutazione dei terremoti
Individuare e motivare la distribuzione nazionale e mondiale dei terremoti
Definire e delucidare il rischio sismico, esponendone i fattori.
TERREMOTO o SISMA: rilascio di una quantità di energia ad una certa profondità dalla superficie
terrestre (causa) che determina rapide ed improvvise vibrazioni della superficie terrestre dovute a
variazioni dell’equilibrio del materiale litoide del globo (effetto).
E’ un fenomeno tettonico, cioè legato al movimento di masse rocciose. Sul Pianeta ci sono
mediamente 3000 terremoti al giorno, circa 1/s.
Dal latino “motus terrae” = movimento della Terra, oppure sisma dal greco “seismos”= scossa,
scuotimento. Il terremoto consiste in una serie di vibrazioni violente e rapide del terreno provocate
dall’arrivo in superficie delle onde sismiche, sviluppando una elevata quantità di energia in un arco
di pochi secondi, a differenza dell’eruzione di un vulcano che può durare giorni e settimane.
L’attività sismica può essere oggetto di:
a) STUDIO MACROSISMICO con la sismologia = osservazione effetti, danni (Mercalli);
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b) STUDIO MICROSISMICO con appositi strumenti (sismografi) progettati dalla fisica sperimentale
(studio strumentale).
I TERREMOTI possono essere: Tachisismi (dal greco tachi = veloce) e Bradisismi (dal greco
bradi = lento).
Caratteristiche dei sismi
①Il terremoto si verifica per fratture di masse rocciose in un punto interno della terra, detto
ipocentro o fuoco (punto iniziale della frattura), dove avviene il rilascio di energia, trasportata per
mezzo di onde sismiche, ②mentre viene chiamato epicentro il punto sulla superficie terrestre
dove il terreno vibra con la massima intensità e più a lungo e con danni più gravi. Esso è
individuato dalla verticale passante per l’ipocentro. In base alla profondità dell’ipocentro si hanno
terremoti:
1) superficiali con ipocentro tra 0 e 70 km di profondità (75%), sono i più pericolosi;
2) intermedi con ipocentro tra 70 e 300 km (22%);
3) profondi a più di 300 km (3%).
③ Dall’ipocentro si propagano le onde di volume o interne (si propagano entro il volume della
roccia), che viaggiando attraverso le rocce vengono riflesse e rifratte, distinguibili in due tipi:
1) onde di compressione o longitudinali o di spinta o primae (P), con velocità elevata (7-13
km/s), causano cambiamenti nel volume delle rocce ma non nella forma, fratturano la roccia che
subisce dilatazione e compressione alternativamente; le particelle vibrano a fisarmonica avanti e
indietro, nella stessa direzione dell’onda. Sono le meno pericolose e le prime a essere registrate;
sono simili alle onde acustiche o sonore e si propagano in ogni mezzo: nei solidi, nei liquidi e
nell’aria.
2) onde secundae ( S ) o di taglio o trasversali, caratterizzate da minore velocità (4-7 km/s), non
riescono a propagarsi nei fluidi, possono frantumare le rocce, nelle quali causano
cambiamento di forma, ma non di volume. Determinano un moto ondulatorio dato che scuotono
la superficie del suolo in senso verticale e orizzontale, cioè le particelle vibrano verticalmente alla
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direzione dell’onda (oscillazioni trasversali). Provocano deformazioni transitorie trasversali e
danni alle strutture; per esempio un quadrato passa da una forma di parallelogramma a una di
quadrato alternativamente; si propagano solo nei solidi che reagiscono elasticamente alle
deformazioni, mentre i fluidi restano deformati senza riprendere la forma originaria e quindi
deformano l’onda (scotendo una corda fissata ad una parete).
Quando le onde volumetriche raggiungono la superficie della crosta, la massima parte della loro
energia viene riflessa verso il basso e verso l’alto e con notevole amplificazione delle scosse
sismiche ed enormi danni superficiali delle onde sismiche.
Dall’epicentro parte il secondo treno di onde dette onde di superficie o esterne (sono più lunghe
e più lente di quelle interne da cui derivano):
1) Onde lunghe di Love ( L o M) o longitudinali o massimali. Sono lente (3 km/s), derivano dalla
riflessione multipla delle onde S e determinano nel terreno vibrazioni orizzontali; sono responsabili
delle maggiori catastrofi scuotendo le fondamenta delle strutture. Non si propagano attraverso
l’acqua. Sono onde complesse e possono imprimere al suolo un movimento sussultorio,
ondulatorio o anche rotatorio. Sono quelle più distruttive. Sembrano tracciare nel terreno una S.
Le particelle oscillano trasversalmente alla direzione delle onde.
2) Onde di Rayleigh o R, molto lente (2,7 km/s) e determinano spostamenti verticali con moto
ellittico. A causa della componente verticale del loro moto possono avere effetti sulle acque di
superficie.
LE CAUSE DEI TERREMOTI
1) Terremoti da sprofondamento per il cedimento di cavità calcaree o in terreni argillosi;
2) Più frequentemente i terremoti sono di origine vulcanica in quanto accompagnano le eruzioni
vulcaniche e la risalita del magma. Sono provocati dalla notevole quantità di energia che si libera
da un’eruzione. Può derivare da:
• Vibrazione per lo spostamento del magma
• Deformazioni e fratturazioni rocce ad opera della pressione del magma e dei gas
• Assestamento del terreno a seguito dell’attività eruttiva.
Sono distruttivi ma in un’area molto limitata.
3) Un terzo tipo di fenomeni sismici è riconducibile ai terremoti di crollo, assai più deboli; si
verificano in regioni carsiche, ricche di caverne sotterranee e di miniere. Provocano danni
modesti.
4) Un quarto gruppo di terremoti è quello prodotto da frane di una certa consistenza, anche se non si
tratta di sisma in senso stretto, poiché non vi è accumulo di energia all’interno della terra con
conseguente rilascio. Sono di piccola intensità e i danni derivano non tanto dal terremoto quanto
dalla frana stessa.
5) Un altro tipo di terremoti ha una causa artificiale: è il terremoto da esplosione per la detonazione
di dispositivi chimici o nucleari.
6) Ma la maggior parte dei terremoti è però di origine tettonica, cioè legata agli spostamenti
reciproci delle placche litosferiche. Sono sconvolgenti.
Infatti, in base alla teoria del rimbalzo elastico le rocce sono dotate di elasticità e, sottoposte a
forze che provocano diastrofismo, accumulano energia elastica, ma quando le sollecitazioni
superano il limite di elasticità (punto critico) le rocce si fratturano, le tensioni si scaricano con
movimento improvviso (lungo una faglia) e l’energia si libera sotto forma di oscillazioni e di calore
(Reid, 1906). Infatti, i terremoti sono associati a grandi sistemi di fratture, denominate faglie che
interessano la crosta terrestre e la teoria del rimbalzo elastico riconduce l’origine della maggior
parte dei terremoti a un meccanismo per faglia, cioè per frattura con scorrimento reciproco dei
blocchi di roccia ai lati della faglia (labbri della faglia).
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CHIARIMENTI ED APPROFONDIMENTI
Le forze che generano i sismi si possono distinguere in:
⇒ Forze di compressione che agiscono in direzioni opposte e schiacciano le rocce le une contro le
altre.
⇒ Forze di tensione che tendono ad allontanare le rocce
⇒ Forze di taglio che tendono a far scorrere pacchi di roccia in direzioni contrapposte nel piano
orizzontale o verticale.
Quando una forza agisce su un corpo roccioso con una debole intensità fa sì che la roccia si
comporti come un materiale elastico cioè, non appena la forza disturbatrice cessa di esistere, il
corpo roccioso riprende la propria forma e le proprie dimensioni.
Se la forza supera una certa intensità, la roccia si comporta, invece, come un corpo plastico,
cioè subisce delle deformazioni che restano al cessare della forza disturbatrice.
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16
Infine, se la forza agente è ancora maggiore, la roccia si comporta come fosse un corpo rigido
e, quindi, si frattura con un movimento più o meno ampio lungo il piano di fatturazione. L’entità
dello spostamento reciproco dei due blocchi di roccia lungo la frattura viene definito rigetto.
La faglia diverrà l’area dove verrà liberata energia. Quindi, l’origine dei terremoti è dovuta ai grandi
sistemi di fratture denominate faglie, lungo le quali i blocchi rocciosi si muovono reciprocamente.
N.B. Nelle regioni sismiche, episodi sismici di grande intensità accadono circa ogni 100 anni,
tempo necessario all’energia elastica per accumularsi fino al limite di rottura.
IL CICLO SISMICO
In base alla teoria del rimbalzo elastico, una zona in cui si è manifestato un terremoto, dovrebbe
aver raggiunto un nuovo equilibrio che garantirebbe un periodo di tranquillità sismica. Però, il
perdurare delle forze tettoniche, in grado di deformare le rocce, farà accumulare nuova energia
fino ad un successivo punto di rottura e al manifestarsi di un’altra crisi sismica. L’intero processo si
può schematizzare come un ciclo sismico, che si ripete sistematicamente nell’evoluzione
geologica di una regione. In tale ciclo sismico si distinguono 4 stadi:
STADIO INTERSISMICO
Inizia l’accumulo di energia
STADIO PRESISMICO
Prima della rottura: la deformazione elastica si
accentua fino a livelli critici di resistenza.
CICLO SISMICO
STADIO COSISMICO
L’energia potenziale accumulata come deformazione
elastica, si libera sotto forma di calore e di movimento,
producendo il terremoto.
STADIO POSTSISMICO
Comporta il passaggio della regione verso un nuovo
equilibrio, attraverso una serie di scosse successive o
repliche per mesi o anni.
Esaurite le ultime scosse, inizia un nuovo ciclo sismico. La nozione di ciclo sismico è di grande
importanza per le ricerche sulla previsione dei terremoti.
INDICE DI SISMICITA’ = esprime il numero annuale di scosse prodotte in una zona ogni 100.000
km2 di superficie. Gli indici più alti si trovano in Giappone e in Cile.
In base all’indice sismico abbiamo:
1. Zone sismiche dove i terremoti sono abituali
2. zone penisismiche dove i terremoti non sono frequenti
3. Zone asismiche dove i terremoti sono eccezionali.
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IL SISMOGRAFO
E’ uno strumento capace di rilevare le onde sismiche e di registrarne l’intensità e la durata.
Il principio meccanico su cui si fonda è il principio del pendolo. Infatti, è costituito da un telaio
metallico fissato al suolo; ad esso è sospesa una massa inerte, la quale per il principio di inerzia
tende a mantenere il proprio stato di quiete.
La massa inerte è provvista di un pennino che sfiora un cilindro rotante su cui è avvolto un foglio
di carta. Quando il telaio è scosso dalle onde sismiche, si sposta insieme al suolo e al cilindro,
mentre la massa inerte tende a rimanere ferma: il pennino segna sulla carta i movimenti del
sostegno e, quindi, del suolo. Nei moderni sismografi il pennino è sostituito da un raggio laser che
impressiona una carta fotosensibile.
Esistono tre tipi di sismografi:
1. AVVISATORI: avvertono dell’avvenuta scossa, dandone a volte l’ora e qualche volta l’intensità
2. REGISTRATORI: registrano la scossa indicandone ora e direzione
3. UNIVERSALI: percepiscono le due componenti, orizzontale e verticale della scossa.
I moderni sismografi sono formati da GEOFONI, cioè pozzetti dove una massa metallica è
sospesa in una bobina solidale con il terreno.
In ogni stazione sismica funzionano tre sismografi:
•
•
•
Uno per registrare lo spostamento verticale del suolo;
Un altro per registrare lo spostamento orizzontale nord – sud;
Un terzo per registrare lo spostamento orizzontale in direzione est – ovest.
SISMOGRAMMA
E’ la rappresentazione grafica del sisma, dal suo tracciato si ricavano molte informazioni:
•
•
•
•
•
Potenza del terremoto
Durata del sisma
Posizione epicentro
Profondità ipocentro
Proprietà fisiche dei materiali attraversati dalle onde sismiche.
Su di esso si legge in ordine di arrivo le onde: P; S; L.
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Più lungo è il tragitto percorso (distanza ipocentro – stazione sismica) più le onde arrivano al
traguardo (sismografo) distanziate tra loro.
Per determinare la distanza di una stazione sismica dall’epicentro si calcola il tempo che intercorre
tra l’arrivo delle onde P ed S sul sismogramma; quindi si riporta tale intervallo di tempo su un
grafico dei tempi di propagazione e si determina la distanza dall’epicentro a cui corrisponde la
differenza di tempo.
GRAFICO DEI TEMPI DI PROPAGAZIONE
Per localizzare l’epicentro si utilizza la distanza calcolata in tre stazioni sismologiche (A; B; C).
Tracciando da ogni osservatorio una circonferenza con raggio pari alla distanza calcolata
dall’epicentro, si determinerà la localizzazione dell’epicentro = punto di intersezione delle tre
circonferenze.
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PRINCIPALI FASI DEI TERREMOTI
L’analisi di un sismogramma (registrazione grafica di un terremoto) consente di riconoscere le fasi
di un sisma cioè gli esatti tempi di arrivo di treni d’onde.
1) FASE INIZIALE con oscillazioni rapidissime e brevi (onde P, S );
2) FASE PRINCIPALE O PAROSSISTICA con oscillazioni ampie (onde L);
3) FASE TERMINALE o di assestamento.
SCALE DI VALUTAZIONE e PARAMETRI
L’area che più risente dell’intensità sismica è detta pleistosismica, e le linee che sulla carta
geografica congiungono luoghi aventi la stessa intensità sismica (o con la stessa entità del danno)
vengono chiamate isoiste o isosismiche.
I parametri più usati per valutare la forza e descrivere gli effetti di un terremoto sono:
1) INTENSITA’ = misura degli effetti registrati sulla morfologia e sugli insediamenti umani.
a) caratteristiche geologiche (natura delle rocce)
Varia in funzione di
b) tipo di costruzione (criteri, materiali)
c) distanza dall’epicentro.
E’ una misurazione soggettiva e costituisce un’indicazione più diretta dell’impatto sull’uomo.
La valutazione dell’intensità sismica viene fatta nel 1902 in base alla scala Mercalli (1850-1914),
compilata sulla base di 12 gradi di intensità, valutando empiricamente gli effetti provocati da un
terremoto. Tale scala qualche anno dopo è stata ripresa e modificata da Cancani e Sieberg (
scala M.C.S.). La scala Mercalli è empirica e soggettiva, di valore relativo. I 12 gradi sono riunibili
in 3 gruppi:
a) microsismi (I grado); b) macrosismi (2°- 8°); c) megasismi (9° - 12°).
2) MAGNITUDO = unita’ di misura della scala RICHTER (1935).
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Dipende dall’ampiezza massima dello spostamento di un punto del suolo. La Magnitudo esprime
approssimativamente la quantità di energia liberata da un terremoto e viene espressa con la scala
di Richter, che è una scala logaritmica e non lineare. Ad un aumento di una unità di magnitudo
corrisponde un aumento di un fattore 10 nell’ampiezza di movimento del terreno e a una
liberazione di energia circa 30 volte maggiore.
Es. un terremoto di magnitudo 4 (104) è 10 volte più forte di uno di magnitudo 3, 100 volte più forte
di uno di magnitudo 2. Ma libera 30 volte più energia e 900 volte rispettivamente rispetto al 3° e al
2° grado Richter.
M=0
10 °;
M=1
10
1
Magnitudo 0 = misura di un sisma che fa registrare un sismogramma, con oscillazione max. di
0.001 mm su un sismografo standard posto a 100 km dall’epicentro.
La magnitudo è data dalla differenza tra l’ampiezza dell’impulso registrato da un dato sismografo
in occasione di un terremoto (A) e l’ampiezza registrata dallo stesso strumento per un terremoto
standard (A0), il tutto espresso in termini logaritmici:
M = log10 A - log10 A0 ; M = 0 ÷ 9,0, dove M = magnitudo, il cui massimo valore registrato fin ora
è di 8, 6 in Cile nel 1960.
2
Es. il log di 100 = 2, poiché 100 = 10 . Se A = A0 , M = 0; se A è maggiore di A0 il valore di M è
positivo; se A è minore di A0 il valore di M è negativo. Sono stati registrati microsismi con M = -3
che provocano oscillazioni di millesimo di mm.
N.B. La quantità di energia liberata da un terremoto non si ricava direttamente dalla
magnitudo, ma attraverso una formula empirica che tiene conto delle condizioni locali di
propagazione delle onde sismiche.
Per i terremoti non profondi si può passare dalla valutazione fatta con la scala Mercalli alla
magnitudo M mediante la seguente formula empirica :
M = 2/3 x I + 1
dove I è l’intensità del sisma in base alla scala Mercalli.
CAPACITA’ DISTRUTTIVA O EFFETTI DI UN TERREMOTO
La capacità distruttiva di un terremoto e, quindi i danni sono causati soprattutto dalle onde
superficiali e dipendono da alcuni fattori:
dalla intensità, dalla durata delle scosse,
dalla natura delle rocce attraversate e, quindi, dalla natura dei terreni edificati,
qualità costruttiva dei manufatti,
dalla profondità dell’ipocentro
dalla distanza dell’epicentro.
SULLE OPERE UMANE
•
•
•
Crollo di edifici (effetto primario)
Danni da rottura di linee elettriche, condutture di gas e incendi
Insorgenza di epidemie nei sopravvissuti per mancanza di strutture sanitarie e di assistenza
medica.
SUL TERRITORIO
•
Suolo: fratture, sollevamenti, abbassamenti di livello, grosse frane (primari)
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21
•
•
Fiumi: possono essere deviati, provocando inondazioni e alluvioni (primari)
Mari: oscillazioni del fondo con maremoto o tsunami (secondario)
SECONDARI O TRANSITORI: cessano con lo scuotimento (oscillazione del suolo, variazioni del
livello dell’acqua nei pozzi, il rombo cupo, incendi, maremoti.
PREVISIONE
Quando, dove e con quale intensità. Cioè:
L’istante
Il luogo
L’intensità.
Conoscere il territorio e la frequenza del fenomeno: attraverso una rete di registrazione sull’intero
territorio. Le varie stazioni devono essere coordinate e collegate con un controllo continuo e
costante.
Comunque, è difficilissima.
Osservazione del comportamento degli animali
Analisi delle caratteristiche delle rocce sotto tensione (magnetismo, conduttività elettrica,
porosità che influisce sul livello dell’acqua nei pozzi)
Pieghe, sollevamenti e sprofondamenti nel terreno
Piccole incrinature e fratture nelle rocce
Studi statistici per individuare zone di GAP o vuoto sismico, perché sono le zone di probabili
eventi sismici di grande intensità.
Previsione
A lungo termine (statistica o probabilistica) che usa
come strumento basilare il catalogo sismico di una zona,
sintetizza la storia sismica con mappatura di un territorio.
A breve termine o deterministica, si basa sui segni
premonitori o precursori: deformazioni elastiche delle
rocce , microfratture, dilatazioni (dilatanza), variazione
velocità onde P, brusco aumento del gas radon nella falda
acquifera, deformazioni e sollevamenti suolo; esodo animali
e uccelli o loro comportamento anomalo, frequenza
microscosse sismiche.
PREVENZIONE
E’ l’intervento più efficace per diminuire il rischio. Individuare le zone a maggior rischio per
un’accurata stima del rischio sismico. Prevenire significa in pratica “essere pronti a subire un
evento catastrofico, minimizzandone gli effetti”.
•
•
•
•
ZONAZIONE SISMICA con elaborazione mappe o carte della pericolosità e del rischio
sismico, dividendo il territorio in aree a diversa sismicità, ognuna caratterizzata dal massimo
grado di intensità di un terremoto che ci si può aspettare in base ai dati storici.
MICROZONAZIONE SISMICA = rilievo preciso della morfologia e della geologia locale, per capire
le proprietà delle diverse rocce e valutarne la risposta sismica (è molto costosa).
Una volta individuate le zone a rischio, l’azione preventiva deve essere volta a cercare di limitare
al minimo il numero delle vittime e i danni in caso di terremoto, attraverso:
EDILIZIA ANTISISMICA: la legge impone l’adozione di particolari criteri nella costruzione degli
edifici, con oculata scelta dei terreni stabili e compatti e criteri rigorosamente antisismici, sulla
base del coefficiente di rischio sismico:
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1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
•
Scelta dei terreni edificabili
Fondamenta profonde a fittone, ancorate alla roccia solida
Intelaiatura in cemento armato
Forma geometrica semplice senza troppe rientranze e sporgenze
Materiali omogenei
Struttura elastica in cemento armato
Strade larghe
EDUCAZIONE DI MASSA con norme di comportamento e piano di evacuazione.
CONTROLLO
Per ridurre gli effetti più devastanti: separare le faglie immobilizzate, gradualmente e in maniera
controllata per esempio attraverso iniezione di liquidi sotto pressione tra le rocce di faglie.
Essa diminuisce l’attrito tra i margini, favorendone lo scorrimento.
I liquidi riattivano vecchie faglie e riducono il gap sismico di una zona, favorendone il graduale
controllo durante le scosse, perché favoriscono il rilascio graduale della tensione accumulata.
PREVISIONE
TERREMOTO
IN UNA
AREA
SISMICA
PREVENZIONE
CONTROLLO
PREPARAZIONE
E PROTEZIONE
POPOLAZIONE
ZONE ITALIANE AD ALTO RISCHIO SISMICO
1) Sicilia orientale - Calabria - Campania
2) Appennino umbro - marchigiano ed emiliano
3) Alpi Nord - orientali.
1)
2)
3)
4)
AREE SISMICHE DELLA TERRA
area circumpacifica o cintura di fuoco (dal Kamciatka al Giappone) (85%) a causa delle
tensioni e subduzioni;
zona mediterranea transasiatica (dalle Alpi all’Himalaya) (10%, per compressione);
fascia dallo Spitzberg all’Antartide lungo la dorsale medio-atlantica (5%, per movimenti lungo le
faglie trasformi che attraversano trasversalmente le dorsali).
Africa orientale.
NOTE: la pericolosità dei terremoti è superiore a quella dei vulcani. Infatti, se si eccettuano le
epidemie e, forse le alluvioni, in natura non esiste un altro fenomeno naturale che storicamente
abbia fatto più vittime dei terremoti. A livello mondiale si stima che mediamente ogni anno 1015.000 persone perdano la vita in relazione a fenomeni a fenomeni sismici. Attualmente è
impossibile prevedere con certezza l’approssimarsi d’un terremoto. Adesso, la migliore difesa dai
rischi sismici e vulcanici è l’opera di prevenzione.
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23
DISTRIBUZIONE DEI TERREMOTI
Gli sforzi dovuti ai movimenti della litosfera provocano deformazioni delle masse rocciose in cui si
accumula l’energia che, in seguito, verrà liberata dai terremoti soprattutto in prossimità di FASCE
ATTIVE, dove cioè dopo un terremoto, le forze endogene continuano ad agire:
1. dorsali medio – oceaniche/faglie trasformi: con manifestazioni vulcaniche basiche e terremoti poco
profondi (massimo a 10 km)
2. fosse oceaniche: manifestazioni vulcaniche acide e terremoti profondi (cintura di fuoco
circumpacifica)
3. catene montuose recenti: povere di manifestazioni vulcaniche, ma interessate da intensa attività
sismica.
⇒ PERICOLO SISMICO: probabilità che si verifichi l’evento sismico (predisposizione di un luogo ad
essere sede di eventi sismici).
⇒ RISCHIO SISMICO: probabilità di un sisma x entità dei danni.
IL RISCHIO SISMICO
Il rischio sismico è stato definito come le conseguenze di un potenziale danno economico,
sociale ed ambientale derivante da eventi sismici. E’ uno dei più devastanti nel mondo.
•
Il terremoto più devastante di tutti i tempi pare sia stato quello del 1556 in Cina con 830.000
vittime
1976 in Cina con 700.000 vittime
India 1737 con 300.000 vittime
Giappone 1923 con 99.000 vittime
Iran 1990 con 99.000 morti
Giappone 1995 con 5000 morti
Irpinia 1980 con 4.000 vittime
Salerno 1857 con 12.300 vittime
Messina e Reggio Calabria 1908 con 123.000 morti
Avezzano 1915 con 30.000 sepolti.
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Il rischio sismico è il valore del danno atteso da un terremoto che interesserà in futuro una
determinata area. Il valore del rischio sismico dipende da:
•
la pericolosità sismica, cioè la probabilità che in un dato periodo di tempo possano
verificarsi terremoti dannosi
•
la vulnerabilità sismica degli edifici, cioè la capacità che hanno gli edifici o le costruzioni in
genere di resistere ai terremoti
•
l'esposizione, cioè la quantità e la qualità dei diversi elementi antropici che costituiscono la
realtà territoriale: popolazione, edifici, infrastrutture, beni culturali, eccetera che potrebbero
essere danneggiati, alterati o distrutti
Pertanto il rischio sismico si definisce con questa formula: rischio sismico=pericolosità sismica x
vulnerabilità x esposizione. R = P x V x E.
Per capire la differenza tra rischio e pericolosità si consideri che un'area a pericolosità sismica
elevata, ma disabitata potrà risultare a rischio non elevato, mentre aree a bassa pericolosità, ma
densamente popolate, e per di più con costruzioni di cattiva qualità, potranno risultare ad alto
rischio. Le Regioni svolgono attività per valutare, prevenire e mitigare il rischio sismico.
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La pericolosità sismica di un territorio è rappresentata dalla frequenza e dalla forza dei terremoti che lo
interessano, ovvero dalla sua sismicità. La vulnerabilità sismica è la propensione di una struttura a
subire un danno di un determinato livello a fronte di un evento sismico di una data intensità.
R t= P x E x V
I parametri del rischio sono quattro, di cui il primo (R) è sintetico, gli altri 3 sono analitici (P, E, V):
• Pericolosità (P) = distruttività dell’evento sismico; può essere dipendente o indipendente
dalla volontà umana;
• Elementi a rischio (E) = attività, beni, persone che l’evento può distruggere;
• Vulnerabilità (V) = la fragilità degli elementi a rischio di fronte all’evento catastrofico,
parametro sul quale si può meglio agire con costruzioni antisismiche;
• Il rischio naturale totale (Rt): è il prodotto di questi tre parametri.
Dalla formula si evince che, per abbassare il rischio, bisogna diminuire uno o più parametri.
Quindi, il rischio mette in relazione l’energia liberata da un terremoto con gli effetti sull’ambiente,
cioè è legato alla catastroficità di un terremoto, dipende dalla quantità e dalle caratteristiche delle
attività umane esistenti sul territorio.
⇒ FATTORI DEL RISCHIO SISMICO
1) condizioni intrinseche dell’evento sismico (Magnitudo, profondità, frequenza ed intensità onde)
2) condizioni geologiche, geografico-fisiche dell’area colpita cioè caratteristiche tettoniche
(suscettibilità sismica, predisposizione all’evento sismico)
3) condizioni delle opere edili, criteri costruttivi e materiali, tipo di attività economiche dell’area, cioè
presenza ed attività antropica, sua responsabilità nella gestione del territorio, presenza di strutture
di soccorso e d efficienza della protezione civile (vulnerabilità sismica = suscettibilità a subire
un danno da sisma).
Il rischio sismico può essere mitigato con
•
•
•
•
adeguata conoscenza del proprio territorio (presenza di osservatori sismici)
educazione sismica e strutture di pronto soccorso
qualità delle costruzioni, edilizia antisismica (risorse finanziarie e tecnologiche, ricerca)
bassa densità di popolazione e di attività industriali sul territorio
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La carta della pericolosità sismica del suolo italiano, redatta su basi tettoniche e storiche, cioè
tenendo conto degli eventi degli ultimi 1.000 anni, indica che più del 50% del territorio nazionale
sia a rischio sismico.
Parametri che condizionano la suscettibilità sismica
• geologici (tipo di terreni, di rocce, fratture);
• geomorfologici (franosità, forme dei rilievi);
• idrogeologici (falde, acque sotterranee e superficiali).
Parametri che condizionano la vulnerabilità sismica
• presenza attività antropiche
• qualità delle costruzioni
• densità di popolazione
• tipo di economia: un’area fortemente industrializzata è più vulnerabile di un’area agricola
per la forte presenza umana
• presenza di osservatori sismici
• educazione sismica e presenza di strutture di pronto soccorso.
