"LE ATTUALI TENDENZE DELLA RICERCA SOCIOLOGICA NELL

"LE ATTUALI TENDENZE DELLA RICERCA SOCIOLOGICA
NELL'ANALISI DEI PROBLEMI DELL'IMMIGRATO"*
Siamo, oggi, a distanza di venticinque anni dall'esplosione del fenomeno
migratorio avvenuto nel nostro paese, ormai lontani dal valutare l'immigrato
secondo codici di analisi sociologica che hanno contraddistinto la relativa
letteratura prodotta sull'argomento.
Il meridionale che lascia con rimpianto il paese natio, l'integrazione
linguistica nel luogo di approdo per attivare processi di comunicazione, la
problematica dell'inserimento e integrazione sociale, appartengono ad una
ricerca ed a una analisi che rispondeva ai temi e alle istanze di soluzioni degli
anni '60-70.
I fondamenti del problema sono diversi, non a caso il tema di questo
convegno è quello dell’"ecologia mentale culturale e ambientale dell'immigrato",
vale a dire quello del rapporto tra ambiente e i soggetti protagonisti.
L'immigrato in una grande città industriale, come Torino, non è solo il
meridionale, anche se detiene la maggioranza di presenze, ma anche il cittadino
piemontese che piomba nel capoluogo regionale, proveniente da realtà
territoriali agricolo-contadine.
L'approccio sociologico al tema, allora, diventa più complesso, più
articolato, per cogliere l'essenza del fenomeno nella peculiarità della svolta degli
anni '80.
Si pone, cioè, la necessità di un paradigma nuovo, più unitario e meno
frammentato per un'analisi che non può prescindere dall'ecologia umana, intesa
come scienza dell'uomo - dei sistemi umani - in rapporto con l'ambiente fisico
e socio-culturale (simbolico), naturale e artificiale.
Per sgombrare il campo da possibili equivoci diciamo subito che
l'ecologia umana non ha la pretesa di esaurire in sè l'intera gamma delle scienze
sociali e ambientali; ma si propone come la
* - Relazione tenuta al Convegno "ECOLOGIA MENTALE CULTURALE E
AMBIENTALE", organizzato dalla A.S.T., A.S.M.T. Amm. Prov.le di Torino e Amm.
Prov.le di Foggia, presso Hotel Ambasciatori di Torino il 14.5.1983.
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scienza di una delle dimensioni più rilevanti della realtà sociale: quella costituita
da fattori spaziali, territoriali, ambientali, insediativi, infrastrutturali in genere.
Nell'analisi della struttura della società si possono seguire molte linee
evolutive che vanno dalla tecnologia all'agricoltura, dal commercio all'arte, alla
lingua, alla famiglia, all'organizzazione della vita associativa.
Nè può essere confusa con la durkeimiana morfologia sociale (confinata
in un programma più teorico che pratico, in una elencazione degli oggetti di
studio); l'ecologia umana si è attrezzata di un apparato teorico-metodologico
piuttosto elaborato, che prendendo le proprie linee di partenza dalla sociologia
urbana, oggi in crisi, studia sì i problemi sociali della città (emarginazione,
immigrazioni, povertà, conflittualità, ecc.), ma con un segno politico inverso; si
occupa, cioè, non più della patologia sociale, ma della fisiologia del sistema,
dell'ambiente.
Infatti, ciò che ci interessa è vedere da vicino il ruolo dell'ambiente nella
sua formazione e trasformazione, i rapporti dei soggetti attori, le tecnologie e le
istituzionalizzazioni della pianificazione sociale.
La città, la città industriale in specie, è un fenomeno di massima
importanza per lo studio dell'ecologia umana: formidabile accelleratore della
evoluzione sociale ed incubatore delle trasformazioni successive. Tutto
promosso e dovuto alla concentrazione di un gran numero di persone,
appartenenti a nuclei d'origine i più diversi, in una molteplicità di scambi,
combinazioni, mutamenti a tutti i livelli: genetici, tecnologici, culturali, sociali.
