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L’ACQUA
La Terra, essendo l'unico pianeta del sistema solare a possedere un'idrosfera, è anche il solo che dispone
di condizioni ambientali compatibili con la vita. Senza l'acqua, la vita non si sarebbe sviluppata e la
stessa presenza di esseri viventi in ogni ambiente, anche nei più inospitali, sarebbe del tutto
inconcepibile.
L’acqua è infatti il principale componente degli organismi viventi, il cui corpo può contenere dal 60 al
90% di questo liquido. Solo in situazioni particolari, come nei semi secchi delle piante, scende fino al
10%, ma in questo caso le funzioni vitali sono praticamente sospese.
L’acqua, inoltre, interviene in molte reazioni importanti che si svolgono all'interno delle cellule e, in
particolare, nella fotosintesi clorofilliana che si verifica nelle piante ed è alla base del funzionamento
dell'intero geosistema.
La molecola dell'acqua
Una molecola d'acqua (H2O) è costituita da un atomo di ossigeno (O) e due atomi di idrogeno (H),
uniti mediante due legami covalenti, in cui l'ossigeno condivide con ciascuno degli atomi di
idrogeno coppie di elettroni. La struttura
della molecola, che presa globalmente è
neutra, è però tale che gli elettroni
condivisi sono maggiormente attratti
dall'ossigeno: quella dell'acqua è dunque
una molecola polare. Ciò vuol dire che
su di essa le cariche elettriche sono
distribuite in modo asimmetrico: sugli
atomi di idrogeno sono presenti deboli
cariche positive, mentre sull'atomo di
ossigeno è presente una modesta carica
negativa.
La polarità della molecola fa sì che fra le diverse
molecole d'acqua, simili a microscopiche calamite, si
stabiliscano deboli attrazioni di natura elettrica dette
legami idrogeno.
Le proprietà chimiche
La polarità della molecola rende l'acqua un
ottimo solvente per le molecole dei gas,
come l'ossigeno e l'anidride carbonica.
Composti polari, come per esempio gli
zuccheri, si sciolgono in acqua in quanto le
loro molecole formano con essa deboli legami
idrogeno. I composti ionici si sciolgono ancora
più facilmente in acqua, le cui molecole polari
attraggono gli ioni separandoli l'uno dall'altro.
E’ questo il meccanismo per cui il sale da
cucina (NaCl) si scioglie in acqua formando
ioni Na+ e Cl- Ed è per lo stesso motivo che
tutte le acque naturali, anche quelle definite
acque dolci, in realtà contengono in soluzione
piccoli quantitativi di sali.
La molecola dell’acqua ha un'altra importante proprietà:
possiede una debole tendenza a dissociarsi in uno ione
idrogeno H+ e in uno ione ossidrile OH-. Contenendo un
uguale numero di queste due specie ioniche, l'acqua pura
si dice neutra, e parimenti neutre sono tutte le sostanze
che, disciolte in acqua, non alterano la proporzione fra
H+ e OH-. È neutra, per esempio,la soluzione acquosa di
cloruro di sodio (NaCl).
Diverso è il discorso per le sostanze che, disciolte in
acqua, producono uno squilibrio fra gli ioni H+ e OH-.
Esse sono definite acidi quando producono un eccesso di
ioni idrogeno H+ e basi quando, all'opposto, determinano
un eccesso di ioni ossidrile OH-. L’acido cloridrico
(HCl), per esempio, in acqua si dissocia negli ioni H+ e Cl- aumentando la concentrazione di ioni H+
(soluzione acida).
L’idrossido di sodio (NaOH), invece, in acqua si dissocia in Na+ e OH-, aumentando la concentrazione
di ioni OH- (soluzione basica).
Le proprietà fisiche
Anche sotto l'aspetto fisico l'acqua presenta caratteristiche
particolari. Per esempio ha un calore specifico elevato, ed
è per questo che oceani, mari e laghi, scaldandosi e
raffreddandosi più lentamente rispetto alle terre emerse,
attenuano gli sbalzi di temperatura e rendono vivibili gran
parte degli ambienti.
L’acqua ha anche una bassa conducibilità termica: occorre
dunque tempo perché le variazioni di temperatura, prodotte dall'avvicendamento delle stagioni sulla
superficie degli specchi d'acqua, si facciano sentire in profondità.
Per quanto riguarda i passaggi di stato fisico,
l'acqua ha temperature di congelamento e di
ebollizione superiori rispetto a composti di
analogo peso molecolare, come per esempio
l'ammoniaca: alla pressione di l atmosfera
essa solidifica a O °C e bolle a 100°C. Per
questo motivo, la maggior patte dell'acqua
dell'idrosfera si trova allo stato liquido, e solo
quote minime sono ghiacciate o allo stato di
vapore.
Perché l'acqua passi dallo stato liquido a
quello aeriforme occorre vincere la forte
attrazione fra le molecole, fornendo loro un
elevato
calore
di
vaporizzazione.
L’evaporazione dell'acqua assorbe dunque una grande quota dell'energia solare, con il risultato di
contribuire a mantenere bassa la temperatura dell'intero pianeta.
La presenza dei legami idrogeno è responsabile
anche di un'altra particolarità dell'acqua, quella di
presentare la sua massima densità (rapporto fra
massa e volume) alla temperatura di +4 °C. Ciò
significa che se viene ulteriormente raffreddata si
dilata, ed è per questo motivo che il ghiaccio
galleggia.
Un'ultima particolarità è l'alto livello delle forze di
coesione (attrazione reciproca fra le molecole d'acqua) e di adesione (tendenza dell'acqua ad aderire alle
pareti dei recipienti). Grazie alla coesione, per esempio, l'acqua che traspira dalle foglie delle piante
trascina verso l'alto nuove molecole, permettendo la
risalita dei liquidi attraverso i vasi che percorrono
l'intera pianta, a partire dalle radici. Alla coesione si
deve anche la tensione superficiale dell'acqua, fenomeno
per cui la superficie dell'acqua si comporta come una
"pellicola elastica", sulla quale certi insetti possono
camminare.
All'adesione si deve invece il fenomeno della capillarità,
in base al quale l'acqua contenuta in vasi di piccolo
diametro si solleva verso l'alto, vincendo in parte la
forza di gravità.
L'idrosfera
L’idrosfera rappresenta l'insieme di tutte le acque presenti sulla Terra: sia quelle contenute nelle parti
depresse della superficie terrestre sotto forma di oceani, mari e laghi, sia quelle che scorrono
liberamente sul terreno (ruscellamento), o ancora quelle raccolte negli alvei dei corsi d'acqua (deflusso
superficiale).
Altra acqua si muove poi lentamente nel sottosuolo (deflusso sotterraneo), e altra ancora è trattenuta,
allo stato solido, nelle masse di neve e nei ghiacciai, oltre che nei suoli gelati delle aree a clima freddo
(permafrost).
Un piccolo quantitativo idrico occupa l'atmosfera, sia allo stato liquido Le minute goccioline che
compongono le nubi), sia allo stato aeriforme, sotto forma di vapore acqueo.
Un'ultima quota, minima in termini quantitativi, è infine trattenuta nella biosfera, cioè nel corpo di tutti
gli organismi viventi.