ESPANSIONE 1: NORME DI COMPORTAMENTO IN CASO DI TERREMOTO
DECALOGO DURANTE IL TERREMOTO
1. Restare calmi, ripararsi sotto tavoli o protezioni robuste, travi, muri portanti
2. Spegnere fornelli e fonti di incendi
3. Non precipitarsi fuori dagli edifici in preda al panico, tenersi lontano dalle finestre, uscire alla fine
della scossa
4. Spegnere i focolai di incendio
5. In edifici con molti piani aprire la porta per assicurarsi una via d’uscita
6. Non usare il telefono
7. Non usare ascensori
8. All’aperto stare in luoghi spaziosi lontano da edifici
9. Collaborare ai soccorsi
10. In caso di evacuazione dell’area non usare l’automobile ma attenersi alle istruzioni.
ESPANSIONE 2: LA TOMOGRAFIA SISMICA
E’ una nuova tecnica di analisi dei sismogrammi messa a punto negli anni ’80, in grado di dare
una visione più dettagliata dell’interno della Terra, rispetto alla sismologia tradizionale. Si utilizzano
i dati di numerosissime onde sismiche ottenute da osservatori di tutto il mondo e attraverso un
grande calcolatore vengono analizzati, ottenendo immagini tridimensionali della parte interna della
Terra attraversata da quelle onde. Dalle variazioni delle velocità delle onde sismiche e dalle loro
anomalie, si può risalire alla rigidità e stato fisico dei materiali attraversati e quindi alle loro
temperature. Le zone più fredde e rigide vengono attraversate più velocemente dalle onde rispetto
alle zone calde.
Le onde P rallentano passando da un mezzo solido ad uno liquido, mentre le onde S non si
propagano nei liquidi.
Analizzando le onde sismiche, gli scienziati sono giunti all’ipotesi che l’interno della Terra non è
omogeneo, ma strutturato in gusci concentrici, aventi caratteristiche fisiche e chimiche diverse.
All’esterno vi è la crosta, spessa fra 5 e 90 km, sotto di essa si trova il mantello. I due gusci sono
separati da una discontinuità, detta di Moho (1909). Nella crosta le onde P hanno una velocità di
6/7 km /s, mentre nel mantello si muovono ad una velocità di 8 km/s. E’ stato dimostrato , con
prove sperimentali, che tale aumento di velocità avviene nel passaggio delle onde da rocce
sialiche a rocce femiche o mafiche: perciò, si suppone che il mantello sia costituito da rocce
mafiche. Il mantello si estende fino a 2900 km e rappresenta l’84% del volume e il 68% della
massa della terra. La sua temperatura si suppone compresa tra 1000° e 3500°C. Anche il
mantello non è omogeneo ma presenta alcune discontinuità minori. A circa 2900 km c’è la
discontinuità di Gutenberg che separa il mantello dal nucleo. Il nucleo rappresenta il 16% del
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volume e il 31% della massa della Terra, essendo formato da elementi pesanti come il ferro e
nichel, oltre a silicio, ossigeno e zolfo. La parte esterna del nucleo arresta le onde S, per cui si
suppone sia liquido. Al suo interno, da 5200 km al centro, il nucleo è solido, con ferro e nichel
vicini al punto di fusione.
ESPANSIONE 3: I BRADISISMI
Bradisismi avvengono in tempi molto più lunghi, in quanto sono lente oscillazioni verticali del
terreno, specialmente lungo le coste.
LE CAUSE
• Di tipo chimico-fisico, legate all’assorbimento o perdita di acqua da parte del terreno
(subsidenza, cioè il lento abbassamento del suolo che si verifica per il progressivo accumulo
e compattamento di detriti)
• Vulcaniche, in quanto correlate a spostamento di masse magmatiche in senso verticale
• Isostasia: in base alla quale un alleggerimento o un appesantimento di regioni, dovuti agli
agenti esogeni, ne provocano l’innalzamento o l’affondamento (movimento epirogenetico).
I bradisismi possono essere: Bradisismo o bradisisma locale quando l’area interessata e
limitata; Bradisismo o bradisisma regionale, se interessa vasti territori (più noto come
movimento epirogenetico).
Si possono classificare in:
1. NEGATIVI, quando il movimento avviene verso l’alto (come nella costa tirrenica)
2. POSITIVI, quando il movimento avviene verso il basso (costa dalmata)
3. ALTERNATI, sia verso l’alto che verso il basso (Pozzuoli).
SISMA
BRADISISMI: lenti movimenti,
graduali, di tipo verticale, con
sollevamento e abbassamento del
terreno.
TACHISISMI O TERREMOTI
Movimenti bruschi, orizzontali e
verticali con liberazione in tempi
brevi di energia.
Generano ONDE
SISMICHE
INTERNE o DI VOLUME
Provengono
dall’ipocentro,
luogo interno della Terra dove
si genera il terremoto.
P ed S
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ESTERNE o SUPERFICIALI
Provengono dall’epicentro, luogo
della superficie sulla verticale
dell’ipocentro.
L ed R
27
VULCANESIMO
OBIETTIVI:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Definire e illustrare il vulcanesimo
Elencare e descrivere i materiali eruttati
Descrivere la struttura di un vulcano e la sua attività
Riferire sulla classificazione, sulle cause e la previsione dei
vulcani
Individuare sul planisfero la distribuzione geografica dei vulcani
sul Pianeta e nell’area mediterranea
Distinguere
tra
vulcanesimo
primario,
secondario
e
pseudovulcanesimo
Collegare l’attività vulcanica e l’uomo
Definire e distinguere il pericolo e il rischio vulcanico.
Discutere le componenti del rischio vulcanico
ORIGINE DEL VULCANESIMO
Si chiama vulcanesimo quell’insieme di fenomeni per i quali vengono eruttati sulla superficie
materiali situati all’interno della Terra: emissione di magma e gas sulla superficie della Terra.
Interno della Terra non significa “centro della Terra”: il vulcanesimo interessa solo la crosta
terrestre, fino a qualche decina di km.
L’inizio e lo sviluppo dell’attività vulcanica sono legati alla pressione litostatica (dovuta alle
rocce). In conseguenza dei movimenti della litosfera, la pressione litostatica diminuisce o si
annulla lungo le fratture, il materiale magmatico già fuso, a causa della caduta improvvisa della
pressione, fonde rapidamente e può risalire in superficie, dando luogo a fenomeni vulcanici.
GENERALITA’ – APPARATO VULCANICO
I vulcani sono delle finestre sull’interno della Terra.
Il vulcanesimo costituisce un importante agente creatore e modificatore della crosta terrestre.
Sulla Terra esistono più di 10.000 vulcani, di cui più di 500 attivi in superficie. L’attività vulcanica
non è uniformemente distribuita sulla superficie terrestre, ma è concentrata in fasce ben definite
dove avvengono fenomeni dinamici.
Quasi tutta l’attività vulcanica, infatti, è concentrata ai margini delle placche, con apparati vulcanici
sottomarini ai margini divergenti (85%) e apparati subaerei ai margini convergenti- subduzione
(15%).
L’attività vulcanica è caratterizzata da fuoriuscita di magma e gas ad altissima temperatura e
pressione.
Per vulcano si intende una spaccatura della crosta terrestre.
APPARATO VULCANICO interno: struttura
Gli elementi fondamentali sono:
•
•
•
Focolaio magmatico o area d’alimentazione: situato nel mantello, dove si forma il magma,
fino ad oltre 100 km;
Bacino magmatico o camera magmatica o serbatoio magmatico: a livello crostale, a 2-10
km di profondità;
Camino o condotto vulcanico
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28
•
•
Bocca o cratere principale;
Crateri avventizi o secondari.
Il magma depositandosi attorno al cratere col tempo forma il monte vulcanico o apparato vulcanico
esterno, aspetto più appariscente del vulcanesimo.
MATERIALI VULCANICI
Nel corso dell’attività vulcanica possono essere emessi:
PRODOTTI SOLIDI
Polveri con ∅ di 1/16 mm
Ceneri con ∅ < 2 mm
Lapilli con ∅ di 2 mm ÷ 2 cm
Pomici e scorie = frammenti di lava con pori per
fuoriuscita di gas
Bombe: frammenti di lava che rotolano e assumono
forma affusolata (> 6 cm)
I prodotti solidi o piroclastici (=sassi di fuoco), sono frammenti di lava di varie dimensioni, per
origine sono ignei, ma per giacitura sono sedimentari.
I depositi piroclastici incoerenti sono chiamati tefra, mentre quando sono coerenti o cementati tali
depositi o rocce prendono vari nomi:
•
•
•
Tufi vulcanici o tufi a lapilli: depositi di lapilli consolidati:
Brecce vulcaniche o piroclastiche: depositi di bombe;
Cineriti o tufi cineritici: depositi di ceneri e polveri.
B. PRODOTTI LIQUIDI: sono rappresentati dai magmi che quando vengono a giorno sono
chiamati lave, unico prodotto liquido dell’attività vulcanica.
Il magma è una massa fusa, incandescente di silicati ad elevata temperatura (800 – 1200°C).
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29
ACIDI
In base al contenuto in SiO2 si hanno magmi
INTERMEDI
BASICI.
Il magma risale verso la superficie per galleggiamento. La pressione litostatica gli impedisce di
risalire:
La composizione chimica del magma e della lava è un elemento determinante: infatti, la forma di
un edificio vulcanico e il tipo di eruzione dipendono in misura primaria dal contenuto in silice del
magma e, quindi, della lava stessa.
MAGMA E SUE PROPRIETA’
a) Il magma è una roccia fusa o meglio una miscela di roccia fusa, di silicati e gas in soluzione che si
forma nella crosta (magma anatettico o crostale) o nel mantello (magma basaltico o primario),
quando la temperatura è talmente elevata da provocare la fusione dei materiali costituenti.
b) presente un’ampia composizione chimica (Si, Al, Fe, Mg, Na, K, O2 sotto forma di ossidi), Il
componente principale è la silice SiO2.
c) è viscoso
d) ha sempre temperatura elevata, compresa tra 600° C e 1300° C
e) In tutti i magmi sono presenti piccole quantità di gas disciolti (0,2% - 5% del peso). La presenza di
questi gas favorisce la cristallizzazione, in quanto sono agenti mineralizzatori. Essi influiscono
direttamente sulla fluidità e mobilità del magma. Il gas più abbondante è il vapore acqueo che
insieme alla CO2 rappresenta il 98% di tutti i gas vulcanici, importanti per le seguenti ragioni:
• Influenzano la composizione chimica dell’atmosfera e il clima (specie CO2 e SO2)
• La loro maggiore o minore volatilità rende più o meno violenta l’eruzione (un gas molto volatile
rende più violenta e più pericolosa l’eruzione)
• Eruttano nell’atmosfera grandi quantità di polvere vulcanica da provocare un abbassamento
della temperatura globale.
MAGMA PRIMARIO: di composizione basaltica o mafica, ad alta temperatura (1200°-1400°C),
molto fluido, origina le rocce effusive perché tende a risalire facilmente fino in superficie, essendo
fluido, e si parla di VULCANI; esso proviene da zone profonde del mantello, di cui è un distillato e
precisamente dalla peridotite o eclogite, roccia del mantello superiore. Nonostante la
temperatura elevata, le rocce non sono fuse ma semiplastiche a causa delle enormi pressioni
litostatiche. Pertanto, per ottenere la fusione occorre o alzare la temperatura o abbassare la
pressione:
•
•
L’abbassamento di pressione (legata a un fenomeno di distensione della crosta) avviene
presso le dorsali oceaniche, dove ci sono lacerazioni e fratture, che causano diminuzione
di pressione che produce la fusione dell’astenosfera superficiale, quando le placche si
allontanano;
L’altro modo per ottenere magma fuso, consiste in un aumento termico notevole, grazie
alla subduzione di masse rocciose superficiali, trasportate in profondità o grazie al
trasporto di calore con celle convettive o punti caldi.
MAGMA ANATETTICO O ACIDO o granitico: deriva dalla fusione di roccia crostale a circa 15 km
di profondità. E’ fortemente viscoso a causa dell’abbondanza di tetraedri di silice, molecole
ingombranti che impediscono (per attrito interno) una buona fluidificazione del magma, per cui il
magma tende a solidificare in condizioni intrusive dando origine ai plutoni. La temperatura è
relativamente bassa (600-700° C), si muove con notevole difficoltà, per cui tende a cristallizzare in
profondità, dove forma batoliti granitici. In definitiva, i magmi granitici rappresentano una
rielaborazione locale delle rocce crostali.
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MAGMA BASALTICO O
MAFICO (80%) O femico o
BASICO
50% SiO2, ricchi di Fe e Mg
Pochissimi gas disciolti
Poco viscoso, fluido
MAGMA INTERMEDIO
O ANDESITICO (10%)
60% SiO2
Molti gas disciolti
Viscosità intermedia
Colore scuro
Colore intermedio
Alta densità (HD)
Abbondanti sui fondali oceanici
Temperatura
iniziale
12001400°C
MAGMA
RIOLITICO
O
GRANITICO O FELSICO (10%)
70% SiO2
Moltissimi gas disciolti
Molto viscoso, colloso, non libera
i gas
Colore chiaro
Bassa densità (DD, LD)
Abbondanti sulle terre emerse
Temperatura iniziale intorno ai
600/700° C
LAVA E SUE PROPRIETA’
La lava è magma degassato e fuoriuscito. Infatti, quando si affaccia alla superficie, il magma ha
già subito delle trasformazioni:
a) ha perduto parte dei gas
b) si è arricchito di materiali nuovi, provenienti dalla fusione di rocce del camino.
Anche le lave possono essere distinte in tre categorie fondamentali in base alla loro composizione
mineralogica, che si ripercuote sulle caratteristiche fisiche:
1. Le lave basiche o basaltiche hanno temperatura di 1000 – 1300°C, perciò sono molto fluide e
relativamente povere di gas, contengono una bassa percentuale di silice (40%). Le lave
basiche, fluide, hanno la capacità di scorrere con facilità, formando immense colate, con edificio
vulcanico a scudo.
2. Le lave acide o riolitiche o granitiche hanno temperatura inferiore (700-800°C), sono meno
fluide, più viscose, hanno più silice (fino a 75%) e sono ricche di gas. Sono assai poco scorrevoli
e fuoriescono con difficoltà dalla bocca del vulcano. La loro viscosità e collosità ostacola la
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31
liberazione dei gas, che rimangono imprigionati, e di cui sono ricche. Ne consegue una elevata
predisposizione ad eruzioni di tipo esplosivo, con edificio vulcanico a cono.
3. Le lave intermedie o andesiti (dal nome della catena andina).
Tutti questi aspetti risultano di fondamentale importanza:
•
•
sia per il tipo di attività eruttiva: effusiva per i vulcani basici, esplosiva per quelli acidi;
sia per la forma degli edifici vulcanici: a scudo quelli basici, conici quelli acidi.
Due sono i parametri importanti:
a) Il contenuto in silice
b) La presenza di vapore acqueo: la sua abbondanza darà origine ad un comportamento
esplosivo, mentre quando il magma è povero di vapore, darà origine ad eruzioni
tranquille di tipo effusivo.
La forza che proietta all’esterno e frammenta lava e lapilli è la pressione dei gas disciolti nel
magma.
FORME DELLE COLATE LAVICHE
Secondo una nomenclatura descrittiva del tutto informale, non scientifica, l’aspetto di una colata
lavica dipende da vari fattori:
•
composizione
• morfologia del terreno
•
viscosità
• temperatura della lava
•
contenuto in gas
• velocità di scorrimento.
a) LAVA A CORDA (pahoehoe = pahoihoi in Hawaiano), vuol dire che ci si può camminare
sopra a piedi nudi; proviene da un’eruzione hawaiana. Si presenta sotto forma di superfici
ondulate ma non scabrose, con molte pieghe, perché la lava si solidifica inizialmente in
superficie, ma al di sotto continua a scorrere per un poco, corrugando la pellicola
superficiale già consolidata. Deriva dal raffreddamento di lave basiche molto fluide.
b) LAVE SCABROSE, A SCAGLIE O SCORIACEE: si formano in seguito all’avanzamento di
lava mediamente viscosa che solidifica in superficie, sotto forma di scaglie minute. Sono
dette aa = su cui non si può camminare a piedi nudi. La lava è ricca di gas e si divide in
scaglie. Appare fratturata in blocchi frastagliati per la perdita di gas.
c) LAVA A BLOCCHI: nel caso di lave acide, poco fluide, con viscosità accentuata, il
raffreddamento superficiale produce blocchi che avanzano spinti dal fiume sottostante
(varietà di lava aa).
d) LAVA A CUSCINI o pillow lavas: lava sotto forma di grossi blocchi arrotondati, frutto di
colate sottomarine, come una catasta di focacce. Lava a cuscino, sferoidale.
e) Lava a struttura colonnare, da lave basaltiche o basiche.
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PLUTONI / plutonismo
Corpi ignei intrusivi, profondi, che si distinguono in base alla forma e alle dimensioni:
A) Plutoni di grandi dimensioni
1. Batoliti = plutoni più grandi con intrusione superiore a 100 km di lunghezza e 250 km di
larghezza
2. LOPOLITI: intrusioni massicce, larghe a forma discoidale, depressa al centro.
B) Plutoni intermedi
3. STOCK: corpi magmatici intrusivi di forma irregolare che tagliano trasversalmente la
stratificazione della roccia intrudente. Sono massimo 10 km.
4. LACCOLITI: sono sills che fanno piegare verso l’alto le rocce intrudenti. Presentano una
forma lenticolare, a fungo, non tabulare.
C) Corpi intrusivi più piccoli
5. NECK: condotto vulcanico messo a nudo dall’erosione / obelisco magmatico.
6. CONDOTTO VULCANICO: canale cilindrico di roccia magmatica al di sotto del cratere.
7. DICCHI o Filoni = plutoni più piccoli e tabulari oppure tagliano trasversalmente la
stratificazione rocciosa.
8. FILONI STRATO o sill: sono paralleli alla stratificazione.
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NUBI ARDENTI / Ignimbriti / Base surge / Lahars
Le nubi ardenti sono costituiti da materiale gassoso e piroclastico densissimo (pomici, ceneri,
polveri, lapilli) che lambiscono il suolo ad altissima temperatura (500-800° C) e ad una velocità di
120 m/s. Sono una forma spettacolare e distruttiva di eruzione, quando i gas mescolati a ceneri e
polveri calde, vengono emessi sotto forma di nubi incandescenti, che rotolano lungo i fianchi
dell’edificio vulcanico a velocità di 150 - 360 km /h. Il materiale depositato e cementato a 700800°C, forma rocce chiamate “IGNIMBRITI” = pioggia di fuoco, note anche come tufi saldati. Le
nubi ardenti sono una densa emulsione di gas, vapori e frammenti solidi fini, a 500-800°C e
brucia tutto. SI FORMANO quando i prodotti liquidi e solidi non si separano da quelli gassosi,
FORMANDO UNA EMULSIONE.
Il magma delle nubi ardenti è ACIDO. Le nubi ardenti possono assumere la forma anulare ed
espandersi intorno alla base di una colonna eruttiva, mentre il materiale si diffonde radicalmente e
raso terra. Tale fenomeno si chiama BASE SURGE (nube ad anello, una specie di onda d’urto,
sono le più distruttive).
NUBI ARDENTI
RICADENTE
Piroclastic flow: la nube sale
con violenza verso l’alto. Persa
energia, la colonna rovente
collassa e ricade al suolo,
rotolando velocemente come
una valanga, lungo le pendici
dell’edificio vulcanico.
* Flow = flusso
•
DISCENDENTE, surge
Base surge: se la sommità del
condotto è ostruita da una
cupola di ristagno di lava,
l’esplosione
può
avvenire
lateralmente e la nube scende
lungo il pendio con velocità e
forza spaventose (360 km/h).
Surge = ondata travolgente
Base = bassa, di base.
TRABOCCANTE
Gigantesca nube piroclastica
che fuoriesce da lunghe
fessure, invece che da
condotti centrali.
un altro prodotto indiretto dell’attività vulcanica, nella fase finale dell’eruzione, consiste nei
depositi derivanti dalle colate di fango o lahars, a seguito di pioggia torrenziale che porta a
valle coltri di ceneri vulcaniche alte anche 20 metri (vedi Ercolano).
C. PRODOTTI AERIFORMI (GAS E VAPORI): Vapore acqueo, acido solfidrico (H2S), idrogeno
(H2), acido cloridrico, SO2, CO2, HF. Essi hanno un effetto di trascinamento del magma giacché la
loro concentrazione è la principale causa d’eruzione. Il vapore acqueo arriva al 70-98%. Essi sono
il prodotto della degassazione della lava. La loro importanza è duplice:
• da un lato hanno contribuito a formare gran parte dell’atmosfera
• dall’altro favoriscono la risalita del magma. Sono detti anche agenti mineralizzatori. Favoriscono
la spinta finale per l’eruzione.
FASI DELL’ATTIVITA’ VULCANICA
1. SEGNI PREMONITORI = boati, fumi, vibrazioni del suolo a causa dei movimenti del magma,
aumento temperatura suolo, sviluppo gas.
2. ERUZIONE (dipende dal tipo di lava): può essere ESPLOSIVA, violenta per magma viscoso,
acido; o EFFUSIVA, meno violenta, con magma basico, fluido
L’eruzione si divide in fasi e rappresenta il culmine dell’attività di un vulcano:
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34
ESPLOSIONE, fase esplosiva breve, con gas e vapore acqueo.
DEIEZIONE, lunga con emissione lavica (fase effusiva).
EMANAZIONE, più lunga, con vapori e gas
FASE DI ESTINZIONE O SOLFATARA con emissione di fango
bollente, vapore acqueo (fumarole), H2S (putizze).
2. ERUZIONE
3. FASE DI QUIETE.
L’intermittenza fra un’attività e l’altra caratterizza tutta l’attività vulcanica.
TIPI DI ERUZIONI
Le eruzioni vulcaniche possono essere di vario tipo. In base al tipo di frattura o apertura possiamo
distinguere:
•
Le eruzioni fessurali o lineari quando avvengono attraverso fratture della crosta,
lunghe anche decine di km. Sono tipiche di vulcani basici: le lave basaltiche grazie alla loro
estrema fluidità, tendono ad espandersi su ampie superfici. Risultato di queste effusioni
sono i cosiddetti plateaux (tavolati- espandimenti) basaltici (basici o ignimbritici (acidi). Essi
sono delle successioni di colate laviche sovrapposte, con estensione fino a 750.000 km2.
Es. di plateau è il Deccan = 500.00 km2, oppure nel Paranà con 750.000 km2, oppure le
effusioni basaltiche lungo le dorsali oceaniche per 50.000 km, l’Islanda. Raramente sono
acide.
•
Le eruzioni centrali o a condotto centrale o areali: quando sono limitate ad una
superficie ridotta, l’emissione lavica avviene attraverso un solo camino o un gruppo di
camini collegati. SONO LE CLASSICHE che danno origine ad un monte vulcanico esterno
a forma conica.
•
Le eruzioni sottomarine o subacquee.
TIPI DI EDIFICI VULCANICI
Dipendono dal tipo di attività vulcanica e dal tipo di lava emessa.
•
•
•
•
•
•
•
Vulcani centrali o areali: quando l’edificio è subcilindrico con condotto e cratere (a
condotto centrale). I più comuni edifici vulcanici centrali o areali sono:
Vulcani a scudo o hawaiano, con base molto larga, anche 400 km, pendici con deboli
pendenze, lava fluida, basica, attività effusiva: Esempio le isole Hawai (Mauna Loa alta
4000 + 6000 metri).
Vulcani strato o misti, con depositi alternati di colate laviche e materiali piroclastici
(attività effusiva alternata a quella esplosiva). La forma dell’edificio varia a seconda del
rapporto tra i due diversi tipi di materiali emessi. Generalmente si tratta di edifici conici con
fianchi più ripidi di quelli a scudo. Esempi sono il Vesuvio, lo Stromboli, L’Etna.
I coni di cenere, originati da eruzioni centrali esplosive con solo materiale piroclastico.
Le protrusioni solide, o guglie o denti o spine e, tipo peleano, alte anche 300 metri,
quando le lave sono molto viscose e acide. Es. la Peleè. Sono dette anche cupole di
ristagno (duomo), una specie di bubbone di magma solidificato all’interno (Vulcani a
duomo o tipo peleano).
Le Caldere (tipo vulcaniano), crateri vulcanici molto ampi fino a 50 km, a seguito di una
esplosione violenta. Sono ampie conche o depressioni a fondo piatto e a pareti ripide,
causate da collasso del cono vulcanico. Una caldera occupata da un lago = maar. N.B.
diatrema = foro attraverso, cioè ciò che rimane di un condotto vulcanico riempito di
materiale piroclastico (es. condotti diamantiferi); è una struttura vulcanica che svolge
funzione di finestra sull’interno della Terra e permette di raccogliere informazioni dirette
sulla composizione e sullo stato fisico della terra fino al mantello.
Vulcani lineari o fessurali, caratterizzati da lunghe spaccature che penetrano
profondamente nella Terra con formazione di plateaux.
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ATTIVITA’ VULCANICA
Fornisce informazioni sull’interno della Terra, sono manifestazioni in superficie dell’attività interna
della Terra:
•
•
•
ERUZIONE EFFUSIVA (vulcanesimo effusivo): è determinata da colate basiche, fluide,
tranquille, con fiumi e laghi di lava. La solidificazione avviene all’esterno. I gas si liberano
tranquillamente perché il magma basaltico, essendo fluido, non forma tappi, e non
ostruisce il cratere, per cui non viene impedita la fuoriuscita dei gas, che possono liberarsi
tranquillamente. Il magma basico è fluido, ha temperature maggiori e, quindi, ha minore
tensione di vapore dei gas. Cioè, il magma basico è più capace di sciogliere i gas per cui
c’è minor produzione di gas liberi e minor tensione……Essa può essere lineare (se la lava
fuoriesce da fenditure e non si forma una montagna); centrale (se la lava viene emessa
dal cratere); laterale (se la lava fuoriesce da crateri laterali).
VULCANESIMO ESPLOSIVO: quando il magma è acido, molto viscoso e ricco di gas, si
consolida facilmente all’interno del camino con formazione di un tappo solido, perciò la
degassazione tranquilla non può avvenire e i gas si accumulano nel magma, faticano a
liberarsi e ci riescono solo quando la loro pressione riesce a superare la pressione
dell’impedimento o tappo, tramite una esplosione violenta. Quando più magma si sarà
solidificato nella camera magmatica o nel camino, tanto minore volume di magma liquido
hanno a disposizione i gas dove sciogliersi, aumentando la loro pressione e la loro potenza
esplosiva. Perciò, abbondante sarà la produzione di gas in magmi e lave acide, che
essendo ricche di silice sono più viscose e meno capaci di sciogliere i gas. Per questo
motivo si forma una nube ardente. Può essere: verticale, per cui la nube sale per migliaia
di metri. Alla base si forma una nube ardente anulare che si espande radialmente a 150
km/ora, simile alla base surge di un’esplosione; laterale, attraverso squarci lungo i fianchi
con giganteschi nubi ardenti.
VULCANESIMO ESPLOSIVO IDROMAGMATICO: dovuto alla interazione tra magma e
acqua di falda. Il brusco passaggio dell’acqua allo stato di vapore genera enormi pressioni
che fanno uscire dal cratere con grande violenza una nube che trascina frammenti. Il
vapore, raffreddatosi e condensatosi, ricade come pioggia che, mescolandosi a cenere e
sabbia, produce colate di fango (lahars). Dalla base della colonna eruttiva parte un base
surge, una specie di onda d’urto che forma una densa nuvola ad anello di vapore e
materiali solidi, che si espande a più di 150 km/h in senso radiale.
CLASSIFICAZIONE DEI VULCANI
•
ERUZIONI ALTERNATE: se le due attività, effusiva ed esplosiva, si alternano, in quanto il
magma è intermedio. Può essere stromboliana se prevale la fase effusiva; vulcaniana se
prevale la fase esplosiva.
• ERUZIONI EIETTIVE: caratterizzate dall’emissione di prodotti lavici solidi o semisolidi.
L’esplosività cioè il grado di esplosività dipende da:
⇒ Tipo di lava
⇒ Eventuale presenza di acqua (eruzione idromagmatico).
CLASSIFICAZIONE DEI VULCANI
ATTIVI, se danno segni di attività (Etna,
Stromboli)
QUIESCENTI, se da lungo tempo non
sono in attività (Vesuvio)
SPENTI, se a memoria storica d’uomo
non hanno dato segni di attività (qualche
millennio).
La classificazione tradizionale dei vulcani si basa su 7 tipi di eruzione ed usa i seguenti criteri:
1. Tipo di lava emessa
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36
2. Temperatura di emissione
3. Presenza di volatili.
A seconda di come si manifesta l’attività abbiamo vari tipi di vulcani:
⇒ TIPO ISLANDESE, manca una vera montagna vulcanica, la lava è molto fluida; effusione
da fratture non da edifici a condotto centrale.
⇒ TIPO HAWAIANO, senza esplosione, prevalenza di deiezione di lava fluida e tranquilla
(vulcani a scudo, basici, base ampia fino a 400 km);liberazione di pochi gas.
⇒ TIPO STROMBOLIANO, con deiezioni di lava fluida accompagnata da esplosioni, con
lancio di materiale solido (vulcani misti), Isole Eolie;
⇒ TIPO VULCANIANO, con violente esplosioni e deiezioni di lava viscosa andesitica, ad
effetto tappo, Isole Lipari; nube a Pino Marittimo. Prevalenza di prodotti piroclastici.
