Facoltà di Medicina e Chirurgia
APPUNTI DI ISTOLOGIA PER I
CORSI DI LAUREA DELLE PROFESSIONI SANITARIE
INFERMIERISTICHE, OSTETRICHE E TECNICHE
Francesco Bianchi
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
III Edizione
APPUNTI DI ISTOLOGIA PER I CORSI DI LAUREA DELLE PROFESSIONI SANITARIE INFERMIERISTICHE, OSTETRICHE E TECNICHE
PREFAZIONE
Questi appunti nascono dal bisogno di dare agli studenti dei “Corsi di laurea triennali delle
professioni sanitarie infermieristiche, osteriche e tecniche delle classi I e III” gli elementi basilari e
più importanti dell’Istologia e dalla necessità di offrire, per quanto possibile, gli aspetti più
moderni di questa materia.
Nella preparazione di questa nuova edizione alcuni capitoli sono stati modificati alla luce di
informazioni ottenute dalla biologia cellulare che grande influenza ha avuto e ha tuttora sulla
Istologia intesa in senso classico. L’istologia infatti ha perso da tempo il ruolo di materia
puramente descrittiva, diventando piuttosto una materia dove morfologia e funzione appaiono
sempre di più correlate e intimamente connesse.
Per facilitare lo studio e la memorizzazione sono state aggiunte tabelle riassuntive che sintetizzano
le informazioni. Dove è stato possibile sono stati fatti anche riferimenti clinici per suscitare
l’interesse dello studente e per dimostrare l’utilità dell’Istologia (se ce ne fosse ancora bisogno)
nelle scienze mediche.
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INTRODUZIONE
Le unità di misura di lunghezza normalmente utilizzate in Istologia
10 -2
centimetro
cm
-3
millimetro
mm
sono il centimetro, il millimetro, il micrometro (corrispondente a 1
10
millesimo di millimetro) e il nanometro (1 millesimo di micrometro).
10 -6 micrometro
µm
10
-9
nanometro
nm
internazionale di unità di misura), ma che viene ancora utilizzata è 10
-10
Ångström
Å
Un’altra unità di misura che però non appartiene al SI (Sistema
l’Ångström che corrisponde a 1/10 di nanometro.
La cellula è l’elemento base del nostro organismo. Le dimensioni delle cellule sono
estremamente variabili: da pochi micrometri ad alcune decine di micrometri, con alcuni tipi che
possono raggiungere anche il centinaio di micrometri come la cellula adiposa o la cellula uovo.
Sono pleomorfe: sono generalmente di aspetto rotondeggiante quelle immerse in un liquido (i
leucociti nel sangue), di forma grossolanamente poliedrica soprattutto quelle, come le cellule
epiteliali, strettamente contigue fra loro, oppure di forma stellata per la presenza di
prolungamenti citoplasmatici (es. le cellule nervose), fusiformi, ecc…
Senza entrare nel dettaglio, per non sconfinare nel campo della Biologia, sono qui presentate
le caratteristiche principali della cellula, la conoscenza delle quali, tuttavia, permette una migliore
comprensione degli aspetti morfo-funzionali dei varî tessuti.
La membrana plasmatica o plasmalemma è l’involucro che delimita la cellula e la separa
dall’ambiente extracellulare (matrice extracellulare). È costituita principalmente da proteine e
lipidi ed è rivestita da uno strato di spessore e composizione variabile il glicocalice ricco in glucidi.
La membrana plasmatica permette l’adesione fra cellule, favorisce e regola gli scambi fra cellula e
cellula e quelli fra cellula e matrice extracellulare; su di esse sono presenti recettori, ovvero
glicoproteine capaci di interagire con molecole provenienti dall’ambiente extracellulare (ligandi:
es. ormoni). Questa interazione è quindi causa di modificazioni del metabolismo cellulare.
L’interno della cellula è costituito dal nucleo e dal citoplasma. Nel nucleo interfasico* è
possibile distinguere la cromatina più addensata o eterocromatina, fortemente elettrondensa al
microscopio elettronico a trasmissione (TEM), inattiva dal punto di vista della trascrizione e quella
più dispersa o eucromatina, scarsamente elettrondensa, più attiva. La posizione del nucleo è
generalmente centrale, ma può localizzarsi a un polo della cellula quando questa è funzionalmente
polarizzata.
*
L’interfase è il periodo di tempo del ciclo di divisione cellulare tra una mitosi e la successiva.
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Il citoplasma, sede delle attività metaboliche, è costituito dal citosol, che è la parte acquosa
non strutturata dove si trovano in soluzione le molecole per il metabolismo cellulare, e dagli
organuli. Degli organuli ricordiamo il reticolo endoplasmatico granulare o rugoso detto
ergastoplasma, ricco in ribosomi, necessario per la sintesi proteica e responsabile, assieme ai
ribosomi liberi, della cosidetta basofilia citoplasmatica.
Il reticolo endoplasmatico liscio, che nelle gonadi e nelle ghiandole surrenali è coinvolto nella
sintesi steroidea, nel fegato partecipa ai processi di detossificazione e al metabolismo del
glicogeno.
Il complesso o apparato di Golgi, costituito da una serie di cisterne appiattite e impilate fra di
loro, partecipa a diversi processi biosintetici ed è il responsabile della formazione delle vescicole di
secrezione.
I lisosomi sono vacuoli contenenti idrolasi acide, cioè enzimi litici utilizzati sia nei processi
digestivi all’interno della cellula, sia, soprattutto, nei processi della fagocitosi nei macrofagi e nei
garnulociti neutrofili.
I mitocondri sono organuli bastoncellari capaci di produrre energia per le varie funzioni
cellulari formando molecole di ATP.
I tessuti sono strutture formate da cellule simili tra loro sia per aspetto che per funzione; il
tessuto svolge funzioni più elaborate
CELLULA
di quelle delle singole cellule. Più
CELLULA
CELLULA
TESSUTO
TESSUTO
tessuti diversi tra loro formano una
TESSUTO
struttura superiore, di dimensioni
maggiori,
l’organo,
che
TESSUTO
CELLULA
CELLULA
ORGANO
TESSUTO
svolge
TESSUTO
CELLULA
CELLULA
CELLULA
CELLULA
TESSUTO
TESSUTO
CELLULA
funzioni più complesse rispetto a
quelle
di
un
singolo
tessuto.
APPARATO
ORGANO
L’insieme di più organi collegati
funzionalmente
sistema
funzioni
o
costituiscono
apparato capace
ancora
superiori.
un
APPARATO
ORGANISMO
APPARATO
di
APPARATO
ORGANO
ORGANO
APPARATO
Più
apparati infine, collegati e coordinati fra loro, costituiscono un organismo.
I tessuti si dividono in quattro gruppi principali: epiteliale, connettivo, muscolare, nervoso.
Ciascun tessuto, a sua volta, è suddivisibile in diversi sottogruppi.
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TESSUTO EPITELIALE
Il tessuto epiteliale si distingue in: epitelio di rivestimento con funzione protettiva, di
trasporto lungo la sua superficie, di assorbimento ed è costituito da cellule formanti lamine di
spessore variabile; epitelio ghiandolare con funzione secretoria, costituiti da aggregati cellulari;
epitelio sensoriale con funzione percettiva di stimoli esterni. Questi ultimi, per affinità morfofunzionali, saranno studiati nel contesto del tessuto nervoso.
Le caratteristiche di tutti gli epiteli sono quelle di:
• essere costituiti da cellule disposte a mutuo contatto (distano fra loro circa 15-20nm) con
interposta scarsissima matrice extracellulare (ECM);
• essere spesso costituiti da cellule polarizzate, con un’asimmetrica distribuzione degli
organuli citoplasmatici e delle componenti della membrana plasmatica; sono cioè cellule che
presentano un versante basale, un versante apicale opposto al precedente e parti laterali, dove
possono essere distribuite specializzazioni di membrana diverse per morfologia e funzione; ciò
comporta che le varie zone della cellula assumano caratteristiche morfologiche, biochimiche e
funzionali diverse.
• non essere né vascolarizzati né innervati;
• presentare una membrana basale che li separa dal tessuto connettivo sottostante che
fornisce adeguato apporto trofico.
EPITELI DI RIVESTIMENTO
Gli epiteli di rivestimento sono quegli epiteli che rivestono l’organismo dall’esterno o che
delimitano le cavità interne.
Gli epiteli di rivestimento si classificano in base a due criteri che permettono di distinguere
varie categorie:
1. la forma delle cellule
2. il numero degli strati che lo compongono.
In base alla forma distinguiamo
•
Epitelio pavimentoso, composto da cellule piatte, schiacciate con margini irregolari, di forma
grossolanamente poligonale, con diametro maggiore parallelo alla superficie d’impianto; il
nucleo è centrale di forma ovalare.
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•
Epitelio cubico, costituito da cellule poliedriche che in sezione hanno l’aspetto di un quadrato;
il nucleo è rotondeggiante e centrale.
•
Epitelio cilindrico, con cellule alte con asse maggiore perpendicolare alla superficie di impianto
della cellula; il nucleo, situato nel terzo basale della cellula, è di forma ovalare, con asse
maggiore perpendicolare alla superficie d’impianto della cellula.
In base al numero degli strati distinguiamo:
•
epiteli semplici o monostratificati se costituiti da un solo strato di cellule;
•
epiteli composti o stratificati se costituiti da due o più strati di cellule.
Questi due criteri possono integrarsi e dare luogo a varie combinazioni.
La descrizione della forma tiene presente, negli epiteli composti, solamente le cellule degli
strati più superficiali.
Epitelio pavimentoso semplice. Le cellule di questo epitelio hanno nucleo schiacciato con asse
maggiore parallelo alla superficie; trattando un epitelio con nitrato di argento si può notare che lo
spazio tra una cellula e l’altra è esiguo, i contorni cellulari sono irregolari e i margini sono
frastagliati per favorire l’adesione fra le cellule. A questo scopo sono presenti specializzazioni della
membrana plasmatica che aumentano l’adesione fra le cellule (desmosomi). Osservato in sezione
trasversale si notano le cellule schiacciate con una rilevatezza al centro in cui è presente il nucleo.
Questo epitelio è presente negli alveoli polmonari, facilitando lo scambio di O2 e CO2 fra alveolo e
sangue contenuto all’interno del capillare; riveste la superficie interna della membrana del
timpano; prende il nome di mesotelio quando riveste le cavità peritoneale, pleurica e pericardica;
nella parete dei vasi costituisce l’endotelio; è localizzato infine nel glomerulo renale e nella rete
testis.
Epitelio cubico semplice. È caratterizzato da un singolo strato di cellule con gli assi
longitudinale e trasversale uguali fra loro, con il nucleo rotondeggiante posto centralmente. In
realtà l’aspetto delle cellule è poliedrico; in sezione tuttavia appaiono quadrate, da cui la
definizione di cubico. Questo epitelio è localizzato nell’ovaio, nei plessi corioidei∗, nei bronchioli
terminali e nei condotti escretori di alcune ghiandole.
Epitelio cilindrico semplice. Questo epitelio è formato da un singolo strato di cellule alte. Le
cellule hanno asse maggiore perpendicolare alla superficie di impianto. I nuclei di forma ovalare
sono localizzati nel terzo inferiore della cellula e presentano l’asse maggiore parallelo all’asse
maggiore della cellula. Intercalate alle cellule cilindriche ci sono altre cellule, dette mucipare o
∗
I plessi corioidei sono formazioni vascolari capillari rivestiti da ependima (ep. cubico) all’interno dei ventricoli cerebrali.
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caliciformi che appartengono agli epiteli ghiandolari. Un epitelio cilindrico semplice particolare è
quello della mucosa gastrica; questo è dotato di funzione secernente, e i nuclei delle cellule sono
schiacciati sul fondo. L’epitelio cilindrico semplice è localizzato nell’intestino, nella colecisti, nei
tubuli renali, nella tuba uterina, nell’utero e nello stomaco.
L’epitelio cilindrico semplice può presentare sulla superficie apicale alcune specializzazioni di
membrana: ciglia vibratili, microvilli e stereociglia.
Epitelio cilindrico semplice pseudostratificato. L’epitelio cilindrico semplice pseudostratificato
è caratterizzato da cellule cilindriche ad altezza diversa che poggiano tutte sulla membrana basale;
non tutte però si affacciano alla superficie libera; di conseguenza i nuclei non si troveranno tutti
alla stessa altezza su di un’unica fila, ma si troveranno distribuiti in un intervallo più o meno
ampio. Questo epitelio è presente nell’uretra maschile e nel dotto deferente. Dotato di ciglia è
presente nelle vie aeree superiori: laringe, trachea, bronchi. Per questo motivo è detto epitelio
respiratorio.
Epitelio polimorfo. Questo tipo di epitelio composto ha una localizzazione specifica (calici
renali, uretere, vescica e tratto iniziale dell’uretra). Presenta uno spessore minimo nei calici minori
e massimo (5-6 strati cellulari) nella vescica depleta. Viene definito plastico in quanto è capace di
modificare il suo aspetto a seconda del grado di distensione dell’organo che riveste. Ciò è
permesso dalla particolare morfologia cellulare e dai rapporti esistenti fra i varî tipi di cellule. Le
cellule che costituiscono questo epitelio sono: cellule basali, cellule clavate e cellule globose.
Le cellule basali sono di forma poliedrica, a contatto con la membrana basale. Le cellule
clavate costituiscono lo strato intermedio di spessore variabile a seconda delle condizioni di
distensione in cui si trova l’organo. In condizioni di vacuità dell’organo presentano una forma a
clava con la parte apicale slargata contenente il nucleo e la parte basale sottile in rapporto con la
membrana basale. Sono unite fra loro da numerosi desmosomi. Le cellule globose, infine,
costituiscono lo strato superficiale. In condizioni di organo depleto presentano la classica forma ad
ombrello con una serie di introflessioni presenti sulla faccia inferiore della membrana plasmatica
dove trovano alloggio le teste delle cellule clavate. Queste cellule sono spesso binucleate. La
particolarità di questo epitelio, spesso denominato urotelio, è quella di essere capace di
modificare il suo spessore con il variare delle dimensioni dell’organo che riveste. Questa plasticità
si manifesta con lo schiacciamento delle cellule clavate il cui asse maggiore non è più
perpendicolare alla superficie d’impianto bensì parallelo, con l’assottigliamento delle cellule
globose e la contemporanea scomparsa delle introflessioni. Inoltre, per garantire assoluta
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impermeabilità all’epitelio e unione fra loro, le cellule presentano sulla superficie laterale
specializzazioni di membrana come la zonula occludens e i desmosomi.
Epitelio cubico composto e cilindrico composto. Rari nell’uomo; sono localizzati per lo più
nelle zone di transizione fra epiteli semplici ed epiteli composti; il primo nei dotti delle ghiandole
sudoripare, il secondo nella congiuntiva palpebrale, nei condotti escretori principali di grosse
ghiandole e in alcuni tratti dell’uretra.
Epitelio pavimentoso composto. L’epitelio pavimentoso composto è costituito da diversi strati
di cellule la cui forma è appiattita solo negli strati più superficiali. Può essere di due tipi diversi:
non cheratinizzato e cheratinizzato.
Epitelio pavimentoso composto non cheratinizzato. È costituito da parecchi strati ed è un
epitelio a funzione protettiva. Le cellule dello strato basale sono parzialmente indifferenziate,
capaci di dividersi per mitosi. Il loro citoplasma è intensamente basofilo per la presenza di
numerosi ribosomi. Mano a mano che ci si sposta verso gli strati più superficiali la vitalità cellulare
così come il metabolismo e la basofilia* citoplasmatica progressivamente diminuiscono. Le cellule,
inizialmente di forma poliedrica assumono via via forma sempre più appiattita, mostrando
progressivamente segni di sofferenza, conservando tuttavia un certo grado di vitalità.
Localizzazioni: cornea, vagina, parte della mucosa orale, corde vocali ed esofago.
Epitelio pavimentoso composto cheratinizzato. È localizzato principalmente a livello della
pelle a costituire l’epidermide che riveste il derma sottostante, ma anche in alcuni tratti della
mucosa orale. Le cellule che lo compongono sono dette cheratinociti.
2
L’epidermide si estende per una superficie di circa 2m . La superficie cutanea è distribuita in
distretti corporei, utili per la valutazione di lesioni cutanee tipo le ustioni. I distretti in cui è
possibile suddividere la cute, e di conseguenza l’epidermide, sono undici, ciascuno dei quali
corrisponde al 9% della superficie totale. I distretti sono 1) testa e collo, 2) superficie anteriore del
torace, 3) superficie posteriore del torace, 4) superficie anteriore dell'addome, 5) superficie
posteriore dell'addome, 6) e 7) superficie anteriore di ciascun arto inferiore, 8) e 9) superficie
posteriore di ciascun arto inferiore, 10) e 11) ciascun arto superiore. Alla regione del perineo∗∗,
infine, corrisponde l’1%.
Lo spessore dell'epidermide è compreso tra 50 e 150µm, con un massimo di 1,5 mm nel
palmo della mano e nella pianta del piede.
*
Particolare affinità verso ciò che è basico. La basofilia citoplasmatica è legata essenzialmente alla quantità di ribosomi presenti costituiti da acido ribonucleico. È
evidenziata dall’uso di coloranti basici quali l’ematossilina.
Il perineo è una regione anatomica situata tra la sinfisi pubica, il coccige e le tuberosità ischiatiche.
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∗∗
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L’epidermide fornisce una protezione contro agenti esterni quali insulti meccanici, chimici e
termici, nonché le radiazioni elettromagnetiche; infine regola la perdita di acqua .
È possibile distinguere 5 strati ben distinti, che, iniziando dal basso sono: il basale, lo spinoso,
il granuloso, il lucido, il corneo.
Non sono strati a sé stanti, ma rappresentano i diversi gradi di evoluzione delle cellule che
compongono questo epitelio. I cheratinociti migrano dallo strato basale a quello corneo in circa
20-30 giorni. Le modificazioni delle cellule sono molto più marcate di quelle che si manifestano
nell’epitelio non cheratinizzato. Il confine tra epidermide e connettivo sottostante (derma) è
caratterizzato dalla presenza di profonde estroflessioni dell’epidermide (creste epidermiche) che
penetrano profondamente negli strati del derma e da altrettanto profonde estroflessioni del
derma (papille dermiche). Le ragioni della presenza di queste insenature al confine tra epitelio e
connettivo sono da ricercarsi in una maggiore aderenza fra i due tessuti e per una maggiore facilità
di scambio metabolico. L’epitelio può raggiungere spessori notevoli, quindi gli strati più superficiali
ricevono con difficoltà le sostanze nutritizie perché non sono direttamente vascolarizzati.
Strato basale. È costituito da uno strato di cellule che poggiano sulla membrana basale. Di
aspetto poliedrico, con un grosso nucleo, presentano caratteristiche staminali con elevata capacità
mitotica perché devono sostituire le cellule dello strato corneo che desquamano (“steady state”).
Sono ricche di ribosomi che sintetizzano le proteine (principalmente cheratine) e quindi il loro
citoplasma è intensamente basofilo. La cheratina si organizza in protofilamenti che a loro volta si
uniscono in protofibrille e infine in tonofilamenti che contribuiscono alla costituzione
dell’impalcatura citoscheletrica.
Mano a mano che migrano dall’1° al 5° strato le cellule si modificano secondo un processo
definito citomorfosi cornea (che implica modificazioni morfologiche e biochimiche). Lo scopo è
quello di formare squame cornee dotate di notevole resistenza agli agenti chimici e fisici.
Sul plasmalemma della faccia inferiore della cellula sono presenti delle irregolarità di
membrana dette radichette che aumentano sia la superficie di scambio che l’adesività. Sono
presenti anche degli emidesmosomi∗. Lungo gli altri dominî della membrana invece le cellule
presentano dei desmosomi*.
Strato spinoso. È caratterizzato da cellule abbastanza separate le une dalle altre che formano
numerosi strati; le cellule presentano prolungamenti che le connettono tra loro tramite
desmosomi. Gli ampi spazi presenti fra le cellule hanno probabilmente lo scopo di facilitare il
∗
v. Cap. Specializzazioni di membrana
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passaggio di sostanze trofiche presenti nella matrice extracellulare (ECM) fino agli strati più
superficiali. Possono ancora dividersi per mitosi. Nel citoplasma sono presenti un numero
maggiore di filamenti di cheratina che iniziano ad assemblarsi in fasci di dimensioni sempre
maggiori. Sono presenti granuli a struttura lamellare (cheratinosomi, lamellar bodies o corpi di
Odland) che contengono materiale lipidico che sarà rilasciato nell’ambiente extracellulare nello
strato granuloso per la impermeabilizzazione dell’epidermide. Le cellule producono anche
involucrina che si stratifica sulla faccia citoplasmatica della membrana plasmatica contribuendo
così alla costituzione del cosiddetto involucro cellulare (IC). Le file di cellule più superficiali di
questo strato progressivamente si appiattiscono e i fasci di tonofilamenti si dispongono
parallelamente all’asse maggiore della cellula.
Strato granuloso. È costituito da poche file di cellule appiattite nelle quali si possono rilevare i
primissimi segni di sofferenza. Sono presenti granuli basofili di cheratoialina, costituiti da una
miscela di proteine che concorreranno alla formazione dello strato corneo, granuli la cui sintesi era
già iniziata nello strato precedente. La più importante di queste proteine è la filaggrina che
favorisce l’aggregazione in fasci sempre più grandi di tono filamenti che si orientano
progressivamente in senso parallelo rispetto all’asse maggiore della cellula. L’assenza di questa
proteina o sue alterazioni sono alla base di malattie della pelle quali le ittiosi∗. Le cellule dello
strato granuloso producono infine loricrina che contribuisce con l’involucrina ad ispessire e ad
irrobustire la membrana cellulare.
Strato lucido. È presente (o meglio: è visibile) quando lo strato corneo è molto spesso. È
composto da 1-3 strati di cellule appiattite di aspetto translucido, con il citoplasma quasi
interamente occupato da tonofilamenti, con orientamento parallelo all’asse maggiore della cellula,
invischiati con filaggrina. Sono cellule molto sofferenti con attività metabolica minima e ricche in
eleidina, sostanza di probabile derivazione dalla cheratoialina.
Strato corneo. Composto da cellule morte, anucleate, fortemente appiattite e completamente
cheratinizzate. Le membrane sono ispessite. Gli spazi intercellulari sono occupati da materiale
lipidico liberato dai cheratinosomi. Queste cellule si distaccano con un ritmo variabile. Le cellule
fungono da barriera protettiva.
