La “follia” di Minetti è il destino dell`attore

palcoscenico
e foyer
Numero 43 - ottobre 2015 / febbraio 2016
La “follia” di Minetti
è il destino dell’attore
Il 13 ottobre al Duse va in scena la commedia di Thomas Bernhard,
con Eros Pagni protagonista. Regia di Marco Sciaccaluga
Angelo Pastore
(continua a pagina 12)
La Corte si apre
il 20 ottobre
con Anton Cechov
Coprodotto dallo Stabile di Genova e dal Teatro Due di Parma, lo
spettacolo è diretto e interpretato
da Filippo Dini, al cui fianco recita
una compagnia composta quasi
tutta da attori formatisi alla scuola dello Stabile genovese. Versione
italiana di Danilo Macrì. Una commedia attraversata dai fremiti di
una giovanile emotività, da un latente erotismo e dalla drammatica
brutalità di una sempre presente
pulsione di morte. Repliche sino al
1° novembre, poi in tournée.
Finalmente si comincia
Dopo molti mesi di lavoro intenso e accurata preparazione,
finalmente si apre il sipario sulla stagione 2015/2016. Una
stagione i cui segnali di novità
sono cominciati già questa estate, con l’anticipo a giugno della
presentazione del cartellone e
con la conseguente campagna
abbonamenti: una prassi che mi
pare sia stata gradita e che verrà consolidata nei prossimi anni.
Sono otto le nostre produzioni
(Minetti, Ivanov, Le prénom,
George Dandin, Bésame mucho,
Demoni, Intrigo e amore, Macbeth Remix) per un totale di 118
recite, a cui si aggiungono venti
spettacoli ospiti con 108 recite;
un cartellone pensato con passione, che spazia dal repertorio
classico alla drammaturgia contemporanea, e la cui linea identitaria è essenzialmente quella
della scelta di bravi attori e di
testi non banali.
Le nuove tipologie di abbonamenti e di prenotazioni che
quest’anno proponiamo sono
state pensate per agevolare il
più possibile il rapporto fra voi,
nostri spettatori, e noi teatro, e
sono un invito per tutti coloro
che frequentano solo sporadicamente le nostre sale: provate, è
facile!
Anche l’introduzione dell’orario
di inizio spettacolo alle 19.30 il
giovedì sera rientra in questa volontà di rendere a tutti il più semplice possibile venire a teatro e
lasciarsi affascinare da questa
arte che cattura e seduce.
Gli incontri programmati nel foyer del Teatro della Corte con i
protagonisti della stagione potranno inoltre dare chiavi di lettura e suggestioni interpretative.
La campagna abbonamenti è
ancora in corso, e lo sarà anche
nei prossimi mesi; i dati di vendita ad oggi sono confortanti e
sono certo che verranno consolidati e incrementati (posso assicurare che per capienza delle
sale e numero di recite programmate non ci saranno problemi
nel trovare posto!).
Ivanov
La prima produzione stagionale dello Stabile di Genova è un classico del teatro contemporaneo diretto da
Marco Sciaccaluga e interpretato da Eros Pagni, al cui fianco sono Federica Granata, Marco Avogadro, Nicolò Giacalone, Giovanni Annaloro, Mario Cangiano, Marco De Gaudio, Roxana Doran, Daniela Duchi, Michele
Maccaroni, Daniele Madeddu, Sarah Paone, Francesco Russo, Emauele Vito. Versione italiana di Umberto
Gandini. Scene e costumi di Catherine Rankl, musiche di Andrea Nicolini, luci di Sandro Sussi. Ritratto di un
artista da vecchio: il più grande attore tedesco del dopoguerra, Bernhard Minetti, presta il proprio nome alla
commedia scritta nel 1977 dall’austriaco Thomas Bernhard. Nella notte di Capodanno, in attesa di chi gli
ha offerto di ritornare sulla scena nel ruolo di Re Lear, il protagonista s’interroga – nella hall di un albergo di
Ostenda – sull’arte dell’attore come riflesso di un mondo grottesco, assediato da una metaforica tempesta
di neve. Tra il comico e il tragico, Bernhard intreccia la realtà con la sua trasfigurazione poetica.
anteprima
Le prénom
George
(Cena tra amici) Dandin
al Duse dal 21/11 al 6/12
alla Corte dal 24/11 al 6/12
Bésame
mucho
al Duse dal 10 al 16 dicembre
in tournée da gennaio
Incoronato dal premio le “Maschere del Teatro” assegnato come
migliore attore protagonista a
Eros Pagni, lo spettacolo, scritto
da Eduardo De Filippo e messo in
scena da Marco Sciaccaluga per
lo Stabile di Genova, va in tournée
per il secondo anno consecutivo.
Un classico di Molière per l’interpretazione di Tullio Solenghi. Regia
di Massimo Mesciulam, con Gennaro Apicella, Maria Basile Scarpetta, Massimo Cagnina, Angela
Ciaburri, Daniele Madeddu, Barbara Moselli, Alex Sassatelli. Versione italiana di Valerio Magrelli.
La commedia dei francesi Matthieu
Delaporte e Alexandre de La Patellière tradotta da Fausto Paravidino
e diretta da Antonio Zavatteri, con
Alessia Giuliani, Alberto Giusta,
Davide Lorino, Aldo Ottobrino e
Gisella Szaniszlò. Una generazione
alla ricerca di se stessa.
Il sindaco
del rione Sanità
Il pensiero e la poesia di Edoardo
Sanguineti nel bar della stazione in
un ipotetico Aldilà. Pino Petruzzelli
(anche autore con Giuliano Galletta) dirige e interpreta un affettuoso e inventivo omaggio al grande
intellettuale genovese. Con Mauro
Pirovano e Alice Giroldini.
1
Minetti
Ritratto di un artista da vecchio
Eros Pagni protagonista della commedia
di Thomas Bernhard che pone l’attore al centro
del mondo. La scrittura drammatica come rimedio all’incomprensibilità della esistenza umana
e il teatro come estrema difesa contro la morte
In Minetti, come in quasi tutte le
opere drammaturgiche di Thomas
Bernhard, «la teatralità risulta essere un rimedio esistenziale, l’estrema, anche se contraddittoria difesa
contro la morte», annota Eugenio
Bernardi nella prefazione al terzo
volume del teatro di Bernhard edito
da Ubulibri e ora ripubblicato da
Einaudi. «È a questo punto infatti
che la riflessione del suo teatro,
attinta del resto a testi classici
(Diderot, Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Artaud vengono
esplicitamente citati come punti
nodali entro cui si muove il pensiero
creativo di Bernhard), s’incontra
con la tradizione sostanzialmente
barocca che presiede allo sviluppo
del teatro austriaco anche moderno (si pensi a Hoffmannsthal, per
esempio) e che investe il progetto
estetico con una forte pressione
etica. L’artificio perde cioè la sua
spinta liberatoria ed esaltante e
raggela nel momento in cui lo si
confronta con la vita, la quale gli
sfugge totalmente ed è vista come
tumultuosa, inafferrabile e feroce
al pari della natura, contro cui le
costruzioni dell’intelligenza (siano
esse filosofiche, artistiche, scientifiche) non possono che fallire. Il teatro, come l’intende l’attore di nome
2
palcoscenico e foyer
Minetti nella pièce omonima, può
aspirare alla verità solo se arriva
a rappresentare la propria artificiosità di costruzione intellettuale,
se arriva cioè ad autodistruggersi.
Minetti sogna una pièce che duri
un attimo solo, quanto basta per
apparire e scomparire, cancellando
d’un solo tratto e trascinando nel
buio la storia dell’uomo come
storia di gesti impotenti».
Quello di Bernhard è, dunque,
«un teatro provocatorio, ben aldilà
di quanto poteva esserlo quello
politico-contestativo che si usava
mettere in scena negli anni in cui
Bernhard scriveva Minetti.
Un teatro al limite, di cui si può
parlare solo come di un’utopia.
Che l’attore di nome Minetti sia
riuscito o no a realizzarlo trent’anni
prima, non conta. Conta che quella
esperienza (effettiva o solo immaginaria) segni il momento del suo
rifiuto definitivo di mettere in scena,
come direttore di teatro, il repertorio classico, il rifiuto di fingere
cioè una conciliazione producendo
un’azione teatrale in cui, come in
uno specchio o in un punto focale
(la grande ambizione goethiana),
i dispersi frammenti della realtà
come noi la percepiamo, si ricompongano in unità. In Bernhard lo
specchio che il teatro continua a
voler essere, riflette la realtà come
essa è, non pretende di suggerire
vie d’uscita, non vuole alimentare
illusioni».
In Minetti – prosegue Bernardi –
«Bernhard concentra la sua attenzione su quella figura di interpreteesecutore-attore che è al centro
di tutta l’impalcatura della sua
opera e di cui egli ora, riducendo al
massimo i termini della rappresentazione, rimette in gioco il senso,
indicando in un modello essenziale
quella contraddizione tra mimetica
e riflessione che la contraddistingue e la sostiene. D’altra parte,
poiché queste strutture drammatiche ridottissime toccano il nocciolo
dell’opera complessiva, su di essa
affluiscono ricordi e allusioni di
altri testi, esse richiamano spunti
lontani, ammiccano al
lettore/spettatore attraverso il
gioco delle variazioni. E tanto più
gli ammiccano, visto che nascono
riferendosi direttamente a un attore
ben noto, per cui la ricognizione
perde la sua iniziale impostazione
astratta e diventa lo schema di una
partitura che attende di essere
eseguita. Un paragone con Beckett,
soprattutto l’ultimo Beckett, farebbe rilevare quanta euforia e fiducia
vi sia in questa pièce di Bernhard,
in aperta contraddizione con le
premesse che condannano come
illusorio ogni tentativo di dare un
senso all’esistenza e una veridicità
alla parola, Qui invece Minetti arriva
ad affermare che “a volte disponiamo di tutto”, o a recuperare un momento in cui “la parola pronunciata
crea intorno a sé il silenzio”».
Bernhard e il senso del nostro tempo
L’opera di Thomas Bernhard rappresenta la più potente e drastica domanda di senso del nostro tempo,
così estrema da porre perfino se stessa in discussione, incontrando conseguentemente la tensione
essenziale che si produce nell’esercizio del linguaggio che fa di se stesso il suo principale e più tormentoso problema. La domanda di Thomas Bernhard finisce così per attorcigliarsi lungo la spirale espressiva nella quale senso e non-senso, verità e menzogna, realtà e finzione risultano inestricabilmente
intrecciati, come dannati compagni di viaggio di un’ossessione mortale. L’istanza radicale costituita
dalla scrittura di Thomas Bernhard nasce da uno stato di perfetta indifferenza rispetto alle gerarchie
di valore secondo le quali la cultura ordinariamente distingue e discrimina le esistenze degli uomini
in base a valori più elevati o supremi, secondo l’alto e il basso. La scrittura di Thomas Bernhard è il
compimento di una disciplina etica interiore che eguaglia tutte le esistenze degli uomini, qualunque
cosa essi facciano o perseguano, di fronte al giuoco crudele di una natura contro la quale gli uomini
si battono, si battono per la durata di una vita, per poi prima o dopo fatalmente soccombere perché la
natura alla fine è più potente di ogni loro sforzo.