⇒ TIPO PELEANO, con lava viscosissima, acida, con esplosione molto violenta;
⇒ TIPO VESUVIANO, le tre fasi d’esplosione, deiezione, e d’emanazione sono distinte e
intervallate. Eruzione violenta. Può essere detta Pliniana quando si verifica dopo un lungo
periodo di quiete.
CLASSIFICAZIONE DEI VULCANI SECONDO LACROIX (1867-1948)
A) VULCANI AD ERUZIONE CENTRALE
TIPO DI ERUZIONE
Hawaiano, attività effusiva
Stromboliano: attività mista
Vulcaniano: attività mista
Peleano: attività esplosiva, lava
viscosissima a temperatura di
600-800° C, spinta fuori quasi
solida a forma di cupola, torri,
denti….
CARATTERISTICHE
EDIFICIO – ESEMPI
Lava fluida, basaltica. Esce da un
cratere centrale, espandendosi in
ogni direzione.
Lava piuttosto fluida; all’effusione si
alternano eruzioni più violente, a
base di ceneri e lapilli, proiettati a
notevole altezza a causa del
ristagno periodico della lava nel
cratere, formando una crosta solida
che viene periodicamente
frantumata ed eruttata dalla
modesta pressione dei gas
sottostanti, sotto forma di brandelli
di lava fusa.
Lava viscosa che fuoriesce con
violenza e abbondanza di
piroclastici, formando una nube
scura. Rare sono le emissioni
laviche. La lava viscosa solidifica
nella parte alta del condotto,
formando un tappo di grosse
dimensioni. Pertanto, i gas
impiegano più tempo per
raggiungere pressioni sufficienti a
vincere l’ostruzione.
Perciò, l’eplosione è violenta.
Vulcani a scudo, con un cono a base
ampia e pendici lievi. Vulcani delle isole
Hawai.
Strato vulcani, a forma conica. Es.
Etna, Stromboli
Strato vulcano. Es. Vulcano.
Lava molto viscosa, estrusa dal Cumulo-vulcano, con aspetto a torre,
condotto già in gran parte a cupola, ad ago, a dente. Es. La
solidificata.
L’eruzione
è Peleè.
accompagnata da grandi emissioni
di polveri e nubi ardenti distruttive.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
37
Pliniano: aggiunta in seguito Eruzione con maggior esplosività
vulcaniana,
con
nube
come forma intermedia tra della
vulcaniana e peleana.
ardente, piroclastica, a pino
marittimo, che rotola sui fianchi del
vulcano, e di base surge (79 d.C.
Vesuvio, Pompei). I gas emessi
sono di vapore acqueo.
ERUZIONE FISSURALE
ISLANDESE
Lava fluida, basaltica. Fuoriesce da
più punti allineati lungo grandi
fratture della crosta.
Lava viscosa che genera nubi
ardenti, le quali si incanalano lungo
valli di centinaia di km.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
Plateau basaltico con tavolati di
diverso spessore.
Plateau
ignimbritici,
con
sovrapposizione di strati piroclastici.
Es. Campi Flegrei 35.000 anni fa.
38
VULCANESIMO SECONDARIO
Mancano il magma e il parossisma (fase violenta) dell’attività vulcanica. Sprigiona energia ed
emette materiale diverso dal magma e comprende i seguenti fenomeni:
Solfatara con emissione di H2O; H2S
Putizze, con emissione di H2S
Fumarole con emissione di vapore acqueo
Soffioni boraciferi, con getti di vapore ad elevata temperatura + acido borico ed NH3
Geysers, con getti di acqua a temperatura altissima, superiore al punto di ebollizione, a 3040 m. Il geyser è una profonda fessura del suolo che periodicamente si riempie di acqua
proveniente dal sottosuolo, e quando raggiunge il punto di ebollizione viene spinta verso
l’esterno.
⇒ Mofete, con emanazione di CO2
⇒ Stufe, con emanazione di vapore caldissimo dentro grotte
⇒ Sorgenti termali, con emissione intermittente di acqua con sali minerali a temperatura non
elevata, inferiore al punto di ebollizione.
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
Secondo un’ulteriore classificazione le fumarole, in base alla temperatura e alla composizione
chimica, si distinguono in:
1. FUMAROLE SECCHE: con temperatura molto alta, vicina ai 1000°C, costituite
principalmente da vapore acqueo, HCl, CO2 e componenti solforose.
2. FUMAROLE ACIDE: con temperatura di 300-400°C con HCl, SO2, vapore acqueo.
3. FUMAROLE ALCALINE E AMMONIACALI: con temperatura di 100-200°C, con NH4Cl e
H2SO3.
4. Le fumarole con prevalenza di gas solforosi = SOLFATARE, quelle con prevalenza di CO2
= MOFETE.
5. Anche i SOFFIONI BORACIFERI, seconda questo schema, sono un tipo di FUMAROLE.
FENOMENI PSEUDOVULCANICI
Presentano analogia con i fenomeni vulcanici. Elementi sempre presenti sono fango ed
idrocarburi:
⇒ Vulcani di fango = emissione di fango con idrocarburi, N2, CO2, HCl
⇒ Salse = modeste emissioni di fango
⇒ Fontane ardenti = idrocarburi gassosi che a contatto con l’aria prendono fuoco.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI VULCANI
Sono riuniti in distretti e in vicinanza del mare, in aree instabili dove fratture hanno indebolito la
resistenza della crosta terrestre, secondo linee preferenziali, ai margini delle zolle:
Punti caldi (hot spot)
Lungo le coste del Pacifico
Lungo le dorsali oceaniche
Lungo le fosse oceaniche
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39
Lungo gli archi insulari
Depressione mediterranea.
CAUSE
Il vulcanesimo è legato a fenomeni orogenetici, di deformazioni e spostamenti di masse rocciose e
profonde fratture della crosta terrestre e, quindi, alla tettonica a zolle.
Le masse degli strati profondi passando da forti pressioni a pressioni sempre minori, diverrebbero
fluide e tenderebbero a risalire a causa dell’aumento di volume, lungo le fratture. Nel contempo si
separerebbero i componenti volatili (gas, vapori) che con la loro tensione spingerebbero il magma
verso l’esterno.
FORMA DEL VULCANO
DIPENDE DA
TIPO DI
FRATTURA
TIPO DI LAVA
TIPO DI MATERIALE
ERUTTATO
dipende da
PROFONDITA’
dipende dal
TIPO DI LAVA EMESSA
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40
TIPO DI ERUZIONE VULCANICA
Lineare: la lava esce da
fenditure strette e lunghe
Centrale:
esce
dal
cratere centrale.
Fuoriuscita tranquilla di
lava
Laterale: esce da
crateri avventizi
EFFUSIVA
TIPI DI
ATTIVITA’
VULCANICA
Verticale: presso il
cratere
Con lancio di
brandelli di lava e
frammenti solidi
ESPLOSIVA
Laterale: da squarci
lungo i fianchi
Stromboliana
Magma basico
ALTERNATA
Vulcaniana
magma acido
EIETTIVA
lavici
emissione di prodotti
solidi o semisolidi.
I VULCANI DEL MEDITERRANEO
AREA DELL’EGEO
Vulcano, Stromboli, Lipari
AREA TIRRENICA
ISOLE EOLIE
SICILIA EST=
CAMPANIA
Etna, Pantelleria
Vesuvio, Campi Flegrei
IN ITALIA le aree vulcaniche attive sono due:
LA REGIONE ETNEA
LA REGIONE VESUVIANA – FLEGREA = La zona a più alto rischio per:
1. attività esplosiva del vulcano
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41
2. periodo lungo intercorso dall’ultima esplosione
3. elevatissima densità di popolazione residente (circa 2.000.000).
VULCANI ITALIANI
In tutto sono nove vulcani attivi, divisi in tre diversi tipi di vulcanesimo, legati a situazioni
geologiche diverse.
1. Una prima attività vulcanica è legata ad una area (isole Eolie) di scontro tra due
microzolle litosferiche nel Tirreno meridionale, dove una parte di litosfera africana scivola
sotto quella europea con un angolo di circa 50°. Attualmente il sottoscorrimento è arrivato
a 450 km di profondità, generando terremoti con ipocentro profondo.
Es. Vulcani delle Isole Eolie: Stromboli (200.000 anni fa) uno dei più attivi della Terra,
Vulcano, Lipari, Panarea e quelli sottomarini del Tirreno meridionale. Stromboli è un
vulcano che si eleva per circa 3000 m dal fondo marino. Alterna periodi di attività effusiva
a periodi esplosivi. La sua attività eruttiva è continua da circa 3000 anni. Vulcano, Lipari e
Panarea sono vulcani con lava meno fluida, con prevalenza della fase esplosiva.
Attualmente sono quiescenti: l’attività è ridotta alla emissione di vapori di zolfo.
2. Un secondo tipo di attività vulcanica è legato ad una serie di fosse tettoniche parallele
alla catena appenninica, dalla Toscana alla Campania. ES. Vesuvio (più di 300.000 anni),
Ischia, Campi Flegrei (50.000 anni); M.te Amiata, laghi craterici di Bolsena, Vico,
Bracciano, Vico, Nemi, Albano. Il VESUVIO è un vulcano ad altissimo rischio, perché, dopo
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42
fasi effusive tranquille, subentrano periodi di quiete anche lunghi. Improvvisamente si
risveglia con una catastrofica esplosione (79 d.C.).
3. Vi è, infine, un terzo tipo di vulcanesimo di natura basaltica, associato alla presenza di
grandi fratture. Es. ETNA (700.000 anni), Pantelleria (8.000 anni), Isola Ferdinandea, nata
e scomparsa nel 1931. L’ETNA è il vulcano più alto d’Europa (3340 m). La sua attività è
ininterrotta da almeno 3000 anni. La lava è fluida, per cui l’attività è prevalentemente
effusiva.
Nel corso della sua vita un vulcano può attraversare fasi di eruzione di magma acido alternate a
fasi di eruzione di magma basico, perciò le caratteristiche dell’edificio vulcanico possono variare
nel tempo. Per questo motivo non è possibile elaborare un rigido sistema di classificazione in cui
catalogare i vulcani.
CONCLUSIONI
Le caratteristiche di un vulcano e delle sue eruzioni, dipendono essenzialmente dal tipo di magma
di partenza: la sua acidità o basicità ne determinano la fluidità che, associata alla presenza di gas,
influisce sul tipo di eruzione.
Il vulcanesimo è un fenomeno che crea nuova crosta terrestre. Perciò, il vulcano è interpretabile
sia come agente creatore della crosta sia come agente modificatore, assieme all’altro grande
interprete della dinamica endogena terrestre: il terremoto.
Il magma acido origina edifici vulcanici a cono (Etna, Vesuvio, Vulcano; Stromboli).
Il magma basico origina edifici molto appiattiti. Un vulcano terrestre medio erutta ogni 250 anni.
ESTENSIONE N° 1: ASPETTI POSITIVI DEL VULCANESIMO
Il vulcanesimo può essere visto come rischio, ma anche come risorsa, con risvolti positivi.
1. Ha contribuito alla formazione dell’atmosfera e degli oceani con i grandi episodi vulcanici di
circa 4 miliardi di anni fa.
2. I suoli di origine vulcanica sono estremamente fertili, permettendo una elevata produzione
agricola e una elevata densità abitativa.
3. Molte rocce vulcaniche sono oggetto di commercio come materia prima per produrre lana di
roccia (ossidiana), come abrasivi, come coibenti edili (pomice), come pietra da costruzione e
da rivestimento o per la fabbricazione dei cementi (porfido, tufo), come pietre preziose come i
diamanti, in antichi camini vulcanici (diatremi).
4. I gas sono fonte di prodotti chimici: H3BO3, NH3, CO2.
5. L’energia geotermica può essere trasformata in:
energia termica per riscaldamento (Islanda)
energia elettrica (Italia).
L’energia geotermica proveniente dall’interno della Terra è rinnovabile, illimitata e non inquinante.
1. Si utilizzano i fenomeni di vulcanesimo secondario a scopo terapeutico: fanghi, acque termali,
fumarole, rappresentano una notevole risorsa economica per molte località.
2. Gli edifici e i laghi vulcanici, i geysers, le solfatare e i soffioni boraciferi sono meta turistica.
3. I vulcani rappresentano un’importante fonte di dati scientifici sul mantello terrestre. Infatti, i
vulcani grazie ai diatremi, costituiscono dei lunghissimi fori naturali attraverso i quali giungono
in superficie rocce e fluidi che si sono generati nell’interno della Terra. I vulcani sono, quindi,
finestre naturali che si aprono all’interno della terra e ci permettono di avere informazioni
dirette sulla struttura della Terra. Per esempio, i vulcani basaltici eruttando magmi a
temperature di 1200-1400°C, costituiscono l’unica prova certa che all’interno della Terra
esistono temperature di migliaia di gradi. Inoltre, i magmi durante la loro risalita trasportano
anche materiali lapidei provenienti da notevoli profondità: gli xenoliti, cioè rocce estranee al
magma che li ha trascinati. Essi ci forniscono le uniche informazioni dirette sulle deformazioni
plastiche e sulla composizione chimica e mineralogica delle rocce del mantello.
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43
ESTENSIONE N° 2: I PUNTI CALDI (HOT SPOTS)
Essi sono dei flussi di calore particolarmente alto.
L’origine del vulcanesimo va ricercata nei movimenti delle placche (origine tettonica), per cui i
vulcani sono disposti nella quasi totalità lungo i margini della zolle:
•
•
•
L’80% è localizzato lungo i margini costruttivi o divergenti;
Il 15% lungo i margini distruttivi o convergenti;
Il rimanente 5% è posto all’interno delle placche e, precisamente, sopra punti caldi
caratterizzati da getti di materiali incandescenti provenienti dalle zone profonde del
mantello, presso il nucleo, in grado di perforare la litosfera. Essi danno origine a centri
vulcanici che emettono lave mafiche o basaltiche.
Dunque, i punti caldi sono zone vulcaniche della crosta terrestre, in mezzo ad una placca, lontano
dai margini, in corrispondenza dei quali risalgono colonne di materiale molto caldo, denominate
pennacchi o plumes, aventi un diametro di 100-250 km. Sono stati individuati un centinaio di
punti caldi (Islanda, Azzorre, Hawai).
Essendo i punti caldi fissi e le placche mobili, si formano degli allineamenti di edifici vulcanici.
Sono attivi e giovani quelli posti nei pressi di un punto caldo. Man mano che si allontanano dal
punto caldo, diventano inattivi e più antichi.
Si ritiene che il pennacchio abbia origine nella regione del mantello presso il nucleo.
Gli allineamenti di vulcani sono utilizzati per ricostruire le direzioni e la velocità dei movimenti delle
placche.
E’ come se facessimo scorrere un foglio di carta (la placca) sopra una candela (punto caldo). La
traccia annerita del foglio registra l’andamento del movimento. Dividendo la lunghezza della
traccia per il tempo impiegato a crearla, si ottiene la velocità del movimento (V= s/t).
I basalti presso i punti caldi hanno una composizione chimica leggermente diversa da quella
registrata nei basalti legati ad altri tipi di vulcanesimo.
Ciò dimostra la peculiare origine dei fenomeni vulcanici connessi ai punti caldi.
Circa 20 punti caldi sono prossimi alle dorsali oceaniche, e potrebbero essere collegati con la
risalita delle celle convettive del mantello (il motore della tettonica delle placche).
Altri punti caldi, però, non hanno dato origine a dorsali oceaniche, per cui l’ipotesi che collega i
punti caldi alle celle convettive non è accettata da tutti.
Pertanto, i punti caldi sono uno dei punti più controversi della tettonica delle placche e sono
oggetto di intense ricerche.
ESPANSIONE 3: IL RISCHIO VULCANICO
Il rischio vulcanico rientra nel rischio geologico, espresso in termini sintetici come: probabilità
dell’evento vulcanico (hazard) x i danni o conseguenze:
R=PxExV
Cioè dipende dalla probabilità che si manifesti un evento vulcanico, dalla sua pericolosità, dal
valore economico e dal numero di vite umane esposte a rischio.
COMPONENTI del rischio:
1.
P = pericolosità
2.
E = elementi a rischio
3.
V = vulnerabilità
4.
R = sintetico.
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analitici
44
P: dipende dal tipo di eruzione. Occorrono le mappe di pericolosità, come guida per la gestione
del territorio.
E: persone e infrastrutture a rischio.
V: elevata, perché non esistono tecniche edili antivulcaniche.
Pertanto, per diminuire il rischio vulcanico occorre:
1. evitare l’eccessiva antropizzazione delle aree a rischio
2. affinare i metodi e i mezzi di previsione delle modalità di eruzione
3. stabilire i relativi piani di protezione civile.
Il rischio è prevedibile perché un’eruzione è preceduta da segni premonitori come i terremoti,
boati, fumi.
Secondo l’UNESCO si ha:
R = hazard x vulnerabilità x valore
Dove: hazard = probabilità dell’evento;
Vulnerabilità = pericolosità
Valore = danni, valore economico e n° vite umane esposte a rischio = conseguenze.
Il rischio è elevato nei territori in cui alla concreta probabilità di realizzazione dell’evento, si
associano alti indici di vulnerabilità e di valore (zone vulcaniche densamente abitate).
Il fattore più difficile da definire è la probabilità dell’evento (hazard) per la cui determinazione si
utilizza il tempo di ritorno, cioè l’intervallo di tempo tra due eventi vulcanici.
PREVISIONE ATTIVITA’ VULCANICA
La previsione si traduce in:
Sorveglianza dei vulcani attivi mediante osservatori, con speciali apparecchiature per
rilevare i segni premonitori
Con un archivio storico del vulcano per calcolare la ricorrenza periodica delle eruzioni
Satelliti artificiali
Interpretazione dei segni premonitori quali:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
scosse sismiche
aumento temperatura suolo, indice di risalita magma
aumento erogazione fumarole e sviluppo di gas
rigonfiamento sommità dei vulcani
esodo in massa di animali selvatici e irrequietezza animali domestici
prosciugamento pozzi e sorgenti.
Unica possibilità di difesa: tempestiva previsione dell’evento eruttivo che si basa sullo studio di
eventi passati, delle caratteristiche del vulcano e dei fenomeni premonitori.
Le eruzioni più pericolose sono quelle esplosive di vulcani a magma viscoso, con nubi ardenti e
lahars.
PREVENZIONE
I danni economici possono essere ridotti solo attraverso una utilizzazione razionale del territorio,
evitando insediamenti nei luoghi geomorfologicamente a rischio e:
realizzando carte del rischio vulcanico in base alla storia passata di un vulcano e allo
studio della morfologia dei luoghi.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
45
Attualmente tali carte e le reti di rilevazione sono il mezzo più efficace di protezione
preventiva per far evacuare la popolazione, secondo:
piani di emergenza della Prefettura o dei Comuni
educazione della popolazione.
CONTROLLO
Durante un’eruzione si può fare ancora poco. Si può tentare di controllare la colata lavica:
deviandone il percorso, mediante terrapieni,
con esplosivi
canalizzando la lava
con potenti getti d’acqua sulla lava per raffreddarla e consolidarla.
In Italia i due vulcani più pericolosi sono il VESUVIO e VULCANO.
Più è lungo il periodo di quiescenza più è probabile che la ripresa dell’attività sia violenta e
distruttiva.
Pertanto, gli obiettivi di fronte al rischio vulcanico sono essenzialmente tre:
1. Previsione
2. prevenzione
3. controllo per le eruzioni effusive.
ATTIVITA’ VULCANICA E L’UOMO
Turismo per la particolarità del paesaggio
Utilizzo di energia geotermica
Utilizzo di prodotti per l’edilizia (tufi, lava)
Terreni fertilissimi per l’agricoltura
Presenza di acqua per l’industria.
Approfondimenti sul vulcanesimo
Il diverso contenuto in acqua e in silice in un magma, determina il tipo di attività del vulcano:
1. Un miscuglio a basso contenuto in acqua e silice porta ad un’effusione tranquilla di lava
fluida,
2. Se il contenuto in silice è basso ma è alto il contenuto in acqua, il vapore in espansione
trascina verso l’alto la lava fluida, formando fontane di lava alte fino a 100 metri (eruzione
tipo hawaiano);
3. Se è basso il contenuto in acqua, ma alto quello in silice, la lava è viscosa e fluisce molto
lentamente, formando una cupola di ristagno;
4. Se, infine, il magma ha un alto contenuto di acqua e di silice, la sua viscosità ostacola la
liberazione del vapore, il quale, pertanto, deve raggiungere pressioni molto elevate prima di
provocare l’eruzione, che avviene con violenti esplosioni e con formazione di piroclastiti. Si
forma così una nube ardente, cioè una densa sospensione ad alta temperatura (oltre
300°C) di gas, vapori e frammenti solidi, la quale sale verticalmente per circa 30 km ad una
velocità di 100-400 km/h. Quando la nube perde energia e i gas si disperdono, la colonna
di materiale solido e ancora rovente (polveri, ceneri e lapilli) collassa e ricade al suolo,
rotolando velocemente lungo le pendici dell’edificio vulcanico (nube ardente ricadente;
eruzione tipo pliniano). Se la sommità del condotto è ostruita da una cupola di ristagno di
lava viscosa, l’esplosione può avvenire lateralmente e la nube scende lungo il pendio con
velocità e forza spaventose (nube ardente discendente; eruzione tipo peleano). Però, la
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46
forma più devastante di queste esplosioni è quella delle nubi ardenti traboccanti che
fuoriescono da fessure lunghe decine di km. Hanno maggiore energia degli altri tipi di nubi
e si spingono a centinaia di km di distanza.
Il vulcanesimo esplosivo può portare a profonde modifiche dell’edificio vulcanico, formando una
caldera (= pentolone), cioè una vasta depressione per sprofondamento della parte sommitale
dell’edificio vulcanico, a seguito del rapido svuotamento della camera magmatica, causato dalla
forte esplosione.
Oltre al vulcanesimo esplosivo dovuto a magmi viscosi e ricchi di gas, esiste un vulcanesimo
dovuto all’interazione tra magma e acqua di falda: vulcanesimo idromagmatico. Il vapore che si
accumula, genera enormi pressioni che possono far saltare la copertura di rocce ed aprire un
varco.
Dal cratere esce con grande violenza una colonna di vapore che trascina frammenti di rocce e di
lava polverizzata.
Dalla base della colonna eruttiva parte una densa nube anulare di vapore e materiali solidi che si
espande a 150 km/h in senso radiale a partire dal cratere (BASE SURGE).
Fenomeni concomitanti all’attività vulcanica sono le colate di fango (lahars). Esse si formano per
smottamento di grossi accumuli di ceneri lungo le pendici di un vulcano imbevuti d’acqua derivante
dalle abbondanti precipitazioni, dovute alla condensazione del vapore acqueo emesso dalle
eruzioni.
TIPI DI ERUZIONE
⇒ Eruzione tipo hawaiano: con abbondante effusione di lava fluida, con tipici vulcani a
scudo; si formano fontane di lava anche di 100 m;
⇒ Simili sono le eruzioni di tipo islandese, nelle quali la lava fuoriesce da lunghe fessure;
⇒ Eruzioni tipo stromboliana: la lava fluida ristagna periodicamente nel cratere, dove inizia
a solidificare. Al di sotto della crosta solida (tappo) si accumulano i gas che si liberano dal
magma. Nel giro di qualche ora la loro pressione fa saltare la crosta con modeste
esplosioni. Quindi, si ripete periodicamente lo stesso fenomeno.
⇒ Un meccanismo simile caratterizza le eruzioni di tipo vulcaniana. Però, in tal caso la lava
è molto più viscosa, perciò i gas si liberano con molta difficoltà, mentre la lava forma un
tappo di grosso spessore. Pertanto, i gas impiegano più tempo per raggiungere pressioni
sufficienti a vincere l’ostruzione: quando ciò avviene, l’esplosione è violentissima.
⇒ Eruzione tipo vesuviana: con estrema violenza esplosiva.
⇒ Eruzione tipo pliniano: quando tali esplosioni raggiungono il loro aspetto più violento. Il
magma viscoso e ricco di gas viene sparato attraverso il condotto (che opera come una
canna di fucile) fino a 30 km di altezza, poi ricade come nube ardente ricadente.
⇒ Eruzione tipo peleano: emissione di lava viscosissima a 600-800°C, che forma cupole o
torri alte anche 300 m, per questo l’esplosione avviene lateralmente e la nube scende
lungo il pendio con velocità e forza spaventose (NUBE ardente discendente).
Per fronteggiare il rischio vulcanico e sismico, la soluzione ideale sarebbe la previsione
deterministica: si tratta in pratica della capacità di prevedere con assoluta certezza:
1. l’istante dell’evento
2. il luogo esatto
3. l’intensità.
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47
LE ERUZIONI VULCANICHE SONO TEORICAMENTE PREVEDIBILI
I vulcani danno almeno una certezza: il luogo della eruzione, per cui essi fanno meno vittime dei
terremoti.
Inoltre, spesso è possibile conoscere l’approssimarsi di un’eruzione grazie ai segni premonitori:
aumento flusso termico, rigonfiamento di parti dell’edificio vulcanico…
Anche l’intensità può non essere del tutto un mistero, perché i vulcani di tipo effusivo sono meno
pericolosi di quelli ad attività esplosiva.
Non esiste una previsione sismica certa.
Tuttavia, i terremoti vengono preceduti da particolari sintomi premonitori.
Molto più promettente è la previsione statistica dei terremoti, basata sui cataloghi sismici.
Fondamentale resta la prevenzione: punti di partenza sono la zonizzazione sismica e le carte del
rischio sismico che distinguono il territorio sulla base della probabilità sismica.
Le carte del rischio vengono elaborate grazie alla previsione statistica.
La prevenzione consiste:
⇒ nella realizzazione di interventi volti a diminuire la vulnerabilità territoriale,
⇒ selezionando le aree edificabili
⇒ e applicando norme antisismiche ed educando la popolazione.
⇒ Anche per il rischio vulcanico, la prevenzione rappresenta l’unica vera forma di difesa,
prendendo le mosse dal catalogo vulcanico e individuando le zone più a rischio.
⇒ Esse vengono sottoposte a stretta sorveglianza:
⇒ morfologica
⇒ meteorologica
⇒ idrografica.
⇒ I risultati di questi studi vengono riassunti nelle carte del rischio vulcanico, che suddividono
le aree in base al diverso grado di pericolosità.
⇒ Queste carte costituiscono il punto di partenza per prendere decisioni operative:
⇒ lasciare disabitata una zona
⇒ istruire la popolazione per i comportamenti da assumere….
⇒ Costruire con tetti in grado di sopportare i grossi carichi di cenere vulcanica.
SEAMONTS = vulcani sottomarini con sommità aguzza; GUYOT = con sommità piatta.
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48
MODELLO INTERNO DELLA TERRA
PREREQUISITI:
1. Concetti di densità, pressione, gravità, temperatura e calore
2. Onde sismiche e modalità di propagazione
3. Sapere come si propaga il calore.
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
OBIETTIVI: conoscenze e competenze
Descrivere le caratteristiche fisiche della Terra
Discutere le variazioni della temperatura con la profondità e le cause del calore terrestre
Spiegare l’origine del magnetismo terrestre
Individuare i contributi dati dalla sismologia, dalla geofisica alla formulazione del modello
interno della Terra
Riferire sui modelli dell’interno della Terra
Descrivere le discontinuità e i vari gusci della Terra
Indicare le differenze tra crosta continentale e oceanica
Individuare e descrivere le principali strutture oceaniche e continentali.
CONTENUTI: densità, gravità, isostasia, campo magnetico, calore interno della Terra,
temperatura, trasporto del calore, modelli sulla struttura interna della Terra.
GEOFISICA: le caratteristiche fisiche della Terra
La Terra oltre a presentare una sua composizione chimica ben definita, è caratterizzata da alcune
proprietà fisiche quali:
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
Densità
Calore e temperatura interna
Pressione
Gravità
Campo geomagnetico.
DENSITA’ TERRESTRE, PRESSIONE E GRAVITA’
Intendiamo per densità il rapporto tra la massa e il volume della Terra. La massa è calcolabile
partendo dalla legge di gravitazione universale di Newton e misura circa 6000 miliardi di miliardi di
tonnellate.
Le dimensioni della terra sono misurabili attraverso vari metodi geodetici e da essi, conoscendo il
raggio, si ricava un volume di circa 1,083 x 1027 cm3. Quindi, la densità della Terra nella sua
globalità è di circa 5,5 g/cm3.
Se però consideriamo le rocce della crosta terrestre, ricaviamo che la loro densità media è di circa
2,8 g/cm3. Ciò significa che l’interno della Terra è più denso della crosta e che, probabilmente, la
Terra è fatta a gusci di densità crescente verso il centro (differenziazione gravitativa).
