L’ACQUA La Terra, essendo l'unico pianeta del sistema solare a possedere un'idrosfera, è anche il solo che dispone di condizioni ambientali compatibili con la vita. Senza l'acqua, la vita non si sarebbe sviluppata e la stessa presenza di esseri viventi in ogni ambiente, anche nei più inospitali, sarebbe del tutto inconcepibile. L’acqua è infatti il principale componente degli organismi viventi, il cui corpo può contenere dal 60 al 90% di questo liquido. Solo in situazioni particolari, come nei semi secchi delle piante, scende fino al 10%, ma in questo caso le funzioni vitali sono praticamente sospese. L’acqua, inoltre, interviene in molte reazioni importanti che si svolgono all'interno delle cellule e, in particolare, nella fotosintesi clorofilliana che si verifica nelle piante ed è alla base del funzionamento dell'intero geosistema. La molecola dell'acqua Una molecola d'acqua (H2O) è costituita da un atomo di ossigeno (O) e due atomi di idrogeno (H), uniti mediante due legami covalenti, in cui l'ossigeno condivide con ciascuno degli atomi di idrogeno coppie di elettroni. La struttura della molecola, che presa globalmente è neutra, è però tale che gli elettroni condivisi sono maggiormente attratti dall'ossigeno: quella dell'acqua è dunque una molecola polare. Ciò vuol dire che su di essa le cariche elettriche sono distribuite in modo asimmetrico: sugli atomi di idrogeno sono presenti deboli cariche positive, mentre sull'atomo di ossigeno è presente una modesta carica negativa. La polarità della molecola fa sì che fra le diverse molecole d'acqua, simili a microscopiche calamite, si stabiliscano deboli attrazioni di natura elettrica dette legami idrogeno. Le proprietà chimiche La polarità della molecola rende l'acqua un ottimo solvente per le molecole dei gas, come l'ossigeno e l'anidride carbonica. Composti polari, come per esempio gli zuccheri, si sciolgono in acqua in quanto le loro molecole formano con essa deboli legami idrogeno. I composti ionici si sciolgono ancora più facilmente in acqua, le cui molecole polari attraggono gli ioni separandoli l'uno dall'altro. E’ questo il meccanismo per cui il sale da cucina (NaCl) si scioglie in acqua formando ioni Na+ e Cl- Ed è per lo stesso motivo che tutte le acque naturali, anche quelle definite acque dolci, in realtà contengono in soluzione piccoli quantitativi di sali. La molecola dell’acqua ha un'altra importante proprietà: possiede una debole tendenza a dissociarsi in uno ione idrogeno H+ e in uno ione ossidrile OH-. Contenendo un uguale numero di queste due specie ioniche, l'acqua pura si dice neutra, e parimenti neutre sono tutte le sostanze che, disciolte in acqua, non alterano la proporzione fra H+ e OH-. È neutra, per esempio,la soluzione acquosa di cloruro di sodio (NaCl). Diverso è il discorso per le sostanze che, disciolte in acqua, producono uno squilibrio fra gli ioni H+ e OH-. Esse sono definite acidi quando producono un eccesso di ioni idrogeno H+ e basi quando, all'opposto, determinano un eccesso di ioni ossidrile OH-. L’acido cloridrico (HCl), per esempio, in acqua si dissocia negli ioni H+ e Cl- aumentando la concentrazione di ioni H+ (soluzione acida). L’idrossido di sodio (NaOH), invece, in acqua si dissocia in Na+ e OH-, aumentando la concentrazione di ioni OH- (soluzione basica). Le proprietà fisiche Anche sotto l'aspetto fisico l'acqua presenta caratteristiche particolari. Per esempio ha un calore specifico elevato, ed è per questo che oceani, mari e laghi, scaldandosi e raffreddandosi più lentamente rispetto alle terre emerse, attenuano gli sbalzi di temperatura e rendono vivibili gran parte degli ambienti. L’acqua ha anche una bassa conducibilità termica: occorre dunque tempo perché le variazioni di temperatura, prodotte dall'avvicendamento delle stagioni sulla superficie degli specchi d'acqua, si facciano sentire in profondità. Per quanto riguarda i passaggi di stato fisico, l'acqua ha temperature di congelamento e di ebollizione superiori rispetto a composti di analogo peso molecolare, come per esempio l'ammoniaca: alla pressione di l atmosfera essa solidifica a O °C e bolle a 100°C. Per questo motivo, la maggior patte dell'acqua dell'idrosfera si trova allo stato liquido, e solo quote minime sono ghiacciate o allo stato di vapore. Perché l'acqua passi dallo stato liquido a quello aeriforme occorre vincere la forte attrazione fra le molecole, fornendo loro un elevato calore di vaporizzazione. L’evaporazione dell'acqua assorbe dunque una grande quota dell'energia solare, con il risultato di contribuire a mantenere bassa la temperatura dell'intero pianeta. La presenza dei legami idrogeno è responsabile anche di un'altra particolarità dell'acqua, quella di presentare la sua massima densità (rapporto fra massa e volume) alla temperatura di +4 °C. Ciò significa che se viene ulteriormente raffreddata si dilata, ed è per questo motivo che il ghiaccio galleggia. Un'ultima particolarità è l'alto livello delle forze di coesione (attrazione reciproca fra le molecole d'acqua) e di adesione (tendenza dell'acqua ad aderire alle pareti dei recipienti). Grazie alla coesione, per esempio, l'acqua che traspira dalle foglie delle piante trascina verso l'alto nuove molecole, permettendo la risalita dei liquidi attraverso i vasi che percorrono l'intera pianta, a partire dalle radici. Alla coesione si deve anche la tensione superficiale dell'acqua, fenomeno per cui la superficie dell'acqua si comporta come una "pellicola elastica", sulla quale certi insetti possono camminare. All'adesione si deve invece il fenomeno della capillarità, in base al quale l'acqua contenuta in vasi di piccolo diametro si solleva verso l'alto, vincendo in parte la forza di gravità. L'idrosfera L’idrosfera rappresenta l'insieme di tutte le acque presenti sulla Terra: sia quelle contenute nelle parti depresse della superficie terrestre sotto forma di oceani, mari e laghi, sia quelle che scorrono liberamente sul terreno (ruscellamento), o ancora quelle raccolte negli alvei dei corsi d'acqua (deflusso superficiale). Altra acqua si muove poi lentamente nel sottosuolo (deflusso sotterraneo), e altra ancora è trattenuta, allo stato solido, nelle masse di neve e nei ghiacciai, oltre che nei suoli gelati delle aree a clima freddo (permafrost). Un piccolo quantitativo idrico occupa l'atmosfera, sia allo stato liquido Le minute goccioline che compongono le nubi), sia allo stato aeriforme, sotto forma di vapore acqueo. Un'ultima quota, minima in termini quantitativi, è infine trattenuta nella biosfera, cioè nel corpo di tutti gli organismi viventi. I serbatoi idrici Gli scienziati stimano in circa 1400 milioni di km3 il totale d'acqua presente nell'idrosfera, ripartita fra diversi serbatoi idrici. Il principale consiste ovviamente negli oceani e nei mari, che raccolgono oltre il 97% dell'acqua complessiva. Gli altri