Inoltre, è la città un centro di organizzazione e
controllo
politico
del
territorio: nella comunità rurale vi è la tendenza all'autonomia, alla chiusura,
all'isolamento, alla stabilità; la città rompe questa tendenza, attiva sistemi di
scambi, garantendo servizi e organizzazione delle aree.
La città pone anche il problema centro-periferia.
Nel centro hanno sede le istituzioni, gli individui e i processi che regolano
il sistema, qui si accumulano le informazioni, le risorse, per essere poi riciclate e
drenate. La periferia tende al centro, innescando la spirale del processo
sviluppo-sottosviluppo e tutto concorre alla realizzazione di questa tendenza:
processi simbolico-culturali, livelli di aspirazioni, legittimità o meno di pretese,
l'inevitabilità dell'eguaglianza.
Questa antinomia centro-periferia coinvolge la problematica
dell'emarginazione, laddove il convogliamento verso il centro ha come risposta
il rigetto delle forme più deboli, poichè scatta il meccanismo del rifiuto del
sovraccarico.
In realtà, ad analisi più accorta, si scopre che si instaura un processo di
allontanamento dal centro verso il margine, per un re141
cupero di autenticità che il centro stesso soffoca, per un ripristino ed
aggregazione sociale diversa, meno contaminata. P- l'ideologia sulla cui base
nasce la concezione urbana dei quartieri residenziali, degli interland, dei
quartieri-comunità, dove i flussi di comunicazione vengono recuperati sulla base
delle differenziazioni socio-culturali, delle classi e delle generazioni. Spesso
assolvono ad un ruolo specializzato di composizione sociale; pensiamo ai
quartieri degli immigrati, in questo caso agglomerati per aree di provenienza,
quasi difesa ecologica di una degradante contaminazione, con efficiente
organizzazione locale a livello di socializzazione primaria, di consumi e
ricreazione, di assistenza sociale, di manutenzione e trasformazione
dell'ambiente fisico. Una specie dunque di sistema locale a responsabilità
limitata, garante di una distribuzione attenta dell'attività di partecipazione
sociale.
In ambito di ecologia umana questi studi di sottocomunità urbane sono
diffusi; e sono, appunto, oggetto di attenzione da parte di sociologi le comunità
degli immigrati, sia nell'analisi degli insediamenti edilizi, dei problemi di densità,
di demografia, sia delle manifestazioni simbolico-culturali che esse esprimono.
Questo discorso dell'ecologia della città è fondamentale e imprescindibìle, poichè definisce la composizione dimensionale che viene
modificata dalle condizioni sociali, culturali e tecniche. Il ruolo degli immigrati è
importante, poichè la ricchezza socio-culturale che dietro essi si portano, pur
con tutti i limiti noti e conseguenti, impongono non la collaborazione emulativa,
ma quella comunitaria; e se in un primo momento il fenomeno immigratorio è
invasione, in un secondo momento sì concretizza in funzione efficiente di un
meccansmo che non può essere rallentato e si manifesta ìn un ruolo di
successione.
Vi sono delle funzioni che la città esercita verso il proprio entroterra e le
proprie popolazioni che i sociologi per comodità di studio amano
puntualizzare in:
- specializzazioni delle funzioni;
- differenze di classi;
- differenze di abitanti;
- diversità culturali;
che convergono tutte nel complesso ecologico, costituito dalla popolazione,
dall'ambiente, dalla tecnologia, dall'organizzazione.
Tenendo presente tale quadro di approccìo metodologico, vediamo
come secondo l'indagine sociologica l'organizzazione sociale delle città è
conseguenza di due meccanismi. Da una parte abbiamo le caratteristiche
permanenti e praticamente immutabili della città, come ad esempio la
problematica del controllo sociale (che si riduce, mano a mano che la città si
ingigantisce), l'anonimato, la diversità dei valori; dall'altra le difficoltà a cui
vanno incontro perma142
nentemente gli immigrati, vecchi e nuovi. L'attuale sociologia urbana accredita a
quest'ultimo aspetto maggiore attenzione e importanza che nel passato.