Si suppone che la densità del mantello oscilli tra 3,3 e 5,6 g/cm3 ; per estrapolazione, la densità del
nucleo dovrebbe variare tra 9,7 e 13 g/cm3 , anche perché i materiali del nucleo, sottoposti ad
enormi pressioni, sono ipotizzati più densi. Lo studio delle onde sismiche ha confermato queste
idee. Sulla base di questo studio si è dedotto che andando verso l’interno della Terra, la densità
ha un aumento irregolare, mentre quello della pressione è regolare.
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49
Pressione
Gravità
Km
Km
GRAVITA’
2
Valore teorico = 9,8 m/s ; unità di misura è il milligal.
Ogni oggetto a contatto con la superficie terrestre subisce l’attrazione di gravità da parte della
massa terrestre. Tale attrazione determina il peso di un corpo.
L’attrazione gravitazionale terrestre non è costante, ma varia leggermente, procedendo
dall’equatore verso i poli, in funzione dei seguenti parametri:
⇒ Forma della Terra (latitudine e quota);
⇒ Spessore e densità delle rocce sottostanti;
⇒ Presenza di grandi masse montuose che esercitano forza attrattiva verso i corpi.
Tuttavia, il valore della gravità terrestre, è sempre leggermente superiore sopra i fondali oceanici,
mentre è inferiore in prossimità degli orogeni.
Infatti, la gravità è inversamente proporzionale alla quota e direttamente proporzionale alla
latitudine.
ISOSTASIA: il galleggiamento della crosta, stato di equilibrio
Principio dell’isostasia di Dutton verso la fine dell’800.
In geologia l'isostasia è un fenomeno di equilibrio gravitazionale che si verifica sulla Terra tra la
litosfera (placche) e la sottostante astenosfera. È paragonabile al fenomeno di galleggiamento
descritto dal principio di Archimede.
Per spiegare le anomalie della gravità, si è ipotizzato che le due croste, oceanica e continentale,
dalla densità diversa, si comportino come se si mantenessero in equilibrio sul mantello sottostante
(isostasia).
I rilievi continentali, fatti di materiali rocciosi poco densi, si spingerebbero a maggiori profondità nel
mantello sottostante, in proporzione all’altezza della parte emersa.
Ciò consente di stabilire che la crosta terrestre non è omogenea, ma è distinta in:
⇒
⇒
Crosta continentale, di tipo sialico, più leggera;
Crosta oceanica, di tipo simatico, più pesante.
La differenza di densità e di peso tra le due croste, genera una situazione di equilibrio più o meno
stabile (equilibrio isostatico o isostasia). Tale equilibrio può variare nel tempo: l’erosione porta ad
abbassare i rilievi, per cui i continenti si alleggeriscono e i fondali si appesantiscono per il deposito
dei materiali erosi sui continenti. Quindi, il rilievo dei fondali oceanici si abbassa e quello dei rilievi
continentali si innalza.
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50
CAMPO GEOMAGNETICO
Con il termine campo si intende la regione dello spazio dove è attivo un certo fenomeno.
La terra si comporta come un gigantesco magnete, perché è in grado di orientare l’ago di una
bussola nella direzione nord sud.
Il campo geomagnetico possiede un polo Nord magnetico e un polo sud magnetico, con l’asse che
li unisce detto asse magnetico, il quale forma con l’asse terrestre, attualmente, un angolo di 11°
(angolo di declinazione magnetica).
Quindi, i poli magnetici non coincidono con i poli geografici, ma con essi formano un angolo detto
declinazione magnetica.
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51
Si dicono ISOGONE quelle linee che uniscono tutti i punti aventi uguale declinazione. Mentre, le
isocline sono quelle linee che congiungono punti con stessa inclinazione magnetica (= angolo
che l’ago della bussola forma con il piano dell’orizzonte).
ORIGINE: la spiegazione più convincente sulle cause del campo magnetico terrestre è che
l’interno della Terra, per azione della rotazione terrestre, sia percorso da correnti elettriche.
Inoltre, il campo magnetico terrestre è variabile nel tempo ed è definito da due parametri principali:
⇒ La direzione: che varia da punto a punto della Terra e corrisponde a quella assunta
dall’ago della bussola;
⇒ L’intensità: che si misura con il magnetometro. L’unità di misura è il Gauss. IL valore
medio per la Terra è di circa mezzo Gauss.
Il campo magnetico terrestre cambia di direzione e subisce periodiche inversioni di polarità, con
epoche magnetiche normali, della durata media di 500.000 anni, intervallate ad epoche a
magnetizzazione inversa, di minor durata.
Tutto ciò è stato studiato grazie al paleomagnetismo o magnetismo fossile.
Quando un materiale magnetizzabile si raffredda, registra la direzione del campo magnetico che la
Terra ha in quel momento.
L’analisi del paleomagnetismo ha portato a due sorprendenti scoperte:
⇒ Migrazione dei poli: ma non sono stati i poli magnetici a spostarsi, bensì le placche,
facendo cambiare posizione e orientamento alle rocce.
⇒ Inversione di polarità con il succedersi di epoche magnetiche normali ed inverse.
IL CALORE INTERNO DELLA TERRA E LA TEMPERATURA
La Terra possiede anche energia propria (energia geotermica), cioè calore terrestre. In certi punti
il calore emesso è particolarmente abbondante e si manifesta nei vulcani ed è utilizzabile per scopi
curativi e per la produzione di energia elettrica.
Con la profondità, la temperatura aumenta in modo progressivo e costante. Tale aumento si
chiama “gradiente geotermico” = 1°C/30 m, in pratica 3°C/100 mt.
Nelle aree vulcaniche il gradiente termico può superare i 10°C/100metri.
In realtà, in profondità il gradiente è inferiore a quello rilevabile in superficie, giacché il nucleo è
solido ed ha una temperatura di circa 4300°C. La geoterma è la curva che descrive l’aumento
termico con la profondità. La Geoterma è una curva immaginaria che rappresenta il gradiente
geotermico, cioè la variazione di temperatura all'aumentare della profondità all'interno della Terra.
Si misura in °C/km e ha un valore medio di 30°C/km e un minimo di 10°C/km.
La litosfera conduce il suo calore interno fino alla superficie e questo fenomeno prende il nome di
flusso di calore, accompagnato dai moti convettivi.
In base alle misure del flusso di calore, si può costruire una mappa delle zone calde della Terra:
esse coincidono con le regioni vulcaniche, le dorsali oceaniche. Al contrario, le zone
geologicamente stabili presentano aree fredde.
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52
°C
Geoterma
Profondità (Km)
Le cause del calore terrestre, in ordine di importanza, sono le seguenti:
⇒ Decadimento materiali radioattivi (70%): infatti, le rocce più ricche di elementi radioattivi
sono i graniti, i più abbondanti nella crosta terrestre, dove è massimi il gradiente geotermico;
⇒ Residuo del calore di formazione iniziale della Terra (circa il 30%);
⇒ Calore generato dall’attrito tra le placche in movimento;
⇒ L’aumento di pressione con la profondità, a causa del peso delle rocce sovrastanti, che
provocherebbe un aumento termico delle rocce, con fenomeni di metamorfismo e rifusione.
Flusso di calore = quantità di calore emessa nell’unità di tempo da 1m2 di superficie e la sua
misura si ottiene moltiplicando il valore del gradiente termico reale di una zona (∆T/∆x) per la
conducibilità termica delle rocce presenti in quella zona (attitudine di una roccia a trasmettere
calore):
Φ = - K ∆T/∆x
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
53
Dove K = conducibilità termica delle rocce; il segno negativo significa bassa conducibilità.
∆T/∆x = gradiente geotermico, cioè la variazione di temperatura (∆T) in base alla profondità (∆x).
Il gradiente termico è minimo 0,6 °C nelle aree stabili; medio 1°C/39 m; massimo = 14 °C nelle
aree vulcaniche e giovani. Espresso in HFU il gradiente termico è minimo di 1HFU, medio 1,5 HFU
e massimo 2HFU.
Tutti i modelli prevedono che il gradiente geotermico di sminuisce con la profondità, in quanto nel
nucleo interno la temperatura non dovrebbe superare i 4300 °C.
2
2
2
Il flusso di calore si misura in HFU = unità di flusso di calore = cal/cm /s, W/m /s; J/m /s.
Importanza del flusso di calore
Le misure ci aiutano a comprendere i fenomeni geologici nelle varie zone della terra. Infatti, nelle
zone stabili e antiche (scudi) il flusso è basso, mentre nelle zone vulcaniche e nelle zone
orogenetiche recenti è 2-3 volte maggiore.
Trasporto di calore: meccanismi
1. Contatto o conduzione termica: è una trasmissione dell’agitazione termica tra particelle
adiacenti. E’ dovuta al fatto che gli atomi a maggiore temperatura, vibrando maggiormente e
urtando gli atomi vicini, trasmettono loro parte della propria energia cinetica. Le rocce sono
cattive conduttrici di calore.
2. Irraggiamento: sotto forma di onde infrarosse, ma è un sistema meno efficace della
conduzione.
3. Convezione termica: trasporto di calore per mezzo del trasferimento di materia (celle
convettive). E’ il processo che contribuisce in misura maggiore alla dispersione del calore
terrestre.
N.B. - Mentre l’energia del sole è responsabile di tutti i fenomeni esogeni, l’energia geotermica
provoca i fenomeni endogeni, molto più appariscenti nella scala temporale geologica (orogenesi,
deriva delle placche, fenomeni sismici, formazione dei bacini oceanici).
LA STRUTTURA INTERNA DELLA TERRA
Un primo accettabile modello di costituzione interna della Terra è stato proposto nel 1885 da
Suess, che distingueva tre zone concentriche in base alla diversa densità e alla natura
chimica delle rocce:
1. SIAL: più esterno, leggero, con rocce a base di silicio ed alluminio (sialiche o granitiche);
2. SIMA: silicio + magnesio; con rocce simatiche, più scure e pesanti.
3. NIFE: nichel + ferro; nucleo pesante.
Nel 1922 Goldschmit aggiungeva l’osol:
1.
2.
Sial
Sima
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3. Osol: ossidi e solfuri.
4. Nife.
54
Nel 1941 Kuhn e Rittmann elaborano una nuova teoria, secondo la quale vi sarebbe un nucleo di
materia solare indifferenziata, con molecole e atomi senza elettroni + 30% di idrogeno. Al di fuori
del nucleo ci sarebbero due zone magmatiche: una inferiore ed una superiore. Infine, una crosta
cristallina.
Oggi il modello geochimico di costituzione interna della Terra, è stato parzialmente abbandonato
a vantaggio di un modello geofisico, ottenuto con metodi diversi.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
55
Infatti, le proprietà su cui si basa il modello geofisico sono:
⇒ La capacità di trasmissione delle onde attraverso i corpi solidi (sismologia);
⇒ La gravità terrestre e le sue anomalie;
⇒ Il campo geomagnetico.
GEOFISICA
La proprietà che ha fornito le maggiori informazioni sull’interno della Terra, è la capacità di
trasmissione delle onde sismiche.
Gli studi sulle anomalie di gravità hanno fornito dati utili sulla parte superficiale della Terra,
chiarendo la distribuzione tra oceani e continenti.
Il magnetismo terrestre ha cominciato a far luce su alcune caratteristiche interne del
pianeta.
In base a questi studi recenti, il modello geofisico prevede tre gusci concentrici:
1. LA CROSTA
2. IL MANTELLO
3. IL NUCLEO
MODELLO DI BULLEN (1963).
Tale modello è il più recente e si basa sulla propagazione delle onde sismiche e sulla
posizione delle superfici di discontinuità, dove varia bruscamente la velocità delle onde
sismiche e ci sono cambiamenti litologici e di stato di aggregazione.
RICAPITOLANDO: i geofisici per formulare il loro modello hanno ricavato informazioni attraverso
vie indirette, che comprendono lo studio delle caratteristiche fisiche della Terra:
⇒
⇒
⇒
⇒
Variazioni del campo gravitazionale
La diversa intensità del flusso di calore
Le variazioni del campo magnetico terrestre.
La strada fondamentale resta l’analisi dei tracciati delle onde sismiche che interagiscono con le
rocce. I sismogrammi contengono le tracce di queste interazioni con i materiali attraversati.
Però, solo le onde di volume o interne contengono queste informazioni.
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56
Le onde sismiche subiscono tre tipi di modificazioni:
⇒ Rifrazione, cioè deviazione
⇒ Riflessione, cioè ritornano indietro
⇒ Variazione di velocità che dipende dalla densità (a cui la velocità è dirett. prop.) e dalla
temperatura (invers. prop.). Infatti, aumentando la temperatura i materiali sono allo stato
fuso, dove la velocità delle onde sismiche è più bassa.
Comunque, qualunque modello della struttura interna della Terra deve tener conto:
⇒ Sia della composizione chimica (tramite il vulcanesimo)
⇒ Sia delle variazioni delle caratteristiche fisiche.
Una nuova tecnica di indagine “la tomografia sismica” rivela le variazioni della velocità delle onde
sismiche per risalire alla rigidità dei materiali rocciosi e alle temperature.
Le brusche variazioni di velocità delle onde sismiche vengono messe in relazione con la presenza
di due principali superfici sferiche dette superfici di discontinuità di 1° grado, dove vengono a
contatto involucri con diverse proprietà fisiche (stato di aggregazione) e diverse proprietà
chimiche (variazioni nella composizione chimica).
SUPERFICI DI DISCONTINUITA’: ZONE DI PASSAGGIO.
Dentro il globo terrestre, esistono zone dove si osservano alcune modificazioni brusche della
velocità di propagazione delle onde sismiche; queste zone corrispondono a dei cambiamenti fisici
del mezzo percorso. Le discontinuità fisiche delimitano i differenti grandi involucri della Terra.
Discontinuità principali o di 1° grado:
⇒ la discontinuità di Mohorovičić, situata a una profondità compresa fra 5 e 90 km, segna il
limite fra la crosta (oceanica o continentale) e il mantello, e mostra una variazione della
natura dei materiali. La Moho è compresa fra 0 e 15 km sotto la crosta oceanica, 30 km
sotto una crosta continentale di tipo zoccolo e a una più grande profondità (fino a 80 km)
sotto le catene di montagne recenti.
⇒ la discontinuità di Gutenberg, situata a 2900 km tra mantello e nucleo, marca il limite fra il
mantello inferiore e il nucleo esterno - che si comporta come un liquido.
Discontinuità di 2° grado:
⇒ la discontinuità di Conrad (1925), tra mesoderma e batiderma, tra 15 e 20 km
⇒ la discontinuità di Repetti, tra mantello superiore ed inferiore, a 700 km
⇒ la discontinuità di Lehmann, situata a 5170 km di profondità, delimita il nucleo esterno e
il nucleo interno (detto anche "seme solido").
A. LA CROSTA (ex SIAL)
Il suo spessore è assai modesto: meno dell’1% del raggio terrestre. E’ paragonabile allo spessore
della buccia di un caco rispetto all’intero frutto.
EPIDERMA
CROSTA
MESODERMA
BATIDERMA
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57
La crosta terrestre ha uno spessore medio di 33 km. La crosta continentale ha uno spessore tra
30 e 70 km, 90 km sotto l’Himalaya; la crosta oceanica varia da 5 a 15 km.
1)
2)
3)
4)
5)
6)
CROSTA CONTINENTALE
costituita da granito o rocce sialiche (chiare)
struttura e composizione eterogenee
3
densità 2,7 g/cm
spessore 35-70 km
ricoperta da sedimenti e rocce sedimentarie
fino a 5 km
età fino a 3,5 miliardi di anni
1)
2)
3)
4)
5)
6)
CROSTA OCEANICA
costituita da basalto, pesante e scuro
struttura e composizione più omogenee
3
densità maggiore, 3 g/cm
spessore 6-10 km
ricoperta da uno strato minore di
sedimenti
età che non supera 200.000.000 anni.
B. MANTELLO
Arriva fino a 2900 km di profondità e rappresenta l’82% del volume della Terra.
E’ costituito da materiali più densi: nella parte superiore da Fe, Mg; nella parte inferiore da solfuri,
ossidi di Fe, Mg e altri metalli più pesanti.
Nel mantello la densità arriva fino a 5,6 g/cm3, la temperatura a 3000-4000°C. Le rocce sono
ultrabasiche, le peridotiti, costituite da olivina e pirosseni.
Nel mantello si riconoscono tre zone:
1. Una zona superiore, fino a 100 km, a comportamento rigido ed elastico, chiamata
“MANTELLO LITOSFERICO”, che con la crosta forma la LITOSFERA; le onde viaggiano a
5 km/s;
2. Una zona intermedia (compresa tra 100 e 700 km), detta “ASTENOSFERA” (da astenia =
debolezza), con temperatura più alta e con un comportamento plastico, perciò le rocce si
deformano senza rompersi. Quindi, qui non vi sono ipocentro di terremoti;
Strato superiore o a bassa velocità (LVL, in cui la velocità delle onde
sismiche diminuisce bruscamente (4 km/s). L’LVL ha una funzione di
un lubrificante viscoso, permettendo alla litosfera e al mantello
movimenti autonomi. Termina a 250-300 km.
ASTENOSFERA
Intermedia, fino a 400 km di profondità.
velocità delle onde aumenta (4,7-4,9 km/s)
Astenosfera inferiore o profonda: (400-700 km), con un nuovo e
brusco aumento di velocità delle onde sismiche (5.4 km/s). Avviene
una variazione dello stato fisico delle rocce ma non della loro
composizione chimica. L’olivina, soggetta ad enormi pressioni, si
riorganizza in una struttura più compatta, formando un nuovo
minerale (spinello).
3. MESOSFERA o MANTELLO INFERIORE: inizia a 700 km di profondità, con un nuovo
aumento di velocità delle onde sismiche (6,4 km/s) e con ulteriore trasformazione
dell’olivina e formazione di ossidi di Fe, Si, Mg, organizzati in reticoli densi e compatti, a
causa delle elevate temperature e pressioni.
Tutti i fenomeni endogeni trovano la loro causa tra la litosfera, astenosfera e mesosfera.
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C. NUCLEO
ESTERNO, fluido, 5500° C; 10-12 g/cm
3
NUCLEO
3
INTERNO, solido, 13 g/cm , fino a 6500°C.
Il nucleo ha un volume pari al 16% di quello della Terra.
La composizione chimica: si pensa sia costituito da ferro mescolato con silicio (15-20%), mentre si
tende a scartare l’ipotesi tradizionale di ferro-nichel.
Lo studio delle onde sismiche ha evidenziato anche la presenza nell’interno della Terra di due
zone d’ombra, dove non si registrano le onde di volume.
Dopo il 1950 sono stati avviati studi che si basano anche su onde sismiche artificiali, ottenute
mediante esplosioni.
VANTAGGIO: possono essere effettuate ovunque;
SVANTAGGIO: penetrano a minor profondità.
Esse hanno permesso si capire che forse la crosta oceanica è stratificata:
⇒ Strato superiore con sedimenti (0-3 km)
⇒ Strato di roccia basaltica (1,5 km di spessore);
⇒ Strato di basalto + gabbro (spessore 5 km).
⇒ Mentre la crosta continentale è molto eterogenea.
MOVIMENTI DELLA CROSTA TERRESTRE: LA TERRA IN
CONTINUA TRASFORMAZIONE
PREREQUISITI
1. Modalità di trasferimento del calore
2. Struttura interna della Terra
3. Differenze litologiche tra crosta oceanica e continentale.
OBIETTIVI
Spiegare la teoria della deriva dei continenti e illustrarne le prove;
Discutere la teoria della tettonica delle placche nei suoi punti focali;
Indicare i tipi di margine e di movimento delle placche;
Evidenziare l’importanza di tale teoria per spiegare i fenomeni endogeni.
AREE CONTINENTALI
Sono sottoposte a fenomeni erosivi e processi tettonici, per cui risultano complesse. Nonostante
questa complessità, vi possiamo descrivere tre elementi strutturali di base:
SCUDI: posti al centro delle aree continentali e costituiti da rocce non coperte da
sedimenti; sono zone appiattite perché soggette ad una grande erosione. Sono radici di
antiche catene montuose, formando il nucleo primordiale dei continenti.
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59
PIATTAFORME o TAVOLATI: aree piatte che circondano gli scudi, sono stabili, non
soggette ad attività orogenetica e coperti da abbondanti sedimenti. Si dividono in
bassipiani e pianure.
Scudi + piattaforme = CRATONI.
Nei cratoni si trovano i più importanti giacimenti di idrocarburi e minerari.
Tipiche aree cratoniche sono:
lo scudo canadese, baltico, cino-siberiano, brasiliano, africano, australiano…
OROGENI o CATENE MONTUOSE: strutture più giovani, distinte in orogeni antichi (vicino
agli scudi) (Urali, Appalachi) ed orogeni recenti (Ande, Alpi..). Sono le zone instabili e
localizzate presso i margini dei continenti.
Secondo la teoria dei mobilisti la superficie terrestre è soggetta a continui cambiamenti. Uno dei
massimi esponenti dei mobilisti fu ALFRED WEGENER (1880–1930), meteorologo e
climatologo tedesco.
DERIVA DEI CONTINENTI
(Causa = moto rotazione terrestre)
Tale teoria fu proposta, nel 1912 –15, da Wegener secondo il quale nel mesozoico, circa 200
milioni di anni fa, le terre emerse erano riunite in un unico continente chiamato PANGEA, che
successivamente si fratturò, dividendosi in due blocchi: LAURASIA a Nord, GONDWANA a Sud.
Questi iniziarono ad andare alla deriva come zattere sul mare. Le zolle continentali sialiche si
muovevano sul sima viscoso che opponeva una forte resistenza ai movimenti diretti da est a ovest
(i più importanti) e dai poli verso l’equatore; pertanto, i margini dei continenti stessi si corrugavano
dal lato avanzante, dando luogo a catene montuose: le Montagne Rocciose, la Cordigliera delle
Ande (dovute alla deriva da est verso ovest); le Alpi, il Caucaso e l’Himalaja, dovute alla deriva dai
poli all’equatore.
LE PROVE
⇒ Prove geografiche = somiglianza delle linee di costa dei continenti affacciati sull’Atlantico.
⇒ Prove paleontologiche = basate sul ritrovamento dei fossili degli stessi organismi in aree
geografiche oggi separate da oceani.
⇒ Prove geologiche = basate su affioramenti rocciosi dei continenti affacciati sull’Atlantico,
aventi caratteristiche comuni come se fossero stati staccati da un unico grande blocco
originario.
⇒ Prove paleoclimatiche = per esempio depositi sedimentari formatisi durante le glaciazioni
si ritrovano in zone a clima caldo; giacimenti di carboni fossili, segno di clima caldo umido,
sono localizzati in regioni attualmente a clima temperato freddo come il Nordeuropa.
ESPANSIONE DEI FONDALI OCEANICI (1960)
Holmes, Hess, Griggs: causa = moti convettivi.
Nel 1928-1931 venne elaborata da Holmes l’ipotesi che la crosta terrestre è soggetta a movimenti
dovuti all’esistenza di correnti convettive (divergenti) nel mantello astenosferico, determinate
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
60
dall’energia termica fornita dal nucleo della Terra (convezione = trasmissione di calore con
movimento di materia).
Le correnti convettive causano:
⇒ migrazione dei continenti,
⇒ zone di tensione
⇒ zone di compressione.
La spinta decisiva si ebbe nel 1960/62 con Vine, Mattews, Hess, grazie alla conoscenza della
struttura dei fondali oceanici.
La conclusione di una serie di studi fu che il pavimento oceanico non è stabile, ma in continua
evoluzione: la crosta oceanica si rinnova e si consuma incessantemente, con velocità di qualche
cm/anno (1-9 cm/anno), e in tale processo anche i continenti sono costretti a muoversi,
allontanandosi o avvicinandosi come aveva suggerito Wegener.
PUNTI ESSENZIALI DELL’ESPANSIONE DEI FONDALI OCEANICI
⇒ DORSALI OCEANICHE: sul fondo degli oceani si snoda un sistema di dorsali montuose
sommerse per una lunghezza di circa 80.000 km. Si tratta di una fascia di crosta oceanica,
ampia un migliaio di km, alta fino a 3000 m rispetto al pavimento oceanico adiacente. E’ una
specie di cicatrice in rilievo, segnata da un solco largo 30-40 km, profondo alcune centinaia
di metri (RIFT VALLEY). La continuità della rift valley è interrotta da numerose fratture
trasversali, che disarticolano le dorsali in segmenti, ciascuno dei quali risulta spostato
rispetto a quelli contigui; tali fratture sono chiamate faglie trasformi. Dalle spaccature risale
continuamente magma ad alta temperatura, che si espande, si raffredda e forma nuova crosta
oceanica, registrando la polarità magnetica del momento in bande rocciose parallele,
magnetizzate alternativamente in modo normale e in modo inverso. I due fianchi delle dorsali
si allontanano dalla rift valley. La crosta oceanica diventa più antica man mano che ci si
allontana dal sistema delle dorsali. I fondi oceanici si accrescono e si espandono ad una
velocità di 1-5 cm/anno dalla rift valley. Le bande magnetiche hanno consentito di
determinare l’età di ogni punto del fondo oceanico e, quindi, di valutare la velocità di tale
movimento che, in alcuni punti, ha un valore di circa 9 cm/anno. Da notare che nel movimento
si riaprono continuamente nuove fessure, che rinnovano la rift valley. Le dorsali sono perciò
la fucina in cui si genera senza sosta nuova crosta oceanica.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
61
⇒ FOSSE ABISSALI: alla formazione ed espansione di nuova litosfera oceanica lungo la rift
valley deve corrispondere qualche forma di consunzione di litosfera in altri settori del globo, la
cui superficie complessiva dovrebbe, altrimenti, aumentare di continuo. Infatti, i fondi oceanici
presentano un altro tipo di strutture attive: sono le fosse abissali, depressioni lunghe
migliaia di km (30.000 km nel Pacifico), larghe dai 50 ai 100 km e profonde fino a 6000 m
rispetto al pavimento oceanico. Ad una certa distanza dalla fossa è sistematicamente presente
un’attività vulcanica ben diversa da quella delle dorsali: mentre quest’ultima è di natura
effusiva, il vulcanesimo lungo le fosse è altamente esplosivo, alimentato da magma andesitico
ricco di gas e vapori. In corrispondenza di una fossa oceanica la litosfera fredda e pesante
scende in profondità (subduzione) e comincia a fondere, alimentando un vulcanesimo
esplosivo e determinando terremoti a causa degli attriti, perciò un’uguale quantità di crosta
viene distrutta (compenso litosferico). La prova indipendente dell’espansione degli
oceani venne dal paleomagnetismo e dalle anomalie magnetiche (alternativamente positive e
negative)distribuite in fasce di rocce parallele alle dorsali. Inoltre, è stata evidenziata un’altra
conseguenza dell’espansione: l’età del pavimento oceanico è tanto più antica quanto più ci
si allontana dalle dorsali; inoltre, lo spessore dei sedimenti è ridotto sulle dorsali e aumenta
lontano dalla rift valley. I fondi oceanici conservano la registrazione delle inversioni del campo
magnetico degli ultimi 190 milioni di anni, mentre le registrazioni più antiche sono
irrimediabilmente perse, inghiottite nelle zone di subduzione.
Nelle zone di tensione o di divergenza si formerebbero fosse tettoniche con risalita di magma
lungo le fratture che consolidandosi provoca l’allontanamento dei blocchi continentali con
formazione di oceani.
Nelle zone di compressione si avrebbero fenomeni orogenetici.
TETTONICA A PLACCHE O GLOBALE
(1967 –1968 Mc Kenzie, Parker e Morgan)
Tettonica = studio delle deformazioni della crosta terrestre.
Tettonica globale: chiamata così perché spiega in modo unitario tutti i fenomeni endogeni
apparentemente diversi tra loro ma che sono strettamente correlati, avendo un’unica causa, cioè
la convezione dell’astenosfera. Nella teoria della tettonica delle placche trovano logica
spiegazione i fenomeni orogenetici, la formazione dei bacini oceanici e delle fosse, i terremoti, i
vulcani, la nascita delle valli tettoniche, la diaspora dei continenti……
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62
Le prove raccolte sono schiaccianti:
⇒ Dalle indagini sismiche i geofisici hanno individuato l’esistenza della litosfera, separata per
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
mezzo dello strato a bassa velocità o LVL dalla sottostante astenosfera, dove si manifestano i
moti convettivi. L’LVL ha la funzione di permettere lo scorrimento della litosfera
sull’astenosfera.
Ma il settore della ricerca che ha fornito le prove più convincenti per la teoria della tettonica
delle placche è certamente lo studio dei fondali oceanici, dove troviamo tre grandi strutture: i
margini continentali; le fosse e le dorsali.
Il paleomagnetismo: consiste nello studio del campo magnetico terrestre del passato,
registrato fedelmente nelle rocce come magnetismo fossile. L’analisi sistematica del
paleomagnetismo ha permesso di scoprire che la direzione della magnetizzazione conservata
nelle rocce antiche (in pratica, la direzione del Polo nord magnetico) era diversa da quella del
campo geomagnetico attuale (migrazione di polarità). In seguito fu chiaro che non erano stati
i poli magnetici a spostarsi, ma erano stati i continenti a muoversi; di conseguenza le rocce
hanno cambiato posizione e orientamento nel tempo e con esse si è spostato il campo
magnetico. Il paleomagnetismo conferma l’avvenuta diaspora dei frammenti di Pangea.