I serbatoi idrici
Gli scienziati stimano in circa 1400 milioni di km3 il totale d'acqua presente nell'idrosfera, ripartita fra
diversi serbatoi idrici. Il principale consiste ovviamente negli oceani e nei mari, che raccolgono oltre il
97% dell'acqua complessiva. Gli altri serbatoi raccolgono, tutti assieme, il 2,7% del totale, suddiviso fra
i ghiacciai e le calotte glaciali, le falde acquifere sotterranee, i corsi d'acqua e i laghi e l'atmosfera.
Dal punto di vista delle esigenze umane, e più in generale della flora e della fauna terrestri, quella che
più interessa è l'acqua dolce. Il suo quantitativo supera di poco il 2% dell'idrosfera, in quanto una parte
delle acque continentali, come i laghi salati e alcune falde acquifere, ha un contenuto eccessivo di sali ed
è dunque inutilizzabile.
Come accade per una fontana, che continuamente riceve nuova acqua e altrettanta ne perde, tutti i
serbatoi idrici si trovano in uno stato di equilibrio dinamico. Ciò significa che essi ricevono continui
apporti da altri serbatoi e in misura analoga subiscono perdite.
Il continuo passaggio da un serbatoio all'altro viene definito come ciclo dell'acqua o ciclo idrologico.
Il ciclo idrologico
Mosso dall'energia solare per la sua parte ascendente, e dalla forza di gravità per quella discendente, il
ciclo idrologico risulta suddiviso in cinque fasi:
1. Evaporazione. Questo processo, che assorbe molta energia solare (circa 600 calorie per
grammo d'acqua), consiste nel passaggio dell'acqua dallo stato liquido a quello di vapore. Ne
sono interessati gli oceani, i laghi, i fiumi e l'umidità che impregna il terreno. Un processo
simile, anche se molto più ridotto dal punto di vista quantitativo, è la traspirazione, cioè la
fuoruscita di umidità dalle foglie delle piante e dal corpo degli animali. In termini quantitativi,
l'evapotraspirazione solleva circa 500 mila km3 d'acqua all'anno, di cui il 90% proviene dagli
oceani e il 10% dai continenti.
2. Condensazione. È il ritorno dell'acqua allo stato liquido. La condensazione si verifica quando il
vapore si raffredda, dando origine alle minuscole goccioline che compongono le nubi.
3. Precipitazione. Consiste nella ricaduta dell'acqua delle nubi, principalmente in forma liquida
(pioggia), ma in parte anche sotto forma di neve, grandine, nebbia e rugiada.
Approssimativamente, 1'80% delle precipitazioni cade in mare, mentre il 20% scende sui
continenti.
4. Infiltrazione. Il termine infiltrazione comprende sia l'acqua che penetra nel sottosuolo, andando
ad alimentare le falde acquifere o i sistemi di circolazione carsica, sia quella parte dell'acqua
piovana che bagna i suoli e viene rapidamente assorbita dalle radici delle piante.
5. Deflusso. Consiste nella discesa verso il mare dell'acqua caduta sulle aree continentali. In parte
il deflusso si svolge sulla superficie della litosfera (deflusso superficiale), attraverso i corsi
d'acqua; in parte rimane temporaneamente sul continente sotto forma di neve e ghiaccio o
occupando i bacini lacustri, mentre la porzione che si infiltra nel sottosuolo si muove molto
lentamente verso il mare (deflusso sotterraneo).
La salinità
L’acqua dei mari e degli oceani differisce da quella presente sui continenti per il suo elevato contenuto
di sali in soluzione. Questa salinità è frutto del continuo apporto dell'acqua dolce dei fiumi, che avendo
dilavato rocce e terreni possiede un minimo contenuto salino.
In termini quantitativi, la salinità vale in media 35 grammi per litro, pari a una concentrazione del 35% 0
Non è tuttavia costante nei diversi bacini, potendo anche superare il 37%0 nei mari tropicali,
caratterizzati da temperature elevate, notevole evaporazione e da un modesto apporto di acque fluviali.
La salinità è invece minore all'equatore (circa 34%0), dove aumenta la piovosità e cresce l'apporto dei
corsi d'acqua. Il contenuto salino nei mari freddi, per esempio il Baltico (meno del 5% 0), è
particolarmente basso a causa della minima evaporazione e del ridotto potere di solubilità dell'acqua.
Nell'acqua di mare sono disciolti, in proporzioni variabili, quasi tutti gli elementi chimici. Gli ioni
maggiormente presenti sono, in ordine decrescente: Cl-, Na+,SO4--,Mg++, Ca++, K+
Dalla loro combinazione si formano Sali il più abbondante dei quali è il cloruro di sodio, che da solo
rappresenta i tre quarti del sale marino.
I gas disciolti
Nell'acqua di mare sono disciolte anche grandi quantità di gas, soprattutto azoto, ossigeno e anidride
carbonica. La loro presenza è garantita dal moto ondoso, che scioglie in continuazione piccole dosi
d'aria, ma dipende anche dall'attività delle forme di vita acquatiche, che attraverso la fotosintesi e la
respirazione influiscono sulla concentrazione di ossigeno e di anidride carbonica.
La presenza di gas nelle acque oceaniche, e in particolare dell'anidride carbonica, comporta grandi
implicazioni di tipo ambientale. La CO2 infatti, si scioglie bene nell'acqua di mare, al punto che gli
oceani hanno assorbito, negli ultimi due secoli, circa metà di quella prodotta dalle attività umane. Se ciò
non fosse accaduto, l'attuale concentrazione atmosferica sarebbe superiore e la Terra subirebbe un
effetto serra più elevato di quello, già preoccupante, che si registra ai nostri giorni.
La quantità di gas disciolti varia con la temperatura dell'acqua: aumenta nelle acque fredde e si riduce in
quelle calde. Di conseguenza, se i mari dovessero riscaldarsi per effetto degli attuali cambiamenti
climatici, potrebbero liberare altra anidride carbonica, innescando un circolo vizioso che porterebbe a un
sempre maggiore effetto serra.
Densità, temperatura e trasparenza
Contenendo sali disciolti, l'acqua di mare ha una densità di circa 1,03 kg/l, un valore superiore rispetto
all'acqua dolce (1,00 kg/l) e comunque variabile in funzione della salinità.
La densità varia anche con la temperatura: l'acqua fredda, infatti, è più densa di quella calda, e ciò
determina una stratificazione dell'acqua di mare, con quella fredda che si mantiene sotto l'acqua calda.
La temperatura superficiale dipende principalmente dalla latitudine: si attesta in media sui 27 °C nella
fascia tropicale, per scendere nelle zone polari fino a -2 °C, senza per questo congelare l'acqua (la
salinità abbassa la temperatura di solidificazione). Poiché il riscaldamento dell'acqua avviene dall'alto,
per opera dei raggi solari, al crescere della profondità si registra una diminuzione della temperatura.
Tale riduzione non è tuttavia costante e ciò consente di identificare tre diversi strati, ognuno dei quali
presenta particolari ritmi di decremento termico.
Lo strato superficiale, profondo qualche centinaio di metri, risente delle differenze di riscaldamento in
relazione alla latitudine e alla stagione: qui la temperatura decresce lentamente, senza però raggiungere
valori molto bassi, per effetto del continuo rimescolamento operato dal moto ondoso e dalle correnti.