Per quanto riguarda l’aspetto biochimico della citomofosi cornea, nelle cellule degli strati
inferiori sono presenti notevoli quantità dell’aminoacido (AA) cisteina, mentre è assente l’AA
cistina. Progressivamente, man mano che la cellula migra dallo strato basale a quello corneo, due
∗
Le ittiosi sono una famiglia di alterazioni genetiche della pelle caratterizzate da pelle secca, ispessita e squamosa.
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AA cisteina, che presentano gruppi sulfidrilici “SH–”, reagiscono tra loro formando un nuovo AA, la
cistina, in cui sono assenti i gruppi sulfidrilici ma è presente un ponte disolfuro “S = S”. Questa
reazione, possibile in presenza di O2, libera una molecola di H2O.
La barriera idrorepellente epidermica è formata quindi da due costituenti distinti: l’IC e
l’involucro lipidico. Il primo, cioè l’IC, è costituito da uno strato proteico disposto sulla faccia
citoplasmatica delle cellule, di spessore di circa 15nm, che contribuisce, assieme ai fasci di
tonofilamenti citoplasmatici, alla funzione di difesa di tipo meccanico. Sarà quindi di spessore
maggiore nelle aree cutanee maggiormente sottoposte a stress (palmo delle mani, pianta dei
piedi). Il secondo involucro è formato da lipidi di varia natura che costituiscono un sottilissimo
strato (5nm di spessore) che riveste le cellule. In questo modo la barriera lipidica idrorepellente
impedisce la perdita di acqua. La scomparsa di questa barriera, come nel caso di ustioni gravi ed
estese, determina la perdita massiva di fluidi, che può portare a morte.
Nell’epitelio pavimentoso composto cheratinizzato sono presenti, oltre ai cheratinociti, altri 3
tipi cellulari:
•
cellule di Merckel, localizzate nello strato basale. prendono rapporto con fibre nervose. Hanno
un nucleo lobato e nel loro citoplasma sono presenti granuli neurosecretori elettrondensi (v.
Istologia di LP Gartner e JL Hiatt, EdiSes 3° ed., pag. 333 fig.14-5). Insieme alle terminazioni
nervose sensitive che si espandono a costituire una struttura di forma discoidale che entra in
rapporto con la cellula di Merckel, danno origine al cosiddetto corpuscolo di Merckel che funziona
da meccanocettore, ovvero con una funzione recettoriale tattile. Si trovano in maggior misura nei
polpastrelli delle dita, nella gengiva e nella vagina.
•
cellule di Langerhans, che si trovano negli strati più profondi dell’epitelio; sono cellule di
aspetto dendritico, scarsamente distinguibili nei preparati istologici di routine in quanto il nucleo è
poco evidenziato dall’ematossilina e il citoplasma appare chiaro. Al microscopio elettronico a
trasmissione (TEM) è visibile il nucleo indentato e nel citoplasma le cellule presentano
caratteristicamente organuli a forma di racchetta da tennis, i granuli di Birbeck, probabilmente
coinvolti nei fenomeni di endocitosi. Poiché sono in grado di riconoscere l’antigene, partecipano ai
fenomeni di ipersensibilità (es.: la dermatite allergica da contatto). Queste cellule derivano dai
monociti del sangue e fanno parte della famiglia dei macrofagi.
•
melanociti sono localizzati a livello della giunzione epitelio/connettivo. A causa della loro
posizione e della basofilia citoplasmatica, sono difficilmente distinguibili dalle cellule dello strato
basale dell'epidermide. Sono cellule dendritiche con prolungamenti che si inseriscono fra i
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cheratinociti. Al TEM sono evidenti i cosiddetti melanosomi, organuli sferoidali o di forma
allungata.
Melanogenesi. I melanociti sono responsabili della produzione di melanina, il pigmento che
insieme ad altre sostanze (caroteni, mioglobina, ecc) determina il colorito della pelle. I melanociti
possiedono un enzima deputato alla sintesi di melanina chiamato tirosinasi o DOPA-ossidasi
contenuto in organuli detti premelanosomi a struttura lamellare. Nei melanociti possono essere
presenti due tipi di melanosoma: l’eumelanosoma, piuttosto grande, ellittico, bastoncellare, tipico
degli individui con capelli castani
o biondi in cui è sintetizzata la
eumelanina dal classico colore
bronzeo;
il
feomelanosoma,
sferoidale, tipico dei soggetti con
capelli rossi, che sintetizza la
feomelanina di colorito rossastro.
1Schema della melanogenesi secondo Raper-Mason
In seguito all’azione di un enzima epatico phenil-alanina-idrossilasi, l’AA phenil-alanina, è
trasformato in tirosina o mono-idrossi-phenil-alanina, cioè il substrato che il melanocita utilizza
per la sintesi della melanina. La tirosina se esposta ai raggi UV si ossida trasformandosi in 3-4-diidrossi-phenil-alanina o DOPA. Sia la tirosina che la DOPA sono il substrato su cui agisce la
tirosinasi contenuta nei premelanosomi per formare la melanina. La tirosina si trasforma in DOPA
lentamente, mentre il passaggio successivo da DOPA a dopachinone è veloce così come i passaggi
successivi fino alla formazione della melanina. Con l’avanzamento del processo di sintesi
all’interno del premelanosoma, questo diventa sempre più elettrondenso fino a che assume
l'aspetto di un organulo uniformemente elettrondenso, perché infarcito di melanina. A questo
punto, quando cioè la sintesi è completata, prende il nome di melanosoma.
Ogni melanocita si trova in rapporto, tramite i suoi prolungamenti, con un certo numero di
cellule epiteliali alle quali fornisce melanina, costituendo così la cosiddetta unità melaninica. Infatti
la melanina è presente anche nel cheratinocita: una volta che hanno prodotto la melanina, i
melanociti sono capaci di trasferirla ai cheratinociti sia dello strato basale che dello strato spinoso
con una modalità definita citocrina con la quale le parti terminali dei processi citoplasmatici dei
melanociti in cui sono migrati i melanosomi contenenti i granuli di melanina sono fagocitate dai
cheratinociti. Si forma così il cosiddetto schermo melanico. Le cellule epiteliali (cheratinociti) che
ricevono dai melanociti la melanina sono dette perciò anche melanofori. I melanociti sono nella
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proporzione di 1 a 10 (rispetto ai cheratinociti) nelle zone meno pigmentate e di 4 a 10 nelle zone
più pigmentate. È inoltre da sottolineare che le differenze razziali di colore non dipendono dal
numero di melanociti, ma dalla quantità di melanina prodotta e trasferita ai cheratinociti.
Per individuare i melanociti e distinguerli dai melanofori uno studioso svizzero, Bruno Bloch,
mise a punto una reazione che evidenzia l’attività dell'enzima tirosinasi o DOPA-ossidasi
responsabile della melanogenesi, enzima presente soltanto nei melanociti.
Si esegue un espianto di pelle che è posto in coltura; si aggiunge DOPA prodotta in laboratorio
per ossidazione artificiale della tirosina (in natura la ossidazione è favorita dai raggi UV) al terreno
di coltura. La melanina che si produce è di colore nero e non di color bronzo come la melanina
prodotta naturalmente nell'epidermide. È sufficiente arrestare la reazione prima che avvenga la
secrezione citocrina per riconoscere le cellule, che presentano melanina nera, come quelle che
possiedono l'enzima tirosinasi, cioè i melanociti.
Correlazioni tra schermo melanico – UV – metabolismo del Ca. Lo schermo melanico è
importante perché protegge la pelle dagli effetti dannosi (potenzialmente cancerogeni) delle
radiazioni ultraviolette capaci anche di stimolare la produzione di radicali liberi; lo schermo
melanico contribuisce inoltre alla regolazione del metabolismo del calcio, ostacolando la
penetrazione dei raggi UV negli strati profondi del derma dove è presente un precursore della
vitamina D, (7-deidrocolesterolo) o provitamina D, che è necessaria per l’assorbimento intestinale
del calcio; questo precursore può essere convertito dai raggi UV in vitamina D3.
Si può concludere che si tratti di un sistema autoregolante: i raggi UV attivano da un lato la
produzione di vit. D3 e contemporaneamente attivano anche lo schermo melanico che regola la
loro stessa penetrazione nell’organismo.
Una carenza di vitamina D porta a una
difettosa mineralizzazione delle ossa con
conseguente rammollimento e deformità
dovute al carico, rallentamento della
crescita e ritardo della eruzione dentaria:
questa condizione clinica è nota come
rachitismo
quando
insorge
durante
l’accrescimento e come osteomalacìa quando insorge durante la vita adulta. Al contrario, un
eccesso di vitamina D può provocare una ipercalcemia che può provocare la formazione di
calcificazioni dei tessuti molli.
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Infine si può affermare che il numero globale dei melanociti e la loro attività di sintesi sono
diversi da individuo ad individuo; il numero di melanociti e il loro grado di attività variano da
regione cutanea a regione cutanea; età e gravidanza influenzano il numero di melanociti e la loro
attività sintetica; ferite e traumi possono stimolare la melanogenesi nelle aree viciniori alle lesioni.
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SPECIALIZZAZIONI DI MEMBRANA
La polarizzazione funzionale delle cellule epiteliali fa sì che possiamo distinguere un dominio
apicale, uno laterale e infine uno basale (v. introduzione al tessuto epiteliale).
Specializzazioni della membrana apicale. Il dominio apicale può presentare particolari
modificazioni della membrana e del citoplasma che formano le specializzazioni di membrana
costituite da: microvilli, presenti sulla superficie apicale delle cellule degli epiteli cilindrici semplici
a funzione assorbente formando il cosiddetto orletto striato. Essi sono numerose e sottili
espansioni digitiformi lunghi circa 5μm, in numero di circa 2000 per cellula con lo scopo di
aumentare considerevolmente la superficie assorbente. Questi microvilli sono ricoperti da un
materiale glicoproteico, il glicocalice, che possiede una duplice funzione: protezione e facilitazione
dell’assorbimento in quanto in esso sono presenti enzimi litici (ivi pag. 91 fig.5-5);
•
ciglia vibratili, che si inseriscono nel citoplasma apicale delle cellule e sporgono fino a 10µm (ivi
pag. 96 fig.5-10). Oscillano con un movimento metacrono∗. Un epitelio cilindrico semplice
ciliato è presente sulla superficie libera delle tube uterine e nei piccoli bronchi dove svolge un
ruolo di trasporto: ovocita o zigote nelle tube, muco nelle vie aeree. La discinesia ciliare
primaria (DCP) di cui fa parte la sindrome di Kartagener è caratterizzata dalla mancata
oscillazione delle ciglia con conseguente mancato trasporto del muco che favorisce
l’insorgenza di bronchiti ricorrenti;
Specializzazioni della membrana laterale. Il dominio laterale della cellula presenta
specializzazioni di membrana che servono o ad impedire il passaggio di sostanze estranee oppure
per far aderire fra loro le cellule.
Negli enterociti ci sono in sequenza 3 specializzazioni che costituiscono nel loro insieme
l’apparato di giunzione: zonula occludens, zonula adherens, macula adherens (o desmosoma) (ivi
pag. 98 fig.5-12).
•
La zonula occludens non ha il compito di tenere unite fra loro due cellule ma di sigillare lo
spazio (come una chiusura lampo) impedendo la diffusione di molecole anche di basso peso
molecolare. La zonula occludens si trova nella parte più apicale del plasmalemma laterale ed è
estesa a fascia per tutto il perimetro della cellula; inoltre mantiene distinti il dominio apicale
da quello basolaterale della membrana plasmatica garantendo diverse funzioni della
membrana, funzioni legate alla presenza di diverse proteine di membrana.
∗
Tipico movimento ondulatorio proprio delle ciglia vibratili per il quale ogni ciglio, o gruppi di ciglia, oscillano in modo sfasato rispetto al ciglio o alle ciglia viciniori,
ovvero in anticipo o in ritardo rispetto al ciglio o gruppo di ciglia precedenti o successivi. Un esempio è rappresentato dalla “ola” da stadio.
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•
La zonula adherens è una specializzazione della membrana che contribuisce all’adesione di una
cellula all’altra. Anche la zonula adherens è estesa per tutto il perimetro della cellula.
Il desmosoma (o macula adherens) non è una giunzione a fascia. È una specializzazione
puntiforme con un diametro di circa 0,4µm. È una zona di aggancio fra membrane cellulari di
cellule contigue che contribuiscono entrambe alla sua costituzione.
L’emidesmosoma è una specializzazione puntiforme che costituisce una zona di aggancio tra la
cellula epiteliale e il sottostante tessuto connettivo. La sua struttura è simile a quella della metà di
un desmosoma.
IL CITOSCHELETRO
In tutte le cellule dell’organismo è presente un network che funge da supporto, il
citoscheletro, che è necessario per l’eventuale motilità cellulare, il mantenimento o il cambio di
forma della cellula, e che permette il flusso citoplasmatico di sostanze o vescicole. È formato da
microfilamenti di actina, microtubuli e da filamenti intermedi. I microfilamenti e i microtubuli sono
comuni a tutti i tipi cellulari. La terza categoria, quella dei cosiddetti filamenti intermedi, è
costituita da varie classi di proteine specifiche per ogni tessuto. Le cellule epiteliali presentano i
tonofilamenti costituiti da cheratina; le cellule connettivali i filamenti di vimentina; le cellule
nervose i neurofilamenti; le cellule della nevroglia i filamenti costituiti da proteina acida fibrillare
gliale (GFAP); le cellule muscolari i filamenti di desmina.
I microfilamenti di actina sono raggruppati in fasci che attraversano il citoplasma per il
mantenimento della forma della cellula, per la fagocitosi, per permettere il movimento cellulare e
il traffico intracellulare.
I filamenti intermedi sono denominati così per le loro dimensioni intermedie fra quelle dei
microfilamenti e quelle dei microtubuli. Sono tessuto-specifici. Poiché sono elementi stabili il loro
ruolo principale è quello strutturale e di supporto con la formazione dell’impalcatura della cellula.
I microtubuli sono strutture cave che si originano in prossimità del nucleo e si estendono fin
verso la membrana plasmatica. La loro funzione principale è quella di permettere e regolare i
movimenti all’interno del citoplasma di vescicole contenenti sostanze di varia natura.
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EPITELI GHIANDOLARI
La capacità di produrre sostanze di varia natura non è una caratteristica esclusiva degli epiteli
ghiandolari: alcune cellule muscolari cardiache sono in grado di produrre e liberare il fattore
natriuretico atriale; cellule nervose localizzate nell’ipotalamo possono elaborare ossitocina e
ormone antidiuretico. Per convenzione, tuttavia, il termine “ghiandola” è riferito a quegli ammassi
cellulari di natura epiteliale deputati esclusivamente alla secrezione. Questa secrezione può
avvenire sia all’interno che all’esterno dell’organismo. Il secreto prodotto può essere di natura
proteica, glucidica, lipidica.
Le
secernono
EPITELI
GHIANDOLARI
Ghiandole
esocrine
endocrine
Pluricellulari
A cordoni
esocrine
all’esterno
del
corpo o in cavità comunicanti
Ghiandole
Unicellulari
ghiandole
A vescicole
naturalmente con l’esterno ed
esplicano la loro attività in
Interstiziali
ambito
loco-regionale
(es.:
ghiandola sebacea e fegato. La
ghiandola sebacea secerne il
sebo in un tratto ristretto di cute; il fegato secerne la bile che si raccoglie prima nella colecisti e poi
viene immessa nel duodeno che comunica con l’esterno per mezzo dell’orifizio anale).
Le ghiandole endocrine secernono nel circolo sanguigno ed esplicano la loro azione a distanza
su organi bersaglio (es. ipofisi).
Ghiandole esocrine. Possono essere costituite da una sola cellula (ghiandole unicellulari) o da
più cellule (ghiandole pluricellulari).
Le ghiandole unicellulari sono le mucipare e le mucoidi.
Le ghiandole pluricellulari sono strutture più complesse: alcune cellule si organizzano a
formare la parte (adenomero) che sintetizza il prodotto di secrezione, altre a formare il tramite
che permette al prodotto di secrezione di essere trasportato nella sede di utilizzo (condotto
escretore).
Ghiandole unicellulari. Ghiandole mucipare. Sono dette mucipare perché producono muco
derivato dalla idratazione del mucinogeno. (Il mucinogeno a contatto con acqua si trasforma nelle
mucine che compongono il muco). Si trovano in un qualsiasi epitelio cilindrico, intercalate alle
cellule di rivestimento (quindi sia nell’epitelio cilindrico semplice, ma anche in quelli
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pseudostratificato e composto). Queste cellule prendono anche il nome di ghiandole caliciformi
per la morfologia che ricorda quella di un calice.
Il nucleo, di forma ovalare con
GH. MUCIPARE
GH. MUCOIDI
Intercalate in un epitelio
Formano esse stesse un epitelio a
asse maggiore parallelo a quello
cilindrico
funzione secernente
della cellula, è situato nel terzo
Localizzazione: in ogni epitelio
Localizzazione nella mucosa
prossimale della cellula assieme ai
cilindrico semplice o composto
gastrica
varî organuli (mitocondri, ribosomi e
PAS +
PAS +
complesso di Golgi), mentre nei due
Metacromasia +
Metacromasia -
terzi distali si accumula il secreto.
Nuclei con asse maggiore ⊥ alla
Nuclei con asse maggiore // alla
Questo accumulo crea una pressione
superficie di impianto
superficie di impianto
che viene esercitata sulle pareti della
Muco a pH acido
Muco a pH neutro
Secrezione a fiotto
Secrezione continua
cellula,
pressione
controbilanciata
dalle
non
cellule
adiacenti: in questo modo la parete
si slarga e la cellula assume un aspetto a calice. La secrezione è a fiotto: i granuli di mucina idratati
sono espulsi tutti insieme; la parte superiore della cellula apparirà così vuota. Il muco è composto
da molecole contenenti zuccheri complessi (glicoproteine, proteoglicani e glicosaminoglicani o
GAG). Il muco non si colora con ematossilina ed eosina.
Per evidenziare il muco si ricorre ad una reazione istochimica che visualizza gli zuccheri: la
reazione PAS*. Il muco quindi è PAS+ (PAS positivo). Il muco prodotto dalle cellule mucipare ha un
pH acido per la presenza di GAG solforati e per tale motivo può essere evidenziato anche
attraverso la reazione metacromatica**: quando il preparato è colorato con un colorante basico
(blu di toluidina) il muco si colora di rosso fucsia, mentre le altre regioni del preparato si colorano
di blu. Il muco svolge a livello intestinale funzioni protettiva e di lubrificazione della parete; a
livello delle vie respiratorie contribuisce alla eliminazione di particelle penetrate con la
respirazione; nella congiuntiva stabilizza la sottile pellicola lacrimale.
Ghiandole mucoidi. Pur secernendo anch’esse muco presentano alcune differenze: hanno una
forma regolare, cilindrica; il nucleo è più rotondeggiante o schiacciato sul fondo (con l’asse
parallelo alla superficie libera); il muco non è più accumulato per poi essere secreto tutto insieme
*
La reazione PAS (acronimo di Periodic Acid e reattivo di Schiff) è utilizzata per evidenziare i carboidrati. Il trattamento con acido periodico, forte ossidante, trasforma i
gruppi 1,2 glicolici CHOH in gruppi aldeidici CHNH2 la cui presenza è rivelata con il reattivo di Schiff che li colora in rosso magenta.
**
La metacromasia è quel fenomeno per cui il colorante, in base alle particolari strutture a cui si lega, modifica il suo assorbimento dello spettro luminoso. In pratica il
colorante basico blu di toluidina normalmente disciolto in acqua si trova in forma monomerica e il suo spettro di assorbimento è tale che il preparato risulta colorato in
blu; se è in ambiente acido il colorante polimerizza modificando il suo spettro di assorbimento e conferisce al preparato una colorazione violetta.
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(a fiotto), ma è secreto in maniera continua, per cui le cellule non presentano una struttura a
calice; le ghiandole mucoidi costituiscono esse stesse un epitelio mentre le mucipare sono
intercalate nell’epitelio cilindrico. Le cellule mucoidi sono presenti nella mucosa gastrica dove
svolgono un ruolo protettivo nei confronti degli enzimi digestivi e dell’acido cloridrico. Il muco
delle ghiandole mucoidi è PAS+, ma, dato che è costituito da GAG non solforati a pH neutro, non è
metacromatico.
Ghiandole esocrine pluricellulari. Sono provviste di adenomeri e di un condotto escretore. I
criteri di classificazione sono basati su:
1) Comportamento del condotto escretore
2) Forma dell’adenomero
3) Modalità di secrezione (come libera il prodotto di secrezione)
4) Tipo di secrezione
1) Comportamento del condotto escretore. Il condotto può ramificarsi o non ramificarsi in
dotti fino a sboccare negli adenomeri. Se il condotto escretore non si ramifica e questo termina
con un solo adenomero la ghiandola è semplice. Se il condotto escretore si ramifica e al termine di
ogni ramificazione c’è un adenomero la ghiandola è composta. Tuttavia, se il condotto non si
ramifica ma nonostante ciò è presente un certo numero di adenomeri che vi sboccano
direttamente la ghiandola è semplice ramificata. Da quanto esposto si può ricavare che le
ghiandole sia semplici che composte hanno sempre un solo condotto escretore e ciò ovviamente
non costituisce un fattore discriminante per la classificazione∗.
2) Forma dell’adenomero. In base alla forma dell’adenomero una ghiandola può essere:
− tubulare, con adenomero allungato a decorso rettilineo e lume ristretto;
− a gomitolo, come sopra ma a decorso tortuoso;
− acinosa, con adenomero di forma rotondeggiante e lume ristretto;
− alveolare, con adenomero di forma rotondeggiante e lume ampio.
3) Modalità di secrezione. Si distinguono 3 diverse modalità: olocrina, apocrina e merocrina.
Secrezione olocrina. Le cellule dell’adenomero vanno progressivamente incontro a un
processo degenerativo, durante il quale sintetizzano materiale lipidico con il quale infarciscono il
loro citoplasma diventando così esse stesse prodotto di secrezione. Questo processo prende il
nome di processo bionecrotico, È necessario perciò che sia presente una stratificazione delle
∗
L’unica ghiandola con due condotti escretori è il pancreas esocrino. Tale eccezione è dovuta al fatto che la ghiandola si origina da due abbozzi distinti, destinati poi ad
unirsi, da ciascuno dei quali si differenzia un condotto escretore.