Aldo Giorgio Gargani (dalla prefazione di La frase infinita)
La maschera di Lear
Conversazione con il regista dello spettacolo
che inaugura al Duse la stagione del Teatro Stabile
Che rapporto c’è tra l’attore Bernhard
Minetti e il personaggio Minetti della
commedia di Thomas Bernhard, di cui
Minetti attore fu il primo interprete?
Non si tratta sicuramente di una
biografia. Anzi, il Minetti uomo e
il Minetti personaggio hanno un
destino radicalmente diverso. E
questo ribaltamento a me sembra una
straordinaria riflessione sul destino
umano, il quale ha fatto del primo
un meraviglioso attore che per tutta
la vita ha ottenuto successo e tutti i
maggiori riconoscimenti possibili;
mentre ha fatto dell’altro un perdente
che vive l’inesorabile caduta nell’abisso della follia e della solitudine,
precipitando nell’epilogo del suicidio
sotto la neve e lasciando di sé solo
l’immagine mitica della maschera di
Re Lear, indossata, infine e per l’ultima volta, prima di morire.
Un diffuso pregiudizio presenta
Thomas Bernhard come un drammaturgo difficile, per pochi, autore di opere
in cui non accade nulla.
Un pregiudizio che c’è soprattutto
in Italia, perché nel mondo germanico Bernhard è un autore molto
amato e molto rappresentato: amato
soprattutto dagli attori, che non solo
intuiscono nelle sue commedie un
vero atto d’amore per il loro lavoro,
ma colgono subito la specificità della
sua scrittura drammaturgica, la quale
è sempre molto concreta, mai astratta
e intellettualistica. Bernhard ama l’attore perché gli interessa vedere degli
esseri umani sul palcoscenico che si
confrontano con altri esseri umani in
platea. Nel suo teatro, l’uomo occupa
il ruolo centrale. Quello di Bernhard
è sempre un uomo concreto, con i
suoi comportamenti, le sue fragilità
e le sue nevrosi, anche con la sua
ideologia. In Minetti, come in tutto il
teatro di Bernhard non c’è mai nulla
di didascalico, tutto è straordinariamente antipsicologico, anche se la sua
scrittura entra nella psiche umana,
con la voracità maniacale di un folle
chirurgo che seziona il cervello della
sua creatura.
umana è al trenta per cento verbale
e per il resto analogica, per questo è
come se dicesse ai suoi interpreti: io
scrivo un terzo del testo e mi limito a
farvi intuire il resto; sta a voi risolvere
l’enigma dell’esistenza dei personaggi.
E tra gli indizi interpretativi Bernhard, come del resto già Beckett, usa le
didascalie che vanno prese alla lettera,
perché non si limitano a indicare uno
stato, a dire “si potrebbe fare così”, ma
sono proprio delle precise indicazioni
per l’azione da compiere.
Nel teatro di Bernhard, e in particolare
di Minetti, qual è il rapporto tra letteratura e scrittura drammatica?
Sino a che punto Minetti
è un monologo?
Alla prima lettura, la scrittura di Bernhard appare indubbiamente ostica,
ma forse che non è ostico leggere per
la prima volta il vero teatro, leggere
il Re Lear? Bernhard complica le
cose, però, scrivendo in versi e senza
punteggiatura. Non è il solo a farlo
tra i contemporanei, ma lui costringe
così l’interprete (lettore, regista, attore,
ecc.) a una grandissima responsabilità.
È l’interprete che deve scegliere la
chiave di lettura. Anche se poi, lavorando sul testo, si scopre nella scrittura
di Bernhard una punteggiatura segreta, che è inevitabilmente quella del
senso. L’interprete onesto, disposto ad
ascoltare veramente la voce dell’autore,
si accorge ben presto che non è lui ad
attribuire un senso alle parole scritte,
ma che il senso è già necessariamente
contenuto nella scrittura. Bernhard
è un drammaturgo che prende alla
lettera una delle grandi questioni del
teatro. Egli sa che la comunicazione
Se si contano le battute attribuite agli
attori, può apparire anche tale, ma assolutamente non è un monologo. I piani
d’ascolto, la presenza fisica degli interlocutori, le relazioni tra i personaggi
hanno la stessa importanza delle molte
parole che dice il protagonista. La
struttura di Minetti è di fatto sempre
dialogica, anche quando il protagonista
allude direttamente al pubblico che egli
considera il suo grande nemico, colui
che ha decretato la rovina della sua vita
e contro il quale egli teorizza che debba
sempre recitare un vero attore, mettendolo a disagio e inquietandolo.
Nella follia in maschera
del Capodanno, Minetti si rivolge
soprattutto a due donne
di diversa età, perché?
Il portiere e il facchino sono di fatto
esemplari di quella forma degradata di
umanità che egli detesta, quella che ha
fatto del divertimento e della superficialità il suo scopo principale, quella
che non capisce la follia
dell’arte e che considera i
classici come una moda da
grande magazzino.
Nelle donne, invece,
Minetti vede almeno il
fantasma della possibilità
di essere capito. Entrambe le donne sono allo
stesso tempo incuriosite
e spaventate dalla sua
fragilità che percepiscono inconsciamente. La
signora in rosso rispecchia
in lui la propria solitudine, la ragazza invece
condivide con Minetti lo
stato dell’attesa e lentamente stabilisce con lui
un rapporto di curiosità
e di simpatia, giungendo
sino al punto di lasciar
intravvedere nel loro rapporto il fantasma di quello
esistente tra Cordelia e la
Qui sopra Eros Pagni con Federica Granata e con Daniela Duchi. Nella pagina
precedente: sopra, Eros Pagni; sotto Eros Pagni e Daniela Duchi circondati dalle
follia di Re Lear.
Maschere. In prima pagina Eros Pagni con Federica Granata, Marco Avogadro
e Nicolò Giacalone (foto di Bepi Caroli)
a cura di Aldo Viganò
Minetti
di Thomas Bernhard
personaggi e interpreti
Minetti, attore drammatico Una signora
Portiere Facchino
Una ragazza
L’innamorato della ragazza
Un vecchio che zoppica
Una vecchia coppia di coniugi
Una scimmietta
Un ubriaco
Uno storpio
Un cameriere
Persone in maschera
scene e costumi
progetto e realizzazione maschere musiche
luci versione italiana
regia Eros Pagni
Federica Granata
Marco Avogadro
Nicolò Giacalone
Daniela Duchi
Marco De Gaudio
Maurizio Taverna
Daniela Duchi
Michele Maccaroni
Daniele Madeddu
Francesco Russo
Michele Maccaroni
Daniele Madeddu
Giovanni Annaloro
Mario Cangiano
Maria Angela Cerruti
Marco De Gaudio
Roxana Doran
Daniela Duchi
Michele Maccaroni
Sarah Paone
Francesco Russo
Emanuele Vito
Catherine Rankl
Bruna Calvaresi
Andrea Nicolini
Sandro Sussi
Umberto Gandini
Marco Sciaccaluga
Teatro Duse
dal 13 ottobre al 1° novembre
L’attore venditore di anime
Tutti i personaggi che ho interpretato, tutte le mie creature
(ormai saranno trecento interpretazioni diverse) se voglio
riesco a vederle come fossero una schiera di fantasmi.
Sono sicuro che sono esistite. Che hanno vissuto. Non sono
creature morte. Se devo fare un bilancio, se devo azzardare
una definizione di me stesso, un titolo a caratteri cubitali,
direi: in quanto attore sono un venditore di anime.
Bernhard Minetti
“L’unica cosa che mi interessa è scrivere”
A chi pensa quando scrive?
Questa è una domanda veramente stupida.
Così stupida non direi. Pensa a qualcuno che l’ha fatta uscire dai
gangheri oppure magari a qualcuno che sappia capirla?
Dirò subito che non penso mai a coloro che un giorno leggeranno
quello che scrivo perché non mi interessa chi lo leggerà.
Io mi diverto esclusivamente nella scrittura, mi basta. Si cerca
sempre di migliorare, di scrivere riflettendo in maniera più adeguata,
questo è tutto, così come un ballerino si sforza di ballare meglio, ma
sono cose che vengono da sé perché chiunque svolga un’attività,
non importa quale, esercitandosi continuamente arriverà a una data
perfezione.
Lo scrivere non è anche una ricerca di contatto?
Io non cerco nessun contatto. Quand’è che ho mai voluto avere
contatti? Al contrario, li ho sempre rifiutati quando qualcuno
li cercava. Io voglio soltanto che si stampino i miei lavori, che se
ne facciano dei libri. Li metto negli scaffali per non perderli,
e sono così carini. Le mie cose le scrivo su carta da quattro
soldi, ruvidissima, e vedere poi il libro finito mi fa veramente
piacere, dopodiché l’editore manda un po’ di soldi ogni mese
e la storia finisce qui.
C’è qualcosa che potrebbe sostituire lo scrivere?
Non esistono sostitutivi di qualcosa. Potrei girare il mondo
in bicicletta, ma crede che possa sostituire qualcos’altro?
Cosa farà se un giorno non le verranno più idee nuove?
Questo tipo di domanda non ha senso. È come se lei chiedesse
a una cantante che cosa farebbe senza voce. Cosa potrebbe
rispondere? Che canta muta? Quando ho terminato di scrivere
qualcosa penso sempre che non riuscirò a scrivere altro, e che
non ne avrò mai più la voglia. Del resto è l’unica cosa che
mi interessi, scrivere.
Thomas Bernhard
(colloquio con André Müller, Ubulibri)
3
Ivanov
o il male di vivere
Fremiti giovanili e pulsione
di morte in una delle prime
opere teatrali del giovane
Anton Cechov
Ivanov è la prima delle grandi commedie di
Cechov (se si esclude il Platonov) scritta tra
il settembre e l’ottobre 1887, all’età di ventisette anni, su commissione, dietro richiesta
di Fëdor Kors, direttore del teatro omonimo.
In una lettera al fratello Aleksandr, scritta il
10 ottobre del 1887, dice: «Ho scritto l’opera
quasi senza accorgermene, dopo una conversazione con Kors. Sono andato a dormire,
mi è venuto in mente il tema e ho scritto. Ho
speso due settimane o meglio dieci giorni.
L’intreccio è complicato ma non sciocco.
Termino ogni atto come sono solito fare con i
racconti, tutti gli atti si svolgono con dolcezza
e tranquillità, ma alla fine colpisco in faccia lo
spettatore. Ho concentrato la mia energia su
alcuni momenti veramente forti, memorabili;
però i passaggi che uniscono le varie scene,
sono spesso insignificanti, fiacchi, banali.