Nello strato di transizione, chiamato termoc1ino, la temperatura subisce un brusco calo, mentre nello
strato profondo, oltre gli 800-1000 m, l'acqua si stabilizza su valori prossimi allo zero, anche se in un
mare chiuso come il Mediterraneo non scende sotto i 13 °C.
Un ulteriore aspetto fisico dell'acqua di mare, particolarmente importante per la distribuzione delle
forme di vita, è la trasparenza, ossia la capacità di consentire la penetrazione in profondità della
radiazione solare. Essa dipende dal grado di purezza dell'acqua, essendo massima in mare aperto, dove è
assente la torbidità portata dai corsi d'acqua. Al largo, inoltre, vi è scarsità di sostanze nutritive, quindi
scarseggia anche il plancton, la cui eccessiva presenza rende l'acqua meno limpida.
Per quanto riguarda il colore delle acque marine, esso può variare in misura sensibile, sia per effetto
della riflessione del cielo, sereno oppure nuvoloso, sia per la presenza di materiale in sospensione, di
plancton e di sostanze inquinanti.
I movimenti delle acque marine
Fra i movimenti del mare, tre sono quelli principali: il moto ondoso, le correnti e le maree. Il primo è
irregolare, visto che manca di una qualsiasi periodicità; le correnti, per lo meno quelle che interessano i
grandi circuiti oceanici, si considerano moti costanti; le maree, infine, sono moti periodici, in quanto
si susseguono secondo cicli regolari.
Il moto ondoso
La superficie marina è perennemente interessata dal moto ondoso, provocato dalla pressione del vento
sulla superficie dell'acqua. È sufficiente una brezza di pochi chilometri orari per causare leggere
increspature e muovere le onde nella direzione in cui spira. Finché le onde vengono spinte dal vento si
parla di onde forzate, ma appena questo cessa, le oscillazioni continuano per inerzia sotto forma di onde
libere.
Indipendentemente dal tipo, quelle di mare aperto sono onde di oscillazione, che sollevano e abbassano i
corpi galleggianti e non ne provocano l'avanzamento. Al passaggio di queste onde, infatti, le particelle
d'acqua che si trovano in superficie compiono grandi traiettorie circolari; quelle più profonde si
comportano allo stesso modo, ma il diametro delle traiettorie diviene progressivamente minore. Sotto
una certa profondità, proporzionale all'altezza dell'onda, l'acqua del mare risulta praticamente immobile.
In presenza di forti venti, le creste delle onde possono però rovesciarsi in avanti sotto forma di frangenti
di mare aperto, riconoscibili per la loro schiuma bianca. In questi casi il moto non è più soltanto
oscillatorio, ma assume una componente traslatoria che sposta in senso orizzontale l'acqua e gli oggetti
galleggianti.
Un fenomeno analogo si ha quando l’onda si avvicina a
una costa bassa e risente della presenza del fondale: se la
profondità dell'acqua è modesta, la traiettoria delle
particelle diviene ellittica, poiché la base dell'onda
subisce l'attrito del fondale. Le onde rallentano,
diventano più frequenti e si sollevano fino a ribaltarsi in
avanti come frangenti di spiaggia, che si rovesciano sulla
battigia: l'acqua risale brevemente la spiaggia (flusso
montante), quindi ridiscende verso il mare mescolandosi
con ronda successiva (risacca).
Quando le onde si avvicinano alla costa tendono ad allinearsi parallelamente ad essa (questo fenomeno è
conosciuto come la rifrazione delle onde).
Le correnti
Le correnti sono masse d'acqua, omogenee per temperatura e salinità, che si spostano rispetto all'acqua
circostante. Le più conosciute sono le correnti superfìciali, che interessano i primi 100-200 m di
profondità e si spostano lentamente, sotto la spinta dei venti. Poiché sugli oceani esistono ampie fasce di
venti che soffiano perennemente nella stessa direzione, anche le correnti superficiali tendono a essere
regolari: dunque, grandi correnti calde si spostano lentamente (1-2 rn/s) verso le aree circumpolari, dalle
quali torna verso i tropici un flusso d'acqua fredda (correnti fredde).
Per comprendere il meccanismo che sta alla base delle correnti superficiali, osserviamo quanto accade al
centro dell'oceano Atlantico. Al largo dell'Africa spirano, da entrambi i tropici verso l'equatore, i venti
alisei, che spingono grandi masse d'acqua in direzione dell'America. Giunto a ridosso delle sue coste, il
ramo settentrionale di questa corrente nord-equatoriale penetra nel golfo del Messico e poi ne esce
attraverso lo stretto che separa la Florida da Cuba. Qui ha inizio la calda corrente del Golfo che
attraversa diagonalmente l'Atlantico settentrionale e va a lambire le coste dell'Europa settentrionale, su
cui esercita un positivo effetto climatico. Sul lato opposto dell'oceano si registra un flusso contrario, di
acqua fredda che scende verso sud (corrente del Labrador), per effetto del quale le regioni costiere degli
Stati Uniti hanno temperature più rigide rispetto alle località europee
situate alla stessa latitudine. Per esempio, a Lisbona la temperatura media di gennaio supera di 6 °C
quella di New York.
Gli oceani sono interessati anche da correnti profonde, originate da differenze di densità dell'acqua. Più
precisamente, i mari delle regioni artiche e antartiche sono ghiacciati in superficie, ma al di sotto l'acqua
si mantiene prossima ai +4 °C, temperatura a cui la densità è massima. L’acqua tende a scendere fino a
quando, giunta sul fondo, incomincia a scivolare lentamente verso l'equatore, sostituendo l'acqua calda
che si porta in superficie.
Le correnti ascensionali (el Nino)
I venti costanti producono anche correnti ascensionali. Per esempio allargo del Perù, dove gli alisei
sospingono le acque calde superficiali in direzione dell'Asia, si verifica la risalita di grandi masse
d'acqua profonda, relativamente fredda.
Oltre a influire sul clima, questa corrente esercita importanti conseguenze sulla fauna marina: infatti,
portando in superficie grandi quantità di sostanze nutrienti, determina una proliferazione del plancton e
dei pesci che se ne nutrono. Per questo motivo le acque costiere del Perù sono particolarmente pescose.
Questa porzione dell'oceano Pacifico è anche interessata, ogni 6-7 anni, da un fenomeno ancora poco
noto ma che esercita notevoli influenze sul clima del pianeta: el Nino (cioè "il bambinello", con
riferimento al periodo di Natale, quando solitamente esso raggiunge il suo culmine).
Il fenomeno nasce da un indebolimento
degli alisei, che per alcuni mesi non
riescono a spostare verso ovest le acque
calde superficiali, tanto da impedire la
risalita di quelle fredde e profonde.
L’effetto più immediato è il forte calo
della
pescosità,
che
pregiudica
l'economia delle zone costiere. Tuttavia
el Nino è anche alla base di
sconvolgimenti
climatici
e
meteorologici di portata mondiale:
infatti l'aumento della temperatura
dell'oceano provoca un forte incremento
dell'evaporazione. La grande massa
d'aria calda e umida che si solleva, entra
nella
circolazione
generale
dell'atmosfera sconvolgendo il regime
delle piogge, al punto da provocare
precipitazioni torrenziali e alluvioni in
zone solitamente secche, aridità in aree
normalmente piovose.
