palcoscenico e foyer Numero 43 - ottobre 2015 / febbraio 2016 La “follia” di Minetti è il destino dell’attore Il 13 ottobre al Duse va in scena la commedia di Thomas Bernhard, con Eros Pagni protagonista. Regia di Marco Sciaccaluga Angelo Pastore (continua a pagina 12) La Corte si apre il 20 ottobre con Anton Cechov Coprodotto dallo Stabile di Genova e dal Teatro Due di Parma, lo spettacolo è diretto e interpretato da Filippo Dini, al cui fianco recita una compagnia composta quasi tutta da attori formatisi alla scuola dello Stabile genovese. Versione italiana di Danilo Macrì. Una commedia attraversata dai fremiti di una giovanile emotività, da un latente erotismo e dalla drammatica brutalità di una sempre presente pulsione di morte. Repliche sino al 1° novembre, poi in tournée. Finalmente si comincia Dopo molti mesi di lavoro intenso e accurata preparazione, finalmente si apre il sipario sulla stagione 2015/2016. Una stagione i cui segnali di novità sono cominciati già questa estate, con l’anticipo a giugno della presentazione del cartellone e con la conseguente campagna abbonamenti: una prassi che mi pare sia stata gradita e che verrà consolidata nei prossimi anni. Sono otto le nostre produzioni (Minetti, Ivanov, Le prénom, George Dandin, Bésame mucho, Demoni, Intrigo e amore, Macbeth Remix) per un totale di 118 recite, a cui si aggiungono venti spettacoli ospiti con 108 recite; un cartellone pensato con passione, che spazia dal repertorio classico alla drammaturgia contemporanea, e la cui linea identitaria è essenzialmente quella della scelta di bravi attori e di testi non banali. Le nuove tipologie di abbonamenti e di prenotazioni che quest’anno proponiamo sono state pensate per agevolare il più possibile il rapporto fra voi, nostri spettatori, e noi teatro, e sono un invito per tutti coloro che frequentano solo sporadicamente le nostre sale: provate, è facile! Anche l’introduzione dell’orario di inizio spettacolo alle 19.30 il giovedì sera rientra in questa volontà di rendere a tutti il più semplice possibile venire a teatro e lasciarsi affascinare da questa arte che cattura e seduce. Gli incontri programmati nel foyer del Teatro della Corte con i protagonisti della stagione potranno inoltre dare chiavi di lettura e suggestioni interpretative. La campagna abbonamenti è ancora in corso, e lo sarà anche nei prossimi mesi; i dati di vendita ad oggi sono confortanti e sono certo che verranno consolidati e incrementati (posso assicurare che per capienza delle sale e numero di recite programmate non ci saranno problemi nel trovare posto!). Ivanov La prima produzione stagionale dello Stabile di Genova è un classico del teatro contemporaneo diretto da Marco Sciaccaluga e interpretato da Eros Pagni, al cui fianco sono Federica Granata, Marco Avogadro, Nicolò Giacalone, Giovanni Annaloro, Mario Cangiano, Marco De Gaudio, Roxana Doran, Daniela Duchi, Michele Maccaroni, Daniele Madeddu, Sarah Paone, Francesco Russo, Emauele Vito. Versione italiana di Umberto Gandini. Scene e costumi di Catherine Rankl, musiche di Andrea Nicolini, luci di Sandro Sussi. Ritratto di un artista da vecchio: il più grande attore tedesco del dopoguerra, Bernhard Minetti, presta il proprio nome alla commedia scritta nel 1977 dall’austriaco Thomas Bernhard. Nella notte di Capodanno, in attesa di chi gli ha offerto di ritornare sulla scena nel ruolo di Re Lear, il protagonista s’interroga – nella hall di un albergo di Ostenda – sull’arte dell’attore come riflesso di un mondo grottesco, assediato da una metaforica tempesta di neve. Tra il comico e il tragico, Bernhard intreccia la realtà con la sua trasfigurazione poetica. anteprima Le prénom George (Cena tra amici) Dandin al Duse dal 21/11 al 6/12 alla Corte dal 24/11 al 6/12 Bésame mucho al Duse dal 10 al 16 dicembre in tournée da gennaio Incoronato dal premio le “Maschere del Teatro” assegnato come migliore attore protagonista a Eros Pagni, lo spettacolo, scritto da Eduardo De Filippo e messo in scena da Marco Sciaccaluga per lo Stabile di Genova, va in tournée per il secondo anno consecutivo. Un classico di Molière per l’interpretazione di Tullio Solenghi. Regia di Massimo Mesciulam, con Gennaro Apicella, Maria Basile Scarpetta, Massimo Cagnina, Angela Ciaburri, Daniele Madeddu, Barbara Moselli, Alex Sassatelli. Versione italiana di Valerio Magrelli. La commedia dei francesi Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière tradotta da Fausto Paravidino e diretta da Antonio Zavatteri, con Alessia Giuliani, Alberto Giusta, Davide Lorino, Aldo Ottobrino e Gisella Szaniszlò. Una generazione alla ricerca di se stessa. Il sindaco del rione Sanità Il pensiero e la poesia di Edoardo Sanguineti nel bar della stazione in un ipotetico Aldilà. Pino Petruzzelli (anche autore con Giuliano Galletta) dirige e interpreta un affettuoso e inventivo omaggio al grande intellettuale genovese. Con Mauro Pirovano e Alice Giroldini. 1 Minetti Ritratto di un artista da vecchio Eros Pagni protagonista della commedia di Thomas Bernhard che pone l’attore al centro del mondo. La scrittura drammatica come rimedio all’incomprensibilità della esistenza umana e il teatro come estrema difesa contro la morte In Minetti, come in quasi tutte le opere drammaturgiche di Thomas Bernhard, «la teatralità risulta essere un rimedio esistenziale, l’estrema, anche se contraddittoria difesa contro la morte», annota Eugenio Bernardi nella prefazione al terzo volume del teatro di Bernhard edito da Ubulibri e ora ripubblicato da Einaudi. «È a questo punto infatti che la riflessione del suo teatro, attinta del resto a testi classici (Diderot, Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Artaud vengono esplicitamente citati come punti nodali entro cui si muove il pensiero creativo di Bernhard), s’incontra con la tradizione sostanzialmente barocca che presiede allo sviluppo del teatro austriaco anche moderno (si pensi a Hoffmannsthal, per esempio) e che investe il progetto estetico con una forte pressione etica. L’artificio perde cioè la sua spinta liberatoria ed esaltante e raggela nel momento in cui lo si confronta con la vita, la quale gli sfugge totalmente ed è vista come tumultuosa, inafferrabile e feroce al pari della natura, contro cui le costruzioni dell’intelligenza (siano esse filosofiche, artistiche, scientifiche) non possono che fallire. Il teatro, come l’intende l’attore di nome 2 palcoscenico e foyer Minetti nella pièce omonima, può aspirare alla verità solo se arriva a rappresentare la propria artificiosità di costruzione intellettuale, se arriva cioè ad autodistruggersi. Minetti sogna una pièce che duri un attimo solo, quanto basta per apparire e scomparire, cancellando d’un solo tratto e trascinando nel buio la storia dell’uomo come storia di gesti impotenti». Quello di Bernhard è, dunque, «un teatro provocatorio, ben aldilà di quanto poteva esserlo quello politico-contestativo che si usava mettere in scena negli anni in cui Bernhard scriveva Minetti. Un teatro al limite, di cui si può parlare solo come di un’utopia. Che l’attore di nome Minetti sia riuscito o no a realizzarlo trent’anni prima, non conta. Conta che quella esperienza (effettiva o solo immaginaria) segni il momento del suo rifiuto definitivo di mettere in scena, come direttore di teatro, il repertorio classico, il rifiuto di fingere cioè una conciliazione producendo un’azione teatrale in cui, come in uno specchio o in un punto focale (la grande ambizione goethiana), i dispersi frammenti della realtà come noi la percepiamo, si ricompongano in unità. In Bernhard lo specchio che il teatro continua a voler essere, riflette la realtà come essa è, non pretende di suggerire vie d’uscita, non vuole alimentare illusioni». In Minetti – prosegue Bernardi – «Bernhard concentra la sua attenzione su quella figura di interpreteesecutore-attore che è al centro di tutta l’impalcatura della sua opera e di cui egli ora, riducendo al massimo i termini della rappresentazione, rimette in gioco il senso, indicando in un modello essenziale quella contraddizione tra mimetica e riflessione che la contraddistingue e la sostiene. D’altra parte, poiché queste strutture drammatiche ridottissime toccano il nocciolo dell’opera complessiva, su di essa affluiscono ricordi e allusioni di altri testi, esse richiamano spunti lontani, ammiccano al lettore/spettatore attraverso il gioco delle variazioni. E tanto più gli ammiccano, visto che nascono riferendosi direttamente a un attore ben noto, per cui la ricognizione perde la sua iniziale impostazione astratta e diventa lo schema di una partitura che attende di essere eseguita. Un paragone con Beckett, soprattutto l’ultimo Beckett, farebbe rilevare quanta euforia e fiducia vi sia in questa pièce di Bernhard, in aperta contraddizione con le premesse che condannano come illusorio ogni tentativo di dare un senso all’esistenza e una veridicità alla parola, Qui invece Minetti arriva ad affermare che “a volte disponiamo di tutto”, o a recuperare un momento in cui “la parola pronunciata crea intorno a sé il silenzio”». Bernhard e il senso del nostro tempo L’opera di Thomas Bernhard rappresenta la più potente e drastica domanda di senso del nostro tempo, così estrema da porre perfino se stessa in discussione, incontrando conseguentemente la tensione essenziale che si produce nell’esercizio del linguaggio che fa di se stesso il suo principale e più tormentoso problema. La domanda di Thomas Bernhard finisce così per attorcigliarsi lungo la spirale espressiva nella quale senso e non-senso, verità e menzogna, realtà e finzione risultano inestricabilmente intrecciati, come dannati compagni di viaggio di un’ossessione mortale. L’istanza radicale costituita dalla scrittura di Thomas Bernhard nasce da uno stato di perfetta indifferenza rispetto alle gerarchie di valore secondo le quali la cultura ordinariamente distingue e discrimina le