serbatoi raccolgono, tutti assieme, il 2,7% del totale, suddiviso fra i ghiacciai e le calotte glaciali, le falde acquifere sotterranee, i corsi d'acqua e i laghi e l'atmosfera. Dal punto di vista delle esigenze umane, e più in generale della flora e della fauna terrestri, quella che più interessa è l'acqua dolce. Il suo quantitativo supera di poco il 2% dell'idrosfera, in quanto una parte delle acque continentali, come i laghi salati e alcune falde acquifere, ha un contenuto eccessivo di sali ed è dunque inutilizzabile. Come accade per una fontana, che continuamente riceve nuova acqua e altrettanta ne perde, tutti i serbatoi idrici si trovano in uno stato di equilibrio dinamico. Ciò significa che essi ricevono continui apporti da altri serbatoi e in misura analoga subiscono perdite. Il continuo passaggio da un serbatoio all'altro viene definito come ciclo dell'acqua o ciclo idrologico. Il ciclo idrologico Mosso dall'energia solare per la sua parte ascendente, e dalla forza di gravità per quella discendente, il ciclo idrologico risulta suddiviso in cinque fasi: 1. Evaporazione. Questo processo, che assorbe molta energia solare (circa 600 calorie per grammo d'acqua), consiste nel passaggio dell'acqua dallo stato liquido a quello di vapore. Ne sono interessati gli oceani, i laghi, i fiumi e l'umidità che impregna il terreno. Un processo simile, anche se molto più ridotto dal punto di vista quantitativo, è la traspirazione, cioè la fuoruscita di umidità dalle foglie delle piante e dal corpo degli animali. In termini quantitativi, l'evapotraspirazione solleva circa 500 mila km3 d'acqua all'anno, di cui il 90% proviene dagli oceani e il 10% dai continenti. 2. Condensazione. È il ritorno dell'acqua allo stato liquido. La condensazione si verifica quando il vapore si raffredda, dando origine alle minuscole goccioline che compongono le nubi. 3. Precipitazione. Consiste nella ricaduta dell'acqua delle nubi, principalmente in forma liquida (pioggia), ma in parte anche sotto forma di neve, grandine, nebbia e rugiada. Approssimativamente, 1'80% delle precipitazioni cade in mare, mentre il 20% scende sui continenti. 4. Infiltrazione. Il termine infiltrazione comprende sia l'acqua che penetra nel sottosuolo, andando ad alimentare le falde acquifere o i sistemi di circolazione carsica, sia quella parte dell'acqua piovana che bagna i suoli e viene rapidamente assorbita dalle radici delle piante. 5. Deflusso. Consiste nella discesa verso il mare dell'acqua caduta sulle aree continentali. In parte il deflusso si svolge sulla superficie della litosfera (deflusso superficiale), attraverso i corsi d'acqua; in parte rimane temporaneamente sul continente sotto forma di neve e ghiaccio o occupando i bacini lacustri, mentre la porzione che si infiltra nel sottosuolo si muove molto lentamente verso il mare (deflusso sotterraneo). La salinità L’acqua dei mari e degli oceani differisce da quella presente sui continenti per il suo elevato contenuto di sali in soluzione. Questa salinità è frutto del continuo apporto dell'acqua dolce dei fiumi, che avendo dilavato rocce e terreni possiede un minimo contenuto salino. In termini quantitativi, la salinità vale in media 35 grammi per litro, pari a una concentrazione del 35% 0 Non è tuttavia costante nei diversi bacini, potendo anche superare il 37%0 nei mari tropicali, caratterizzati da temperature elevate, notevole evaporazione e da un modesto apporto di acque fluviali. La salinità è invece minore all'equatore (circa 34%0), dove aumenta la piovosità e cresce l'apporto dei corsi d'acqua. Il contenuto salino nei mari freddi, per esempio il Baltico (meno del 5% 0), è particolarmente basso a causa della minima evaporazione e del ridotto potere di solubilità dell'acqua. Nell'acqua di mare sono disciolti, in proporzioni variabili, quasi tutti gli elementi chimici. Gli ioni maggiormente presenti sono, in ordine decrescente: Cl-, Na+,SO4--,Mg++, Ca++, K+ Dalla loro combinazione si formano Sali il più abbondante dei quali è il cloruro di sodio, che da solo rappresenta i tre quarti del sale marino. I gas disciolti Nell'acqua di mare sono disciolte anche grandi quantità di gas, soprattutto azoto, ossigeno e anidride carbonica. La loro presenza è garantita dal moto ondoso, che scioglie in continuazione piccole dosi d'aria, ma dipende anche dall'attività delle forme di vita acquatiche, che attraverso la fotosintesi e la respirazione influiscono sulla concentrazione di ossigeno e di anidride carbonica. La presenza di gas nelle acque oceaniche, e in particolare dell'anidride carbonica, comporta grandi implicazioni di tipo ambientale. La CO2 infatti, si scioglie bene nell'acqua di mare, al punto che gli oceani hanno assorbito, negli ultimi due secoli, circa metà di quella prodotta dalle attività umane. Se ciò non fosse accaduto, l'attuale concentrazione atmosferica sarebbe superiore e la Terra subirebbe un effetto serra più elevato di quello, già preoccupante, che si registra ai nostri giorni. La quantità di gas disciolti varia con la temperatura dell'acqua: aumenta nelle acque fredde e si riduce in quelle calde. Di conseguenza, se i mari dovessero riscaldarsi per effetto degli attuali cambiamenti climatici, potrebbero liberare altra anidride carbonica, innescando un circolo vizioso che porterebbe a un sempre maggiore effetto serra. Densità, temperatura e trasparenza Contenendo sali disciolti, l'acqua di mare ha una densità di circa 1,03 kg/l, un valore superiore rispetto all'acqua dolce (1,00 kg/l) e comunque variabile in funzione della salinità. La densità varia anche con la temperatura: l'acqua fredda, infatti, è più densa di quella calda, e ciò determina una stratificazione dell'acqua di mare, con quella fredda che si mantiene sotto l'acqua calda. La temperatura superficiale dipende principalmente dalla latitudine: si attesta in media sui 27 °C nella fascia tropicale, per scendere nelle zone polari fino a -2 °C, senza per questo congelare l'acqua (la salinità abbassa la temperatura di solidificazione). Poiché il riscaldamento dell'acqua avviene dall'alto, per opera dei raggi solari, al crescere della profondità si registra una diminuzione della temperatura. Tale riduzione non è tuttavia costante e ciò consente di identificare tre diversi strati, ognuno dei quali presenta particolari ritmi di decremento termico. Lo strato superficiale, profondo qualche centinaio di metri, risente delle differenze di riscaldamento in relazione alla latitudine e alla stagione: qui la temperatura decresce lentamente, senza però raggiungere valori molto bassi, per effetto del continuo rimescolamento operato dal moto ondoso e dalle correnti. Nello strato di transizione, chiamato termoc1ino, la temperatura subisce un brusco calo, mentre nello strato profondo, oltre gli 800-1000 m, l'acqua si stabilizza su valori prossimi allo zero, anche se in un mare chiuso