1. La riforma del diritto di famiglia di cui alla L

LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA DI CUI ALLA L. 19 MAGGIO 1975, N. 151
1. La riforma del diritto di famiglia di cui alla L. 19 maggio 1975, n. 151. [188]
La riforma del diritto di famiglia del 1975 modificò profondamente il
regime dei provvedimenti da adottare in relazione ai figli, soprattutto se
minori, nell’eventualità della crisi coniugale oggetto e motivo della separazione dei genitori. In allora costituì rilevante innovazione il principio che
fu introdotto nell’art. 155 c.c. e per il quale, nel pronunciare i provvedimenti relativi alla prole, il giudice deve avere per esclusivo riferimento l’interesse morale e materiale di essa. L’esperienza aveva mostrato come il distacco dei genitori costituisse quasi sempre un evento traumatico proprio
per i figli e come costoro fossero i soggetti deboli della vicenda, le cui sorti
tutelare con assoluta priorità. Il richiamo ad una nozione di interesse dei
figli parve indicazione adeguata a rappresentare il parametro di ispirazione
delle scelte demandate all’ufficio giudicante ed agli stessi coniugi, secondo una evoluzione di questa nozione che era cominciata con l’approvazione della legge sull’adozione speciale ed aveva subito una notevole elaborazione dottrinaria [DOGLIOTTI, La separazione giudiziale, in Il diritto di
famiglia, trattato diretto da BONILINI - CATTANEO, Torino, I, 1997, pag. 487].
La scelta legislativa privilegiò l’interesse del minore come valore preminente rispetto ad altre possibili alternative, che pure erano state individuate: quelle dell’interesse dei genitori a conservare ed esercitare i diritti di cui
all’art. 30 Cost. (essenzialmente, il diritto di contribuire all’educazione
della prole ed a frequentarla); e quella imperniata sulla colpa della separazione, quale discrimine per attribuire all’uno piuttosto che all’altro dei
coniugi l’affidamento dei figli [ZATTI, La separazione personale in Trattato
di diritto privato, diretto da RESCIGNO, Torino, 1996, 3, II, pag. 267].
La giurisprudenza ha inteso la nozione di interesse morale e materiale dei figli come caratterizzata da connotazioni di natura pubblicistica. Il
ruolo dei genitori trascende il cerchio del nucleo familiare ed adempie ad
una funzione cui tutta la collettività guarda come di utilità generale. E in
questo contesto anche l’affidamento dei figli nel caso di separazione deve
conservare questa caratteristica. La dottrina ha criticato questo orientamento come eccessivo rispetto allo scopo ed ha propugnato una visione
più privatistica dei diritti e doveri dei coniugi anche a tutela della prole
[MANTOVANI, voce Separazione personale dei coniugi, I) Disciplina sostanziale, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1992, XXVIII, pag. 22]. Il
rilievo da assegnare, poi, all’eventuale colpa della crisi coniugale ha costituito oggetto di contrasti interpretativi. Si è sostenuto che la circostanza può
assumere importanza quale sintomo per apprezzare l’effettiva attitudine
educativa dell’affidatario [PAJARDI, La separazione nella giurisprudenza,
Nozione
di interesse
morale e
materiale dei figli
[189]
161
I PRINCIPI DELLA GIURISPRUDENZA
Milano, 1989, pag. 241 ss.; SCARDULLA, La separazione personale dei
coniugi e il divorzio, Milano, 1996, pag. 239; Cass., sez. I, 7 febbraio 1995,
n. 1401]. Si è al riguardo avvertito che su questa strada si finiva per privilegiare un ruolo di genitore in funzione di esempio in senso morale, rispetto all’esigenza di individuare, invece, l’attitudine a relazionarsi in termini
affettivi con i figli ed a mostrare comprensione dei loro problemi
[MANTOVANI, op. cit., pag. 22]. Si è altresì affermato che, pur non potendosi proclamare l’irrilevanza degli aspetti morali nella figura del genitore,
questi non possono operare se non nei limiti in cui hanno rilievo ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 330 e 333 c.c.; ferma,
ovviamente, la neutralità del giudice tra le diverse concezioni della morale, della fede religiosa, della politica e senza che i suoi provvedimenti
diventino una sorta di sanzione contro il coniuge colpevole della separazione [ZATTI, La separazione personale in Trattato di diritto privato, diretto
da RESCIGNO, Torino, 1996, 3, II, pag. 270]. Nella constatata difficoltà di
stabilire cosa debba intendersi effettivamente per interesse del minore la
tendenza prevalente è stata nel senso di ripudiare i criteri in negativo desumibili dalle modalità della vicenda per ricercare in essa dei criteri in positivo, vale a dire, dei parametri suscettibili di evidenziare il genitore più
adatto ad avere l’affidamento dei figli: secondo una concezione che in pratica ha riconosciuto al giudice ampi poteri discrezionali di indagine e di
apprezzamento, da esercitare di volta in volta e in ragione del caso [si veda
AA.VV., L’affidamento dei minori nelle separazioni giudiziali, Ricerca interdisciplinare sui criteri di affido in alcuni tribunali italiani, a cura di
DELL’ANTONIO e VINCENTI AMATO, Milano, 1992].