esistenze degli uomini in base a valori più elevati o supremi, secondo l’alto e il basso. La scrittura di Thomas Bernhard è il compimento di una disciplina etica interiore che eguaglia tutte le esistenze degli uomini, qualunque cosa essi facciano o perseguano, di fronte al giuoco crudele di una natura contro la quale gli uomini si battono, si battono per la durata di una vita, per poi prima o dopo fatalmente soccombere perché la natura alla fine è più potente di ogni loro sforzo. Aldo Giorgio Gargani (dalla prefazione di La frase infinita) La maschera di Lear Conversazione con il regista dello spettacolo che inaugura al Duse la stagione del Teatro Stabile Che rapporto c’è tra l’attore Bernhard Minetti e il personaggio Minetti della commedia di Thomas Bernhard, di cui Minetti attore fu il primo interprete? Non si tratta sicuramente di una biografia. Anzi, il Minetti uomo e il Minetti personaggio hanno un destino radicalmente diverso. E questo ribaltamento a me sembra una straordinaria riflessione sul destino umano, il quale ha fatto del primo un meraviglioso attore che per tutta la vita ha ottenuto successo e tutti i maggiori riconoscimenti possibili; mentre ha fatto dell’altro un perdente che vive l’inesorabile caduta nell’abisso della follia e della solitudine, precipitando nell’epilogo del suicidio sotto la neve e lasciando di sé solo l’immagine mitica della maschera di Re Lear, indossata, infine e per l’ultima volta, prima di morire. Un diffuso pregiudizio presenta Thomas Bernhard come un drammaturgo difficile, per pochi, autore di opere in cui non accade nulla. Un pregiudizio che c’è soprattutto in Italia, perché nel mondo germanico Bernhard è un autore molto amato e molto rappresentato: amato soprattutto dagli attori, che non solo intuiscono nelle sue commedie un vero atto d’amore per il loro lavoro, ma colgono subito la specificità della sua scrittura drammaturgica, la quale è sempre molto concreta, mai astratta e intellettualistica. Bernhard ama l’attore perché gli interessa vedere degli esseri umani sul palcoscenico che si confrontano con altri esseri umani in platea. Nel suo teatro, l’uomo occupa il ruolo centrale. Quello di Bernhard è sempre un uomo concreto, con i suoi comportamenti, le sue fragilità e le sue nevrosi, anche con la sua ideologia. In Minetti, come in tutto il teatro di Bernhard non c’è mai nulla di didascalico, tutto è straordinariamente antipsicologico, anche se la sua scrittura entra nella psiche umana, con la voracità maniacale di un folle chirurgo che seziona il cervello della sua creatura. umana è al trenta per cento verbale e per il resto analogica, per questo è come se dicesse ai suoi interpreti: io scrivo un terzo del testo e mi limito a farvi intuire il resto; sta a voi risolvere l’enigma dell’esistenza dei personaggi. E tra gli indizi interpretativi Bernhard, come del resto già Beckett, usa le didascalie che vanno prese alla lettera, perché non si limitano a indicare uno stato, a dire “si potrebbe fare così”, ma sono proprio delle precise indicazioni per l’azione da compiere. Nel teatro di Bernhard, e in particolare di Minetti, qual è il rapporto tra letteratura e scrittura drammatica? Sino a che punto Minetti è un monologo? Alla prima lettura, la scrittura di Bernhard appare indubbiamente ostica, ma forse che non è ostico leggere per la prima volta il vero teatro, leggere il Re Lear? Bernhard complica le cose, però, scrivendo in versi e senza punteggiatura. Non è il solo a farlo tra i contemporanei, ma lui costringe così l’interprete (lettore, regista, attore, ecc.) a una grandissima responsabilità. È l’interprete che deve scegliere la chiave di lettura. Anche se poi, lavorando sul testo, si scopre nella scrittura di Bernhard una punteggiatura segreta, che è inevitabilmente quella del senso. L’interprete onesto, disposto ad ascoltare veramente la voce dell’autore, si accorge ben presto che non è lui ad attribuire un senso alle parole scritte, ma che il senso è già necessariamente contenuto nella scrittura. Bernhard è un drammaturgo che prende alla lettera una delle grandi questioni del teatro. Egli sa che la comunicazione Se si contano le battute attribuite agli attori, può apparire anche tale, ma assolutamente non è un monologo. I piani d’ascolto, la presenza fisica degli interlocutori, le relazioni tra i personaggi hanno la stessa importanza delle molte parole che dice il protagonista. La struttura di Minetti è di fatto sempre dialogica, anche quando il protagonista allude direttamente al pubblico che egli considera il suo grande nemico, colui che ha decretato la rovina della sua vita e contro il quale egli teorizza che debba sempre recitare un vero attore, mettendolo a disagio e inquietandolo. Nella follia in maschera del Capodanno, Minetti si rivolge soprattutto a due donne di diversa età, perché? Il portiere e il facchino sono di fatto esemplari di quella forma degradata di umanità che egli detesta, quella che ha fatto del divertimento e della superficialità il suo scopo principale, quella che non capisce la follia dell’arte e che considera i classici come una moda da grande magazzino. Nelle donne, invece, Minetti vede almeno il fantasma della possibilità di essere capito. Entrambe le donne sono allo stesso tempo incuriosite e spaventate dalla sua fragilità che percepiscono inconsciamente. La signora in rosso rispecchia in lui la propria solitudine, la ragazza invece condivide con Minetti lo stato dell’attesa e lentamente stabilisce con lui un rapporto di curiosità e di simpatia, giungendo sino al punto di lasciar intravvedere nel loro rapporto il fantasma di quello esistente tra Cordelia e la Qui sopra Eros Pagni con Federica Granata e con Daniela Duchi. Nella pagina precedente: sopra, Eros Pagni; sotto Eros Pagni e Daniela Duchi circondati dalle follia di Re Lear. Maschere. In prima pagina Eros Pagni con Federica Granata, Marco Avogadro e Nicolò Giacalone (foto di Bepi Caroli) a cura di Aldo Viganò Minetti di Thomas Bernhard personaggi e interpreti Minetti, attore drammatico Una signora Portiere Facchino Una ragazza L’innamorato della ragazza Un vecchio che zoppica Una vecchia coppia di coniugi Una scimmietta Un ubriaco Uno storpio Un cameriere Persone in maschera scene e costumi progetto e realizzazione maschere musiche luci versione italiana regia Eros Pagni Federica Granata Marco Avogadro Nicolò Giacalone Daniela Duchi Marco De Gaudio Maurizio Taverna Daniela Duchi Michele Maccaroni Daniele Madeddu Francesco Russo Michele Maccaroni Daniele Madeddu Giovanni Annaloro Mario Cangiano Maria Angela Cerruti Marco De Gaudio Roxana Doran Daniela Duchi Michele Maccaroni Sarah Paone Francesco Russo Emanuele Vito Catherine Rankl Bruna Calvaresi Andrea Nicolini Sandro Sussi Umberto Gandini Marco Sciaccaluga Teatro Duse dal 13 ottobre al 1° novembre L’attore venditore di anime Tutti i personaggi che ho interpretato, tutte le mie creature (ormai saranno trecento interpretazioni diverse) se voglio riesco a vederle come fossero una schiera di fantasmi. Sono sicuro che sono esistite. Che hanno vissuto. Non sono creature morte. Se devo fare un bilancio, se devo azzardare una definizione di me stesso, un titolo a caratteri cubitali, direi: in quanto attore sono un venditore di anime. Bernhard Minetti “L’unica cosa che mi interessa è scrivere” A chi pensa quando scrive? Questa è una domanda veramente stupida. Così stupida non direi. Pensa a qualcuno che l’ha fatta uscire dai gangheri oppure magari a qualcuno che sappia capirla? Dirò subito che non penso mai a coloro che un giorno leggeranno quello che scrivo perché non mi interessa chi lo leggerà. Io mi diverto esclusivamente nella scrittura, mi basta. Si cerca sempre di migliorare, di scrivere riflettendo in maniera più adeguata, questo è tutto, così come un ballerino si sforza di ballare meglio, ma sono cose che vengono da sé perché chiunque svolga un’attività, non importa quale, esercitandosi continuamente arriverà a una data perfezione. Lo scrivere non è anche una ricerca di contatto? Io non cerco nessun contatto. Quand’è che ho mai voluto avere contatti? Al contrario, li ho sempre rifiutati quando qualcuno li cercava. Io voglio soltanto che si stampino i miei lavori, che se ne facciano dei libri. Li metto negli scaffali per non perderli, e sono così carini. Le mie cose le scrivo su carta da quattro soldi, ruvidissima, e vedere poi il libro finito mi fa veramente piacere, dopodiché l’editore manda un po’ di soldi ogni mese e la storia finisce qui. C’è qualcosa che potrebbe sostituire lo scrivere? Non esistono sostitutivi di qualcosa. Potrei girare il mondo in bicicletta, ma crede che possa sostituire qualcos’altro? Cosa farà se un giorno non le verranno più idee nuove? Questo tipo di domanda non ha senso. È come se lei chiedesse a una cantante che cosa farebbe senza voce. Cosa potrebbe rispondere? Che canta muta? Quando ho terminato di scrivere qualcosa penso sempre che non riuscirò a scrivere altro, e che non ne avrò mai più la voglia. Del resto è l’unica cosa che mi interessi, scrivere. Thomas Bernhard (colloquio con André Müller, Ubulibri) 3 Ivanov o il male di vivere Fremiti giovanili e pulsione di morte in una delle prime opere teatrali del giovane Anton Cechov Ivanov è la prima delle grandi commedie di Cechov (se si esclude il Platonov) scritta tra il settembre e l’ottobre 1887, all’età di ventisette anni, su commissione, dietro richiesta di Fëdor Kors, direttore del teatro omonimo. In una lettera al fratello Aleksandr, scritta il 10 ottobre del 1887, dice: «Ho scritto l’opera quasi senza accorgermene, dopo una conversazione con Kors. Sono andato a dormire, mi è venuto in mente il tema e ho scritto. Ho speso due settimane o meglio dieci giorni. L’intreccio è complicato ma non sciocco. Termino ogni atto come sono solito fare con i racconti, tutti gli atti si svolgono con dolcezza e tranquillità, ma alla fine colpisco