Le maree
Le maree sono ritmiche variazioni del livello del mare
provocate da una causa astronomica, l'attrazione
gravitazionale della Luna (e in misura molto più ridotta del
Sole): esse vengono influenzate anche dalla rotazione del
sistema terra-luna e dalla morfologia dei bacini marini.
La loro ciclicità non è esattamente diurna, bensì legata al
cosiddetto giorno di marea, della durata di circa 24 h 50', pari
all'intervallo fra due successive culminazioni della Luna. In
questo lasso di tempo, si verificano due fasi di innalzamento
del livello marino, cioè di alta marea, alternate a due fasi di
abbassamento, cioè di bassa marea.
L’ampiezza delle maree varia in relazione al tipo di mare, alla
sua profondità e al profilo costiero: si limita a pochi decimetri
al centro dei bacini oceanici e nei mari mediterranei, mentre i
massimi di ampiezza si hanno lungo le coste oceaniche. Per
esempio nella Manica essa supera i 10 m e nella baia di
Fundy, lungo la costa atlantica del Canada, sfiora il record di
20 m.
L’ampiezza di marea varia anche con la posizione reciproca di Terra, Luna e Sole, quindi con le fasi
lunari. Quando i tre corpi sono allineati, durante le fasi di Luna piena e di Luna nuova, all'attrazione
gravitazionale della Luna si somma quella più modesta del Sole (maree vive): questo, infatti, pur dotato
di una massa infinitamente superiore rispetto alla Luna, è anche molto più lontano. Quando il Sole e la
Luna sono disposti a 90°(primo quarto e ultimo quarto), l'attrazione della Luna viene smorzata da quella
del Sole, per cui la marea presenta un'ampiezza minore (maree morte).
Quando attraversa stretti o foci di grandi fiumi la
marea entrante può assumere la forma di una vera e
propria onda di marea.
L'azione morfologica del mare
Tra i movimenti del mare le onde sono i principali agenti che modellano e modificano le linee di costa,
operando di volta in volta erosione, trasporto o deposito dei detriti. Il risultato di questa azione può
essere un arretramento della linea di costa, quando prevale l'azione distruttiva, oppure un avanzamento
della stessa, quando prevalgono gli effetti costruttivi.
In base alla morfologia, si possono distinguere le coste in due tipi fondamentali: coste alte e coste basse,
differenziate a seconda della presenza o meno di rilievi in prossimità del litorale (le prime sono
generalmente rocciose, le seconde ciottolose, sabbiose o limose).
Il modellamento delle coste alte
L’azione erosiva del mare, definita abrasione marina, è
soprattutto frutto delle onde, che modellano in particolar
modo le coste alte e rocciose. L’abrasione è agevolata dalla
degradazione meccanica delle rocce o dalla loro alterazione
chimica.
L’azione delle onde, di per sé considerevole, aumenta poi per
l'abrasione svolta da sabbia e ciottoli scagliati con forza
contro gli scogli.
L’incessante azione del moto ondoso su una costa rocciosa dà
origine a una parete ripida o strapiombante (falesia),
progressivamente scalzata alla base e quindi soggetta a
frequenti crolli (arretramento della falesia) .
Il mare livella il materiale franato alla base, dove si forma una
piattaforma di abrasione; se il livello del mare non sale, essa
protegge la falesia da un ulteriore arretramento (falesia morta).
Ma, in seguito a variazioni del livello marino, le piattaforme di
abrasione possono sprofondare oppure emergere, dando luogo a
terrazzi marini.
L’azione dei frangenti opera in modo selettivo,
in relazione alla consistenza delle rocce: si
possono formare così delle grotte, che
ampliandosi danno origine ad archi naturali;
con il tempo, questi possono venire isolati
dalla terraferma, trasformandosi in faraglioni o
anche in semplici scogli.
Il modellamento delle coste basse
Giungendo alla loro foce, i fiumi abbandonano grandi quantità di sedimenti, sotto forma di ghiaie,
sabbie e limi. Questi materiali vengono a loro volta erosi, trasportati e ri-depositati dalle correnti
litoranee, che li distribuiscono lungo la costa. All'azione delle correnti si sovrappone poi quella del moto
ondoso, che a sua volta contribuisce a modificare le forme delle coste basse .
Spesso a breve distanza dalla costa si formano
cordoni litoranei sommersi, che progressivamente
emergono fino a costituire dei lidi. Vedi Poetto di
Cagliari.
Talvolta capita che i lidi si protendano da un promontorio verso un'isola prossima alla costa (tomboli),
con il risultato di collegarla alla terraferma: se i tomboli sono più d'uno si possono formare lagune
costiere, come quella assai famosa di Orbetello.
Quando le onde incidono obliquamente sulle
coste sabbiose, l’alternarsi di flutto montante e
di risacca causa un movimento a zig zag delle
particelle di sedimento che costituiscono la
spiaggia, chiamato movimento a dente di sega,
dando luogo al cosiddetto trasporto litoraneo.
Questo movimento naturale della sabbia può
provocare dei problemi di stabilità della
spiaggia stessa, (se l'asporto di sabbia è
maggiore dell'apporto) e quindi spesso si tenta di rallentare il fenomeno con vari accorgimenti come
le barriere frangiflutti (strutture semisommerse parallele alla costa che possono diminuire l'impeto
del moto ondoso) e i pennelli (brevi argini perpendicolari alla costa che interrompono così il
trasporto litoraneo).
Le Acque Continentali
Il deflusso superficiale
L’acqua che cade al suolo attraverso le precipitazioni può subire
diversi destini: ritornare direttamente nell'atmosfera per
evaporazione, essere assorbita dalle radici delle piante,
infiltrarsi nel
sottosuolo oppure scorrere verso il mare come deflusso
superficiale.
Inizialmente questo avviene in forma diffusa (rusce1lamento),
ma ben presto l'acqua si incanala in minuscoli solchi che, a poco
a poco, confluiscono in alvei (o letti) sempre più ampi, fino a
formare corsi d'acqua.
Questo termine indica un qualsiasi
flusso idrico che percorre un alveo
ben definito, a prescindere dalle sue
dimensioni.
Volendo
invece
distinguere i corsi d'acqua sulla base
delle dimensioni e della regolarità
del flusso idrico, si adottano
denominazioni quali rivi, ruscelli,
torrenti e fiumi.
I bacini idrografici
Ogni corso d'acqua è alimentato dalle acque che cadono su un determinato territorio, detto bacino
idrografico, delimitato da una linea ideale chiamata spartiacque. Poiché ogni fiume è composto di
più rami che confluiscono l'uno nell'altro, il bacino idrografico corrisponde all'insieme dei bacini di
ciascun affluente. Quello del Po, per esempio, è formato dalla somma dei bacini del Ticino,
dell'Adda, del Serio ecc.
Generalmente le terre emerse appaiono suddivise in bacini idrografici: ciascuno di essi convoglia
le proprie acque verso un fiume, che poi le riversa in mare. Un territorio di questo tipo si definisce
esoreico (da ex, "fuori", e réos, "scorrimento"). Esistono però anche zone endoreiche i cui corsi
d'acqua confluiscono in bacini interni, dai quali si perdono per evaporazione o per infiltrazione nel
sottosuolo. Per esempio il fiume Giordano, in Palestina, confluisce nella depressione del mar Morto,
priva di emissario. Esiste anche un terzo tipo di territorio, detto areico, nel quale manca un
reticolato idrografico perenne a causa dell'eccessiva aridità climatica. Questa situazione riguarda, in
pratica, tutti i deserti del mondo.