Comunque sono contento: anche se il lavoro
STAMPA O MOSTRA
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ELETTRONICO
REGIONALE
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sia tramite supporto informatico (pc, tablet, smartphone) in grado di visualizzare correttamente file con
estensione “.pdf”. Il biglietto acquistato online, da oggi denominato Biglietto Elettronico Regionale (BER), è
nominativo e deve essere esibito sempre unitamente ad un valido documento di identificazione ad ogni richiesta
del personale di controlleria. Il BER può essere acquistato online da 7 giorni e fino a 30 minuti prima dell’ora di
partenza del treno scelto.
non fosse buono, ho creato un personaggio
che ha valore letterario». Di Ivanov si è detto
e scritto moltissimo e specialmente nella
seconda parte del secolo scorso si è insistito
sull’incapacità del protagonista nel gestire i
rapporti sociali e sentimentali, sul suo male
di vivere e la sua insoddisfazione patologica,
in breve si è molto discusso della sua depressione. Tutto ciò, temo, l’ha un po’ allontanato
dalla sua vera natura, da ciò che Cechov ha
scritto, e ce lo ha fatto sembrare una storia
noiosa e polverosa. La “noia” appunto, è uno
degli argomenti cardini delle conversazioni
dei suoi personaggi ed ecco qual è la migliore
descrizione che ne fa Cechov stesso, nel racconto La steppa, un anno dopo aver scritto
Ivanov: «Un nibbio vola rasente la terra, agita
pianamente le ali e poi d’improvviso si ferma
in aria come se riflettesse sulla noia di vivere,
scuote le ali, piomba come una freccia sopra
la steppa, e non si capisce perché voli, di che
cosa abbia bisogno». Di questo e forse solo
di questo si occuperà l’autore in tutta la sua
produzione letteraria: descrivere i modi più disparati che l’uomo escogita per sottrarsi alla
noia, ovvero a quell’attimo in cui d’improvviso
ci si ferma e si teme di non poter più ripartire,
quell’attimo in cui la paura elimina ogni certezza, quell’attimo che è la morte. Per questo
ogni uomo o donna in Cechov continuamente (e ognuno a modo suo) «scuote le ali e
piomba come una freccia» su qualcuno, su
qualcosa, su un’idea, su un amore. E così i
suoi personaggi sono traboccanti di vitalità e
la loro noia si esprime attraverso un infuocato desiderio di resistere alla noia.
In ogni commedia, Cechov crea un legame
indissolubile tra l’anima dei suoi personaggi
e l’ambiente circostante, tra uomo e natura,
come se partecipassero in egual maniera
nella composizione del paesaggio, come
se paradossalmente noi potessimo essere
responsabili di un temporale oppure al contrario, lui stesso fosse causa dell’ubriacatura
di Astrov nel secondo atto di Zio Vanja (per
fare un esempio tra i tanti), come se il “Tutto”
fosse espressione di una “comune anima
universale”, come dice Nina nello spettacolo
di Kostja. E di questo tanto si occupò Stanislavskij nelle regie che curò dei testi di
Cechov, fino ad una vera esasperazione di
brusii e rumori di uccelli e fenomeni metereologici. E nell’Ivanov assistiamo proprio ad un
progressivo allontanamento del protagonista
dalla natura e dal paesaggio, dal giardino
antistante casa sua nel primo atto al salotto
dei Lebedev con vista sul giardino nel secondo atto, fino alla totale chiusura in se stesso,
nella segretezza del suo studio (violata
irrimediabilmente da tutti) nel terzo atto.
Filippo Dini
La limpida arte
della semplicità
Anton Cechov secondo Peter Brook
Cechov ricercava sempre ciò che è naturale e voleva che la recitazione e la messa in scena dei suoi
drammi fossero limpide come la vita stessa.
Per riuscire a cogliere la particolare atmosfera dei suoi testi, si deve resistere alla
tentazione di dare un tocco “letterario” a frasi che, in russo, sono di grande semplicità. La scrittura di Cechov è molto sintetica, egli utilizza il minimo di parole;
sotto certi aspetti è una scrittura simile a quella di Pinter o di Beckett; anche per
loro è la costruzione che conta, il ritmo, la poesia teatrale che non nasce dalla
bellezza delle parole, ma dalla parola giusta detta al momento giusto.
www.trenitalia.com
In mancanza del biglietto e documento di riconoscimento, il viaggiatore viene considerato come sprovvisto di biglietto e regolarizzato in base
alla normativa vigente. Scopri le modalità di utilizzo del BER e i titoli regionali acquistabili online sul sito www.trenitalia.com
4
palcoscenico e foyer
Peter Brook (da Il punto in movimento)
La prima volta di Cechov
Il debutto di Ivanov nelle lettere al fratello Aleksandr
I
Ivanov
di Anton Cechov
personaggi e interpreti
l mio lavoro è stato rappresentato… ti descrivo tutto per ordine. In primo luogo, invece delle dieci prove che Kors
m’aveva promesso, ce ne sono state quattro, due sole delle quali possono essere chiamate prove, giacché le
altre due non sono state che dei tornei verbali in cui i signori attori si sono sfogati a discutere e insultarsi. Soltanto
Davydoc e la Glama sapevano la parte; gli altri recitavano secondo il suggeritore e la loro intima convinzione. (…)
Malgrado questo e le papere del regista, il primo atto ha avuto un grande successo. Molte chiamate. Atto secondo.
Un mucchio di gente sulla scena. Gli invitati. Non sanno la parte, si confondono, dicono sciocchezze. Ogni parola è
come una coltellata sulla schiena. Ma – o musa! – anche quest’atto è piaciuto. Hanno chiamato fuori tutti, due volte
hanno chiamato anche me. La gente si congratula con me per il successo. Atto terzo. Lo recitano discretamente.
Successo formidabile. (…). Atto quarto, primo quadro. Va benino. Poi un lunghissimo, penoso intervallo. Il pubblico,
non avvezzo ad andare al buffet fra due quadri, mormora. Si alza il sipario. Banchetto nuziale. L’orchestra suona
una marcia. Entrano i compari di anello: hanno bevuto e quindi credono, capisci, di dover fare i pagliacci: un’atmosfera da baraccone e da taverna che mi fa inorridire. Poi entra in scena Kieselevskij; una scena poetica, avvincente,
ma il mio Kieselevskij non sa la parte; è ubriaco come un ciabattino… Gli spettatori sono perplessi. Alla fine (…)
chiamano fuori gli attori e me. Durante una delle chiamate si sente uno zittio, soffocato dagli applausi e dal battito
dei piedi. Tutto sommato, stanchezza e un senso di stizza. Sono disgustato, quantunque il lavoro abbia avuto un
successo rispettabile. (Mosca, 20 novembre 1887)
D
unque, carissimo, tutto si è
finalmente calmato, dissipato,
e, come prima, siedo a tavolino a
scrivere con animo tranquillo i miei
racconti. Non puoi figurarti che cos’è
stato! Da una porcheriola insignificante come la mia piccola pièce
(Ivanov), è venuto fuori un finimondo. Ti ho giù scritto che alla prima
regnava nel pubblico e dietro la scena
un’eccitazione quale non vide mai il
suggeritore che pure lavora in teatro
da trentadue anni. Rumoreggiavano,
vociavano, applaudivano, zittivano.
Al buffet c’è mancato poco che non
s’azzuffassero; in loggione gli studenti
volevano buttar fuori qualcuno, e la
polizia ne ha espulsi due. L’eccitazione era generale. Nostra sorella è quasi
svenuta. Djukovskij è scappato via
perché aveva il batticuore e Kiselév s’è
preso a un tratto la testa fra le mani
e molto sinceramente urlava: «E
adesso, cosa farò?». Gli attori avevano i nervi tesi. Tutto quello che ho
scritto a te sulla loro interpretazione
e sul loro comportamento, deve,
beninteso, restare tra noi. Bisogna
spiegare e scusare molte cose... Ho
poi saputo che l’attrice che recitava
la parte principale aveva la figlia in
punto di morte, altro che recitare in
quei momenti! Kurepin ha fatto bene
a elogiare gli attori. Il giorno dopo
è apparsa sul Gazzettino di Mosca
una recensione di Pétr Kiceev, che
definisce la mia pièce una porcheriola
immorale, di un cinismo sfacciato.
L’informatore moscovita, invece, ne ha
parlato bene.
La seconda rappresentazione è
andata discretamente, seppure con
qualche brutta sorpresa. L’attrice, la
cui figlia è malata, è stata sostituita
da un’altra (senza prove). M’hanno
di nuovo chiamato due volte dopo il
terzo e una volta dopo il quarto atto,
ma non hanno più zittito. E questo è
tutto. Mercoledì altra replica del mio
Ivanov. Tutti si sono ormai calmati e
sono rientrati nella norma. Abbiamo
preso nota della data del 19 novembre e la festeggeremo ogni anno con
un banchetto, poiché questo giorno
rimarrà a lungo memorabile per la
nostra famiglia. Non ti scriverò più
niente sulla mia pièce. Se vuoi averne
un’idea, chiedi la copia a Maslov e
leggila. La lettura del lavoro non ti
spiegherà l’agitazione che ti ho descritto; non ci troverai nulla di straordinario. Nikolaj, Schechtel e Levitan,
ossia gli artisti, affermano che sulla
scena essa è così originale da far
impressione. Alla lettura questo non
si avverte. Nota bene: se a qualcuno
di Tempo Nuovo venisse in mente
di maltrattare gli attori che hanno
interpretato il mio lavoro, pregali di
astenersi. Alla seconda rappresentazione sono stati magnifici.
(Mosca, 24 novembre 1887)
Nicolaj Ivanov / Kosych
Filippo Dini
Anna Petrovna / Avdot’ja Nazarovna Sara Bertelà
Conte šabel’skij / Secondo ospite
Nicola Pannelli
Pavel Lebedev
Gianluca Gobbi
Zinaida Savišna
Orietta Notari
Saša
Valeria Angelozzi
Dottore L’vov / Gavrila
Ivan Zerbinati
Marfa Babakina
Ilaria Falini
Michail Borkin/ Primo ospite
Fulvio Pepe
scene e costumi
musiche
luci versione italiana
regia Laura Benzi
Arturo Annecchino
Pasquale Mari
Danilo Macrì
Filippo Dini
Teatro della Corte
dal 20 ottobre al 1° novembre
Qui sopra Sara Bertelà e Filippo Dini. Sotto una scena d’insieme. Nella pagina precedente: sopra, tutti gli interpreti;
sotto Ilaria Falini e Nicola Pannelli. In prima pagina Filippo Dini e Valeria Angelozzi (foto di Michele Lamanna)
“Una lingua quotidiana, vera come la vita”
La lingua dei personaggi di Cechov è
una lingua quotidiana, che non intimidisce, e se a volte
incontriamo parole
strane o ricercate,
sono loro per primi,
i personaggi, a
stupirsene. Una lingua semplice fatta
di frasi semplici.
