Convegno IL DIRITTO ALLA FILOSOFIA Quale filosofia

Convegno
IL DIRITTO ALLA FILOSOFIA
Quale filosofia nel terzo millennio?
Venezia, Università Ca’ Foscari, 19-20 ottobre 2015
Abstract
La filosofia come “dispositivo” di risposta alla società asimmetrica e ipercomplessa
di Piero Dominici
L’obiettivo principale di questo paper è quello di evidenziare i livelli di connessione esistenti tra la
particolare contingenza/congiuntura storico-culturale e la sempre più attuale ed urgente domanda di filosofia
e di un “diritto alla filosofia”, inteso anche come una sorta di diritto alla consapevolezza, ad essere capaci di
riflettere, analizzare criticamente ed elaborare pensiero e, possibilmente, soluzioni alle problematiche della
propria esistenza. In una società sempre più asimmetrica e caratterizzata da una rigida stratificazione sociale,
nella quale la possibilità di accedere, condividere ed elaborare informazioni/conoscenze, sta rendendo ancor
più evidenti certe asimmetrie (p.e. la stessa Rete e la cd. società della conoscenza sono di fatto opportunità
per pochi, almeno per ora…), questa visione del diritto alla filosofia riguarda, in primo luogo, proprio gli
esclusi, i soggetti devianti (secondo certi modelli culturali), gli “invisibili” (in molti casi, anche alle ricerche
sociali ed alle tradizionali rilevazioni statistiche), le non-persone; cioè coloro che vivono appunto ai margini
della società ipercomplessa e interconnessa. Ad un livello successivo, tale diritto potrebbe contribuire a
determinare le condizioni socioculturali (insieme ad altre variabili) per un’educazione non imposta sulla base
di principi a priori, bensì costruita attraverso il discorso filosofico, fondata sulla consapevolezza e sulla
formazione al pensiero logico e critico, capace di orientarci nel governo dell’imprevedibilità. Ma la “vera”
questione riguarda il fatto che, in molti casi, non sono minimamente garantiti alcuni pre-requisiti
fondamentali anche soltanto per poter discutere di inclusione, di eguaglianza delle condizioni di partenza e,
più in particolare, di condizioni di praticabilità che il diritto alla filosofia sembra richiedere e poter garantire.
Nuove forme di disuguaglianza (Sen) si vanno delineando proprio in una fase di grande cambiamento:
l’attuale contesto storico-culturale, infatti, continua ad evolversi per differenziazione e in maniera tutt’altro
che lineare e, non a caso, da più parti si solleva opportunamente la questione di un cambio (necessario) di
paradigmi. Un tipo di contesto, che ho definito in passato “società ipercomplessa” (2003), caratterizzato da
“oggetti di studio” e processi che sono di fatto “sistemi” e non semplici “oggetti” e che, come tali, chiedono
di essere analizzati in una prospettiva sistemica. Di più: dobbiamo trovare il modo di tradurre questa
domanda forte di filosofia in forme nuove che coinvolgano e includano tutti gli attori sociali. Il discorso
filosofico può creare le condizioni per educare le nuove generazioni a saper riconoscere e comprendere tale
complessità (centralità strategica di scuola e università) ed il diritto alla filosofia è, in tal senso, “dispositivo”
fondamentale nella definizione di modelli interpretativi, buone pratiche e di “teste ben fatte” (Montaigne).
Quelle teste ben fatte che, a differenti livelli di analisi, rappresentano forse l’unico vero antidoto, da una
parte, alla “reclusione” dei saperi negli stretti (e sterili) ambiti disciplinari e, dall’altra, alla cd. società
dell’ignoranza (2009); una società (Noi e le reti sociali), profondamente segnata da asimmetrie informative e
conoscitive, in cui sono stati messi in discussione, non soltanto il legame sociale e i valori della comunità,
ma anche i principi stessi della cittadinanza (globale) e della democrazia. Il “diritto alla filosofia” si
configura, in tal senso, anche come dispositivo di risposta a quello che ho voluto chiamare “società
asimmetrica”, caratterizzata da architetture, non soltanto tecnologiche, aperte ma da reti sociali
sostanzialmente chiuse. Con un individualismo dominante che è l’esito, per certi versi inevitabile, del
complesso processo/progetto di emancipazione portato avanti nel corso della modernità. Un processo di
emancipazione delle masse, prima, del Soggetto, poi, segnato da una profonda ambivalenza: da un lato,
infatti, esso ha accresciuto gli spazi di libertà e ha portato al riconoscimento di alcuni diritti fondamentali
(almeno in linea teorica); dall’altro, sembra aver contribuito ad indebolire i vincoli e i legami di appartenenza
alla comunità, in un momento in cui sono aumentati i legami di interdipendenza e le stesse potenzialità
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comunicative appaiono enormemente accresciute. Sia nel campo della condotta conoscitiva che in quello
della morale e dell’etica, attraversiamo una fase estremamente delicata in cui continuiamo ad assistere (per
la verità, già a partire dagli anni Ottanta) alla radicale messa in discussione del ruolo delle tradizionali
agenzie di socializzazione; al passaggio da una socializzazione verticale, rigidamente strutturata per tappe –
in cui i modelli culturali e i valori (insieme con pregiudizi e stereotipi) sono stati sempre imposti dall’alto ed
interiorizzati - ad una socializzazione orizzontale in cui gli attori sociali scelgono, spesso con pochi
“strumenti”, tra molteplici sistemi di orientamento valoriale e conoscitivo. A ciò si aggiunga che i media,