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cellule le quali, alla periferia dell’adenomero assumeranno caratteristiche tipiche delle cellule
staminali. Queste cellule indifferenziate capaci di dividersi per mitosi sostituiranno le cellule che
degenerano e muoiono; durante il periodo di avvicinamento al lume dell’adenomero andranno
incontro al processo bionecrotico (es: ghiandole sebacee, ghiandole di Meibomio e di Zeiss
annesse all’occhio).
Secrezione apocrina. Le cellule dell’adenomero sintetizzano del materiale che non è racchiuso
in vescicole ma si trova libero nel citoplasma. I granuli di secreto si accumulano nella parte distale
della cellula, mentre la membrana plasmatica si restringe a mo’ di clessidra al di sotto dei granuli
di secreto provocando la formazione di una grossa e unica vescicola contenente tutti i granuli di
secreto che sono così liberati, mentre nella regione prossimale della cellula rimangono tutti gli
organuli e il nucleo, permettendo così alla cellula di continuare l’attività secretoria e di rinnovarsi.
Il lume dell’adenomero appare frastagliato in quanto questo processo di secrezione non è
CLASSIFICAZIONE DELLE GHIANDOLE ESOCRINE PLURICELLULARI
COMPORTAMENTO
FORMA
MODALITÀ
DEL CONDOTTO ESCRETORE
DELL’ADENOMERO
DI SECREZIONE
TUBULARE
SEMPLICE
OLOCRINA
APOCRINA
MEROCRINA
COMPOSTA
A GOMITOLO
SIEROSA
ACINOSA
MUCOSA
ALVEOLARE
MISTA
SEMPLICE RAMIFICATA
contemporaneo in tutte le cellule (es: ghiandola mammaria per la componente lipidica del latte,
ghiandole ceruminose, ghiandole bulbouretrali di Cowper e ghiandole del Bartolino).
Secrezione merocrina. Le cellule dell’adenomero racchiudono il prodotto di secrezione
all’interno di vescicole la cui membrana si fonde con quella cellulare liberando il secreto con una
modalità nota come “esocitosi” (es: ghiandole salivari, pancreas esocrino, ghiandole lacrimali).
4) Tipo di secrezione. Le ghiandole merocrine si possono ulteriormente classificare secondo
la natura del loro secreto in sierose, mucose, miste.
Le ghiandole a secrezione sierosa producono un fluido acquoso, ricco in proteine (es.:
parotide, pancreas, ghiandole lacrimali). Generalmente gli adenomeri sono di tipo acinoso e le
cellule che li compongono hanno un citoplasma basofilo.
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Le ghiandole a secrezione mucosa producono un secreto più vischioso, costituito da muco
scarsamente colorabile con eosina ma che reagisce intensamente con la reazione del PAS (PAS+)
(es.: gh. duodenali). Gli adenomeri hanno di solito forma tubulare.
Le ghiandole a secrezione mista possono presentare adenomeri sierosi e mucosi distinti, nel
qual caso gli adenomeri sierosi sono di forma acinosa mentre quelli mucosi sono di forma
tubulare, oppure gli adenomeri possono presentare entrambe le componenti; quella mucosa in
prossimità del dotto e quella sierosa a formare sul fondo degli adenomeri una struttura a semiluna
detta del Giannuzzi. In questo caso esistono strutture canalicolari fra le cellule mucose che
permettono il passaggio di secreto sieroso fino al lume dell’adenomero (es.: gh. salivari
sottomandibolare e sottolinguale).
Infine, intorno agli adenomeri sono generalmente presenti le cosiddette cellule mioepiteliali.
Sono cellule di forma stellata provviste di prolungamenti ramificati che circondano l’acino. Il nome
deriva dal fatto che pur essendo di origine epiteliale, sono provviste di filamenti contrattili come
l’actina e la miosina tipici del tessuto muscolare. Per mezzo della loro capacità di contrarsi
favoriscono la secrezione del materiale da parte dell’adenomero e il suo transito nei primi tratti
dei condotti escretori. In quest’ultimo caso la forma delle cellule mioepiteliali è allungata,
fusiforme.
Ghiandole endocrine. Le ghiandole endocrine esplicano la loro azione su organi (detti organi
bersaglio) anche lontani dalla loro sede purché le cellule parenchimali∗ appartenenti all’organo
siano provviste di recettori specifici. Il secreto delle ghiandole endocrine è detto ormone ed è
liberato nel torrente circolatorio.
Le ghiandole endocrine si classificano secondo un criterio morfologico in ghiandole endocrine
a cordoni, ghiandole endocrine a vescicole, ghiandole endocrine interstiziali.
Le ghiandole endocrine a cordoni hanno cellule stipate e organizzate in strutture solide,
allungate, cordoniformi, separate da tralci connettivali in cui sono presenti capillari sanguigni. (es.:
surrene, ipofisi).
Le ghiandole endocrine a vescicole sono costituite da cellule organizzate a formare la parete di
strutture sferoidali, i follicoli (o vescicole), contenenti un materiale detto colloide in cui è presente
l’ormone. Le cellule della parete del follicolo sono di forma cubica o cilindrica a seconda del loro
momento funzionale. L’unica ghiandola endocrina di questo tipo è la tiroide.
∗
Si intende per parènchima il tessuto caratteristico e funzionale di un determinato organo. Si contrappone allo stroma che corrisponde ai tessuti di supporto inteso come
sostegno, impalcatura e come apportatore di sostanze trofiche.
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Le ghiandole endocrine interstiziali sono costituite da cellule singole sparse all’interno di un
tessuto. Le cellule C o parafollicolari si trovano nelle immediate vicinanze del follicolo tiroideo ma
non ne fanno parte e producono calcitonina. Le cellule di Leydig del testicolo, situate
nell’interstizio fra i tubuli seminiferi, producono testosterone.
Le ghiandole endocrine a cordoni e quelle interstiziali elaborano il proprio ormone nel
momento del fabbisogno da parte dell’organismo, mentre la tiroide produce ormoni, li accumula
nella colloide, e li rilascia in circolo al momento del bisogno.
La produzione e la secrezione ormonale è soggetta a controllo tramite i cosiddetti meccanismi
di feed-back. Di solito questo meccanismo è di tipo negativo: una aumentata concentrazione
plasmatica di un determinato ormone induce un effetto inibitorio diretto della secrezione sulla
ghiandola endocrina e/o un effetto inibitorio indiretto su strutture che regolano la secrezione della
ghiandola endocrina.
Poiché le ghiandole endocrine rilasciano oltre cento sostanze ormonali è utile una
classificazione sulla base delle caratteristiche biochimiche che porta alla determinazione di tre
gruppi. Gli ormoni sono di derivazione:
•
proteica: insulina, ormone tireotropo, glucogone, etc... I loro recettori sono presenti sulla
membrana plasmatica della cellula: quando l’ormone ha interagito col recettore, vengono prodotti
e liberati dei II° messaggeri che daranno il via ai meccanismi metabolici richiesti dallo stimolo
ormonale.
•
steroidea: ormoni ovarici, testicolari e ormoni prodotti dalla corticale del surrene.
Derivano dal colesterolo. Si legano a specifiche proteine di trasporto plasmatiche. I loro recettori
sono presenti nel citosol.
•
aminoacidica: adrenalina, noradrenalina (catecolamine) e gli ormoni tiroidei. I loro
recettori sono localizzati sulla membrana plasmatica con l’eccezione di quelli per gli ormoni
tiroidei localizzati a livello nucleare.
Le ghiandole endocrine sono:
Ipofisi. È Suddivisibile in adenoipofisi e neuroipofisi.
L'adenoipofisi produce: ormone somatotropo (STH o GH) che agisce indirettamente
stimolando la crescita della cartilagine di accrescimento; Prolattina (PRL) stimola lo
sviluppo della ghiandola mammaria nella pubertà, nella gravidanza e durante
l’allattamento. In questo ultimo periodo determina la produzione del latte; ormone
follicolo-stimolante (FSH) stimola lo sviluppo del follicolo ovarico e la spermatogenesi;
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ormone luteinizzante (LH) determina nella donna la maturazione del follicolo,
l’ovulazione e la formazione del corpo luteo e la relativa secrezione endocrina; nel
maschio mantiene la secrezione di androgeni delle cellule di Leydig; ormone
tireotropo (TRH) stimola la crescita delle cellule follicolari tiroidee e la produzione dei
relativi ormoni; ormone adrenocorticotropo (ACTH) stimola la produzione surrenalica
di glicocorticoidi e gonadocorticoidi.
L’ormone della crescita e la prolattina agiscono su organi bersaglio di natura non
endocrina, gli altri ormoni sono definiti a funzione tropica in quanto regolano l’attività
di altre ghiandole endocrine.
La neuroipofisi contiene e non produce due ormoni*: ossitocina che favorisce la
contrazione muscolare liscia dell’utero e le cellule mio-epiteliali associate alla ghiandola
mammaria; ormone antidiuretico (ADH) che favorisce il riassorbimento di acqua nei
tubuli renali.
Le paratiroidi producono paratormone o ormone paratiroideo (PTH) che regola l’omeostasi del
calcio e del fosforo ematici principalmente attraverso il riassorbimento osseo mediante osteolisi
osteoclastica.
Il surrene è suddivisibile in corticale e midollare:
La corticale secerne ormoni steroidei derivati dal colesterolo; è organizzata in: zona
glomerulare che produce ormone mineral-corticoidi (es. aldosterone) che controllano
la pressione sanguigna; zona fascicolata che produce essenzialmente ormoni
glucocorticoidi (cortisolo e corticosterone) che regolano il metabolismo glicidico e degli
acidi grassi. Un effetto particolare è quello riguardante la risposta immunitaria: i
glucocorticoidi infatti inibiscono la risposta immunitaria ritardando, ad esempio, la
guarigione delle ferite; zona reticolare che produce ormoni gonadocorticoidi androgeni
(deidroepiandrosterone)
La midollare produce due ormoni di derivazione aminoacidica (fenilalanina e tirosina)
noradrenalina e adrenalina che hanno effetti simpatico mimetici, ovvero effetti simili a
quelli indotti dalla stimolazione del sistema nervoso autonomo simpatico (es.: aumento
della frequenza cardiaca e della pressione del sangue)
*
In realtà i due ormoni sono prodotti dai nuclei ipotalamici sovraottico e paraventricolare.
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Epifisi (gh. pineale). Regola il ritmo circadiano∗. Produce melatonina
Le isole di Langerhans sono ammassi cellulari indovati nel pancreas esocrino e sono composte da:
cellule α (alfa) che producono glucagone che determina glicogenolisi epatica e il rilascio di glucosio
nel sangue; cellule β (beta) che producono insulina che favorisce l’assorbimento cellulare del
glucosio e la sua utilizzazione; cellule δ (delta) che producono somatostatina che inibisce la
secreione sia di insulina che di glucagone; cellule F (o PP) che producono il polipeptide pancreatico
che ha varie funzioni sia di stimolo che di inibizione sulle cellule del tubo gastroenterico.
La tiroide produce triiodotironina (T3) e tetraiodotironina o tiroxina (T4) che regolano il
metabolismo basale e la produzione di calore.
Le cellule C (o parafollicolari) producono calcitonina che ha effetto ipocalcemizzante attraverso la
inibizione della attività degli osteoclasti.
Il rene produce renina, enzima coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna ed
eritropoietina che regola l’emopoiesi eritrocitaria.
L’ovaio produce ormoni estrogeni (estradìolo) e ormoni progestinici (progesterone) coinvolti nelle
modificazioni cicliche della mucosa uterina e nella gravidanza.
Il testicolo produce ormoni androgeni (testosterone) (dalle cellule di Leydig)
La placenta** (annesso embrionale) produce progesterone, estrogeni, gonadotropina corionica
(HCG), ormone lattogeno placentare (HPL).
Il sistema neuroendocrino diffuso produce serotonina, gastrina, somatostatina… Il sistema
neuroendocrino diffuso è dato dall’insieme di singole cellule sparse negli epiteli di
rivestimento respiratorio e gastrointestinale. Queste cellule producono e liberano sostanze le
quali, piuttosto che essere riversate nel torrente circolatorio per causare effetti sistemici,
agiscono sulle cellule circostanti. Questa funzione è definita paracrina.
∗
Ritmo biologico giornaliero giorno/notte, caratterizzato da una periodicità di 24 ore.
La placenta è un annesso embrionale tramite la quale avvengono gli scambi trofici e di gas tra madre e feto. (ivi pag. 483 fig. 20-16)
Pagina 24 di 72
**
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TESSUTO CONNETTIVO PROPRIAMENTE DETTO
I tessuti connettivi hanno il compito di sostenere e connettere gli altri tessuti fra loro
determinando quindi la morfologia sia dei singoli organi che dell'organismo nel suo insieme. Tutti i
connettivi presentano caratteristiche comuni come essere costituiti da cellule immerse in
abbondante matrice extracellulare (ECM). Le cellule del tessuto connettivo sono di diversi tipi per
morfologia e funzione. La ECM è formata da fibre e da sostanza amorfa. I tessuti connettivi hanno
questo nome per la loro funzione di connettere fra loro, sia funzionalmente che strutturalmente, i
diversi tessuti nella costituzione di organi. I tessuti connettivi comprendono tessuti diversi fra loro
ma simili per la organizzazione strutturale. Le varie funzioni sono quella di sostegno, trofismo, di
difesa e il mantenimento dell’omeostasi.
Esistono varî tipi di tessuto connettivo: il tessuto connettivo propriamente detto (TCPD), il
tessuto cartilagineo, il tessuto osseo, il sangue. Questi ultimi tre sono definiti connettivi
specializzati e saranno trattati in capitoli autonomi.
Nell’ambito dei tessuti connettivi propriamente detti dobbiamo tenere conto di una
classificazione che tiene conto della presenza delle cellule e delle componenti della matrice
extracellulare.
Tessuti connettivi propriamente detti. Nel TCPD la matrice è prodotta dal fibroblasta.
Le fibre. Sono di natura proteica e sono presenti in proporzioni diverse a seconda della
particolare funzione che svolge quel determinato tessuto. Le fibre appartengono a tre categorie:
collagene, reticolari, elastiche. Le fibre collagene e le fibre reticolari sono il risultato di gradi diversi
di aggregazione della molecola di base, il tropocollagene o collagene.
Le fibre collagene. Se osservate a fresco hanno un colorito biancastro. Sono resistenti alla
trazione (circa 5 kg/cm2); sono flessibili ma inestensibili e hanno un andamento ondulato; questo
permette la distensione delle strutture quando sottoposte a trazione. Il collagene è la proteina più
abbondante dell’organismo; è termolabile (se si fa bollire si denatura e raffreddato forma
gelatina). Le fibre collagene sono digerite dalla collagenasi e sono attaccabili dagli acidi (digerite
dai succhi gastrici). Il loro diametro (Ø) oscilla fra 1µm e 12µm mentre la loro lunghezza non è
FIBRA COLLAGENA
Ø tra 1µm e 12µm
FIBRILLA COLLAGENA
Ø circa 0,3µm
MICROFIBRILLA COLLAGENA
Ø tra 20 e 150nm
MOLECOLA DI TROPOCOLLAGENE
Ø 1,5nm
precisabile. Possono
addensarsi
a
formare dei fasci. Il collagene è basico
e quindi si colora bene in rosa con
l’eosina, ma anche in rosso con il
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metodo di van Gieson, in blu con il
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metodo di Mallory e in verde con la colorazione tricromica di Masson. È invece scarsamente PAS+.
Ciascuna fibra collagena è costituita da fibrille di spessore di circa 0,3µm; le fibrille a loro
volta sono costituite da microfibrille di Ø variabile fra 20 e 150nm. Le microfibrille sono il risultato
dell’assemblaggio di molecole di tropocollagene. Se osserviamo le fibrille al microscopio
elettronico a trasmissione è possibile evidenziare una tipica bandeggiatura trasversale che si ripete
ogni 67nm.
Classificazione dei collageni:
•
Fibrillari. Rappresentano il gruppo più importante: Sono i collageni “classici” in cui è
osservabile al M.E la tipica bandeggiatura. Sono di tipo I (90% di tutti i collageni) (osso, derma,
dentina, cartilagine fibrosa, tendini e ligamenti); di tipo II (cartilagine ialina ed elastica), di tipo III
(fibre reticolari), di tipo V, di tipo XI
•
Facit (FACIT = Fibrillar Associated Collagen with Interrupted Triple helix) cioè collageni associati
ai collageni fibrillari
•
A catena corta. Il tipo VIII il tipo X si trovano nel pericondrio e nella cartilagine ipertrofica
rispettivamente
•
Delle membrane basali (tipo IV). Polimerizzano formando networks. Sono senza
bandeggiatura.
•
Altri collageni.
Le fibre reticolari. Le fibre reticolari sono costituite da molecole di tropocollagene con minore
grado di aggregazione rispetto a quello delle fibre collagene. Si costituiscono così fasci più sottili
che formano maglie tridimensionali. Hanno diversa affinità tintoriale: sono intensamente PAS+ e
sono dette fibre argirofile perché si colorano in nero con AgNO3 (nitrato di argento) (metodo di
Bielschowsky). Sono composte da collagene di tipo III.
Le fibre elastiche. Le fibre elastiche osservate a fresco hanno un colorito giallastro. Sono
caratterizzate dalla capacità di distendersi se sottoposte a trazione, per ritornare, una volta
cessata la forza, alle dimensioni originarie. Conferiscono così elasticità al tessuto e all’organo in cui
si trovano (es. polmone) Possono anastomizzarsi tra loro formando lamine elastiche, definite
lamine “fenestrate” perché presentano degli spazi (presenti soprattutto nella tonaca elastica dei
grossi vasi arteriosi). Sono termostabili. Non sono attaccabili dagli acidi e dagli alcali diluiti e
resistono ai succhi gastrici. L’unico enzima che le digerisce è l’enzima elastasi prodotto dal
pancreas esocrino. Sono meno numerose e più sottili delle fibre collagene. Il Ø oscilla tra 0,2µm e
1µm. Sono capaci di ramificarsi e di formare un tessuto specifico, il tessuto elastico. Si colorano
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selettivamente con orceina in marrone e con il metodo di Weigert, utilizzando fucsina e resorcina,
in blu. Sono costituite da due componenti: un materiale omogeneo, amorfo, la elastina e una
componente microfibrillare, la fibrillina.
La elastina si forma per la polimerizzazione di molecole di tropoelastina (precursore solubile
dell’elastina). La tropoelastina è una proteina solubile ma al termine della fibrillogenesi diventa
insolubile. L’elastina che ne risulta è un polimero amorfo che avvolge le microfibrille di fibrillina.
La sostanza amorfa. La sostanza amorfa è un sistema colloidale multifasico formato da una
fase disperdente acquosa e da una fase dispersa. Ha un indice di rifrazione vicino a quello
dell’acqua, per cui nei preparati a fresco non è visibile.
La fase disperdente acquosa è costituita da H2O, sali e gas in essa disciolti; la fase dispersa è
invece costituita da una componente aspecifica costituita da vitamine, ormoni, enzimi, sostanze
trofiche e cataboliti e da una componente specifica comprendente i glicosaminoglicani (GAG), i
proteoglicani e le glicoproteine.
Si può trovare in fase sol (fluida) ed è tipica dei tessuti connettivi propriamente detti e in fase
gel (meno fluida e più compatta) tipica della cartilagine; infine può essere calcificata per la
SOSTANZA AMORFA (o FONDAMENTALE)
FASE DISPERDENTE
FASE DISPERSA
Acqua, elettroliti, gas
Componente aspecifica: vitamine, ormoni, enzimi, anaboliti, cataboliti
Componente specifica: GAG, proteoglicani, glicoproteine
precipitazione di sali di calcio nel tessuto osseo. È PAS+ (per la presenza di GAG e glicoproteine) ed
è metacromatica per la presenza di GAG solforati acidi.
I GAG sono delle macromolecole costituite dal ripetersi di un eterodimero∗ formato da due
zuccheri complessi, un acido uronico (ac. glicuronico, ac. iduronico) e una esosamina (acetilglucosammina, acetil-galattosammina). I GAG sono divisibili in solforati (eparansolfato, condroitin4-solfato o condroitin-solfato A, condroitin-6-solfato o condroitin-solfato C, cheratan-solfato,
dermatan-solfato) e non solforati (acido ialuronico, acido condroitinico). Hanno un peso
molecolare elevato (da alcune decine di KDa fino a 8000 KDa) caratterizzati dalla presenza di
gruppi anionici∗ responsabili della basofilia, della metacromasia e della capacità di legare molte
molecole di H2O. L’acido ialuronico si ritrova nel connettivo lasso, nel derma, nel cordone
∗
∗
Un eterodimero è una molecola formata dall'unione di due subunità di natura chimica diversa
Un anione è un atomo oppure, come in questo caso, una molecola con una carica elettrica negativa
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ombelicale, nel liquido sinoviale. Il condroitin-4-solfato si ritrova nella cartilagine e nell’osso; il
condroitin-6-solfato è presente nella cartilagine. Il dermatan-solfato si ritrova nel derma, nel
tendine, nell’aorta e nei vasi in generale. I GAG ad eccezione dell’acido ialuronico devono legarsi
ad una proteina tramite dei legami covalenti, formando complessi macromolecolari detti
proteoglicani. (es.: proteoglicano aggrecano: condroitin- e cheratan-solfato).
I proteoglicani sono il risultato dell’assemblaggio di uno o più GAG su di un asse proteico. La
ritenzione di un numero elevatissimo di molecole di H2O conferisce un certo grado di elasticità al
tessuto e gli permette di resistere a forze compressive notevoli, comportandosi come una spugna.
L’acqua infatti si lega ai proteoglicani grazie alle cariche negative dei GAG. Quando viene esercitata
la forza, le molecole di acqua momentaneamente si allontanano per poi nuovamente legarsi ai
gruppi anionici al momento che cessa la pressione esercitata sul tessuto. I proteoglicani inoltre
agiscono come filtro molecolare facilitando o ostacolando il passaggio di soluti presenti nel liquido
interstiziale. Alcuni proteoglicani sono l’aggrecano, il versicano, la decorina e il biglicano.
Un aggregato proteoglicanico è costituito da un asse su cui si inseriscono parecchi
proteoglicani (è una molecola enorme). Possiamo avere un aggregato il cui asse principale è
costituito da tropocollagene, fibronectina o acido ialuronico.