Manifesto di Ivanov,
Però qui ci si deve
Teatro Kors, novembre 1887
fermare un attimo
a pensare. Perché con una lingua semplice si
possono fare grandi cose. Frasi semplici che
rimangono frasi semplici... Perché è la vita che
è così, perché il più delle volte si parla solo per
stare insieme, e anche il dolore quando si presenta, si presenta anche lui così, semplicemente... Tutto questo può anche essere vero, ed è la
materia principe di cui è fatta quella atmosfera
che tanto amiamo in Cechov. Solo che vale la
pena di ricordare che questa atmosfera non è
un quieto riparo dal mondo. Dietro quelle frasi
dimesse e di grande semplicità si nasconde una
profonda inquietudine. Viene sempre il momento in cui i personaggi importanti aprono il loro
armadietto del dolore e passano ancora una
volta in rassegna i motivi per cui le cose sono
andate come sono andate nella loro vita, e cioè
male. Quell’eterna autoanalisi dei personaggi
di Cechov di cui parla Peter Szondi in Teoria del
dramma moderno, eterna perché non si viene
mai a capo di nulla, e si finisce, come dire, per
trovarsi a corto di parole. O meglio per portare
le stesse eterne parole allo sfinimento. Sono
parole che non ce la fanno. Che non riescono
mai a diventare una buona volta le parole
giuste per capirci qualcosa. E che finiscono tutte
quante, in un modo o nell’altro, in una vetrina
del patetico che stringe il cuore. Questo però lo
sappiamo noi. Loro, i personaggi, ci provano sul
serio a capirci qualcosa. E quando si chiedono
“ma perché?” se lo chiedono sul serio. Prendiamo il grande monologo di Ivanov nel terzo atto.
Quello in cui si ferma a considerare in che stato
miserabile si è ridotto. Come si presenta questo
monologo? Si presenta come un pendolo continuo fra un che di visivo, tra alcune poche immagini insostenibili, insostenibili perché viene la
rabbia, perché viene da piangere, perché viene
lo schifo (la moglie... quelle guance incavate...),
e una mente che trova riparo dietro un confronto instancabile tra il presente e il passato (ero
questo... ero quello...) o tra quello che un attimo
sembra bianco e l’attimo dopo nero: come mai?
Danilo Macrì
(dall’intervista nel programma di sala)
5
Una fiaba
borghese
Una commedia d’oggi
che porta lo spettatore
ai bordi della Senna
Le prénom è una commedia di costume, molto borghese, un poco insidiosa.
Una voce narrante ci porta in un appartamento parigino nella zona dei Grand
Boulevards, rive droite: lì una coppia,
Pierre ed Elisabeth, si sta preparando
a ricevere amici, lei è tutta in ambasce
per la preparazione di una cena marocchina, lui non trova le chiavi della cantina. Arrivano alla spicciolata Claude, il
migliore amico di lei, e Vincent, che era
la spiritosa voce narrante. Si aspetta
Anna, la fidanzata di Vincent, incinta
di lui. Le prénom è il nome che Anna e
Vincent dovranno dare al nascituro. La
discussione sul nome è l’occasione di
un conflitto tra amici su punti di vista e
scelte di vita perché Pierre e Vincent,
amici d’infanzia, dovrebbero essere dei
moderni Don Camillo e Peppone. Pierre
indossa tutti gli stereotipi della borghesia parigina di sinistra, Vincent di quella
nuova destra che non è però la destra
del Front National, è semplicemente un
mondo di Suv, sarcasmo, partite di pallone in tv e soldi. Per dirla all’italiana:
non è il conflitto tra chi legge il “Manife-
sto” e chi il “Giornale”,
è tra chi legge “Repubblica” e chi la “Gazzetta dello Sport” e nulla
più. Infatti nel loro
incarnare due tipologie
sociali ben definite non
parlano mai di politica
ma di stili di vita e Hitler, che viene continuamente evocato, è male
assoluto e icona pop
ma non rappresentante di una politica che è
stata. La commedia è
molto ben congegnata,
il conflitto di personalità nasce come scherzoso, poi diventa serio,
poi violento. Metterà in discussione
tutti i loro rapporti e le loro convinzioni,
apriranno il vaso di Pandora delle cose
che non si sono mai dette per paura
che le cose precipitassero, ce le fanno
vedere precipitare, poi – visto che è una
commedia – approderanno verso un
nuovo equilibrio. Ho la sensazione che
noi Italiani abbiamo un rapporto un po’
più serio con la politica ed è strano a
dirsi se si pensa alla quantità e la qualità di buffoni che abbiamo visto sfilare in
Parlamento negli ultimi anni. Le ultime
elezioni politiche sostanzialmente erano un sondaggio popolare fra tre modi
diversi di buttarla in vacca ma, ciò nonostante, resta il fatto che noi Italiani ci
identifichiamo nella nostra appartenenza politica prima ancora che nel fatto
d’essere Italiani. Questo per dire che
se la commedia fosse ambientata qui
e tra persone di quella cultura, difficilmente si snocciolerebbe con la graziosa
superficialità con la quale è scritta ma
i personaggi urlerebbero di politica. La
pièce è francese, parla di una borghesia
che non è la piccola borghesia, è la borghesia che si fa opinione pubblica (che
in Italia non esiste) e che si è formata
riconoscendosi nella rappresentazione
che Molière ne ha dato (per lo meno
secondo Cesare Garboli) e attraverso la
Rivoluzione Francese, ovviamente.
È una borghesia che in Italia non abbiamo o non abbiamo ancora ed è per
questo che abbiamo pensato di lasciare
l’ambientazione della pièce a Parigi.
Perché una trasposizione in Italia avrebbe comportato delle forzature non di
forma ma di sostanza che, a mio avviso,
avrebbero reso i personaggi irrimediabilmente antipatici ed indifendibili spostando il rapporto dello spettatore con
la storia dall’immedesimazione al giudizio: non assisto a una pièce che parla di
me ma di quel cretino del mio vicino di
casa, che ho sempre pensato fosse una
brutta persona e ora a teatro ecco che
ne ho la conferma.
Mi rendo ben conto che nell’era in cui
il telegiornale più seguito in Italia è un
tg satirico praticare la derisione più che
la compassione sia un’attività piuttosto
diffusa e che non genererebbe alcuno
smarrimento nello spettatore ma non è
il teatro che mi piace e non è, in fondo,
nello spirito della pièce che, pur non
prendendosi mai troppo sul serio, è
continuamente pervasa da una vena
sentimentale alla quale sarebbe sbagliato non rendere giustizia.
Ci sono due modi per parlare dell’oggi:
uno è guardando vicino, l’altro è guardando lontano. Abbiamo scelto la seconda via, trattando la pièce come una
fiaba ambientata in un posto, Paris, che
è per molti di noi un luogo immaginario,
cercando di portare il pubblico ai bordi
della Senna come Shakespeare ci porterebbe in Illiria o a Messina.
Buon viaggio.
Fausto Paravidino
“Il ritratto della nostra generazione”
Non avevamo mai scritto per il teatro, ma
dopo tante sceneggiature cinematografiche
per gli altri, avevamo la sensazione di stare
perdendo la nostra indipendenza. E ci venne la voglia di qualcosa di nuovo. Da tempo
volevamo scrivere sulla famiglia, sul nostro
ambiente sociale, su di noi. È nata così una
commedia che, mettendo a frutto la nostra
predilezione per le chiacchiere anche assurde, porta alle estreme conseguenze il tema
della malafede. Una commedia che è insieme
individuale e universale, che muove da uno
spunto un po’ folle (il nome da dare a un figlio) e che diventa il ritratto della nostra generazione.
Matthieu Delaporte
Alexandre de La Patellière
6
palcoscenico e foyer
Cena con sorpresa
Quarantenni a confronto tra colpi di scena, battute
comiche, amicizia, rancori e legami profondi
Quando, due anni fa, al Teatro
Stabile di Genova si pensò di
mettere in scena Le prénom (Cena
tra amici), non si sapeva di avere
a che fare con una commedia che
sarebbe diventata popolare anche
in Italia, dopo il successo degli
adattamenti cinematografici francese e italiano. La sfida quindi è
diventata ancora più interessante,
anche se lo spettacolo in scena
al Duse dal 21 novembre al 6
dicembre, con la regia di Antonio Zavatteri, è rigorosamente
fedele al testo teatrale originale,
senza ammiccamenti alle successive versioni cinematografiche
e senza forzature registiche. «Io
ho visto il film francese ma non
quello italiano, proprio per non
farmi condizionare, e, comunque, ho cercato di distaccarmi
il più possibile anche da quella
versione cinematografica» racconta Zavatteri. Motore della
commedia è lo scherzo fatto da
uno dei protagonisti, Vincent, che
di professione fa l’agente immobiliare e che, durante una cena a
casa di sua sorella Elisabeth e del
cognato Pierre, fa credere a loro e
all’amico comune Claude di voler
chiamare Adolphe il figlio che lui
e la sua compagna Anna stanno
per avere. L’annuncio fa indignare
gli altri e soprattutto Pierre, professore alla Sorbona, intellettuale
progressista, che contesta la scelta
per ragioni ideologiche, ma la discussione sul nome del bambino
fa venire allo scoperto sentimenti,
segreti e anche rivalità e rancori
antichi che legano i personaggi.
«Le prénom non è una commedia
di solo intrattenimento» sottolinea Zavatteri.
«È un testo che fa ridere, ma che
racconta sentimenti e legami
molto profondi. Lo scherzo di
Vincent fa in parte emergere e in
parte intuire un non detto antico
fra i personaggi, grazie al quale
sono state costruite relazioni
umane che non hanno messo in
campo emozioni conflittuali e che
hanno fatto andare avanti i rapporti senza fratture. Lo scontro
sul nome, quindi, non è il vero
nodo della discussione, in gioco
c’è altro». Ci sono pezzi di vita
condivisi, sentimenti ed emozioni mai confessati – come la
relazione segreta che lega Claude
alla madre, vedova, di Elisabeth e
Vincent – opinioni politiche differenti. «Pur appartenendo tutti
alla stessa borghesia, non repressa
e vagamente intellettuale – racconta il regista – i protagonisti
si sono costruiti diverse visioni
della vita: più progressista la coppia che ospita, più conservatrice
l’altra. E lo scontro sul nome del
bambino che sta per nascere è
anche scontro su stereotipi legati
a posizioni ideologiche: Pierre,
infatti, contesta la scelta del nome
Adolphe per ragioni ideologiche
e per quello che suscita nell’immaginario collettivo, ma anche gli
argomenti di Vincent hanno un
fondamento, quando dice di non
volersi far condizionare appunto
dall’immaginario collettivo.
È una discussione appassionante». Stereotipi e convenzioni che
influenzano modo di vivere e gusti dei personaggi si riflettono in
scena anche nei costumi: «Stiamo
cercando di essere coerenti con
gli stereotipi e di caratterizzare,
quindi, i costumi con segni precisi» spiega il regista. Di qui la
scelta di un look vagamente di
sinistra per Pierre e sua moglie
Elisabeth, con “doverosa” giacca
di velluto per lui e abito dal tocco
etnico per lei, e di vestiti piuttosto eleganti invece per Vincent e
per Anna che lavora proprio nel
mondo della moda. «Per la scenografia abbiamo pensato invece
a elementi piuttosto astratti ed
essenziali perché - spiega il regista - vogliamo che le relazioni fra
i personaggi siano predominanti
rispetto alla creazione di un ambiente. Prima che uscisse il film
italiano avevo provato a immaginare di rendere la commedia un
po’ più nostra, più italiana, poi
invece abbiamo deciso di presentarla come una storia esotica,
una favola che si racconta sul palcoscenico, mantenendo la figura
del narratore che nel testo apre e
chiude la commedia».