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LA RIFORMA SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO DEI FIGLI NELLA L. 8 FEBBRAIO 2006, N. 54
2. La riforma sull’affidamento condiviso dei figli nella L.
8 febbraio 2006, n. 54. [190]
2.1. Affidamento e potestà genitoriale. [191]
In un quadro di sostanziale incertezza dogmatica e di soluzioni affidate
alla prassi è intervenuta L. 8 febbraio 2006, n. 54, recante disposizioni in
materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli. Il
nuovo dettato dell’articolo 155 c.c. conserva il riferimento all’interesse
morale e materiale della prole quale criterio esclusivo di guida per il giudice. Ma a questo riferimento esso ora premette la solenne affermazione del
diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con
ciascuno dei genitori, a ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi
ed a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
Art. 155 - (Provvedimenti riguardo ai figli). I. Anche in caso di separazione personale
dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
II. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che
i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli
sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore,
fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari
all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
III. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore
interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di
comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle
decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori
esercitino la potestà separatamente.
IV. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il
principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
V. L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro
indicato dalle parti o dal giudice.
VI. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui
redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
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I PRINCIPI DELLA GIURISPRUDENZA
ciascun ramo genitoriale. Nel medesimo contesto si precisa che proprio per
realizzare questo diritto il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole,
tenuto conto dell’interesse di questa. Si coglie nella nuova normativa lo sforzo del legislatore di superare con indicazioni univoche le incertezze interpretative verificatesi nella attuazione pratica. Dalla nozione di interesse
della prole si è passati al riconoscimento ed all’affermazione di un vero e
proprio diritto di questa, il cui contenuto è stato esattamente determinato e
la cui tutela costituisce lo scopo unico dell’intervento giudiziale.
La riforma è entrata in vigore il 16 marzo 2006. Trova applicazione nei
Entrata in vigore
e disciplina processi in corso ove le parti possano richiederne l’applicazione. Ove sia
transitoria già stata omologata la separazione o già pronunciata sentenza di separa[192]
zione o divorzio, l’art. 4, I co., L. n. 54/2006 ammette gli interessati a
richiedere al giudice competente, con le procedure di cui all’art. 710 c.p.c.
e di cui all’art. 9 L. n. 898/1970, le modifiche necessarie all’applicazione
delle nuove norme.
La legge prevede l’affidamento ad entrambi i genitori e la potestà eserPrincipio
di bigenitorialità citata da entrambi i genitori come modalità attraverso le quali realizzare
[193] le corresponsabilità educative, attribuendo, però, al giudice il potere di
imprimere correzioni al regime di affidamento laddove la situazione specifica o il mancato accordo dei genitori rendano opportune altre strade
[DOSI, L’affidamento condiviso, in www.minoriefamiglia.it]. Questa visione
rientra nel cosiddetto diritto del minore alla “bigenitorialità”, ossia della
corresponsabilità di entrambi i genitori per quanto concerne la cura, l’educazione e l’istruzione dei figli, anche dopo la separazione, il divorzio o lo
scioglimento della coppia convivente more uxorio. Trova così consacrazione un principio già da tempo presente nel nostro ordinamento e che ha la
sua fonte principale nella convenzione internazionale di New York del 20
novembre 1989 sui diritti dei minori, che all’art. 9 prevede il diritto alla
bigenitorialità. Nel dettato del legislatore, la bigenitorialità va intesa in
senso ampio, ossia come il diritto del minore a mantenere rapporti equilibrati con entrambi i rami familiari, comprendendo ascendenti e parenti più
prossimi.
