276-281 Rass. 2-Todisco - Recenti Progressi in Medicina

Vol. 94, N. 5, Maggio 2004
La ventilazione meccanica non invasiva
nell’ insufficienza respiratoria acuta
Tommaso Todisco, Cristiana Todisco
Riassunto. La ventilazione meccanica è la tecnica di respirazione artificiale indispensabile per il trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta. Le metodiche si diversificano notevolmente se si sceglie la procedura tramite intubazione orotracheale oppure se
si procede a quella non invasiva tramite pressione positiva o negativa applicata in maniera integrata. La sede ottimale in cui la ventilazione non invasiva può essere eseguita
è la Unità di Terapia Intensiva Respiratoria dove può avvenire con maggior rigore la decisione se intubare o no il paziente con isufficienza respiratoria.
Parole chiave. Insufficienza respiratoria acuta, insufficienza respiratoria cronica, Unità
di Terapia Intesiva Respiratoria, ventilazione invasiva, ventilazione non invasiva a pressione positiva, ventilazione non invasiva a pressione negativa.
Summary. Noninvasive mechanical ventilation in acute respiratory failure
Mechanical ventilation is the essential treatment for acute respiratory failure. The
methods used differ greatly depending on whether one chooses invasive or noninvasive.
Noninvasive ventilation avoids orotracheal intubation, facilitates weaning and, if negative
pressure ventilation is integrated with positive pressure ventilation, the majority of patients will not need intubated. The ideal setting for mechanical ventilation, where possible,
is the Respiratory Intensive Care Unit.
Key words. Acute respiratory failure, chronic respiratory failure, invasive ventilation,
negative pressure ventilation, positive pressure noninvasive ventilation, Respiratory
Intensive Care Unit.
Introduzione
La ventilazione meccanica (VM) è la tecnica di
respirazione artificiale indispensabile per il trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta
(IRA). La VM alleggerisce o sostituisce completamente il lavoro dei muscoli respiratori mentre
viene instaurata la terapia medica rivolta a correggere la componente reversibile del quadro
etiologico. Fino a qualche anno fa, l’unico collegamento possibile tra il paziente ed il respiratore
(interfaccia) era rappresentato da un tubo orotracheale (TOT) nel paziente sedato (ventilazione
meccanica invasiva, VMI). A causa delle complicanze legate alla presenza del TOT, che è di per sé
un rischio per la sopravvivenza del malato specie
per le difficoltà dello svezzamento, negli ultimi
20 anni si è sviluppata una tecnica di ventilazione meccanica non invasiva (VMNI) applicabile
anche nei reparti di rianimazione. Oggi la VMNI
è indicata in ogni forma e grado di insufficienza
respiratoria, compreso il coma ipercapnico ed è
praticabile in Unità di Terapia Intensiva Respiratoria (UTIR).
La VMNI evita le complicanze del TOT; quelle
durante l’inserzione: intubazione difficile, trauma ai
denti, bocca e faringe, aritmie, ipotensione iatrogena; quelle a causa della presenza del TOT: polmonite associata alla ventilazione meccanica, sinusite,
ridotta clearance mucociliare, impossibilità di parlare, di mangiare e di bere; quelle post-estubazione:
disfunzione delle corde vocali, stenosi tracheale; infine quelle causate dalla sedazione: instabilità emodinamica, ritardo di svezzamento, abolizione della
tosse, ridotta mobilità intestinale (tabella 1).
La VMNI utilizza diversi tipi di respiratori
meccanici: a pressione negativa intermittente
(VPNI) o a pressione positiva continua (Continuous Positive Airway Pressure = CPAP) oppure
a pressione positiva intermittente (PPI con o
senza CPAP) e si pratica in Unità di Terapia Intensiva Respiratoria dove, grazie al monitoraggio continuo, in caso di insuccesso si può procedere alla ventilazione meccanica invasiva.
Il protocollo generale per la VMNI stabilisce i
criteri per: le indicazioni; l’interfaccia (maschere,
ogive nasali, elmetto); scelta e regolazione del ventilatore; interruzione della VMNI.
Struttura Complessa Assistenziale di Pneumologia e UTIR, Ospedale R. Silvestrini, Perugia.
Pervenuto il 7 marzo 2003.