Inversione di polarità: il pavimento oceanico presenta strisce di roccia sottili ed allungate
magnetizzate alternativamente in modo normale e in modo inverso.
L’età dei sedimenti negli oceani: massimo di 200 milioni. Hanno un’età e uno spessore
maggiori man mano che ci si allontana dalla dorsale.
Hot spot o punti caldi, dove si ha risalita di magma attraverso i pennacchi o plumes. Essi
sono fissi rispetto alla litosfera che è in movimento, lasciando una traccia del movimento
litosferico costituita da una serie di vulcani, che saranno più antichi allontanandoci dal punto
caldo.
SECONDO LA TETTONICA DELLE PLACCHE NON SI MUOVONO SOLO I
CONTINENTI, MA INTERE PLACCHE DI LITOSFREA
La differenza principale tra la teoria della deriva dei continenti e quella della tettonica delle placche
è che la prima presuppone il movimento dei soli continenti, mentre la seconda introduce il concetto
di placche litosferiche. Infatti, la litosfera non si muove in un blocco unico, ma è suddivisa in
placche rigide. La litosfera comprende sia la crosta (continentale – acida; oceanica – basica), sia il
mantello superiore. Secondo l’attuale teoria, il movimento riguarda intere placche litosferiche:
continenti e fondali oceanici. La litosfera terrestre non è formata di un’unica piastra, ma risulta
frazionata in placche: attualmente sono state identificate una ventina di zolle principali, di cui
sette di grandi dimensioni: placca africana, del Pacifico, Eurasiatica, Indoaustraliana,
Nordamericana, sudamericana, Antartica. Fra le zolle minori vi sono le quattro microplacche che
interagiscono nell’area mediterranea: adriatica, Egea, Turca e Araba.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
63
Dunque, i continenti non si muovono autonomamente sospinti da forze ignote (Wegener), ma
vengono trasportati passivamente dai movimenti del mantello e si comportano come un oggetto su
un nastro trasportatore. Il motore di questo movimento è rappresentato dalle correnti convettive
prodotte dalla differenza di temperatura tra gli strati profondi e superficiali del mantello.
Come detto in precedenza, dalla teoria dell’espansione dei fondali oceanici derivò nel 1968 quella
della tettonica delle placche, secondo cui la litosfera è costituita da un certo numero di placche,
cioè di blocchi rigidi che possono spostarsi orizzontalmente galleggiando sulla sottostante
astenosfera fluida.
Poiché le zolle o placche sono in contatto tra loro come le tessere di un mosaico, il movimento
dell’una si ripercuote sui movimenti delle altre. Le linee di contatto (lunghissime fratture della
crosta) sono dette margini delle placche che risentono delle tensioni e delle spinte provocate dai
movimenti delle zolle e costituiscono gli allineamenti dove si localizzano gli epicentri sismici.
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64
Ciascuna placca può comprendere aree sia continentali sia oceaniche: ad esempio la placca
pacifica è oceanica, quella eurasiatica è continentale, mentre altre comprendono sia crosta
oceanica sia crosta continentale.
LA TETTONICA GLOBALE PRESENTA DUE ASPETTI
1) ASPETTO CINEMATICO: come si muovono le zolle e le conseguenze
2) ASPETTO DINAMICO: cosa fa muovere le placche, cioè l’origine dell’energia che le
sposta (il motore).
La teoria della tettonica si basa su quattro punti:
1. la parte esterna della terra è composta da unità rigide dette placche, ognuna formata
da crosta + mantello litosferico
2. le placche si muovono sospinte dai cicli convettivi dell’astenosfera
3. la maggior parte dei fenomeni endogeni (vulcani, terremoti) di concentrano ai bordi
delle zolle
4. la posizione interna delle placche è relativamente stabile e poco interessata dai
fenomeni endogeni.
ASPETTO CINEMATICO
Ai margini delle zolle possiamo trovare una serie di strutture geologiche che si comportano
in modo differente:
faglie trasformi … zone di frizione … margini conservativi
fosse oceaniche … con subduzione … margini convergenti
dorsali oceaniche …zone di tensione, divergenti… con formazione di nuova crosta.
Le zolle si muovono secondo tre principali modalità:
allontanamento, possono divergere (margini divergenti)
scivolamento (margini trascorrenti o trasformi o conservativi)
avvicinamento o scontro (possono convergere, margini convergenti o distruttivi).
DIVERGENTE
TIPI DI
MARGINE
CONSERVATIVO
CONVERGENTE
Quando due zolle si allontanano si formano delle spaccature nella crosta, attraverso le quali si ha
risalita di magma.
L’allontanamento provoca la formazione di zone depresse come le fosse tettoniche. Se il
movimento di allontanamento continua nel tempo, tali depressioni vengono occupate dalle acque
del mare e si forma un nuovo bacino oceanico, attraversato da una dorsale.
Le zolle si muovono in modo lento e costante, con una velocità media tra 1 e 5 cm all’anno. Il
numero delle placche potrebbe variare in futuro. I margini delle placche sono attivi finchè sono
interessati da fenomeni endogeni. Se le placche sono saldate in tempi geologici remoti (Asia ed
Europa), il margine si definisce inattivo.
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Le tre possibili interazioni tra due placche adiacenti sono: la divergenza, la trascorrenza
e la convergenza.
1) Una prima possibilità prevista dalla tettonica è quella della progressiva convergenza di
due placche. Si possono verificare tre casi di convergenza in base alla natura delle zolle.
Comune ai tre casi di convergenza è il processo di subduzione, lungo un piano inclinato
(piano di Benioff):
La convergenza tra due placche continentali porta alla formazione di un’ampia catena
montuosa: se sono due zolle continentali non si ha subduzione completa, ma riguarda
solo la litosfera profonda, perché la crosta continentale è troppo leggera rispetto al
mantello astenosferico. Di conseguenza i due margini si sovrappongono, si saldano e
generano corrugamenti (orogenesi), con formazione di catene montuose come la catena
alpino-himalayana, che costituisce la cicatrice e unisce i due continenti, dando origine ad
un continente più vasto. L’attività vulcanica è minima o assente perché le masse litoidi che
saldano i due continenti impediscono la risalita del magma. Nel punto di sutura
(GEOSUTURA) rimangono imprigionati lembi di crosta oceanica dei bacini che
precedentemente le separavano (rocce ofioliti), come nella valle dell’INDO o nelle ALPI. Si
hanno solo terremoti e orogenesi (alpina) con catene montuose a pieghe con
sovrascorrimento. Tipiche sono le rocce granitiche.
La convergenza tra due placche oceaniche origina un sistema arco-fossa: se a
scontrarsi sono due zolle oceaniche una placca oceanica scivola sotto l’altra lungo il piano
di Benioff (si ha subduzione, sono pesanti) e la zolla che sprofonda viene rifusa e risale
verso la crosta formando un arco di isole vulcaniche, come le isole della cintura di fuoco
del Pacifico. Il movimento di subduzione libera grandi quantità di energia sotto forma di
calore e onde sismiche, con formazione del sistema arco-fossa, perché costituito da una
serie di isole disposte ad arco e con intensa attività sismica e vulcanica, affiancate da
una lunga e stretta depressione (fossa oceanica) con vulcanesimo esplosivo e
terremoti (orogenesi sistema arco-fossa); troviamo, quindi, due strutture geologiche: un
arco insulare e una fossa oceanica per la flessione della crosta oceanica. Ricapitolando, i
fenomeni connessi sono: fosse oceaniche; terremoti profondi; vulcanesimo esplosivo;
archi vulcanici.
La convergenza tra una placca oceanica e una continentale porta alla formazione di una
catena montuosa costiera: la zolla oceanica, più pesante, scivola sotto il margine
continentale, lungo il piano di Benioff, originando fenomeni sismici e vulcanici. Invece di
un arco insulare si origina una catena montuosa costiera (per corrugamento della zolla
continentale (orogenesi Andina), interessata da sismi e da vulcanesimo esplosivo, e
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affiancata, nel versante a mare, dalla fossa oceanica. Es. le Ande. Ricapitolando, i
fenomeni connessi sono i seguenti: fosse e sismicità; archi magmatici; orogenesi.
a
EVOLUZIONE DI UN FENOMENO DI DIVERGENZA: 2 possibilità
Nel momento in cui sotto un continente si viene ad instaurare un pennacchio caldo, la
risalita di magma ha come primo effetto quello di rigonfiare la litosfera sovrastante,
provocando fratture, con fuoriuscita di lava. In seguito il pennacchio, aprendosi a ventaglio,
eserciterà tensioni divergenti a carico della litosfera, spezzandola in due porzioni che si
allontaneranno lentamente. I sintomi macroscopici sulla superficie terrestre dell’evoluzione
di un fenomeno di divergenza sono:
Valle tettonica o rift valley
Depressioni
Fiumi, laghi allungati, laghi salati (privi di emissario)
Terremoti superficiali e vulcanesimo basico
Mari stretti e allungati.
L’Africa orientale si sta staccando dal resto del continente: sulla Terra una località con
questi sintomi è la GREAT RIFT VALLEY dell’Africa orientale, che viene considerato come
un tentativo di formare un nuovo oceano, rimasto finora senza seguito (stadio embrionale).
Tale processo se prolungato per decine di milioni di anni porta alla formazione di un bacino
oceanico (espansione dei fondali oceanici). La fascia dove ciò si verifica prende il nome di
dorsale oceanica. Attualmente, il Mar Rosso rappresenta lo stadio giovanile di un nuovo
oceano, essendosi formato circa 20 milioni di anni fa, per allontanamento tra Africa ed
Arabia.
Quindi, l’allontanamento di due placche continentali porta alla formazione di un bacino
oceanico (espansione dei fondali oceanici) attraverso vari stadi:
⇒ Stadio embrionale: Great Rift Valley
⇒ Stadio giovanile: Mar Rosso
⇒ Stadio di maturità: Oceano Atlantico, apertosi 150 milioni di anni fa, quando le
attuali Americhe si staccarono dall’Europa e dall’Africa.
Un oceano, però, non può espandersi all’infinito. Infatti, i movimenti convettivi possono
cambiare direzione e la dorsale diventa inattiva perché non più alimentata dal magma. Di
conseguenza, il fondale oceanico si rimette in movimento per consumarsi in una fossa di
subduzione, fino a quando le due masse continentali ai lati dell’oceano, si riavvicineranno,
entrando in collisione e si salderanno nuovamente in un’unica massa continentale: la loro
saldatura (geosutura) sarà costituita dalla nuova catena montuosa, tra le cui rocce ci
saranno le OFIOLITI, litotipi verdi, residui dell’antico oceano ormai consunto.
Ciò è successo nel Paleozoico, quando l’allora oceano si è formato tra Europa ed Asia,
mentre verso la fine dell’era il movimento tra le due placche si è invertito fino alla collisione
e alla riunione Europa – Asia (Eurasia), alla consunzione dell’oceano, con formazione della
geosutura orogenetica, rappresentata dalla catena degli URALI, lungo il cui asse affiorano
masse di Ofioliti, vestigia dell’antico oceano.
I MARGINI TRASFORMI SONO PRESENTI NELLE ARRE OCEANICHE: 3a possibilità
prevista dalla tettonica delle placche
Lungo i margini trasformi le placche scorrono l’una rispetto all’altra. Tra le attività
endogene, si verifica solo un’attività sismica superficiale.
I margini trasformi sono presenti solamente nelle aree oceaniche, con un’unica
eccezione: la faglia di S. Andreas, che col tempo trasformerà la California in un’isola, che
scivolerà verso nord-ovest.
La formazione di faglie trasformi è una conseguenza della sfericità della Terra. Infatti,
l’allontanamento dei margini di placca è più rapido all’equatore che in prossimità dei poli,
con il risultato di strapparsi nel senso dei paralleli. Quindi, l’apertura dei bacini oceanici
avviene con velocità diverse e la crosta oceanica viene continuamente lacerata da fratture
trasversali, faglie trasformi che spostano lateralmente le dorsali di qualche decina di km.
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Le zolle, date le loro grandi dimensioni, seguono la curvatura terrestre, avendo quindi la
forma di calotte sferiche.
I MARGINI DELLE PLACCHE
1. MARGINI DIVERGENTI O COSTRUTTIVI O IN ACCRESCIMENTO: questo lato della
zolla coincide con una dorsale medio-oceanica in espansione, con costruzione di nuova
litosfera oceanica che si forma a seguito del raffreddamento del magma che fuoriesce dal
rift mediano (margine di espansione). In questa zona si hanno terremoti ad ipocentro poco
profondo (meno di 70 km) ed intenso vulcanesimo effusivo.
2. MARGINI DI SCIVOLAMENTO O CONSERVATIVI O TRASFORMI: lungo i quali le
placche litosferiche slittano l’una rispetto all’altra e non si aggiunge né si toglie niente alla
litosfera terrestre. Il movimento è di solito parallelo alla faglia. Lungo tali margini si hanno
terremoti superficiali, a volte di elevata intensità a causa della liberazione di grandi
quantità di energia. Nessuna attività vulcanica.
3. MARGINI DI CONSUNZIONE O CONVERGENTI O DISTRUTTIVI: si trovano nelle zone di
fossa oceanica, dove la zolla si immerge (subduzione) rapidamente nel mantello, lungo il
piano di Benioff (30 – 70°), dove viene riassorbita dal mantello astenosferico e distrutta. Si
verificano terremoti superficiali, intermedi e profondi (> 300 km).
Si avrebbe un continuo, lentissimo, movimento delle zolle tettoniche e una continua
formazione e distruzione della litosfera (compenso litosferico).
Margini convergenti
Lungo i piani di sottoscorrimento la frizione causa terremoti, vulcanesimo con risalita di
magma dalle fessure, e anche corrugamento dei bordi di un continente, con conseguente
orogenesi.
Nella teoria della tettonica a zolle gli studiosi vedono una spiegazione dei fenomeni
endogeni, integrandoli in un meccanismo organico:
La formazione ed espansione dei fondali oceanici (zona di divergenza – tensione
La formazione delle catene montuose nelle zone di compressione
La deriva o migrazione dei continenti a causa delle correnti convettive
Terremoti e vulcanesimo a causa degli attriti per il movimento delle placche nelle zone
d’accrescimento e di subduzione, oppure a causa dei punti caldi, con correnti cilindriche
magmatiche.
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Nel caso di collisione di masse continentali si ha solo sottoscorrimento, senza subduzione
completa, perché la zolla sottocorrente non riesce ad immergersi completamente nel mantello,
essendo leggera.
In conclusione, la litosfera è intersecata da fasce molto attive, con sismicità e vulcanesimo:
sono le dorsali di espansione, le fosse di subduzione e le grandi faglie trasformi. Nel loro
insieme formano una rete che suddivide la litosfera in una ventina di maglie irregolari, dette
placche, oceaniche, continentali o miste, delimitate da margini costruttivi, distruttivi o
conservativi.
Margine divergente
Alcune placche sono circondate in gran parte da margini costruttivi (africana, antartica) e la
loro superficie aumenta nel tempo; altre sono delimitate da dorsali e fosse (placca
sudamericana), e in tal caso la loro superficie può rimanere stazionaria o modificarsi.
In definitiva, le dorsali sono i luoghi in cui la litosfera si frattura e si forma nuova litosfera
oceanica (espansione oceani).
Le fosse abissali sono, invece, i luoghi in cui la litosfera ritorna nel mantello e viene riciclata.
Sia le fosse, sia le dorsali sono forme mutevoli, perché i movimenti in atto nel mantello
si modificano.
Il bilancio globale di produzione e consunzione di litosfera deve essere in equilibrio, attraverso
l’accrescimento di certe placche e la riduzione di altre.
Margini trascorrenti
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CICLO OROGENETICO
Chiamiamo ciclo orogenetico la successione di tre stadi:
Stadio di geosinclinale, durante il quale si individua un bacino sedimentario in fase
di riempimento e subsidente;
Stadio orogenetico, che corrisponde al sollevamento di una catena montuosa a
causa della convergenza;
Stadio di penepiano, durante il quale si verifica l’erosione della catena montuosa,
fino a ridurla ad un penepiano.
L’intero ciclo orogenetico dura circa 300 milioni di anni.
Stili tettonici = il modo di reagire delle rocce alle compressioni: stile rigido e plastico.
ASPETTO DINAMICO: IL MOTORE PER LA TETTONICA
Vulcanesimo, sismicità, orogenesi, espansione oceani, deriva dei continenti, sembrano aver
trovato un logico quadro di riferimento nella tettonica delle placche. Ma qual è il motore del
movimento tettonico?
1. L’origine della forza che sposta le placche e solleva le montagne è un problema complesso.
Il modello condiviso da molti ricercatori è quello delle celle convettive del mantello superiore
astenosferico (e forse anche inferiore). I materiali alla base dell’astenosfera sono più caldi e più
leggeri rispetto a quelli del tetto. Risalendo, questi materiali perdono calore, si raffreddano e, giunti
sotto la litosfera, ridiscendono, generando enormi circuiti di materiale in lento movimento.
Alla sommità delle branche ascendenti delle celle, nella litosfera, abbiamo i margini distensivi, con
produzione di nuova crosta basaltica (dorsali). Alla sommità delle branche discendenti, la litosfera
scende e si formano i margini compressivi e la crosta viene consumata (subduzione, terremoti,
vulcani, abduzione di montagne – orogenesi).
In conclusione, la cella convettiva trascina la placca dal margine distensivo a quello compressivo,
generandola da un lato e consumandola dall’altro.
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Il motore della tettonica globale, quindi, sarebbe il calore interno della terra.
LIMITI DEL MODELLO
La differenza di temperatura, non ben conosciuta, tra la base e il tetto del mantello
superiore, è sufficiente per produrre subduzione e abduzione?
La viscosità dell’astenosfera può permettere lo spostamento di materia entro il
mantello stesso?
La struttura del mantello limita le celle convettive all’astenosfera, oppure crea due
sistemi convettivi nelle due porzioni, superiore e inferiore del mantello? In questo caso,
quali sarebbero i rapporti tra le due celle?
Non è del tutto chiara la natura dei punti caldi. Come nascono questi pennacchi nel
mantello?
Come detto, l’idea prevalente è che nel mantello esistano movimenti convettivi, operanti
da milioni di anni, alimentati da differenze termiche tra la parte superficiale ed interna del
mantello. I rami caldi ascendenti formerebbero le dorsali, mentre i rami freddi discendenti
delle celle corrisponderebbero alle fosse, trascinando nel mantello la litosfera.
ALTRI MOTORI
2. Secondo altri geofisici, la risalita di materiale caldo sarebbe determinata da enormi
pennacchi termici, che raggiunta la litosfera si manifesterebbero come punti caldi, che
allargandosi verso direzioni opposte, farebbero innescare i processi di espansione. Sono stati
individuati oltre un centinaio di punti caldi sulla Terra: 36 nella placca africana; 6 nella placca
arabica; 20 nella placca eurasiatica; 10 nella placca pacifica; 8 in quella indo-australiana; 4 nella
placca di Nazca; 6 in quella nordamericana; 2 nella placca sudamericana. Essi sono caratterizzati
da un alto flusso termico e da intenso vulcanesimo, attivo per milioni di anni.
In ogni caso, nel mantello volumi di materiale caldo salgono verso l’alto, mentre volumi uguali di
materiale freddo scendono a sostituirli.
Durante questi processi, la crosta continentale, con le sue testimonianze, è divenuta una specie di
archivio della storia della Terra, che conserva documenti di oltre 4 miliardi di anni.
La sottile crosta oceanica, invece, con il suo continuo formarsi espandersi e consumarsi, è una
struttura EFFIMERA, che, come una cronaca, descrive solo la storia più recente delle Terra.
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3. Oltre al motore delle correnti convettive, ultimamente ha fatto capolino una nuova
spiegazione, frutto della collaborazione fra studiosi francesi e italiani, che vede come motore
principale il moto di rotazione terrestre.
La velocità di rotazione terrestre è in progressiva decelerazione (il giorno aumenta 1 sec in più
per secolo) a causa delle maree e delle oscillazioni dell’asse terrestre.
Conseguenza: la litosfera terrestre, meno densa del mantello e dotata di una minor quantità di
moto, tende a rallentare più del mantello. Ne consegue un lento movimento della litosfera rispetto
al mantello, in direzione ovest, mentre il mantello scorre per inerzia verso est. Tale moto non
avviene nel senso dei paralleli, ma in modo ondulato per l’inclinazione asse terrestre. Dato che la
litosfera ha spessori variabili tra le aree continentali ed oceaniche, ne consegue che la capacità di
scivolare verso ovest delle zolle è variabile: i valori variano da un minimo di zero ad un massimo di
18 cm/anno. Se la placca che migra verso ovest è più veloce di quella orientale si ha divergenza.
Se la zolla occidentale è più lenta di quella orientale, si produce convergenza.
La prova a sostegno di ciò è la differente inclinazione dei piani di subduzione: quelli che si
immergono verso ovest sono più inclinati (40-90°) rispetto a quelli che piegano verso est (15-40°),
con formazione di catene montuose di diversa altezza. Infatti, un piano di subduzione verso est,
poco inclinato, favorisce la risalita in superficie di rocce (Himalaya, Alpi, Ande).
Un piano di subduzione verso ovest, per effetto della forte inclinazione, limita il processo
orogenetico a rocce superficiali, sollevandole a quote modeste (Appennini, Carpazi).
LA VELOCITA’ DELLE PLACCHE
Le placche sono curve, per cui le diverse parti si muovono a velocità differenti. Ogni placca ruota
intorno ad un asse di espansione. La velocità di ogni punto sulla placca dipende da quando quel
punto è lontano dal polo di espansione: la velocità è maggiore nel punto più distante dal polo.
Le placche che sostengono molta crosta continentale (più spessa, affonda di più) come quella
africana, eurasiatica, nordamericana, si muovono lentamente rispetto alle placche oceaniche. La
zolla Pacifica nel punto più lontano dall’asse di espansione si muove a una velocità di 9 cm/anno.
L’Oceano Atlantico ha una velocità di espansione di 4.5 cm/anno.
Comunque, la velocità media delle placche è stata calcolata in 6 cm/anno, con valori massimi di
18 cm/anno.
Alcune placche sono circondate in gran parte da margini costruttivi (placca Africana e antartica) e
la loro superficie aumenta continuamente nel tempo; altre sono limitate sia da dorsali che da fosse
(placca sudamericana) e la loro superficie può rimanere stazionaria o modificarsi nel tempo.
In definitiva, le dorsali sono i luoghi in cui la litosfera si inarca e si frattura, formandosi nuova
litosfera oceanica; le fosse abissali sono i luoghi in cui gran parte della litosfera ritorna nel
mantello e viene riciclata.
TEORIE MOBILISTE: da Leonardo da Vinci a Wegener
1. Nel 1508 Leonardo da Vinci, grazie ad alcuni fossili marini raccolti in montagna,
ipotizzò che il fondo marino doveva essersi sollevato……..
2. James Hutton (1726-1797) riprese tale idea…….
3. Nel 1830 C. Darwin trovò prove a sostegno di queste idee
4. Antonio SNIDER (1860) introdusse la mobilità dei continenti, parlando di una loro
frattura e separazione,
5. Suess, verso la fine dell’800 aveva riunito in un puzzle le terre emerse dell’emisfero
australe, ricostruendo un unico continente, chiamandolo Gondwana;
6. Nel 1910 Frank Taylor ipotizzò per primo la possibilità dei movimenti laterali e suggerì
che antiche masse continentali si fossero spezzate, allontanandosi…..
7. DERIVA DI WEGNER (1912)
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8. Dal 1931 Van Bemmelen propose l’idea che all’interno della terra esiste uno
spostamento verticale di materiali, dovuto a differenze di densità e di temperatura. Tali
spostamenti, chiamati UNDAZIONI, sono ciclici e generano orogenesi.
9. Holmes (1931), secondo il quale nel mantello erano presenti celle convettive con moti
circolari e trasferimento di materia calda verso la crosta.
10. teoria espansione fondali oceanici (HESS, 1960), che utilizzò il lavoro di Holmes.
11. teoria della tettonica globale o a zolle o delle placche (1968) con Mc Kenzie, Parker,
Morgan, Isacks, Le Pichon...
CAUSE: ASPETTO DINAMICO
Moto di rotazione terrestre, che determina diversa velocità tra litosfera, mantello e
nucleo
Moti convettivi dell’astenosfera
Spinta del peso delle dorsali e per il trascinamento causato dal peso dei lembi in
subduzione
Un pennacchio di materiale caldo risale dal mantello e giunto sulle dorsali si
raffredda e si allontana, formando nuova litosfera.
CRITICHE AL MODELLO DI WEGENER
1. non spiega in modo attendibile le cause dello spostamento dei continenti. Il moto di
rotazione della Terra è ritenuto una causa insufficiente.
2. non chiarisce perché la Pangea sia scissa in pochi milioni di anni.
3. se l’orogenesi è una conseguenza della deriva, come mai ci sono state orogenesi
(Huroniana, ercinica, caledoniana) anche in tempi precedenti allo smembramento di
Pangea?
Pertanto, il nostro Pianeta è andato incontro a continue fasi di allontanamento e
riavvicinamento delle masse continentali. Ci sarebbero state tante Pangea, e la Pangea
Wegener sarebbe stata l’ultima.
Per Wegener si spostavano solo i continenti, mentre secondo la tettonica a zolle
spostano anche i fondali oceanici. Le zolle sono formate da litosfera, mentre le zattere
Wegener da crosta.
di
di
si
di
TETTONICA DELLE PLACCHE E BIODIVERSITA’
La deriva dei continenti ha determinato profondi cambiamenti nel popolamento animale e
vegetale della Terra.
La frammentazione delle placche continentali determina l’aumento della diversità biologica,
mentre la biodiversità diminuisce al saldarsi dei continenti.
Anche la posizione geografica di un continente ha influenza sul suo patrimonio biologico.
Infatti, se una placca migra da Nord verso Sud incontra condizioni ambientali più favorevoli,
che determinano un aumento della biodiversità.
COME SI MISURA IL MOVIMENTO DELLE PLACCHE
⇒ METODO DI VINE E MATTEWS: utilizzarono le inversioni magnetiche e precisamente utilizzarono
l’ampiezza delle fasce magnetiche e la loro distanza dalla cresta della dorsale;
⇒ METODO TOPOGRAFICO: sapendo che più ci si allontana dalle dorsali più il fondo oceanico diventa
profondo, è stata scoperta la relazione tra profondità del fondale ed età della crosta oceanica, risalendo
alla velocità d’espansione;
⇒ METODO DEI PUNTI CALDI: sapendo che i punti caldi sono fissi rispetto alla litosfera, e mettendo in
relazione l’età dei vulcani con la loro distanza dal punto caldo, si può risalire alla velocità di espansione;
⇒ METODO GEODETICO: mediante osservazioni geodetiche a terra oppure astrogeodetiche mediante
geodimetro a laser.
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TERMINOLOGIA
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AVAMPAESE o AVANTERRA = massa continentale che funge da ostacolo alla spinta orogenetica,
proveniente da un’altra massa detta retroterra.
ISOSTASIA = tendenza al raggiungimento di una posizione di equilibrio della litosfera attraverso il
galleggiamento nella sottostante astenosfera;
PANGEA = unico grande supercontinente;
TETTONICA = ramo delle Scienze della Terra che studia le strutture derivate dalle trasformazioni
della superficie terrestre per opera delle forze endogene;
TETTONICA GLOBALE = teoria che inquadra i fenomeni endogeni, dando un’interpretazione
unitaria dell’evoluzione della litosfera terrestre;
RIFT (=crepa, crepaccio) VALLEY = valle della fessura; profonda fessura centrale, valle
longitudinale che caratterizza la zona centrale delle dorsali: E’ larga 20-40 km;
FAGLIE TRASFORMI = fessure trasversali che segmentano le dorsali oceaniche in vari tronconi;
DORSALI OCEANICHE = strutture di grandi dimensioni rappresentate dai rilievi montuosi vulcanici,
alti fino a 3000 m, che si allungano per circa 80.000 km sui fondali oceanici, a volte in posizione
centrale, altre volte nelle vicinanze dei continenti, intensamente fagliate:
FOSSE = depressioni di forma allungata e molto profonde, antistanti arcipelaghi o continenti, che si
rinviene sui fondali oceanici. Es. fossa delle Marianne = - 11.022 metri.
MOVIMENTI TETTONICI = deformazioni di una regione
MOVIMENTI OROGENETICI = corrugamento che porta alla formazione di una catena montuosa
(OBDUZIONE)
MOVIMENTI EPIROGENETICI = movimenti verticali (sollevamenti o abbassamenti)
TETTOGENETICI = grandi movimenti continentali per tutto lo spessore della crosta.