Il problema più rilevante è l'adattamento, che ha un suo graduale
processo, che si avvia con l'assimilazione, che registra una progressiva
eliminazione delle differenza di linguaggio e comportamento tra immigrati e
residenti originarii, e si consolida con l'acculturazione, cioè, con l'adozione delle
abitudini e dei valori di vita del nuovo ambiente.
Tale processo di adattamento secondo il Musil dipende da una serie di
fattori:
- capacità di adattarsi, in funzione dell'intelligenza, della maturità e adattabilità
della personalità;
- i motivi della migrazione, la differenza, cioè, tra coloro che hanno deciso e
voluto e coloro che sono stati costretti a trasferirsi in città (pensiamo alla
disoccupazione, alla proletarizzazione della popolazione agricola);
- la differenza tra città e campagna: l'aspirazione ai modelli e valori di vita
urbani;
- l'età, il sesso e lo stato familiare degli immigrati;
- l'istruzione e la posizione sociale d'origine;
- l'accoglienza che l'immigrato riceve sul luogo di lavoro, nel vicinato, nella
comunità dove installa la residenza;
- l'importanza delle tradizioni e dei legami sociali nella località d'origine;
- la qualità dell'alloggio quando si trasferisce con l'intera famiglia.
Le persone che si trasferiscono volontariamente hanno piena coscienza
anche delle difficoltà e si adattano più facilmente. Inoltre, nel decorso
dell'adattamento e nella crisi personale ha influenza anche il modo come si sono
trasferiti.
Negli studi sociologici si elencano a tal proposito due forme
fondamentali:
- trasferimento contemporaneamente a familiari ed amici, per raggiungere
coloro che già vivono in città e inserimento in ambienti che cercano di
mantenere le abitudini di origine;
- trasferimento individuale e sistemazione autonoma con vari dislocamenti nelle
parti della città.
Nel primo caso l'adattamento si svolge con minore difficoltà psicologica
e con maggiore sicurezza comportamentale. Non hanno necessità di rinunciare
rapidamente alle vecchie abitudini; si trovano inseriti in un gruppo di immigrati,
ormai definito come complesso sociale autonomo.
Nel secondo caso l'adattamento è difficile: la separazione con il mondo
d'origine è rapida, senza gradualità quasi, con prevalenza di
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stati di solitudine e di difficoltà ad intessere la comunicazione sociale.
La letteratura sociologica di questi ultimi anni ha evidenziato anche un
altro problema che ha una sua rilevanza pregnante: la crisi della seconda
generazione.
La prima generazione di immigrati non ha difficoltà insolubili di
adattamento come la seconda generazione, perchè si difende dalla
disorganizzazione ambientale a cui va incontro regolando i valori umani che
assume sulla scorta della educazione tradizionale ricevuta. I figli, però, seconda
generazione, vengono a trovarsi in situazione conflittuale, dovendo soddisfare
sia le esigenze determinate dalle norme tradizionali della società d'appartenenza
dei genitori, sia le esigenze del nuovo ambiente in cui i genitori si sono trasferiti.
Per quel che riguarda la salute mentale si è accertato ormai che il
manifestarsi di malattie mentali è maggiore nella prima generazione che non
nella seconda.
I fenomeni di nevrosi e di alienazione che il nuovo ambiente provoca
colpisce l'immigrato, che viene colto impreparato nell'impatto.
Va rilevato, in ogni caso, come gli effetti dell'emigrazione nella città non
possono essere generalizzati e come l'adattamento, e i fenomeni del suo
decorso, colpiscono ogni generazione, anche se probabilmente in una diversa
sfera della personalità.
Tutto il decorso dell'adattamento, se per un attimo facciamo mente
locale alla nostra impostazione metodologica di valutare il problema dal punto
di vista ecologico, trova giustificazione e validità di analisi in ambito appunto di
ecologia umana. In tal caso l'inserimento è un processo sociale che tende ad
armonizzare ed unificare elementi diversi e competitivi che provengono dalle
personalità dei singoli o dei gruppi. Chiaramente per ecologia dell'immigrato si
intende non acquisizione radicale di una cultura nuova, ma ricerca e accettazione
di valori del nuovo ambiente insieme a quelli che l'immigrato porta con sè;
libera circolazione delle idee, modelli e tradizioni provenienti dalle regioni di
emigrazione, evidentemente sino a non ledere le norme naturali del vivere
associativo.