E gli spunti di comicità sono
offerti sia dalle battute, che dalle
relazioni e dalle espressioni dei
personaggi stessi. «La cifra comica dello spettacolo si scopre
man mano che si va avanti con
le prove, ma, anche se non è una
commedia di puro intrattenimento, è evidente che “deve” far ridere» sottolinea Zavatteri, convinto
che oggi possa fare bene al Teatro
mettere in scena testi come questo. «In un momento in cui il
teatro rischia di diventare sempre
più elitario – spiega – credo sia
importante portare sul palcoscenico, con attori di un certo livello,
commedie come questa, che hanno una loro dignità, affrontano
questioni non banali e possono
attirare un pubblico che di solito
non va a teatro. Anche Peter
Brook diceva che la distinzione da
fare non è fra teatro basso e alto,
ma fra teatro di qualità e no».
Annamaria Coluccia
Le prénom (Cena tra amici)
di Matthieu Delaporte, Alexandre de La Patellière
personaggi e interpreti
Elisabeth Garaud-Larchet
Pierre Garaud, suo marito
Claude Garirnol Vincent Larchet
Anna Caravati
scene e costumi
luci versione italiana
regia Alessia Giuliani
Alberto Giusta
Davide Lorino
Aldo Ottobrino
Gisella Szaniszlò
Laura Benzi
Sandro Sussi
Fausto Paravidino
Antonio Zavatteri
Teatro Duse
dal 21 novembre al 6 dicembre
Dalla scena allo schermo
Rappresentato sui palcoscenici di Parigi nel 2010, Le prénom ottenne
sei nomination al Prix Molière dell’anno seguente e fu adattato subito
per il grande schermo dai suoi stessi autori. Il film francese uscì anche
in Italia nel 2012 con il titolo Cena tra amici. Tre anni dopo, Francesca
Archibugi ne fece un nuovo adattamento cinematografico con il titolo
Il nome del figlio.
Lo Stabile in tournée
Nella Stagione 2015-2016, il Teatro Stabile di Genova sarà
in tournée con:
Il sindaco del rione Sanità
La Spezia (Teatro Civico) 16 e 17 gennaio
Torino (Teatro Astra) dal 19 al 24 gennaio
Merano (Teatro Puccini) 26 e 27 gennaio
Bolzano (Teatro Comunale) dal 28 al 31 gennaio
Piacenza (Teatro Municipale) 2 e 3 febbraio
Prato (Teatro Metastasio) dal 4 al 7 febbraio
Milano (Teatro Elfo-Puccini) dall’8 al 14 febbraio
Vicenza (Teatro Comunale) 16 e 17 febbraio
Rimini (Teatro Novelli) dal 19 al 21 febbraio
Trieste (Teatro Rossetti) dal 24 al 28 febbraio
Catania (Teatro Verga) dall’1 al 6 marzo
Correggio (Teatro Asioli) 8 e 9 marzo
Cesena (Teatro Bonci) dal 10 al 13 marzo
Imola (Teatro Comunale) dal 15 al 20 marzo
Ivanov
Lugano (Teatro Lac) 17 e 18 ottobre
Vignola (Teatro Fabbri) 17 novembre
Pordenone (Teatro Verdi) 18 e 19 novembre
Parma (Teatro Due) dal 20 al 22 novembre
Imola (Teatro Ebe Stignani) dal 25 al 29 novembre
Trieste (Teatro Rossetti) dal 16 al 20 dicembre
Nel segno della novità
Qui sopra una scena d’insieme durante le prove. Nella pagina precendente gli interpreti della commedia durante le prove.
In prima pagina Antonio Zavatteri dirige Aldo Ottobrino e Alessia Giuliani (foto di Bepi Caroli)
La stagione 2015 / 2016 si apre nel segno della novità anche per
quanto riguarda la vendita dei singoli biglietti e le forme di abbonamento.
Tutti i biglietti per le rappresentazioni dei singoli spettacoli sono
messi simultaneamente in vendita e tutti (abbonati e no) possono
acquistare subito il biglietto, con la relativa definizione del posto in
sala. Chi arriva prima ha maggiore possibilità di scelta.
Gli abbonamenti rimangono quelli classici (posto fisso, libero, giovani) a prezzo invariato, ma vengono aggiunte anche altre forme di
abbonamento che rendono più facile e allettante la frequentazione
del teatro.
Una novità assoluta sono le Carte a consumo, utilizzabili anche da
più persone per la stessa recita.
Un’altra novità suggerita dalla maggioranza di coloro che hanno compilato il questionario dello Stabile è lo spettacolo del giovedì anticipato alle ore 19.30 sia alla Corte, sia al Duse.
7
Molière e le corna
Una farsa scritta su commissione
di Luigi XIV elevata al rango
di commedia di costume
Nel 1668, per celebrare la conquista della Franca
Contea e la pace di Aix-la-Chapelle, Luigi XIV organizzò una sfarzosa festa, nota con il nome di Grand
divertissement royal de Versailles, Molière fu
invitato a parteciparvi, sia come attore che come
autore. Su un palcoscenico all’aperto fu rappresentata, probabilmente il 18 luglio, una commedia pastorale in versi, inframmezzata da una commedia
in prosa: George Dandin. Questa semplice storia di
un marito tradito attinge contemporaneamente alla
tradizione dei racconti italiani e della farsa francese, La scena in cui Angélique finge di uccidersi
e raggira così suo marito, deriva direttamente da
Boccaccio (Decamerone, giornata settima, novella
quarta) e molte sono le somiglianze di George Dandin con Il filosofo di Pietro Aretino, ma Molière aveva comunque tratto il soggetto della sua commedia
da una propria farsa giovanile intitolata Jalousie
du barbouillé. Per la sua struttura George Dandin
è senza dubbio una farsa, non fosse altro per l’effetto di ripetizione, ma la sua comicità non è mai
banale e molti sono gli elementi che concorrono a
innalzarla sul piano della commedia di costume.
Ridere
della verità umiliata
Tullio Solenghi è George Dandin, un ricco contadino che sposa
la figlia di nobili di provincia decaduti. La condizione della donna ridotta
a merce di scambio e il tradimento come forma di vendetta sociale
Come scrive Georges Mongrédien
nella prefazione al terzo volume
delle Opere di Molière, in George
Dandin si trova innanzitutto una sapiente pittura della piccola nobiltà
di provincia, composta da signorotti
fieri del loro blasone e dei propri
avi, ma sovente poveri e per i
quali le doti delle nuore e i beni dei
generi vengono giusto bene per
“concimare le loro terre”. Signorotti
che, disprezzando le figlie e i figli
dei borghesi o dei contadini di cui
ricercano l’alleanza economica, forniscono alla nobiltà di Corte, ricca
e oziosa, un continuo argomento di
canzonatura. Numerose commedie
del diciassettesimo secolo, infatti,
sfruttano questo tema del nobile
campagnolo rovinato e ridicolo, con
cui si divertiva anche il pubblico
TEATRO-STABILE-257-61-A.pdf
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palcoscenico e foyer
parigino, portato sempre a prendersi gioco dei provinciali. Molière
stesso lo riprenderà più volte,
ad esempio ritraendo il Signor di
Pourcegnac o la contessa d’Escarbagnas.
Con George Dandin ritorna inoltre
uno dei temi preferiti di Molière a
partire dalla Scuola dei mariti e
dalla Scuola delle mogli: quello del
matrimonio infelice e più precisamente della situazione della donna
mal sposata, sovente vittima di una
scelta non voluta e impostale da
genitori unicamente preoccupati
di soppesare i sacchi di scudi dei
fidanzati. E questo spiega, senza
necessariamente giustificarla agli
occhi di Molière, la propensione
di molte di queste donne ad avere
una propria avventura sentimenta1
29/09/15
13:40
le, come in George Dandin fa con
consapevole irruenza Angélique
o aveva fatto con affascinante
semplicità l’Agnese della Scuola
delle mogli.
Tutto ciò rivela come questa
commedia, che di primo acchito
sembra essere solo una farsa che
vuole unicamente far ridere, sia di
fatto, pur tra le righe, un’opera che
si fa carico di importanti problemi
sociali e morali, ai quali dona una
specifica risonanza comica. Lo
spettatore di George Dandin inizia
a ridere di cuore; ma ben presto è
costretto a riflettere e si rende conto che la propria risata non è priva
d’amarezza, anche perché questa
commedia gli mostra una società
per molti versi antipatica.
In effetti, contrariamente all’abitu-
dine di Molière, in George Dandin
non si trova né una coppia, né
un personaggio completamente
simpatico. I Sotenville sono vanitosi
e creduloni, incoscienti responsabili della situazione; Angélique,
malgrado il suo tentativo di giustificazione, resta una moglie furba
e una donna egoista impegnata a
tradire il marito con l’insignificante Clitandre; la cameriera è solo
la divertente complice della sua
padrona, e si può essere certi che
riserverà al suo futuro marito una
sorte simile a quella di George
Dandin. Quest’ultimo è ridicolo
come la maggior parte dei mariti
cornuti in commedia: fa ridere, ma
nello stesso tempo riflette un senso
d’inconfessabile paura. È per
interesse e ambizione che George
Dandin ha voluto sposare una “damigella”, la quale gli fa pagare caro
il suo nuovo titolo di Signor della
Dandinière. George Dandin ha
anche lui buona parte di responsabilità della propria infelicità e se è
vittima di una donna più scaltra e
più intelligente di lui, la sua pietosa
disavventura non basta a muovere
lo spettatore in suo favore.
Ma tutta questa poca simpatia dei
personaggi non impedisce certo
allo spettatore di abbandonarsi a
una risata liberatoria, come dimostra la reazione del pubblico sin da
quando, il 9 novembre 1668, George Dandin fu rappresentato per gli
spettatori parigini del Palais-Royal,
i quali l’applaudirono calorosamente, aprendo la via al successo della
commedia sino ai giorni nostri.
Gelosia senza amore
Sentimenti al bando in una società governata dal denaro
Una farsa dove non c’è posto per
l’amore, bandito da un mondo nel
quale sono le leggi del “mercato” a
dirigere o condizionare, per scelta o
per costrizione, le vite dei personaggi. È George Dandin, la commedia di
Molière in scena al Teatro della Corte dal 24 novembre al 6 dicembre
con la regia di Massimo Mesciulam
per una produzione del Teatro Stabile di Genova. «Molière ci racconta
un mondo spietato e cinico dal quale
l’amore è totalmente estromesso, è
anzi – spiega il regista – una sorta
di paradiso perduto di cui non ci si
occupa». Non se ne occupa il campagnolo arricchito George Dandin,
che ha come pensiero dominante
quello di smascherare il tradimento
della nobile moglie, l’inganno di cui
si sente vittima dopo aver sposato
per ambizione l’aristocratica Angélique; tanto meno se ne occupano i
genitori della donna che non esitano
a sacrificare i sentimenti della figlia
per salvare le sorti della famiglia con
i soldi di Dandin. E lei, Angélique,
è l’unica che prova a ribellarsi come
può alle leggi di una società che la
soffoca e la condanna alla finzione.