in faccia lo spettatore. Ho concentrato la mia energia su alcuni momenti veramente forti, memorabili; però i passaggi che uniscono le varie scene, sono spesso insignificanti, fiacchi, banali. Comunque sono contento: anche se il lavoro STAMPA O MOSTRA IL TUO BIGLIETTO ELETTRONICO REGIONALE tablet smartphone @fotolia - © FS Italiane | Direzione Centrale Media PC stampa Biglietto Elettronico Regionale: scegli la modalità più adatta a te Il viaggiatore può esibire il biglietto di corsa semplice acquistato online sul sito www.trenitalia.com sia su carta, sia tramite supporto informatico (pc, tablet, smartphone) in grado di visualizzare correttamente file con estensione “.pdf”. Il biglietto acquistato online, da oggi denominato Biglietto Elettronico Regionale (BER), è nominativo e deve essere esibito sempre unitamente ad un valido documento di identificazione ad ogni richiesta del personale di controlleria. Il BER può essere acquistato online da 7 giorni e fino a 30 minuti prima dell’ora di partenza del treno scelto. non fosse buono, ho creato un personaggio che ha valore letterario». Di Ivanov si è detto e scritto moltissimo e specialmente nella seconda parte del secolo scorso si è insistito sull’incapacità del protagonista nel gestire i rapporti sociali e sentimentali, sul suo male di vivere e la sua insoddisfazione patologica, in breve si è molto discusso della sua depressione. Tutto ciò, temo, l’ha un po’ allontanato dalla sua vera natura, da ciò che Cechov ha scritto, e ce lo ha fatto sembrare una storia noiosa e polverosa. La “noia” appunto, è uno degli argomenti cardini delle conversazioni dei suoi personaggi ed ecco qual è la migliore descrizione che ne fa Cechov stesso, nel racconto La steppa, un anno dopo aver scritto Ivanov: «Un nibbio vola rasente la terra, agita pianamente le ali e poi d’improvviso si ferma in aria come se riflettesse sulla noia di vivere, scuote le ali, piomba come una freccia sopra la steppa, e non si capisce perché voli, di che cosa abbia bisogno». Di questo e forse solo di questo si occuperà l’autore in tutta la sua produzione letteraria: descrivere i modi più disparati che l’uomo escogita per sottrarsi alla noia, ovvero a quell’attimo in cui d’improvviso ci si ferma e si teme di non poter più ripartire, quell’attimo in cui la paura elimina ogni certezza, quell’attimo che è la morte. Per questo ogni uomo o donna in Cechov continuamente (e ognuno a modo suo) «scuote le ali e piomba come una freccia» su qualcuno, su qualcosa, su un’idea, su un amore. E così i suoi personaggi sono traboccanti di vitalità e la loro noia si esprime attraverso un infuocato desiderio di resistere alla noia. In ogni commedia, Cechov crea un legame indissolubile tra l’anima dei suoi personaggi e l’ambiente circostante, tra uomo e natura, come se partecipassero in egual maniera nella composizione del paesaggio, come se paradossalmente noi potessimo essere responsabili di un temporale oppure al contrario, lui stesso fosse causa dell’ubriacatura di Astrov nel secondo atto di Zio Vanja (per fare un esempio tra i tanti), come se il “Tutto” fosse espressione di una “comune anima universale”, come dice Nina nello spettacolo di Kostja. E di questo tanto si occupò Stanislavskij nelle regie che curò dei testi di Cechov, fino ad una vera esasperazione di brusii e rumori di uccelli e fenomeni metereologici. E nell’Ivanov assistiamo proprio ad un progressivo allontanamento del protagonista dalla natura e dal paesaggio, dal giardino antistante casa sua nel primo atto al salotto dei Lebedev con vista sul giardino nel secondo atto, fino alla totale chiusura in se stesso, nella segretezza del suo studio (violata irrimediabilmente da tutti) nel terzo atto. Filippo Dini La limpida arte della semplicità Anton Cechov secondo Peter Brook Cechov ricercava sempre ciò che è naturale e voleva che la recitazione e la messa in scena dei suoi drammi fossero limpide come la vita stessa. Per riuscire a cogliere la particolare atmosfera dei suoi testi, si deve resistere alla tentazione di dare un tocco “letterario” a frasi che, in russo, sono di grande semplicità. La scrittura di Cechov è molto sintetica, egli utilizza il minimo di parole; sotto certi aspetti è una scrittura simile a quella di Pinter o di Beckett; anche per loro è la costruzione che conta, il ritmo, la poesia teatrale che non nasce dalla bellezza delle parole, ma dalla parola giusta detta al momento giusto. www.trenitalia.com In mancanza del biglietto e documento di riconoscimento, il viaggiatore viene considerato come sprovvisto di biglietto e regolarizzato in base alla normativa vigente. Scopri le modalità di utilizzo del BER e i titoli regionali acquistabili online sul sito www.trenitalia.com 4 palcoscenico e foyer Peter Brook (da Il punto in movimento) La prima volta di Cechov Il debutto di Ivanov nelle lettere al fratello Aleksandr I Ivanov di Anton Cechov personaggi e interpreti l mio lavoro è stato rappresentato… ti descrivo tutto per ordine. In primo luogo, invece delle dieci prove che Kors m’aveva promesso, ce ne sono state quattro, due sole delle quali possono essere chiamate prove, giacché le altre due non sono state che dei tornei verbali in cui i signori attori si sono sfogati a discutere e insultarsi. Soltanto Davydoc e la Glama sapevano la parte; gli altri recitavano secondo il suggeritore e la loro intima convinzione. (…) Malgrado questo e le papere del regista, il primo atto ha avuto un grande successo. Molte chiamate. Atto secondo. Un mucchio di gente sulla scena. Gli invitati. Non sanno la parte, si confondono, dicono sciocchezze. Ogni parola è come una coltellata sulla schiena. Ma – o musa! – anche quest’atto è piaciuto. Hanno chiamato fuori tutti, due volte hanno chiamato anche me. La gente si congratula con me per il successo. Atto terzo. Lo recitano discretamente. Successo formidabile. (…). Atto quarto, primo quadro. Va benino. Poi un lunghissimo, penoso intervallo. Il pubblico, non avvezzo ad andare al buffet fra due quadri, mormora. Si alza il sipario. Banchetto nuziale. L’orchestra suona una marcia. Entrano i compari di anello: hanno bevuto e quindi credono, capisci, di dover fare i pagliacci: un’atmosfera da baraccone e da taverna che mi fa inorridire. Poi entra in scena Kieselevskij; una scena poetica, avvincente, ma il mio Kieselevskij non sa la parte; è ubriaco come un ciabattino… Gli spettatori sono perplessi. Alla fine (…) chiamano fuori gli attori e me. Durante una delle chiamate si sente uno zittio, soffocato dagli applausi e dal battito dei piedi. Tutto sommato, stanchezza e un senso di stizza. Sono disgustato, quantunque il lavoro abbia avuto un successo rispettabile. (Mosca, 20 novembre 1887) D unque, carissimo, tutto si è finalmente calmato, dissipato, e, come prima, siedo a tavolino a scrivere con animo tranquillo i miei racconti. Non puoi figurarti che cos’è stato! Da una porcheriola insignificante come la mia piccola pièce (Ivanov), è venuto fuori un finimondo. Ti ho giù scritto che alla prima regnava nel pubblico e dietro la scena un’eccitazione quale non vide mai il suggeritore che pure lavora in teatro da trentadue anni. Rumoreggiavano, vociavano, applaudivano, zittivano. Al buffet c’è mancato poco che non s’azzuffassero; in loggione gli studenti volevano buttar fuori qualcuno, e la polizia ne ha espulsi due. L’eccitazione era generale. Nostra sorella è quasi svenuta. Djukovskij è scappato via perché aveva il batticuore e Kiselév s’è preso a un tratto la testa fra le mani e molto sinceramente urlava: «E adesso, cosa farò?». Gli attori avevano i nervi tesi. Tutto quello che ho scritto a te sulla loro interpretazione e sul loro comportamento, deve, beninteso, restare tra noi. Bisogna spiegare e scusare molte cose... Ho poi saputo che l’attrice che recitava la parte principale aveva la figlia in punto di morte, altro che recitare in quei momenti! Kurepin ha fatto bene a elogiare gli attori. Il giorno dopo è apparsa sul Gazzettino di Mosca una recensione di Pétr Kiceev, che definisce la mia pièce una porcheriola immorale, di un cinismo sfacciato. L’informatore moscovita, invece, ne ha parlato bene. La seconda rappresentazione è andata discretamente, seppure con qualche brutta sorpresa. L’attrice, la cui figlia è malata, è stata sostituita da un’altra (senza prove). M’hanno di nuovo chiamato due volte dopo il terzo e una volta dopo il quarto atto, ma non hanno più zittito. E questo è tutto. Mercoledì altra replica del mio Ivanov. Tutti si sono ormai calmati e sono rientrati nella norma. Abbiamo preso nota della data del 19 novembre e la festeggeremo ogni anno con un banchetto, poiché questo giorno rimarrà a lungo memorabile per la nostra famiglia. Non ti scriverò più niente sulla mia pièce. Se vuoi averne un’idea, chiedi la copia a Maslov e leggila. La lettura del lavoro non ti spiegherà l’agitazione che ti ho descritto; non ci troverai nulla di straordinario. Nikolaj, Schechtel e Levitan, ossia gli artisti, affermano che sulla scena essa è così originale da far impressione. Alla lettura questo non si avverte. Nota bene: se a qualcuno di Tempo Nuovo venisse in mente di maltrattare gli attori che hanno interpretato il mio lavoro, pregali di astenersi. Alla seconda rappresentazione sono stati magnifici. (Mosca, 24 novembre 1887) Nicolaj Ivanov / Kosych Filippo Dini Anna Petrovna / Avdot’ja Nazarovna Sara Bertelà Conte šabel’skij / Secondo ospite Nicola Pannelli Pavel Lebedev Gianluca Gobbi Zinaida Savišna Orietta Notari Saša Valeria Angelozzi Dottore L’vov / Gavrila Ivan Zerbinati Marfa Babakina Ilaria Falini Michail Borkin/ Primo ospite Fulvio Pepe scene e costumi musiche luci versione italiana regia Laura Benzi Arturo Annecchino Pasquale Mari Danilo Macrì Filippo Dini Teatro della Corte dal 20 ottobre al 1° novembre Qui sopra Sara Bertelà e Filippo Dini. Sotto una scena d’insieme. Nella pagina precedente: sopra, tutti