T. Todisco, C. Todisco: La ventilazione meccanica non invasiva nell’isufficienza respiratoria acuta
Tabella 1.Ventilazione meccanica non invasiva: vantaggi, svantaggi e controindicazioni
Vantaggi della VMNI nella IRA
Non è invasiva: facilità di applicazione anche intermittente e facilità di rimozione, agevole per il malato; riduce la necessità di sedazione e di monitoraggio invasivo.
La bocca è libera: è quindi possibile parlare, ingoiare e
fare aerosol terapia. Inoltre è preservata la tosse e viene ridotta la necessità di sondino nasogastrico.
Si evitano le complicazioni del TOT; quelle precoci: locali e da aspirazione, e quelle tardive: danni all’ipofaringe,
laringe e trachea nonché le infezioni nosocomiali.
La ventilazione è efficace a pressioni più basse.
Minore rischio di ritardare la VMI in caso di insuccesso
Svantaggi della VMNI
Sistema: lenta correzione delle anormalità degli scambi
gassosi, maggior tempo iniziale necessario per il sistema, distensione gastrica.
Maschere: perdite aeree, ipossiemia accidentale per casuale rimozione, irritazioni oculari, congestione nasale,
eritema facciale, ulcerazioni della radice nasale, fastidi
per il paziente.
Assenza della via aerea artificiale per aspirare le secrezioni e per agevolare l’esecuzione della broncoscopia.
Controindicazioni assolute della VMNI
Apnea con contrazioni tonico-cloniche, severa ipossiemia (che richiede l’immediata VMI).
Agitazione, mancata cooperazione con necessità di sedazione.
Bradicardia con stato di incoscienza.
Instabilità emodinamica, aritmie potenzialmente fatali,
infarto miocardico.
Coma diverso dalla carbonarcosi, paralisi bulbare, rischio di aspirazione.
Controindicazioni relative
Traumi e deformità facciali o recente chirurgia maxillofacciale ed abbondanti secrezioni.
Obesità patologica > 200% del peso corporeo ideale.
Indicazioni
La causa di IRA più comune è la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), con severa dispnea a riposo; la sindrome da distress respiratorio dell’adulto, con ipossiemia refrattaria a 100%
FiO2 (concentrazione frazionata d’ossigeno nel gas
inspirato) o con PaO2/FiO2 < 200 con severa dispnea a riposo, FR>35 arm, interstiziopatie polmonari, malattie neuromuscolari e della parete toracica. La carbonarcosi rappresenta l’unico coma
trattabile con VMNI. Nei casi più gravi l’insucces-
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so può derivare dalla ipossiemia PaO2/FiO2 <200%
refrattaria, con instabilità emodinamica, edentulia e claustrofobia.
Tra il 1928 e il 1950 si trattarono centinaia di
pazienti con insufficienza respiratoria poliomielitica tramite la ventilazione a pressione negativa
intermittente (VPNI).
Negli USA era allora usato il polmone d’acciaio dei
fratelli Drinker (the iron lung), poi modificato da Emerson e chiamato tank respirator e successivamente universalmente denominato polmone d’acciaio. Nel 1966 Gunella ha realizzato un nuovo tipo di polmone d’acciaio: il
Pulmolife-GSP 7/69, successivamente modificato nei modelli CZ 800, C900 e CA1001 (Coppa).
In seguito furono introdotti altri ventilatori a pressione negativa intermittente quali il poncho wrap (tunica a
pagliaccetto) e la corazza, utilizzati prevalentemente per
il trattamento della insufficienza respiratoria poliomielitica, nello svezzamento della VMNI ed in riabilitazione
respiratoria.
Il poncho consiste in una tuta lavabile, impermeabile, in goretex dal collo ai piedi, e di un guscio rigido sul
quale si sdraia il malato. La tuta viene legata con cintura alle anche. Il motore aspira l’aria contenuta nel sistema e determina una pressione negativa intermittente
con oscillazione intorno a – 60 cm H2O.