come il Mediterraneo non scende sotto i 13 °C. Un ulteriore aspetto fisico dell'acqua di mare, particolarmente importante per la distribuzione delle forme di vita, è la trasparenza, ossia la capacità di consentire la penetrazione in profondità della radiazione solare. Essa dipende dal grado di purezza dell'acqua, essendo massima in mare aperto, dove è assente la torbidità portata dai corsi d'acqua. Al largo, inoltre, vi è scarsità di sostanze nutritive, quindi scarseggia anche il plancton, la cui eccessiva presenza rende l'acqua meno limpida. Per quanto riguarda il colore delle acque marine, esso può variare in misura sensibile, sia per effetto della riflessione del cielo, sereno oppure nuvoloso, sia per la presenza di materiale in sospensione, di plancton e di sostanze inquinanti. I movimenti delle acque marine Fra i movimenti del mare, tre sono quelli principali: il moto ondoso, le correnti e le maree. Il primo è irregolare, visto che manca di una qualsiasi periodicità; le correnti, per lo meno quelle che interessano i grandi circuiti oceanici, si considerano moti costanti; le maree, infine, sono moti periodici, in quanto si susseguono secondo cicli regolari. Il moto ondoso La superficie marina è perennemente interessata dal moto ondoso, provocato dalla pressione del vento sulla superficie dell'acqua. È sufficiente una brezza di pochi chilometri orari per causare leggere increspature e muovere le onde nella direzione in cui spira. Finché le onde vengono spinte dal vento si parla di onde forzate, ma appena questo cessa, le oscillazioni continuano per inerzia sotto forma di onde libere. Indipendentemente dal tipo, quelle di mare aperto sono onde di oscillazione, che sollevano e abbassano i corpi galleggianti e non ne provocano l'avanzamento. Al passaggio di queste onde, infatti, le particelle d'acqua che si trovano in superficie compiono grandi traiettorie circolari; quelle più profonde si comportano allo stesso modo, ma il diametro delle traiettorie diviene progressivamente minore. Sotto una certa profondità, proporzionale all'altezza dell'onda, l'acqua del mare risulta praticamente immobile. In presenza di forti venti, le creste delle onde possono però rovesciarsi in avanti sotto forma di frangenti di mare aperto, riconoscibili per la loro schiuma bianca. In questi casi il moto non è più soltanto oscillatorio, ma assume una componente traslatoria che sposta in senso orizzontale l'acqua e gli oggetti galleggianti. Un fenomeno analogo si ha quando l’onda si avvicina a una costa bassa e risente della presenza del fondale: se la profondità dell'acqua è modesta, la traiettoria delle particelle diviene ellittica, poiché la base dell'onda subisce l'attrito del fondale. Le onde rallentano, diventano più frequenti e si sollevano fino a ribaltarsi in avanti come frangenti di spiaggia, che si rovesciano sulla battigia: l'acqua risale brevemente la spiaggia (flusso montante), quindi ridiscende verso il mare mescolandosi con ronda successiva (risacca). Quando le onde si avvicinano alla costa tendono ad allinearsi parallelamente ad essa (questo fenomeno è conosciuto come la rifrazione delle onde). Le correnti Le correnti sono masse d'acqua, omogenee per temperatura e salinità, che si spostano rispetto all'acqua circostante. Le più conosciute sono le correnti superfìciali, che interessano i primi 100-200 m di profondità e si spostano lentamente, sotto la spinta dei venti. Poiché sugli oceani esistono ampie fasce di venti che soffiano perennemente nella stessa direzione, anche le correnti superficiali tendono a essere regolari: dunque, grandi correnti calde si spostano lentamente (1-2 rn/s) verso le aree circumpolari, dalle quali torna verso i tropici un flusso d'acqua fredda (correnti fredde). Per comprendere il meccanismo che sta alla base delle correnti superficiali, osserviamo quanto accade al centro dell'oceano Atlantico. Al largo dell'Africa spirano, da entrambi i tropici verso l'equatore, i venti alisei, che spingono grandi masse d'acqua in direzione dell'America. Giunto a ridosso delle sue coste, il ramo settentrionale di questa corrente nord-equatoriale penetra nel golfo del Messico e poi ne esce attraverso lo stretto che separa la Florida da Cuba. Qui ha inizio la calda corrente del Golfo che attraversa diagonalmente l'Atlantico settentrionale e va a lambire le coste dell'Europa settentrionale, su cui esercita un positivo effetto climatico. Sul lato opposto dell'oceano si registra un flusso contrario, di acqua fredda che scende verso sud (corrente del Labrador), per effetto del quale le regioni costiere degli Stati Uniti hanno temperature più rigide rispetto alle località europee situate alla stessa latitudine. Per esempio, a Lisbona la temperatura media di gennaio supera di 6 °C quella di New York. Gli oceani sono interessati anche da correnti profonde, originate da differenze di densità dell'acqua. Più precisamente, i mari delle regioni artiche e antartiche sono ghiacciati in superficie, ma al di sotto l'acqua si mantiene prossima ai +4 °C, temperatura a cui la densità è massima. L’acqua tende a scendere fino a quando, giunta sul fondo, incomincia a scivolare lentamente verso l'equatore, sostituendo l'acqua calda che si porta in superficie. Le correnti ascensionali (el Nino) I venti costanti producono anche correnti ascensionali. Per esempio allargo del Perù, dove gli alisei sospingono le acque calde superficiali in direzione dell'Asia, si verifica la risalita di grandi masse d'acqua profonda, relativamente fredda. Oltre a influire sul clima, questa corrente esercita importanti conseguenze sulla fauna marina: infatti, portando in superficie grandi quantità di sostanze nutrienti, determina una proliferazione del plancton e dei pesci che se ne nutrono. Per questo motivo le acque costiere del Perù sono particolarmente pescose. Questa porzione dell'oceano Pacifico è anche interessata, ogni 6-7 anni, da un fenomeno ancora poco noto ma che esercita notevoli influenze sul clima del pianeta: el Nino (cioè "il bambinello", con riferimento al periodo di Natale, quando solitamente esso raggiunge il suo culmine). Il fenomeno nasce da un indebolimento degli alisei, che per alcuni mesi non riescono a spostare verso ovest le acque calde superficiali, tanto da impedire la risalita di quelle fredde e profonde. L’effetto più immediato è il forte calo della pescosità, che pregiudica l'economia delle zone costiere. Tuttavia el Nino è anche alla base di sconvolgimenti climatici e meteorologici di portata mondiale: infatti l'aumento della temperatura dell'oceano provoca un forte incremento dell'evaporazione. La grande massa d'aria calda e umida che si solleva, entra nella circolazione generale dell'atmosfera sconvolgendo il regime delle piogge, al punto da provocare precipitazioni torrenziali e alluvioni in zone solitamente secche, aridità in aree normalmente