DEFORMAZIONI ROCCE = pieghe, diaclasi, faglie, fosse tettoniche
GEOLOGIA STRUTTURALE = settore della tettonica che studia le deformazioni e gli spostamenti
delle rocce che interessano piccole aree.
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LE DEFORMAZIONI TETTONICHE E IL METAMORFISMO
PREREQUISITI:
Concetti di pressione, temperatura, forza, calore;
Rocce ignee e sedimentarie
Ciclo litogenetico.
OBIETTIVI:
Spiegare come agiscono le forze interne della Terra
Riconoscere e descrivere i vari tipi di deformazioni delle rocce
Illustrare i vari tipi di metamorfismo e i meccanismi di formazione delle rocce
metamorfiche
Elencare i principali tipi di rocce metamorfiche.
TETTONICA E DEFORMAZIONI DELLE ROCCE
La tettonica è la branca della geologia che studia le deformazioni, le rotture e gli
spostamenti o dislocazioni subite dalle masse rocciose nel tempo geologico.
L’insieme delle dislocazioni e deformazioni subite dalle rocce viene denominato
diastrofismo (= distorsione).
GEOLOGIA STRUTTURALE = settore della tettonica che studia le deformazioni e gli
spostamenti delle rocce che interessano piccole aree.
Le deformazioni riscontrabili nelle rocce sono chiamate strutture tettoniche.
Le principali deformazioni o DISLOCAZIONI subite dalle rocce sono:
le pieghe
le fratture semplici o diaclasi
le faglie
le fosse tettoniche o graben (profonde e lunghe depressioni della crosta
terrestre + horst (pilastri).
PLASTICITA’ delle rocce
Le rocce ci appaiono solide, indeformabili; ma se le poniamo nel tempo geologico in balia
di forze che agiscono per milioni di anni, esse possono comportarsi come una materia
plastica: deformarsi, piegarsi.
Una roccia è fragile in superficie, è plastica in profondità.
Pertanto, al crescere della pressione litostatica aumenta la plasticità di una roccia, così
come aumenta con la temperatura, la presenza di liquidi lubrificanti, con il tempo.
Gli agenti fisici di queste azioni sono:
Variazioni di temperatura
Variazioni di pressione.
Pressione
PLASTICITA’
Temperatura
Lubrificanti
Tempo
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Quando sono sottoposte a questi agenti fisici, le rocce rispondono in diversi modi (stili
tettonici):
Con un comportamento di tipo elastico, se le forze agiscono fino ad un certo limite e
al cessare della sollecitazione si ripristina la forma originaria;
Di tipo plastico (deformazione plastica), se le sollecitazioni agiscono oltre un certo
limite, per cui non è possibile ritornare alla forma originaria, al cessare della forza,
la deformazione permane;
Se la sollecitazione prosegue nel tempo, oltre un certo valore della forza (carico di
rottura), si arriva a un comportamento rigido, con una deformazione clastica, che
comporta la rottura della roccia.
Intensità
Forza
Applicata
carico di rottura
deformazione plastica
Limite di elasticità
Punto di rottura
Deformazione elastica
Variazione lunghezza Campione
Quindi, i molteplici tipi di deformazione che coinvolgono le rocce crostali, possono essere
ricondotti a due categorie fondamentali di strutture tettoniche o stili tettonici:
Le deformazioni che non portano alla rottura (litoclasi) delle rocce implicate e che vengono
chiamate pieghe (comportamento plastico o stile tettonico plastico);
Le deformazioni che giungono fino alla rottura delle rocce e che vengono dette faglie e
fratture (comportamento rigido o stile tettonico rigido).
FATTORI DA CUI DIPENDE IL COMPORTAMENTO DELLE ROCCE
Non tutte le rocce reagiscono allo stesso modo alle forze che agiscono su di esse. Il loro
comportamento dipende da alcuni fattori:
Natura delle rocce (caratteristiche chimiche e fisiche): le rocce magmatiche (graniti,
basalti), hanno un comportamento prevalentemente rigido; le argille sono plastiche; i
calcari hanno un comportamento intermedio.
Associazione tra le rocce: uno strato di basalto, di per sé rigido, se è compreso all’interno
di argilla, la seguirà nelle deformazioni plastiche. Viceversa, strati di argilla inseriti in una
successione di rocce rigide, verranno fratturate insieme alle rocce rigide.
Profondità a cui si trovano le rocce: è un fattore decisivo, perché comporta un aumento
della temperatura e della pressione, fattori che agiscono nel senso di far aumentare la
plasticità delle rocce. Infatti, al di sotto di una certa profondità tutte le rocce si deformano
plasticamente, tanto che i terremoti profondi sono molto rari (3%) e limitati ad alcune arre
della Terra.
altre variabili di enorme importanza nella deformazione delle rocce sono il tempo di azione
e l’intensità delle forze deformanti. Un’azione anche di limitata intensità, ma che dura
migliaia o milioni di anni, produce deformazioni plastiche; forze intense ma di breve durata
producono fratture.
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La direzione delle forze agenti: ha effetto su scala regionale, determinando lo stile
tettonico. Nelle zone dove hanno agito forze di distensione, ci saranno le faglie. Dove,
invece, hanno prevalso le forze di compressione e di corrugamento si sono originate
catene montuose con pieghe e faglie.
Pressione e temperatura
Presenza di fluidi.
La distribuzione delle deformazioni e delle strutture tettoniche non è casuale, ma è associata
alle zone instabili dove si verificano movimenti di:
Allontanamento
Avvicinamento
Trascorrenza.
Le forze deformanti l’assetto geologico di un territorio, agiscono secondo un tempo
geologico (decine di milioni di anni).
FRATTURE O LITOCLASI: FAGLIE E DIACLASI, deformazioni di tipo clastico o rigido
Sono una risposta rigida delle rocce alle sollecitazioni cui sono state sottoposte. Infatti,
indicano rotture della crosta terrestre alle quali può seguire uno spostamento reciproco
delle masse rocciose.
Sono dovute a fenomeni di compressione o distensione a carico delle rocce.
Le fratture più semplici, che non comportano spostamento visibile ad occhio nudo delle due
parti separate, vengono definite diaclasi (dal greco = fenditura).
Quelle in cui si è avuto uno spostamento di una parte rispetto all’altra, vengono definite
faglie. Faglia = frattura tettonica più o meno profonda.
Dicesi piano o superficie o specchio (perché levigato) di faglia il piano di rottura su cui
avviene lo spostamento delle due masse rocciose;
Rigetto = l’entità dello spostamento di una parte rispetto all’altra. Può essere verticale se
la misurazione avviene lungo la linea di massima pendenza; orizzontale se viene misurato
lungo la direzione della faglia.
Labbri = le due parti a contatto lungo la faglia.
La giacitura (orientazione nello spazio) di una faglia deriva da un insieme di elementi:
Direzione della faglia = angolo tra linea orizzontale posta sul piano di faglia e nord
geografico;
Immersione o inclinazione = angolo tra il piano di faglia e il piano orizzontale
Rigetto.
CLASSIFICAZIONE DELLE FAGLIE
In base alla direzione dello spostamento avvenuto:
Faglie verticali: diretta o normale e inversa; la faglia inversa o compressiva è originata
da forze di compressione ovvero convergenti (regime compressivo); la faglia diretta o
distensiva è prodotta da forze di distensione o divergenti (regime distensivo).
Faglie orizzontali cioè a scorrimento orizzontale: faglia trascorrente (regime di torsione) (faglia di Sant’Andreas); le faglie trasformi che tagliano perpendicolarmente le dorsali
oceaniche.
Faglie attive o inattive. Si considerano attive le faglie lungo le quali i blocchi di roccia si
sono mossi negli ultimi 5 milioni di anni.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
77
LE FOSSE TETTONICHE
Sistemi complessi di faglie generano fosse tettoniche e pilastri tettonici.
Una fossa tettonica o rift valley (= valle della spaccatura o fessura) è un’associazione di
faglie dirette, disposte a gradinata, nel cui centro si trova una fossa, zona depressa, lunga
e stretta, chiamata GRABEN (fossa), delimitata sui lati da una parte sollevata detta
pilastro tettonico (Horst).
LE PIEGHE: deformazioni di tipo plastico
Sono il risultato di una deformazione lenta, indicano una risposta plastica delle rocce rispetto alle
sollecitazioni tettoniche. Tale deformazione è facilitata dalla presenza di una fitta stratificazione.
Consistono nell’incurvamento, nell’ondulazione delle masse rocciose, riconoscibili
dall’andamento delle stratificazioni.
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78
ELEMENTI DI UNA PIEGA
Cerniera
Nucleo
Piano assiale
Fianchi
Asse
Cerniera = tratto di massima curvatura e che raccorda i due fianchi.
Fianchi o gambe = parti laterali della cerniera.
Nucleo = tratto compreso tra i due fianchi, parte più interna degli strati della piega
Piano assiale = piano bisettore, di simmetria, ideale che passa per la cerniera.
Asse = linea che segue una piega in tutta la sua lunghezza.
VARI TIPI DI PIEGHE
FLESSURA
A VENTAGLIO
ANTICLINALE
ISOCLINALI
SINCLINALE
A FALDA
DIRITTA
CORICATA
INCLINATA
ROVESCIATA
PIEGA A GINOCCHIO O FLESSURA = ad un solo fianco
ANTICLINALE o antiforme = a due fianchi, convessa verso l’alto, a cupola o concava verso il
basso; il nucleo è costituito dalle rocce più antiche: quella piega i cui fianchi divergono dalla
cerniera (Clino = piego + anti = in senso opposto)
SINCLINALE o sinforme: presenta due fianchi, è concava verso l’alto o convessa verso il basso, il
nucleo è costituito dalle rocce più recenti. In altri termini sono quelle pieghe i cui fianchi
convergono verso la cerniera (clino = piego + sin =assieme).
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79
DIRITTA = con piano assiale verticale
INCLINATA = con piano assiale obliquo
A VENTAGLIO = pieghe inclinate con asse divergente
ISOCLINALI =pieghe inclinate con piani assiali paralleli
A FALDA = più pieghe coricate
CORICATA =con piano assiale orizzontale
ROVESCIATA = con piano assiale molto obliquo
Le pieghe possono essere diritte, inclinate, rovesciate,
all’inclinazione del piano assiale.
Nel caso di pieghe di enormi dimensioni si parla di ultrapieghe.
Comunque, fondamentalmente si distinguono tre tipi di pieghe:
coricate
in
relazione
1. La piega a ginocchio o flessura: con due lati orizzontali (uno sollevato ed uno abbassato) e
un fianco di raccordo.
2. La terrazza tettonica: situazione opposta, cioè con due fianchi inclinati ed un lato
orizzontale di raccordo (es. le trappole per idrocarburi).
3. La piega completa: caratterizzata da anticlinale (piega che ha al centro i terreni più antichi)
e sinclinale (piega che ha al centro i terreni più recenti).
Anticlinale
Sinclinale
Cerniera
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80
IL METAMORFISMO
DEFINIZIONE: metamorfismo significa trasformazione. Infatti, in un pianeta dinamico come
la Terra, si verificano continuamente variazioni di condizioni ambientali nei corpi rocciosi.
Quando tali trasformazioni sono sufficientemente ampie, i litotipi coinvolti subiscono
trasformazioni.
A seconda degli intervalli termici e barici entro i quali tali trasformazioni si verificano, si
hanno:
• Processi di degradazione superficiale e diagenesi a temperature e pressione basse
• Processi metamorfici a temperature e pressioni relativamente elevate
• Anatessi a temperature ancora più elevate, con fusione delle rocce (processo
magmatico).
Il metamorfismo consiste, quindi, in un complesso di profonde modificazioni cui possono
andare soggette le rocce sedimentarie ed eruttive, che sono, così, trasformate in rocce
metamorfiche (nuove rocce da vecchie rocce).
Il processo si esplica ad elevate profondità, sotto l’azione prevalente di alte temperature e
pressioni, e determina cospicui mutamenti:
⇒ di struttura, riguardante la forma dei singoli minerali;
⇒ di tessitura, in riferimento alla disposizione dei componenti nello spazio
⇒ nella composizione mineralogica,
sino a portare le rocce originarie ad una completa ricristallizzazione (blastesi) in presenza
di acqua, o, meglio, di fluidi. Per metamorfismo, infatti, si intende un processo di
ricristallizzazione fra minerali che rimangono allo stato solido, senza formazione di fusi.
Tutto questo è possibile solo se si ha un aumento ragguardevole di temperatura e/o
pressione. Per effetto dell’aumento termico si formano cristalli di dimensioni maggiori.
Altrettanto l’aumento di pressione favorisce la mobilità degli atomi presenti nel reticolo
cristallino dei minerali della roccia e con ciò produrre una ricristallizzazione.
Infatti, a causa dell’aumento di temperatura e di pressione, l’acqua diventa più mobile e si
sposta nelle rocce attraverso gli spazi vuoti; questo trasferimento implica lo sviluppo di
nuove strutture mineralogiche.
Inoltre, proprio perché tali cambiamenti avvengono allo stato solido (per effetto di
movimenti tettonici), le rocce metamorfiche conservano sempre tracce delle forme originarie:
i solidi, infatti, tendono a conservare una memoria degli avvenimenti che hanno determinato
la loro trasformazione. Di qui si comprende l’interesse dei geologi per le rocce metamorfiche:
esse costituiscono un documento degli eventi che si sono succeduti nella crosta terrestre
(confini di un antico continente, da quanto dura la tettonica delle placche… da almeno 2
miliardi di anni).
FATTORI COINVOLTI NEL METAMORFISMO
Quello che varia da una forma di metamorfismo all’altra è il grado di intensità del processo,
come pure le cause che lo hanno prodotto.
CARATTERI FISICI dell’ambiente metamorfico (Temperatura, Pressione e
deformazioni)
NATURA DELLA ROCCIA ORIGINARIA (strutturale e chimica)
Estensione della massa rocciosa interessata
Presenza o assenza di fluidi, veicoli di nuove sostanze minerali e del processo
di ricristallizzazione
Il tempo.
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81
Vincoli strutturali per il metamorfismo sono:
♦ Dimensioni dei cristalli. La grana fine facilita la reattività metamorfica
♦ Grado di eterogeneità nella distribuzione dei materiali chimici.
Dal punto di vista chimico il metamorfismo ha carattere isochimico o conservativo,
perché preserva la composizione chimica dei protoliti.
Le innumerevoli fessure e porosità presenti nella roccia, sono riempite di un fluido
acquoso, detto fluido intergranulare. Non si tratta mai di acqua pura, poiché vi sono
sempre sciolti gas come CO2, sali come NaCl e Ca Cl2. Naturalmente, alle alte
temperature, tale fluido si trova facilmente allo stato di vapore piuttosto che allo stato
liquido. Il fluido intergranulare ha un ruolo fondamentale nel metamorfismo perché induce
la reattività chimica nei minerali, favorendo lo spostamento dei componenti in soluzione dal
fluido ai nuovi minerali o dai minerali al fluido. In questo modo il fluido intergranulare funge
da acceleratore delle reazioni chimiche, come l’acqua in una pentola accelera la cottura di
un grosso pezzo di carne, fungendo da agente di scambio chimico per la formazione di
nuovi minerali idrati.
La temperatura e la pressione possono aumentare a causa sprofondamento rocce,
collisione e intrusione. In ogni caso, i due fattori (temperatura e pressione) agiscono
combinati.
Però, per le rocce metamorfiche spesso viene usato il termine stress al posto di pressione,
perché lo stress ha una connotazione direzionale, le rocce sono solide e i solidi possono
essere compressi più in una direzione che in un’altra: vale a dire che lo stress in un solido
agisce diversamente nelle varie direzioni.
La tessitura delle rocce metamorfiche documenta episodi di stress differenziati, cioè non
uguali in tutte le direzioni, mentre nelle rocce ignee rivela uno stress uniforme (cioè uguale
in ogni direzione): le magmatiche, infatti, cristallizzano da liquidi (magmi).
Per essere precisi, useremo il termine STRESS quando ci riferiremo alla tessitura e il
termine PRESSIONE quando faremo riferimento all’associazione di minerali e al grado di
metamorfismo.
TESSITURA E STRUTTURA DELLE ROCCE METAMORFICHE
La struttura di una roccia metamorfica dipende soprattutto da tre fattori:
1) Natura della roccia originaria
2) Intensità degli agenti metamorfosanti
3) Vastità della zona interessata.
La struttura di una roccia metamorfica è caratterizzata da alcune evidenze:
Foliazione, è una tessitura piana, ed indica l’allineamento dei minerali in una direzione
prevalente, conformazione laminare, secondo piani di foliazione, paralleli, tanto più
marcata quanto maggiore è il grado di metamorfismo.
N.B. Dall’intensità dello stress o pressione dipende l’associazione dei minerali, mentre
dalla direzione dello stress dipende la tessitura.
Scistosità, quando la foliazione è particolarmente evidente. I nuovi cristalli, più grandi, si
dispongono lungo la direzione di foliazione, secondo piani di sfaldatura, che determinano
zone preferenziali di debolezza, come lettini sovrapposti. La struttura scistosa si ha con
un metamorfismo non troppo intenso.
Zonazione: segregazione, cioè separazione, dei minerali in strati chiari e scuri alternati
Struttura occhiadina o granulare: presenza di grossi cristalli (occhi) appiattiti secondo le
superfici di scistosità. Con un alto grado metamorfico.
Blastesi o ricristallizzazione, ossia formazione di nuovi minerali in seguito all’azione
termica e barica
Cancellazione delle strutture originarie come tracce dei fossili, la stratificazione, la
granularità….
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82
GRADO O LIMITI DEL METAMORFISMO
Quanto più il metamorfismo è profondo, tanto maggiori sono le dimensioni dei cristalli.
Ad esempio dal metamorfismo di un’argilla si ottengono delle filladi costituite da cristalli
minutissimi; se le filladi vengono metamorfosate ulteriormente danno origine prima ai
micascisti e poi agli gneiss, in cui le dimensioni dei cristalli sono evidenti.
Pertanto, le filladi sono prodotte dal metamorfismo di basso grado, con cristalli piccolissimi
e disposti in strati sfaldabili; i micascisti sono prodotti da un metamorfismo di grado
medio; sono rocce dalla evidente scistosità (schizo = divido) e dai cristalli di dimensioni
maggiori.
Gli gneiss sono il prodotto del metamorfismo di grado alto, presentano cristalli di grosse
dimensioni e una struttura granulare.
Esiste un limite massimo al metamorfismo perché ad una certa temperatura, la roccia
fonde. Infatti, è bene ricordare che il metamorfismo si riferisce solamente ai cambiamenti
nella roccia solida, e non a quelli causati dalla fusione.
I geologi distinguono quattro livelli di metamorfismo:
Metamorfismo a bassissimo grado, a temperature comprese tra 200°C e 320°C
e a pressioni basse;
Metamorfismo a basso grado, con T = 350°C-550°C e P < 2000 bar;
Metamorfismo medio grado, con T = 550°C – 700°C e P = 2000 – 6000 bar;
Metamorfismo alto grado, con T > 700°C e pressione > 6000 bar.
La temperatura che caratterizza i fenomeni metamorfici è compresa tra 200°C e 800°C. A
temperature inferiori ai 200°C si passa alla diagenesi; a temperature superiori a 800°C
inizia la fusione e viene a prodursi magma, anziché roccia.
TIPI DI METAMORFISMO
Con il metamorfismo si hanno due tipi fondamentali di processi:
La deformazione meccanica: frantumazione, sminuzzamento e sviluppo di
foliazione.
La ricristallizzazione chimica (blastesi), con cambiamenti nella composizione
mineralogica, crescita di nuovi minerali e perdita di H2O e CO2.
Quello che cambia da una forma all’altra di metamorfismo sono:
♦ Il grado metamorfico
♦ Le cause che lo hanno prodotto.
I principali tipi di metamorfismo sono:
1. Metamorfismo generale o di contatto o termometamorfismo: deriva dall’azione
combinata di due fattori, elevati valori di temperatura e la presenza di fluidi. Interessa le
rocce a contatto con i magmi caldi. Se l’aumento termico è lieve, la roccia non viene
modificata eccessivamente, mentre se l’aumento termico supera 300°C, la roccia subisce
una evidente metamorfosi. ES. I marmi saccaroidi e cornubianiti.
A questo metamorfismo sono associati minerali utili. Le rocce incassanti presentano
un’aureola di contatto, con un metamorfismo meno intenso con la distanza. In questo tipo
di metamorfismo si riscontra scarsa deformazione meccanica ed evidente
ricristallizzazione chimica, con neoformazione di minerali, perché i sedimenti sono saturi
d’acqua, e il loro comportamento è assimilabile ad un liquido: lo stress tende ad essere
uniforme. La roccia risultante appare priva di foliazione, con tessitura simile ad una roccia
sedimentaria, ma con associazione di minerali diversa.
1. Metamorfismo dinamico o di dislocazione o cataclastico: riguarda l’azione
dinamica di sbriciolamento delle rocce lungo una faglia in movimento (azione tettonica)
e consiste, quindi, in deformazioni meccaniche a causa di compressioni sulle rocce, dove
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83
ci sono delle pieghe o grandi fratture. Generalmente le rocce sono definite coi due nomi di
cataclasiti e di miloniti, senza che esista una grossa differenza tra i due termini: nel primo
caso siamo di fronte a rocce estremamente fratturate dall’azione tettonica; nel secondo
caso abbiamo a che fare con rocce apparentemente compatte, ma in realtà finemente
triturate dall’azione tettonica. E’ utile per le conoscenze che può fornire circa i grandi
movimenti della crosta terrestre. Le rocce cambiano struttura e orientazione, risultando
deformate.
2. Metamorfismo regionale o dinamotermico: è il processo metamorfico più imponente
per effetti e volume di rocce coinvolte e deriva dall’azione combinata di temperature
e pressioni elevate. Interessa intere regioni e grandi volumi di rocce sprofondate a
notevoli profondità, nelle zone orogenetiche, da processi orogenetici; è la forma più
comune, da cui derivano buona parte delle rocce metamorfiche. Scisti, ardesia,
lavagna, gneiss. Durante la trasformazione della roccia di partenza nella
corrispondente roccia metamorfica, questo metamorfismo comporta stress
differenziato, deformazione meccanica e ricristallizzazione dei minerali della roccia
dovuti sia all’aumento di pressione e temperatura, sia all’apporto di nuove
sostanze chimiche. La pressione presenta due componenti: la pressione idrostatica
o di carico, che si esercita in tutte le direzioni con la stessa intensità, legata alla
profondità, dovuta al peso delle rocce sovrastanti; la seconda legata alle pressioni
tangenziali (orientate) che hanno una direzione ben precisa. Va, inoltre, ricordata la
presenza di acqua e CO2, che intervengono direttamente nella sintesi di minerali nuovi,
grazie all’apporto di nuove sostanze chimiche, oltre che all’aumento di pressione e di
temperatura (ricristallizzazione dei minerali). Per risalire alle condizioni termiche e
bariche del metamorfismo, si usa il metodo dei minerali indice contenuti nelle rocce
metamorfiche, ciascuno dei quali si forma a ben precisi valori di temperatura e
pressione. In tale processo i minerali delle rocce che sprofondano, non si trovano più in
equilibrio con l’ambiente circostante, per cui reagiscono trasformandosi in minerali più
adatti a sopportare le nuove condizioni ambientali. Si formano, così, nuove rocce, frutto
di nuove associazioni di minerali, mentre la composizione chimica globale non si
modifica sostanzialmente. Vale a dire, i diversi componenti dei minerali (ioni, atomi,
molecole), si riorganizzano secondo nuove e più resistenti strutture cristalline, dando
origine a minerali differenti.
3. Metamorfismo di carico o di profondità: comporta una deformazione chimica,
perché a causa del gradiente termico (aumento termico con la profondità), si possono
sviluppare associazioni mineralogiche diverse anche per la granulometria dei minerali.
4. Ultrametamorfismo o anatessi: dovuto ad un ulteriore aumento termico e barico fino
alla fusione del materiale roccioso. E’ un anello di congiunzione tra rocce metamorfiche
e ignee.
5. Metasomatismo: comprende il metamorfismo idrotermale e di contatto. Esso comporta
un cambiamento della composizione chimica della roccia. A contatto con il magma, la
roccia si arricchisce di nuove sostanze che si infiltrano nei reticoli cristallini rocciosi,
modificandone la composizione e lasciando inalterata la struttura. Es. contattiti, cioè a
contatto con il plutone.
6. Metamorfismo retrogrado: quando le rocce metamorfiche vengono in superficie, non
sono stabili per le mutate condizioni ambientali (termiche e bariche) e dovrebbero
ricristallizzare. Invece, ciò avviene di rado, perché la roccia è priva di acqua e le
reazioni di ricristallizzazione sono lentissime.
CLASSIFICAZIONE DELLE ROCCE METAMORFICHE
Non è stata ancora elaborata una classificazione universalmente accettata per le rocce
metamorfiche. I criteri usati sono:
⇒ Struttura, scistosità
⇒ Composizione mineralogica
⇒ Genesi.
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84
ROCCE SEDIMENTARIE
(Roccia madre)
ROCCE IGNEE
(Roccia madre)
Rocce ortometamorfiche
(Rocce figlie)
Rocce parametamorfiche
(Rocce figlie)
FILLADI; SCISTI, ORTOGNEISS,
MICASCISTI, ECLOGITI.
QUARZITI, ARDESIE, MARMI,
MICASCISTI, FILLADI,
PARAGNEISS
Se il metamorfismo non è troppo intenso e prevale l’azione di forti pressioni a profondità
relativamente basse, si formano minerali a struttura lamellare, come le miche, che conferiscono
alla roccia una tipica struttura scistosa. Es. ardesia; fillade... dall’argilla. Con l’aumentare della
temperatura e della profondità, si formano minerali dalla struttura granulare e rocce con aspetto
massiccio, perdendo la scistosità. Es. gneiss.
METAMORFISMO
ROCCE
METAMORFICHE
ROCCE
ORIGINARIE
Basso
Medio
Alto
T= 350°C/550°C ; T= 550/700°C; T> 700°C
Ortometamorfiche
(da rocce ignee)
Rocce ignee acide
Rocce
ignee
basiche
Rocce
ignee
ultrabasiche
Filladi
Scisti verdi
Scisti blu
Serpentini
Arenarie
Parametamorfiche
(da rocce sedimentarie)
Argille
Marne
Calcari
Argilloscisti
Filladi
Micascisti
Quarziti
Micascisti
Ortogneiss
Eclogiti
Paragneiss
Ardesie
Marmi
N.B. La causa fondamentale del metamorfismo è un apporto di energia termica adeguato,
tale da determinare l’indebolimento e la rottura dei legami reticolari.
Per effetto di questa fornitura di energia termica, le oscillazioni delle particelle, costituenti i reticoli
cristallini, diventano ampie, fino a che dette particelle si svincolano dall’impalcatura reticolare.
Di conseguenza i reticoli si disgregano ed i loro costituenti chimici si rendono disponibili per la
costruzione di nuovi reticoli cristallini stabili nelle nuove condizioni ambientali.
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85
ARTICOLAZIONE DEI CONTENUTI
-
Il tempo geologico
Eoni, ere geologiche e periodi
Le grandi estinzioni
Le glaciazioni
Il processo di ominazione.
PREREQUISITI
⇒
⇒
⇒
⇒
Aver appreso alcune nozioni fondamentali di chimica;
Gli ambienti di sedimentazione;
Possedere elementi di tettonica;
Avere acquisito il concetto di evoluzione.
OBIETTIVI
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
Spiegare l’importanza dei fossili nello studio della storia terrestre;
Ricostruire la successione degli eoni, delle ere geologiche e dei periodi che la costituiscono;
Riferire le tappe dell’evoluzione della vita sul pianeta terra;
Argomentare gli eventi biologici e geologici salienti di ogni era
Descrivere le tappe dell’evoluzione dell’uomo;
Riferire la differenza tra tempo geologico e biologico;
Discutere il fenomeno delle glaciazioni e delle estinzioni di massa.
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86
ETÁ’
ERA
EONE
PERIODO
EPOCA
FORME DI VITA
PRINCIPALI EVENTI
biologici e geologici
Olocene:10.000
Quaternario
Diffusione dell’uomo
moderno
Estinzione di molti grandi
mammiferi e uccelli
anni fa
Pleistocene: 2
milioni di anni fa
Pliocene
5,3 m.a.