gli interpreti; sotto Ilaria Falini e Nicola Pannelli. In prima pagina Filippo Dini e Valeria Angelozzi (foto di Michele Lamanna) “Una lingua quotidiana, vera come la vita” La lingua dei personaggi di Cechov è una lingua quotidiana, che non intimidisce, e se a volte incontriamo parole strane o ricercate, sono loro per primi, i personaggi, a stupirsene. Una lingua semplice fatta di frasi semplici. Manifesto di Ivanov, Però qui ci si deve Teatro Kors, novembre 1887 fermare un attimo a pensare. Perché con una lingua semplice si possono fare grandi cose. Frasi semplici che rimangono frasi semplici... Perché è la vita che è così, perché il più delle volte si parla solo per stare insieme, e anche il dolore quando si presenta, si presenta anche lui così, semplicemente... Tutto questo può anche essere vero, ed è la materia principe di cui è fatta quella atmosfera che tanto amiamo in Cechov. Solo che vale la pena di ricordare che questa atmosfera non è un quieto riparo dal mondo. Dietro quelle frasi dimesse e di grande semplicità si nasconde una profonda inquietudine. Viene sempre il momento in cui i personaggi importanti aprono il loro armadietto del dolore e passano ancora una volta in rassegna i motivi per cui le cose sono andate come sono andate nella loro vita, e cioè male. Quell’eterna autoanalisi dei personaggi di Cechov di cui parla Peter Szondi in Teoria del dramma moderno, eterna perché non si viene mai a capo di nulla, e si finisce, come dire, per trovarsi a corto di parole. O meglio per portare le stesse eterne parole allo sfinimento. Sono parole che non ce la fanno. Che non riescono mai a diventare una buona volta le parole giuste per capirci qualcosa. E che finiscono tutte quante, in un modo o nell’altro, in una vetrina del patetico che stringe il cuore. Questo però lo sappiamo noi. Loro, i personaggi, ci provano sul serio a capirci qualcosa. E quando si chiedono “ma perché?” se lo chiedono sul serio. Prendiamo il grande monologo di Ivanov nel terzo atto. Quello in cui si ferma a considerare in che stato miserabile si è ridotto. Come si presenta questo monologo? Si presenta come un pendolo continuo fra un che di visivo, tra alcune poche immagini insostenibili, insostenibili perché viene la rabbia, perché viene da piangere, perché viene lo schifo (la moglie... quelle guance incavate...), e una mente che trova riparo dietro un confronto instancabile tra il presente e il passato (ero questo... ero quello...) o tra quello che un attimo sembra bianco e l’attimo dopo nero: come mai? Danilo Macrì (dall’intervista nel programma di sala) 5 Una fiaba borghese Una commedia d’oggi che porta lo spettatore ai bordi della Senna Le prénom è una commedia di costume, molto borghese, un poco insidiosa. Una voce narrante ci porta in un appartamento parigino nella zona dei Grand Boulevards, rive droite: lì una coppia, Pierre ed Elisabeth, si sta preparando a ricevere amici, lei è tutta in ambasce per la preparazione di una cena marocchina, lui non trova le chiavi della cantina. Arrivano alla spicciolata Claude, il migliore amico di lei, e Vincent, che era la spiritosa voce narrante. Si aspetta Anna, la fidanzata di Vincent, incinta di lui. Le prénom è il nome che Anna e Vincent dovranno dare al nascituro. La discussione sul nome è l’occasione di un conflitto tra amici su punti di vista e scelte di vita perché Pierre e Vincent, amici d’infanzia, dovrebbero essere dei moderni Don Camillo e Peppone. Pierre indossa tutti gli stereotipi della borghesia parigina di sinistra, Vincent di quella nuova destra che non è però la destra del Front National, è semplicemente un mondo di Suv, sarcasmo, partite di pallone in tv e soldi. Per dirla all’italiana: non è il conflitto tra chi legge il “Manife- sto” e chi il “Giornale”, è tra chi legge “Repubblica” e chi la “Gazzetta dello Sport” e nulla più. Infatti nel loro incarnare due tipologie sociali ben definite non parlano mai di politica ma di stili di vita e Hitler, che viene continuamente evocato, è male assoluto e icona pop ma non rappresentante di una politica che è stata. La commedia è molto ben congegnata, il conflitto di personalità nasce come scherzoso, poi diventa serio, poi violento. Metterà in discussione tutti i loro rapporti e le loro convinzioni, apriranno il vaso di Pandora delle cose che non si sono mai dette per paura che le cose precipitassero, ce le fanno vedere precipitare, poi – visto che è una commedia – approderanno verso un nuovo equilibrio. Ho la sensazione che noi Italiani abbiamo un rapporto un po’ più serio con la politica ed è strano a dirsi se si pensa alla quantità e la qualità di buffoni che abbiamo visto sfilare in Parlamento negli ultimi anni. Le ultime elezioni politiche sostanzialmente erano un sondaggio popolare fra tre modi diversi di buttarla in vacca ma, ciò nonostante, resta il fatto che noi Italiani ci identifichiamo nella nostra appartenenza politica prima ancora che nel fatto d’essere Italiani. Questo per dire che se la commedia fosse ambientata qui e tra persone di quella cultura, difficilmente si snocciolerebbe con la graziosa superficialità con la quale è scritta ma i personaggi urlerebbero di politica. La pièce è francese, parla di una borghesia che non è la piccola borghesia, è la borghesia che si fa opinione pubblica (che in Italia non esiste) e che si è formata riconoscendosi nella rappresentazione che Molière ne ha dato (per lo meno secondo Cesare Garboli) e attraverso la Rivoluzione Francese, ovviamente. È una borghesia che in Italia non abbiamo o non abbiamo ancora ed è per questo che abbiamo pensato di lasciare l’ambientazione della pièce a Parigi. Perché una trasposizione in Italia avrebbe comportato delle forzature non di forma ma di sostanza che, a mio avviso, avrebbero reso i personaggi irrimediabilmente antipatici ed indifendibili spostando il rapporto dello spettatore con la storia dall’immedesimazione al giudizio: non assisto a una pièce che parla di me ma di quel cretino del mio vicino di casa, che ho sempre pensato fosse una brutta persona e ora a teatro ecco che ne ho la conferma. Mi rendo ben conto che nell’era in cui il telegiornale più seguito in Italia è un tg satirico praticare la derisione più che la compassione sia un’attività piuttosto diffusa e che non genererebbe alcuno smarrimento nello spettatore ma non è il teatro che mi piace e non è, in fondo, nello spirito della pièce che, pur non prendendosi mai troppo sul serio, è continuamente pervasa da una vena sentimentale alla quale sarebbe sbagliato non rendere giustizia. Ci sono due modi per parlare dell’oggi: uno è guardando vicino, l’altro è guardando lontano. Abbiamo scelto la seconda via, trattando la pièce come una fiaba ambientata in un posto, Paris, che è per molti di noi un luogo immaginario, cercando di portare il pubblico ai bordi della Senna come Shakespeare ci porterebbe in Illiria o a Messina. Buon viaggio. Fausto Paravidino “Il ritratto della nostra generazione” Non avevamo mai scritto per il teatro, ma dopo tante sceneggiature cinematografiche per gli altri, avevamo la sensazione di stare perdendo la nostra indipendenza. E ci venne la voglia di qualcosa di nuovo. Da tempo volevamo scrivere sulla famiglia, sul nostro ambiente sociale, su di noi. È nata così una commedia che, mettendo a frutto la nostra predilezione per le chiacchiere anche assurde, porta alle estreme conseguenze il tema della malafede. Una commedia che è insieme individuale e universale, che muove da uno spunto un po’ folle (il nome da dare a un figlio) e che diventa il ritratto della nostra generazione. Matthieu Delaporte Alexandre de La Patellière 6 palcoscenico e foyer Cena con sorpresa Quarantenni a confronto tra colpi di scena, battute comiche, amicizia, rancori e legami profondi Quando, due anni fa, al Teatro Stabile di Genova si pensò di mettere in scena Le prénom (Cena tra amici), non si sapeva di avere a che fare con una commedia che sarebbe diventata popolare anche in Italia, dopo il successo degli adattamenti cinematografici francese e italiano. La sfida quindi è diventata ancora più interessante, anche se lo spettacolo in scena al Duse dal 21 novembre al 6 dicembre, con la regia di Antonio Zavatteri, è rigorosamente fedele al testo teatrale originale, senza ammiccamenti alle successive versioni cinematografiche e senza forzature registiche. «Io ho visto il film francese ma non quello italiano, proprio per non farmi condizionare, e, comunque, ho cercato di distaccarmi il più possibile anche da quella versione cinematografica» racconta Zavatteri. Motore della commedia è lo scherzo fatto da uno dei protagonisti, Vincent, che di professione fa l’agente immobiliare e che, durante una cena a casa di sua sorella Elisabeth e del cognato Pierre, fa credere a loro e all’amico comune Claude di voler chiamare Adolphe il figlio che lui e la sua compagna Anna stanno per avere. L’annuncio fa indignare gli altri e soprattutto Pierre, professore alla Sorbona, intellettuale progressista, che contesta la scelta per ragioni ideologiche, ma la discussione sul nome del bambino fa venire allo scoperto sentimenti, segreti e anche rivalità e rancori antichi che legano i personaggi. «Le prénom non è una commedia di solo intrattenimento» sottolinea Zavatteri. «È un testo che fa ridere, ma che racconta sentimenti e legami molto profondi. Lo scherzo di Vincent fa in parte emergere e in parte intuire un non detto antico fra i personaggi, grazie al quale sono state costruite relazioni umane che non hanno messo in campo emozioni conflittuali e che hanno fatto andare avanti i rapporti senza fratture. Lo scontro sul nome, quindi, non è il vero nodo della discussione, in gioco c’è altro». Ci sono pezzi di vita condivisi, sentimenti ed emozioni mai confessati – come la relazione segreta che lega Claude alla madre, vedova, di Elisabeth e Vincent – opinioni politiche differenti. «Pur appartenendo tutti