Si deve tuttavia sottolineare che l’inclusione di ascendenti e parenti
non rende questi ultimi, da un punto di vista processuale, titolari di un
interesse ad agire in seno ad un giudizio di separazione o divorzio, e dunque eventuali litisconsorzi necessari ex art. 105 c.p.c. Tuttavia costituisce
una importante conquista in termini di civiltà giuridica che non si esclude
possa anche nella prassi dei tribunali acquisire diverso valore.
L’affermazione del diritto del figlio minore a conservare con i genitori
rapporti assimilabili, nelle manifestazioni, a quelli normalmente intercor-
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LA RIFORMA SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO DEI FIGLI NELLA L. 8 FEBBRAIO 2006, N. 54
renti nella famiglia non in crisi rappresenta un monito anche per gli stessi
genitori. E’ noto come l’esperienza della separazione, di fatto e poi nel percorso giurisdizionale, rappresenti frequente occasione di rivalse, di acredini, di condotte emulative e di utilizzo dei figli come strumenti di pregiudizio verso il coniuge divenuto antagonista. Siffatti comportamenti sono
attualmente da considerare inosservanti di un preciso diritto spettante al
figlio minorenne e la circostanza può avere notevole peso nella decisione
concernente l’affidamento, posto che in tal caso si giustifica l’affidamento
ad uno solo dei genitori. Gli stessi comportamenti possono oggi essere
apprezzati anche per gli effetti di cui all’art. 333 c.c., come pregiudizievoli per il minore e come motivo per allontanarlo dalla residenza del genitore. Il legislatore è giunto ad affermare che persino la domanda manifestamente infondata di affidamento esclusivo può essere considerata negativamente ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse della prole (art. 155 bis, secondo comma).
✒ I primi commentatori hanno sottolineato il superamento del principio di affidamento con-
giunto, introdotto nel nostro ordinamento dalla L. 74/1987, per il divorzio ed esteso dalla
prassi anche alla separazione. Tale locuzione non è più utilizzata dal legislatore. Se infatti, si
osserva, l’esercizio congiunto della potestà è regola e modalità di gestione in costanza di
convivenza, matrimoniale o more uxorio, del genitori, non si vede come possa essere esercitata congiuntamente la responsabilità educativa laddove la convivenza sia cessata (cessazione spesso avvenuta tra accesi contrasti).
Il limite del sistema così attuato con la riforma resta quello di sempre. Le affermazioni
di principio hanno bisogno di essere tradotte in fatti concreti, per non restare prive di significato; e l’attuazione necessita di coniugi disposti ad operare in accordo tra loro e per il bene
dei figli, anziché l’uno contro l’altro e con i figli come strumento di disturbo. Si è giustamente
osservato che i coniugi devono essere educati alla necessità di trovare tra loro un sostanziale accordo e soprattutto alla necessità di rimanere genitori per sempre [MISSIAGGIA, L’affido
condiviso alla prova dei fatti, in Diritto e giustizia, 2006, 7, pag. 120]. In effetti, l’affidamento congiunto è già stato tentato nella prassi giudiziaria, così come era stato tentato l’affidamento alternato [CASCONE, Affidamento alternato? Una pia illusione, in Diritto e giustizia,
2005, 8, pag. 29]. La prevalenza dei casi è nel senso di un affidamento monogenitoriale,
generalmente a favore della madre, che resta nella casa familiare; con l’inconveniente di trasformare la donna nella effettiva educatrice, titolare del potere disciplinare, e nell’uomo colui
che, per colmare la distanza fisica dai figli, si impegna pressoché totalmente nel rendere a
costoro piacevoli i fine settimana. In diversi uffici giudiziari si era, però, addivenuti a forme
di affidamento più responsabili, in presenza di condizioni idonee a favorirle, quali una età
adeguata dei minori, l’accordo dei genitori e le modalità attuative compatibili. Proprio il
livello di conflittualità esistente tra i separati si è rivelato l’ostacolo che quasi sempre si è frapposto alla buona riuscita degli esperimenti. Per queste ragioni l’istituto dell’affidamento condiviso è stato accolto con favore per quanto concerne le aspirazioni ideali ed i propositi, nell’ambito di un diritto familiare da far evolvere; ma con diffuso scetticismo per quanto concerne il funzionamento concreto. E non può negarsi che questo atteggiamento pessimista
abbia un fondamento anche legato alla stessa realtà dei fatti. Si pensi alla posizione del
minore che, affidato contemporaneamente a due persone, deve pur avere una residenza
attorno alla quale riunire le proprie abitudini, le amicizie e le quotidianità, mentre i genitori abitano magari in città lontane e con persone a lui estranee. E si pensi alla difficoltà di
distinguere tra casi che richiedono la decisione congiunta, perché di rilievo per gli interessi
del minore, e casi che ad uno dei coniugi possono apparire da risolversi senza consultarsi
con l’altro, salvo vedersi contestare la decisione presa e trovarsi evocato dinanzi al giudice.