vecchi e nuovi (distinzione che non regge più, per questo preferiamo parlare di ecosistema), si sono
letteralmente divorati, insieme con il cd. “gruppo dei pari”, il tradizionale spazio educativo e formativo
funzionale alla costruzione sociale delle identità e delle soggettività. Ebbene, ancora una volta, proprio in
questo specifico contesto storico, il diritto alla filosofia rappresenta lo strumento indispensabile per provare a
tracciare una nuova “mappatura” adatta alla (apparente) indeterminatezza della società ipercomplessa. Mi
permetto di aggiungere anche che la domanda di filosofia trova, a mio avviso, un’ulteriore motivazione
“forte” nel diffuso degrado e torpore morale che contraddistinguono la nostra società: una società segnata
dal familismo amorale (Banfield), dall’assenza di una reale mobilità sociale verticale, nonché dall’assenza di
un modello culturale forte e di un’etica condivisa; variabili complesse che, unite al policentrismo
formativo, determinano, quasi paradossalmente, una condizione di “vuoto etico” (Jonas), quasi di “anomia”
(Durkheim), con omologazione culturale e conformismo dominanti. In altre parole: in una società
profondamente asimmetrica in cui, da una parte, la dimensione dell’irresponsabilità è egemone e rappresenta
la vera questione culturale e, dall’altra, l’istruzione e la formazione (soprattutto un certo tipo di formazione
descrittiva) non costituiscono più gli “ascensori sociali” di una volta in grado di garantire dinamicità ai
sistemi sociali, la teoria e la prassi del diritto alla filosofia diventano risorse strategiche, in grado di definire
condizioni di praticabilità per formare “teste ben fatte” e, nel lungo periodo, per far riacquistare autonomia
alla sfera pubblica. Pertanto, l’interrogativo di fondo, che tiene insieme il nostro paper, potrebbe essere così
formulato: perché è così forte la domanda di un diritto alla filosofia proprio in questo preciso momento
storico? Come già accennato, anche la cosiddetta “questione culturale” delinea, a mio avviso, un percorso
obbligato che passa necessariamente per la centralità della scuola e la qualità dei processi educativi ridando
centralità alla costruzione della Persona, che è anche e soprattutto il risultato di un NOI e non di un IO! Non
è inutile sottolineare, in tal senso, quanto possa rivelarsi decisivo un rilancio in grande stile degli studi
umanistici, sia in termini di ricerca che di formazione. La filosofia – lo ripetiamo - è ancora una volta il
“dispositivo” in grado di metterci in condizione di riconoscere e saper gestire la complessità; l’unico
“metodo” in grado di farci ragionare anche con la testa del “grande Altro”. Ciò assume ancor più significato
all’interno di mondi della vita sempre più contraddistinti dall’incertezza e dalla precarietà (condizioni, ormai,
esistenziali), dalle differenze e dal confronto tra sistemi di orientamento valoriale e tra linguaggi e codici di
comunicazione sempre più diversificati. Un diritto alla filosofia che non può rimanere “soltanto”
insegnamento e pensiero, ma che deve (dovrebbe), appunto, emanarsi in istituzioni trasparenti e accessibili,
oltre che in regimi democratici realmente inclusivi e in grado di garantire almeno l’eguaglianza delle
condizioni di partenza. Le stesse istituzioni, alla pari del diritto e delle leggi che sono sempre
cristallizzazioni di norme sociali e culturali pre-esistenti, rappresentano di fatto la traduzione operativa,
anche in termini di mediazione simbolica, di istanze sociali e culturali determinatesi all’interno di un dato
contesto storico-culturale, storicamente determinato. Il diritto alla filosofia assume, in tal senso, un valore
ancor più significativo proprio perché legato all’iper-complessità dei sistemi sociali attuali e si prefigura, in
tal senso, come pre-requisito fondamentale di un diritto alla cittadinanza che va ripensato e che implica il
superamento della stessa idea di democrazia procedurale. La filosofia non è, e non potrà mai essere, solo
materia di insegnamento ma pratica che dev’essere costruita insieme, poi insegnata e condivisa, fin dai primi
anni di scuola, allo scopo di formare persone in grado di orientarsi all’interno di un’offerta formativa
estremamente ambigua, complessa e articolata che rende sempre più difficile l’intuizione ma anche la scelta
razionale (cfr. il concetto di “razionalità limitata”). La domanda di filosofia è tornata straordinariamente forte
proprio per quel bisogno insopprimibile di ridare senso ai vissuti, alle biografie, alle storie di vita; ma anche
ad una realtà caotica, confusa, indeterminata nella quale la condotta morale e quella conoscitiva hanno
smarrito i tradizionali percorsi codificati. Come già detto, la filosofia rappresenta, in tal senso, anche il
tentativo fondamentale di rispondere alla domanda essenziale di ricongiungimento tra i saperi e le discipline.
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I livelli e i piani di discorso, in questo tipo di analisi, sono evidentemente molteplici e richiedono, al livello
della Politica, anche un superamento della visione tecnico-giuridica della partecipazione e fruizione dei
nuovi spazi di libertà, con tutte le criticità del caso. Più in generale, occorre un ripensamento del contratto
sociale e delle ragioni profonde che rendono possibili i sistemi e il legame sociale stesso e che, parafrasando
Jurgen Habermas, potremmo vedere anche come sistema di processi di argomentazione sensibile alla verità.
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