La definizione dei bisogni completa il quadro entro cui delineare le linee
di una strategia ecologica che vanno dai bisogni materiali (alloggi,
abbigliamento) e occupazionali, a quelli dell'istruzione, del rapporto sociale, dei
bisogni ricreativi e di quelli religiosi (pensiamo, in tal caso, al trasferimento di
alcune feste religiose dai luoghi d'origine alle comunità urbane).
I problemi permanenti dell'immigrato si possono ridure a tre: incertezza
posizionale (l'immigrato è abituato ad una struttura sociale semplice, permanente
nel tempo; le società urbane vivono in una dinamica in cui la posizione sociale
dei suoi membri è in conti144
nua trasformazione e relativa stabilità. Gli stessi rapporti stentano a diventare
durevoli e sono per lo più occasionali). Esperienza della mobilità (nel contesto
urbano l'immigrato trova nuove prospettive di mobilità, ma viene investito di
nuove responsabilità che prima non aveva: è responsabile di ciò che è e della
posizione che può acquisire. L'immigrato questa situazione la vive
drammaticamente, maturando una sicurezza e precarietà della propria
condizione). Esperienza di conflitti di valori; problema dell'anomia (il passaggio da una
società ad un'altra, da una cultura ad un'altra comporta un'esperienza di conflitti
di valori).
Le norme di vita di una società tradizionale quali l'onestà, la prudenza, il
rispetto in una società in trasformazione tendono a rompersi in quanto che
decadono del significato norma-valori, per essere assunti come fini-mezzi.
A questo punto cadere in una crisi di anomia è facile.
In ciò, dunque, va tutelato l'immigrato, se vogliamo puntare ad una
politica ecologica e di non pura e banale integrazione, che si risolve spesso più
in fatto formale che sostanziale.
Un altro problema affiora nella letteratura sociologica in ambito di
discorsi sull'ecologia culturale dell'immigrato; è quello della distanza culturale.
Vi sono sociologici che sono convinti che per il caso Italia non si può
parlare di effettiva distanza culturale tra culture tipiche di due società pur
diverse, almeno per l'esperienza degli ultimi dieci anni.
Il progresso tecnologico e il grosso impatto dei mass-media hanno
colmato la sacca che pur venticinque anni fa era evidente.
Oggi non esistono più le isole insediative, le varie società e i vari
agglomerati sociali sono sempre in rapporto con un insieme sociale più vasto.
Tuttavia, il problema nella sua peculiarità esiste, perchè la cultura non è qualcosa
di oggettivo che si può indagare senza tralasciare la realtà sociale, politica ed
economica dei gruppi presi in considerazione. Rimane essa comunque un
risultato ideologico strettamente collegato al modo di produzione di una
determinata società in un determinato periodo storico. Per accertare come un
immigrato muti il suo modo di pensare, le sue usanze, la rappresentazione della
realtà che lo circonda non è sufficiente dire che ciò avviene perchè ha mutato
abito sociale e che si deve adeguare per non sentirsi "fuori posto" o perchè si
trova di fronte ad attrattive più invitanti (nel caso in cui possa constatare le
rispondenze dei modelli trasmessigli dai mass-media). Occorre, invece, tenere
presente come nelle diverse situazioni di partenza e integrazione (nel suo decorso) agiscono i diversi rapporti economici.
La civiltà industriale ha imposto la propria cultura come dominante,
trasmettendo i suoi messaggi in forme universali. Dice Lombardi-Satriani che
"una cultura esterna agisce prima, oltre che
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come poponitrice di nuovi modelli, come demolitrice e disgregatrice dei vecchi
e tradizionali".
I mass-media funzionano da elementi gratificatori e da molla per
l'immigrazione, poichè forniscono all'immigrato immagini di una società, dove
si è insediato, migliore della sua origine. Allora, più che di distanza bisogna
parlare di una situazione in cui i valori tradizionali soccombono; e i mass-media
con questa strategia lavorano già nei luoghi d'origine dei nostri immigrati,
mettendo in forte crisi le culture locali.