«Angélique ha una forte coscienza di
genere: non vanno prese alla leggera
le sue parole quando si chiede chi ha
stabilito che la moglie debba essere
sottomessa al marito o quando dice
che i suoi genitori hanno fatto un
affare vendendola a Dandin», osserva
il regista. «Angélique è assoggettata
prima ai genitori e poi al marito e
cerca di evadere con la furbizia a un
mondo che la opprime. Ma è anche
l’unica che si avvicina in qualche
momento all’amore: per esempio
quando legge la lettera dell’amante
e trova nelle sue parole gentilezza,
un modo di essere, un calore a lei
sconosciuti. Ma si tratta solo di un
barlume di sentimento. La furia del
suo amante, invece, è la furia della
conquista, non quella dell’amore».
Quanto a Dandin, è ossessionato dal
pensiero di non essere umiliato e di
scoprire la verità, la truffa di cui si
sente vittima. «L’animo di Dandin
assomiglia a quello del protagonista dell’Avaro, perché a muoverlo
– sottolinea Mesciulam – non è
certo l’amore ma l’ossessione di non
essere truffato, derubato di quello
che considera suo: la moglie, che è
riuscito a comprarsi, per lui è solo
merce avariata se non “funziona”
come vorrebbe. In Dandin c’è l’ubris
di voler trovare la verità intesa come
smascheramento dell’inganno: egli
è vittima di un inganno ma è anche
il predatore, e la sua ridicola caduta
è la pena per aver sostituito l’amore
con il possesso». Nella commedia, fra
botte, intrighi e battute, si ritrovano
i meccanismi classici della comicità
«con una spinta farsesca molto forte.
La traduzione di Valerio Magrelli
– osserva Mesciulam – è ottima e
aiuta a rappresentare questo mondo
deformato dalla farsa». Deformazio-
ne a cui allude anche la scenografia
di Guido Fiorato, nella quale ogni
spettatore può interpretare con la
sua sensibilità e la sua fantasia spazi,
porte e vie di fuga: «La scenografia
è pensata come spazio ed è lo spazio
dell’anima dei personaggi» spiega
il regista. «La prospettiva sbilenca
è l’anima sbilenca di Dandin» che,
alla fine della commedia, lascia gli
spettatori senza certezze: «Le ultime
parole di Dandin sono ambigue e
il finale della commedia è volutamente aperto» conclude Mesciulam.
«I grandi autori come Molière e
Shakespeare non vogliono darci
messaggi, ci raccontano storie e noi
ne traiamo le conclusioni».
a.c.
George Dandin
di Moliére
personaggi e interpreti
George Dandin
Angélique
Signore di Sotenville Signora di Sotenville Clitandre
Claudine
Lubin
Colin
scene e costumi
musiche
luci versione italiana
regia Tullio Solenghi
Barbara Moselli
Massimo Cagnina
Maria Basile Scarpetta
Alex Sassatelli
Angela Ciaburri
Gennaro Apicella
Daniele Madeddu
Guido Fiorato
Andrea Nicolini
Sandro Sussi
Valerio Magrelli
Massimo Mesciulam
Teatro della Corte
dal 24 novembre al 6 dicembre
“La più enigmatica tra le opere di Moliére”
George Dandin ou le mari confondu, messa in scena
nel 1668, rappresenta un testo talmente particolare da essere stato addirittura definito come la più
enigmatica fra le opere di Molière. Oltre che attingere
la vicenda da una novella del Decameron, peraltro già
ripresa dall’Aretino, Molière ricorse anche a una sua
vecchia farsa che egli stesso compose in gioventù,
La jalousie du barbouillé. Così facendo, trasformò la
figura del geloso “impiastricciato” in quella di un contadino arricchito che ha voluto sposare una damigella
nobile. Errore fatale, è il caso di dire, come in effetti
esclama il protagonista affidandosi a una battuta
ormai proverbiale: “Vous l’avez voulu, vous l’avez
voulu, George Dandin”. Se questo marito è “scornato”,
la ragione dipende però dal fatto che, come spiegherà
la sua giovane
moglie, sono
stati i genitori
di quest’ultima
a decidere
per lei, senza
affatto ascoltare il parere
della diretta
interessata. La
colpa di questo
matrimonio fallimentare, dunque, non può ricadere
che sullo stesso marito, “confuso” (come altri traducono) dalla sua dolce metà, ma responsabile di un
crimine imperdonabile: aver voluto varcare l’abisso fra
le classi sociali, pensando di poter impunemente accedere, lui, semplice “paysan parvenu”, all’inespugnabile
Olimpo della Nobiltà (se pure debitamente spiantata).
Il risultato è una pièce ora comica, ora patetica (quindi,
tuonerà Rousseau, semplicemente “immorale”), il cui
eroe fu definito ora ridicolo, ora “doloroso” (Michelet).
Due parole, infine, sulla traduzione. Per una radicata
abitudine, una volta terminato il lavoro l’ho sottoposto
a un serrato confronto con alcuni fra coloro che mi
hanno preceduto sul medesimo terreno testuale. Per
non sembrare il tipo di “traduttore bassamente geloso”
di cui parla Beaumarchais nella prefazione alle Nozze
di Figaro, ritengo cioè necessario sfruttare le indicazioni di chi ha già compiuto quel tragitto che noi, ultimi
arrivati, abbiamo appena concluso. In questo caso,
ho limitato le indagini a due sole versioni: una edita
anonima in rete (George Dandin ovvero Il marito umiliato), l’altra di Silvia Lorusso (George Dandin ovvero Il
marito umiliato in Molière, Teatro, a cura di Francesco
Fiorentino, Bompiani 2013), che qui ringrazio.
Valerio Magrelli
SERATA A.L.C.E. Giovedì 26 novembre la replica di George Dandin è riservata (ore 20.30) all’Associazione Ligure Commercio Estero (A.L.C.E.). Nell’ambito delle celebrazioni del
70° anniversario della fondazione dell’Associazione, A.L.C.E. Giovani organizza, in collaborazione con il Teatro Stabile di Genova, una serata riservata ai Soci, ai loro invitati, ai dipendenti delle loro aziende, assegnando una quota dei biglietti a un pubblico in situazione di disagio, selezionato tramite alcune associazioni attive in ambito sociale.
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Bésame mucho
di Pino Petruzzelli e Giuliano Galletta
da Edoardo Sanguineti
personaggi e interpreti
Narratore/Edoardo
Uomo Donna scene e costumi
musiche a cura di
luci regia Pino Petruzzelli
Mauro Pirovano
Alice Giroldini
Giuliano Galletta
Pino Petruzzelli
Sandro Sussi
Pino Petruzzelli
Teatro Duse
Alice Giroldini, Pino Petruzzelli, Mauro Pirovano
dal 10 dicembre al 16 dicembre
Sanguineti nell’Aldilà
“solo chi muore
si rivede”
(da Novissimum Testamentum)
Un omaggio a Edoardo Sanguineti,
non uno spettacolo su Sanguineti.
È Bésame mucho, lo spettacolo di
Pino Petruzzelli e Giuliano Galletta,
prodotto dal Teatro Stabile di
Genova, che sarà sul palcoscenico
del Duse dal 10 al 16 dicembre,
con la regia di Petruzzelli (che
è anche uno degli interpreti), le
scene e i costumi di Galletta.
«L’idea è stata quella di fare
uno spettacolo divertente e
abbiamo costruito il testo – spiega
Galletta – usando un metodo
sanguinetiano, con un collage di
citazioni, di Sanguineti e di altri,
mescolando alto e basso, come
faceva lui». E anche il sodalizio che
ha dato vita allo spettacolo è frutto
di una contaminazione, visto che
nasce dal «compromesso storico»,
“Mio marito amava
molto la musica. La sua
canzone preferita era
Bésame mucho”
Luciana Sanguineti
10
palcoscenico e foyer
come lo definisce scherzosamente
Galletta, fra un giornalistaartista come lui e un narratore e
uomo di teatro come Petruzzelli.
Accomunati dalla volontà, appunto,
di rendere omaggio, a cinque
anni dalla sua morte, a una figura
straordinaria e complessa quale
è quella di Sanguineti, poeta,
scrittore, traduttore, studioso,
professore universitario, autore
teatrale (tante, negli anni, le sue
collaborazioni con lo Stabile,
come traduttore e come autore)
e uomo politico. «Spero che
alla fine dello spettacolo anche
uno spettatore che non abbia
conosciuto Sanguineti possa avere
l’idea di una persona che amava
le parole, la politica, ma che aveva
il gusto per la vita (gli piaceva
ballare il tango per esempio) e
sapeva mischiare l’aringa e Dante»
osserva Galletta. «Sanguineti
era un paradosso: le sue poesie
sono piene di un io sbriciolato,
mentre era invece un uomo di
totale coerenza e di certezze
etiche e politiche, pur senza mai
essere dogmatico». Anche lo
spunto per l’ambientazione dello
spettacolo, in un immaginario
Aldilà rappresentato come il bar di
una stazione scalcinata, è venuto
dal primo verso di una poesia
scritta da Sanguineti nel giugno
1979 e inserita nella raccolta
Stracciafoglio (ora nel volume
Segnalibro. Poesie 1951-1981,
Feltrinelli, pagina 257): «eccomi
qui, al caffè della stazione, ridotto
così come mi vedo». E in questa
immaginaria stazione, con un
cantiere in corso che occupa parte
dello spazio e uno striscione che
annuncia “treni soppressi”, si
svolge la conversazione fra i tre
personaggi – uno identificabile
con Sanguineti anche se in
momenti dello spettacolo le carte
si mescolano – accomunati dal
non avere memoria della propria
vita, né consapevolezza di dove si
trovano e ignari, tutti, dell’identità
degli altri. E lì, mentre Sanguineti
cerca di capire qual è il treno
che deve prendere, e tutti e tre
recuperano ricordi della propria
vita, la conversazione va avanti
seguendo spesso il filo delle
associazioni mentali, attraverso
citazioni, soprattutto poetiche ma
non solo, e di stralci di interviste
rilasciate da Sanguineti a Galletta.
«Abbiamo usato le citazioni non
come un’ostentazione di cultura
e quindi come uno strumento
di potere, ma inserendole nella
conversazione dei personaggi
in modo naturale» sottolinea
Petruzzelli. «Anche chi non le
riconosce o non sa affatto da dove
vengano, può seguire lo spettacolo,
capire quello che accade e
divertirsi senza sentirsi umiliato. E
la stessa cosa accade per alcune
scene che, grazie alle luci, evocano
quadri, per esempio di Caravaggio,
ma che sono godibili anche per chi
non avesse mai visto quei quadri.
