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Corriere della Sera - MILANO sezione: Cronaca di Milano - data: 2007-09-21 num: - pag: 6
autore: P.D'A. categoria: REDAZIONALE
Dibattito tra architetti, sociologi e intellettuali: basta con i no ai progetti. «Il Comune
vada avanti»
«Bovisa, Porta Nuova, metropolitane Non
fermate lo sviluppo di Milano»
Fuksas: mediare le emozioni. Daverio: paura del nuovo. Rampello: si perde
tempo prezioso
C'è una città che vuole crescere, un'altra che frena. Per ogni cantiere che parte, un comitato
nasce. Conflitto infinito, tra attori egemoni, il cui risultato è solo l'immobilismo. Intellettuali,
sociologi, architetti e storici giudicano pericolosa questa stasi. «Non si può pensare che Milano
sia solo la città della moda», dice Massimiliano Fuksas, il cui cuore batte da sempre a sinistra.
«La partecipazione va bene, l'associazionismo è il cuore della democrazia — aggiunge
l'architetto e urbanista, da Parigi, dove è stato convocato insieme ad una ristrettissima lista di
star internazionali dal presidente della Repubblica Sarkozy, determinato a ripensare la
struttura della capitale francese e i rapporti tra centro e periferia —. Ma la politica deve
mediare le emozioni. E un giorno qualcuno deve decidere. Il sindaco deve essere audace e
assumersi il rischio di andare avanti. O affronta il tema della grande Milano, su grande scala, o
ci si chiude dentro confini artificiali e allora non c'è via d'uscita allo sviluppo». L'assessore al
Territorio, Masseroli, ha ricordato che i prossimi dodici mesi sono determinanti per cambiare il
volto alla metropoli. Ci sono Citylife, la fase due del Portello, Santa Giulia, Garibaldi-Repubblica, i
metrò 4 e 5. E, poi, gli accordi di programma con Fs, Bovisa, il Pgt, il Pru Rubattino, dove sarà
trasferita la facoltà di Farmacia, Porta Vittoria. Una scommessa sul futuro della città. «Si sta
perdendo tempo prezioso — sottolinea Davide Rampello, presidente della Triennale —. Milano
vive una stagione di straordinaria trasformazione e questo porterà energie, lavoro e cambierà
il senso che si ha della città. Fermare questo processo è pericoloso. I "no" allo sviluppo
nascono da pregiudizi, stereotipi ideologici non fondati su alcuna vera e profonda motivazione
culturale». È pessimista lo storico dell'arte Philippe Daverio. «Nel Dna della metropoli c'è la
paura del nuovo. Si chiama misoneismo — spiega —. Ed è una malattia grave. Il caso milanese
è molto particolare». Sotto la Madonnina, ricorda lo storico, in Comune si riuscì a litigare 3
anni per decidere se comprare o no il Castello Sforzesco. E «3 anni ci vollero per decidere a
quale santo attribuire la chiesa in via Torino voluta da San Carlo dopo la peste, se a San Rocco
o a San Sebastiano, perché erano di diverse confraternite». Negli anni in cui fu assessore,
vennero realizzate alcune opere, dalla Bicocca di Gregotti a piazza San Babila. «Su dieci
progetti, dieci lasciarono insoddisfatto qualcuno», ricorda.
Milano perenne terreno di conflitto tra due visioni: «La resistenza al cambiamento, da parte di
chi mancando la visione del futuro preferisce restare nel presente o legato al passato —
spiega il sociologo Aldo Bonomi —, si scontra con chi ha una visione dell'uso degli spazi limitato
alla rendita, al profitto. E non è capace di convincere chi fa resistenza che il futuro che avanza
porta con sé grandi opportunità ». La città è incapace di percepire anche il cambiamento che
già c'è. Quello «della moltitudine di stranieri, di giovani, di pendolari — conclude Bonomi —.
Una migrazione che negli anni Sessanta venne assorbita e metabolizzata e che ora se non si
affronta rischia di portare alla rivolta delle moltitudini, come nelle banlieue parigine».
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