Il polmone d’acciaio produce una ventilazione a pressione negativa (subatmosferica) intermittente in fase inspiratoria, con possibilità di applicare una pressione positiva durante la fine della espirazione. Il paziente viene
interamente immesso nel cassone, ad eccezione della testa che rimane all’esterno. Il motore è controllato da un
microprocessore, con fasi regolabili in base al tempo inspiratorio ed espiratorio dal movimento di un pistone a
pompa cilindrica (del tipo pompa di Starling impiegata
dai fisiologi) che produce oscillazioni di pressione all’interno del cassone ad andamento sinusoidale. Due fughe
d’aria, regolate da valvole inspiratoria ed espiratoria, modificano in regime sinusoidale – a seconda delle regolazioni volute – i livelli pressori desiderati. Il polmone d’acciaio è dotato di oblò e di buchi a tenuta che permettono
di introdurre le mani o i tubi per le fleboclisi, cavi di monitoraggio e cateteri. La testa del paziente è adagiata al
di fuori del box ed appoggiata sul guanciale. La pressione
negativa/positiva supera 800 mmH2O e la durata della fase inspiratoria può variare da 0,4 a 6 sec. Anche la durata della fase espiratoria può essere impostata tra 0,4-6
sec. e può essere variata al bisogno in rapporto al tipo di
malattia. La pausa di fine inspirazione/espirazione è dovuta ad un effettivo arresto del motore e può essere regolata 0,3-1,9 sec; e la sua regolazione consente di variare la
FR; un monitor indica sia la frequenza respiratoria che le
curve di pressione in/espiratorie all’interno del box che è
dotato di riscaldamento e di illuminazione.
La VPNI asseconda il normale meccanismo della ventilazione, che può essere attivato da un trigger a flusso
applicato alle narici del paziente. La ventilazione negativa esterna riproduce molto da vicino la respirazione fisiologica con la differenza che la pompa toraco-polmonare lavora “ sotto vuoto” (un po’ come in fisiologia spaziale).Osservando il corpo del malato inserito nel polmone
d’acciaio funzionante si nota come nella fase inspiratoria
si verifica un marcato sollevamento del torace e dell’addome mentre la testa viene risucchiata verso l’interno del
box, pur rimanendo bloccata all’esterno dal collare a tenuta di pressione. Si notano anche significative ripercussioni emodinamiche.
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Oltre che nella insufficienza respiratoria secondaria a broncopneumopatia cronica ostruttiva,
la VPNI è indicata nelle malattie neuromuscolari
restrittive ed in vari tipi di paralisi del frenico.
LA VENTILAZIONE
A PRESSIONE POSITIVA INTERMITTENTE
Il percorso del malato con IRA prevede l’arrivo
al Pronto Soccorso dove viene posta la diagnosi di
insufficienza respiratoria. Da questo momento inizia la verifica dell’indicazione alla ventilazione
meccanica non invasiva. Se disponibile, conviene
iniziare, come prima scelta, con il polmone d’acciaio e, se questo si rivela inefficace o controindicato entro le prime 2 ore di trattamento, si passa
alla ventilazione a pressione positiva intermittente (VPPI) in maschera facciale.
L’uso integrato della VPNI e della VPPI offre
alcune possibilità in più per identificare con chiarezza il paziente eventualmente destinato alla
ventilazione meccanica invasiva.
La maschera facciale od oronasale, meno tollerata specie dai pazienti vigili, consente di ridurre
le perdite d’aria e può essere utilizzata con volumi correnti relativamente bassi valutabili intorno
a 5-7 ml/kg . Questo tipo di maschera ha lo svantaggio di aumentare la spazio morto respiratorio
e causa alcuni problemi legati a difficoltà nella
eliminazione delle secrezioni e nella assistenza al
malato.
I migliori risultati si ottengono con maschere
dotate di fissaggio laterale rispetto a quelle con
fissaggio anteriore, poiché le prime danneggiano
meno il volto e offrono una tenuta maggiore. A tutto il 2003, numerosi studi eseguiti su centinaia di
malati hanno dimostrato che la VMNI, utilizzando questo tipo di maschere con ventilatori volumetrici, presenta una percentuale di successi
dell’80%.
Interfaccia
La posizione della testa sul letto a 35°. Scegliere la
maschera della corretta misura; evitare, se possibile, il
sondino nasograstrico.