Le glicoproteine hanno una modesta quantità di zuccheri, ma sono le principali responsabili
della PAS+. Con l’età aumentano e rappresentano un marker dell’invecchiamento tissutale. Le
glicoproteine possono essere di provenienza plasmatica oppure di origine autoctona. Fra queste
ricordiamo le glicoproteine strutturali fibronectina, laminina ed entactina o nidogen. Queste
glicoproteine hanno il compito di collegare le cellule ai varî elementi della matrice extracellulare.
Per fibronectina si intende una famiglia di molecole glicoproteiche il cui ruolo è quello di
favorire l’adesione di cellule alla matrice oppure lo “spreading” o diffusione cellulare, quando cioè
avvengono migrazioni cellulari durante lo sviluppo.
La laminina è una glicoproteina, prodotta dalle cellule epiteliali, endoteliali e muscolari lisce,
ma non dai fibroblasti. È necessaria per l’adesione cellulare.
L’entactina è tipica delle membrane basali.
Le cellule. Le cellule del tessuto connettivo propriamente detto si possono suddividere in due
categorie: quelle proprie del tessuto dette anche residenti e quelle provenienti dal sangue dette
anche migranti. Le prime hanno una vita relativamente lunga, le seconde invece una vita breve. Le
cellule residenti sono il fibroblasta, il macrofago, il mastocita, la plasmacellula e l’adipocita. Quelle
migranti, provenienti dal sangue, sono il linfocita, i granulociti e i monociti. Tutte le cellule del
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connettivo derivano dalla cellula mesenchimale embrionale. I fibroblasti sono deputati alla sintesi
e secrezione di macromolecole della matrice. I macrofagi, i mastociti, i linfociti e le plasmacellule
sono coinvolti nella difesa dell’organismo. Gli adipociti sono necessari per il metabolismo lipidico. I
granulociti migrano nel tessuto connettivo solo se si instaurano processi infiammatori.
Fibroblasti. I fibroblasti sono le cellule più numerose del tessuto connettivo. Sintetizzano
fibre e sostanza amorfa. Hanno una forma fusata o stellata. Il nucleo eucromatico è ben evidente
così come il nucleolo. Il citoplasma presenta un ricco reticolo endoplasmatico rugoso indice di
CELLULE
DEL
CONNETTIVO
FIBROBLASTI
MACROFAGI
CELLULE
CELLULE
RESIDENTI
MIGRANTI
MASTOCITI
PLASMACELLULE
ADIPOCITA
LINFOCITI
GRANULOCITI
MONOCITI
spiccata sintesi proteica, un complesso di Golgi, mitocondri di dimensioni notevoli (ivi pag. 115 fig.
6-4). La ricchezza in ribosomi conferisce basofilia citoplasmatica all’osservazione al MO. Per
quanto riguarda la fibrillogenesi la molecola di tropocollagene si forma per la associazione di tre
catene polipeptidiche α idrossilate e glicosilate in ambiente intracitoplasmatico, mentre
l’assemblaggio delle molecole avviene in ambiente extracellulare.
Macrofagi. I macrofagi sono cellule delle dimensioni di circa 20µm di Ø con la capacità di
fagocitare sia costituenti dell’organismo degenerati o invecchiati, sia elementi estranei
all’organismo come batteri. Si originano dai monociti del sangue, che alla necessità, migrano
fuoriuscendo dal letto vascolare; superando l’endotelio si portano nel tessuto connettivo e si
trasformano in macrofagi che, se stimolati, possono andare incontro a mitosi. Presentano un
nucleo di forma irregolare, indentato (ivi pag. 122 fig. 6-12), mentre nel citoplasma eosinofilo sono
presenti numerosi lisosomi contenenti enzimi litici (idrolasi acide). Si possono distinguere in un
preparato istologico iniettando nell’animale da laboratorio coloranti vitali (che non interferiscono
cioè con il metabolismo cellulare) come il trypan blu, il blu pirrolo, il litiocarminio, che sono
fagocitati permettendo così il riconoscimento (ivi pag. 123 fig. 6-13).
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Al momento della fagocitosi i macrofagi emettono delle estroflessioni citoplasmatiche dette
membrane ondulanti per il movimento di tipo ameboideo che permette l’avvicinamento al corpo
da internalizzare. Una volta raggiunta la sede il macrofago emette due estroflessioni dette
pseudopodi che circondano il corpo. I due pseudopodi si fondono fra di loro formandosi così
all’interno del macrofago una vescicola contenente il corpo estraneo. Questa vescicola è detta
fagosoma. A questo punto alcuni lisosomi si fondono con il fagosoma dando luogo alla formazione
del fagolisosoma o lisosoma secondario. Le idrolasi possono così digerire il materiale fagocitato.
Nel caso di batteri o cellule, prima della fagocitosi la membrana di queste strutture viene rivestita
da immunoglobuline delle classi G o M oppure da proteine provenienti dal plasma (complemento).
Questo processo, detto opsonizzazione, facilita la prima fase della fagocitosi, cioè
l’internalizzazione, in quanto sulla membrana dei macrofagi sono presenti dei recettori specifici sia
per le immunoglobuline che per il complemento.
I macrofagi sono in grado di cooperare nei processi di difesa immunitaria presentando la
componente antigenica del batterio fagocitato ai linfociti che potranno produrre anticorpi
specifici. Sono utilizzati anche nei processi di emocateresi: nella milza i globuli rossi invecchiati
sono eliminati per fagocitosi ma il ferro contenuto negli eritrociti è recuperato dai macrofagi
splenici e trasportato dalla transferrina nel midollo osseo.
Possono fondersi fra di loro formando una cellula polinucleata, la cosiddetta cellula gigante da
corpo estraneo nel caso di fagocitosi di elementi di cospicue dimensioni.
Sono capaci di produrre diverse sostanze come il lisozima che distrugge la parete batterica,
varie citochine per le interazioni fra le varie cellule immunocompetenti, la mieloperossidasi, l’O2 e
l’ipoclorito che sono sostanze battericide, l’interferone che possiede attività antivirale.
Assieme ad altre cellule ad attività fagocitaria costituiscono la famiglia dei macrofagi. Le cellule
sono quelle di von Kuppfer nel fegato, di Langerhans nell’epidermide, della microglia nel tessuto
nervoso, le cellule A della sinovia, quelle della polvere nel polmone, le dendritiche nei tessuti
linfoidi, gli osteoclasti nel tessuto osseo.
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Mastociti. I mastociti sono grosse cellule (Ø 20-30μm) presenti nel tessuto connettivo fibrillare
lasso in sede perivascolare. Hanno forma ovoidale, nucleo piccolo ed eccentrico con citoplasma
fortemente basofilo, PAS+ e metacromatico. Questa affinità tintoriale è legata alla presenza di
numerosissimi granuli contenenti il proteoglicano eparina, molecola fortemente acida. L’eparina è
un anticoagulante. Inoltre nei granuli è presente l’istamina, prodotto della decarbossilazione
dell’AA istidina, che agisce come vasodilatatore e aumenta la permeabilità dell’endotelio capillare.
I mastociti producono anche leucotrieni, derivati dall’acido arachidonico, che favoriscono la
contrazione della muscolatura liscia. I mastociti hanno sulla membrana dei recettori per le
IgA
Presenti nelle secrezioni: saliva, lacrime, colostro∗
IgD
Tipiche dei linfociti immaturi. Non si trovano in circolo
Dette reagine. I loro recettori si trovano sulla membrana dei mastociti e dei granulociti basofili.
IgE
Interagiscono con essi durante le allergie
Principali anticorpi prodotti nella risposta secondaria. Passano la barriera placentare conferendo immunità
IgG
IgM
passiva al feto.
Principali anticorpi prodotti nella risposta primaria
immunoglobuline di classe E dette reagine che sono dirette contro sostanze allergizzanti (polline,
alcuni alimenti, polveri, farmaci). Questi anticorpi sono numerosi negli individui soggetti ai
fenomeni allergici. L’interazione IgE-mastocita può scatenare diverse reazioni sia di lieve entità e
localizzate (rinite allergica) oppure di maggiore gravità e generalizzate (shock anafilattico).
Adipociti. La cellula adiposa sarà studiata in dettaglio nell’ambito del tessuto adiposo.
Linfociti e plasmacellule. I linfociti sono cellule rotondeggianti di provenienza ematica (Ø
10μm) con un grosso nucleo rotondeggiante con cromatina addensata e scarso citoplasma
intensamente basofilo per la ricchezza di ribosomi per la sintesi delle immunoglobuline. Possono
costituire un tessuto, il tessuto linfoide, presente in organi quali il timo, la milza, i linfonodi, le
placche del Peyer, tonsille, appendice. Sono responsabili della difesa immunitaria. Si possono
distinguere varie sottopopolazioni tra cui i linfociti B e i linfociti T. I primi sono responsabili dei
fenomeni di difesa immunitaria di tipo umorale mediante la produzione e secrezione di anticorpi
circolanti nella risposta primaria; i secondi della difesa immunitaria cellulo-mediata con la
produzione di anticorpi che restano legati alla membrana linfocitaria. I linfociti B possono
trasformarsi in plasmacellule per la produzione anticorpale nella risposta immunitaria secondaria.
∗
Il colostro è secreto dalle ghiandole mammarie nei primi giorni dopo il parto.
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I linfociti T esplicano la loro attività attaccando e distruggendo l’agente patogeno (linfociti T
citotossici) mentre i linfociti T helper stimolano i linfociti B a produrre anticorpi. Inoltre i linfociti T
sono coinvolti nei fenomeni di ipersensibilità ritardata e nel rigetto dei trapianti.
Le plasmacellule derivano dai linfociti B. Sono voluminose cellule del connettivo (Ø 20μm
circa) di forma ovoidale con nucleo rotondeggiante ed eccentrico (ivi pag. 124 fig. 6-14). La
cromatina è tipicamente disposta in zolle che conferiscono l’aspetto di ruota di carro o di
quadrante di orologio. Il citoplasma presenta un reticolo endoplasmatico rugoso sviluppatissimo
che conferisce intensa basofilia al citoplasma. È presente un grosso complesso di Golgi in sede
perinucleare (ivi pag. 125 fig. 6-16). Nel citoplasma sono presenti zone PAS+ che corrispondono ad
accumuli di anticorpi (corpi di Russell). Le plasmacellule sono responsabili della produzione di
anticorpi nella risposta secondaria.
Classificazione del tessuto connettivo
MUCOSO
propriamente detto. I tessuti connettivi
TESSUTI
CONNETTIVI
PROPRIAMENTE
DETTI
FIBRILLARE
LASSO
A FASCI
INTRECCIATI
FIBRILLARE
DENSO
A FASCI
INCROCIATI
RETICOLARE
A FASCI
PARALLELI
sono classificati a seconda del maggiore o
minore
coinvolgimento
delle
tre
componenti: cellule, fibre, sostanza amorfa.
•
Il
tessuto
mucoso
è
costituito
prevalentemente da sostanza amorfa con
ELASTICO
pochi fibroblasti e un numero assai limitato
di fibre per lo più reticolari. È presente nel
LINFOIDE
BIANCO O
UNILOCULATO
ADIPOSO
BRUNO O
MULTILOCULATO
feto a livello del cordone ombelicale a
costituire la gelatina di Wharton con lo
scopo di impedire il collassamento dei vasi
ombelicali. Nell’adulto è presente nella polpa dentaria.
•
Il tessuto connettivo fibrillare lasso è quello maggiormente rappresentato fra quelli
propriamente detti. Le tre componenti sono equamente rappresentate. Sono presenti tutti i tipi
cellulari. È un tessuto molto flessibile ed elastico con scarsa resistenza alle forze esercitate. Grazie
alla sua ricca vascolarizzazione e all’alta percentuale di sostanza amorfa svolge un importante
ruolo trofico.
•
Il tessuto connettivo fibrillare denso presenta una preponderanza di fibre collagene con
modeste quantità di sostanza amorfa. La componente cellulare è rappresentata pressoché da
fibroblasti. Queste caratteristiche conferiscono una notevole resistenza alle varie forze tensive, di
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torsione e anche compressive che vi possono essere esercitate. In base alla disposizione dei fasci
di fibre possiamo ulteriormente classificare questo tessuto in:
•
⋅
Tcfd a fasci intrecciati (derma, fasce, capsule) (ivi pag. 127 fig. 6-17)
⋅
Tcfd a fasci incrociati (cornea)
⋅
Tcfd a fasci paralleli (tendini, ligamenti, aponevrosi) (ivi pag. 127 fig. 6-18)
Il tessuto reticolare costituisce lo stroma di organi parenchimatosi come il fegato o la milza (ivi
pag. 128 fig. 6-20).
•
Il tessuto elastico costituito da fibre che possono formare lamine formato (parete delle arterie,
ligamenti)
•
tessuto linfoide (organi linfoidi: timo, milza, linfonodi, appendice vermiforme, tonsille, placche
del Peyer)
•
tessuto adiposo bianco o uniloculato (pannicolo adiposo sottocutaneo) e bruno o multiloculato
o grasso embrionale
La cellula adiposa è normalmente presente in forma isolata o in piccoli gruppi nel tessuto
connettivo fibrillare lasso. Quando si formano gruppi costituiti da numerose cellule adipose si
parla di tessuto adiposo. Esistono però due tipi distinti di cellula adiposa che formano così due tipi
di tessuto adiposo: il tessuto adiposo bianco e il tessuto adiposo bruno. La cellula adiposa bianca è
detta uniloculare, ha forma rotondeggiante quando isolata o poligonale se associata ad altri
adipociti, con un diametro oscillante intorno ai 100μm. Queste cellule possiedono un’unica goccia
lipidica priva di membrana che occupa la maggior parte della cellula, confinando il citoplasma in
un sottile anello periferico contenente tutti gli organuli (principalmente il reticolo endoplasmatico
liscio e mitocondri). Il nucleo è schiacciato in periferia, talvolta è sporgente conferendo alla cellula
l’aspetto di un anello con castone (ivi pag. 117 fig. 6-6). La funzione principale del tessuto adiposo
bianco è quella metabolica favorendo l’accumulo di lipidi (lipogenesi) e la loro mobilizzazione
(lipolisi con l’energia liberata a formare ATP). La lipolisi è controllata da stimoli ormonali e dalle
catecolamine. Il tessuto adiposo bianco può svolgere anche funzione coibente, di sostegno (grasso
retroorbitale), di protezione (cuscinetti plantari e grasso nelle natiche, grasso perirenale), estetica
con diversa localizzazione del pannicolo adiposo su base sessuale (fianchi, cosce e regione
mammaria nella donna, addome nell’uomo).
L’altra tipo cellulare è rappresentato dalla cellula adiposa bruna o multiloculare
particolarmente presente in alcuni tipi di animali ibernanti mentre nell’uomo è presente durante
la vita fetale, ed è quasi assente nell’età adulta. Il termine bruno è legato sia alla ricca rete
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vascolare (presente comunque anche in quello bianco) sia all’elevato numero di mitocondri,
nonché alla presenza di parecchie goccioline lipidiche nel citoplasma. A causa di ciò il nucleo
manterrà la sua classica posizione centrale o eccentrica. Nelle cellule adipose brune la lipolisi non
esita nella formazione di molecole di ATP, in quanto queste cellule presentano modificazioni
strutturali e funzionali a livello mitocondriale. L’energia così prodotta viene dissipata sotto forma
di calore. Il calore viene rilasciato al sangue circolante permettendo un innalzamento graduale
della temperatura corporea che negli animali in letargo permetterà il risveglio, mentre nell’uomo,
durante il periodo neonatale, a compensare la perdita di calore legata ad un rapporto tra
superficie corporea e massa corporea che, al momento della nascita, è molto elevato. Il tessuto
adiposo bruno, infatti, diminuisce progressivamente fino a ridurre, entro i primi dieci anni di età, la
propria presenza ad alcune sedi come quella perirenale o quella in prossimità delle ghiandole
surrenali.
Per evidenziare istologicamente il tessuto adiposo è necessario utilizzare coloranti specifici
liposolubili dopo l’applicazione di tecniche che permettano la conservazione dei grassi. I coloranti
di norma utilizzati sono OsO4 che colora in nero, il Sudan nero o il Sudan rosso.
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LA CARTILAGINE
La cartilagine è un tessuto connettivo specializzato con funzione principale di sostegno. È
costituita da cellule, i condrociti, immerse in una sostanza intercellulare compatta costituita da
fibre e da una matrice amorfa in fase gel. La cartilagine non è né innervata né vascolarizzata.
L’assenza di vascolarizzazione assieme alla alta viscosità della matrice extracellulare rende
difficoltosa la penetrazione e la diffusione di anticorpi contribuendo così allo scarso potere
antigenico del tessuto, favorendo notevolmente l’allotrapianto*. La cartilagine costituisce lo
scheletro fetale che, durante lo sviluppo è sostituita quasi completamente da tessuto osseo. Si
descrivono tre tipi di cartilagine: ialina, fibrosa, elastica. È rivestita da tessuto connettivo denso
vascolarizzato, il pericondrio, che però manca sia nella cartilagine ialina articolare detta anche di
incrostazione, sia nella cartilagine fibrosa.
Il pericondrio è costituito da due strati, uno più esterno che funge da capsula di rivestimento
formato da connettivo fibrillare denso ed uno più interno formato da cellule contenute nelle
maglie di connettivo reticolare. Queste cellule sono dette condrogeniche in quanto, capaci di
dividersi, sono in grado di dare origine, differenziandosi, a nuove cellule cartilaginee. I vasi
sanguigni raggiungono il pericondrio dove capillarizzano senza penetrare all’interno della
cartilagine.
Cartilagine ialina. La cartilagine ialina deve il suo nome all’aspetto vitreo traslucido
osservabile nel tessuto fresco; è il tipo di cartilagine più diffuso nell’organismo. Nell’adulto si trova
in sedi come le articolazioni sterno-costali, le superfici articolari delle ossa, le cartilagini di
accrescimento delle ossa lunghe, gli anelli tracheali, i grossi bronchi, il naso e parte delle cartilagini
laringee; inoltre costituisce lo scheletro fetale che sarà sostituito gradualmente e quasi
completamente da tessuto osseo durante lo sviluppo. La matrice della cartilagine è un gel denso,
ma non presenta mineralizzazione come il tessuto osseo e perciò consente il passaggio di materiali
trofici: infatti la sua nutrizione avviene per diffusione di sostanze dai vasi che si trovano alla
periferia della cartilagine stessa.
Struttura della cartilagine ialina. Le cellule cartilaginee sono denominate condroblasti e
condrociti; i condroblasti possiedono numerosi mitocondri, un REG molto sviluppato, numerosi
ribosomi liberi, un ampio complesso di Golgi, numerose granuli di glicogeno e hanno un
citoplasma intensamente basofilo; i condrociti, viceversa, hanno gli stessi organuli ma in numero e
dimensioni ridotte con un citoplasma scarsamente basofilo. Le cellule che si trovano alla periferia
*
Trapianto di tessuto fra individui della stessa specie ma con genotipi differenti
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del tessuto sono generalmente isolate e di aspetto fusiforme; le altre, quelle localizzate nella parte
più interna del tessuto e disposte in piccoli gruppi detti gruppi isogeni ( composti da 2 - 5 cellule),
assumono una forma rotondeggiante; le cellule sono accolte in piccole escavazioni della matrice
denominate lacune cartilaginee (ivi pag. 133 fig. 7-2). Le cellule della cartilagine elaborano la
matrice extracellulare nelle sue due componenti: la sostanza amorfa e le fibre; la prima
componente fornisce elasticità al tessuto, le seconde resistenza alla trazione. La matrice
extracellulare è in fase gel compatta ed ha un aspetto omogeneo quando è osservata al
microscopio ottico; la sostanza intercellulare amorfa è costituita da glicosaminoglicani,
proteoglicani e glicoproteine. La notevole presenza di GAG determina l’elevato grado di
idratazione della matrice.
La sostanza amorfa presenta tipicamente il proteoglicano aggregano costituito dall’asse
proteico sul quale si inseriscono i tre GAG solforati della cartilagine: il condroitin-4-solfato, il
condroitin-6-solfato ed il cheratan-solfato; altri proteoglicani sono il biglicano e la decorina.
L’aggregato proteoglicanico è costituito da un asse di acido ialuronico o di tropocollagene su cui si
legano gli aggrecani con la costituzione di reti tridimensionali enormi e notevolmente complesse.
Le glicoproteine presenti nella cartilagine sono le principali responsabili della PAS+; tra le
diverse glicoproteine ricordiamo la condronectina che si comporta da trasduttore di segnale
trasmettendo ai condrociti segnali sulle forze pressorie applicate al tessuto permettendo così alle
cellule di modificare ad hoc l’attività metabolica.
La fibra collagena è costituita tipicamente da molecole di collagene di tipo II. Queste fibre
non sono visibili al microscopio ottico sia perché non si aggregano in fasci come avviene nel
tessuto connettivo fibrillare propriamente detto, sia perché hanno un indice di rifrazione simile a
quello della sostanza amorfa. Queste fibre non sono disposte casualmente, ma sono orientate
generalmente secondo le linee di forza derivate dai carichi esercitati. La distribuzione delle fibre e
della sostanza amorfa differisce da zona a zona; per questo nella cartilagine si distinguono: la
matrice territoriale, prossima alle lacune cartilaginee e la matrice interterritoriale più lontana dalle
cellule e interposta fra i gruppi isogeni. La prima presenta maggiore abbondanza di sostanza
amorfa per cui risulta basofila, metacromatica e PAS+; la seconda è più ricca di fibre collagene e
quindi non reagisce alla metodica PAS (PAS-), non è metacromatica, è acidofila quindi si colora con
eosina.
La cartilagine di incrostazione riveste le ossa a livello delle articolazioni mobili (diartrosi) per
favorire lo scorrimento delle superfici ossee; in questo caso, per la mancanza del pericondrio, le
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sostanze trofiche sono veicolate dal liquido sinoviale (o sinovia) che ha anche proprietà
lubrificanti. La sinovia riempie la cavità articolare ed è prodotta dalle cellule B della membrana
sinoviale che si stratifica sulla faccia interna della capsula articolare. Il liquido articolare contiene
costituenti del plasma filtrati in differenti concentrazioni: elettroliti, acido urico, glucosio e inoltre
l’acido jaluronico sintetizzato dalle stesse cellule, essenziale per la sua funzione lubrificante. La sua
concentrazione influisce sulla viscosità della sinovia. Il liquido sinoviale in condizioni normali è
giallo chiaro ed è limpido; nei versamenti articolari di natura infiammatoria, in seguito ad un
aumento delle cellule e alla presenza di fibrina, diventa torbida. Le cellule B hanno una membrana
plasmatica con numerosi microvilli, un citoplasma ricco di vescicole di micropinocitosi, numerosi
mitocondri, un ampio Golgi e pochi ribosomi. Le cellule A della sinovia, invece, appartengono alla
famiglia dei macrofagi e hanno il compito di mantenere deterso il liquido sinoviale fagocitando
eventuali detriti tissutali o di collaborare ai processi difensivi in caso di infiammazione
dell’articolazione.