piovose. Le maree Le maree sono ritmiche variazioni del livello del mare provocate da una causa astronomica, l'attrazione gravitazionale della Luna (e in misura molto più ridotta del Sole): esse vengono influenzate anche dalla rotazione del sistema terra-luna e dalla morfologia dei bacini marini. La loro ciclicità non è esattamente diurna, bensì legata al cosiddetto giorno di marea, della durata di circa 24 h 50', pari all'intervallo fra due successive culminazioni della Luna. In questo lasso di tempo, si verificano due fasi di innalzamento del livello marino, cioè di alta marea, alternate a due fasi di abbassamento, cioè di bassa marea. L’ampiezza delle maree varia in relazione al tipo di mare, alla sua profondità e al profilo costiero: si limita a pochi decimetri al centro dei bacini oceanici e nei mari mediterranei, mentre i massimi di ampiezza si hanno lungo le coste oceaniche. Per esempio nella Manica essa supera i 10 m e nella baia di Fundy, lungo la costa atlantica del Canada, sfiora il record di 20 m. L’ampiezza di marea varia anche con la posizione reciproca di Terra, Luna e Sole, quindi con le fasi lunari. Quando i tre corpi sono allineati, durante le fasi di Luna piena e di Luna nuova, all'attrazione gravitazionale della Luna si somma quella più modesta del Sole (maree vive): questo, infatti, pur dotato di una massa infinitamente superiore rispetto alla Luna, è anche molto più lontano. Quando il Sole e la Luna sono disposti a 90°(primo quarto e ultimo quarto), l'attrazione della Luna viene smorzata da quella del Sole, per cui la marea presenta un'ampiezza minore (maree morte). Quando attraversa stretti o foci di grandi fiumi la marea entrante può assumere la forma di una vera e propria onda di marea. L'azione morfologica del mare Tra i movimenti del mare le onde sono i principali agenti che modellano e modificano le linee di costa, operando di volta in volta erosione, trasporto o deposito dei detriti. Il risultato di questa azione può essere un arretramento della linea di costa, quando prevale l'azione distruttiva, oppure un avanzamento della stessa, quando prevalgono gli effetti costruttivi. In base alla morfologia, si possono distinguere le coste in due tipi fondamentali: coste alte e coste basse, differenziate a seconda della presenza o meno di rilievi in prossimità del litorale (le prime sono generalmente rocciose, le seconde ciottolose, sabbiose o limose). Il modellamento delle coste alte L’azione erosiva del mare, definita abrasione marina, è soprattutto frutto delle onde, che modellano in particolar modo le coste alte e rocciose. L’abrasione è agevolata dalla degradazione meccanica delle rocce o dalla loro alterazione chimica. L’azione delle onde, di per sé considerevole, aumenta poi per l'abrasione svolta da sabbia e ciottoli scagliati con forza contro gli scogli. L’incessante azione del moto ondoso su una costa rocciosa dà origine a una parete ripida o strapiombante (falesia), progressivamente scalzata alla base e quindi soggetta a frequenti crolli (arretramento della falesia) . Il mare livella il materiale franato alla base, dove si forma una piattaforma di abrasione; se il livello del mare non sale, essa protegge la falesia da un ulteriore arretramento (falesia morta). Ma, in seguito a variazioni del livello marino, le piattaforme di abrasione possono sprofondare oppure emergere, dando luogo a terrazzi marini. L’azione dei frangenti opera in modo selettivo, in relazione alla consistenza delle rocce: si possono formare così delle grotte, che ampliandosi danno origine ad archi naturali; con il tempo, questi possono venire isolati dalla terraferma, trasformandosi in faraglioni o anche in semplici scogli. Il modellamento delle coste basse Giungendo alla loro foce, i fiumi abbandonano grandi quantità di sedimenti, sotto forma di ghiaie, sabbie e limi. Questi materiali vengono a loro volta erosi, trasportati e ri-depositati dalle correnti litoranee, che li distribuiscono lungo la costa. All'azione delle correnti si sovrappone poi quella del moto ondoso, che a sua volta contribuisce a modificare le forme delle coste basse . Spesso a breve distanza dalla costa si formano cordoni litoranei sommersi, che progressivamente emergono fino a costituire dei lidi. Vedi Poetto di Cagliari. Talvolta capita che i lidi si protendano da un promontorio verso un'isola prossima alla costa (tomboli), con il risultato di collegarla alla terraferma: se i tomboli sono più d'uno si possono formare lagune costiere, come quella assai famosa di Orbetello. Quando le onde incidono obliquamente sulle coste sabbiose, l’alternarsi di flutto montante e di risacca causa un movimento a zig zag delle particelle di sedimento che costituiscono la spiaggia, chiamato movimento a dente di sega, dando luogo al cosiddetto trasporto litoraneo. Questo movimento naturale della sabbia può provocare dei problemi di stabilità della spiaggia stessa, (se l'asporto di sabbia è maggiore dell'apporto) e quindi spesso si tenta di rallentare il fenomeno con vari accorgimenti come le barriere frangiflutti (strutture semisommerse parallele alla costa che possono diminuire l'impeto del moto ondoso) e i pennelli (brevi argini perpendicolari alla costa che interrompono così il trasporto litoraneo). Le Acque Continentali Il deflusso superficiale L’acqua che cade al suolo attraverso le precipitazioni può subire diversi destini: ritornare direttamente nell'atmosfera per evaporazione, essere assorbita dalle radici delle piante, infiltrarsi nel sottosuolo oppure scorrere verso il mare come deflusso superficiale. Inizialmente questo avviene in forma diffusa (rusce1lamento), ma ben presto l'acqua si incanala in minuscoli solchi che, a poco a poco, confluiscono in alvei (o letti) sempre più ampi, fino a formare corsi d'acqua. Questo termine indica un qualsiasi flusso idrico che percorre un alveo ben definito, a prescindere dalle sue dimensioni. Volendo invece distinguere i corsi d'acqua sulla base delle dimensioni e della regolarità del flusso idrico, si adottano denominazioni quali rivi, ruscelli, torrenti e fiumi. I bacini idrografici Ogni corso d'acqua è alimentato dalle acque che cadono su un determinato territorio, detto bacino idrografico, delimitato da una linea ideale chiamata spartiacque. Poiché ogni fiume è composto di più rami che confluiscono l'uno nell'altro, il bacino idrografico corrisponde all'insieme dei bacini di ciascun affluente. Quello del Po, per esempio, è formato dalla somma dei bacini del Ticino, dell'Adda, del Serio ecc. Generalmente le terre emerse appaiono suddivise in bacini idrografici: ciascuno di essi convoglia le proprie acque verso un fiume, che poi le riversa in mare. Un territorio di questo tipo si definisce esoreico (da ex, "fuori", e réos, "scorrimento"). Esistono però anche zone endoreiche i cui corsi d'acqua confluiscono in bacini interni, dai