La maschera nasale offre un piccolo spazio morto
(105 vs 250 ml); minore claustrofobia (rara); minimizza
il vomito, permette di eseguire aerosol terapia, di parlare, bere, mangiare e consente di interrompere volontariamente la ventilazione aprendo la bocca. Controlla la
aerofagia, le perdite aeree ed è meno indicata in corso di
IRA ipossiemica. Un’alternativa alla maschera nasale
sono le ogive nasali.
L’elmetto (o casco) consente di superare alcune limitazioni delle maschere, specie in paziente incosciente e scarsamente collaborante; permette di praticare sia la CPAP che la sola ossigenoterapia. È una
tecnica applicabile in Reparti di Medicina Generale
ma richiede attenta assistenza infermieristica.
Consiste nel collegamento del paziente al ventilatore, tramite maschera.
Scelta e regolazione del ventilatore
La storia della VPPI inizia e coincide con l’introduzione, negli anni 80, delle maschere nasali
utilizzate per la ventilazione meccanica a pressione positiva continua per il trattamento delle apnee
ostruttive nel sonno.
Le stesse maschere vennero usate per collegare i pazienti ai ventilatori a pressione positiva intermittente, ciclati a pressione-pressometrici od a
volume-volumetrici.
Si deve illustrare la tecnica e rassicurare il paziente. Scegliere all’inizio una maschera facciale.
Mantenere la maschera in situ manualmente fino
a che il paziente non stia comodo e non sia ben sincronizzato con il ventilatore. Assicurarsi che la maschera non stringa troppo, proteggere la pelle con
adesivi per evitare abrasioni e necrosi della radice
del naso. Assicurarsi che due dita possano passare
sotto gli elastici, così che si possa esalare una piccola quantità di aria attraverso la maschera.
Fermamente ma non rigidamente applicate al viso per mezzo di elastici che circondano la testa, le
maschere facciali permettono alte pressioni di ventilazione con minori perdite e consentono la respirazione orale con meno disagio per il paziente cui è richiesta una minore cooperazione. Gli svantaggi consistono nel causare maggior fastidio, impedire la
comunicazione e l’introduzione di cibo per via orale.
Le maschere nasali richiedono pervietà del naso e bocca chiusa per minimizzare le perdite, ma
nel complesso vengono meglio tollerate. I principali inconvenienti sono le lesioni cutanee a carico
del naso (in parte evitabili con meccanismi protettivi), le perdite d’aria dirette alle regioni oculari, la
apertura della bocca che può ridurre l’efficacia della ventilazione meccanica.
La VMNI richiede la regolazione dei ventilatori a pressione positiva intermittente (PPI) secondo la seguente procedura, applicabile a tutti i pazienti con IRA dovuta a broncopneumopatia
ostruttiva acuta o cronica riacutizzata.
– IPPV (Intermittent Pressure Ventilation) ciclato a
volume, è un ventilatore che eroga un volume corrente
prestabilito per ogni atto respiratorio in modalità assistita/controllata con alto picco di flusso 80-90 L/sec, limite di
pressione 30-40 cmH2O e volume corrente regolato secondo le caratteristiche antropometriche. Le pressioni inspiratorie possono variare. Secondo la modalità di classificazione tradizionale dell’assistenza ventilatoria, il menu
contempla la ventilazione controllata, in cui il ventilatore inizia e termina l’atto respiratorio e così il lavoro respiratorio è svolto tutto dal ventilatore. In questo caso la
ventilazione è variabile e ciclata in base a determinati
valori di pressione, di volume o di flusso respiratorio.
Una più recente classificazione delle modalità
di ventilazione prevede:
– Ventilazione a supporto totale: il ventilatore sostiene tutto il lavoro ventilatorio.
– Ventilazione a supporto parziale od assistita: il
ventilatore ed il paziente contribuiscono entrambi al lavoro respiratorio.