alla stessa borghesia, non repressa e vagamente intellettuale – racconta il regista – i protagonisti si sono costruiti diverse visioni della vita: più progressista la coppia che ospita, più conservatrice l’altra. E lo scontro sul nome del bambino che sta per nascere è anche scontro su stereotipi legati a posizioni ideologiche: Pierre, infatti, contesta la scelta del nome Adolphe per ragioni ideologiche e per quello che suscita nell’immaginario collettivo, ma anche gli argomenti di Vincent hanno un fondamento, quando dice di non volersi far condizionare appunto dall’immaginario collettivo. È una discussione appassionante». Stereotipi e convenzioni che influenzano modo di vivere e gusti dei personaggi si riflettono in scena anche nei costumi: «Stiamo cercando di essere coerenti con gli stereotipi e di caratterizzare, quindi, i costumi con segni precisi» spiega il regista. Di qui la scelta di un look vagamente di sinistra per Pierre e sua moglie Elisabeth, con “doverosa” giacca di velluto per lui e abito dal tocco etnico per lei, e di vestiti piuttosto eleganti invece per Vincent e per Anna che lavora proprio nel mondo della moda. «Per la scenografia abbiamo pensato invece a elementi piuttosto astratti ed essenziali perché - spiega il regista - vogliamo che le relazioni fra i personaggi siano predominanti rispetto alla creazione di un ambiente. Prima che uscisse il film italiano avevo provato a immaginare di rendere la commedia un po’ più nostra, più italiana, poi invece abbiamo deciso di presentarla come una storia esotica, una favola che si racconta sul palcoscenico, mantenendo la figura del narratore che nel testo apre e chiude la commedia». E gli spunti di comicità sono offerti sia dalle battute, che dalle relazioni e dalle espressioni dei personaggi stessi. «La cifra comica dello spettacolo si scopre man mano che si va avanti con le prove, ma, anche se non è una commedia di puro intrattenimento, è evidente che “deve” far ridere» sottolinea Zavatteri, convinto che oggi possa fare bene al Teatro mettere in scena testi come questo. «In un momento in cui il teatro rischia di diventare sempre più elitario – spiega – credo sia importante portare sul palcoscenico, con attori di un certo livello, commedie come questa, che hanno una loro dignità, affrontano questioni non banali e possono attirare un pubblico che di solito non va a teatro. Anche Peter Brook diceva che la distinzione da fare non è fra teatro basso e alto, ma fra teatro di qualità e no». Annamaria Coluccia Le prénom (Cena tra amici) di Matthieu Delaporte, Alexandre de La Patellière personaggi e interpreti Elisabeth Garaud-Larchet Pierre Garaud, suo marito Claude Garirnol Vincent Larchet Anna Caravati scene e costumi luci versione italiana regia Alessia Giuliani Alberto Giusta Davide Lorino Aldo Ottobrino Gisella Szaniszlò Laura Benzi Sandro Sussi Fausto Paravidino Antonio Zavatteri Teatro Duse dal 21 novembre al 6 dicembre Dalla scena allo schermo Rappresentato sui palcoscenici di Parigi nel 2010, Le prénom ottenne sei nomination al Prix Molière dell’anno seguente e fu adattato subito per il grande schermo dai suoi stessi autori. Il film francese uscì anche in Italia nel 2012 con il titolo Cena tra amici. Tre anni dopo, Francesca Archibugi ne fece un nuovo adattamento cinematografico con il titolo Il nome del figlio. Lo Stabile in tournée Nella Stagione 2015-2016, il Teatro Stabile di Genova sarà in tournée con: Il sindaco del rione Sanità La Spezia (Teatro Civico) 16 e 17 gennaio Torino (Teatro Astra) dal 19 al 24 gennaio Merano (Teatro Puccini) 26 e 27 gennaio Bolzano (Teatro Comunale) dal 28 al 31 gennaio Piacenza (Teatro Municipale) 2 e 3 febbraio Prato (Teatro Metastasio) dal 4 al 7 febbraio Milano (Teatro Elfo-Puccini) dall’8 al 14 febbraio Vicenza (Teatro Comunale) 16 e 17 febbraio Rimini (Teatro Novelli) dal 19 al 21 febbraio Trieste (Teatro Rossetti) dal 24 al 28 febbraio Catania (Teatro Verga) dall’1 al 6 marzo Correggio (Teatro Asioli) 8 e 9 marzo Cesena (Teatro Bonci) dal 10 al 13 marzo Imola (Teatro Comunale) dal 15 al 20 marzo Ivanov Lugano (Teatro Lac) 17 e 18 ottobre Vignola (Teatro Fabbri) 17 novembre Pordenone (Teatro Verdi) 18 e 19 novembre Parma (Teatro Due) dal 20 al 22 novembre Imola (Teatro Ebe Stignani) dal 25 al 29 novembre Trieste (Teatro Rossetti) dal 16 al 20 dicembre Nel segno della novità Qui sopra una scena d’insieme durante le prove. Nella pagina precendente gli interpreti della commedia durante le prove. In prima pagina Antonio Zavatteri dirige Aldo Ottobrino e Alessia Giuliani (foto di Bepi Caroli) La stagione 2015 / 2016 si apre nel segno della novità anche per quanto riguarda la vendita dei singoli biglietti e le forme di abbonamento. Tutti i biglietti per le rappresentazioni dei singoli spettacoli sono messi simultaneamente in vendita e tutti (abbonati e no) possono acquistare subito il biglietto, con la relativa definizione del posto in sala. Chi arriva prima ha maggiore possibilità di scelta. Gli abbonamenti rimangono quelli classici (posto fisso, libero, giovani) a prezzo invariato, ma vengono aggiunte anche altre forme di abbonamento che rendono più facile e allettante la frequentazione del teatro. Una novità assoluta sono le Carte a consumo, utilizzabili anche da più persone per la stessa recita. Un’altra novità suggerita dalla maggioranza di coloro che hanno compilato il questionario dello Stabile è lo spettacolo del giovedì anticipato alle ore 19.30 sia alla Corte, sia al Duse. 7 Molière e le corna Una farsa scritta su commissione di Luigi XIV elevata al rango di commedia di costume Nel 1668, per celebrare la conquista della Franca Contea e la pace di Aix-la-Chapelle, Luigi XIV organizzò una sfarzosa festa, nota con il nome di Grand divertissement royal de Versailles, Molière fu invitato a parteciparvi, sia come attore che come autore. Su un palcoscenico all’aperto fu rappresentata, probabilmente il 18 luglio, una commedia pastorale in versi, inframmezzata da una commedia in prosa: George Dandin. Questa semplice storia di un marito tradito attinge contemporaneamente alla tradizione dei racconti italiani e della farsa francese, La scena in cui Angélique finge di uccidersi e raggira così suo marito, deriva direttamente da Boccaccio (Decamerone, giornata settima, novella quarta) e molte sono le somiglianze di George Dandin con Il filosofo di Pietro Aretino, ma Molière aveva comunque tratto il soggetto della sua commedia da una propria farsa giovanile intitolata Jalousie du barbouillé. Per la sua struttura George Dandin è senza dubbio una farsa, non fosse altro per l’effetto di ripetizione, ma la sua comicità non è mai banale e molti sono gli elementi che concorrono a innalzarla sul piano della commedia di costume. Ridere della verità umiliata Tullio Solenghi è George Dandin, un ricco contadino che sposa la figlia di nobili di provincia decaduti. La condizione della donna ridotta a merce di scambio e il tradimento come forma di vendetta sociale Come scrive Georges Mongrédien nella prefazione al terzo volume delle Opere di Molière, in George Dandin si trova innanzitutto una sapiente pittura della piccola nobiltà di provincia, composta da signorotti fieri del loro blasone e dei propri avi, ma sovente poveri e per i quali le doti delle nuore e i beni dei generi vengono giusto bene per “concimare le loro terre”. Signorotti che, disprezzando le figlie e i figli dei borghesi o dei contadini di cui ricercano l’alleanza economica, forniscono alla nobiltà di Corte, ricca e oziosa, un continuo argomento di canzonatura. Numerose commedie del diciassettesimo secolo, infatti, sfruttano questo tema del nobile campagnolo rovinato e ridicolo, con cui si divertiva anche il pubblico TEATRO-STABILE-257-61-A.pdf C M Y CM MY CY CMY K 8 palcoscenico e foyer parigino, portato sempre a prendersi gioco dei provinciali. Molière stesso lo riprenderà più volte, ad esempio ritraendo il Signor di Pourcegnac o la contessa d’Escarbagnas. Con George Dandin ritorna inoltre uno dei temi preferiti di Molière a partire dalla Scuola dei mariti e dalla Scuola delle mogli: quello del matrimonio infelice e più precisamente della situazione della donna mal sposata, sovente vittima di una scelta non voluta e impostale da genitori unicamente preoccupati di soppesare i sacchi di scudi dei fidanzati. E questo spiega, senza necessariamente giustificarla agli occhi di Molière, la propensione di molte di queste donne ad avere una propria avventura sentimenta1 29/09/15 13:40 le, come in George Dandin fa con consapevole irruenza Angélique o aveva fatto con affascinante semplicità l’Agnese della Scuola delle mogli. Tutto ciò rivela come questa commedia, che di primo acchito sembra essere solo una farsa che vuole unicamente far ridere, sia di fatto, pur tra le righe, un’opera che si fa carico di importanti problemi sociali e morali, ai quali dona una specifica risonanza comica. Lo spettatore di George Dandin inizia a ridere di cuore; ma ben presto è costretto a riflettere e si rende conto che la propria risata non è priva d’amarezza, anche perché questa commedia gli mostra una società per molti versi antipatica. In effetti, contrariamente all’abitu- dine di Molière, in George Dandin non si trova né una coppia, né un personaggio completamente simpatico. I Sotenville sono vanitosi e creduloni, incoscienti responsabili della situazione; Angélique, malgrado il suo tentativo di giustificazione, resta una moglie furba e una donna egoista impegnata a tradire il marito con l’insignificante Clitandre; la cameriera è solo la divertente complice della sua padrona, e si può essere certi che riserverà al suo futuro marito una sorte simile a quella di George Dandin. Quest’ultimo è ridicolo come la maggior parte dei mariti cornuti in commedia: fa ridere, ma nello stesso tempo riflette un senso d’inconfessabile paura. È per interesse e ambizione che George Dandin ha