quali si perdono per evaporazione o per infiltrazione nel sottosuolo. Per esempio il fiume Giordano, in Palestina, confluisce nella depressione del mar Morto, priva di emissario. Esiste anche un terzo tipo di territorio, detto areico, nel quale manca un reticolato idrografico perenne a causa dell'eccessiva aridità climatica. Questa situazione riguarda, in pratica, tutti i deserti del mondo. Le caratteristiche dei corsi d'acqua I corsi d'acqua si differenziano soprattutto in relazione alle proprie caratteristiche geometriche, quali la lunghezza, la larghezza e la pendenza. La lunghezza dipende principalmente dalla morfologia del territorio attraversato dal fiume: se è tabulare (cioè piatto), le acque devono percorrere un lungo tratto prima di sfociare in mare; al contrario, se i rilievi da cui il corso d'acqua nasce sono prossimi al mare, la lunghezza risulta ridotta. Anche la pendenza dipende dallo stesso fattore: i fiumi lunghi hanno pendenza modesta, mentre quelli brevi sono di solito ripidi. Per esempio i torrenti della Liguria si abbassano di decine di metri al chilometro, mentre i fiumi di zone tabulari, come il Rio delle Amazzoni, scendono solo di pochi centimetri ogni chilometro. La larghezza di un corso d'acqua dipende dalla quantità d'acqua trasportata, anche se non dobbiamo trascurare la consistenza dei terreni su cui scorre. Se l'alveo è sabbioso, il fiume può allargarsi molto più che non in presenza di terreno consistente, in cui generalmente si scava un alveo incassato. La velocità della corrente è un elemento importante, perché influisce sulla forza erosiva del fiume e sulla sua capacità di trasportare materiale in sospensione. Essa dipende dalla pendenza, ma anche dalla forma dell'alveo, dalla sua dimensione e dalla scabrosità.I valori massimi si raggiungono al centro della corrente, i minimi verso il fondo e lateralmente; in corrispondenza di un'ansa del fiume, la velocità massima si ha sul lato esterno della curva, quella minima all'interno. Portate e regimi fluviali Un'altra caratteristica dei corsi d'acqua è la portata, cioè la quantità d'acqua che in un secondo transita in un determinato tratto del corso. Oltre a variare da un luogo all'altro, la portata cambia su base stagionale, in relazione al maggiore o minore afflusso d'acqua che deriva dalle precipitazioni. Generalmente per ogni fiume si definisce la portata media alla foce, espressa in metri cubi al secondo, ma è anche importante conoscere la portata minima dei suoi periodi di magra e la portata massima dei giorni di piena. Il modo in cui varia la portata nel corso dell'anno viene definito regime. Sulla base di questo parametro possiamo distinguere i corsi d'acqua in torrenti, contraddistinti. da un regime irregolare, e in fiumi, nei quali la portata varia entro limiti non eccessivi. Quando il corso d'acqua si presenta in secca per gran parte dell'armo, ma in brevi periodi conosce portate eccezionali, si parla di fiumara. Tali sono, per esempio, molti corsi d'acqua dell'Italia meridionale, che nei mesi invernali possono dar luogo a impetuose alluvioni. Ancora più singolare è la situazione degli uadi, corsi d'acqua tipici dei territori aridi, che si presentano permanentemente in secca, tranne che nei brevissimi periodi di pioggia. Le caratteristiche dei laghi I laghi sono masse d'acqua che occupano porzioni concave della superficie terrestre e non sono in diretta comunicazione con il mare. Le loro dimensioni sono assai varie: possono essere considerati laghi dei piccoli bacini di pochi ettari, ma anche vaste distese d'acqua di centinaia di migliaia di chilometri quadrati. Per esempio il Caspio, che per le dimensioni e la salinità viene denominato mare, è il lago più vasto della Terra e si estende su una superficie maggiore dell'Italia. Analogo il discorso per quanto riguarda la profondità: vi sono laghi profondi uno o due metri, ma alcuni raggiungono profondità degne di un mare: il Bajkal, in Siberia, supera i 1600 m ed è cosi vasto da formare la maggiore riserva d'acqua dolce della Terra. La maggior parte dei laghi è alimentata da uno o più immissari, cioè fiumi o torrenti che riversano la loro acqua nel bacino. Talvolta, sia pure di rado, l’immissario può mancare, in tal caso il lago viene alimentato direttamente dalla pioggia o da acque sotterranee. Anche l’emissario, il corso d’acqua che esce da un lago, può a volte mancare, perché il bacino occupa una depressione o a causa di un’eccessiva aridità climatica. In questi casi le acque fuoriescono per via sotterranea, oppure per evaporazione. I laghi privi di emissario hanno quasi sempre acque salmastre oppure salate, poiché i sali che vengono convogliati dall’immissario, non potendo evaporare assieme all’acqua, si concentrano sempre più nel bacino. Esempi di laghi salati sono il mar Caspio, alcuni bacini endoreici dell’Africa (lago Ciad), dell’America (Great Salt Lake) e il mar Morto, in Palestina. La sua salinità rappresenta un record: ben 275 g di sale per ogni litro di acqua. L’evoluzione dei laghi I laghi sono elementi transitori del paesaggio, in quanto la loro sopravvivenza si deve al mantenimento di un delicato equilibrio fra l’acqua che entra e quella che esce dal bacino. Se diminuisce la prima, a causa di effetti climatici o per l’eccessivo prelievo da parte dell’uomo, il livello del lago diminuisce. In tal caso può anche accadere che il lago si prosciughi completamente, lasciando al suo posto una conca asciutta. Ma può anche accadere che i sedimenti convogliati dagli immissari finiscano per colmare interamente il bacino, riducendolo prima a uno stagno, poi a una palude, poco profonda e invasa dalle piante acquatiche. Stadio finale di un lago che muore è la torbiera, dominata dai resti vegetali, che accumulandosi sul fondo finiscono per prosciugare il lago e trasformarlo in una pianura. La classificazione dei laghi si basa principalmente sull'origine della depressione che li ospita. Le principali categorie sono dunque le seguenti. Laghi glaciali. Si distinguono in laghi di circo, che riempiono piccole conche circolari scavate dai ghiacciai d'alta montagna, e in laghi vallivi, che occupano il fondo di vallate modellate e scavate dai ghiacciai in occasione delle glaciazioni. Questi ultimi sono anche definiti morenici quando la conca lacustre è sbarrata da morene, cioè da detriti di origine glaciale. Sono laghi di circo gran parte dei minuscoli laghetti dell'arco alpino, situati a quote superiori ai 2000 metri. Fra quelli vallivi vi sono invece i grandi laghi prealpini, quali il Garda, il Maggiore e il lago di Como, e i grandi laghi della Svizzera, sull'altro versante delle Alpi Laghi tettonici. Occupano depressioni della crosta terrestre formatesi in seguito ad azione tettonica. Qualche volta (laghi relitti) si tratta di antichi bracci di mare, isolati per effetto del sollevamento di catene montuose: è