Le caratteristiche dei corsi d'acqua
I corsi d'acqua si differenziano soprattutto in relazione alle proprie caratteristiche geometriche, quali
la lunghezza, la larghezza e la pendenza.
La lunghezza dipende principalmente dalla morfologia del territorio attraversato dal fiume: se è
tabulare (cioè piatto), le acque devono percorrere un lungo tratto prima di sfociare in mare; al
contrario, se i rilievi da cui il corso d'acqua nasce sono prossimi al mare, la lunghezza risulta
ridotta.
Anche la pendenza dipende dallo stesso fattore: i fiumi lunghi hanno pendenza modesta, mentre
quelli brevi sono di solito ripidi. Per esempio i torrenti della Liguria si abbassano di decine di metri
al chilometro, mentre i fiumi di zone tabulari, come il Rio delle Amazzoni, scendono solo di pochi
centimetri ogni chilometro.
La larghezza di un corso d'acqua dipende dalla quantità d'acqua trasportata, anche se non dobbiamo
trascurare la consistenza dei terreni su cui scorre. Se l'alveo è sabbioso, il fiume può allargarsi
molto più che non in presenza di terreno consistente, in cui generalmente si scava un alveo
incassato.
La velocità della corrente è un elemento importante, perché influisce sulla forza erosiva del fiume e
sulla sua capacità di trasportare materiale in sospensione. Essa dipende dalla pendenza, ma anche
dalla forma dell'alveo, dalla sua dimensione e dalla scabrosità.I valori massimi si raggiungono al
centro della corrente, i minimi verso il fondo e lateralmente; in corrispondenza di un'ansa del fiume,
la velocità massima si ha sul lato esterno della curva, quella minima all'interno.
Portate e regimi fluviali
Un'altra caratteristica dei corsi d'acqua è la portata, cioè la
quantità d'acqua che in un secondo transita in un
determinato tratto del corso. Oltre a variare da un luogo
all'altro, la portata cambia su base stagionale, in
relazione al maggiore o minore afflusso d'acqua che
deriva dalle precipitazioni. Generalmente per ogni fiume
si definisce la portata media alla foce, espressa in metri
cubi al secondo, ma è anche importante conoscere la
portata minima dei suoi periodi di magra e la portata
massima dei giorni di piena.
Il modo in cui varia la portata nel corso dell'anno viene definito regime. Sulla base di questo
parametro possiamo distinguere i corsi d'acqua in torrenti, contraddistinti. da un regime irregolare, e
in fiumi, nei quali la portata varia entro limiti non eccessivi. Quando il corso d'acqua si presenta in
secca per gran parte dell'armo, ma in brevi periodi conosce portate eccezionali, si parla di fiumara.
Tali sono, per esempio, molti corsi d'acqua dell'Italia meridionale, che nei mesi invernali possono
dar luogo a impetuose alluvioni.
Ancora più singolare è la situazione degli uadi, corsi d'acqua tipici dei territori aridi, che si
presentano permanentemente in secca, tranne che nei brevissimi periodi di pioggia.
Le caratteristiche dei laghi
I laghi sono masse d'acqua che occupano porzioni concave della superficie terrestre e non sono in
diretta comunicazione con il mare. Le loro dimensioni sono assai varie: possono essere considerati
laghi dei piccoli bacini di pochi ettari, ma anche vaste distese d'acqua di centinaia di migliaia di
chilometri quadrati.
Per esempio il Caspio, che per le dimensioni e la salinità viene denominato mare, è il lago più vasto
della Terra e si estende su una superficie maggiore dell'Italia. Analogo il discorso per quanto
riguarda la profondità: vi sono laghi profondi uno o due metri, ma alcuni raggiungono profondità
degne di un mare: il Bajkal, in Siberia, supera i 1600 m ed è cosi vasto da formare la maggiore
riserva d'acqua dolce della Terra.
La maggior parte dei laghi è alimentata da uno o più immissari, cioè fiumi o torrenti che riversano
la loro acqua nel bacino.
Talvolta, sia pure di rado, l’immissario può mancare, in tal caso il lago viene alimentato
direttamente dalla pioggia o da acque sotterranee.
Anche l’emissario, il corso d’acqua che esce da un lago, può a volte mancare, perché il bacino
occupa una depressione o a causa di un’eccessiva aridità climatica. In questi casi le acque
fuoriescono per via sotterranea, oppure per evaporazione.
I laghi privi di emissario hanno quasi sempre acque salmastre oppure salate, poiché i sali che
vengono convogliati dall’immissario, non potendo evaporare assieme all’acqua, si concentrano
sempre più nel bacino. Esempi di laghi salati sono il mar Caspio, alcuni bacini endoreici dell’Africa
(lago Ciad), dell’America (Great Salt Lake) e il mar Morto, in Palestina. La sua salinità rappresenta
un record: ben 275 g di sale per ogni litro di acqua.
L’evoluzione dei laghi
I laghi sono elementi transitori del
paesaggio, in quanto la loro sopravvivenza
si deve al mantenimento di un delicato
equilibrio fra l’acqua che entra e quella che
esce dal bacino. Se diminuisce la prima, a
causa di effetti climatici o per l’eccessivo
prelievo da parte dell’uomo, il livello del
lago diminuisce. In tal caso può anche
accadere che il lago si prosciughi
completamente, lasciando al suo posto una
conca asciutta. Ma può anche accadere che
i sedimenti convogliati dagli immissari
finiscano per colmare interamente il
bacino, riducendolo prima a uno stagno,
poi a una palude, poco profonda e invasa
dalle piante acquatiche. Stadio finale di un
lago che muore è la torbiera, dominata dai
resti vegetali, che accumulandosi sul fondo
finiscono per prosciugare il lago
e trasformarlo in una pianura.
La classificazione dei laghi si basa principalmente sull'origine della depressione che li ospita.
Le principali categorie sono dunque le seguenti.
 Laghi glaciali. Si distinguono in laghi di circo, che riempiono piccole conche circolari
scavate dai ghiacciai d'alta montagna, e in laghi vallivi, che
occupano il fondo di vallate modellate e scavate dai ghiacciai in
occasione delle glaciazioni. Questi ultimi sono anche definiti
morenici quando la conca lacustre è sbarrata da morene, cioè da
detriti di origine glaciale. Sono laghi di circo gran parte dei
minuscoli laghetti dell'arco alpino, situati a quote superiori ai
2000 metri. Fra quelli vallivi vi sono invece i grandi laghi
prealpini, quali il Garda, il Maggiore e il lago di Como, e i
grandi laghi della Svizzera, sull'altro versante delle Alpi
 Laghi tettonici. Occupano depressioni della crosta terrestre formatesi in seguito ad azione
tettonica. Qualche volta (laghi relitti) si tratta di antichi bracci di mare, isolati per effetto del
sollevamento di catene montuose: è il caso del mar Caspio e del lago d'Arai, in Asia. Più
spesso questi laghi occupano fosse tettoniche, come la Grande Rift Valley dell'Africa
orientale (laghi Tanganica, Malawi, Niassa) o la depressione del mar Morto.