In base alla organizzazione e al contenuto di fibrille collagene e componente amorfa della matrice
si possono distinguere nell’ambito della cartilagine articolare quattro strati:
1 strato superficiale, 2 strato intermedio, 3 strato profondo, 4 strato di cartilagine calcificata.
La cartilagine articolare è stata suddivisa in quattro zone a seconda della dell'allineamento delle
fibre di collagene, che conferiscono ad ogni specifica zona determinati vantaggi biomeccanici.
Lo strato superficiale (o tangenziale) presenta la maggiore quantità di fibrille collagene (80% del
peso secco) e la minore quantità di PG. Le fibrille sono di piccolo calibro e orientate
tangenzialmente alla superficie articolare. Ciò consente una maggiore resistenza alle forze
esercitate durante il movimento articolare. Nello strato intermedio è presente una diminuzione
netta delle fibrille collagene caratterizzate da un diametro maggiore e una disposizione spaziale
priva
di
orientamento
preferenziale.
Alla
diminuzione numerica delle fibre corrisponde un
marcato aumento dei PG. Questo spiccato aumento
dei proteoglicani si spiega con il fatto che il gran
Aumenta la densità di carica con conseguente
incremento della forza repulsiva
numero di gruppi anionici tenta di controbilanciare le
forze di tipo compressivo per un fenomeno di
repulsione di cariche uguali. Negli ultimi due strati, quello profondo (o radiale) e quello della
cartilagine calcificata, la concentrazione dei PG raggiunge i massimi livelli. Le fibrille sono disposte
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perpendicolarmente alla superficie dell’osso sottostante e vi si inseriscono. Questa particolare
disposizione permette una distribuzione uniforme dei carichi per una maggiore resistenza. Il
tidemark (trad.: linea di marea) è quella linea ad andamento ondulato che separa la cartilagine
non calcificata da quella calcificata. Si pensa rappresenti il fronte di calcificazione.
Altri tipi di cartilagine. La cartilagine fibrosa e quella elastica sono varianti della ialina nelle
quali si ha rispettivamente una prevalenza di fibre collagene o di fibre elastiche. La cartilagine
fibrosa o fibrocartilagine si ritrova in vicinanza dei tendini e delle inserzioni dei ligamenti, nei dischi
intervertebrali e nelle sinfisi, nei menischi del ginocchio e nei dischi articolari delle articolazioni
sterno-clavicolari e temporo-mandibolari. Assomiglia al connettivo fibrillare denso, ma al posto dei
fibroblasti contiene i condrociti. È priva di pericondrio. La componente amorfa della matrice è
scarsa, mentre la componente fibrillare è costituita da fasci di fibre collagene di tipo I (ivi pag. 136
fig. 7-4).
La cartilagine elastica si trova a livello delle cartilagini laringee, dell’epiglottide e a livello del
padiglione auricolare. Se osservata a fresco ha un colorito giallastro per la ricchezza di fibre
elastiche che possono essere colorate con i coloranti tipici del tessuto elastico: orceina e fucsinaresorcina (ivi pag. 135 fig. 7-3).
Accrescimento della cartilagine. Deriva dal tessuto embrionale mesenchima (costituito da
cellule stellate sparse in matrice priva di fibre); alcune cellule mesenchimali si avvicinano fra loro e
si moltiplicano; gradualmente i prolungamenti di questi cellule vengono ritratti in modo che si
possano avvicinare ulteriormente ed assumere l’aspetto di cellule epiteliali (aspetto similepitelioide). Si forma così il primo nucleo di formazione della cartilagine: il blastema protocondrale
costituito da cellule molto addossate e con poca matrice intercellulare frapposta.
Nell’accrescimento interstiziale le cellule iniziano a differenziarsi e contemporaneamente
continuano a dividersi: da cellule mesenchimali che producono matrice fluida e priva di fibre
diventano cellule cartilaginee che producono matrice in fase di gel; nel frattempo la matrice
diventa sempre più densa e così le nuove cellule che si originano per successive divisioni non
possono più allontanarsi e rimangono intrappolati nelle lacune a formare dei piccoli gruppi
(definiti isogeni perché generati da una stessa cellula). Quasi contemporaneamente alla periferia
del blastema si differenzia il pericondrio: nella sua parte esterna si forma una capsula fibrosa, in
quella interna si dispone una fila di cellule parzialmente indifferenziate (condrogeniche) sostenute
da fibre reticolari; queste cellule si moltiplicano con un piano di segmentazione parallelo alla
superficie del blastema: in questo modo le cellule si pongono l’una sull’altra fino a che non
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cominciano a dividersi secondo piani di segmentazione orientati diversamente (accrescimento per
apposizione).
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TESSUTO OSSEO
Il tessuto osseo è un particolare tessuto connettivo in quanto è mineralizzato. Questo fatto gli
conferisce la particolare caratteristica di essere un tessuto resistente ma con un certo grado di
flessibilità e leggerezza. La mineralizzazione conferisce impermeabilità alla matrice extracellulare
che non potrà quindi essere attraversata da liquidi tissutali. Il tessuto osseo ha diverse funzioni:
1. sostegno (lo scheletro mantiene la posizione retta);
2. protezione (es: scatola cranica per l’encefalo, gabbia toracica per cuore, polmoni e grossi vasi);
3. movimento (sulle ossa si inseriscono i muscoli la cui contrazione è regolata dal sistema
nervoso);
4. metabolismo del calcio e del fosforo (il tessuto osseo dispone di grandi quantità di Ca e P; non
è però un deposito stabile: a dispetto della sua apparente staticità, è un tessuto in continuo
rimodellamento che produce movimento di ioni);
5. emopoiesi: (da cellule emopoietiche del midollo osseo prendono origine le cellule del sangue).
La composizione del tessuto osseo è la seguente:
- 65% di sali di Ca sotto forma di cristalli di idrossiapatite,
- 23% di proteine collageniche,
- 2% di proteine non collageniche,
- 10% di acqua.
Il tessuto osseo può formare due tipi diversi di osso, cioè si organizza in modo da costituire:
•
osso compatto (ad occhio nudo non sono visibili delle cavità)
•
osso spugnoso, (ad occhio nudo sono visibili delle cavità)
In questi tipi è diversa la struttura ma l’organizzazione del tessuto osseo è uguale: in entrambi
esiste una organizzazione lamellare. L’organizzazione non lamellare è presente nelle prime fasi di
formazione e di riparazione dell’osso, nei punti di inserzione dei tendini, nell’osso alveolare;
altrimenti l’osso è sempre di tipo lamellare.
Le ossa si possono classificare in ossa lunghe, ossa brevi o corte, ossa piatte.
Le ossa lunghe (es. il femore) presentano un segmento centrale (diafisi) e due estremità
(epifisi); la diafisi è costituita da osso compatto che forma una parete che delimita la cavità
midollare; le epifisi sono costituite da osso spugnoso rivestito da una lamina di osso compatto.
L’osso spugnoso presenta delle cavità comunicanti tra loro e comunicanti anche con la cavità
midollare della diafisi, l’osso compatto della diafisi si continua con l’osso compatto che riveste le
epifisi.
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Le ossa corte (es. il corpo vertebrale) hanno una struttura sovrapponibile a quella delle epifisi
delle ossa lunghe: è costituito da osso spugnoso rivestito da una lamina di osso compatto.
Le ossa piatte (es: lo sterno) sono costituite da due strati, uno esterno ed uno interno di osso
compatto e da una parte centrale di osso spugnoso. Nelle ossa piatte del cranio gli strati compatti
sono definiti tavolato esterno ed interno, mentre la parte centrale spugnosa è detta diploe.
Struttura dell’osso compatto. Analizzando una sezione trasversale di diafisi è possibile
osservare una parete ossea che delimita uno spazio: il canale midollare; nell’ambito della parete si
possono distinguere, partendo dall’esterno:
1) il periostio con una componente esterna ed una interna: l’esterna è formata da una robusta
rete di fibre collagene che costituiscono un connettivo fibrillare denso a fasci intrecciati a funzione
protettiva; nella parte interna è presente uno strato singolo di cellule osteocondrogeniche
supportate da fibre reticolari. Il periostio è ancorato all’osso sottostante da una serie di fasci di
fibre collagene miste a poche fibre elastiche che si inseriscono ortogonalmente nei primi strati
dell’osso. Questi fasci sono definiti come fibre perforanti di Sharpey. Il periostio è attraversato da
vasi sanguigni che penetrano all’interno dell’osso (la ricca vascolarizzazione è necessaria per
ovviare al fatto che la matrice calcificata è completamente impermeabile)∗.
2) Il sistema circonferenziale esterno: il tessuto osseo presenta 5-7 lamelle concentriche al
canale midollare.
3) Il sistema degli osteoni: l’osteone è l’elemento base costituente l’osso compatto ed ha una
forma grossolanamente cilindrica con asse maggiore parallelo a quello della diafisi; è costituito da
un numero variabile di lamelle che sono concentriche al canale di Havers (canale tappezzato da
endostio) delimitandolo; i bordi degli osteoni sono segnati da lamine rifrangenti dette linee
cementanti; gli spazi tra gli osteoni sono occupati da tessuto osseo anch’esso organizzato in
lamelle a costituire la breccia o sistema interstiziale; la breccia è costituita da vecchi osteoni in fase
di riassorbimento. Gli osteoni non sono isolati ma sono in rapporto con gli osteoni adiacenti
tramite dei canali a decorso longitudinale che mettono in comunicazione i canali di Havers tra loro
e con l’esterno: i canali di Volkmann (anch’essi tappezzati da endostio).
4) All’interno del sistema degli osteoni sono presenti 2, 3 file di lamelle concentriche al canale
midollare che costituiscono il sistema circonferenziale interno.
∗
Nell’osso spugnoso la ricca vascolarizzazione manca perché sono presenti delle cavità comunicanti tra loro entro le quali i liquidi interstiziali possono scorrere.
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5) A delimitare internamente la parete c’è l’endostio costituito da cellule osteocondrogeniche∗
sostenute da fibre reticolari. L’endostio riveste anche tutte la cavità interne dell’osso (con
eccezione delle lacune ossee, dove sono accolte le cellule ossee, e dei canalicoli, occupati dai
prolungamenti di queste cellule).
Il tessuto osseo, per la sua natura di tessuto mineralizzato e quindi di difficile sezionamento,
necessita per l’allestimento di preparati istologici alcune varianti alle metodiche istologiche usuali.
Il tessuto osseo può essere osservato in toto, preservando le due componenti organica ed
inorganica e dopo sezionamento con lame adeguate tipo quelle di diamante. le sezioni ottenute
possono essere colorate ed osservate al microscopio ottico. Generalmente però si preferisce
allestire preparati che hanno conservato solo una delle due componenti della matrice. Per
ottenere un campione di tessuto osseo con la sola componente organica si procede ad eliminare
quella inorganica con il metodo della decalcificazione con acidi deboli o con agenti chelanti il
calcio. Così decalcificato il campione di tessuto osseo può essere ulteriormente trattato come un
qualsiasi tessuto molle (ivi pag. 145 fig. 7-12). Per studiare la componente inorganica si
allestiscono campioni con il metodo per usura. Il campione è immerso in acqua per la macerazione
della componente organica. In seguito l’osso è lavorato con sostanze abrasive per ridurre lo
spessore del campione per renderlo attraversabile dal fascio luminoso del microscopio (ivi pag.
145 fig. 7-11).
Architettura del tessuto osseo. Il tessuto osseo lamellare è caratterizzato dalla disposizione in
strati delle cellule e delle fibre. Questi strati che si sovrappongono sono detti lamelle. Nel tessuto
osseo lamellare l’aggregazione delle molecole di tropocollagene si arresta all’assemblaggio in
microfibrille. Le microfibrille collagene possiedono la peculiarità di apparire birifrangenti alla luce
polarizzata. Ciò ha contribuito alla spiegazione della osservazione (al microscopio ottico a luce
polarizzata) di lamelle luminose o birifrangenti alternate a lamelle scure o monorifrangenti. La
spiegazione che veniva data (secondo la teoria di Gebhardt) a questo fenomeno era che le
microfibrille di una lamella avessero un decorso parallelo fra loro, e che nella lamella successiva le
microfibrille fossero sempre parallele fra loro ma disposte ortogonalmente a quelle della lamella
precedente. Queste osservazioni erano interpretate ipotizzando una disposizione delle
microfibrille parallela al piano della sezione nelle lamelle birifrangenti (chiare o luminose) e una
disposizione perpendicolare al piano della sezione nelle lamelle monorifrangenti (scure). Questa
disposizione ortogonale delle microfibrille era interpretata come un sistema per aumentare la
∗
La cellula osteocondrogenica è una cellula parzialmente indifferenziata capace di differenziarsi o in una cellula ossea oppure in una cellula della cartilagine.
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resistenza dell’osso. Le cellule infine sono accolte in lacune scavate fra le lamelle. In seguito a studi
al microscopio elettronico a scansione è stata elaborata una seconda teoria (teoria di Marotti)
circa l’architettura lamellare. Secondo questi studi, in ogni lamella le microfibrille collagene si
intrecciano variamente. Si costituiscono lamelle di spessore minore (intorno ai 3 µm), contenenti
un maggior numero di microfibrille e pochi cristalli di idrossiapatite (lamelle dense) alternate a
lamelle di maggior spessore (intorno ai 7 µm), più povere di microfibrille ma con un livello di
mineralizzazione maggiore (lamelle lasse). I corpi cellulari sono accolti in lacune all’interno di
queste ultime lamelle. Il diverso comportamento delle lamelle al microscopio ottico a luce
polarizzata è spiegato dalla quantità di microfibrille collagene, quantità che risulta sufficiente a
determinare il fenomeno della birifrangenza delle lamelle dense. Questa teoria ha il pregio di dare
una spiegazione alle caratteristiche di resistenza meccanica del tessuto osseo lamellare: le lamelle
dense più ricche di microfibrille collagene sopporterebbero principalmente forze di tipo tensivo
e/o di torsione; quelle lasse, con un grado di rigidità maggiore per la presenza di quantità superiori
di matrice inorganica, sopporterebbero meglio forze di tipo compressivo. L’alternanza dei due tipi
di lamella conferirebbe così le tipiche proprietà meccaniche di resistenza dell’osso.
Struttura dell’osso spugnoso. L’osso spugnoso è come una rete tridimensionale costituita da
trabecole o spicole ossee rivestite da endostio che delimitano spazi comunicanti fra loro e
contenenti il midollo osseo; le trabecole sono costituite da tessuto osseo lamellare, senza che,
però, si costituiscano gli osteoni. Le trabecole a loro volta non sono attraversate da vasi sanguigni.
La matrice. La matrice organica. La matrice organica è costituita da:
•
fibre
o fibre collagene di tipo I.
o fibre elastiche presenti solo a livello delle fibre perforanti di Sharpey.
o Fibre reticolari presenti a livello delle cellule osteocondrogeniche e in prossimità dei
vasi
•
proteoglicani, composti da glicosaminoglicani acidi, solitamente solforati, uniti assieme da
brevi catene proteiche.
o biglicano costituito da 2 C-4-S; è presente nella matrice mineralizzata e nell’osteoide
o decorina costituito da 1 C-4-S; è presente solo nella matrice mineralizzata.
•
glicoproteine
o Osteonectina, la più abbondante ed è dotata di affinità per il calcio. Favorisce la
mineralizzazione dell’osso.
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o Fosfatasi alcalina, un enzima che svolge un ruolo nei processi di mineralizzazione
rendendo disponibili ioni fosfato.
o Fibronectina, una molecola di adesione localizzata prevalentemente nella matrice
pericellulare. È coinvolta nei processi di migrazione, adesione alla matrice e
organizzazione delle cellule dell’osso.
o Sialoproteine, o BSP (bone sialo-proteins) glicoproteine che mediano l’adesione delle
cellule alla matrice ossea
• Osteocalcina capace di chelare il calcio e quindi è capace di inibire la mineralizzazione
bloccando l’accrescimento dei cristalli. È presente in abbondanza nel tessuto osseo maturo ed
è scarsa nel tessuto osseo in via di formazione.
La matrice inorganica. La matrice inorganica rappresenta il 65% del peso secco. esiste sotto forma
di cristalli di idrossiapatite. La componente minerale è rappresentata da cristalli di sali di calcio
(fosfato e carbonato). I cristalli occupano progressivamente lo spazio interposto tra le microfibrille
collagene e permeando le microfibrille stesse. Una volta formatisi i cristalli di apatite, la
deposizione di nuovo minerale può avvenire sia per neoformazione che per apposizione.
Le cellule. Le cellule presenti sono di 4 tipi.
•
osteocondrogeniche
•
osteoblasti
•
osteociti
•
osteoclasti
Le cellule osteocondrogeniche (osteogeniche) derivano da cellule staminali stromali (non
emopoietiche) del midollo osseo. Sono cellule che non presentano aspetti morfologici
caratteristici, hanno una forma affusolata con citoplasma scarsamente basofilo povero di organuli.
Sono localizzate nel periostio e nell’endostio e sono in grado di differenziarsi in osteoblasti prima e
in osteociti poi (ivi pag. 139 fig. 7-7a).
Gli osteoblasti sono responsabili della sintesi della matrice extracellulare sotto forma di
molecole di tropocollagene di tipo I, GAG, proteoglicani e glicoproteine; gli osteoblasti sono pure
responsabili della regolazione della mineralizzazione della matrice; sono cellule voluminose di
forma cuboidale con prolungamenti sottili e brevi; sono disposte in un’unica fila simil-epitelioide;
sono polarizzate funzionalmente; il nucleo è rotondeggiante e chiaro, il reticolo ergastoplasmatico
è molto sviluppato e la cellula presenta un ampio complesso di Golgi; gli osteoblasti sono collegati
fra loro tramite nexus (ivi pag. 139 fig. 7-7a); quando altre cellule osteoprogenitrici si differenziano
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in osteoblasti e iniziano la secrezione di matrice gli osteoblasti che si sono differenziati per primi
rimangono intrappolati nella matrice che si calcifica e si trasformano in osteociti; la matrice
deposta non ancora mineralizzata è denominata osteoide.
L’osteocita è la cellula ossea di forma appiattita, lenticolare, con asse maggiore parallelo alla
superficie ossea, inclusa nella matrice calcificata; dal corpo cellulare si dipartono numerosi
prolungamenti conferendo un aspetto stellato; è alloggiata all’interno di lacune contenente un
sottile strato di materiale glicoproteico attraverso il quale scorrono liquidi interstiziali; mantiene i
rapporti con le altre cellule mediante nexus posti al vertice dei prolungamenti, situati in canalicoli
che connettono le lacune fra loro, prolungamenti che diventano più lunghi di quelli degli
osteoblasti; l’aspetto di queste cellule diventa rapidamente come quello tipico di cellule
quiescenti: citoplasma scarsamente basofilo, numero esiguo di ribosomi, complesso di Golgi
piccolo (ivi pag. 139 fig. 7-7b) .
Gli osteoclasti hanno un precursore diverso: derivano dal monocita del sangue; l’osteoclasta è
destinato al rimodellamento osseo. Sono cellule grandi (Ø 20-100µm) ottenute dalla fusione di
parecchie cellule; sono presenti nel tessuto osseo solo nelle fasi di rimozione della matrice; sono
quindi cellule mobili; quando sono presenti alloggiano nelle lacune di Howship che esse stesse si
scavano; sono cellule polinucleate con decine di nuclei (anche 50), citoplasma vacuolizzato e
debolmente acidofilo, possiedono numerosi mitocondri e moltissimi lisosomi; sono cellule
polarizzate funzionalmente; al momento del riassorbimento in corrispondenza della matrice ossea
da riassorbire presenta una membrana plasmatica segnata da numerose, profonde ed irregolari
invaginazioni (ruffled border) (ivi pag. 141 fig. 7-8). L’osteoclasta aderisce alla matrice sigillando
una zona dove si avrà l’azione erosiva; questo spazio viene acidificato attraverso l’accumulo di
idrogenioni dovuto all’azione di una pompa protonica ATPasi-dipendente; questi idrogenioni sono
formati dall’osteoclasta attraverso l’azione catalitica dell’enzima anidrasi carbonica che permette
la sintesi di acido carbonico a partire da H2O e CO2; l’acido carbonico immediatamente si scinde in
ioni H+ e ioni H3CO4-; gli idrogenioni sono così disponibili per essere concentrati nell’ambiente
extracellulare dalla pompa protonica. L’ambiente acido permette la dissoluzione dei cristalli di
idrossiapatite; gli enzimi lisosomiali, attivati dal pH acido possono così degradare la matrice
organica (ivi pag. 142 fig. 7-9).
Regolazione
deposito/riassorbimento
del
tessuto
osseo.
I
meccanismi
di
deposito/riassorbimento sono molto importanti perché influiscono sensibilmente sulle
concentrazioni ematiche del Ca++. Il meccanismo principale di regolazione è quello ormonale; gli
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ormoni che influiscono sul metabolismo del calcio sono diversi, ma i principali sono il paratormone
e la calcitonina. Il paratormone (PTH) è prodotto dalle paratiroidi; favorisce il rilascio di Ca++ dal
tessuto osseo e ha quindi funzione ipercalcemizzante (aumenta i livelli di Ca++ nel sangue). La
calcitonina è un ormone ipocalcemizzante perché favorisce il deposito di Ca++ nelle ossa. La
calcitonina è prodotta dalle cellule C o parafollicolari della tiroide.
Il PTH agisce sull’osteoblasta stimolandolo a produrre tre sostanze:
-
il fattore stimolante gli osteoclasti (M-CSF)
-
la procollagenasi
-
l’attivatore del plasminogeno
La procollagenasi è la forma inattiva della collagenasi; l’attivatore del plasminogeno agisce sul
plasminogeno (proteina del sangue) e lo
trasforma in plasmina che è un enzima
proteolitico. La plasmina agisce sulla
procollagenasi e la trasforma in collagenasi
(rendendola attiva). Il collagene si trova
nell’osteoide ed impedisce l’azione degli
osteoclasti.
La
collagenasi
che
depolimerizza l’osteoide più il fattore solubile stimolante degli osteoclasti
(M-CSF) sono gli elementi che producono le attivazioni degli osteoclasti
che iniziano la loro funzione.