voluto sposare una “damigella”, la quale gli fa pagare caro il suo nuovo titolo di Signor della Dandinière. George Dandin ha anche lui buona parte di responsabilità della propria infelicità e se è vittima di una donna più scaltra e più intelligente di lui, la sua pietosa disavventura non basta a muovere lo spettatore in suo favore. Ma tutta questa poca simpatia dei personaggi non impedisce certo allo spettatore di abbandonarsi a una risata liberatoria, come dimostra la reazione del pubblico sin da quando, il 9 novembre 1668, George Dandin fu rappresentato per gli spettatori parigini del Palais-Royal, i quali l’applaudirono calorosamente, aprendo la via al successo della commedia sino ai giorni nostri. Gelosia senza amore Sentimenti al bando in una società governata dal denaro Una farsa dove non c’è posto per l’amore, bandito da un mondo nel quale sono le leggi del “mercato” a dirigere o condizionare, per scelta o per costrizione, le vite dei personaggi. È George Dandin, la commedia di Molière in scena al Teatro della Corte dal 24 novembre al 6 dicembre con la regia di Massimo Mesciulam per una produzione del Teatro Stabile di Genova. «Molière ci racconta un mondo spietato e cinico dal quale l’amore è totalmente estromesso, è anzi – spiega il regista – una sorta di paradiso perduto di cui non ci si occupa». Non se ne occupa il campagnolo arricchito George Dandin, che ha come pensiero dominante quello di smascherare il tradimento della nobile moglie, l’inganno di cui si sente vittima dopo aver sposato per ambizione l’aristocratica Angélique; tanto meno se ne occupano i genitori della donna che non esitano a sacrificare i sentimenti della figlia per salvare le sorti della famiglia con i soldi di Dandin. E lei, Angélique, è l’unica che prova a ribellarsi come può alle leggi di una società che la soffoca e la condanna alla finzione. «Angélique ha una forte coscienza di genere: non vanno prese alla leggera le sue parole quando si chiede chi ha stabilito che la moglie debba essere sottomessa al marito o quando dice che i suoi genitori hanno fatto un affare vendendola a Dandin», osserva il regista. «Angélique è assoggettata prima ai genitori e poi al marito e cerca di evadere con la furbizia a un mondo che la opprime. Ma è anche l’unica che si avvicina in qualche momento all’amore: per esempio quando legge la lettera dell’amante e trova nelle sue parole gentilezza, un modo di essere, un calore a lei sconosciuti. Ma si tratta solo di un barlume di sentimento. La furia del suo amante, invece, è la furia della conquista, non quella dell’amore». Quanto a Dandin, è ossessionato dal pensiero di non essere umiliato e di scoprire la verità, la truffa di cui si sente vittima. «L’animo di Dandin assomiglia a quello del protagonista dell’Avaro, perché a muoverlo – sottolinea Mesciulam – non è certo l’amore ma l’ossessione di non essere truffato, derubato di quello che considera suo: la moglie, che è riuscito a comprarsi, per lui è solo merce avariata se non “funziona” come vorrebbe. In Dandin c’è l’ubris di voler trovare la verità intesa come smascheramento dell’inganno: egli è vittima di un inganno ma è anche il predatore, e la sua ridicola caduta è la pena per aver sostituito l’amore con il possesso». Nella commedia, fra botte, intrighi e battute, si ritrovano i meccanismi classici della comicità «con una spinta farsesca molto forte. La traduzione di Valerio Magrelli – osserva Mesciulam – è ottima e aiuta a rappresentare questo mondo deformato dalla farsa». Deformazio- ne a cui allude anche la scenografia di Guido Fiorato, nella quale ogni spettatore può interpretare con la sua sensibilità e la sua fantasia spazi, porte e vie di fuga: «La scenografia è pensata come spazio ed è lo spazio dell’anima dei personaggi» spiega il regista. «La prospettiva sbilenca è l’anima sbilenca di Dandin» che, alla fine della commedia, lascia gli spettatori senza certezze: «Le ultime parole di Dandin sono ambigue e il finale della commedia è volutamente aperto» conclude Mesciulam. «I grandi autori come Molière e Shakespeare non vogliono darci messaggi, ci raccontano storie e noi ne traiamo le conclusioni». a.c. George Dandin di Moliére personaggi e interpreti George Dandin Angélique Signore di Sotenville Signora di Sotenville Clitandre Claudine Lubin Colin scene e costumi musiche luci versione italiana regia Tullio Solenghi Barbara Moselli Massimo Cagnina Maria Basile Scarpetta Alex Sassatelli Angela Ciaburri Gennaro Apicella Daniele Madeddu Guido Fiorato Andrea Nicolini Sandro Sussi Valerio Magrelli Massimo Mesciulam Teatro della Corte dal 24 novembre al 6 dicembre “La più enigmatica tra le opere di Moliére” George Dandin ou le mari confondu, messa in scena nel 1668, rappresenta un testo talmente particolare da essere stato addirittura definito come la più enigmatica fra le opere di Molière. Oltre che attingere la vicenda da una novella del Decameron, peraltro già ripresa dall’Aretino, Molière ricorse anche a una sua vecchia farsa che egli stesso compose in gioventù, La jalousie du barbouillé. Così facendo, trasformò la figura del geloso “impiastricciato” in quella di un contadino arricchito che ha voluto sposare una damigella nobile. Errore fatale, è il caso di dire, come in effetti esclama il protagonista affidandosi a una battuta ormai proverbiale: “Vous l’avez voulu, vous l’avez voulu, George Dandin”. Se questo marito è “scornato”, la ragione dipende però dal fatto che, come spiegherà la sua giovane moglie, sono stati i genitori di quest’ultima a decidere per lei, senza affatto ascoltare il parere della diretta interessata. La colpa di questo matrimonio fallimentare, dunque, non può ricadere che sullo stesso marito, “confuso” (come altri traducono) dalla sua dolce metà, ma responsabile di un crimine imperdonabile: aver voluto varcare l’abisso fra le classi sociali, pensando di poter impunemente accedere, lui, semplice “paysan parvenu”, all’inespugnabile Olimpo della Nobiltà (se pure debitamente spiantata). Il risultato è una pièce ora comica, ora patetica (quindi, tuonerà Rousseau, semplicemente “immorale”), il cui eroe fu definito ora ridicolo, ora “doloroso” (Michelet). Due parole, infine, sulla traduzione. Per una radicata abitudine, una volta terminato il lavoro l’ho sottoposto a un serrato confronto con alcuni fra coloro che mi hanno preceduto sul medesimo terreno testuale. Per non sembrare il tipo di “traduttore bassamente geloso” di cui parla Beaumarchais nella prefazione alle Nozze di Figaro, ritengo cioè necessario sfruttare le indicazioni di chi ha già compiuto quel tragitto che noi, ultimi arrivati, abbiamo appena concluso. In questo caso, ho limitato le indagini a due sole versioni: una edita anonima in rete (George Dandin ovvero Il marito umiliato), l’altra di Silvia Lorusso (George Dandin ovvero Il marito umiliato in Molière, Teatro, a cura di Francesco Fiorentino, Bompiani 2013), che qui ringrazio. Valerio Magrelli SERATA A.L.C.E. Giovedì 26 novembre la replica di George Dandin è riservata (ore 20.30) all’Associazione Ligure Commercio Estero (A.L.C.E.). Nell’ambito delle celebrazioni del 70° anniversario della fondazione dell’Associazione, A.L.C.E. Giovani organizza, in collaborazione con il Teatro Stabile di Genova, una serata riservata ai Soci, ai loro invitati, ai dipendenti delle loro aziende, assegnando una quota dei biglietti a un pubblico in situazione di disagio, selezionato tramite alcune associazioni attive in ambito sociale. 9 Bésame mucho di Pino Petruzzelli e Giuliano Galletta da Edoardo Sanguineti personaggi e interpreti Narratore/Edoardo Uomo Donna scene e costumi musiche a cura di luci regia Pino Petruzzelli Mauro Pirovano Alice Giroldini Giuliano Galletta Pino Petruzzelli Sandro Sussi Pino Petruzzelli Teatro Duse Alice Giroldini, Pino Petruzzelli, Mauro Pirovano dal 10 dicembre al 16 dicembre Sanguineti nell’Aldilà “solo chi muore si rivede” (da Novissimum Testamentum) Un omaggio a Edoardo Sanguineti, non uno spettacolo su Sanguineti. È Bésame mucho, lo spettacolo di Pino Petruzzelli e Giuliano Galletta, prodotto dal Teatro Stabile di Genova, che sarà sul palcoscenico del Duse dal 10 al 16 dicembre, con la regia di Petruzzelli (che è anche uno degli interpreti), le scene e i costumi di Galletta. «L’idea è stata quella di fare uno spettacolo divertente e abbiamo costruito il testo – spiega Galletta – usando un metodo sanguinetiano, con un collage di citazioni, di Sanguineti e di altri, mescolando alto e basso, come faceva lui». E anche il sodalizio che ha dato vita allo spettacolo è frutto di una contaminazione, visto che nasce dal «compromesso storico», “Mio marito amava molto la musica. La sua canzone preferita era Bésame mucho” Luciana Sanguineti 10 palcoscenico e foyer come lo definisce scherzosamente Galletta, fra un giornalistaartista come lui e un narratore e uomo di teatro come Petruzzelli. Accomunati dalla volontà, appunto, di rendere omaggio, a cinque anni dalla sua morte, a una figura straordinaria e complessa quale è quella di Sanguineti, poeta, scrittore, traduttore, studioso, professore universitario, autore teatrale (tante, negli anni, le sue collaborazioni con lo Stabile, come traduttore e come autore) e uomo politico. «Spero che alla fine dello spettacolo anche uno spettatore che non abbia conosciuto Sanguineti possa avere l’idea di una persona che amava le parole, la politica, ma che aveva il gusto per la vita (gli piaceva ballare il tango per esempio) e sapeva mischiare l’aringa e Dante» osserva Galletta. «Sanguineti era un paradosso: le sue poesie sono piene di un io sbriciolato, mentre era invece un uomo di totale coerenza e di certezze etiche e politiche, pur senza mai essere dogmatico». Anche lo spunto per l’ambientazione dello spettacolo, in un immaginario Aldilà rappresentato come il bar di una stazione scalcinata, è venuto dal primo verso di una poesia scritta da Sanguineti