 Laghi vulcanici. I fenomeni vulcanici possono dar luogo a diverse tipologie di laghi. Quelli
craterici si formano per raccolta di acque
meteoriche nel cratere di un vulcano
estinto o quiescente. I laghi di caldera,
invece, occupano ampie conche circolari
derivanti dal collasso di un edifico
vulcanico al termine della sua attività:
appartengono a queste due categorie i
laghi laziali di Albano, Nemi, Vico,
Bolsena e Bracciano. I laghi di
sbarramento lavico sono generati
dall'interruzione di un corso d'acqua a
opera di una colata lavica.
 Laghi carsici. Sono laghi di piccole
dimensioni che occupano cavità di origine
carsica, rese impermeabili sul fondo dalla
presenza di caratteristiche terre rosse.
 Laghi costieri. Si formano lungo
alcuni tratti di costa, quando
l'azione del mare forma cordoni di
dune litoranee: queste delimitano
insenature o impediscono a corsi
d'acqua di sfociare liberamente in
mare. Nascono in tal caso lagune salmastre o veri e propri laghi costieri, generalmente poco
profondi e di forma allungata. Ricordiamo, per limitarci all'Italia, la laguna di Orbetello, in
Toscana, e i laghi di Lesina e di Varano, a nord del
Gargano.
 Laghi di sbarramento. È una definizione molto
generica, perché quasi tutti i laghi derivano dallo
sbarramento di un corso d'acqua. Abbiamo già ricordato
lo sbarramento morenico e quello lavico; aggiungiamo i
laghi di frana, come il lago di Molveno, in Trentino, e
quelli di sbarramento alluvionale. In questo caso il
normale deflusso di un corso d'acqua viene interrotto dai
detriti depositati da un torrente che scende da una valle
laterale (lago di Caldonazzo, in Trentino). Nei laghi di sbarramento glaciale il blocco della
vallata viene operato da una lingua di ghiaccio. Tuttavia i laghi di sbarramento per
eccellenza sono rappresentati dai laghi artificiali, prodotti dall'uomo con l'ausilio di dighe.
Le acque sotterranee
Gli acquiferi
Nell'ambito del ciclo idrologico, le acque sotterranee rappresentano una delle più consistenti riserve
d'acqua dolce: circa il 25% del totale, pari a oltre 10 milioni di km3 . Esse derivano dalle precipitazioni,
la cui acqua scorre in superficie finché non trova una superficie permeabile, attraverso la quale si infiltra
nel sottosuolo, alimentando il deflusso sotterraneo.
Il sottosuolo non contiene spazi vuoti, ma è composto di rocce più o meno compatte, oppure di terreni
alluvionali in cui si alternano livelli sabbiosi,
ghiaiosi e argillosi. Se questi mezzi rocciosi
contengono acqua, e ne permettono il lento
scorrimento verso il mare, possiamo parlare
di acquiferi.
Le rocce e i terreni che fungono da acquiferi
sono necessariamente porosi, dotati cioè di
interstizi. Ma ciò ancora non basta, in quanto
i pori devono essere sufficientemente larghi e
soprattutto
intercomunicanti, così da
consentire il passaggio delle particelle
d'acqua. In tal caso abbiamo a che fare con
rocce o terreni permeabili. Le argille, per
esempio, sono molto porose, ma non
lasciandosi
attraversare dall'acqua sono
anche impermeabili.
Le falde acquifere
La quantità d'acqua che penetra nel sottosuolo varia in relazione alla copertura vegetale del terreno, alla
pendenza del versante e alla permeabilità delle rocce. Una frazione dell'acqua che si infiltra resta nei
livelli superficiali sotto forma di umidità: parte di essa finirà poi per evaporare, mentre la quota restante
verrà assorbita dalle radici delle piante.
La parte più consistente dell'acqua di
infiltrazione penetra nel sottosuolo finché non
incontra uno strato impermeabile, spesso
rappresentato da un semplice livello di argilla.
Lo strato di sabbia e di ghiaia che sovrasta un
livello impermeabile, se imbevuto d'acqua,
prende il nome di falda acquifera. Nelle
pianure alluvionali le falde sono solitamente
più d'una, sovrapposte le une alle altre: in
questo caso quella più superficiale, la prima
che si incontra quando si scava un pozzo alla
ricerca di acqua, è detta falda freatica.
Talvolta una falda risulta delimitata anche superiormente da uno strato impermeabile: l'acqua
"imprigionata" in questo modo, detta falda artesiana, può trovarsi sotto pressione e quindi, se lo strato
superiore si interrompe (o
viene perforato da un
pozzo), tende a risalire,
talvolta fino alla superficie
del terreno.
Un fenomeno che interessa
la maggior parte delle
pianure alluvionali è quello
delle risorgive, consistenti
nell'affioramento spontaneo
della falda freatica lungo la fascia delle risorgive, ai piedi dell'alta pianura.
Nella bassa pianura, infatti., prevalgono i materiali fini (sabbie, limi e argille), relativamente
impermeabili, che impediscono alle acque di continuare il loro percorso sotterraneo.
Le sorgenti
Qualche volta l'acqua penetra a grande
profondità e non riemerge per lunghe
ere geologiche. Nella maggior parte
dei casi, tuttavia, le acque sotterranee
confluiscono direttamente in mare
oppure riescono a riemergere, dando
origine alle sorgenti. Ciò accade
quando la superficie del terreno taglia
e fa emergere una falda freatica, in
corrispondenza
di
faglie
che
interrompono la continuità di masse
rocciose impregnate d'acqua o in altre
situazioni ancora.
Talvolta le acque sotterranee vengono
riscaldate dal normale gradiente
termico o dalla vicinanza con masse
magmatiche. Quando riemergono hanno pertanto una temperatura maggiore rispetto a quella dell'aria
circostante: in tal caso si parla di sorgenti termali. Le loro acque, avendo un elevato potere
solvente nei confronti delle rocce, possono presentarsi arricchite in sali minerali (sorgenti minerali).
Acque termali e acque minerali trovano largo impiego nell’industria termale, dove svolgono la loro
opera nel campo curativo, e nell’industria delle acque che, imbottigliate, vengono commercializzate a
fini potabili.
Il carsismo
Le acque piovane che cadono su rocce solubili tendono a penetrare nelle fessure, allargandole fino a
formare cavità sotterranee più o meno estese: questo fenomeno dà luogo a una situazione geologica
particolare, caratterizzata dalla quasi totale assenza di reticolato idrografico superficiale, a cui si
contrappone una circolazione sotterranea estremamente ricca e veloce. L’acqua si muove in vere e
proprie cavità e non si limita a impregnare interstizi, come accade nelle normali falde acquifere. Quando
le rocce interessate da questa particolare circolazione idrica sotterranea sono calcari, si parla di
fenomeno carsico, o più semplicemente di carsismo.
L’acqua ha uno scarso potere
solvente nei confronti delle rocce,
ma quella piovana, ricca di
anidride carbonica, è debolmente
acida per la presenza dello ione
bicarbonato. Quando penetra
nelle fessure delle rocce calcaree,
essa scioglie il calcare e si spinge
in profondità: così facendo
allarga sempre più le fessure ed
esercita quindi un’intensa azione
erosiva.
