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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE – QUARTA SEZIONE PENALE
SENTENZA 4 AGOSTO 2014, N. 34239
A cura di DARIO GIUNTA
Responsabilità medica, principio dell’affidamento e successione nella posizione di garanzia
1. Inquadramento della questione
La pronuncia in epigrafe riguarda la responsabilità penale del medico o, per utilizzare
un’espressione più consona al commento che ad essa si dedica, la “responsabilità medica” in
quanto, alla base della decisione della Corte di legittimità, si trova una situazione fattuale in cui
bisogna capire quale sia la responsabilità in capo ad un sanitario nell’ipotesi in cui il paziente sia
destinatario di un trattamento terapeutico posto in essere da diversi medici che hanno (o hanno
avuto) in cura il medesimo soggetto. In tali fattispecie, il problema che si pone è quello di
individuare se vi sia responsabilità in capo al medico nel caso in cui l’intervento curativo abbia un
esito infausto per il paziente tenendo in considerazione la pluralità di interventi effettuati da diversi
medici.
2. I princìpi coinvolti e il lavoro medico d’equipe
Si parta dall’assunto secondo il quale il medico o i medici che hanno in cura il paziente ricoprono,
ex lege, nei confronti di quest’ultimo, una posizione di garanzia che è espressione dell’obbligo di
solidarietà che è costituzionalmente imposto dagli articoli 2 e 32 della Costituzione.
In tali situazioni, come accennato inizialmente, il problema cruciale è costituito dal capire quali
responsabilità è possibile rinvenire in capo a ciascun sanitario tenendo conto, quale presupposto
fattuale, dell’esistenza di una pluralità di condotte. In tema di responsabilità medica e di obblighi di
protezione verso il paziente, il problema della individuazione della eventuale responsabilità di
ciascun sanitario trova la sua dimensione nel lavoro d’equipe; tuttavia, ai fini dell’individuazione
nonché della risoluzione del problema della partizione della responsabilità per danni subiti dal
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paziente, bisogna intendersi circa il significato di equipe; essa, solitamente, viene intesa quale
gruppo di sanitari (personale medico e paramedico) che operano sincronicamente per la cura del
paziente.
Tuttavia, le questioni sollevate e le tematiche involte in tali circostanze, sono sicuramente
rintracciabili anche in quelle situazioni nelle quali si realizza una cooperazione terapeutica scandita
in momenti diversi e che si succedono a distanza di un ragionevole lasso di tempo, come accade nel
caso deciso con la sentenza in commento, sorgendo anche in tali casi il nodo problematico della
individuazione delle varie responsabilità nei confronti del paziente; a tal proposito, infatti, si parla
di “responsabilità medica” e non di responsabilità del medico.
Dal punto di vista soggettivo, chiaro appare il riferimento all’articolo 113 c.p. rubricato
<<Cooperazione nel delitto colposo>>. Si dà atto che, come sostenuto dalla costante giurisprudenza
di legittimità, ai fini della configurabilità della cooperazione nel delitto colposo, è sufficiente, da
parte di ciascun soggetto, la coscienza dell’altrui partecipazione all’azione ma non anche la
conoscenza delle specifiche condotte poste in essere né dell’identità degli altri partecipanti. È,
dunque, ravvisabile la cooperazione anche in quelle situazioni in cui le condotte vengono poste in
essere in tempi diversi. In siffatte ipotesi, tuttavia, entra in gioco il c.d. principio di affidamento.
Il principio di affidamento, non è formalmente evocato ma, senza ombra di dubbio, costituisce
principio immanente nell’ambito della responsabilità; esso trova applicazione in tutte le situazioni
in cui una pluralità di soggetti si trovi ad operare al fine di tutelare il medesimo bene giuridico sulla
base dei precisi doveri suddivisi tra i componenti. Infatti, in una situazione di tal genere, ciascuno
dei compartecipi deve avere la possibilità di concentrarsi sullo svolgimento dei compiti affidatigli,
confidando nella professionalità degli altri compartecipi e, di conseguenza, senza che possa essere
chiamato a rispondere penalmente della condotta altrui; in tale ottica, dunque, il principio di
affidamento costituisce limite all’obbligo di diligenza gravante su ciascun titolare della posizione di
garanzia. Tale principio, tuttavia, non deve, ma soprattutto, non può, trovare applicazione in modo
rigido e assoluto in quanto lo stesso deve necessariamente essere contemperato con l’obbligo di
garanzia che incombe in capo a tutti i sanitari che hanno in cura il paziente.