nel giugno 1979 e inserita nella raccolta Stracciafoglio (ora nel volume Segnalibro. Poesie 1951-1981, Feltrinelli, pagina 257): «eccomi qui, al caffè della stazione, ridotto così come mi vedo». E in questa immaginaria stazione, con un cantiere in corso che occupa parte dello spazio e uno striscione che annuncia “treni soppressi”, si svolge la conversazione fra i tre personaggi – uno identificabile con Sanguineti anche se in momenti dello spettacolo le carte si mescolano – accomunati dal non avere memoria della propria vita, né consapevolezza di dove si trovano e ignari, tutti, dell’identità degli altri. E lì, mentre Sanguineti cerca di capire qual è il treno che deve prendere, e tutti e tre recuperano ricordi della propria vita, la conversazione va avanti seguendo spesso il filo delle associazioni mentali, attraverso citazioni, soprattutto poetiche ma non solo, e di stralci di interviste rilasciate da Sanguineti a Galletta. «Abbiamo usato le citazioni non come un’ostentazione di cultura e quindi come uno strumento di potere, ma inserendole nella conversazione dei personaggi in modo naturale» sottolinea Petruzzelli. «Anche chi non le riconosce o non sa affatto da dove vengano, può seguire lo spettacolo, capire quello che accade e divertirsi senza sentirsi umiliato. E la stessa cosa accade per alcune scene che, grazie alle luci, evocano quadri, per esempio di Caravaggio, ma che sono godibili anche per chi non avesse mai visto quei quadri. Io purtroppo non ho conosciuto personalmente Sanguineti ma quello che più amo del suo pensiero è la sua apertura umana e culturale, ed è proprio quello che abbiamo cercato di portare nello spettacolo». In questo strano bar aleggia, però, anche una quarta figura misteriosa, che si manifesta attraverso la voce di qualcuno che parla al telefono con i due personaggi che chiacchierano con Sanguineti e dà ordini: «Rappresenta un potere oscuro, non chiaramente identificabile ma che condiziona e dirige dall’esterno le vite degli altri: un modo per dire che oggi il potere è nascosto» “I temi principali delle mie poesie? Mia moglie e la mia morte” Edoardo Sanguineti spiega Petruzzelli. La scenografia, essenziale e volutamente non realistica, è dominata da due striscioni, mentre i costumi s’ispirano a figure a metà fra un clown beckettiano e un clochard e, in un’atmosfera a tratti vicina a quella del cabaret, la musica mescola generi e autori, con l’inevitabile Bésame mucho, canzone amata da Sanguineti e che, proprio per questo, era stata scelta anche per la colonna sonora del suo funerale. «Va dato merito allo Stabile di aver prodotto questo spettacolo che, a cinque anni dalla morte di Sanguineti, è di fatto l’unico evento che lo ricordi» sottolinea Galletta. «Mi pare che finora sia un po’ dimenticato dalle istituzioni, ma il motivo è chiaro: Sanguineti è stato un intellettuale scomodo». a.c. I Rolli del Teatro Il teatro è uno spazio di crescita personale INCONTRI Foyer della Corte A partire da ottobre, riprendono nel foyer del Teatro della Corte gli incontri con il pubblico che proseguono ormai in modo continuativo da sedici anni. L’ingresso è libero. PROGRAMMA ottobre 2015 – febbraio 2016 VENERDì 16 OTTOBRE - ORE 17.30 “MINETTI” IN SCENA. Conversazione con Marco Sciaccaluga, Eros Pagni e gli attori della Compagnia. Introduce Eugenio Buonaccorsi MERCOLEDì 21 OTTOBRE - ORE 17.30 Incontro con gli attori della Compagnia di Ivanov. Conduce Umberto Basevi Aiutaci a crescere: unisciti ai sostenitori dello Stabile di Genova MERCOLEDì 4 NOVEMBRE - ORE 17.30 I PENSIERI DELLE PAROLE: INTORNO A “L’ULISSE”. Intervengono Valerio Massimo Manfredi e Sebastiano Lo Monaco VENERDì 13 NOVEMBRE - ORE 17.30 ASPETTANDO “LE PRéNOM”. Incontro con il regista e gli attori della Compagnia MARTEDì 17 NOVEMBRE - ORE 17.30 ASPETTANDO “GEORGE DANDIN”. Incontro con il regista e gli attori della Compagnia VENERDì 27 NOVEMBRE - ORE 17.30 Presentazione del libro “Qualcosa di vero” di Barbara Fiorio. Con l’Autrice interviene Tullio Solenghi Prendendo spunto da questa antica tradizione genovese, tanto civile quanto efficace, proponiamo oggi ai privati cittadini ed alle aziende che stimano il nostro lavoro, di investire nella crescita culturale della città con una donazione al Teatro Stabile, godendo di vantaggiose facilitazioni fiscali. Gli iscritti ai Rolli del Teatro entreranno a far parte di una comunità a cui saranno riservate speciali opportunità di coinvolgimento per vivere più dall’interno il teatro e la sua magica atmosfera. MARTEDì 1 DICEMBRE - ORE 17.30 ASPETTANDO “BéSAME MUCHO”. Incontro con gli autori e gli attori della Compagnia MERCOLEDì 16 DICEMBRE - ORE 17.30 Incontro con Alessio Boni, Alessandro Haber e gli altri attori della Compagnia di Il visitatore. Conduce Umberto Basevi VENERDì 18 DICEMBRE - ORE 17 Conferenza con letture. Intorno a Gigi di Colette, a cura dell’Associazione “L’incantevole aprile” (Per l’iscrizione ai Rolli del Teatro in quanto persona fisica, sono previsti tre livelli d’ingresso: Simpatizzante (donazioni da € 500), Amico (donazioni da € 1.000), Sostenitore (donazioni da € 2.500). VENERDì 15 GENNAIO - ORE 17.30 I PENSIERI DELLE PAROLE: INTORNO A “IL TRIONFO DEL DIO DENARO”. Interviene Curzio Maltese Nel caso delle persone giuridiche i tre livelli d’ingresso sono: Simpatizzante (donazioni da € 5.000), Amico (donazioni da € 10.000), Sostenitore (donazioni da € 20.000). VENERDì 22 GENNAIO - ORE 17.30 Incontro con Maria Paiato e Arianna Scommegna protagoniste di Due donne che ballano. Conduce Umberto Basevi Il Teatro Stabile di Genova ringrazia i primi sostenitori: MERCOLEDì 27 GENNAIO - ORE 17.30 LA COOP INCONTRA GLI INTERPRETI DI “DIPARTITA FINALE” Banca Carige Banco di Chiavari e della Riviera Ligure Iren VENERDì 29 GENNAIO - ORE 17.30 Incontro con Fulvio Pepe e gli attori della Compagnia di Gyula. Conduce Umberto Basevi Informazioni disponibili sul sito www.teatrostabilegenova.it MERCOLEDì 3 FEBBRAIO - ORE 17.30 Incontro con gli interpreti di Otello. Conduce Umberto Basevi palcoscenico soci istituzionali COMUNE DI GENOVA e foyer Numero 43 - ottobre 2015 / febbraio 2016 Edizioni Teatro Stabile di Genova piazza Borgo Pila 42 16129 Genova www.teatrostabilegenova.it Presidente Prof. Eugenio Pallestrini Direttore Angelo Pastore Consulente artistico Marco Sciaccaluga Sostenitore REGIONE LIGURIA VENERDì 12 FEBBRAIO - ORE 17 Conferenza con letture. Intorno a Patricia Brent, zitella di Herbert G. Jenkins, a cura dell’Associazione “L’incantevole aprile” GIOVEDì 18 FEBBRAIO - ORE 16.45 Conferenza con letture: Poeti di Liguria: dalla lirica pura allo sperimentalismo, a cura della Fondazione Mario Novaro Partner della stagione VENERDì 19 FEBBRAIO - ORE 17.30 Incontro con Ferdinando Bruni e Elio De Capitani protagonisti di Il vizio dell’arte. Conduce Umberto Basevi media partner Direttore responsabile Aldo Viganò Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione Tribunale di Genova n°34 del 17/11/2000 GIOVEDì 25 FEBBRAIO - ORE 16.45 Conferenza con letture: Poeti di liguria: dalla lirica pura allo sperimentalismo, a cura della Fondazione Mario Novaro Progetto grafico: Ace & Flanaghan (GE) Stampa: Microart’s (GE) CONTEMPORANEAMENTE A PALAZZO DUCALE Dagli Impressionisti a Picasso Capolavori del Detroit Institute of Arts 25 settembre 2015 - 10 aprile 2016 Appartamento del Doge Oltre cinquanta capolavori dell’arte europea tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, provenienti da uno dei più importanti musei degli Stati Uniti, che conserva opere donate da magnati, filantropi e baroni del settore automobilistico. In mostra dipinti di Van Gogh, Gauguin, Renoir, Degas, Monet, Matisse, Modigliani, Kandinsky, Picasso e molti altri. www.palazzoducale.genova.it Brassaï, pour l’amour de Paris 3 ottobre 2105 - 24 gennaio 2016 Sottoporticato Sebastião Salgado. Genesi 27 febbraio - 26 giugno 2016 La mostra racconta la storia eccezionale di una passione, quella che ha unito per più di cinquant’anni lo scrittore, il fotografo, il cineasta Brassaï agli angoli e ai più nascosti recessi della capitale ma anche a tutti quegli intellettuali, artisti, grandi famiglie, prostitute e mascalzoni, a tutti coloro che hanno contribuito alla leggenda di Parigi. Per tutta la sua vita Parigi rimane al centro delle sue riflessioni, il fil rouge del suo lavoro. Uno sguardo appassionato, teso a sottolineare la necessità di salvaguardare il nostro pianeta, di cambiare il nostro stile di vita, di assumere nuovi comportamenti più rispettosi della natura e di quanto ci circonda, di conquistare una nuova armonia. Il mondo come era, il mondo come è. La terra come risorsa magnifica da contemplare, conoscere, amare. Questo è lo scopo e il valore dell’ultimo straordinario progetto di Sebastião Salgado. Grandi incontri a Palazzo Ducale Ottobre 2015 - Giugno 2016 L’altra metà del libro 13 - 14 - 15 novembre 2015 Le meraviglie filosofiche A cura di Nicla Vassallo Passaggio al futuro. Impressionisti e post impressionisti A cura di Anna Orlando Pasolini oggi A cura di Massimo Recalcati Religioni e intolleranza A cura del Centro Studi Antonio Balletto I capolavori raccontati A cura di Marco Carminati Miti senza tempo A cura di Eva Cantarella e Nicla Vassallo Pianeta Terra: il futuro a km zero A cura di Alberto Diaspro Giunge alla quarta edizione la rassegna dedicata al lettore: tre giorni di incontri, presentazioni di libri, spettacoli, mostre, musica e teatro. Festival di Limes: La terza guerra mondiale? 