Se la roccia calcarea è impura per
la presenza di minerali argillosi,
dopo
la
dissoluzione
del
carbonato di calcio rimane sul
posto un materiale residuale
argilloso, detto terra rossa nelle
regioni temperate e bauxite in
quelle tropicali.
La reazione di dissoluzione dei calcari è reversibile: ciò significa che quando l’acqua contenente lo ione
bicarbonato si trova in un ambiente povero di anidride carbonica, questa può liberarsi in forma gassosa,
facendo precipitare il carbonato di calcio. Ciò avviene nel sottosuolo, all’interno delle grotte, o in
superficie nei pressi di cascate, dove gli schizzi d’acqua depositano calcare sotto forma di travertino.
I ghiacciai
La distribuzione dei ghiacciai
Nelle zone polari e alle maggiori altitudini si trovano grandi masse di ghiaccio, che ricoprono circa il
10% delle terre emerse e vaste aree marine, fra cui l'intera calotta artica. Complessivamente, i ghiacciai
raccolgono il 2 % dell'idrosfera: circa 25 milioni di km3, pari a quasi il 70% delle acque dolci.
I ghiacciai si formano a quote superiori al limite delle nevi persistenti, dove non tutta la neve caduta nel
periodo invernale arriva a fondere prima dell'accumulo della successiva stagione fredda. Questo limite
varia in ragione dell'esposizione ai raggi del sole, della quantità di precipitazioni nevose e soprattutto
della latitudine. Sulle Alpi, per esempio, esso si colloca fra i 2400 m dei versanti esposti a nord e i 3200
m di quelli che guardano a sud. All'equatore sale a 4500 m di quota e ai tropici, dove le precipitazioni
sono inferiori, sfiora i 6000 m. Nelle regioni polari, invece, si ferma a poche centinaia di metri d'altezza
o addirittura scende al livello del mare, come accade lungo le coste dell'Antartide.
Il bilancio di massa
Il ghiaccio deriva dalla progressiva ricristallizzazione della neve, prodotta sia dalla ripetuta azione del
gelo e del disgelo, sia dalla pressione dei nuovi strati nevosi che via via si accumulano.
I fiocchi di neve, infatti, inizialmente sono molto leggeri, perché ricchi d'aria, ma quando vengono
ricoperti da altri strati nevosi si comprimono fino a diventare granuli di ghiaccio, che con il tempo
fondono in un'unica massa compatta.
L’accumulo di neve che avviene nella parte superiore del ghiacciaio, detta bacino di alimentazione,
viene compensato dalla fusione del ghiaccio nel bacino di ablazione, il cui limite inferiore forma la
fronte glaciale. Se questa compensazione è esatta, e dunque il bilancio di massa rimane in equilibrio, il
ghiacciaio mantiene le proprie dimensioni. In caso contrario esso può crescere, come accade quando il
clima diventa più rigido, oppure ridursi, ritirandosi a quote sempre più elevate, in presenza di un
riscaldamento climatico.
Ai nostri giorni, dato che le temperature medie del pianeta stanno crescendo, i ghiacciai di tutto il
mondo si stanno rapidamente riducendo.
Il movimento dei ghiacciai
Fra il bacino di alimentazione e quello di ablazione
si verifica un lento spostamento della massa
ghiacciata, determinato dalla forza di gravità e
influenzato dal profilo delle rocce sottostanti il
ghiacciaio. Questo movimento segue due distinti
meccanismi: uno scivolamento rispetto al substrato
roccioso e uno scorrimento interno, cioè una
deformazione della massa ghiacciata, che si
comporta come un fluido altamente viscoso.
La velocità di un ghiacciaio varia in relazione alla
forma, alla pendenza e alla rugosità delle rocce
sottostanti, oltre che in funzione della stagione
(d'estate è maggiore che d'inverno). Essa risulta di
pochi metri l'anno nel bacino di alimentazione, ma
può giungere a qualche centinaio di metri nel tratto inferiore del bacino di ablazione.
Contrariamente alla parte interna di una lingua di ghiaccio, che si comporta plasticamente, la parte
superficiale è invece soggetta a fratture. Ogni volta che il ghiacciaio cambia pendenza o direzione in
relazione alla morfologia della valle, la sua parte superficiale tende a rompersi secondo sistemi di
fessure disposte longitudinalmente o trasversalmente (crepacci). Incrociandosi, i crepacci isolano
blocchi e guglie di ghiaccio di forma irregolare noti come seracchi.
L'azione morfologica dei fiumi
Le valli fluviali
Le acque incanalate operano un'erosione lineare, che
ha come risultato finale l'escavazione di solchi vallivi.
Nel suo tratto montano un fiume scorre veloce,
erodendo profondamente il suo alveo roccioso fino a
incidervi forre e gole, delimitate da pareti a
strapiombo. Se le rocce intagliate sono tenere, le
pareti delle valli fluviali risultano inclinate, dotate del
tipico profilo a V che deriva da un'azione erosiva
esercitata soprattutto lungo l'alveo.
Quando un torrente confluisce nella valle principale, o
in pianura, la velocità della corrente diminuisce
rapidamente: di conseguenza il corso d'acqua abbandona
i detriti grossolani e li deposita in una struttura dalla
tipica forma a ventaglio, denominata conoide di
deiezione.
Le pianure alluvionali
Dopo aver percorso il loro tratto montano,
quando si affacciano in pianura i fiumi
rallentano, col risultato di depositare ampi
conoidi che si fondono in un'unica fascia
pedemontana denominata alta pianura. Essa è
formata soprattutto da ghiaie, che danno luogo a
un suolo permeabile, in cui le acque piovane
tendono a infiltrarsi.
Inoltrandosi nella bassa pianura, il fiume rallenta sempre più, abbandonando lungo il suo corso i
materiali di dimensioni progressivamente minori: ghiaie fini, sabbie, limi, argille. Per questo motivo la
bassa pianura dispone di un sottosuolo impermeabile, tale da obbligare la falda freatica a emergere in
corrispondenza delle risorgive.
Nella bassa pianura il corso d'acqua tende a scorrere in un
alveo poco pronunciato e molto sinuoso, che disegna anse
sempre più accentuate fino ad assumere le sembianze di
meandri.
Nel tratto terminale delle pianure alluvionali prevale l'azione di deposito; con il tempo i detriti si
sovrappongono gli uni agli altri, finché il fiume si trova a scorrere sollevato rispetto alla pianura
circostante (alvei pensili). In occasione delle piene più rovinose, i fiumi possono anche rompere i loro
argini, riversandosi nella pianura circostante (alluvioni).
Le foci fluviali
Il fiume che sfocia in mare rallenta bruscamente e di conseguenza abbandona lungo la costa gli ultimi
detriti, mentre le particelle più fini vengono trascinate al largo dalle correnti.
La foce di un corso d'acqua assomiglia dunque a un grande conoide di deiezione, cioè a un piano
inclinato di detriti che progressivamente avanza verso il mare. Gli antichi chiamavano delta questa
struttura di forma triangolare, per la sua somiglianza con la quarta lettera dell'alfabeto greco D.