Appare chiaro, infatti, che una rigida applicazione del principio in esame consentirebbe ad ogni
titolare della posizione di garanzia di disinteressarsi completamente dell’operato altrui,
prospettandosi, così, la possibilità di verificarsi esiti infausti per mancanza di coordinamento od
organizzazione tra i titolari della posizione di garanzia. Dunque, il principio di affidamento funge da
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limite agli obblighi di diligenza a cui ciascun soggetto deve ottemperare e, di conseguenza, alla
responsabilità, tenendo conto, tuttavia, degli obblighi di garanzia e di cura nei riguardi del paziente.
3. La decisione della Corte e le argomentazioni a fondamento
Delineati i nodi problematici nonché i princìpi che in tal materia vengono in rilievo è bene passare
all’analisi del casus decisus.
La Suprema Corte ha affermato la sussistenza di responsabilità in capo al medico per non avere,
quest’ultimo, richiesto espressamente al paziente, nonostante il silenzio della cartella clinica redatta
in occasione del ricovero in pronto soccorso, se fosse allergico ad uno specifico farmaco che aveva
intenzione di somministrargli (nel caso di specie, il farmaco venne somministrato ed il paziente
morì a causa dello shock anafilattico), facendo affidamento sull’anamnesi effettuata in precedenza
dal medico del pronto soccorso.
In argomentazione, secondo i giudici di legittimità, il medico condannato, avrebbe dovuto chiedere
al paziente se fosse allergico all’antibiotico che voleva somministrargli, evitando di fare
affidamento sulla cartella clinica redatta dal medico del pronto soccorso, anche perché, al momento
del ricovero, il paziente può essere sotto stress e, comunque, tendere a seguire le sole domande che
gli vengono poste. Tra l’altro, rilevano i giudici della Cassazione, sposando il ragionamento della
Corte territoriale, che la presenza di allergie ai farmaci è un dato fondamentale per qualunque
medico, che può essere diverso dal collega che ha raccolto l’anamnesi, il quale si trovi nella
necessità di somministrare una determinata terapia antibiotica.
D’altronde, nessuna colpa è ravvisabile in capo al paziente poiché non era suo dovere né onere
trattare l’argomento riguardante le proprie allergie ai farmaci, a nulla, quindi, rilevando, l’eventuale
suo affidamento (inteso in senso atecnico) circa l’eventuale trasmissione di informazioni sulla sua
salute tra i sanitari della struttura ospedaliera. Ribadiscono i giudici che era preciso dovere del
medico rivolgere al paziente precise domande circa le eventuali allergie ai farmaci.
4. Conclusioni
In conclusione e visti i princìpi entro i quali si muove il tema della responsabilità medica in caso di
intervento terapeutico plurisoggettivo, anche suddiviso in frangenti temporali distanti tra loro, la
Suprema Corte sancisce il seguente principio di diritto, affermando che << in tema di successione
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nella posizione di garanzia, il principio di affidamento, nel caso di ripartizione degli obblighi tra più
soggetti, se da un lato implica che colui il quale si affida non possa essere automaticamente ritenuto
responsabile delle autonome condotte del soggetto cui si è affidato, dall’altro comporta anche che,
qualora l’affidante ponga in essere una condotta causalmente rilevante, la condotta colposa
dell’affidato non vale di per se’ ad escludere la responsabilità dell’affidante medesimo >>.
Dunque, il principio di affidamento, che ha la funzione di delimitare la diligenza richiesta a ciascun
sanitario, verrebbe meno nel caso in cui al medico che ha in cura in paziente in un data circostanza
temporale, sia richiesta, secondo le leggi scientifiche e le buone pratiche mediche, una diligenza
ordinaria quale quella, come nel caso di specie, che lo obbliga a richiedere espressamente al
paziente, escluso ogni affidamento sulle precedenti anamnesi effettuate in precedenza da altri
sanitari, informazioni circa la sussistenza di eventuali allergie ai farmaci che il medico stesso possa
avere intenzione di somministrare.
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