il caso del mar Caspio e del lago d'Arai, in Asia. Più spesso questi laghi occupano fosse tettoniche, come la Grande Rift Valley dell'Africa orientale (laghi Tanganica, Malawi, Niassa) o la depressione del mar Morto. Laghi vulcanici. I fenomeni vulcanici possono dar luogo a diverse tipologie di laghi. Quelli craterici si formano per raccolta di acque meteoriche nel cratere di un vulcano estinto o quiescente. I laghi di caldera, invece, occupano ampie conche circolari derivanti dal collasso di un edifico vulcanico al termine della sua attività: appartengono a queste due categorie i laghi laziali di Albano, Nemi, Vico, Bolsena e Bracciano. I laghi di sbarramento lavico sono generati dall'interruzione di un corso d'acqua a opera di una colata lavica. Laghi carsici. Sono laghi di piccole dimensioni che occupano cavità di origine carsica, rese impermeabili sul fondo dalla presenza di caratteristiche terre rosse. Laghi costieri. Si formano lungo alcuni tratti di costa, quando l'azione del mare forma cordoni di dune litoranee: queste delimitano insenature o impediscono a corsi d'acqua di sfociare liberamente in mare. Nascono in tal caso lagune salmastre o veri e propri laghi costieri, generalmente poco profondi e di forma allungata. Ricordiamo, per limitarci all'Italia, la laguna di Orbetello, in Toscana, e i laghi di Lesina e di Varano, a nord del Gargano. Laghi di sbarramento. È una definizione molto generica, perché quasi tutti i laghi derivano dallo sbarramento di un corso d'acqua. Abbiamo già ricordato lo sbarramento morenico e quello lavico; aggiungiamo i laghi di frana, come il lago di Molveno, in Trentino, e quelli di sbarramento alluvionale. In questo caso il normale deflusso di un corso d'acqua viene interrotto dai detriti depositati da un torrente che scende da una valle laterale (lago di Caldonazzo, in Trentino). Nei laghi di sbarramento glaciale il blocco della vallata viene operato da una lingua di ghiaccio. Tuttavia i laghi di sbarramento per eccellenza sono rappresentati dai laghi artificiali, prodotti dall'uomo con l'ausilio di dighe. Le acque sotterranee Gli acquiferi Nell'ambito del ciclo idrologico, le acque sotterranee rappresentano una delle più consistenti riserve d'acqua dolce: circa il 25% del totale, pari a oltre 10 milioni di km3 . Esse derivano dalle precipitazioni, la cui acqua scorre in superficie finché non trova una superficie permeabile, attraverso la quale si infiltra nel sottosuolo, alimentando il deflusso sotterraneo. Il sottosuolo non contiene spazi vuoti, ma è composto di rocce più o meno compatte, oppure di terreni alluvionali in cui si alternano livelli sabbiosi, ghiaiosi e argillosi. Se questi mezzi rocciosi contengono acqua, e ne permettono il lento scorrimento verso il mare, possiamo parlare di acquiferi. Le rocce e i terreni che fungono da acquiferi sono necessariamente porosi, dotati cioè di interstizi. Ma ciò ancora non basta, in quanto i pori devono essere sufficientemente larghi e soprattutto intercomunicanti, così da consentire il passaggio delle particelle d'acqua. In tal caso abbiamo a che fare con rocce o terreni permeabili. Le argille, per esempio, sono molto porose, ma non lasciandosi attraversare dall'acqua sono anche impermeabili. Le falde acquifere La quantità d'acqua che penetra nel sottosuolo varia in relazione alla copertura vegetale del terreno, alla pendenza del versante e alla permeabilità delle rocce. Una frazione dell'acqua che si infiltra resta nei livelli superficiali sotto forma di umidità: parte di essa finirà poi per evaporare, mentre la quota restante verrà assorbita dalle radici delle piante. La parte più consistente dell'acqua di infiltrazione penetra nel sottosuolo finché non incontra uno strato impermeabile, spesso rappresentato da un semplice livello di argilla. Lo strato di sabbia e di ghiaia che sovrasta un livello impermeabile, se imbevuto d'acqua, prende il nome di falda acquifera. Nelle pianure alluvionali le falde sono solitamente più d'una, sovrapposte le une alle altre: in questo caso quella più superficiale, la prima che si incontra quando si scava un pozzo alla ricerca di acqua, è detta falda freatica. Talvolta una falda risulta delimitata anche superiormente da uno strato impermeabile: l'acqua "imprigionata" in questo modo, detta falda artesiana, può trovarsi sotto pressione e quindi, se lo strato superiore si interrompe (o viene perforato da un pozzo), tende a risalire, talvolta fino alla superficie del terreno. Un fenomeno che interessa la maggior parte delle pianure alluvionali è quello delle risorgive, consistenti nell'affioramento spontaneo della falda freatica lungo la fascia delle risorgive, ai piedi dell'alta pianura. Nella bassa pianura, infatti., prevalgono i materiali fini (sabbie, limi e argille), relativamente impermeabili, che impediscono alle acque di continuare il loro percorso sotterraneo. Le sorgenti Qualche volta l'acqua penetra a grande profondità e non riemerge per lunghe ere geologiche. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le acque sotterranee confluiscono direttamente in mare oppure riescono a riemergere, dando origine alle sorgenti. Ciò accade quando la superficie del terreno taglia e fa emergere una falda freatica, in corrispondenza di faglie che interrompono la continuità di masse rocciose impregnate d'acqua o in altre situazioni ancora. Talvolta le acque sotterranee vengono riscaldate dal normale gradiente termico o dalla vicinanza con masse magmatiche. Quando riemergono hanno pertanto una temperatura maggiore rispetto a quella dell'aria circostante: in tal caso si parla di sorgenti termali. Le loro acque, avendo un elevato potere solvente nei confronti delle rocce, possono presentarsi arricchite in sali minerali (sorgenti minerali). Acque termali e acque minerali trovano largo impiego nell’industria termale, dove svolgono la loro opera nel campo curativo, e nell’industria delle acque che, imbottigliate, vengono commercializzate a fini potabili. Il carsismo Le acque piovane che cadono su rocce solubili tendono a penetrare nelle fessure, allargandole fino a formare cavità sotterranee più o meno estese: questo fenomeno dà luogo a una situazione geologica particolare, caratterizzata dalla quasi totale assenza di reticolato idrografico superficiale, a cui si contrappone una circolazione sotterranea estremamente ricca e veloce. L’acqua si muove in vere e proprie cavità e non si limita a impregnare interstizi, come accade nelle normali falde acquifere. Quando le rocce interessate da questa particolare circolazione idrica sotterranea sono calcari, si parla di fenomeno carsico, o più semplicemente di carsismo. L’acqua ha uno scarso potere solvente nei confronti delle rocce, ma quella piovana, ricca di anidride carbonica, è debolmente acida per la presenza dello ione bicarbonato. Quando penetra nelle fessure delle rocce