Alcuni fiumi, sfociando in aree a forte escursione di marea, presentano una foce a estuario, che rientra
profondamente rispetto alla linea di costa perché le correnti di marea allontanano e distribuiscono sui
due lati i detriti abbandonati dal corso d'acqua.
La morfologia carsica
Le forme carsiche superficiali
Il carsismo riguarda i territori in cui affiorano rocce calcaree, sulle quali l'acqua piovana, che contiene
in soluzione anidride carbonica, esercita una potente azione di dissoluzione . L’erosione carsica dà
origine a un paesaggio molto caratteristico, noto come morfologia carsica.
Le più caratteristiche forme carsiche superficiali sono le doline, depressioni circolari larghe da pochi
metri a qualche centinaio e profonde fino a 20-30 m. Le doline si possono formare per il crollo del tetto
di una grotta, ma più frequentemente per la lenta dissoluzione del calcare lungo la fenditura in cui
l'acqua scompare nel sottosuolo, denominata inghiottitoio. Talvolta questi sono talmente ampi e
profondi da dare luogo a voragini, che nel Carso sono denominate foibe.
Se la dissoluzione dei calcari prosegue nel tempo, le doline tendono ad allargarsi fino a fondersi le une
con le altre: a queste cavità dal fondo piatto e dai margini irregolari, del diametro di alcune centinaia di
metri, si dà il nome di Uvala. Queste, a loro volta, possono ampliarsi e unirsi fra loro, dando luogo a
vaste depressioni carsiche, dal fondo pianeggiante e coperto di terra rossa, le polje, al cui interno
possono trovare posto piccoli bacini lacustri oppure insediamenti umani.
Le forme carsiche sotterranee
Le forme carsiche sotterranee consistono nelle grotte, a loro volta
distinte in cavità a prevalente sviluppo verticale (pozzi) e a
sviluppo suborizzontale (gallerie). Le grotte sono originate dalla
circolazione di grandi masse d'acqua nel sottosuolo, resa possibile
dalla progressiva dilatazione delle fessure che interessano la
roccia.
Quando le grotte sono libere dall'acqua, vanno soggette a un
continuo stillicidio che scende dalle microfratture del soffitto.
Quest'acqua, affacciandosi alla sommità della volta, libera
l'anidride carbonica e quindi è costretta a precipitare il carbonato
di calcio. Questo si dispone in concrezioni che scendono verso il
basso (stalattiti) e che si elevano dal pavimento, dove le gocce
d'acqua cadono (stalagmiti). Col tempo le stalattiti e le stalagmiti
possono finire per fondersi, dando luogo a colonne .
La morfologia glaciale
Estrazione ed esarazione
I ghiacciai sono uno dei principali agenti modellatori del paesaggio, ma la loro azione si esplicò
soprattutto in passato, durante le glaciazioni del Quaternario, quando l'estensione dei ghiacciai
continentali era molto superiore a quella attuale. Come ogni
altro agente esogeno, i ghiacciai sono dotati di capacità di
erosione, di trasporto e di deposito; fra queste risulta
particolarmente efficace l'azione di trasporto, poiché i ghiacciai,
a differenza dell'acqua e del vento, non selezionano i detriti, ma
trasportano tutti i materiali indistintamente, fino a che il
ghiaccio non fonde completamente.
L’erosione glaciale opera in due modi distinti, definiti come
estrazione ed esarazione.
L’estrazione consiste nell'asportazione di blocchi di roccia da
parte del ghiacciaio in movimento, che poi li ingloba nella sua
massa. Questi inclusi, schiacciati dalla pressione del ghiaccio,
svolgono a loro volta un'azione, detta esarazione, che può essere
paragonata a quella di una lima. Prima di tutto polverizzano
parte della roccia su cui scorrono, trasformandola in un
materiale finissimo (farina glaciale); inoltre "graffiano" le rocce
del substrato, incidendole con numerose strie glaciali.
Circhi e valli a U
Le calotte e i ghiacciai vallivi operano il modellamento in modo differente. Poiché le calotte hanno un
elevato sviluppo areale, esercitano la loro azione in maniera uniforme, levigando e addolcendo la
morfologia. Solo ai margini, dove il ghiacciaio principale si sfrangia, l'azione erosiva si fa più incisiva:
le lingue di ghiaccio si insinuano nelle vallate, scavandole in maniera profonda. Se in seguito vengono
invase dal mare, queste valli si trasformano in fiordi, insenature marine profonde, articolate
e delimitate da ripidi versanti.
I ghiacciai vallivi, essendo formati da lingue di
ghiaccio che si insinuano nelle valli e lasciano
scoperti i rilievi, accentuano invece i contrasti
morfologici: mentre erodono e arrotondano i
fondovalle (valli dal profilo a U), scalzano alla
base i rilievi, intagliandoli come creste affilate o
isolando speroni rocciosi a forma di corno (il
monte Cervino ne rappresenta un tipico
esempio).
L’azione erosiva risente anche della consistenza
delle rocce: se lungo una vallata affiorano rocce
tenere, il ghiacciaio incide una conca
(ombelico); in caso contrario, lascia emergere
un dosso arrotondato denominato soglia. Nella
parte più a monte delle vallate alpine, dove il ghiacciaio si forma, la morfologia si configura secondo
depressioni tondeggianti, aperte sul versante a valle da una soglia rocciosa. In questi circhi glaciali,
come abbiamo visto, le acque di fusione delle nevi spesso ristagnano formando piccoli laghi di circo.
I depositi glaciali
I depositi di origine glaciale, in cui si mescolano
frammenti rocciosi di dimensioni e origine molto
differenti, si chiamano tilliti. Queste si
depositano nei punti in cui il ghiaccio fonde e
comprendono sia le farine glaciali, estremamente
fini, sia i massi erratici, blocchi di roccia che il
ghiacciaio raccoglie sul suo percorso e trasporta
a valle.
Le tilliti si dispongono in strutture, chiamate
morene, diversificate a seconda della posizione
e delle modalità di formazione.
Le morene laterali, abbandonate ai fianchi di una
lingua glaciale, sono evidenti solo dopo che il
ghiaccio si è ritirato. Le morene mediane si
formano al centro di un ghiacciaio, nel punto in
cui due lingue glaciali confluiscono in una sola.
Le morene terminali vengono invece deposte sul fronte del ghiacciaio, là dove il ghiaccio fonde; esse si
configurano come collinette disposte ad arco (anfiteatro morenico), che generalmente sbarrano il corso
di una valle di escavazione glaciale.
Al loro ritiro, i ghiacciai lasciano uno strato di detriti sul fondo della valle in cui scorrevano (morena di
fondo), attraverso il quale i corsi d'acqua si fanno strada a fatica, intrecciandosi in numerosi corsi minori
e ristagnando in piccoli laghi.
Queste acque erodono i materiali
morenici, trascinandoli e poi
ridepositandoli più a valle, dove la
velocità del fiume diminuisce. Si
forma in questo modo una piana
fluvioglaciale, in cui i detriti glaciali
risultano ridistribuiti dalle acque
correnti. Gran parte dei sedimenti
dell'alta pianura padana sono di
questo tipo: in base al grado di
alterazione dei ciottoli in essi
contenuti, gli studiosi riescono a
stabilire
in
quale
periodo
interglaciale sono stati depositati.
Rifletti e
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