4 - 5 - 6 marzo 2016 Prosegue per il terzo anno la collaborazione tra la Fondazione per la Cultura e “Limes”, la più importante rivista italiana di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo. 11 Spettacoli ospiti L’Ulisse Il mio nome è nessuno di Francesco Niccolini da Valerio M. Manfredi regia di Alessio Pizzech CORTE 3 novembre > 8 novembre Il viaggio di Ulisse, inizia dal suo ritorno a Itaca, dove – prima della grande vendetta – egli racconta al figlio Telemaco i dieci anni della guerra di Troia e i dieci di faticosissimo ritorno a casa. Come un reduce di guerra: l’ennesima guerra stupida, inutile e aberrante del nostro mondo. In scena, i molti fantasmi dell’Odissea, in un percorso drammaturgico che si rifà ai romanzi di Valerio Massimo Manfredi. Un marito ideale di Oscar Wilde regia di Roberto Valerio DUSE 4 novembre > 8 novembre Una trama seria raccontata con grande leggerezza. Il tema è quello della corruzione politica e dell’integrità dei governanti. È possibile una politica senza compromessi? La questione morale è un fatto privato o pubblico? Una commedia caratterizzata da dialoghi frizzanti e da quel gusto per la battuta graffiante che rendono sempre attuale il virtuosismo verbale di Oscar Wilde. Il visitatore di Éric-Emmanuel Schmitt regia di Valerio Binasco CORTE 15 dicembre > 20 dicembre Vienna 1938. Il vecchio e agnostico Sigmund Freud attende con ansia notizie della figlia, portata via dalla Gestapo, quando nel suo studio entra un curioso e gentile individuo nel quale egli riconosce Dio in persona. O è un pazzo che si crede Dio? Sullo sfondo s’erge l’ombra della tragedia del nazismo. «Se Dio esiste, perché permette tutto ciò?», chiede infine Freud. Con Alessio Boni e Alessandro Haber. L’uomo, la bestia, la virtù di Luigi Pirandello regia di Giuseppe Dipasquale CORTE 29 dicembre > 3 gennaio Capodanno a teatro per ridere in compagnia di Luigi Pirandello. Una farsa, di cui l’Uomo è la prima maschera, quella del professor Paolino che ha una tresca segreta con la signora Perella, la quale indossa la maschera della Virtù nel ruolo di una morigerata madre di famiglia praticamente abbandonata dal marito, che appare a tutti come la Bestia. Il triangolo borghese raccontato con sarcastica ironia con Geppy Gleijeses, Marco Messeri e Marianella Bargilli. dal 3 novembre al 28 febbraio Ti regalo la mia morte, Veronika di Federico Bellini e Antonio Latella da R. W. Fassbinder regia di Antonio Latella CORTE 12 gennaio > 17 gennaio Uno spettacolo liberamente ispirato al film Veronika Voss di Rainer Werner Fassbinder, il quale, con implicito ricordo di Viale del tramonto vi evocò la figura di Sybille Schmitz, famosa diva del Terzo Reich. Indagine sul ruolo che occupa la donna nell’opera e nella poetica di Fassbinder. Nel mortuario biancore che evoca la morfina, quasi una biografia del regista bavarese. Il Trionfo del Dio Denaro di Pierre de Marivaux regia di Beppe Navello DUSE 13 gennaio > 17 gennaio Una commedia divertente e cattiva sul potere di seduzione del denaro, scritta nel 1728. Apollo, dio dell’arte e della cultura, è innamorato di una terrestre. Plutone, dio del denaro, la vede, la desidera e si ripropone di conquistarla, strappando la bella all’amore di Apollo. Il titolo suggerisce già il vincitore della contesa. Una favola morale di straordinaria, esemplare efficacia e contemporaneità. Orestea di Eschilo regia di Luca De Fusco CORTE 19 gennaio > 24 gennaio Tra prosa, musica e danza, la messa in scena dell’unica trilogia giunta fino ai giorni nostri dalla Grecia classica. Uno spettacolo che affonda le radici nella tradizione mitica: l’assassinio del marito da parte di Clitemnestra (Agamennone), la vendetta del loro figlio Oreste (Le Coefore), la persecuzione delle Erinni e l’assoluzione nell’Aeropago del matricida (Le Eumenidi). Ricco cast d’interpreti. Dipartita finale di Franco Branciaroli regia di Franco Branciaroli CORTE 26 gennaio > 31 gennaio In una atmosfera dell’assurdo che rinvia a Samuel Beckett, si coniuga la storia di tre clochard (Pol, Pot e il Supino), comicamente alle prese con le questioni ultime dell’esistenza, incalzati da Toto, travestimento della morte. Una parodia, forse un western, un gioco da ubriachi sulla condizione umana nei nostri tempi; con una conclusione a sorpresa, che apre uno spiraglio all’happy end. Con Gianrico Tedeschi, Ugo Pagliai, Franco Branciaroli e Maurizio Donadoni. Gyula - Una piccola storia d’amore di Fulvio Pepe regia di Fulvio Pepe DUSE 27 gennaio > 31 gennaio In un paese sospeso nel tempo e nello spazio, vive un ragazzo diverso, amorevolmente cresciuto dalla madre. Gyula è un personaggio di lacerante purezza e di tenera ingenuità, che, come in una favola, diventa protagonista di un racconto corale, in equilibrio fra malinconia e comicità, sentimentalismo e realismo magico. Una novità italiana accolta dalla critica come un “piccolo gioiello” e interpretata da attori provenienti quasi tutti dalla Scuola dello Stabile. Otello di William Shakespeare regia di Carlo Sciaccaluga DUSE 1 febbraio > 7 febbraio In un’ambientazione che evoca la prima Guerra del Golfo, con l’isola di Cipro immaginata come un decadente avamposto dell’Occidente, si consuma lo scontro tra la “mostruosa” intelligenza di Iago, e la natura romantica e primitiva di Otello; mentre la loro civiltà sta crollando sotto il peso delle sue stesse conquiste. La più terribile tragedia di Shakespeare rivive in uno spettacolo insieme colto e popolare. Con Filippo Dini e Antonio Zavatteri. The Pride di Alexi Kaye Campbell regia di Luca Zingaretti CORTE 2 febbraio > 7 febbraio Due storie che si svolgono in tempi diversi: una nel 1958 e l’altra nel 2008. Due volte i tre personaggi protagonisti – che condividono gli stessi nomi e (pur nel salto di generazione) sono il riflesso gli uni degli altri - esplorano temi quali il destino, l’amore, la fedeltà e il perdono. Una commedia che solleva interrogativi sulla vita contemporanea (sia questa gay o etero), lasciando allo spettatore la risposta. Con Luca Zingaretti. Molière: la recita di Versailles di Stefano Massini, P. Rossi, G. Solari regia di Giampiero Solari CORTE 9 febbraio > 14 febbraio Un viaggio nel teatro, nelle opere e nella biografia di Molière. Il racconto del dietro le quinte di una Compagnia “in prova” la quale, per ordine del re, deve allestire in tutta fretta una nuova commedia che metta a confronto, in un gioco di specchi temporali ed esistenziali, il lavoro quotidiano dei teatranti, fondendo, nel segno del comico, il classico con il contemporaneo, la tradizione con l’attualità. Con Paolo Rossi. (continua da pag. 1) Finalmente si comincia In questi mesi di lavoro ho voluto anche ribadire e implementare i legami del teatro con la città e le sue istituzioni culturali e attivare rapporti con il circuito europeo: ne sono derivati protocolli di intesa con Palazzo Ducale, Carlo Felice, Convention Bureau, Conservatorio Paganini, Teatro del Carcere di Marassi e coproduzioni con la Comédie de Caen, il Théâtre National de Nice e l’Associazione ARS NOVA di Poitiers. Insomma, finalmente si comincia. Sono emozionato, contento e curioso di capire se una parte essenziale della vita del teatro, il pubblico, sarà con noi, come finora è stato. Angelo Pastore Il vizio dell’arte di Alan Bennett regia di F. Bruni, F. Frongia DUSE 17 febbraio > 21 febbraio Dall’autore di The History Boys, una commedia che con la tecnica del teatro nel teatro racconta l’amicizia tra il poeta Auden e il musicista Britten. Due artisti che sognano di lavorare insieme per un’opera tratta da Morte a Venezia. Uno spettacolo che parla di poesia e di musica, di etica e di omosessualità, della gioventù e della paura di invecchiare. Con Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Il racconto di Chimera da Sebastiano Vassalli regia di Lucilla Giagnoni DUSE 10 febbraio > 14 febbraio Dal romanzo storico La Chimera di Sebastiano Vassalli, vincitore del Premio Strega 1990, una storia ambientata nella pianura padana durante la Controriforma. La parabola esistenziale di un’orfana, dalla solitudine del convento al rogo su cui viene bruciata come strega, s’intreccia con la tragedia dell’11 settembre 2001, attualizzando in forma epica il tema dell’uccidere nel nome di Dio. Con Lucilla Giagnoni. Weekend Comedy di Sam Bobrick, Jeanne Bobrick regia di Stefano Messina DUSE 23 febbraio > 28 febbraio Scontro generazionale tra due coppie che scoprono di aver affittato lo stesso cottage in riva al lago, dove sognano di trascorrere un romantico weekend. Frank e Perry sono anziani e sposati, Jill e Toni giovani e fidanzati. Le situazioni comiche esplodono quando, civilmente, i quattro decidono di condividere la stessa abitazione. Un modo allegro per parlare dell’amore e delle relazioni tra gli esseri umani. Due donne che ballano di Josep Maria Benet i Jornet regia di Veronica Cruciani DUSE 20 gennaio > 24 gennaio Un’anziana e una giovane chiamata a farle da badante. Due donne schive, ma energiche e sarcastiche. Si detestano perché sono simili. Litigano, e si feriscono, ma confessano di sé quello che solo a un’estranea si riesce a confessare. Donne che ballano in solitudine, come balla una nave in balia delle onde. Insieme, però, imparano ad affrontare la fatica di vivere in una società che le estromette. Con Maria Paiato e Arianna Scommegna. Venire allo Stabile è facile con le “Carte a consumo” CARTE LIBERE 4 – 5 – 10 – 15 ingressi utilizzabili anche da più persone per lo stesso spettacolo Ingressi I settore II settore 4 € 96,00 € 64,00 5 € 115,00 € 77,50 10 € 210,00 € 142,50 15 € 285,00 € 195,00 CARTA CAMPUS 12 ingressi a posto unico, riservata agli studenti universitari (utilizzabile come un carnet anche per un solo spettacolo) CARTA SCUOLA 10 ingressi a posto unico, riservata alle scuole (utilizzabile come un carnet anche per un solo spettacolo) € 120,00 € 90,00 Biglietti singoli: 1° settore € 25,00 - 2° settore € 17,00 - Giovani (fino a 26 anni) € 12,00 Orari casse: Teatro della Corte: da martedì a sabato ore 10-13 e 16-21; domenica ore 15-18; lunedì chiuso Teatro Duse: martedì, mercoledì, venerdì, sabato ore 19-21; giovedì ore 18.30-20.30; domenica ore 15-18; lunedì chiuso (apertura solo in presenza di spettacolo) www.teatrostabilegenova.it – Happyticket – Vivaticket 12 palcoscenico e foyer