Miocene
23,7
Oligocene
36,6
Eocene
57,8
Periodo glaciale con intervalli miti
Homo erectus
Età dei mammiferi
Grossi carnivori
I più antichi resti fossili
Paleogene
Sommersione di ampia parte
dell’Italia
Apertura del Mediterraneo
Cetacei e scimmie
Grandi mammiferi erbivori Chiusura del Mediterraneo
Primati
Comparsa delle piante a
fiore
Primi cavalli e cammelli,
uccelli giganti
Formazioni delle praterie
Primi primati
Paleocene
66,4
Apertura del Mar Rosso
Orogenesi alpino-himalayana
Inizio formazione delle calotte
glaciali polari
Estinzione e di molte altre Collisione dell’India con l’Eurasia
Eruzione dei basalti del Deccan
specie
GLACIAZIONE
Cretaceo
MESOZOICO O SECONDARIO
Quinta estinzione di
massa
Comparsa dei mammiferi
placentati
144
Giurassico
Triassico
245
Età dei rettili
208
Pianta a fiore primitive,
rettili volanti
Quarta estinzione di
massa
Massima espansione dei mari
Inizio fatturazione del
supercontinente Pangea
Apertura dell’Oceano Atlantico
Uccelli e mammiferi
primitivi
Primi dinosauri
286
Pennsylvaniano
320
Mississipiano
Devoniano
Formazione del supercontinente
Pangea
TERZA ESTINZIONE DI MASSA
Formazione dei depositi di Continenti dell’emisfero meridionale
carbone
interessati da estese glaciazioni
Abbondanza di squali
OROGENESI ERCINICA
Varietà di insetti
Primi rettili
Primi anfibi
à
de
i
pe
360
Età degli anfibi
Permiano
Carbonifero
PALEOZOICO O PRIMARIO
Fanerozoico = della vita visibile
CENOZOICO O TERZIARIO
Neogene
Glaciazioni: DONAÜ – GUNZ –
MINDEL – RISS – WURM
408
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Climi caldi con piccole variazioni
stagionali
Seconda estinzione di massa
Prime foreste
87
sempreverdi
Siluriano
438
505
Cambriano
Archeano
Proterozoico
570
Età degli invertebrati
marini
Ordoviciano
Prime piante terrestri
EDIACARIANO
Precambriano
inferiore
Diversificazione di
organismi pluricellulari
Primi organismi con
guscio
FOSSILI MOLECOLARI
PRIMI ORGANISMI
UNICELLULARI
Precambriano
superiore
2500 m.a.
Precambriano
medio
3800 m.a.
Invertebrati dominanti
Pesci primitivi
Orogenesi Caledoniana
GLACIAZIONE
Inizio orogenesi nell’America nordorientale
PRIMA ESTINZIONE DI MASSA
Formazione del più antico
supercontinente
(1,5 miliardi di anni fa)
I più antichi depositi di rocce
carbonifere e di minerali di ferro
(OROGENESI HURONIANA)
BATTERI ed ALGHE PRIMITIVE Le più antiche rocce sedimentarie
Accumulo di ossigeno libero
nell’atmosfera
4750 milioni di anni
La Terra inizia a raffreddarsi
Adeano
ORIGINE DELLA VITA:
pregeologico
Le rocce più antiche conosciute
(3,96 miliardi di anni fa)
Vulcanesimo intenso
Formazione della crosta terrestre
N.B. – Eone Adeano + eone archeano + eone proterozoico = supereone criptozoico o
precambriano.
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88
SuperEONE e EONI
Supereone
CRIPTOZOICO
Eone
ADEANO
Eone
PROTEROZOICO
Eone FANEROZOICO
Eone ARCHEANO
PALEOZOICA
CAMBRIANO
MESOZOICA
CENOZOICA
QUATERNARIO
TRIASSICO
GLACIAZIONE
PLEISTOCENE
(5 BREVI
GLACIAZIONI
ORDOVICIANO
(ESTINZIONE)
(GLACIAZIONE)
SILURIANO
GIURASSICO
GLACIAZIONE
DEVONIANO
CRETACEO
(ESTINZIONE)
(ESTINZIONE
)
PALEOCENE
EOCENE
)
OLOCENE
(ESTINZIONE)
OLIGOCENE
MIOCENE
CARBONIFERO
PERMIANO
(ESTINZIONE e GLACIAZIONE)
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PLIOCENE
89
LA STORIA DELLA TERRA
LA GEOLOGIA STORICA serve a stabilire la successione degli avvenimenti orogenetici,
paleogeografici, paleobiologici, paleobotanici, paleoecologici, paleoclimatici e come, quindi, si
sono svolti i principali avvenimenti:
⇒ GEOLOGICI: orogenesi, glaciazioni, deriva dei continenti;
⇒ BIOLOGICI: comparsa della vita, conquista della terraferma, processo di ominazione,
estinzioni di massa.
Alla base della ricostruzione della storia della Terra vi sono due grandi teorie:
⇒ L’evoluzione proposta da Darwin nel 1859, riguarda gli esseri viventi. Essa afferma che gli
attuali esseri viventi discendono da viventi diversi e più semplici. Possiamo, perciò,
impiegare la storia dei viventi, documentata dai fossili, per ricostruire la storia della Terra.
⇒ La seconda teoria, quella dell’attualismo di Lyell (1832) riguarda gli eventi geologici.
Essa afferma che sulla terra hanno agito sempre gli stessi fenomeni endogeni ed esogeni
che agiscono attualmente.
In geologia bisogna rifuggire da ogni catastrofismo. Gli avvenimenti furono e sono lenti. Questo
modo di pensare è chiamato anche “teoria dell’attualismo”, cardine della geologia moderna. Infatti,
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
90
solo terremoti e vulcani rappresentano il lato catastrofico del secolare lavorio cui è soggetta la
crosta terrestre.
Durante la sua lunga storia, la Terra ha conosciuto profondi cambiamenti fisici e biologici
(climatici, geologici e biologici).
GLI INDIZI PER DARE UN’ETA’ ALLA TERRA SONO:
Meteoriti
Cratoni (scudi, piattaforme)
Morfologia del rilievo
Attività sismica e vulcanica
Cronologia relativa: criterio litologico, paleontologico, stratigrafico (principio della orizzontalità
iniziale, della sovrapposizione stratigrafica, di correlazione temporale); metodo del fluoro e dei
pollini fossili;
⇒ Cronologia assoluta: metodo delle varve, della dendrocronologia e della radioattività.
⇒ Fossili molecolari: tracce di attività biochimica di organismi vissuti circa 3 miliardi di anni fa;
⇒ Fossili (resti, escrementi, tracce varie, come cunicoli, rifugi, piste).
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
Usando sia la datazione relativa sia assoluta, la storia della terra è stata suddivisa in due principali
intervalli:
1. SUPEREONE PRECAMBRIANO O CRIPTOZOICO O ARCHEOZOICO che comprende tre
eoni;
2. EONE FENEROZOICO che costituisce un EONE.
La storia della terra è stata suddivisa in grandi intervalli, chiamati EONI che racchiudono
intervalli di miliardi di anni. Ogni eone è stato suddiviso in ERE, che comprendono
intervalli di milioni di anni; queste a loro volta in PERIODI, quest’ultimi in EPOCHE, le epoche
in ETÁ e le età in TEMPI.
Il supereone Precambriano è l’intervallo più ampio con 4 miliardi di anni ed è stato diviso in tre
eoni:
⇒
ADEANO (4,7 – 3,8 miliardi d’anni fa);
⇒
ARCHEANO o laurenziano (3,8 – 2,5 miliardi d’anni fa);
⇒
PROTEROZOICO (2,5 – 0,6 …).
1) EONE ADEANO: deriva da Ade = regno dei morti, per significare la presenza di fenomeni molto
violenti, atmosfera senza ossigeno, terra primitiva, fase pregeologica per la Terra, crosta in
formazione, atmosfera primordiale, radiazioni UV, violenta attività vulcanica e sismica, nessuna
forma di vita (ERA AZOICA – periodo Adeano).
2) EONE ARCHEANO: antico. Nascita della vita a seguito della comparsa delle prime molecole
organiche (evoluzione chimica); dura 1,3 miliardi d’anni; prime tracce d’ossigeno nell’atmosfera.
Comprende l’era archeozoica e il periodo Archeano (precambriano o archeozoico inferiore).
Una glaciazione circa 2,7 miliardi di anni fa.
3) EONE PROTEROZOICO: della prima vita, organismo anteriore. Comprende ancora l’era
archeozoica o arcaica e i periodi dell’huroniano o algonchiano (archeozoico o precambriano
medio) e dell’ediacariano (archeozoico o precambriano superiore).
Orogenesi huroniana, laurenziana e algonchiana, con formazione delle più antiche terre (attuali
scudi).
L’atmosfera ha una composizione simile all’attuale, con notevole incremento della diversità
biologica (evoluzione biologica che dura tuttora).
Organismi procarioti ed eucarioti unicellulari, organismi pluricellulari (anellidi, briozoi, celenterati:
fauna di Ediacara).
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
91
Stromatoliti = concrezioni calcaree sferoidali di alghe azzurre, procariote.
Rocce metamorfiche prevalenti; vulcanesimo intenso.
Glaciazioni:
950 milioni di anni fa;
770 milioni di anni fa;
615 milioni di anni fa.
Nell’atmosfera si accumula ossigeno come sostanza di rifiuto, risultando tossico per molti
organismi presenti nell’oceano primordiale. La vita rischiava l’autoavvelenamento, ma si
svilupparono sistemi di difesa.
L’ossigeno creò uno strato di ozono che filtrò i raggi UV e consentì la conquista della terraferma.
Inoltre, il passaggio alla pluricellularità ha prodotto maggiore efficienza e specializzazione, con
incremento della mole, importante fattore di successo nella competizione.
LA FAUNA DI EDIACARA (Australia meridionale)
I fossili più antichi di organismi pluricellulari furono scoperti in rocce di 600-700 milioni di anni,
nelle colline di Ediacara, nell’Australia meridionale, e sono conosciuti come “FAUNA di
EDIACARA”: anellidi, molluschi, brachiopodi, meduse: è il preludio della fase fanerozoico, cioè
della vita manifesta, che si avvia a conquistare l’intera superficie terrestre.
Era composta di animali dal corpo molle, che vivevano nelle tiepide acque marine primordiali, privi
di ogni struttura di difesa, perché non esistevano ancora animali predatori.
Essa rappresenta un salto enorme di complessità rispetto ai primi eucarioti unicellulari di 800
milioni di anni prima.
Gli animali di Ediacara sono di tre tipi principali:
1.
2.
3.
ANIMALI a forma di disco, simili alle meduse;
ANIMALI a forma di penna o piuma, simili agli antozoi;
ANIMALI a forma di vermi.
Caratteristica condivisa da tutti gli animali di Ediacara è la loro forma piatta che consente più
efficaci scambi con l’ambiente. Avendo un’ampia superficie per il nutrimento, la respirazione e la
escrezione, gli animali di Ediacara potevano essere in grado di crescere e svilupparsi
enormemente, fino a 1 metro.
La forma piatta presentava anche alcuni problemi: non consentiva di sopportare l’impatto delle
onde senza danni.
Questo fatto potrebbe aver contribuito al successo fi forme animali con il corpo meno appiattito,
più tondeggiante e ramificato.
Gli animali di Ediacara si svilupparono alla fine del proterozoico e nel successivo fanerozoico.
L’eone Fanerozoico (della vita manifesta, evoluta) comprende le seguenti ere:
1) PALEOZOICA: (palaiòs-antico e zo(i)on-animali), fu l’era degli animali antichi. Inizia 530 milioni
di anni fa ed ebbe una lunghissima durata: oltre 300 milioni di anni. Durante quest’era la vita
animale e vegetale subì un notevole sviluppo. Tra gli animali troviamo gli invertebrati marini, i
Crostacei tra i quali i caratteristici Trilobiti (fossili guida di quest’era), i Pesci e, alla fine di
quest’era, gli Anfibi ed i Rettili. Le piante, rappresentate da Briofite e Crittogame gigantesche,
ebbero uno sviluppo davvero imponente e l’accumulo di queste Felci arborescenti, simile a quelle
che attualmente si trovano nelle zone equatoriali, dette origine ai depositi di carbone,
specialmente in uno dei periodi di quest’era: il Carbonifero.
Viene definita anche l’era degli invertebrati.
All’inizio esistevano 5 masse continentali:
1. la maggiore era GONDWANA = Sudamerica + Africa + Penisola
indiana + Australia
+ Antartide;
2. il blocco nordamericano (LAURENZIA);
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
92
3. il blocco europeo (BALTICA);
4. Siberia
5. Cina.
Durante il SILURIANO si verificò l’unione dei blocchi siberiano e cinese (ASIA), si formò il
LAURUSSIA (= Nord America + Europa) con tre masse continentali presenti:
• ASIA
• LAURUSSIA
• GONDWANA.
Durante il Carbonifero, il Laurussia e il Gondwana entrarono in collisione unendosi.
Nel Permiano il blocco asiatico venne a fondersi con gli altri, dando luogo all’unico supercontinente
“PANGEA”.
Durante l’era ci furono due orogenesi: CALEDONIANA (Ordoviciano) ed ERCINICA
(Carbonifero).
Durante l’era ci furono tre estinzioni di massa: nell’ordoviciano, nel devoniano e nel permiano.
• Il binomio “Cambriano – Ordoviciano” = età degli invertebrati marini.
• Il binomio “Siluriano – Devoniano” = età dei pesci.
• Il binomio “Carbonifero – Permiano” = età degli anfibi.
Fossili guida dell’era sono i TRILOBITI, artropodi intermedi tra gli insetti e i crostacei marini, con il
corpo suddiviso in tre lobi nel senso della lunghezza e muniti di numerose zampe. Scomparvero
nel Permiano.
I periodi di quest’era sono:
1°) CAMBRIANO (530 milioni di anni fa): i mari ebbero una notevole estensione e si avviarono
importanti sollevamenti di catene montuose con intensa attività vulcanica e formazione di masse
intrusive ed effusive. Inoltre ci fù la comparsa e l’ampia diffusione di animali marini con scheletro
esterno e la composizione percentuale dell’atmosfera cambiò, infatti si formò uno strato di ozono
che rese possibile la vita anche nelle acque meno profonde, e poi sulla terraferma. Gli organismi
maggiormente presenti nelle acque del Cambriano furono le alghe, i brachiopodi bivalvi, i
gasteropodi con scheletri fosfatici, i trilobiti e i graptoliti, piccoli organismi coloniali abbastanza
evoluti.
Durante questo periodo ci fu un’esplosione di biodiversità a causa della comparsa della
riproduzione sessuale, fonte di variabilità genetica nella specie.
2°) ORDOVICIANO (500 m.a.): è caratterizzato dal ritiro dei vasti mari formatisi in precedenza,
che lasciarono al loro posto aree continentali. È importante ricordare che a metà periodo
l’avanzata degli oceani riprese, e quindi sui continenti si accumularono estesi sedimenti marini. Si
ebbe la comparsa dei Briozoi, dei Coralli e dei Primi Pesci. Alla fine di questo periodo si verificò
una prima estinzione. Compaiono i primi cordati: gli AGNATI, simili a pesci ma privi di mandibola e
mascelle (ostracodermi e placodermi, antenati dei pesci, così chiamati per avere una corazza
ossea o placche ossee).
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
93
3°) SILURIANO o Gotlandiano (438 m.a.): si ebbe l’orogenesi caledoniana che portò alla
formazione della Scozia, della Scandinavia, del Galles e dell’Inghilterra settentrionale. Inoltre
l’America settentrionale e l’Europa si avvicinarono, forse a causa del restringimento dell’oceano
Giapeto, oceano formatosi, secondo alcuni studiosi, in seguito ad un processo d’espansione del
fondale oceanico. Continuarono a prevalere le alghe, anche se comparvero le prime piante
terrestri; tra gli animali abbondavano ancora trilobiti e graptoliti e, i pesci corazzati, mentre
compaiono i primi pesci e i primi vegetali. Insetti e ragni conquistano la terraferma.
4°) DEVONIANO (408 m.a.): la chiusura totale dell’oceano Giapeto causò la collisione tra
l’America settentrionale e l’Europa con conseguente formazione di montagne i cui resti si possono
attualmente trovare in Gran Bretagna ed in Scandinavia. Tra gli organismi che vivono sulla
terraferma si ebbe la comparsa di numerose piante vascolari, specie le felci che, grazie alla
fotosintesi e quindi all’immissione d’ossigeno nell’aria, permisero agli animali di abbandonare
l’acqua (Psilofite, Equiseti, Pteridofite, Licopodi). La fauna marina era formata da molluschi e
coralli, mentre andavano scomparendo i trilobiti ed i graptoliti. Prendono origine gli anfibi
(Ictyostega). Si ebbe, probabilmente alla fine del periodo, una seconda estinzione.
5°) CARBONIFERO (345 m.a.): le zone equatoriali furono soggette ad un innalzamento del livello
del mare con inondazioni delle piante costiere e formazioni di depositi di calcare marino grigio e di
argilliti; si formarono i primi delta e acquitrini con i materiali erosi trasportati dai fiumi. I continenti di
Gondwana si spostarono verso il Nordamerica e a fine periodo si ebbe una collisione con il
sollevamento degli Appalachi meridionali, l’orogenesi appalachiana. L’insieme dell’orogenesi
appalachiana ed ercinica determinò l’unione di Godwana con le masse continentali settentrionali,
così si formò un supercontinente chiamato Pangea. Vi fù un rigoglioso sviluppo di vegetazione,
con una vera e propria invasione delle foreste tropicali, di felci arboree e giganti e di equiseti. Con
la loro morte si formarono strati di torba che, restando sepolta per lungo tempo, si trasformò in
carbone. Si svilupparono anfibi insetti e ci fù la comparsa dei primi rettili. C’era abbondanza di
squali. Estese glaciazioni nell’emisfero meridionale.
6°) PERMIANO (286 m.a.): i continenti erano quasi interamente aggregati nell’unico
supercontinente Pangea circondato da un unico mare, Panthalassa. Si formarono i monti Urali. Ci
fù una netta prevalenza di rettili e anfibi e i continenti si estendevano nel senso della latitudine e
quindi si può ipotizzare che la varietà climatica determinasse alcune differenze di flora; nelle
regioni euroamericane abbondavano le gimnosperme e le pteridosperme; erano ancora numerosi i
brachiopodi, i lamellibranchi, i gasteropodi e i rettili. Verso la fine del periodo si verificò una terza
estinzione, per cambiamenti ambientali, geologici, biologici o climatici; eruzioni vulcaniche,
fenomeni orogenetici. L’estinzione colpì buona parte degli invertebrati marini, degli anfibi (75%) e
delle forme dei viventi (85%). Scomparvero i trilobiti.
ERA MESOZOICA (245 m.a.) : (mésos-mezzo e zo(i)on-animali). Era dei rettili: i rettili già
comparsi alla fine dell’era paleozoica ebbero in quest’era un enorme sviluppo: Terrestri
(dinosauri), Pterosauri volanti, Mesosauri, Ittiosauri, Tilosauri e Plesiosauri giganteschi
(rettili marini) assieme a Tartarughe e Coccodrilli popolarono i mari mentre fecero la loro prima
comparsa gli Uccelli ed i Mammiferi. Caratteristici di quest’era sono i Molluschi fra i quali le
Ammoniti, molluschi cefalopodi con conchiglia a spirale (fossili guida) e le Belemniti.
Compaiono nel mesozoico le prime piante con fiore (Antofite). I terreni di quest’era sono in
prevalenza calcarei e questo attesta la notevole azione di sedimentazione verificatasi.
I periodi di quest’era sono:
1° TRIASSICO (245 m.a.): la Pangea cominciò a fratturarsi in due continenti separati dal mare di
Tetide e si svilupparono i rettili terrestri, marini e volatori. Verso la fine del periodo si presentò una
flora molto abbondante e varia di conifere e felci.
2° GIURASSICO (195) m.a.): tempo dei grandi rettili tra cui i dinosauri, compaiono i primi
mammiferi che temendo i grandi rettili facevano una vita notturna. Il supercontinente Pangea era
ormai separato in Laurasia e Gondwana; si apri,
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
94
quindi, l’oceano Atlantico e il Gondwana si divise in porzioni continentali riconoscibili in tre blocchi:
Africa-Sudamerica, Australia-Antartide e India. Per quanto riguarda la flora erano molto sviluppate
le gimnosperme come le cicadee e le conifere. Comparvero i primi mammiferi (marsupiali) e
comparve l’Archaeopterix (rettile-uccello), un organismo con caratteristiche simili agli uccelli
(becco, penne, volo) ed ai rettili (artigli, dentatura). All’inizio del periodo ci fù una quarta estinzione.
3° CRETACEO (136 m.a.): la Pangea continuò a smembrarsi e il mare di Tetide raggiunse la sua
massima estensione, mentre l’oceano Atlantico si ampliò, l’America meridionale si separò
dall’Africa, si formò l’Atlantico meridionale e l’India si spostò verso nord. A fine periodo i continenti
vennero nuovamente invasi dalle acque e iniziò, a partire dalle Americhe, il primo periodo dell’
orogenesi alpino-himalayana. I sedimenti caratteristici di questo periodo sono i fanghi , costituiti
da alghe marine e da foraminiferi platonici che vivono presso la superficie dell’oceano. Tra gli
organismi prevalevano i gasteropodi, i rettili e le tartarughe giganti; si sviluppano le angiosperme
che formano vaste foreste affiancando le conifere. Alla fine del periodo avvenne la quinta
estinzione (cretacica), 70% delle specie viventi, tra cui i grandi rettili. Massima estensione dei
mari.
CAUSE: catastrofi naturali, anomalie climatiche, impatto di un meteorite, la comparsa di piccoli
mammiferi predatori delle uova, malattie, competizione, oscuramento atmosfera per attività
vulcanica.
ERA CENOZOICA (65 m.a.): durante quest’era si manifestò in maniera grandiosa l’attività fisica
col sollevamento delle terre che formarono gli attuali sistemi montuosi e con un’intensa attività
vulcanica. Fu appunto in quest’era che si formò la catena montuosa che dai Pirenei si estende
fino all’Himalaya ed ebbero origine le catene montuose delle Americhe, nonché i rilievi dell’Asia
e dell’ Australia che circondano l’oceano pacifico. Durante quest’era si formò l’ossatura della
nostra penisola con le Alpi e gli Appennini. Le piante Angiosperme ebbero un rigoglioso
sviluppo e, tra gli animali, i mammiferi che ebbero un predominante sviluppo. I fossili
caratteristici di quest’era sono i Nummuliti (fossili guida), protozoi simili a moneta. Ci sono
Molluschi, Echinodermi, Briozoi completamenti nuovi; mammiferi (suidi, equidi, canidi, orsi,
proboscidati, i Primati).
I periodi di quest’era sono: PALEOGENE = Paleocene (65 m.a.) + Eocene (54 m.a.) +
Oligocene (37 m.a.); NEOGENE = Miocene (25 m.a.) + Pliocene (7 m.a.); QUATERNARIO =
Olocene + Pleistocene.
1° PALEOCENE: si ebbe il sollevamento delle Montagne Rocciose e la separazione dell’Australia
dall’ Antartide. La flora vive il diffondersi di specie tropicali con palme e sequoie mentre, per
quando riguarda la fauna, ha inizio l’era dei mammiferi; essi si sono sviluppati e diffusi occupando
tutti i continenti.
2° EOCENE: nacque la catena dell’Himalaya, comparvero le prime scimmie e si ebbe grande
sviluppo dei mammiferi moderni (ad esempio i cavalli) e degli uccelli.
3° OLIGOCENE: si ebbe il secondo periodo dell’orogenesi alpino-himalayana e lo scontro tra
la zolla africana con quella eurasiatica. La fauna non subirono particolari cambiamenti rispetto al
periodo precedente.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
95
4° MIOCENE: terminò l’orogenesi alpino-himalayana con la formazioni delle maggiori catene
montuose attuali: il medio e alto Atlante, i Pirenei, le Alpi, gli Appennini, le Dinaridi, le Carpazi e le
catene himalayane. Sono caratteristici di questo periodo:
- i calcarei organogeni: tra cui i depositi corallini presenti nella zona mediterranea.
- le torbiditi: depositi di tipo marino rappresentati dal flisch;
- i numerosi sedimenti continentali, costituiti da calcari e argille lacustri.
Comparvero le scimmie antropomorfe e si diffusero sempre più rapidamente le fanerogame.
5° PLIOCENE: a questo periodo appartengono le grandi faglie che delimitano le fosse tettoniche,
poi si ebbe il sollevamento dell’istmo di Panama. L’attività magmatica fù intensa con
manifestazioni intrusive che portarono alla formazione di batoliti e laccoliti, ed effusive, con diversi
tipi di vulcani. Comparvero gli australopitechi, si svilupparono numerose specie di mammiferi e di
fanerogame simili alle attuali.
Il Quaternario o degli animali nuovi, si distingue per la comparsa dell’Uomo, perciò è detto anche
Antropozoico. Il periodo inizia circa 2 milioni di anni fa e dura tuttora. Il periodo più antico e
chiamato col nome di Periodo glaciale, è caratterizzato dalla grande espansione dei ghiacciai
dovuta alla maggiore umidità dell’aria e alla diminuzione della temperatura. A questo periodo
glaciale ne seguì uno interglaciale durante il quale i ghiacciai si ritirarono. Queste fasi glaciali si
sarebbero ripetute quattro volte con lunghe fasi interglaciali. Di esse sono prove i massi erratici
trasportati durante la loro espansione. Nell’ultimo periodo detto Diluviale, si formarono le attuali
pianure come la pianura padana derivata dall’accumulo di detriti convogliati dai fiumi provenienti
dalle Alpi e dall’Appennino che colmarono la grande insenatura dell’Adriatico. Col ritiro dei
ghiacciai il clima si modificò ed anche gli animali si estinsero o si trasformarono.
Gli eventi principali e determinanti si possono riassumere in due binomi sintetici:
1.
2.
neozoico-glaciazioni
neozoico-ominazione.
Le epoche di quest’era sono:
PLEISTOCENE: l’alternarsi dei periodi glaciali e interglaciali causò variazioni del livello medio del
mare e, quindi, si rispecchiò nella fauna e nella flora. Nei periodi glaciali, soprattutto nel Würm,
specie di clima freddo come il mammut e la renna si insediarono nell’Europa meridionale. Durante
le fasi interglaciali specie subtropicali come elefanti, rinoceronti e ippopotami si diffusero
nell’Europa settentrionale. Ma l’avvenimento che maggiormente ci interessa è la comparsa e
l’evoluzione dell’uomo.
Il pleistocene si divide in: inferiore (2.000.000 /700.000 anni, paleolitico inferiore); medio
(700.000 – 100.000 anni, paleolitico inferiore); superiore (100.000 – 10.000 anni, paleolitico
medio e superiore).
CAUSE DELLE GLACIAZIONI DEL QUATERNARIO:
⇒
oscuramento atmosfera per l’intensa attività vulcanica
⇒
cause astronomiche: variazione inclinazione asse terrestre.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
96
OLOCENE (inizia 10.000 anni fa): continuò l’evoluzione dell’uomo. Furono numerosi i
cambiamenti morfologici dei vari reperti fossili appartenenti al genere Homo, specie lo sviluppo del
3
3
cranio che passo da un volume di 450 cm dell’Australopiteco a un volume di circa 1500 cm
nell’Homo sapiens sapiens. Nei depositi quaternari sono stati ritrovati manufatti e altre tracce
dell’attività dell’uomo, elementi molto utili per ricostruire le varie fasi dell’aumento della sua
potenzialità intellettiva e dell’evoluzione culturale propagatasi tramite il linguaggio, l’uso del fuoco,
la costruzione di utensili, l’arte grafica, pittorica e la scrittura.
Il Pleistocene storicamente si suddivide in:
⇒ PALEOLITICO (della pietra antica, scheggiata)
a) INFERIORE (2000.000 –220.000 anni fa),
ETA’ della
b) MEDIO (220.000 –35.000 anni fa),
c) SUPERIORE (35.000 – 18.000 anni fa).
⇒ IL MESOLITICO (16/18.000 a.C.)
PIETRA
L‘OLOCENE comprende:
⇒ IL NEOLITICO (10.000 a.C.), pietra nuova, levigata
⇒ ETA’ DEI METALLI: DEL RAME (ENEOLITICO, 7000 a.C.)
DEL BRONZO (5000 a.C.)
DEL FERRO (3200 a.C.), TERMINA LA PREISTORIA E ALCUNI POPOLI DEL MEDITERRANEO
ENTRANO NELLA STORIA (documenti scritti).
Nummuliti: foraminiferi fossili.
PPR
RO
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AZZIIO
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Per ominazione si intende il complesso dei processi evolutivi che, a partire dal terziario, portarono
alla formazione della specie umana da un primate, attraverso una serie successiva di
modificazioni morfologiche e strutturali:
1. Stazione o posizione eretta, prima caratteristica a comparire nel processo di
ominazione;
2. l’uso delle mani e della ragione;
3. Capacità cranica.
Infatti, l’uomo è capace di creare strumenti e manufatti, vive in società organizzate, comunica
anche a livelli intellettuali elevati, è un grado di modificare il proprio comportamento e l’ambiente in
cui vive.
L’uomo utilizza da sempre la propria intelligenza anziché l’istinto per vincere la natura ostile.
L’intelligenza = principale elemento di selezione della specie.
Questi due fattori: intelligenza e vita associativa favoriscono un rapido sviluppo della specie.