A conclusione del nostro discorso, non possiamo non evidenziare due
problemi che investono la tematica dell'ecologia dell'immigrato; naturalmente ci
limitiamo solo ad accennarli, data la complessità di aspetti che contengono.
Essi sono: - il pregiudizio etnico e gli stereotipi; - i servizi dell'Ente
Pubblico.
Il tema del pregiudizio etnico è ancora oggi oggetto di grande dibattito:
esso non è nato solo al momento della invasione dell'immigrato, ma della
successione, quando i gruppi sociali si sono andati consolidando nelle comunità
urbane di approdo. Naturalmente, va visto come una forma deteriore e di
sgretolamento dei rapporti sociali tra immigrati e residenti, poichè nella nostra
cultura è da ritenersi in ogni caso fenomeno spurio. La cultura italiana si fonda
su un patrimonio sociale di gruppi umani che comprende conoscenze,
credenze, fantasie, ideologie, simboli fondamentalmente omogenei.
Il regionalismo politico prevalso per eventi storici e per conformazione
geografica ha contribuito ad una serie di pregiudiziali separatezze, per cui su un
fondo culturale comune, si sono venute formando delle diversificazioni
sub-culturali che coesistono, nonostante più di centotrenta anni di unità
nazionale e la naturale interazione delle forze socio-economico culturali del
paese.
L'ISTITUTO SUPERIORE DI PSICOLOGIA SOCIALE DI TORINO e IL CENTRO RICERCHE INDUSTRIALI E SOCIALI DI TORINO, hanno effettuato negli anni ’60 una serie di ricerche e sondaggi dove
affioravano degli stereotipi di meridionali e di piemontesi che oggi ci fanno
sorridere.
Lo stigma sociale, il pregiudizio etnico che si può avere nei confronti
dell'immigrato è identico a quello che la società urbana esprime nei confronti di
fenomeni di marginalità sociale. Sono forme, in sostanza, per connotare il
disadattamento sociale, la discriminazione, l'emarginazione.
L'intervento dell'Ente pubblico, dinanzi a simili situazioni, s'impone.
Gli immigrati, sia chiaro una volta per tutte, non hanno bisogno di
assistenza, bensì di servizi, che l'Ente locale deve garantire, come li garantisce a
tutti i residenti nella città. Si tratta di servizi che ser146
vono al funzionamento efficiente della città di cui gli immigrati fanno parte. E
Torino è forse l'unica città che, in merito, offre modelli positivi e riusciti di
intervento.
Chiaramente non è questa la sede per discutere le politiche di intervento
come articolarle: ci basti accennare che dopo trenta anni dai primi esodi, una
città come Torino si trova a far fronte al problema degli anziani immigrati,
dell'istruzione delle nuove generazioni, dei servizi sociali primari e delle
infrastrutture dei nuclei abitativi, e lo fa con un impegno esemplare,
Infatti, se la città la si vuole produttiva e efficiente è importante realizzare
una politica di intervento oculato, senza sprechi, con priorità indiscutibili,
attraverso una pianificazione omogenea, dove tutti, dico tutti, possono fruire e
partecipare attivamente alla crescita civile.
Per concludere, non possiamo passare sotto silenzio il fatto che
l'immigrato ha trovato nelle forme dell'associazionismo una delle soluzioni ai
complessi problemi che deve quotidianamente affrontare.
L'associazionismo fa leva sulla solidarietà, sulla cooperazione, in un
intreccio di interessi economico-socio-culturali. Esso se negli anni passati aveva
assunto i connotati del mutuo-soccorso, oggi si configura come una necessità,
un servizio vero e proprio, per educarsì alla partecipazione, a decidere in
democrazia, a socializzare l'informazione culturale. Inoltre, la sua funzione più
qualitativa, a nostro avviso, va vista nella capacità di collegare attraverso le attività che si inventa e svolge i caratteri originari e i bisogni delle nuove
generazioni.
Non è un'azione di supplenza, ma di stimolo all'Istituzione pubblica, al
politico locale.
LUIGI MANCINO
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