Io purtroppo non ho conosciuto
personalmente Sanguineti ma
quello che più amo del suo
pensiero è la sua apertura umana
e culturale, ed è proprio quello che
abbiamo cercato di portare nello
spettacolo».
In questo strano bar aleggia,
però, anche una quarta figura
misteriosa, che si manifesta
attraverso la voce di qualcuno
che parla al telefono con i due
personaggi che chiacchierano
con Sanguineti e dà ordini:
«Rappresenta un potere oscuro,
non chiaramente identificabile ma
che condiziona e dirige dall’esterno
le vite degli altri: un modo per dire
che oggi il potere è nascosto»
“I temi principali delle
mie poesie? Mia moglie
e la mia morte”
Edoardo Sanguineti
spiega Petruzzelli. La scenografia,
essenziale e volutamente non
realistica, è dominata da due
striscioni, mentre i costumi
s’ispirano a figure a metà fra un
clown beckettiano e un clochard
e, in un’atmosfera a tratti vicina
a quella del cabaret, la musica
mescola generi e autori, con
l’inevitabile Bésame mucho,
canzone amata da Sanguineti e
che, proprio per questo, era stata
scelta anche per la colonna sonora
del suo funerale.
«Va dato merito allo Stabile di
aver prodotto questo spettacolo
che, a cinque anni dalla morte di
Sanguineti, è di fatto l’unico evento
che lo ricordi» sottolinea Galletta.
«Mi pare che finora sia un po’
dimenticato dalle istituzioni, ma il
motivo è chiaro: Sanguineti è stato
un intellettuale scomodo».
a.c.
I Rolli del Teatro
Il teatro è uno spazio
di crescita personale
INCONTRI
Foyer della Corte
A partire da ottobre, riprendono nel foyer del Teatro della Corte
gli incontri con il pubblico che proseguono ormai in modo
continuativo da sedici anni. L’ingresso è libero.
PROGRAMMA
ottobre 2015 – febbraio 2016
VENERDì 16 OTTOBRE - ORE 17.30 “MINETTI” IN SCENA.
Conversazione con Marco Sciaccaluga, Eros Pagni e gli attori
della Compagnia. Introduce Eugenio Buonaccorsi
MERCOLEDì 21 OTTOBRE - ORE 17.30 Incontro con gli attori
della Compagnia di Ivanov. Conduce Umberto Basevi
Aiutaci a crescere:
unisciti ai sostenitori
dello Stabile di Genova
MERCOLEDì 4 NOVEMBRE - ORE 17.30 I PENSIERI DELLE PAROLE:
INTORNO A “L’ULISSE”. Intervengono Valerio Massimo Manfredi e
Sebastiano Lo Monaco
VENERDì 13 NOVEMBRE - ORE 17.30 ASPETTANDO “LE PRéNOM”.
Incontro con il regista e gli attori della Compagnia
MARTEDì 17 NOVEMBRE - ORE 17.30 ASPETTANDO “GEORGE
DANDIN”. Incontro con il regista e gli attori della Compagnia
VENERDì 27 NOVEMBRE - ORE 17.30 Presentazione del libro
“Qualcosa di vero” di Barbara Fiorio.
Con l’Autrice interviene Tullio Solenghi
Prendendo spunto da questa antica tradizione genovese,
tanto civile quanto efficace, proponiamo oggi ai privati
cittadini ed alle aziende che stimano il nostro lavoro, di
investire nella crescita culturale della città con una donazione al Teatro Stabile, godendo di vantaggiose facilitazioni fiscali. Gli iscritti ai Rolli del Teatro entreranno a
far parte di una comunità a cui saranno riservate speciali
opportunità di coinvolgimento per vivere più dall’interno il
teatro e la sua magica atmosfera.
MARTEDì 1 DICEMBRE - ORE 17.30 ASPETTANDO “BéSAME
MUCHO”. Incontro con gli autori e gli attori della Compagnia
MERCOLEDì 16 DICEMBRE - ORE 17.30
Incontro con Alessio Boni, Alessandro Haber e gli altri attori della
Compagnia di Il visitatore. Conduce Umberto Basevi
VENERDì 18 DICEMBRE - ORE 17 Conferenza con letture. Intorno a
Gigi di Colette, a cura dell’Associazione “L’incantevole aprile”
(Per l’iscrizione ai Rolli del Teatro in quanto persona
fisica, sono previsti tre livelli d’ingresso: Simpatizzante
(donazioni da € 500), Amico (donazioni da € 1.000), Sostenitore (donazioni da € 2.500).
VENERDì 15 GENNAIO - ORE 17.30 I PENSIERI DELLE PAROLE:
INTORNO A “IL TRIONFO DEL DIO DENARO”.
Interviene Curzio Maltese
Nel caso delle persone giuridiche i tre livelli d’ingresso
sono: Simpatizzante (donazioni da € 5.000), Amico
(donazioni da € 10.000), Sostenitore (donazioni da €
20.000).
VENERDì 22 GENNAIO - ORE 17.30 Incontro con Maria Paiato e
Arianna Scommegna protagoniste di Due donne che ballano.
Conduce Umberto Basevi
Il Teatro Stabile di Genova ringrazia i primi sostenitori:
MERCOLEDì 27 GENNAIO - ORE 17.30 LA COOP INCONTRA GLI
INTERPRETI DI “DIPARTITA FINALE”
Banca Carige
Banco di Chiavari e della Riviera Ligure
Iren
VENERDì 29 GENNAIO - ORE 17.30 Incontro con Fulvio Pepe e gli
attori della Compagnia di Gyula.
Conduce Umberto Basevi
Informazioni disponibili sul sito www.teatrostabilegenova.it
MERCOLEDì 3 FEBBRAIO - ORE 17.30 Incontro con
gli interpreti di Otello. Conduce Umberto Basevi
palcoscenico
soci istituzionali
COMUNE DI GENOVA
e foyer
Numero 43 - ottobre 2015 / febbraio 2016
Edizioni Teatro Stabile di Genova
piazza Borgo Pila 42 16129 Genova
www.teatrostabilegenova.it
Presidente Prof. Eugenio Pallestrini
Direttore Angelo Pastore
Consulente artistico Marco Sciaccaluga
Sostenitore
REGIONE LIGURIA
VENERDì 12 FEBBRAIO - ORE 17 Conferenza con letture.
Intorno a Patricia Brent, zitella di Herbert G. Jenkins, a cura
dell’Associazione “L’incantevole aprile”
GIOVEDì 18 FEBBRAIO - ORE 16.45 Conferenza con letture:
Poeti di Liguria: dalla lirica pura allo sperimentalismo, a cura
della Fondazione Mario Novaro
Partner della stagione
VENERDì 19 FEBBRAIO - ORE 17.30 Incontro con Ferdinando
Bruni e Elio De Capitani protagonisti di Il vizio dell’arte.
Conduce Umberto Basevi
media partner
Direttore responsabile Aldo Viganò
Collaborazione Annamaria Coluccia
Segretaria di redazione Monica Speziotto
Autorizzazione Tribunale di Genova n°34 del 17/11/2000
GIOVEDì 25 FEBBRAIO - ORE 16.45 Conferenza con letture:
Poeti di liguria: dalla lirica pura allo sperimentalismo, a cura
della Fondazione Mario Novaro
Progetto grafico: Ace & Flanaghan (GE)
Stampa: Microart’s (GE)
CONTEMPORANEAMENTE
A PALAZZO DUCALE
Dagli Impressionisti a Picasso
Capolavori del Detroit Institute of Arts
25 settembre 2015 - 10 aprile 2016
Appartamento del Doge
Oltre cinquanta capolavori dell’arte europea
tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900,
provenienti da uno dei più importanti musei
degli Stati Uniti, che conserva opere donate
da magnati, filantropi e baroni del settore
automobilistico.
In mostra dipinti di Van Gogh, Gauguin,
Renoir, Degas, Monet, Matisse, Modigliani,
Kandinsky, Picasso e molti altri.
www.palazzoducale.genova.it
Brassaï, pour l’amour de Paris
3 ottobre 2105 - 24 gennaio 2016
Sottoporticato
Sebastião Salgado. Genesi
27 febbraio - 26 giugno 2016
La mostra racconta la storia eccezionale di
una passione, quella che ha unito per più di
cinquant’anni lo scrittore, il fotografo,
il cineasta Brassaï agli angoli e ai più nascosti
recessi della capitale ma anche a tutti quegli
intellettuali, artisti, grandi famiglie, prostitute
e mascalzoni, a tutti coloro che hanno
contribuito alla leggenda di Parigi. Per tutta
la sua vita Parigi rimane al centro delle
sue riflessioni, il fil rouge del suo lavoro.
Uno sguardo appassionato, teso a sottolineare
la necessità di salvaguardare il nostro pianeta,
di cambiare il nostro stile di vita, di assumere
nuovi comportamenti più rispettosi della natura
e di quanto ci circonda, di conquistare una
nuova armonia. Il mondo come era, il mondo
come è. La terra come risorsa magnifica da
contemplare, conoscere, amare. Questo
è lo scopo e il valore dell’ultimo straordinario
progetto di Sebastião Salgado.
Grandi incontri a Palazzo Ducale
Ottobre 2015 - Giugno 2016
L’altra metà del libro
13 - 14 - 15 novembre 2015
Le meraviglie filosofiche
A cura di Nicla Vassallo
Passaggio al futuro.
Impressionisti e post impressionisti
A cura di Anna Orlando
Pasolini oggi
A cura di Massimo Recalcati
Religioni e intolleranza
A cura del Centro Studi Antonio Balletto
I capolavori raccontati
A cura di Marco Carminati
Miti senza tempo
A cura di Eva Cantarella e Nicla Vassallo
Pianeta Terra: il futuro a km zero
A cura di Alberto Diaspro
Giunge alla quarta edizione la rassegna
dedicata al lettore: tre giorni di incontri,
presentazioni di libri, spettacoli, mostre,
musica e teatro.
Festival di Limes:
La terza guerra mondiale?
4 - 5 - 6 marzo 2016
Prosegue per il terzo anno la collaborazione
tra la Fondazione per la Cultura e “Limes”,
la più importante rivista italiana di geopolitica
diretta da Lucio Caracciolo.
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Spettacoli ospiti
L’Ulisse
Il mio nome è nessuno
di Francesco Niccolini
da Valerio M. Manfredi
regia di Alessio Pizzech
CORTE 3 novembre > 8 novembre
Il viaggio di Ulisse, inizia dal suo ritorno
a Itaca, dove – prima della grande vendetta – egli racconta al figlio Telemaco
i dieci anni della guerra di Troia e i dieci
di faticosissimo ritorno a casa. Come
un reduce di guerra: l’ennesima guerra
stupida, inutile e aberrante del nostro
mondo. In scena, i molti fantasmi
dell’Odissea, in un percorso drammaturgico che si rifà ai romanzi di Valerio
Massimo Manfredi.