La calcitonina agisce sugli osteoclasti inibendone l’azione (sopprime
l’assorbimento) e impedisce la formazione di nuovi osteoclasti.
Altri fattori che possono influenzare i livelli di calcemia.
• GH (ormone della crescita) stimola la crescita ed il metabolismo dei condrociti della
cartilagine proliferante, promuovendo l’accrescimento delle ossa.
• T3 e T4 (ormoni tiroidei) stimolano la deposizione e la maturazione dell’osso.
• estrogeni e testosterone promuovono il turn-over dell’osso. Gli estrogeni stimolano la
proliferazione degli osteoblasti per cui dopo la menopausa, si ha una progressiva riduzione
della massa ossea con osteoporosi.
• la vitamina D è una vitamina liposolubile che sull’osso promuove la differenziazione degli
osteoblasti stimolando la produzione di matrice ossea e la deposizione di calcio nelle ossa; a
livello intestinale promuove l’assorbimento di Ca++, mentre nel rene inibisce l’escrezione
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Ca++. Una carenza di vitamina D porta a una difettosa mineralizzazione delle ossa che
tendono a deformarsi sotto il carico meccanico: questa condizione clinica è nota come
rachitismo quando insorge durante l’accrescimento e come osteomalacia quando insorge
durante la vita adulta.
• la vitamina A, vitamina liposolubile, interagisce con la vitamina D.
A margine ricordiamo che la vitamina C, vitamina idrosolubile, agisce come coenzima per la
sintesi del collagene. Deficit gravi di vitamina C come si ha nello scòrbuto, portano a produzione
insufficiente di collagene con conseguente ritardo nella crescita e difficoltà nella riparazione delle
fratture.
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SANGUE
Il sangue è un tipo particolare di tessuto connettivo costituito da una parte corpuscolata
(globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e da una parte liquida (plasma) che rappresenta la
componente extracellulare. Si presenta come un liquido di colore rosso che circola in un sistema di
canali chiusi (vasi sanguigni) spinto da un organo propulsore (il cuore). Un organismo adulto
contiene circa 5-6 litri di sangue che corrisponde circa al 7% del peso corporeo. Il sangue ha una
ELEMENTI DEL SANGUE
ERITROCITI
4.500.000 – 5.500.000/mm3
LEUCOCITI
5.000 – 9.000/mm3
PIASTRINE
200.000 – 300.000/mm3
viscosità circa 5 volte quella dell’acqua, peso
specifico di 1041-1062 (a seconda del numero
degli elementi figurati e del contenuto in
proteine del plasma, pH 7,3 leggermente
alcalino. Il contenuto in elettroliti determina la
pressione osmotica mentre il contenuto proteico determina la pressione oncotica (o colloidoosmotica).
Le funzioni del sangue sono molteplici:
1) trasporto (di gas come O2 e CO2 per mezzo dei globuli rossi,
di sostanze nutritizie dall’intestino al fegato e da qui ai varî tessuti,
ormoni, fattori di crescita, elettroliti oppure cataboliti agli organi
emuntori),
2) termoregolazione,
3) mantenimento equilibrio acido-base,
4) mantenimento delle pressione osmotica ed oncotica,
5) migrazione globuli bianchi,
6) emostasi.
Il Plasma. Se centrifughiamo in una provetta un campione di sangue reso incoagulabile
aggiungendo eparina o Na citrato o EDTA (ac. Etilendiamminotetraacetico) possiamo separare la
parte corpuscolata, che si deposita sul fondo, dalla parte liquida∗. Nel dettaglio la parte
corpuscolata costituita dai globuli rossi presenterà al suo bordo superiore un sottile anello
biancastro detto “buffy coat” in cui sono presenti i globuli bianchi e le piastrine; la parte liquida
soprastante è il plasma. È possibile valutare il volume percentuale del plasma (55%) e della parte
corpuscolata (45%). Questo ultimo valore percentuale rappresenta l’ematocrito**. Il plasma ha un
∗
L’eparina disattiva i fattori plasmatici della coagulazione, Na citrato ed EDTA legano ioni Ca++ impedendo l’attivazione della coagulazione
Oscillazioni fisiologiche sono contenute in un range del 15% circa
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**
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pH di 7,3, un peso specifico di 1027-1030, un colore giallo citrino. È costituito da acqua (90%),
proteine (albumine, globuline e fibrinogeno), ormoni, vitamine, lipidi, glucosio, sostanze
inorganiche (Na+, Cl-, K+, Ca++, HCO3-)e dai prodotti del catabolismo. L’albumina è la proteine più
abbondante ed è necessaria per il mantenimento della pressione oncotica (colloido-osmotica)
all’interno dei vasi sanguigni∗. Le globuline possono essere caratterizzate mediante elettroforesi in
α-, β-, e γ-globuline. Le α- e le β-globuline sono proteine principalmente coinvolte nel trasporto di
ormoni, lipidi e ioni metallici (rame, ferro); le γ-globuline corrispondono agli anticorpi. Il
fibrinogeno, assieme ad altre proteine correlate, concorre ai fenomeni della coagulazione. Altre
proteine sono quelle del sistema del complemento (appartengono anch’esse alle β-globuline) che
svolgono un ruolo nei meccanismi di difesa contro le infezioni. Se non aggiungiamo un
anticoagulante al sangue in provetta, il fibrinogeno viene convertito a fibrina nel processo della
coagulazione intrappolando tutta la parte corpuscolata. Resta un liquido detto siero.
La parte corpuscolata. I globuli rossi. I globuli rossi o eritrociti o emazie sono gli elementi
corpuscolati del sangue più numerosi. Il sangue umano contiene circa 4,5 milioni/mm3 di GR nella
donna e 5,5 milioni/mm3 di GR nell’uomo. Gli eritrociti hanno un ciclo vitale di circa 120gg. La loro
funzione è quella di trasporto dei gas (ossigeno ed anidride carbonica). Sono cellule anucleate, a
forma di lente biconcava, con un diametro maggiore di 7.5-8µm, per ampliare la superficie e
facilitare gli scambi gassosi. All’interno dell’eritrocita è presente l’emoglobina (Hb), una
cromoproteina contenente ferro, che si lega reversibilmente all’O2. Viceversa, per il trasporto della
CO2 questa è trasportata dall’eritrocita solo in piccola parte, poiché essa viene soprattutto
veicolata nel plasma come HCO3-.
Negli strisci di sangue con le usuali metodiche di colorazione gli eritrociti si colorano in rosa
per l’affinità dell’emoglobina per l’eosina. Al microscopio ottico si vede una parte periferica più
scura e una centrale più chiara ed il fatto è legato alla loro forma a lente biconcava. Una
diminuzione del numero dei globuli rossi e/o dell’emoglobina è definita anemia; un aumento degli
eritrociti policitemia. Gli eritrociti presentano sulla membrana dei residui di acido sialico che li
caricano negativamente. Questo contribuisce ad impedire la conglutinazione fra emazie
soprattutto in quei distretti dove la velocità di circolazione è fortemente rallentata e il calibro dei
vasi è molto piccolo come nei capillari.
∗
La parte liquida del sangue può passare nei tessuti a costituire i liquidi interstiziali, ma non le grosse molecole come l’ albumina che assicura il mantenimento all’interno
dei vasi del volume ematico. Una carenza di albumina, come si ha nella cirrosi epatica, porta ad un eccessiva quantità di liquidi interstiziali con la formazione di
versamenti ed ascite.
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Alcune glicoproteine di membrana, presenti su base ereditaria, costituiscono degli antigeni
con cui è possibile suddividere gli individui nei varî gruppi sanguigni (o sistemi gruppoematici).
Nell'ambito del sistema AB0 i geni sono tre: il gene A e il gene B che codificano per i rispettivi
GRUPPO
ANTIGENI DI
ANTICORPI
antigeni di membrana, il gene 0 (zero) che non
MEMBRANA
NATURALI
codifica per alcun antigene. Ogni individuo ha due
GENOTIPO
A
A/A A/0
A
anti-B
B
B/B B/0
B
anti-A
AB
A/B
A B
-
madre. Nel singolo individuo si ha una delle
0
0/0
-
anti-A anti-B
seguenti combinazioni genotipiche: A/A, A/0, B/B,
di questi geni, uno ricevuto dal padre ed uno dalla
B/0, 0/0, A/B. Poiché il gene A il gene B sono codominanti fra loro e dominanti sul gene 0, i
soggetti con genotipo A/0 e B/0 fenotipicamente apparterranno al gruppo A e al gruppo B
rispettivamente mentre l’individuo con genotipo A/B avrà il fenotipo AB. Gli individui che mancano
dell'antigene A presentano nel plasma l'anticorpo naturale (detto in questo caso agglutinina) antiGRUPPO
A
B
AB
0
DONATORE VERSO
A, AB
B, AB
AB
TUTTI
RICEVENTE DA
A, 0
B, 0
TUTTI
0
A, mentre quelli mancanti dell'antigene B
presentano l'anticorpo anti-B. Non possono
essere trasfusi gli eritrociti con uno specifico
antigene ad un soggetto che possegga i
corrispondenti anticorpi, per la possibilità che si sviluppi una reazione emolitica.
Altri sistemi gruppoematici. Sono state finora studiate oltre 600 sostanze con caratteristiche
antigeniche.
Sistema Rh. Importante per associazione con reazioni emolitiche e di poter essere alla base
GRUPPO
A+
AB+
BAB+
AB0+
0-
DONATORE VERSO
A+, AB+
A+, A-, AB+, ABB+, AB+
B+, B-, AB+, ABAB+
AB+, ABA+, B+, AB+, 0+
TUTTI
RICEVENTE DA
A+, A-, 0+, 0A-, 0B+, B-, 0+, 0B-, 0TUTTI
A-, B-, AB-, 00+, 00-
della malattia emolitica neonatale (MEN). Il
sistema Rh prevede principalmente due geni:
D (leggi d grande)e d (leggi d piccolo); il gene
D è dominante sul gene d. Il portatore del
gene D è capace di codificare l’antigene D.
Esiste così la possibilità di avere tre
combinazioni geniche: D/D, D/d e d/d; i primi due
(capaci di esprimere l’antigene D) sono Rh+ (uno
omozigote l'altro eterozigote) mentre il terzo è Rh-.
Un individuo Rh+ può donare il suo sangue solo ad
individui Rh+ e ricevere sia da Rh+ che Rh-, mentre
un individuo Rh- può donare indistintamente sia a
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soggetti Rh+ che Rh-, ma può ricevere solamente da soggetti Rh-. Per quanto riguarda la MEN nelle
donne Rh-, durante gli ultimi periodi della prima gravidanza, gli eritrociti fetali dell’ipotetico
nascituro Rh+ possono passare nel sangue materno causando una immunizzazione con produzione
di anticorpi anti-Rh senza però causare problemi. Durante una eventuale successiva gravidanza
con feto Rh+, una modesta quantità di eritrociti fetali Rh+ può passare di nuovo nel sangue
materno e, poiché la madre era stata già immunizzata durante la prima gravidanza, causano la
formazione di anticorpi anti-Rh in quantità maggiore; questi anticorpi, passando a loro volta nel
circolo fetale superando la barriera placentare e trovando eritrociti Rh+, ne provocano la
distruzione determinando la MEN da incompatibilità Rh. La prevenzione si attua attraverso la
somministrazione alla madre di anticorpi anti-D che si legano agli eritrociti fetali passati nel circolo
materno, eritrociti che potranno essere distrutti nella milza.
Sistema P. Ha importanza solo in soggetti che contraggono la sifilide. Il treponema è in grado
di stimolare la formazione di immunoglobuline che si legano agli antigeni P causando a basse
temperature emoglobinuria parossistica a frìgore.
Sistema MNSs. Gli antigeni MN e Ss stimolano la formazione di anticorpi. Ig anti-S si
sviluppano in seguito a trasfusioni ripetute o dopo gravidanza.
I globuli bianchi. I globuli bianchi, o leucociti, così chiamati per assenza di pigmenti, sono
responsabili della difesa dell’organismo attraverso l’immunità naturale o aspecifica (granulociti e
monociti) e l’immunità specifica (linfociti). Sono prodotti dagli organi emopoietici e immessi nel
torrente circolatorio. Il loro numero è di 5000-7000 (6000-9000)/mm3; un aumento è detto
leucocitosi, una diminuzione leucopenia. In base a caratteristiche
FORMULA LEUCOCITARIA
morfo-funzionali possiamo distinguere i granulociti, i linfociti e i
GR. NEUTROFILI
50-70%
monociti. A loro volta i granulociti sono suddivisi secondo il tipo di
GR. EOSINOFILI
2-3%
affinità tintoriale dei granuli in neutrofili, eosinofili e basofili. I varî tipi
di leucociti sono presenti in percentuali diverse ma costanti. Queste
percentuali sono rappresentate dalla formula leucocitaria. Le
GR. BASOFILI
0,1-1%
LINFOCITI
20-30%
MONOCITI
3-8%
eventuali variazioni che si possono instaurare durante i processi
patologici rendono ragione dell’importanza diagnostica del conteggio totale di queste cellule così
come la valutazione dei diversi citotipi.
Granulociti neutrofili. Sono cellule rotondeggianti del diametro di 12 µm. I neutrofili hanno
nuclei con diverse forme e vengono definiti polimorfonucleati (PMN). Il nucleo dei granulociti può
essere distinto in vari lobi il cui numero varia con l’età del globulo bianco. Il citoplasma è
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scarsamente evidenziabile e contiene granuli di diversa dimensione al cui interno sono presenti
enzimi litici, perossidasi e sostanze ad attività antibatterica (es.: lisozima). I neutrofili esplicano la
loro azione nei tessuti, quindi devono migrare dal sangue, esercitare la loro azione antibatterica
mediante fagocitosi e quindi degenerare formando il pus. Hanno vita breve (12-14 ore).
Granulociti eosinofili. Sono cellule che molto precocemente abbandonano il sangue per
stabilirsi nei tessuti connettivi. Ha le medesime dimensioni del granulocita neutrofilo. Il nucleo
presenta tipicamente due lobature unite da un sottile istmo di cromatina che conferisce il tipico
aspetto “a bisaccia”. Il citoplasma è ben evidente per la colorazione dei granuli con coloranti acidi
(eosina). Questi granuli contengono sostanze che agiscono nelle parassitosi, nonché istaminasi e
arilsulfatasi che degradano rispettivamente l’istamina e i leucotrieni, regolando così la risposta
innescata dai mastociti. Non ha attività fagocitaria tranne che nei confronti del complesso
antigene/anticorpo per regolare la risposta anticorpale. La loro vita è più lunga di quella dei
granulociti neutrofili (circa una settimana).
Granulociti basofili. I granulociti basofili (Ø 10μm) hanno un nucleo con 2-3 lobi scarsamente
visibile in uno striscio di sangue per la ricchezza di granuli citoplasmatici intensamente basofili. Il
contenuto dei granuli è molto simile a quello dei mastociti. La loro azione è sovrapponibile a quella
dei mastociti del TCPD. Hanno però precursori diversi.
Linfociti. Sono stati trattati fra le cellule del tessuto connettivo.
Monociti. Sono i leucociti dalle dimensioni maggiori (Ø fino a 18μm). Il nucleo ha tipicamente
la forma a ferro di cavallo, reniforme, o indentato; il citoplasma è ricco di lisosomi. Sono i
precursori delle cellule ad azione fagocitaria (macrofagi nel TC, cellule di Langerhans
nell’epidermide, di von Kuppfer nel fegato, cellule A nella sinovia, cellule della microglia nel
tessuto nervoso, ecc…), per cui dopo circa tre giorni fuoriescono dai vasi e penetrano nei tessuti
differenziandosi.
DANNO VASCOLARE
Le piastrine. Le piastrine sono
VASOCOSTRIZIONE
ADESIONE
PIASTRINICA
frammenti citoplasmatici (2-3mm) di
AGGREGAZIONE
PIASTRINICA
TROMBOPLASTINA
PIASTRINICA
PROTROMBINA
grosse cellule del midollo osseo: i
TROMBOPLASTINA
TISSUTALE
megacariociti.
Contengono
numerosi
granuli contenenti sostanze necessarie
TROMBINA
alla coagulazione e filamenti contrattili di
actina e miosina. Sono circa 300.000-
FIBRINOGENO
FIBRINA
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350.000/mm3. Hanno una vita media di 9-
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10 giorni e svolgono la loro funzione interamente nel sangue partecipando ai processi della
emostasi. Questo è un processo attraverso il quale si risolve una soluzione di continuo a carico
della parete vascolare mediante il susseguirsi di eventi che riguardano sia la parete vascolare che il
sangue. Nella sede della lesione inizialmente si assiste alla vasocostrizione; il secondo fenomeno a
cui si assiste è la adesione piastrinica alle pareti danneggiate. A questo fenomeno segue
l’aggregazione piastrinica per cui le piastrine si legano fra loro. Ciò comporta un rilascio da parte
delle piastrine di tromboplastina che assieme a quella rilasciata dalla parete vascolare trasforma
un fattore plasmatico, la protrombina, in trombina, la quale, a sua volta, trasforma il fibrinogeno in
fibrina, proteina fondamentale nella formazione del coagulo, massa gelatinosa in cui vengono
imprigionate le cellule ematiche. Infine si ha la retrazione del coagulo per la contrazione delle
piastrine.
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TESSUTO NERVOSO
Il tessuto nervoso è composto da due popolazioni eterogenee di cellule: le cellule nervose
vere e proprie o neuroni, capaci di elaborare impulsi nervosi, e le cellule della nevroglia, deputate
a funzioni di supporto. I neuroni, cellule altamente specializzate, hanno perso la possibilità di
dividersi ma hanno la capacità di generare, trasmettere e condurre l’impulso nervoso.
Quest’ultimo è un fenomeno bioelettrico di membrana e consiste in una variazione di potenziale
che si genera in seguito alla stimolazione della cellula nervosa a livello di plasmalemma. Le
proprietà caratterizzanti il neurone sono la eccitabilità e la conducibilità. Per eccitabilità si intende
la capacità di reagire a stimoli di natura chimica e fisica trasformandoli in impulsi nervosi: al
neurone basta anche uno stimolo minimo in quanto ha una soglia di eccitabilità molto bassa. La
conducibilità è la capacità di trasmettere gli impulsi ad altre cellule. Il neurone è caratterizzato da
un corpo detto pirenoforo o soma contenente il nucleo e il citoplasma (detto pericarion) e che si
espande in vari prolungamenti. Tra i prolungamenti si riconoscono l’assone (o neurite o
cilindrasse) e i dendriti. L’assone è unico, può avere una lunghezza di parecchi centimetri, è
rivestito dalla membrana plasmatica detta assolemma, inizia in corrispondenza del cono
d’emergenza di forma ad imbuto, ha un calibro costante, superficie liscia, può emettere rami
collaterali che si staccano sempre ad angolo retto e conduce gli impulsi in direzione centrifuga.
Esiste una corrispondenza diretta tra il diametro degli assoni e la velocità di conduzione poiché
questa è tanto maggiore quanto maggiore è il diametro dell’assone. I dendriti possono essere di
numero variabile, sono rivestiti da un plasmalemma che si solleva in “spine” per cui hanno
superfici rugose, sono corti e tozzi, si ramificano moltissimo e conducono l’impulso in senso
cellulipeto. Nel sistema nervoso centrale il pirenoforo, i dendriti, e il tratto iniziale dell’assone
sono localizzati nella sostanza grigia, mentre nella sostanza bianca ritroviamo esclusivamente gli
assoni.
Classificazione delle cellule nervose. I neuroni, in base al numero di prolungamenti, si
distinguono in: neuroni unipolari, neuroni bipolari e neuroni multipolari. Le cellule nervose
unipolari possiedono un solo prolungamento (l’assone).
Neuroni unipolari. Le cellule nervose unipolari sono le cellule visive (coni e bastoncelli nella
retina) e le cellule olfattive. Sono caratterizzate da una struttura, l’articolo distale, atto a percepire
gli stimoli anche di intensità minima (per cui queste cellule hanno una soglia di eccitabilità molto
bassa) e da una ricchezza di mitocondri per la produzione di energia necessaria sia per amplificare
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lo stimolo che per trasformarlo in un impulso elettrico*. A queste cellule che definiamo quindi
cellule sensitive primarie associamo le cosidette cellule sensitive secondarie, appartenenti agli
epiteli sensoriali e quindi sprovviste di assone, che insieme alle primarie costituiscono i recettori di
senso specifico. Anch’esse, tuttavia presentano l’articolo distale e possiedono numwerosi
mitocondri. Le cellule sensitive secondarie, cioè le gustative, le uditive e le statocinetiche, non
sono in grado di condurre autonomamente l’impulso elettrico generato e quindi il passaggio dello
stimolo è permesso dalla giunzione tra cellule epiteliali e cellule nervose di collegamento: la
giunzione cito-neurale o neuro-sensoriale.
Neuroni bipolari. Le cellule nervose bipolari si trovano nei gangli cerebro-spinali. Sono
provviste di due prolungamenti morfologicamente uguali ma funzionalmente diversi: un o funge
da assone, l’altro da dendrite. Queste cellule durante lo sviluppo embrionale presentano i due
prolungamenti che si originano ai poli opposti della cellula (neuroni
bipolari oppositopolari); ma in seguito i loro punti di origine tendono
ad avvicinarsi o addirittura i due
prolungamenti presentano un tratto a
comune
180°
prendendo il nome rispettivamente di
neuroni bipolari pseudounipolari a V e a
T. Questo fatto ha un significato
divergendo
poi
a
funzionale importante: l’impulso nervoso passa direttamente dal dendrite
all’assone escludendo il pirenoforo, aumentando la velocità di conduzione e
permettendo inoltre un risparmio energetico. Nell’adulto tuttavia permangono neuroni bipolari
oppositopolari a livello dei gangli annessi all’ottavo paio di nervi encefalici (gangli di Corti e di
Scarpa): ciò avviene perché rapidamente si forma intorno a loro un astuccio osseo durante lo
sviluppo per cui le cellule restano intrappolate.