calcaree, essa scioglie il calcare e si spinge in profondità: così facendo allarga sempre più le fessure ed esercita quindi un’intensa azione erosiva. Se la roccia calcarea è impura per la presenza di minerali argillosi, dopo la dissoluzione del carbonato di calcio rimane sul posto un materiale residuale argilloso, detto terra rossa nelle regioni temperate e bauxite in quelle tropicali. La reazione di dissoluzione dei calcari è reversibile: ciò significa che quando l’acqua contenente lo ione bicarbonato si trova in un ambiente povero di anidride carbonica, questa può liberarsi in forma gassosa, facendo precipitare il carbonato di calcio. Ciò avviene nel sottosuolo, all’interno delle grotte, o in superficie nei pressi di cascate, dove gli schizzi d’acqua depositano calcare sotto forma di travertino. I ghiacciai La distribuzione dei ghiacciai Nelle zone polari e alle maggiori altitudini si trovano grandi masse di ghiaccio, che ricoprono circa il 10% delle terre emerse e vaste aree marine, fra cui l'intera calotta artica. Complessivamente, i ghiacciai raccolgono il 2 % dell'idrosfera: circa 25 milioni di km3, pari a quasi il 70% delle acque dolci. I ghiacciai si formano a quote superiori al limite delle nevi persistenti, dove non tutta la neve caduta nel periodo invernale arriva a fondere prima dell'accumulo della successiva stagione fredda. Questo limite varia in ragione dell'esposizione ai raggi del sole, della quantità di precipitazioni nevose e soprattutto della latitudine. Sulle Alpi, per esempio, esso si colloca fra i 2400 m dei versanti esposti a nord e i 3200 m di quelli che guardano a sud. All'equatore sale a 4500 m di quota e ai tropici, dove le precipitazioni sono inferiori, sfiora i 6000 m. Nelle regioni polari, invece, si ferma a poche centinaia di metri d'altezza o addirittura scende al livello del mare, come accade lungo le coste dell'Antartide. Il bilancio di massa Il ghiaccio deriva dalla progressiva ricristallizzazione della neve, prodotta sia dalla ripetuta azione del gelo e del disgelo, sia dalla pressione dei nuovi strati nevosi che via via si accumulano. I fiocchi di neve, infatti, inizialmente sono molto leggeri, perché ricchi d'aria, ma quando vengono ricoperti da altri strati nevosi si comprimono fino a diventare granuli di ghiaccio, che con il tempo fondono in un'unica massa compatta. L’accumulo di neve che avviene nella parte superiore del ghiacciaio, detta bacino di alimentazione, viene compensato dalla fusione del ghiaccio nel bacino di ablazione, il cui limite inferiore forma la fronte glaciale. Se questa compensazione è esatta, e dunque il bilancio di massa rimane in equilibrio, il ghiacciaio mantiene le proprie dimensioni. In caso contrario esso può crescere, come accade quando il clima diventa più rigido, oppure ridursi, ritirandosi a quote sempre più elevate, in presenza di un riscaldamento climatico. Ai nostri giorni, dato che le temperature medie del pianeta stanno crescendo, i ghiacciai di tutto il mondo si stanno rapidamente riducendo. Il movimento dei ghiacciai Fra il bacino di alimentazione e quello di ablazione si verifica un lento spostamento della massa ghiacciata, determinato dalla forza di gravità e influenzato dal profilo delle rocce sottostanti il ghiacciaio. Questo movimento segue due distinti meccanismi: uno scivolamento rispetto al substrato roccioso e uno scorrimento interno, cioè una deformazione della massa ghiacciata, che si comporta come un fluido altamente viscoso. La velocità di un ghiacciaio varia in relazione alla forma, alla pendenza e alla rugosità delle rocce sottostanti, oltre che in funzione della stagione (d'estate è maggiore che d'inverno). Essa risulta di pochi metri l'anno nel bacino di alimentazione, ma può giungere a qualche centinaio di metri nel tratto inferiore del bacino di ablazione. Contrariamente alla parte interna di una lingua di ghiaccio, che si comporta plasticamente, la parte superficiale è invece soggetta a fratture. Ogni volta che il ghiacciaio cambia pendenza o direzione in relazione alla morfologia della valle, la sua parte superficiale tende a rompersi secondo sistemi di fessure disposte longitudinalmente o trasversalmente (crepacci). Incrociandosi, i crepacci isolano blocchi e guglie di ghiaccio di forma irregolare noti come seracchi. L'azione morfologica dei fiumi Le valli fluviali Le acque incanalate operano un'erosione lineare, che ha come risultato finale l'escavazione di solchi vallivi. Nel suo tratto montano un fiume scorre veloce, erodendo profondamente il suo alveo roccioso fino a incidervi forre e gole, delimitate da pareti a strapiombo. Se le rocce intagliate sono tenere, le pareti delle valli fluviali risultano inclinate, dotate del tipico profilo a V che deriva da un'azione erosiva esercitata soprattutto lungo l'alveo. Quando un torrente confluisce nella valle principale, o in pianura, la velocità della corrente diminuisce rapidamente: di conseguenza il corso d'acqua abbandona i detriti grossolani e li deposita in una struttura dalla tipica forma a ventaglio, denominata conoide di deiezione. Le pianure alluvionali Dopo aver percorso il loro tratto montano, quando si affacciano in pianura i fiumi rallentano, col risultato di depositare ampi conoidi che si fondono in un'unica fascia pedemontana denominata alta pianura. Essa è formata soprattutto da ghiaie, che danno luogo a un suolo permeabile, in cui le acque piovane tendono a infiltrarsi. Inoltrandosi nella bassa pianura, il fiume rallenta sempre più, abbandonando lungo il suo corso i materiali di dimensioni progressivamente minori: ghiaie fini, sabbie, limi, argille. Per questo motivo la bassa pianura dispone di un sottosuolo impermeabile, tale da obbligare la falda freatica a emergere in corrispondenza delle risorgive. Nella bassa pianura il corso d'acqua tende a scorrere in un alveo poco pronunciato e molto sinuoso, che disegna anse sempre più accentuate fino ad assumere le sembianze di meandri. Nel tratto terminale delle pianure alluvionali prevale l'azione di deposito; con il tempo i detriti si sovrappongono gli uni agli altri, finché il fiume si trova a scorrere sollevato rispetto alla pianura circostante (alvei pensili). In occasione delle piene più rovinose, i fiumi possono anche rompere i loro argini, riversandosi nella pianura circostante (alluvioni). Le foci fluviali Il fiume che sfocia in mare rallenta bruscamente e di conseguenza abbandona lungo la costa gli ultimi detriti, mentre le particelle più fini vengono trascinate al largo dalle correnti. La foce di un corso d'acqua assomiglia dunque a un grande conoide di deiezione, cioè a un piano inclinato di detriti che progressivamente avanza verso il mare. Gli antichi chiamavano delta questa struttura di forma triangolare, per la sua somiglianza con la quarta lettera dell'alfabeto greco D. Alcuni fiumi, sfociando in aree a forte escursione