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I PRINCIPI DELLA GIURISPRUDENZA
Il previgente testo dell’art. 155 c.c. disponeva che la potestà genitoriale
Potestà
genitoriale dovesse essere esercitata in esclusiva dal genitore affidatario. L’attuale testo
[194] della stessa norma prevede attualmente che la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori; che le decisioni di maggiore interesse per i figli
relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune
accordo, tenendo conto dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei
figli; e che solo limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Il mutamento di fronte è palese e di estremo significato. Il coordinamento con l’art. 317, II co., c.c. (che dichiara non cessata la potestà genitoriale di entrambi i genitori se i figli in caso di separazione sono affidati ad uno solo di essi) è divenuto più coerente e completo.
✒ Risulta così eliminata una incongruenza che era stata segnalata come una intima contrad-
dizione del sistema. Il citato art. 317, infatti, preservava il principio della potestà congiunta per
i genitori, mentre l’art. 155 c.c., come accennato, ne affidava l’esercizio esclusivo al coniuge
affidatario. Per salvare l’evidente contrasto si era affermato che in realtà non si era voluto fare
distinzione tra titolarità formale della potestà, che restava attribuita ad entrambi i genitori, ed
esercizio della stessa, conferito soltanto ad uno tra essi. Anche il genitore non affidatario rimaneva titolare del potere di vigilanza sull’educazione e sull’istruzione dei figli ed anche a lui
doveva esser riconosciuto il potere dovere di partecipare alle decisioni di maggiore importanza per i figli [ROSSETTI, Il diritto di famiglia, Famiglia e matrimonio, Trattato diretto da
BONILINI E CATTANEO, Torino, 1997, I, pag. 720]. Si affermava, pertanto, che l’esercizio esclusivo della potestà per l’affidatario era limitato alle decisioni quotidiane mentre per le decisioni rilevanti nell’interesse dei minori la decisione comune era espressione del dovere di collaborazione tra i coniugi, persistente anche oltre la separazione [ZATTI, La separazione personale in Trattato di diritto privato, diretto da RESCIGNO, Torino, 1996, 3, II, pag. 276].
La riforma ha recepito i risultati così raggiunti dall’interpretazione dottrinaria ed ha superato il formale dettato legislativo precedente con il disporre la permanenza della contitolarità della potestà genitoriale per
entrambi i coniugi. L’affidamento esclusivo ad uno di costoro, consentito
dall’art. 155 bis c.c., non contraddice il significato di questa svolta normativa. L’affidamento in esclusiva ha, per presupposto, il fatto che l’affidamento all’altro coniuge sia contrario all’interesse del minore. Eventi, atteggiamenti, evoluzione di situazioni (si pensi al genitore che si forma una
nuova famiglia ed ha altri figli) possono rendere incompatibile il rapporto
continuativo con l’uno dei genitori ed imporre che la convivenza, la con
Art. 317 – (Impedimento di uno dei genitori). I. Nel caso di lontananza, di incapacità
o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l’esercizio della potestà,
questa è esercitata in modo esclusivo dall’altro.
II. La potestà comune dei genitori non cessa quando, a seguito di separazione, di
scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, i figli
vengono affidati ad uno di essi. L’esercizio della potestà è regolato, in tali casi, secondo
quanto disposto nell’articolo 155.
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LA RIFORMA SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO DEI FIGLI NELLA L. 8 FEBBRAIO 2006, N. 54
suetudine, la vicinanza con il minore siano circoscritte ad uno soltanto tra
i suoi genitori. Ciò non toglie che la potestà genitoriale resti comune e che,
come recita il terzo comma dell’art. 155, le decisioni di maggior interesse
per i figli debbano essere prese di comune accordo. Proprio il potere attribuito al giudice di consentire che per le decisioni su questioni di ordinaria
amministrazione la potestà sia esercitata separatamente conferma che
anche nel caso di affidamento disgiunto la titolarità della potestà resta in
capo ad entrambi i coniugi anche nella sua esplicazione concreta. Il potere del giudice trova ragione nell’opportunità che per le scelte minime (un
abito, un corso di nuoto) possa provvedere, da solo, il genitore con il quale
il figlio si trova al momento o quello che ne ha l’affidamento in esclusiva.