T. Todisco, C. Todisco: La ventilazione meccanica non invasiva nell’isufficienza respiratoria acuta
I vantaggi del supporto totale prevedono l’abolizione
del lavoro muscolare respiratorio, il mantenimento del
volume/minuto predeterminato e lo studio della meccanica respiratoria. Gli svantaggi consistono nella sedazione e miorisoluzione, insorgenza di atrofia muscolare
da non uso e possibile sviluppo di atelettasie. Le indicazioni al supporto totale sono IRA ed IRAC. Sistemata la
maschera, si procede a aumentare progressivamente
la pressione positiva continua (CPAP) fino a 5 cmH2O e
si aumenta la ventilazione a supporto parziale fino a
7ml/kg per ottenere il più alto volume espiratorio ad una
FR<25 rpm. Negli ultimi tipi di ventilatori le perdite aeree possono essere compensate automaticamente. In alcuni pazienti, la VMNI con maschera viene eseguita in
maniera flessibile durante il giorno e la notte. La presenza accanto al malato di un familiare, di un fisioterapista, di uno psicologo e di infermieri specializzati è utile per aggiustare la maschera e valutare gli allarmi del
ventilatore e rassicurare il malato.
Nella ventilazione a pressione controllata (PCV: Pressure Controlled Ventilation), l’operatore imposta il livello di pressione inspiratoria, la FR ed il tempo inspiratorio da cui derivano la pressione controllata, il ciclaggio a
tempo eseguito dalla macchina. Questo tipo di supporto
ventilatorio è indicato nei pazienti con ipoventilazione
centrale. In confronto alla ventilazione ciclata a volume,
la ventilazione limitata dalla pressione minimizza il picco di pressione all’interno della maschera e le perdite aeree. Benché il volume corrente possa variare in funzione
della variazione della resistenza delle vie respiratorie al
passaggio dell’aria e della compliance, tale varianza è di
scarso interesse clinico. Il rischio è l’ipoventilazione. L’operatore imposta parametri appropriati di VPPI o di
PCV e di pressione positiva al termine dell’inspirazione,
da cui derivano volume e pressione controllata, ciclaggio
a tempo ed attivazione automatica da parte della macchina. L’ossigenazione migliora poiché viene reclutato
maggior spazio alveolare con conseguente omogeneità
del rapporto V/Q.
– La SIMV (Synchronized Intermittent Mandatory
Ventilation) prevede che l’operatore imposti il volume
corrente e la pressione inspiratoria, la FR ed il rapporto
I/E. Ne deriva un controllo di pressione o di volume, ciclato a tempo, attivato dalla macchina o dal paziente
(trigger) e limitato dalla pressione. I rischi sono l’eccessivo lavoro respiratorio.
– La MMV (Minute Mandatory Ventilation) prevede
un volume minuto garantito e funziona con un supporto
di pressione variabile pressometrico od anche volumetrico definito in base ad algoritmi specifici. Il beneficio
principale è la maggior integrazione paziente-ventilatore. Il rischio è la ipoventilazione alveolare.
– La BiPAP (Bi-level Positive Airway Pressure) prevede che l’operatore imposti la pressione positiva inspiratoria ed espiratoria e la FR. Ne deriva così un ventilatore controllato a pressione, ciclato a flusso innescato
dalla macchina con un rapporto controllato con indicazione nella sindrome da distress respiratorio dell’adulto
e nell’apnea ostruttiva nel sonno.
– CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) è costituito da un generatore di flusso ad alta pressione
(compressore) ed è applicabile in pazienti con respiro
spontaneo. La CPAP determina un reclutamento di
unità fisiologiche respiratorie con aumento del rapporto
ventilazione/perfusione, riduzione della pressione transdiaframmatica e delle resistenze delle vie aeree. La
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pressione richiesta è di circa 5-10 cmH2O. La CPAP viene regolata all’inizio a circa 5 cmH2O; si passa quindi ad
aumentare la PSV per ottenere un VC > 7 ml/kg ed una
FR < 25 bpm. Verificare il rilassamento dello sternocleidomastoideo tramite la palpazione.
– PEEP (Positive End Expiratory Pressure) Bi-Level. I moderni ventilatori per terapia intensiva forniscono anche una ventilazione a pressione positiva inspiratoria bifasica alternando ad intervalli fissi due pressioni e permettendo respiri liberi ad entrambi i livelli.