Un marito ideale
di Oscar Wilde
regia di Roberto Valerio
DUSE 4 novembre > 8 novembre
Una trama seria raccontata con grande
leggerezza. Il tema è quello della
corruzione politica e dell’integrità dei
governanti. È possibile una politica
senza compromessi? La questione morale è un fatto privato o pubblico? Una
commedia caratterizzata da dialoghi
frizzanti e da quel gusto per la battuta
graffiante che rendono sempre attuale il
virtuosismo verbale di Oscar Wilde.
Il visitatore
di Éric-Emmanuel Schmitt
regia di Valerio Binasco
CORTE 15 dicembre > 20 dicembre
Vienna 1938. Il vecchio e agnostico
Sigmund Freud attende con ansia
notizie della figlia, portata via dalla Gestapo, quando nel suo studio entra un
curioso e gentile individuo nel quale egli
riconosce Dio in persona. O è un pazzo
che si crede Dio? Sullo sfondo s’erge
l’ombra della tragedia del nazismo. «Se
Dio esiste, perché permette tutto ciò?»,
chiede infine Freud. Con Alessio Boni
e Alessandro Haber.
L’uomo,
la bestia, la virtù
di Luigi Pirandello
regia di Giuseppe Dipasquale
CORTE 29 dicembre > 3 gennaio
Capodanno a teatro per ridere in compagnia di Luigi Pirandello. Una farsa, di
cui l’Uomo è la prima maschera, quella
del professor Paolino che ha una tresca
segreta con la signora Perella, la quale
indossa la maschera della Virtù nel ruolo di una morigerata madre di famiglia
praticamente abbandonata dal marito,
che appare a tutti come la Bestia. Il
triangolo borghese raccontato con
sarcastica ironia con Geppy Gleijeses,
Marco Messeri e Marianella Bargilli.
dal 3 novembre al 28 febbraio
Ti regalo la mia
morte, Veronika
di Federico Bellini e Antonio Latella
da R. W. Fassbinder
regia di Antonio Latella
CORTE 12 gennaio > 17 gennaio
Uno spettacolo liberamente ispirato
al film Veronika Voss di Rainer Werner
Fassbinder, il quale, con implicito
ricordo di Viale del tramonto vi evocò
la figura di Sybille Schmitz, famosa
diva del Terzo Reich. Indagine sul ruolo
che occupa la donna nell’opera e nella
poetica di Fassbinder.
Nel mortuario biancore che evoca
la morfina, quasi una biografia
del regista bavarese.
Il Trionfo
del Dio Denaro
di Pierre de Marivaux
regia di Beppe Navello
DUSE 13 gennaio > 17 gennaio
Una commedia divertente e cattiva sul
potere di seduzione del denaro, scritta
nel 1728. Apollo, dio dell’arte e della
cultura, è innamorato di una terrestre.
Plutone, dio del denaro, la vede, la
desidera e si ripropone di conquistarla,
strappando la bella all’amore di Apollo.
Il titolo suggerisce già il vincitore della
contesa. Una favola morale
di straordinaria, esemplare efficacia
e contemporaneità.
Orestea
di Eschilo
regia di Luca De Fusco
CORTE 19 gennaio > 24 gennaio
Tra prosa, musica e danza, la messa in
scena dell’unica trilogia giunta fino ai
giorni nostri dalla Grecia classica. Uno
spettacolo che affonda le radici nella
tradizione mitica: l’assassinio del marito
da parte di Clitemnestra (Agamennone),
la vendetta del loro figlio Oreste (Le
Coefore), la persecuzione delle Erinni
e l’assoluzione nell’Aeropago del
matricida (Le Eumenidi). Ricco cast
d’interpreti.
Dipartita finale
di Franco Branciaroli
regia di Franco Branciaroli
CORTE 26 gennaio > 31 gennaio
In una atmosfera dell’assurdo che rinvia
a Samuel Beckett, si coniuga la storia
di tre clochard (Pol, Pot e il Supino),
comicamente alle prese con le questioni
ultime dell’esistenza, incalzati da Toto,
travestimento della morte. Una parodia,
forse un western, un gioco da ubriachi
sulla condizione umana nei nostri tempi; con una conclusione a sorpresa, che
apre uno spiraglio all’happy end. Con
Gianrico Tedeschi, Ugo Pagliai, Franco
Branciaroli e Maurizio Donadoni.
Gyula - Una piccola
storia d’amore
di Fulvio Pepe
regia di Fulvio Pepe
DUSE 27 gennaio > 31 gennaio
In un paese sospeso nel tempo e nello
spazio, vive un ragazzo diverso, amorevolmente cresciuto dalla madre.
Gyula è un personaggio di lacerante
purezza e di tenera ingenuità, che,
come in una favola, diventa protagonista di un racconto corale, in equilibrio
fra malinconia e comicità, sentimentalismo e realismo magico. Una novità
italiana accolta dalla critica come un
“piccolo gioiello” e interpretata
da attori provenienti quasi tutti dalla
Scuola dello Stabile.
Otello
di William Shakespeare
regia di Carlo Sciaccaluga
DUSE 1 febbraio > 7 febbraio
In un’ambientazione che evoca
la prima Guerra del Golfo, con l’isola
di Cipro immaginata come un decadente avamposto dell’Occidente, si consuma lo scontro tra la “mostruosa”
intelligenza di Iago, e la natura
romantica e primitiva di Otello; mentre
la loro civiltà sta crollando sotto il
peso delle sue stesse conquiste. La più
terribile tragedia di Shakespeare rivive
in uno spettacolo insieme colto
e popolare. Con Filippo Dini e Antonio
Zavatteri.
The Pride
di Alexi Kaye Campbell
regia di Luca Zingaretti
CORTE 2 febbraio > 7 febbraio
Due storie che si svolgono in tempi
diversi: una nel 1958 e l’altra nel 2008.
Due volte i tre personaggi protagonisti –
che condividono gli stessi nomi e
(pur nel salto di generazione) sono il
riflesso gli uni degli altri - esplorano temi
quali il destino, l’amore, la fedeltà e il
perdono. Una commedia che solleva
interrogativi sulla vita contemporanea
(sia questa gay o etero), lasciando allo
spettatore la risposta.
Con Luca Zingaretti.
Molière:
la recita di Versailles
di Stefano Massini, P. Rossi, G. Solari
regia di Giampiero Solari
CORTE 9 febbraio > 14 febbraio
Un viaggio nel teatro, nelle opere
e nella biografia di Molière.
Il racconto del dietro le quinte di una
Compagnia “in prova” la quale, per
ordine del re, deve allestire in tutta
fretta una nuova commedia che metta
a confronto, in un gioco di specchi temporali ed esistenziali, il lavoro quotidiano
dei teatranti, fondendo, nel segno del
comico, il classico con il contemporaneo,
la tradizione con l’attualità.
Con Paolo Rossi.
(continua da pag. 1)
Finalmente si comincia
In questi mesi di lavoro ho voluto
anche ribadire e implementare i
legami del teatro con la città e le
sue istituzioni culturali e attivare
rapporti con il circuito europeo:
ne sono derivati protocolli di intesa con Palazzo Ducale, Carlo
Felice, Convention Bureau, Conservatorio Paganini, Teatro del
Carcere di Marassi e coproduzioni con la Comédie de Caen, il
Théâtre National de Nice e l’Associazione ARS NOVA di Poitiers.
Insomma, finalmente si comincia. Sono emozionato, contento
e curioso di capire se una parte
essenziale della vita del teatro,
il pubblico, sarà con noi, come
finora è stato.
Angelo Pastore
Il vizio dell’arte
di Alan Bennett
regia di F. Bruni, F. Frongia
DUSE 17 febbraio > 21 febbraio
Dall’autore di The History Boys, una
commedia che con la tecnica del teatro
nel teatro racconta l’amicizia tra il poeta
Auden e il musicista Britten. Due artisti
che sognano di lavorare insieme per
un’opera tratta da Morte a Venezia. Uno
spettacolo che parla di poesia e di musica, di etica e di omosessualità, della gioventù e della paura di invecchiare. Con
Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani.
Il racconto di Chimera
da Sebastiano Vassalli
regia di Lucilla Giagnoni
DUSE 10 febbraio > 14 febbraio
Dal romanzo storico La Chimera di
Sebastiano Vassalli, vincitore del Premio
Strega 1990, una storia ambientata
nella pianura padana durante
la Controriforma. La parabola
esistenziale di un’orfana, dalla solitudine
del convento al rogo su cui viene bruciata
come strega, s’intreccia con la tragedia
dell’11 settembre 2001, attualizzando
in forma epica il tema dell’uccidere nel
nome di Dio. Con Lucilla Giagnoni.
Weekend Comedy
di Sam Bobrick, Jeanne Bobrick
regia di Stefano Messina
DUSE 23 febbraio > 28 febbraio
Scontro generazionale tra due coppie che
scoprono di aver affittato lo stesso cottage
in riva al lago, dove sognano di trascorrere
un romantico weekend. Frank e Perry
sono anziani e sposati, Jill e Toni giovani
e fidanzati. Le situazioni comiche esplodono quando, civilmente, i quattro decidono
di condividere la stessa abitazione.
Un modo allegro per parlare dell’amore
e delle relazioni tra gli esseri umani.
Due donne che ballano
di Josep Maria Benet i Jornet
regia di Veronica Cruciani
DUSE 20 gennaio > 24 gennaio
Un’anziana e una giovane chiamata a
farle da badante. Due donne schive, ma
energiche e sarcastiche. Si detestano
perché sono simili. Litigano, e si feriscono, ma confessano di sé quello che solo
a un’estranea si riesce a confessare.
Donne che ballano in solitudine, come
balla una nave in balia delle onde.
Insieme, però, imparano ad affrontare
la fatica di vivere in una società che le
estromette. Con Maria Paiato e Arianna
Scommegna.
Venire allo Stabile è facile con le “Carte a consumo”
CARTE LIBERE
4 – 5 – 10 – 15 ingressi utilizzabili anche da più persone per lo stesso spettacolo
Ingressi
I settore
II settore
4
€ 96,00
€ 64,00
5
€ 115,00
€ 77,50
10
€ 210,00
€ 142,50
15
€ 285,00
€ 195,00
CARTA CAMPUS
12 ingressi a posto unico, riservata agli studenti universitari
(utilizzabile come un carnet anche per un solo spettacolo)
CARTA SCUOLA
10 ingressi a posto unico, riservata alle scuole
(utilizzabile come un carnet anche per un solo spettacolo)
€ 120,00
€ 90,00
Biglietti singoli:
1° settore € 25,00 - 2° settore € 17,00 - Giovani (fino a 26 anni) € 12,00
Orari casse: Teatro della Corte: da martedì a sabato ore 10-13 e 16-21; domenica ore 15-18; lunedì chiuso
Teatro Duse: martedì, mercoledì, venerdì, sabato ore 19-21; giovedì ore 18.30-20.30;
domenica ore 15-18; lunedì chiuso (apertura solo in presenza di spettacolo)
www.teatrostabilegenova.it – Happyticket – Vivaticket
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palcoscenico e foyer