La tutela del diritto del minore ad un rapporto equilibrato e civile con i
genitori separati passa attraverso un regime di rapporti imitativo della normale condizione del nucleo familiare. La scelta imposta al giudice come
prioritaria è quella di verificare la possibilità di stabilire un affidamento ad
entrambi i genitori, contemporaneamente, realizzando il cosiddetto affidamento condiviso. La possibilità di ricorrere a questa soluzione viene meno
unicamente ove si riveli non rispondente, nel caso concreto, all’interesse
del minore, vale a dire, se ne emerga l’inadeguatezza ad assicurare che questi conservi un rapporto equilibrato con ciascuno dei genitori, riceva da
entrambi cura, educazione ed istruzione e mantenga relazioni significative
con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale. L’affidamento ad
uno solo dei coniugi costituisce l’eccezione alla regola generale. L’art. 155
bis c.c. lo consente unicamente nel preciso caso in cui l’affidamento
all’altro è contrario all’interesse del minore. Questa contrarietà deve essere
specificamente accertata e deve consistere in circostanze di fatto concrete: lo dimostra la necessità per il giudice di motivare il suo provvedimento,
necessità che non è prevista nel caso di affidamento condiviso. La motivazione non può far riferimento generico all’opportunità o alla convenienza.
L’avvenuta precisazione del contenuto dell’interesse della prole, quale interesse a veder tutelato un preciso diritto verso i genitori separati, impone di
Affidamento
ad un solo
genitore
[195]
Art. 155 bis - (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso). I. Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del
minore.
II. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo
quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la
domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto
possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se la domanda
risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei
figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile.
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I PRINCIPI DELLA GIURISPRUDENZA
giustificare la decisione difforme dalla regola generale con argomenti riguardanti espressamente la necessità di ricorrere ad una soluzione alternativa
proprio per la salvaguardia di quel preciso diritto.
2.2. Diritti e garanzie a favore del figlio minore. [196]
Il figlio minore, sia legittimo, sia naturale riconosciuto, e maggiorenDiritti
del minore ne portatore di handicap gravi (art. 155 quater c.c.), in caso di separazio[197] ne tra i genitori (o cessazione della convivenza) gode del diritto di frequentare entrambi i genitori, con i quali ha diritto di conservare rapporti
“equilibrati e continuativi” ex art. 155, I co., c.c. Inoltre ha diritto al mantenimento da parte di entrambi i genitori e alla assegnazione della casa
coniugale.
Diritto di ascolto
Dopo numerose e lecite critiche all’indirizzo del legislatore, la L. n.
[198] 54/2006, ha finalmente introdotto all’art. 155 sexies, I co., c.c., il diritto
del minore ultra dodicenne ad essere ascoltato prima dell’emanazione dei
provvedimenti di cui all’art. 155 c.c.. Tale diritto si estende anche al minore infradodicenne, subordinato, tuttavia, alla valutazione da parte del giudice (o di suo delegato) circa la capacità di discernimento del minore.
Al diritto del minore corrisponde in realtà un dovere, per l’ufficio giudiziario, posto che la disposizione è formulata in modo da escludere al
riguardo facoltà discrezionali e scelte subordinate alla richiesta di parte.
L’audizione del figlio minore costituisce un adempimento doveroso e non
è che il risvolto concreto del diritto di questi a vedersi riconosciuta una
tutela il cui contenuto preciso è dalla legge attualmente affermato anche
nei confronti dei genitori. La norma rappresenta una innovazione rispetto
alla situazione previgente, nella quale la detta audizione era consentita
unicamente nella procedura di divorzio, purché fosse stata ritenuta strettamente necessaria. La scelta legislativa era, in allora, di netta chiusura a protezione del minorenne, da tenersi quanto più possibile lontano e indenne
dagli avvenimenti lesivi dell’unità familiare; la scelta attuale ha fatto del
minore un protagonista necessario della vicenda di separazione, che con-
Art. 155 sexies - (Poteri del giudice e ascolto del minore). I. Prima dell’emanazione,
anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove
capace di discernimento.
II. Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che
i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con
particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.
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