– PSV. Durante la Pressure Support Ventilation è lo
sforzo inspiratorio del paziente che determina il flusso
ed il volume abbassando la pressione del circuito del
ventilatore al raggiungimento di un determinato valore
di pressione inspiratoria, usualmente di 1-2 cmH2O e
provvede ad una assistenza inspiratoria oltre la soglia
prefissata. Il ventilatore è dunque attivato dal respiro
spontaneo del paziente e cicla (interrompe il flusso inspiratorio ed inizia la fase espiratoria) l’espirazione
quando percepisce una riduzione del flusso inspiratorio
al di sotto del valore-soglia oppure ad un tempo prefissato. L’assistenza ventilatoria serve per superare le resistenze respiratorie e sostenere il lavoro dei muscoli. Il
volume corrente è influenzato dalla compliance ed il paziente controlla la FR, il tempo d’inspirazione, il flusso
inspiratorio ed il volume corrente.
– PAV (Proportional Assisted Ventilation). Il ventilatore genera volume e pressione in proporzione allo
sforzo del paziente, facilitando il profilo respiratorio indotto dalla domanda metabolica di respiro in respiro . La
PAV può ottimizzare l’interazione ventilatore-paziente
spostando la responsabilità di controllare il modello respiratorio dall’assistente sanitario al paziente. Fino ad
oggi non esistono dati specifici per raccomandare l’uso
della PAV. L’operatore imposta la flow assist (FA) e volume assist (VA). Si realizza così un ventilatore ciclato a
pressione ed innescato dal paziente. Il supporto proporzionale allo sforzo inspiratorio riduce il picco inspiratorio, il rischio barotraumatico ed rischio di accanimento
terapeutico. Problemi possono derivare dalla difficoltà di
impostazione FA e VA, dalla ventilazione minima non
garantita e da perdite aeree e scomodità.
Le modalità di ventilazione illustrate sono numerose ed efficaci ma difficilmente controllabili
comparativamente. La ricerca della miglior comodità del paziente rappresenta un elemento fondamentale nella scelta della tecnica ventilatoria non
invasiva.
Il respiro spontaneo può essere assistito con la
ventilazione a supporto di volume, una modalità
per cui il ventilatore aggiusta la pressione inspiratoria per erogare un volume corrente predeterminato in risposta ad uno sforzo inspiratorio. Nella modalità pressometrica ciclata a tempo tali
equilibri sono assicurati.
Durante la ventilazione in modalità assistita i
sensori a rapida risposta diminuiscono il lavoro della respirazione ed aumentano la sincronia paziente-ventilatore. Fino ad oggi i sistemi attivati dal
flusso sembrano superiori a quelli attivati dal trigger di pressione inserito nel circuito del sistema.
La ventilazione meccanica non invasiva, non è
gravata dall’alta mortalità compresa tra il 20% ed
il 40% tipica della VMI nei pazienti con BPCO.
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(È stato calcolato che per ogni giorno d’intubazione c’è un rischio dell’1% di contrarre una
polmonite). Inoltre le difficoltà di svezzamento
ed il ricorso alla tracheostomia che si riscontrano nella BPCO dopo ventilazione meccanica invasiva sono molto meno frequenti nella non invasiva.
Elementi predittivi di successo
della ventilazione meccanica non invasiva
Gravità moderata della patologia di base, cooperazione e buon livello di coscienza, coordinamento con il ventilatore, assenza di edentulia, acidemia non inferiore a pH 7,00 con miglioramento
degli scambi gassosi e cardiorespiratori entro le
prime 2 ore di ventilazione.
Lo svezzamento dal ventilatore
Lo svezzamento (weaning) dalla VMNI o dalla
VMI è una decisione clinica che si fonda sull’esperienza e deve anche considerare la determinazione
del paziente, non sedato, ad interrompere l’assistenza ventilatoria, dato che oltre il 40% dei pazienti che si stubano accidentalmente o volontariamente non richiede ulteriore VM.
Si comincia con il ridurre il supporto di pressione a 5 cmH2O o di volume in accordo con il grado di miglioramento clinico aumentando progressivamente il periodo di respiro spontaneo. Altro
metodo suggerisce di portare la ventilazione a
supporto parziale 8 cmH2O per 8 ore oppure la
ventilazione a pressione positiva continua + O2
per 10 ore seguìte da respirazione spontanea in
ossigenoterapia a lungo termine con follow up per
48 ore.
Il rischio sta nella precoce interruzione della
ventilazione assistita. Considerati i buoni risultati ottenuti con la ventilazione meccanica non invasiva nel trattamento della IRA, alcuni AA hanno
utilizzato con successo questa modalità di ventilazione per il weaning di pazienti intubati o per evitare la re-intubazione. In alcuni casi, in pazienti
tracheostomizzati si utilizza la VMNI per chiudere la tracheostomia senza pericolo di ridurre l’assistenza ventilatoria.