NEURONI
Neuroni
Neuroni
Neuroni
unipolari
bipolari
multipolari
Cellule
sensitive
secondarie
Neuroni bipolari
Neuroni bipolari
Neuroni bipolari
oppositopolari
Pseudounipolari
Pseudounipolari
aV
aT
Cellule
Cellule
visive
olfattive
1° tipo di
Golgi
2° tipo di
Golgi
*
Questo perché i varî stimoli sono di diversa natura: possono essere di natura fisica (es.: onde elettromagnetiche, cioè la luce, per le cellule visive coni e bastoncelli)
oppure di natura chimica (es.: sostanze odorose per le cellule olfattive)
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Neuroni multipolari. Le cellule nervose multipolari si caratterizzano per l’elevato numero
di prolungamenti (anche alcune migliaia). Si distinguono in neuroni multipolari del 1° tipo di Golgi
(ad assone lungo) e del 2° tipo di Golgi (ad assone breve). I neuroni del 1° tipo possiedono un
assone che fuoriesce dalla sostanza grigia e decorre nella sostanza bianca, quelli del 2° tipo di
Golgi hanno un assone che rimane confinato nell’ambito della sostanza grigia.
Morfologia delle cellule nervose. Per lo studio delle cellule nervose sono tipicamente
utilizzate tre metodiche: quelle di Golgi, di Nissl e di Cajal.
La colorazione di Golgi è è detta reazione nera poiché alcune cellule si colorano
interamente di nero permettendo così la distinzione fra assone e dendriti (v. descrizione alle
pagine precedenti).
La colorazione di Nissl prevede l’utilizzo di coloranti basici che mostrano un nucleo
eucromatinico di aspetto pulverulento scarsamente colorato con un nucleolo ben evidente. Il
citoplasma del pericarion, dei dendriti e del cono di emergenza presenta i corpi di Nissl, ovvero
accumuli di ribosomi che quindi mancano assolutamente nell’assone.
La colorazione di Cajal è detta neurofibrillare perché l’impregnazione con AgNO3 mette in
evidenza i costituenti del citoscheletro: le neurofibrille. Queste sono in realtà costituite da
neurotubuli, neurofilamenti e microfilamenti. Il citoscheletro assume una notevole importanza per
la cellula nervosa per quanto riguarda la forma, il rapporto con le altre cellule, il supporto agli
organuli citoplasmatici ed è di importanza basilare nel fenomeno del flusso assonico.
La cellula nervosa quindi presenta un corpo cellulare generalmente di forma stellata, un
grosso nucleo rotondeggiante eucromatinico con nucleolo evidente. Il citoplasma contiene
ribosomi liberi e associati alle membrane (REG), il complesso di Golgi che circonda il nucleo, scarsi
lisosomi. I mitocondri caratteristicamente presentano spesso le creste disposte parallelamente
all’asse maggiore dell’organulo. Sono infine presenti in maniera diffusa i pigmenti da usura
(lipofuscine) e, in particolari distretti, quali il “locus cæruleus” e la “substantia nigra” del
Sömmering granuli di melanina derivati dal metabolismo del neurotrasmettitore dopamina.
Il flusso assonico. È un processo grazie al quale è possibile trasportare del materiale
citoplasmatico dal corpo cellulare all’estremità dell’assone e viceversa. Questo flusso bidirezionale
si distingue in un flusso anterogrado che trasporta in senso centrifugo le sostanze da utilizzare e
un flusso retrogrado tramite il quale il materiale residuo viene portato indietro per essere
degradato, riutilizzato o depositato per formare lipofuscine (granuli di pigmento giallobruno che
probabilmente rappresentano un prodotto residuo dell’attività lisosomiale). È possibile distinguere
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tra un flusso assonico anterogrado lento e anterogrado rapido. Il flusso anterogrado rapido va dal
pirenoforo alla periferia ed ha una velocità di 50-400 mm/die. È deputato al trasporto di proteine
funzionali (neurotrasmettitori, enzimi). Il flusso anterogrado lento ha una velocità di circa 0,38mm/die e permette il trasporto di costituenti strutturali ed è dipendente dall’attività contrattile
dei microfilamenti. Il flusso rapido è regolato da due motori ATPasi dipendenti, chinesina e
dineina, che scorrono sui neurotubuli e sui neurofilamenti del citoscheletro.
La fibra nervosa. La fibra nervosa è l’assone rivestito o meno da guaine. In base alla
presenza o meno delle guaine e in base al tipo di guaine si classificano 4 tipi di fibre: senza guaina,
col solo nevrilemma, con solo guaina mielinica, complete con nevrilemma e guaina mielinica. Il
1. FIBRA NUDA (ASSONE NUDO)
2. FIBRA CON SOLA GUAINA MIELINICA (FIBRA MIELINICA)
3. FIBRA CON SOLO NEVRILEMMA (FIBRA AMIELINICA)
4. FIBRA CON GUAINA MIELINICA + NEVRILEMMA (FIBRA COMPLETA)
nevrilemma è la guaina più esterna mentre la guaina mielinica è quella più interna.
Le fibre senza guaina sono rappresentate dall’assone nudo localizzato nella sostanza grigia
del SNC. La fibra mielinica è tipica della sostanza bianca del sistema nervoso centrale (SNC). La
fibra amielinica è quella con il solo nevrilemma nel sistema nervoso autonomo (SNA). Infine la
fibra completa, con entrambe le guaine, fa parte del sistema nervoso periferico (SNP).
Le cellule deputate a fornire le guaine sono di due tipi ed entrambi appartengono al gruppo
eterogeneo delle cellule della glia o nevroglia. Gli oligodendrociti forniscono la guaina mielinica
solo agli assoni presenti nel SNC, le cellule di Schwann forniscono sia la guaina mielinica che il
nevrilemma agli assoni del SNP ma il solo nevrilemma alle fibre del SNA.
Istogenesi delle fibre nervose. Istogenesi della fibra completa. Durante lo sviluppo gli
assoni progressivamente crescono in lunghezza; una volta fuoriuscito dalla sostanza bianca viene
avvicinato da una cellula di Schwann che è
responsabile della formazione di entrambe le
guaine. L’assone è circondato a ferro di cavallo e il
tratto in cui le due membrane dei bracci della
cellula
di
mesoassone.
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Schwann
si
affrontano
Successivamente
il
è
detto
mesassone
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prolifera e si spiralizza intorno all’assone. Durante questo processo il citoplasma all’interno delle
spire si assottiglia perché spremuto verso la periferia. Poiché il citoplasma viene allontanato le due
membrane si accollano tranne che nella prima spira detta strato adassonale: il citoplasma che
permane in questa zona è detto citoplasma adassonale. Il citoplasma spremuto si accumulerà nella
parte di cellula che non spiralizza insieme al nucleo e agli organuli. La parte più periferica della
spiralizzazione, contenente nucleo e citoplasma, è detta nevrilemma o guaina di Schwann.
L’espulsione del citoplasma causa l’accollamento delle facce interne delle membrane spiralizzate.
Con il prosieguo della spiralizzazione anche gli spazi fra le spire progressivamente si
assottiglieranno sempre di più fino a scomparire del tutto, determinando in questo modo
l’accollamento anche delle facce esterne delle membrane plasmatiche. L’accollamento delle
membrane determina la costituzione della guaina mielinica. La composizione chimica della guaina
mielinica nonostante derivi dalla fusione delle membrane plasmatiche presenta un’altissima
componente lipidica. Sono questi lipidi a isolare l’assone.
La scomparsa del citoplasma, che provoca l’accollamento delle facce interne delle
membrane provoca una stria elettrondensa che prende il nome di linea densa maggiore mentre
l’accollamento delle facce esterne della membrana dà luogo ad una stria minore detta linea densa
minore o intraperiodo (visibili solo al microscopio elettronico). Le due linee rappresentano i punti
in cui si accumulano le proteine: il resto è materiale lipidico.
Gli assoni sono rivestiti da più di una cellula di Schwann, in quanto una cellula riesce a
coprire solo un tratto di assone (500-1000μm) detto internodo; tra un internodo e l’altro esiste
uno spazio in cui l’assone non è rivestito da guaine: sono i nodi di Ranvier.
Istogenesi della fibra mielinica. In questo caso la guaina è fornita dalla cellula di
oligodendroglia. È una cellula di forma stellata e forma la guaina spiralizzando ciascuno dei suoi
prolungamenti ad un assone. Il citoplasma spremuto non partecipa alla formazione di guaine, ma
si accumula nel corpo cellulare. L’oligodendrocita quindi è capace di fornire guaina mielinica a
tanti assoni quanti sono i suoi prolungamenti.
Istogenesi della fibra amielinica. La guaina di Schwann nella fibra amielinica è formata
dalla cellula di Schwann. In questo caso, però, non si ha spiralizzazione del mesassone e quindi non
si forma la guaina mielinica. La cellula di Schwann può fornire il nevrilemma a più assoni
contemporaneamente.
Metodi di colorazione della fibra nervosa. Si possono utilizzare due sostanze: il tetrossido
di osmio (OsO4) e il nitrato di argento (AgNO4). Colorando una fibra completa con OsO4 si
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evidenzia la guaina mielinica, in quanto il colorante ha una spiccata affinità per i lipidi che
appaiono neri al microscopio ottico. Questa metodica permette di osservare i cosiddetti nodi di
Ranvier che corrispondono ai punti in cui la fibra non è rivestita dalle guaine. È possibile la loro
identificazione poiché si interrompe la colorazione nera lungo l’assone. Nello spessore della guaina
mielinica sono poi evidenti delle linee ad andamento obliquo in cui non si ha colorazione nera.
Queste linee corrispondono a zone in cui non è avvenuta la spremitura del citoplasma che ha così
impedito l’accollamento delle facce interne delle membrane plasmatiche. Queste strie sono dette
strie di Schmidt-Lantermann. Il citoplasma delle strie collega quello dello strato adassonale con
quello del nevrilemma costituendo così un tramite per il trasporto di sostanze trofiche fino
all’assone.
AgNO4 evidenzia delle strutture a croce poste in corrispondenza dei nodi di Ranvier: le croci
di Ranvier. Il braccio trasversale della croce è dovuto ad un deposito aspecifico del sale e alla
colorazione di fibre reticolari che in questa sede possono accumularsi. Il braccio longitudinale
invece è legato alla permeabilità dell’assone, in quel tratto senza guaine isolanti, permeabilità che
ha permesso la colorazione delle neurofibrille presenti. Questo fenomeno fornisce una prova
ulteriore della permeabilità dell’assolemma solo nei tratti non rivestiti da guaine: quindi solo a
livello dei nodi di Ranvier sono possibili gli scambi ionici alla base della propagazione dell’impulso
nervoso.
Il nervo. Il nervo è costituito da gruppi di fibre nervose, contenute, sostenute e protette da
tessuto connettivo. La capsula più esterna, l’epinevrio, è formata da tessuto connettivo fibrillare
denso; da qui si dipartono una serie di setti connettivali che sepimentano il nervo in fasci di calibro
minore. Questi setti, che nel loro insieme costituiscono il perinevrio, sono formati da connettivo
lasso. Infine ciascuna fibra nervosa è rivestita da tessuto reticolare: l’endonevrio che si origina
dell’epinevrio. I nervi possono essere costituiti sia da fibre nervose motrici o efferenti che da fibre
sensitive o afferenti. Generalmente i nervi sono misti, ovvero presentano entrambi i tipi di fibra.
L’ impulso nervoso. L’impulso nervoso è un segnale di natura elettrica che scorre sulla
membrana plasmatica come onda di depolarizzazione. La membrana plasmatica del neurone in
condizioni di riposo è polarizzata ossia ha un accumulo di cariche negative all’interno e positive
all’esterno. A causa di tale distribuzione di cariche si crea un potenziale di riposo di –70mV
mantenuto tale da pompe ioniche ATP dipendenti che creano e mantengono una alta
concentrazione di cationi Na+ all’esterno. Un’alta concentrazione di anioni organici all’interno
contribuisce al mantenimento di questo gradiente elettrico. Al momento della stimolazione di una
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fibra nervosa si ha il blocco delle pompe ioniche e modificazioni della permeabilità ai varî ioni; ciò
è causa di una inversione di polarizzazione con una maggiore concentrazione di cariche positive
all’interno e di cariche negative all’esterno. Questo potenziale della fibra stimolata è detto
potenziale d’azione. Per tornare allo stato iniziale di riposo devono intervenire le pompe ioniche
per ristabilire il gradiente elettrico .
La propagazione efficace dell’impulso avviene per depolarizzazione di tratti di membrana
adiacenti, conduzione che avviene in modo unidirezionale. La velocità di conduzione è maggiore
nelle fibre di maggiore calibro e a parità di dimensioni nelle fibre rivestite di guaina rispetto a
quelle nude. Infatti le guaine, e in particolar modo quella mielinica, isolano elettricamente
l’assone, permettendo la depolarizzazione solo in corrispondenza dei nodi di Ranvier. L’impulso
nervoso quindi si propagherà saltando da un nodo all’altro secondo la teoria della conduzione
saltatoria.
La sinapsi. Le sinapsi sono delle specializzazioni morfologiche di tratti di membrana
plasmatica di due cellule nervose che instaurano rapporti di contiguità attraverso i quali si ha il
passaggio dell’onda di depolarizzazione.
Possiamo distinguere due tipi di sinapsi in base al meccanismo di trasmissione: sinapsi
chimiche e sinapsi elettriche.
Le sinapsi chimiche sono le più diffuse e permettono la propagazione dell’impulso
mediante l’utilizzo di sostanze chimiche: i mediatori chimici detti neurotrasmettitori. In questo tipo
di sinapsi si distingue un elemento pre-sinaptico e un elemento post-sinaptico separati da uno
spazio, il vallo sinaptico. Da un punto di vista morfologico distinguiamo: una sinapsi asso-somatica
che si stabilisce fra un assone e il pirenoforo o soma; una
ESEMPI DI NEUROTRASMETTITORI
ACETILCOLINA
AMINE BIOGENE
• Dopamina
• Adrenalina e noradrenalina
• Serotonina
AMINOACIDI
• Glicina
• Ac. γ-amino-butirrico (GABA)
• Glutamato
• Aspartato
NEUROPEPTIDI
• Encefaline
• Endorfine
GAS
• NO (ossido nitrico)
sinapsi asso-dendritica fra un assone e il dendrite; una sinapsi
asso-assonica fra due assoni. La sinapsi più comune è quella
asso-dendritica.
In base alla loro funzione si distinguono: sinapsi
eccitatorie: l’impulso elettrico determina la depolarizzazione
del segmento post-sinaptico; sinapsi inibitorie: l’impulso
elettrico
iperpolarizza
la
componente
post-sinaptica
impedendo la propagazione dell’onda di depolarizzazione.
Morfologia della sinapsi chimica. Regione presinaptica. In prossimità del contatto sinaptico la terminazione
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dell’assone si svasa a bottoncino nel quale sono presenti numerose vescicole (Ø 40-60nm)
contenenti il neurotrasmettitore e parecchi mitocondri. Regione inter-sinaptica. Il vallo sinaptico è
uno spazio di 20-30nm che separa la componente pre-sinaptica da quella post-sinaptica in cui
viene rilasciato il neurotrasmettitore. Regione post-sinaptica. Il tratto di membrana plasmatica
adiacente al vallo presenta proteine di membrana che fungono da recettori per il
neurotrasmettitore. Questa diversità morfologica tra componente pre-sinaptica e quella postsinaptica riflette la diversità funzionale: la propagazione dell’impulso nervoso potrà avvenire
solamente dal segmento pre-sinaptico a quello post-sinaptico e non viceversa, quindi la
propagazione dell’impulso nervoso è unidirezionale.
Attività della sinapsi chimica. All’arrivo dell’onda di depolarizzazione si ha una immissione
nel bottone sinaptico di ioni Ca++ che favoriranno il processo di coalescenza delle membrane delle
vescicole contenenti il mediatore chimico con la membrana pre-sinaptica. In tal modo il
neurotrasmettitore è liberato nel vallo sinaptico e va a legarsi con i recettori presenti sulla
membrana postsinaptica. Ciascuna vescicola contiene al suo interno una quantità di mediatore
chimico costante. I recettori presenti sulla membrana post-sinaptica sono dei veri e propri canali
ionici che si aprono una volta venuti in contatto con il neurotrasmettitore permettendo l’entrata
massiccia di ioni Na+ nelle sinapsi eccitatorie causando la depolarizzazione della membrana
postsinaptica e di Cl- in quelle inibitorie provocando invece iperpolarizzazione della membrana
postsinaptica determinando nel primo caso la propagazione dell’impulso o il suo blocco nel
secondo caso. Dopo che è avvenuto il contatto mediatore-recettore un enzima presente nel vallo
sinaptico degrada il mediatore chimico causando il distacco della molecola del neurotrasmettitore
e di conseguenza un ritorno alle condizioni di riposo grazie anche al ripristino delle pompe ioniche
che ristabiliscono le condizioni di riposo. I prodotti di degradazione del neurotrasmettitore
potranno essere recuperati nel bottone sinaptico per un successivo riutilizzo attraverso un
meccanismo di endocitosi che provvederà tra l’altro a ripristinare le giuste dimensioni della
membrana pre-sinaptica che si era espansa in seguito all’esocitosi del mediatore chimico.
La sinapsi elettrica. Sono poco frequenti nell’uomo. Hanno una morfologia simile ai nexus.
Ciò permette una diffusione di ioni (e quindi il passaggio dell’onda di depolarizzazione) senza
l’intervento di mediatori chimici. In questo tipo di sinapsi il passaggio dell’onda di depolarizzazione
da una cellula all’altra è immediato perchè manca il periodo di latenza legato alla diffusione del
mediatore chimico sulla membrana post-sinaptica Inoltre, poiché non ci sono differenze
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morfologiche tra il segmento pre-sinaptico e quello post-sinaptico la trasmissione dell’impulso può
essere bidirezionale.
La nevroglia (o glia). Il tessuto nervoso oltre ai neuroni comprende numerose altre cellule
non eccitabili, tra loro eterogenee, che nel loro insieme costituiscono la nevroglia. Tali cellule
svolgono svariate funzioni: sostegno, protezione, trofica e metabolica.
Si distinguono 6 tipi di cellule della glia:
Astrociti (fibrosi e protoplasmatici)
Oligodendrociti
Cellule della microglia
Cellule ependimali
Cellule di Schwann
Cellule satelliti
Gli astrociti rappresentano la popolazione più numerosa. Sono cellule piccole con numerosi
prolungamenti. Si distinguono in fibrosi (con prolungamenti lunghi e sottili), localizzati nella
sostanza bianca, e protoplasmatici (con prolungamenti corti e ramificati), localizzati nella sostanza
grigia. Tra le varie funzioni ricordiamo:
• Circondano i neuroni costituendo una fitta rete di sostegno.
• Partecipano alla costituzione della barriera emato-encefalica avvolgendo i capillari
con i loro prolungamenti contribuendo al controllo del passaggio di varie sostanze. Infatti
molecole di elevato peso molecolare non possono attraversarla, mentre sostanze liposolubili
come alcool e farmaci come i barbiturici sono in grado di superarla.
• Costituiscono la membrana limitante gliale saldando le estremità dei loro
prolungamenti con la meninge più interna, la pia madre.
• Sono in grado di metabolizzare alcuni mediatori chimici e regolare la concentrazione
ionica in prossimità delle sinapsi.
• In caso di necrosi neuronale essi proliferano formando la cicatrice gliale.
Gli oligodendrociti sono i responsabili della formazione della guaina mielinica nel SNC.
Le cellule di Schwann sono le responsabili della formazione della guaina mielinica e del
nevrilemma nel SNP e del solo nevrilemma nel SNA.
Le cellule di microglia derivano dai monociti del sangue. Come dice il nome sono cellule
piccole di forma stellata con numerosi prolungamenti corti e sottili provvisti di spine. Sono
presenti sia nella sostanza bianca che nella sostanza grigia. Tipicamente presentano un numero
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elevato di lisosomi. Queste cellule in condizioni normali non sono molto numerose, ma
aumentano considerevolmente in caso di alterazioni patologiche del SNC nelle sedi colpite
svolgendo attività fagocitaria. Ciò permette di classificare queste cellule come appartenenti alla
famiglia dei macrofagi.
Le cellule dell’ependima o ependimali costituiscono un epitelio cubico o cilindrico
rivestendo i ventricoli cerebrali e il canale centrale del midollo spinale. Queste cellule presentano
sulla superficie libera, cioè quella che è prospiciente alla cavità ventricolare, microvilli e cilia
vibratili. Sul versante opposto, quello cioè che è in contatto con il tessuto nervoso è presente un
prolungamento detto fibra dell’ependima che attraversa tutto lo spessore del tessuto nervoso
contribuendo alla costituzione della membrana limitante gliale assieme agli astrociti. A livello del
terzo e quarto ventricolo cerebrale contribuiscono alla formazione dei plessi corioidei che
producono il liquido cefalo-rachidiano o liquor. I plessi si formano in quelle zone di mancato
sviluppo del tessuto nervoso, per cui le cellule ependimali si trovano in contatto con i capillari
sanguigni propri della meninge più interna: la pia madre. Questi capillari, rivestiti da ependima, si
raggruppano in ciuffi che sporgono nei ventricoli. Il plasma, passando attraverso questa duplice
barriera, modifica la sua composizione ionica e proteica diventando liquor. Il liquido cefalorachidiano, attraverso particolari forami, si porta nello spazio sub-aracnoideo (cioè al di sotto
dell’aracnoide, la seconda meninge) costituendo così un vero e proprio cuscinetto idraulico che
contribuisce all’assorbimento di eventuali traumi cerebrali.
Le cellule satelliti sono cellule di forma cuboidale, scarsamente evidenti, che si dispongono
intorno ai neuroni gangliari.
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TESSUTO MUSCOLARE
La capacità di contrarsi è una proprietà comune al protoplasma di molte cellule allo scopo di
permettere le funzioni motorie cellulari e le modificazioni morfologiche. Negli elementi muscolari
è particolarmente sviluppata la capacità di convertire energia chimica (ATP) in lavoro meccanico
grazie all’abbondanza e alla disposizione ordinata degli elementi contrattili. In base all’aspetto
morfologico è possibile suddividere il tessuto muscolare in tre distinti tipi: il tessuto muscolare
striato dei muscoli scheletrici, il tessuto muscolare striato del miocardio, il tessuto muscolare
liscio.
Il tessuto muscolare striato scheletrico è responsabile del movimento e la sua attività è sotto
il controllo di impulsi nervosi ed è quindi dipendente dalla volontà.
Il tessuto muscolare striato del miocardio, responsabile della contrazione del cuore, è
completamente svincolato da qualsiasi stimolo volontario. Il sistema nervoso vegetativo che lo
innerva regola solamente la frequenza delle contrazioni.
Il tessuto muscolare liscio, responsabile della motilità viscerale, si contrae anch’esso
indipendentemente dalla volontà.