Intelligenza significa capacità di manipolare e lavorare oggetti, creatività, capacità di astrazione
e fantasia,
L’uomo si è evoluto per proprio conto, nel senso che per l’uomo non si può trovare una forma
preesistente: nessuna delle forme antropoidi può essere l’antenato diretto dell’uomo.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
97
La comparsa dell’uomo è la tappa finale dell’evoluzione del mondo animale.
L’UOMO NON DISCENDE DALLA SCIMMIA
In base alla teoria evoluzionistica, l’uomo e le attuali scimmie sono il prodotto di due processi
evolutivi separati, che hanno in comune un unico antenato, “LA TUPAIA”, piccolo mammifero
arboricolo comparso sulla Terra circa 70 milioni di anni fa. Vive ancora e viene definito fossile
vivente (capacità cranica 3 c.c.).
Gli studiosi ritengono che dalla Tupaia abbiano avuto origine le proscimmie e da esse siano
discesi i primati, mammiferi da cui si sono originati sia le attuali scimmie sia l’uomo.
Comparsi sulla Terra circa 65 milioni di anni fa i PRIMATI (primates = primi) rappresentano
l’ordine dei mammiferi più evoluto, il gradino più alto della scala evolutiva. I primi mammiferi
comparvero sulla Terra circa 200 milioni di anni fa, all’inizio del MESOZOICO, vissero
nell’ambiente della foresta seminascosti, mentre i dinosauri erano dominatori incontrastati.
Solo dopo l’estinzione dei dinosauri, datata circa 65 milioni di anni fa, fu possibile la RADIAZINE
ADATTATIVA (processo evolutivo da un gruppo originario con formazione di varie specie con
specifici adattamenti a vari ambienti, con occupazione di nicchie ecologiche diverse) dei
mammiferi, permettendo l’affermazione dei primati.
I PRIMATI: ALBERO GENEALOGICO E CLASSIFICAZIONE
I PRIMATI presentano dei caratteri tipici. Infatti, sono:
⇒ Omeotermi: a temperatura corporea costante;
⇒ Placentati: dotati di placenta, organo che permette gli scambi nutritivi tra madre ed
embrione;
⇒ Dotati di ghiandole mammarie;
⇒ Vivipari: producono figli vivi senza deporre le uova;
⇒ Plantigradi: si appoggiano sulla pianta del piede;
⇒ Mani e piedi con 5 dita articolate: caratteristica tipica dei primati;
⇒ Mano con funzione prensile, presa di forza e di precisione;
⇒ Maggiore capacità cranica;
⇒ Comportamento sociale, cure parentali, sistemi di comunicazione più sviluppati.
Le divergenze evolutive dei primati si sarebbero verificate in relazione alla separazione dei
continenti.
In base alla documentazione fossile, circa 6 milioni di anni fa da antenati comuni (ramapiteci) si
ha l’ultima divergenza evolutiva tra scimpanzé ed ominidi.
La classificazione permette di raggruppare gli organismi secondo un ordine evolutivo basato su
caratteristiche comuni (morfologiche, biochimiche, genetiche).
La classificazione più usata oggi divide l’ordine dei primati in due sottordini:
Le proscimmie, origine 55 milioni di anni fa (18 cm3), lemuri, tarsi;
Gli antropoidei, che comprendono:
1.
2.
Scimmie del nuovo mondo (platirrine = naso piatto): 50 milioni di anni (80 cm3)
Scimmie del vecchio Mondo (catarrine = narici strette): 35 milioni di anni
Fam. Pongidi o Scimmie antropomorfe, cioè dall’aspetto umano:
-gibbone (20 milioni di anni)
- orango (15 milioni di anni)
-gorilla (10 milioni di anni, 530 cm3)
-scimpanzé (6 milioni di anni).
⇒ Fam. Ominidi: circa 5 milioni di anni.
⇒
⇒
⇒
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
98
Agli antropoidei appartiene, quindi, la superfamiglia degli ominoidei, che comprende due
famiglie:
1. Famiglia dei PONGIDI o scimmie antropomorfe (scimpanzé, gorilla, orango)
2. Famiglia degli OMINIDI, da cui discende l’uomo attuale.
CARATTERISTICHE DEI PRIMATI
La linea evolutiva o filogenesi dei primati si è affermata per la comparsa di nuove caratteristiche:
⇒ Andatura o stazione eretta (stabilita arbitrariamente come soglia che differenzia le
scimmie dagli ominidi, nostri diretti antenati)
⇒ Visione stereoscopica (in rilievo, tridimensionale, permette di calcolare meglio le
distanze)
⇒ Aumento delle dimensioni del cervello
⇒ Cure parentali prolungate
⇒ Modificazione arcata dentaria (a V nelle proscimmie; ad U nelle scimmie
antropomorfe; semicircolare nell’uomo) e della struttura dei denti per dieta mista.
OMINIDE
La soglia che differenzia le scimmie dagli ominidi (nostri diretti antenati) è stata arbitrariamente
stabilita nella stazione eretta.
Un ominide è, pertanto, un primate bipede che cammina eretto. Tutti gli uomini sono ominidi, ma
non tutti gli ominidi diventarono uomini: alcuni si sono persi per strada, anche se camminavano
eretti.
L’ominide più antico accertato ha circa 6 milioni di anni, scoperto in Africa orientale (ottobrenovembre del 2000).
I caratteri tipi di un ominide, distintivi della sua evoluzione biologica sono:
⇒
⇒
⇒
⇒
Bipedismo e stazione eretta,
Perfezionamento dell’abilità manuale e fabbricazione di utensili,
Presa di precisione,
Maggiore sviluppo della capacità cranica e del cervello.
ORIGINE
Le prove finora raccolte dimostrano che i nostri antenati più lontani sono apparsi tra 20 e 5 milioni
di anni fa, in Africa orientale e meridionale.
Secondo la teoria monofiletica, più probabile, il processo di ominazione si è completato in
un’area molto ristretta, per poi espandersi rapidamente, appena gli ominidi furono in grado di
padroneggiare il loro migliore strumento: il cervello.
Le condizioni di base per l’evoluzione umana furono, pertanto, costituite da un solo insieme di
probabilità bioecologiche, che fece scattare la molla dell’evoluzione.
Nello studio dell’ominazione, oltre ai fossili (anatomia) e ai manufatti (tecnologia), occorre
considerare anche lo “ sfondo ambientale”, cioè lo scenario in cui sono avvenuti i passi evolutivi:
variazioni di clima, alterazioni crosta terrestre, terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni.
Infatti, in un ecosistema ogni variazione di un elemento ambientale può provocare una reazione di
comportamento o un nuovo adattamento biologico per ricostruire un sistema in equilibrio
(feedback o retroazione).
Infatti, circa 12 milioni di anni fa l’Africa subì un’alterazione climatica a causa dell’apertura della
grande spaccatura tettonica, la Rift Valley di 3000 km di lunghezza, che portò all’inaridimento
della parte orientale (Corno d’Africa) e alla successiva espansione della Savana, mentre ad ovest
dominava ancora la foresta.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
99
Una prova indiretta della crucialità della Rift valley nell’evoluzione umana è data dalla
distribuzione dei fossili di scimmie e ominidi.
La Rift Valley sembra rappresentare la linea di demarcazione geografica tra le scimmie
antropomorfe e gli ominidi.
La valle ebbe origine dalla frattura di due enormi bubboni (duomi) negli attuali Kenya e Etiopia,
formatisi per la spinta del magma, con la nascita di giganteschi vulcani, come il Kilimanjaro,
Ruwenzori, Kenia.
Dal punto di vista ecologico il fenomeno segnò la fine delle foreste che copriva il continente.
La temperatura aumentò, il clima si fece più secco e l’innalzamento delle montagne creò una
barriera che si oppose alla circolazione dell’aria umida marina.
Gli ominidi, costretti a muoversi nel mosaico ecologico della Rift Valley, elaborarono una nuova
strategia evolutiva, sfruttando le diverse possibilità dell’ambiente.
La rapidità delle variazioni climatiche e l’estrema variabilità ambientale, trasformarono la grande
spaccatura in una palestra di comportamenti evolutivi. Infatti, solo qui alcuni primati vennero
selezionati in base alla loro potenzialità di sopravvivenza in ambienti diversi.
Per l’ominazione venne premiata la flessibilità rispetto alla specializzazione, l’improvvisazione
rispetto all’efficienza.
La Savana rappresenta lo scenario dell’ominazione, con le seguenti caratteristiche evolutive
assunte dagli ominidi:
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
Adattabilità dietetica, con sfruttamento totale delle risorse
Protezione di gruppo
Scelta territoriale
Mani aperte con capacità di convergenza, divergenza, opponibilità e prensilità
Occhi frontali, per valutare meglio le distanze (percezione stereoscopica o in rilievo).
In savana è utile l’andatura bipede eretta, ma se i primati avessero dovuto impararla una volta
arrivati, non sarebbero riusciti e si sarebbero estinti.
L’ipotesi possibile è che già nella foresta fossero presenti dei caratteri che divennero utili al
momento della crisi ambientale.
La scomparsa della nicchia verde e protettiva fornì un’occasione unica a tutta una serie di individui
malformati e marginali, espulsi dal modo di vita arboricolo, costretti a muoversi alla base degli
alberi, a terra. Tali individui all’improvviso, per caso genetico, si trovarono meglio adatti e dotati
per la vita in savana, a sopravvivere e a riprodursi.
La stazione eretta e il bipedismo rappresentano fasi terminali di un processo evolutivo adattativo,
funzionale alla strategia di sopravvivenza.
Le mani libere dalla locomozione, diventano strumenti per costruire utensili, per esplorare, per
socializzare, per trasportare cibo e per rinforzare comportamenti protoculturali, che garantiscono i
vantaggi evolutivi della stazione eretta.
La mano (altro elemento fondamentale dell’evoluzione umana) svolge tre funzioni principali:
1. sostiene il corpo durante gli spostamenti
2. ha una funzione prensile
3. ha una funzione tattile (esplorazione tattile e manipolazione oggetti).
EVOLUZIONE BIOLOGICA E CULTURALE
La storia evolutiva (filogenesi) dell’uomo è stata determinata da due fattori o forze modificatrici:
⇒
⇒
l’evoluzione biologica, lenta, durata 4 milioni di anni
l’evoluzione culturale, rapida, iniziata nel neolitico e attualmente in corso.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
100
L’evoluzione biologica è stata caratterizzata dai seguenti importanti elementi correlati tra loro:
1. la stazione eretta e il bipedismo (avvenimento decisivo);
2. il maggior sviluppo del cervello, con brusca accelerazione delle capacità
culturali;
3. il progressivo sviluppo dell’abilità manuale;
4. riduzione del prognatismo della mandibola e dei molari correlati a cambiamenti
della dieta da vegetariana a onnivora e all’uso di tecniche di cottura degli
alimenti.
L’evoluzione culturale è stata contraddistinta da particolari caratteristiche:
1. la sessualità nella specie umana, non solo con orientamento riproduttivo ma anche per
consolidare rapporti e cure parentali;
2. l’uso di un linguaggio più complesso, organizzazione sociale complessa e trasmissione della
cultura.
Più cervello significa maggiore possibilità associativa e di elaborazione delle informazioni, più
pensiero, strategie di sopravvivenza più sofisticate e di maggior successo, cooperazione,
tecnologia: più capacità di affrontare l’ambiente.
Le due forze modificatrici, evoluzione biologica e culturale, hanno cambiato in modo veloce e
continuo lo scenario dell’uomo sulla Terra.
L’uomo è, quindi, il risultato di una lenta evoluzione biologica e di una rapida evoluzione culturale.
Infatti, tra i diversi gruppi razziali umani si possono notare maggiori differenze culturali rispetto alle
diversità biologiche.
Risulta, inoltre, più facile controllare e prevedere l’evoluzione dei caratteri biologici, trasmessi dai
genitori ai figli (trasmissione verticale), rispetto a quelli culturali, la cui trasmissione deriva da
varie agenzie: genitori, ambiente socio-economico, familiare, scuola, mass media…(trasmissione
verticale, orizzontale, radiale).
I caratteri culturali si trasmettono per “ contagio” molto più rapidamente di quelli biologici.
L’evoluzione culturale è rapida nei paesi più avanzati, mentre è lenta nei paesi ad economia
arretrata.
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DELLE RAZZE
La deriva genetica (la differenziazione di popolazioni separate da un comune pool genico, per
adattamento selettivo ad ambienti diversi), l’elevata mobilità geografica e le rilevanti modifiche
ambientali, hanno dato origine a razze diverse.
Due sono i criteri di classificazione:
1. Antropologico, basato su caratteri somatici adattativi all’ambiente:
⇒ Pigmentazione cutanea, in base alla minore o maggiore prevalenza di melanina:
leucodermi o bianchi; xantodermi o gialli; melanodermi o neri.
⇒ Conformazione cranio, in base all’indice cefalico = diametro traverso o larghezza/
diametro antero-posteriore x 100: dolicocefalo = forma allungata con “i < 74”;
mesocefalo o intermedio con i = 75–80; brachicefalo, forma larga e corta con i >
80.
⇒ Forma della faccia, in base all’angolo facciale formato dalla linea retta
congiungente incisivi-fronte e dalla linea retta incisvi-foro auricolare: profilo
ortognato, con angolo prossimo a 90° e profilo prognato con angolo facciale acuto,
diffuso tra i neri.
⇒ Colore e forma capelli: biondi, neri, castani; lisci o lisotrichi, ondulati o cimotrichi;
crespi o lanosi o ulotrichi.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
101
⇒ Statura: alta se supera metri 1,70; media 1,70÷1,55; bassa se al di sotto di 1,55.
2. Genetico-biochimico: frequenze genetiche, gruppi sanguigni, fattore RH, sistema
immunologico (HLA), proteine.
L’analisi comparata
L’analisi comparata per rilevare somiglianze e differenze tra le due specie, confronta i principali
caratteri morfologici, biochimici (gruppi sanguigni, fattore Rh, sistema d’istocompatibilità) e
genetici (differenze genetiche e immunologiche).
-
La corteccia cerebrale nell’uomo è ricchissima di corrugamenti, cioè pieghe, che
consentono il massimo sviluppo nel minor volume. Il cervello è
diviso longitudinalmente in due emisferi cerebrali, ulteriormente divisi in due lobi ciascuno,
che controllano la vista, la memoria e il coordinamento delle informazioni. La forma
generale della struttura del cervello è simile, ma l’uomo possiede maggior memoria e una
più ampia possibilità di accumulare, coordinare e trasmettere informazioni.
-
Anche la composizione chimica delle proteine dimostra che alcune proteine umane e
dello scimpanzé sono uguali, mentre altre mostrano diversità nella sequenza degli
amminoacidi. Ciò significa che la separazione tra le due linee filogenetiche è relativamente
recente (circa 6 milioni di anni fa).
-
Un’ulteriore prova di affinità è che alcuni gruppi sanguigni del sistema AB0 si trovano
sia nell’uomo sia nelle scimmie antropomorfe.
-
Manca, invece, l’affinità genetica o reale che consiste nell’attitudine di due individui o
specie a dare origine a prole feconda, incrociandosi.
TAPPE DELL’OMINAZIONE: DAI DRIOPITECI AL GENERE HOMO
L’Africa australe e orientale è il luogo di origine degli ominidi. Ripercorrendo le tappe del processo
dell’ominazione, è necessario ricostruire lo scenario ambientale, le abitudini di vita e le
caratteristiche morfologiche dei vari esemplari.
Durante il terziario, circa 40 milioni di anni fa, nelle foreste africane vissero animali antropoidi, tra
cui la specie DRYOPITECUS africanus (drus = albero, pitekos = scimmia) o PROCONSUL, che si
estinse 14 milioni di anni fa. Forse a causa di un lungo periodo di siccità che provocò una drastica
riduzione delle foreste in cui viveva.
Dal proconsul discesero i driopiteci simili agli attuali scimpanzé.
In conseguenza della spaccatura dell’Africa orientale (Rift Valley), verificatasi circa 10 milioni
di anni fa (EOCENE), a causa di intensi movimenti tettonici, si verificò una differenziazione
climatica tra la zona ovest ed est della spaccatura. Ad ovest della spaccatura la zona rimase
umida e coperta di foreste, nelle quali continuarono a vivere i pongidi; ad est la zona divenne
arida, per la deviazione delle correnti umide a seguito del sollevamento del terreno, formandosi
una tipica vegetazione di savana, sfavorevole per le scimmie antropomorfe, ma favorevole per le
prime forme di ominidi (australopiteci e primi uomini), adattatisi a vivere al suolo.
Il Ramapitecus, si ritiene che sia l’antenato comune dello scimpanzé e degli ominidi (divergenza
evolutiva). E’ vissuto tra 14 e 8 milioni di anni fa nelle foreste ed era vegetariano.
GLI AUSTRALOPITECI (SCIMMIA DEL SUD): cugini dell’homo habilis
Probabilmente furono i più antichi rappresentanti degli ominidi e vissero nelle savane dell’Africa
sud-orientale da 5,5 a 1 milione di anni fa. Erano esseri subumani con cranio da scimmia e corpo
umano.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
102
•
•
•
•
•
•
I caratteri distintivi erano:
Stazione eretta
Pollice specializzato
Canini ridotti, con arcata dentaria a V ma con evoluzione verso la forma semicircolare
dell’uomo.
Statura 1,20÷1,50 metri
Capacità cranica = 500 cm3
Prognatismo.
La stazione eretta è desumibile:
•
•
•
dalle giuntura delle ginocchia,
dalla struttura del bacino
dalla colonna vertebrale
Il pollice specializzato, cioè con piena opponibilità, permette di utilizzare appieno le mani per:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
prendere oggetti
scavare
difendersi
aggredire
fabbricare utensili
sviluppo del cervello
articolazione linguaggio
N.B. Il profilo prognato dipende dallo sviluppo eccessivo delle ossa mascellari, con un angolo
facciale decisamente acuto.
In base ai fossili, sono state distinte varie specie di australopiteci:
1. A. Afarensis (da Afar = deserto dell’Etiopia), 3,6÷2,9 milioni di anni fa, capacità cranica
3
350 - 480 cm (esempio: Lucy); andatura eretta, 1,5 m di altezza, 30-70 kg,
2. A. Africanus che comparve in Sudafrica 3÷2,5 milioni di anni fa, con braccia molto
lunghe ed onnivoro; 500 cm3, peso di 60 kg, altezza 1,20 m;
3. A. boisei (Africa orientale a partire da 2,5 fino a 1,4 milioni di anni fa), 500 cm3, altezza
1,50 m, peso 50÷100 kg; vegetariano;
3
4. A. robustus o parantropo (Sudafrica 1,9÷1,5 milioni di anni fa), 500 cm , 40-90 kg,
vegetariano, alto m 1,35÷1,60.
Le prime due specie erano più gracili; le ultime due erano più robuste e praticamente
indistinguibili.
5.
6.
7.
8.
A. Anamensis (4,2 – 3,9 milioni di anni fa), camminava eretto
A. Aethiopicus (da 2,8 a 2,3 milioni di anni fa)
A. Bahrelghazali (4,2÷ 3,9 milioni di anni fa), trovato in Ciad
Homo Rudolfensis (2,4÷1,8 milioni di anni fa), altezza 1,5 metri, 800 cm3, viene prima
del Boisei.
Sembra, comunque, certo che gli australopiteci, anche se molto simili agli uomini più antichi, non
ne sono i progenitori. Gli australopiteci si sono estinti nel pleistocene medio, quando già erano
comparsi i primi esemplari del genere Homo.
L’HOMO HABILIS
Il nome Habilis deriva dal fatto che è il primo ominide che usa strumenti di pietra scheggiati
intenzionalmente (tecnologia litica). E’ meno prognato dell’australopiteco.
Il primo esponente della linea evolutiva che porta all’uomo moderno è considerato l’Homo Habilis,
comparso sulla Terra circa 2.000.000 di anni fa. Dimostra una particolare valorizzazione della
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
103
ragione grazie allo sviluppo della capacità di utilizzare strumenti rudimentali, abilità ritenuta
distintiva dell’uomo.
Le sue caratteristiche fisiche sono:
•
•
•
•
•
Posizione eretta
Pollice specializzato
Denti decisamente umani, con canini ridotti, da onnivoro
Statura in media di 1,50 metri, maggiore dell’australopiteco
3
Capacità cranica di 600÷700 cm
ABILITA’
⇒ Capacità di scheggiare selce: cultura del chopper = ciottolo scheggiato da un lato per tagliare,
raschiare, cacciare (tritatutto preistorico).
⇒ Primi insediamenti abitativi organizzati, con cerchi di pietre all’interno;
⇒ Caccia individuale e collettiva
⇒ Macellazione animali uccisi e trasporto carne.
L’insieme di queste caratteristiche ha consentito agli studiosi di collocare attorno a 2 milioni di anni
fa l’inizio del Paleolitico.
L’HOMO ERECTUS (Pitecantropo)
Discendente dell’Homo habilis, l’Homo erectus visse da 1,6 milioni di anni fa a circa 200.000 anni
fa, in Africa, Asia, in Europa.
E’ autore di invenzioni e rivoluzioni: caccia grossa, vestiario, capanne, linguaggio articolato al
fuoco.
Caratteri:
⇒ Corporatura robusta con altezza di 1,60 m (forza)
⇒ Capacità cranica fino a 1.150 cm3 (cervello)
⇒ Aspetto molto simile all’uomo moderno.
Le caratteristiche che hanno determinato il suo successo evolutivo sono state: forza e
CERVELLO.
Abilità:
⇒ Cultura dell’amigdala (bifacciale), pietra scheggiata a mandorla, prova del notevole
progresso intellettivo rispetto al suo predecessore
⇒ Controllo del fuoco, scoperto tra 700-500.000 anni fa, usato per riscaldamento, per
illuminare, per difesa, per cucinare
⇒ Caccia di gruppo
⇒ Utensili vari: asce, punte di frecce, punteruoli, raschiatoi, manufatti di osso e di
legno.
Distinguiamo Homo erectus sinantropo o uomo di pechino e Homo erectus Pitecantropo,
Uomo di Giava, Homo Sapiens di Heidelberg (500.000-200.000 anni fa), Homo Ergaster
(1,7÷1,5 m.a.), Homo Antecessor (800.000 anni fa, scoperto in Spagna, forse il primo
europeo).
L’HOMO SAPIENS
Attorno a 200÷150.000 anni fa l’Homo erectus era talmente evoluto che i reperti di
quell’epoca vengono classificati come appartenenti ad una nuova specie: L’Homo Sapiens,
vissuti in Asia, Europa e Africa settentrionale fino a circa 35.000 anni fa.
Il più antico rappresentante fa parte della sottospecie Homo sapiens di Neanderthal, di
Saccopastore (Roma), del Circeo.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
104
Caratteristiche fisiche:
⇒ Capacità cranica di 1450 cm3
⇒ Corporatura robusta
⇒ Altezza superiore a 1,60 m
⇒
⇒
⇒
⇒
⇒
Abilità:
Cultura della scheggia, superiore alla precedente
Uso della zagaglia, lungo e appuntito bastone
Insediamenti in caverne
Cultura dei morti
Caccia di gruppo.
Nonostante le sue abilità, l’uomo di Neanderthal rappresenta un insuccesso nella storia
evolutiva dell’uomo, perché si estinse alla fine dell’era glaciale forse per le mutate
condizioni climatiche, forse perché soppiantato dall’uomo di Cro-Magnon, più forte ed
evoluto.
L’HOMO SAPIENS SAPIENS (35.000 anni fa)
Definito due volte sapiente, perché aveva ormai acquisito varie abilità. Era contraddistinto
da polimorfismo, cioè da differenze razziali. Sono stati distinti due gruppi:
⇒ A questa sottospecie appartiene l’uomo di Cro-Magnon, comparso 35.000 anni fa,
diffuso nell’Europa occidentale
⇒ L’uomo di Combe-Capelle, di origine centroeuropea.
L’uomo sapiens sapiens era portatore di una cultura relativamente evoluta: cultura
magdaleniana (località francese).
Caratteri:
⇒
⇒
⇒
⇒
Cranio a volta alta
Mandibola ridotta
Statura di 1,80 m
Capacità cranica 1450÷1700 cm3
Abilità:
⇒ Attrezzatura differenziata
⇒ Tecnica dell’incastro
⇒ Pittura e scultura
⇒ Primi villaggi
⇒ Indumenti di pelle
⇒ Linguaggio.
Scompare circa 20.000 anni fa a favore dell’uomo contemporaneo.
ESTINZIONI DI MASSA
Rappresentano i costi dell’evoluzione e sono testimoniate dai fossili.
Il 99% delle specie che hanno preceduto quelle attuali, sono scomparse, eliminate dalla
selezione naturale.
La biodiversità aumenta se la velocità di speciazione è maggiore della velocità di
estinzione.
Durante le ere geologiche si incontrano saltuariamente momenti critici di grandi estinzioni.
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
105
Ma la variabilità genetica delle popolazioni restanti e le nuove mutazioni hanno permesso
alle specie esistenti di subire la RADIAZIONE ADATTATIVA e di riempire le nicchie libere.
1. Nella prima estinzione di massa (ordoviciano, 438 milioni di anni fa) si estinsero gran parte
degli invertebrati.
2. Nella seconda estinzione di massa (devoniano, 367 m.a. ) si ebbe la scomparsa di quasi il
75% degli invertebrati.
3. La terza si ebbe 248 m.a. (PERMIANA) e interessò il 90% dei viventi tra invertebrati,
trilobiti, rettili e anfibi, a causa della riduzione degli specchi d’acqua e di una variazione di
salinità degli oceani.
4. la quarta estinzione si ebbe 208 milioni di anni fa, tra il triassico e il giurassico,
distruggendo il 50% dei viventi e rimasero a dominare i grandi rettili marini, terrestri e
volatori.
5. la quinta si verificò circa 65 m.a., nel cretaceo a causa di: raffreddamento climatico, ritiro
dei mari, separazione dei continenti, impatto di un asteroide (forse), predazione, malattie.
Scomparve il 60% delle forme terrestri come ammoniti e dinosauri.
6. Sulle estinzioni attuali la causa principale è l’influenza dell’uomo. Il patrimonio biologico del
pianeta sta attraversando oggi un “effetto collo di bottiglia”, destinato a durare un
cinquantennio. Si calcola che dal 1600 ad oggi si siano estinte 54 specie di mammiferi,
117 di uccelli, 384 di piante, numerose specie di rettili, pesci e invertebrati. Molte altre sono
a rischio.
Cause estinzioni del quaternario:
⇒ Distruzione di aree geografiche
⇒ La caccia
⇒ La pesca
⇒ L’inquinamento
⇒ Deforestazione
⇒ Turismo
⇒ Competizione, malattie, predazione
⇒ Altre cause.
Ci sono due scuole di pensiero:
1. Gradualista che vede la causa delle estinzioni nei lenti mutamenti degli habitat terrestri a
causa della deriva dei continenti, grandi eruzioni vulcaniche, grandi epidemie.
2. Catastrofica, perché prevede come causa scatenante un unico terrificante evento
catastrofico: un enorme meteorite sulla terra che offuscò l’atmosfera, rallentando i processi
fotosintetici.
LE GLACIAZIONI
1. circa 2.7 miliardi di anni fa e sarebbe durata 900 milioni di anni
2. 950 milioni di anni fa
3. 770
milioni
di
anni
fa
durata di
ciascuna
10
milioni
di
anni
4. 615 milioni anni fa
5. glaciazione ordoviciana con durata di 10 milioni di anni
La Dinamica Endogena - Filippo Quitadamo
106
6. glaciazione permo-carbonifera con durata di 80 milioni di anni
7. 65 milioni di anni fa
8. glaciazioni del quaternario: Donau (Danubio), Gunz, Mindel Riss, Wurm (località
della Baviera-Germania).
Durante le glaciazioni avvengono importanti modificazioni di carattere:
⇒ oceanografico: variazione livello del mare
⇒ sedimentazione del materiale trasportato dl ghiaccio
⇒ variazioni nella distribuzione di fauna e flora.
CAUSE GLACIAZIONI ARCHEOZOICO E PALEOZOICO
Migrazione dei continenti, cioè la posizione dei continenti rispetto ai poli (Tettonica delle
placche). Durante un periodo glaciale, una grande massa continentale si viene a trovare
presso un polo, così da impedire il rimescolamento delle acque oceaniche, per cui le acque
calde equatoriali non possono raggiungere le aree polari che, non più mitigate, glaciano.
PROVE
I depositi glaciali di tilliti. La lunga durata di queste glaciazioni è dovuta alla estrema
lentezza dei moti dei continenti.
CAUSE DELLE GLACIAZIONI DEL QUATERNARIO
Cause astronomiche. Secondo la teoria di Milankovicth del 1900, le glaciazioni dipendono
da variazioni del 20% della radiazione solare incidente sul pianeta, a causa dei moti
millenari: variazione eccentricità orbita terrestre; modifica inclinazione asse terrestre.
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