La metodica si è dimostrata utile anche nel periodo post-operatorio in cardiochirurgia. Lo svezzamento avviene in un tempo minore rispetto a
quello necessario nella VMI, specie in pazienti con
BPCO e può essere eseguito utilizzando la ventilazione volumetrica o pressometrica. Si procede al
weaning quando vi è un buon stato di coscienza e
non vi è agitazione o confusione, la FR<30 rpm, la
PaO2>75 con FIO2<0,5 pH>7.35 e senza dispnea,
aritmie, ipotensione ed in assenza di farmaci vasoattivi.
Avvenuto il distacco, si tiene in osservazione
per 48 ore il paziente.
Lo svezzamento viene condotto in UTIR dove,
in caso di insuccesso, sono presenti le opportunità di supporto ventilatorio in qualsiasi momento e con diverse metodiche. Esso deve essere iniziato precocemente ed attuato tenendo a disposizione i ventilatori piccoli e portatili, nel caso
debba essere organizzata una assistenza domiciliare con supporto ventilatorio ed ossigenoterapia a lungo termine, specie per quei malati che rifiutano il ricovero ulteriore in UTIR e che chiedono di essere assistiti (ma solo in situazioni meno
impegnative).
Elementi predittivi di insuccesso
e controindicazioni
Cause di insuccesso sono: asincronia pazienteventilatore, inadeguata interfaccia e scomodità,
perdite di aria, errata impostazione ed agitazione
del paziente.
Le controindicazioni alla ventilazione meccanica non invasiva possono essere classificate in
(1) assolute: ipossiemia refrattaria, impossibilità
di mantenere PaO2> 65 mmHg con FIO2> 0,6; arresto respiratorio con indicazione alla immediata
intubazione orotracheale, polmonite alla radiografia del torace, instabilità emodinamica,insufficienza multiorganica, coma diverso dalla carbonarcosi, attacchi epilettici, intolleranza alla maschera, PNX, malnutrizione,trauma nasale,
vomito, meteorismo; e (2) relative: tracheomalacia, instabilità delle vie aeree superiori, rischio di
inalazione, malattie neurologiche e paziente non
collaborante.
Quando la VPNI è controindicata o non praticabile, l’utilizzo della VPPI in maschera nasale o
facciale può prevenire l’intubazione con il vantaggio di ridurre la mortalità associata al barotrauma.
Sono auspicabili ulteriori studi per comprendere meglio la fisiopatologia di alcuni aspetti della VMNI. Inoltre il tentativo iniziale di ventilare
con metodo non invasivo permette di identificare
con maggiore certezza i veri candidati all’intubazione e, quindi, alla ventilazione invasiva.
Conclusioni
La sede ottimale in cui la VMNI può essere eseguita è la UTIR e non può prescindere dall’esperienza dello staff e della disponibilità di risorse
(numero e tipo dei letti, monitoraggio e dotazione
tecnica).
La selezione dei pazienti candidati alla VMNI
si basa su di una iniziale valutazione e/o risposta
ad un tentativo terapeutico a breve termine, a condizione che durante tale periodo, in genere 2 ore,
venga eseguita la ventilazione con possibilità di
integrare i diversi tipi di ventilatori sia a pressione negativa che positiva. Per far ciò si richiedono
decisioni rapide, personale esperto ed adeguato
monitoraggio onde evitare ritardi allorché, in caso
di insuccesso, si sia costretti ad adottare la VMI.
La VMNI, dopo la risoluzione della IRA, diventa spesso una terapia a lungo termine domiciliare,
T. Todisco, C. Todisco: La ventilazione meccanica non invasiva nell’isufficienza respiratoria acuta
come la ossigenoterapia in pazienti con insufficienza respiratoria cronica . Da questo punto di vista, la VMNI può essere considerata un anello di
congiunzione tra l’UTIR e la terapia domiciliare
respiratoria.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Tommaso Todisco
Ospedale R. Silvestrini
Struttura Complessa Assistenziale
di Pneumologia e UTIR
Via Dottori, 1
06132 Perugia
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