Tessuto muscolare striato scheletrico. Questo tessuto non è costituito, a differenza degli altri tipi
di tessuto muscolare, da singole cellule, bensì da un sincizio∗ formatosi in seguito alla fusione,
durante lo sviluppo embrionale, di particolari piccole cellule dette mioblasti. Alcuni di questi
mioblasti non si fondono, mantengono le caratteristiche di cellule embrionali parzialmente
indifferenziate e costituiscono un serbatoio di riserva nell’età adulta in caso di necessità riparative
o rigenerative: le cellule satelliti. All’interno di questi sincizi, definiti impropriamente miotubi, in
quanto strutture cordoniformi solide, si ha una intensa sintesi proteica con la formazione di
proteine contrattili che costituiscono i miofilamenti; questi miofilamenti si assemblano
ulteriormente a costituire le miofibrille, che quasi riempiono il miotubo spostando e schiacciando
tutti i nuclei in posizione sublemmale. Possiamo a questo punto parlare di fibra muscolare, che è
l’entità morfologica distintiva del tessuto muscolare striato scheletrico. All’esterno della fibra
muscolare ritroviamo le cellule satelliti.
Il muscolo è rivestito da tessuto connettivo fibrillare denso, l’epimisio, da cui si dipartono fasci
meno densi e più sottili (perimisio) che circondano gruppi di fibre muscolari. Infine ciascuna fibra
muscolare è rivestita da fibre reticolari (endomisio). Queste strutture connettivali oltre che a
∗
Il sincizio è il risultato della fusione di più cellule fra loro. Queste cellule formano una singola cellule di dimensioni maggiori con tanti nuclei quante sono le cellule che
partecipano alla costituzione del sincizio.
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sepimentare e a rivestire il muscolo lo connettono tramite i tendini alle varie ossa. Queste fasce
connettivali sono variamente vascolarizzate ed innervate.
La fibra muscolare. La fibra muscolare può raggiungere anche la lunghezza di dieci centimetri e un
diametro che oscilla fra i 10 e i 100μm. Osservando una fibra si può osservare la membrana, cioè il
sarcolemma, rivestita da un materiale PAS+ e i nuclei, schiacciati, circa una quarantina per ogni
millimetro di lunghezza della fibra, situati subito al di sotto del sarcolemma. Caratteristicamente
nel sarcoplasma sono presenti le miofibrille, di forma bastoncellare, lunghe quanto la fibra
muscolare e di diametro di 1-3μm; inoltre ritroviamo numerosi mitocondri, granuli di glicogeno, un
particolare reticolo endoplasmatico liscio, denominato reticolo sarcoplasmatico e la mioglobina. La
funzione della mioglobina è quella di diffondere ossigeno nelle fibre muscolari. Questa proteina,
che per certi versi è simile all’emoglobina, conferisce il caratteristico colore rosso al tessuto
muscolare per la presenza del gruppo eme.
In una sezione longitudinale è visibile al microscopio ottico una evidente striatura trasversale,
che caratterizza il tessuto, presente in tutta la fibra. Questa striatura è dovuta al succedersi
regolare di dischi chiari alternati a dischi scuri. Questa striatura è legata alla presenza delle
miofibrille che possiedono questa caratteristica striatura. La disposizione delle miofibrille,
fittamente stipate, parallele fra loro e disposte in fase o in registro∗, spiega la striatura trasversale
visibile anche a livello di fibra muscolare (ivi pag. 158 fig.8-1).
In
una
sezione
al
trasversale
microscopio ottico si può vedere che le fibre
hanno un diametro costante, di forma
poligonale
abbastanza
regolare,
con
l’interno finemente punteggiato per la
presenza delle miofibrille e i nuclei in
posizione periferica (ivi pag. 162 fig.8-5).
Il sarcomero. Il disco chiaro è definito
banda o disco I (per il comportamento
isotropo alla luce polarizzata), mentre il
disco scuro è definito banda o disco A (per il
comportamento
anisotropo
alla
luce
∗
Questa disposizione è tale per cui tutte le miofibrille presentano, nei varî punti, lo stesso disco sia chiaro che scuro, facendo in modo che l’intera fibra presenti la banda
chiara o la banda scura. Se le miofibrille fossero sfasate fra loro, la striatura tipica a livello della fibra risulterebbe assente.
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polarizzata). Ad un maggiore ingrandimento si osserva una linea scura, detta linea Z, che divide in
due emidischi la banda I; la parte centrale della banda A appare leggermente meno scura delle
parti laterali della banda A, ma comunque più scura della banda I. Questa banda centrale è la
banda H. Infine è presente la linea M situata in posizione mediana al centro della banda H.
La porzione di miofibrilla compresa fra due linee Z consecutive è il sarcomero, l’unità morfofunzionale del tessuto muscolare striato. Ciascun sarcomero sarà quindi delimitato da due linee Z,
comprenderà un emidisco I, un disco A, un secondo emidisco I. La lunghezza del sarcomero a
riposo è di circa 2,5-3μm.
Lo studio di sezioni longitudinali al microscopio elettronico permette di individuare due diversi
miofilamenti: i filamenti di actina detti filamenti sottili e i filamenti di miosina detti filamenti
spessi.
Il filamento di actina, lungo circa 0,8-1μm, ha uno spessore di 5-6nm.
Il filamento di miosina, lungo circa 1,5μm, ha uno spessore di circa 15nm.
La particolare disposizione dei due tipi di filamenti rende ragione delle densità diverse che
sono presenti nel sarcomero. Infatti i filamenti di actina si originano in corrispondenza della linea Z
e si dirigono verso il centro del sarcomero, arrestandosi però in corrispondenza del confine della
banda H, mentre i filamenti di miosina occupano l’intera banda A. Quindi la banda I, che contiene
solamente i filamenti sottili apparirà più chiara; le parti laterali della banda A appariranno le più
scure perché saranno presenti entrambi i filamenti; la banda H, infine, presenterà una densità
intermedia perché sono presenti i soli filamenti spessi.
Tutti questi filamenti appariranno comunque paralleli fra loro. Per comprendere meglio la
disposizione spaziale dei filamenti all’interno del sarcomero è opportuno condurre una serie di
sezioni trasversali a livello di banda I, banda H e a livello della zona laterale della banda A.
La sezione condotta a livello di banda I permette l’osservazione di punti del diametro di 5nm,
corrispondenti alle sezioni dei filamenti di actina,
disposti ai vertici di ipotetici esagoni regolari.
La sezione condotta a livello della banda H evidenzia
punti del diametro di 15nm, corrispondenti alle sezioni
trasversali dei filamenti di miosina, disposti ai vertici di
ipotetici triangoli equilateri.
La sezione condotta a livello della parte laterale della
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banda A consente di individuare i filamenti di miosina al centro di ogni esagono ai cui vertici si
trovano i filamenti di actina.
Questa disposizione regolare crea le condizioni per la interazione tra i due filamenti per il
meccanismo della contrazione.
Il filamento di actina. Ciascun filamento è costituito da varie proteine, ma la componente
principale è data dalla proteina contrattile.
Il filamento sottile è costituito da molecole di actina globulare o actina G che, polimerizzando,
forma actina F o actina filamentosa. Due molecole di actina filamentosa si avvolgono a spirale fra
loro costituendo il filamento di actina che si ancora alla linea Z mediante altre proteine tra cui la αactinina. Su ciascuna molecola di actina G è presente un sito di legame per la miosina.
Nel filamento di actina sono presenti anche le cosiddette proteine regolative che intervengono
nei meccanismi della contrazione: la tropomiosina B e la troponina. La tropomiosina B è una
proteina filamentosa, lunga 40nm disposta sequenzialmente nel passo dell’elica formato dalle due
actina F. La troponina è associata aIla tropomiosina B, quindi il rapporto troponina/tropomiosina B
è di 1:1. La troponina è una molecola divisa in tre sub-unità: la troponina T, la troponina C e la
troponina I. T sta per Tropomiosina perché è la sub-unità capace di legarsi a questa molecola; la
troponina C si trova interposta alle altre due sub-unità e presenta elevata affinità per lo ione Ca++;
la troponina I è capace di legarsi alla actina G inibendo l’interazione actina-miosina.
Il filamento di miosina. Il filamento spesso è costituito principalmente da molecole di miosina
II la cui forma può ricordare quella di una mazza da golf. È una molecola filamentosa composta da
una parte rettilinea, allungata, definita coda e da una parte globosa definita testa. È costituita da
due catene pesanti e 4 catene leggere. Queste ultime si trovano solo a livello della parte globosa.
Mediante digestione enzimatica con tripsina la molecola di miosina si scompone in due parti:
meromiosina leggera (LMM) che corrisponde alla quasi totalità della parte bastoncellare rettilinea
e meromiosina pesante (HMM) che comprende il breve tratto rimanente della coda che fa seguito
alla meromiosina leggera e l’intera testa globosa o ponte trasverso angolato di circa 90°.
Un’ulteriore digestione enzimatica con papaina permette di scomporre la meromiosina pesante in
due subunità: S2 che è la parte della meromiosina pesante che fa seguito alla meromiosina leggera;
S1 che corrisponde alla testa globosa e contiene un sito per la actina globulare, ATP e ATPasi (ivi
pag. 164 fig.8-8).
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Le zone globose che sporgono di circa 7nm sono dette ponti trasversi. Nel filamento spesso le
molecole di miosina si dispongono parallele fra di loro, ma sfalsate ad intervalli di 14,3 nm e
ruotate rispetto alla molecola precedente di 60°. Inoltre presentano una disposizione speculare
rispetto alla linea M: ovvero dispongono le loro code verso la regione centrale del filamento e le
teste globose verso le estremità del filamento. Questa disposizione è necessaria per
l’accorciamento del sarcomero e quindi perché possa avvenire la contrazione. La parte rettilinea
allungata è necessaria per l’aggregazione delle molecole fra loro per costituire il filamento, la parte
globosa, cioè i ponti trasversi, interagiranno con l’actina per la contrazione.
Proteine accessorie. Nel sarcomero sono presenti anche altre proteine quali la distrofina posta
sul versante citoplasmatico del sarcolemma con il ruolo principale di stabilizzare le miofibrille.
L’assenza o la mutazione di questa proteina causa gravi forme di distrofie muscolari. La titina,
proteina ad alto peso molecolare, mantiene l’allineamento dei miofilamenti e impedisce un
eccessivo rilasciamento del sarcomero al termine della contrazione. Si inserisce nel filamento
spesso a livello della linea M arrivando ad ancorarsi alla linea Z. La nebulina è in stretto rapporto
con il solo filamento di actina bloccando i fenomeni di polimerizzazione e depolimerizzazione.
Il reticolo sarcoplasmatico. Il reticolo sarcoplasmatico è costituito da un sistema di cisterne e
sarcotubuli strutturati regolarmente e in rapporto con le miofibrille. Possiamo distinguere le
cisterne terminali, i tubuli longitudinali e le cisterne fenestrate. Le cisterne fenestrate sono
localizzate in corrispondenza della parte centrale del sarcomero e sono il risultato di numerose
anastomosi che si instaurano fra i sarcotubuli. Da un lato e dall’altro, dirigendosi verso le linee Z, si
dipartono i tubuli longitudinali che confluiscono in una struttura detta cisterna terminale che è
disposta trasversalmente alla miofibrilla.
A livello del confine tra banda A ed banda I si trova un altra cisterna terminale dalla quale si
originano altri tubuli longitudinali che decorrono parallelamente rispetto all’asse della miofibrilla
passando sopra il disco chiaro. Questi tubuli superano la linea Z e raggiungono il sarcomero
successivo dove, a livello di confine tra emidisco I e disco A confluiscono in una nuova cisterna
terminale. Ovviamente questi tubuli sono più brevi e non si anastomizzano nella cisterna
fenestrata (ivi pag. 162 fig.8-5).
Al confine tra banda A e banda I c’è sempre una coppia di cisterne terminali e fra queste due
strutture si trova una invaginazione del sarcolemma, in contiguità con le cisterne terminali, che
prende il nome di centrotubulo. È anche detto tubulo T perché di fronte ad una miofibrilla si divide
in due branche divergenti a 180°. Nel loro insieme i centrotubuli costituiscono il sistema T.
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L’insieme di un centrotubulo e due cisterne terminali prende il nome di triade (di Porter e Palade).
Risulta quindi che per ogni sarcomero sono presenti due triadi.
Nel reticolo sarcoplasmatico viene immagazzinato Ca++ grazie a delle pompe ATPasi dipendenti
e vi è mantenuto grazie ad un debole legame con la proteina Calsequestrina. Al momento
dell’arrivo dell’impulso nervoso che si propaga sulla membrana plasmatica i centrotubuli ne
permettono la trasmissione in profondità e, attraverso particolari canali ionici, le cisterne sono in
grado di rilasciare lo ione Ca++ nel sarcoplasma bloccando le pompe e liberandolo dal legame con
la calsequestrina. Il calcio è capace di scatenare il meccanismo della contrazione. La funzione del
reticolo sarcoplasmatico associata a quella dei centrotubuli è detta funzione di accoppiamento
elettro-meccanico in quanto permette la trasformazione di un impulso elettrico in contrazione
muscolare. La zona di contatto tra assone e fibra muscolare è detta placca motrice o sinapsi neuromuscolare. Attraverso questa placca motrice l’impulso nervoso può arrivare al muscolo. Poiché il
significato funzionale è lo stesso di quello della sinapsi centrale, ci limiteremo a sottolineare che in
questo caso il mediatore chimico utilizzato è l’acetilcolina.
Per unità motoria si intende l’insieme delle fibre muscolari controllate da un singolo
motoneurone. Il numero delle fibre di una unità motoria può variare fino a raggiungere qualche
centinaia. Esiste un rapporto inverso di questo numero rispetto al grado di specializzazione
muscolare. Nei muscoli estrinseci dell’occhio un motoneurone può controllare anche una sola
fibra muscolare; nei muscoli soggetti a movimenti più grossolani (es. gluteo) un motoneurone
controlla alcune centinaia di fibre.
La contrazione. Quando lo stimolo elettrico attraverso la placca motrice raggiunge il sarcolemma e
quindi i centrotubuli, il reticolo sarcoplasmatico, visti i rapporti di contiguità con i centrotubuli
stessi, rilascia ioni Ca++ nel sarcoplasma. Questi ioni interagiscono con la sub-unità C della
troponina causando una modificazione dei rapporti esistenti fra le tre sub-unità della troponina (le
subunità si avvicinano tra di loro rinsaldando i legami reciproci). In questa maniera si alterano
anche i rapporti fra tropomiosina B e actina rendendo disponibili i siti di legame dell’actina con la
miosina. L’ATPasi della subunità S1 della miosina scinde l’ATP presente nella stessa subunità e da
luogo ad ADP + Pi + E; l’energia fornita dalla scissione dell’ATP consente una oscillazione del ponte
trasverso (zone di flessione tra S1 e S2 e tra S2 e MML). L’oscillazione della miosina (subunità S1 o
ponte trasverso) trascina il filamento di actina verso il centro del sarcomero in misura di circa
10nm (ivi pag. 168 fig.8-10). L’arrivo di una nuova molecola di ATP provoca il distacco della
subunità S1 dall’actina globulare. Se permane lo stimolo ed è presente ATP, si ripetono cicli di
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attacco, oscillazione, distacco ecc. con accorciamento di tutti i sarcomeri, miofibrille, fibre di un
determinato muscolo. In sostanza i due filamenti scorrono gli uni sugli altri con progressiva
riduzione della banda I e della banda H, mentre la banda A rimane inalterata.
La necessità di una nuova molecola di ATP per il distacco del ponte trasverso spiega il fenomeno
del “rigor mortis” poiché nel cadavere cessano le attività metaboliche e non viene più sintetizzato
ATP.
Quando lo stimolo nervoso cessa, il reticolo sarcoplasmatico recupera gli ioni Ca++ che erano
stati liberati, i rapporti fra le sub-unità di troponina ritornano nelle condizioni di riposo per cui la
tropomiosina è in grado di mascherare nuovamente il sito attivo dell’actina al quale il ponte
trasverso non può più legarsi e il sarcomero torna alle condizioni di riposo.
Tessuto muscolare striato del miocardio. Il tessuto muscolare striato del miocardio è costituito da
cellule, i cardiomiociti, di forma grossolanamente cilindrica, provviste alle loro estremità di tozzi
prolungamenti che si interconnettono con analoghi prolungamenti delle cellule viciniori. Le
superfici laterali sono invece generalmente separate da tessuto connettivo fibrillare lasso in cui
abbondano i vasi sanguigni. Al microscopio ottico, in una sezione trasversale, si osservano sezioni
di calibro diverso e dai margini irregolari. Non esiste gradualità nel calibro: le sezioni sono grandi e
molto spesso contenenti il nucleo quando interessano il corpo della cellula, piccole quando sono a
carico dei prolungamenti (ivi pag. 176 fig. 8-17).
In una sezione longitudinale la striatura è meno evidente rispetto a quella del tessuto
muscolare striato scheletrico perché le miofibrille sono di calibro inferiore, non sono
perfettamente in fase tra di loro e il sarcoplasma è più abbondante e i mitocondri più numerosi.
Ma la caratteristica principale del tessuto muscolare striato del miocardio osservabile in sezione
longitudinale è data dalla presenza dei dischi intercalari o strie scalariformi. Queste strutture sono
localizzate al livello di contatto fra due cellule. L’aspetto dei dischi intercalari deriva dal fatto che
quando due cellule cardiache si mettono in rapporto tra di loro in posizione termino-terminale
formano dei confini a livello dei quali le membrane possono decorrere in senso trasversale, o
perpendicolare rispetto all’asse maggiore della cellula, e in senso longitudinale, cioè parallelo
all’asse maggiore della cellula. I tratti trasversali assumono una maggiore densità anche al
microscopio ottico e per questo motivo i confini tra cellula e cellula appaiono come degli scalini e
da qui il loro nome (strie scalariformi) (ivi pag. 176 fig. 8-16). Al microscopio elettronico si nota che
le membrane adiacenti presentano numerose escrescenze che si interdigitano tra di loro e ciò è
motivo di maggiore elettrondensità. In questi tratti si notano numerose specializzazioni come
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desmosomi, nexus e zonulae adherentes (non essendo perimetrali invece di zonulae si chiamano
più correttamente fasciae).
I tratti longitudinali sono sprovvisti di interdigitazioni delle membrane che così decorrono
parallelamente tra loro. Sono comunque presenti nexus.
Il reticolo sarcoplasmatico. Il reticolo sarcoplasmatico è morfologicamente diverso da quello della
fibra muscolare: non presenta né cisterne terminali né cisterne fenestrate, ma una serie di
sarcotubuli anastomizzati fra loro che circondano la miofibrilla. In prossimità dei centrotubuli, di
calibro maggiore e localizzati in corrispondenza delle linee Z, i sarcotubuli si slargano formando dei
pedicelli. Il rapporto sarcotubulo-centrotubulo costituisce la diade.
Il miocardio è indipendente dalla volontà ma si contrae in modo autonomo perché esistono
delle zone che nel loro insieme costituiscono il sistema di conduzione in cui sono presenti cellule
con potenziale di membrana instabile (anche in condizione di riposo non mantengono il potenziale
di membrana di –70 mV). Il potenziale si riduce fino a che non scatta il potenziale di azione. La
cellula si eccita e l’impulso viene trasmesso alle altre cellule.
In alcune cellule muscolari cardiache, principalmente quelle dell’atrio destro, sono presenti
dei granuli contenenti il fattore natriuretico atriale (ANF) con funzione endocrina. Questa sostanza
infatti, liberata dai cardiomiociti durante la contrazione, contribuisce alla regolazione
dell’equilibrio idro-salino favorendo, a livello renale, la escrezione di Na+ e la diuresi.
Tessuto muscolare liscio. Il tessuto muscolare liscio è ampiamente distribuito nell’organismo. È un
costituente della parete dei vasi arteriosi e venosi, si trova nella tonaca muscolare delle vie
respiratorie, del tubo digerente, delle vie uro-genitali e nei muscoli intrinseci dell’occhio. È
costituito da cellule allungate di forma fusata, con una zona centrale contenente il nucleo ed
estremità assottigliate. Sono perciò denominate fibrocellule. Hanno una lunghezza variabile: oscilla
fra i 20m della fibrocellula della muscolatura intrinseca dell’occhio e i 500m nell'utero gravido.
Le fibrocellule muscolari lisce si dispongono sfasate fra loro in modo tale che l’estremità di una
cellula è compresa fra le estremità di quelle adiacenti (ivi pag. 181 fig. 8-23).
In una sezione trasversale al microscopio ottico il tessuto muscolare liscio è caratterizzato da
sezioni di vario calibro deve quelle di maggiori dimensioni corrispondono alla parte centrale della
fibrocellula e spesso contengono il nucleo in posizione eccentrica; mano a mano che la sezione
interessa parti sempre più periferiche il calibro diminuisce (ivi pag. 181 fig. 8-24).
In una sezione longitudinale le fibrocellule appaiono separate tra loro ad una distanza di circa
60-90nm, per la presenza di fibre reticolari che le avvolgono una ad una. Spesso però questo
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spazio è fortemente ridotto (2nm) per la presenza di nexus che permette l’accoppiamento
elettrico fra le cellule.
Al microscopio elettronico si osservano piccole rientranze della membrana plasmatica, le
cosidette caveole, che rappresentano nel muscolo liscio ciò che nel muscolo striato è il sistema T. Il
citoplasma è ricco di elementi citoscheletrici che si ancorano a corpi densi intracitoplasmatici e a
placche dense sublemmali con funzioni sovrapponibili a quello delle linee Z del sarcomero. I
miofilamenti contrattili non sono assemblati come nel tessuto muscolare scheletrico e del
miocardio, non consentendo così la creazione della tipica striatura.
Da un punto di vista funzionale è possibile distinguere un tessuto muscolare liscio viscerale o
unitario, tipico della tonaca muscolare intestinale e dell’utero, dove solo alcune fibrocellule sono
innervate, per cui l’impulso è diffuso attraverso i nexus e un tessuto muscolare liscio multiunitario,
come quello vascolare, dove ogni singola fibrocellula è innervata. La muscolatura viscerale
presenta due diverse forme di attività contrattile: quella ritmica e quella tonica. La prima crea
onde peristaltiche per l’insorgere di impulsi periodici che si propagano per tutta la muscolatura
favorendo la progressione del materiale contenuto all’interno dell’organo cavo. La seconda, che
corrisponde al tono muscolare, provoca una parziale contrazione che regola il calibro dell’organo
cavo, come avviene ad esempio in quelle arterie dove la tonaca muscolare è maggiormente
rappresentata.
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