di marea, presentano una foce a estuario, che rientra profondamente rispetto alla linea di costa perché le correnti di marea allontanano e distribuiscono sui due lati i detriti abbandonati dal corso d'acqua. La morfologia carsica Le forme carsiche superficiali Il carsismo riguarda i territori in cui affiorano rocce calcaree, sulle quali l'acqua piovana, che contiene in soluzione anidride carbonica, esercita una potente azione di dissoluzione . L’erosione carsica dà origine a un paesaggio molto caratteristico, noto come morfologia carsica. Le più caratteristiche forme carsiche superficiali sono le doline, depressioni circolari larghe da pochi metri a qualche centinaio e profonde fino a 20-30 m. Le doline si possono formare per il crollo del tetto di una grotta, ma più frequentemente per la lenta dissoluzione del calcare lungo la fenditura in cui l'acqua scompare nel sottosuolo, denominata inghiottitoio. Talvolta questi sono talmente ampi e profondi da dare luogo a voragini, che nel Carso sono denominate foibe. Se la dissoluzione dei calcari prosegue nel tempo, le doline tendono ad allargarsi fino a fondersi le une con le altre: a queste cavità dal fondo piatto e dai margini irregolari, del diametro di alcune centinaia di metri, si dà il nome di Uvala. Queste, a loro volta, possono ampliarsi e unirsi fra loro, dando luogo a vaste depressioni carsiche, dal fondo pianeggiante e coperto di terra rossa, le polje, al cui interno possono trovare posto piccoli bacini lacustri oppure insediamenti umani. Le forme carsiche sotterranee Le forme carsiche sotterranee consistono nelle grotte, a loro volta distinte in cavità a prevalente sviluppo verticale (pozzi) e a sviluppo suborizzontale (gallerie). Le grotte sono originate dalla circolazione di grandi masse d'acqua nel sottosuolo, resa possibile dalla progressiva dilatazione delle fessure che interessano la roccia. Quando le grotte sono libere dall'acqua, vanno soggette a un continuo stillicidio che scende dalle microfratture del soffitto. Quest'acqua, affacciandosi alla sommità della volta, libera l'anidride carbonica e quindi è costretta a precipitare il carbonato di calcio. Questo si dispone in concrezioni che scendono verso il basso (stalattiti) e che si elevano dal pavimento, dove le gocce d'acqua cadono (stalagmiti). Col tempo le stalattiti e le stalagmiti possono finire per fondersi, dando luogo a colonne . La morfologia glaciale Estrazione ed esarazione I ghiacciai sono uno dei principali agenti modellatori del paesaggio, ma la loro azione si esplicò soprattutto in passato, durante le glaciazioni del Quaternario, quando l'estensione dei ghiacciai continentali era molto superiore a quella attuale. Come ogni altro agente esogeno, i ghiacciai sono dotati di capacità di erosione, di trasporto e di deposito; fra queste risulta particolarmente efficace l'azione di trasporto, poiché i ghiacciai, a differenza dell'acqua e del vento, non selezionano i detriti, ma trasportano tutti i materiali indistintamente, fino a che il ghiaccio non fonde completamente. L’erosione glaciale opera in due modi distinti, definiti come estrazione ed esarazione. L’estrazione consiste nell'asportazione di blocchi di roccia da parte del ghiacciaio in movimento, che poi li ingloba nella sua massa. Questi inclusi, schiacciati dalla pressione del ghiaccio, svolgono a loro volta un'azione, detta esarazione, che può essere paragonata a quella di una lima. Prima di tutto polverizzano parte della roccia su cui scorrono, trasformandola in un materiale finissimo (farina glaciale); inoltre "graffiano" le rocce del substrato, incidendole con numerose strie glaciali. Circhi e valli a U Le calotte e i ghiacciai vallivi operano il modellamento in modo differente. Poiché le calotte hanno un elevato sviluppo areale, esercitano la loro azione in maniera uniforme, levigando e addolcendo la morfologia. Solo ai margini, dove il ghiacciaio principale si sfrangia, l'azione erosiva si fa più incisiva: le lingue di ghiaccio si insinuano nelle vallate, scavandole in maniera profonda. Se in seguito vengono invase dal mare, queste valli si trasformano in fiordi, insenature marine profonde, articolate e delimitate da ripidi versanti. I ghiacciai vallivi, essendo formati da lingue di ghiaccio che si insinuano nelle valli e lasciano scoperti i rilievi, accentuano invece i contrasti morfologici: mentre erodono e arrotondano i fondovalle (valli dal profilo a U), scalzano alla base i rilievi, intagliandoli come creste affilate o isolando speroni rocciosi a forma di corno (il monte Cervino ne rappresenta un tipico esempio). L’azione erosiva risente anche della consistenza delle rocce: se lungo una vallata affiorano rocce tenere, il ghiacciaio incide una conca (ombelico); in caso contrario, lascia emergere un dosso arrotondato denominato soglia. Nella parte più a monte delle vallate alpine, dove il ghiacciaio si forma, la morfologia si configura secondo depressioni tondeggianti, aperte sul versante a valle da una soglia rocciosa. In questi circhi glaciali, come abbiamo visto, le acque di fusione delle nevi spesso ristagnano formando piccoli laghi di circo. I depositi glaciali I depositi di origine glaciale, in cui si mescolano frammenti rocciosi di dimensioni e origine molto differenti, si chiamano tilliti. Queste si depositano nei punti in cui il ghiaccio fonde e comprendono sia le farine glaciali, estremamente fini, sia i massi erratici, blocchi di roccia che il ghiacciaio raccoglie sul suo percorso e trasporta a valle. Le tilliti si dispongono in strutture, chiamate morene, diversificate a seconda della posizione e delle modalità di formazione. Le morene laterali, abbandonate ai fianchi di una lingua glaciale, sono evidenti solo dopo che il ghiaccio si è ritirato. Le morene mediane si formano al centro di un ghiacciaio, nel punto in cui due lingue glaciali confluiscono in una sola. Le morene terminali vengono invece deposte sul fronte del ghiacciaio, là dove il ghiaccio fonde; esse si configurano come collinette disposte ad arco (anfiteatro morenico), che generalmente sbarrano il corso di una valle di escavazione glaciale. Al loro ritiro, i ghiacciai lasciano uno strato di detriti sul fondo della valle in cui scorrevano (morena di fondo), attraverso il quale i corsi d'acqua si fanno strada a fatica, intrecciandosi in numerosi corsi minori e ristagnando in piccoli laghi. Queste acque erodono i materiali morenici, trascinandoli e poi ridepositandoli più a valle, dove la velocità del fiume diminuisce. Si forma in questo modo una piana fluvioglaciale, in cui i detriti glaciali risultano ridistribuiti dalle acque correnti. Gran parte dei sedimenti dell'alta pianura padana sono di questo tipo: in base al grado di alterazione dei ciottoli in essi contenuti, gli studiosi riescono a stabilire in quale periodo interglaciale sono stati depositati. Rifletti e