Gargnano, Storia della logica

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Lezioni di storia della logica: Gargnano, 26-31 agosto 2013
Massimo Mugnai
Scuola Normale Superiore, Pisa
e-mail: [email protected]
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LOGICA ANTICA E MEDIEVALE
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Paulus Bor (1600-1669): Allégorie du Syllogisme
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Logica e matematica nell’antichità
Euclide (323-286 a.C.) Elementi
Aristotele (384-322) Organon
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LOGICA ARISTOTELICA
LOGICA STOICA
I
I
logica dei termini (delle classi)
logica degli enunciati (proposizioni)
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Organon
Il titolo venne attribuito da Andronico da Rodi (I sec. a.C.) a una
collezione di testi di argomento affine:
Categorie
Topici
De interpretatione
Analitici primi
Analitici secondi
Confutazioni sofistiche
Importanti riflessioni di logica e di filosofia della logica sono presenti
nel libro IV (Γ) della Metafisica.
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Categorie
Contengono un elenco di quelli che potremmo chiamare ‘i dieci
concetti fondamentali’ sotto i quali è possibile classificare tutto ciò
che esiste. Data una qualsiasi ‘cosa’, questa è classificabile, infatti, o
come sostanza o come qualità o quantità, ecc. Nella tradizione dei
commenti permarrà a lungo il problema di stabilire se siffatta
classificazione abbia carattere prevalentemente logico-linguistico,
oppure se, nelle intenzioni di Aristotele, corrisponda a una distinzione
di tipo ontologico, se, cioè, pretenda di descrivere come veramente
stanno le cose nella realtà, indipendentemente dal nostro modo di
classificarle.
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Categorie
L’ elenco delle dieci categorie si trova all’inizio del capitolo 4 (Cat. 1
b 25):
“Delle cose dette senza alcuna connessione, ciascuna
significa o sostanza o quantità o qualità o un relativo o
dove o quando o l’essere in una posizione o avere o agire o
patire”.
Soltanto nei Topici (I, 9), quindi in un altro testo giovanile,
Aristotele elenca nuovamente tutte e dieci le categorie. In altre opere
compaiono elenchi ridotti.
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De interpretatione
Ha carattere composito e contiene:
riflessioni sul significato delle espressioni linguistiche (nome,
verbo, negazione, ecc.);
uno studio dei rapporti reciproci tra i quattro enunciati
categorici fondamentali (la prima determinazione del ‘quadrato
delle opposizioni’);
una complessa analisi di enunciati contingenti che concernono il
futuro.
Quest’ultimo tema viene affrontato nel capitolo IX dell’opera, e sarà
sottoposto a un numero incalcolabile di commenti, fino ai nostri
giorni. In termini estremamente semplificati, la questione affrontata in
questo capitolo può essere riassunta nella domanda: com’è possibile
che la verità di un enunciato concernente il futuro sia determinata
(indipendentemente dal fatto dal fatto che noi lo conosciamo come
vero), senza che tale enunciato risulti necessariamente vero?
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Topici
Trattano dell’inferenza che muove da premesse che non sono prime e
vere di per sè ma che sono ritenute tali. È una sorta di prontuario
per orientarsi nelle dispute, ed è probabile che sia l’opera logica di
Aristotele maggiormente influenzata dall’insegnamento platonico. Vi
compaiono tipi di inferenze non sillogistiche e, per certi versi, l’analisi
logica è più varia e articolata rispetto a quella degli Analitici primi.
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Topici
Chiediamoci se gli elementi a, b, c . . . di una classe di oggetti C
abbiano una determinata proprietà P; supponiamo, inoltre, di sapere
che gli oggetti in questione appartengono alla specie B e che B è
specie di un determinato genere A. Consultando i Topici al capitolo
che tratta dei rapporti tra un genere e le sue specie, si troverà la
regola
“tutto ciò che si predica con verità degli individui
appartenenti a un determinato genere, si predica con verità
degli individui che appartengono a una delle sue specie
subalterne”.
Applicando la regola al caso in questione, se risulterà che gli oggetti
del genere A hanno la proprietà P, allora anche gli oggetti a, b, c . . .
avranno P.
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Topici
Si può dire, perciò, che i Topici sono una raccolta di ‘luoghi’ (in
greco tòpoi ) o temi, in corrispondenza dei quali vengono specificate
varie regole o prescrizioni. Coloro che disputano, in base
all’individuazione del luogo, possono scegliere la regola che, riguardo
al particolare argomento della loro discussione, dev’essere applicata.
Luogo (tòpos);
Regola o massima (prescrizione del tipo: se ti trovi in questa
situazione, fai questo e quest’altro!)
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Analitici primi e Analitici secondi
Gli Analitici primi introducono e studiano l’argomentazione
sillogistica: definiscono le figure e i modi; svolgono un’analisi del
sillogismo modale, vale a dire del sillogismo che contiene le
espressioni ‘possibile’, ‘impossibile’, ‘necessario’, ecc. È questa la
parte dedicata allo studio di quelle che Aristotele ritiene siano le
procedure dimostrative in senso proprio.
Gli Analitici secondi concernono soprattutto questioni di filosofia
della logica, di metodologia, di ontologia e di quella che oggi
chiameremmo ‘filosofia della scienza’. In quest’opera Aristotele
cerca di definire il concetto proprio della conoscenza scientifica.
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Confutazioni sofistiche
Discutono sia argomentazioni costruite di proposito per essere fallaci
(‘sofistiche’, appunto) sia veri e propri paradossi, cioè argomenti che
conducono a genuine contraddizioni, cercando di fornire soluzioni. In
questo testo, Aristotele (El. 180 b) accenna al cosiddetto ‘paradosso
del mentitore’, concernente un enunciato del tipo ‘io sto mentendo’:
“Simile alle suddette è inoltre l’argomentazione secondo la
quale la medesima persona può dire al tempo stesso il falso
e il vero; dato però che non è facile vedere se il discorso in
questione debba venire stabilito come vero in senso assoluto
o come falso in senso assoluto, la risoluzione risulta ardua”.
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Sillogismo ‘classico’ - di origine
aristotelica
Un sillogismo è un argomento composto da tre enunciati: due
premesse e una conclusione. Ciascun enunciato ha forma
soggetto-copula-predicato e nei tre enunciati occorrono soltanto 3
termini, uno dei quali, detto termine medio compare nelle premesse e
non nella conclusione.
La forma generale di un argomento sillogistico è la seguente:
A, B |= C;
con ciascuna lettera ‘A’, ‘B’ e ‘C’ sostituibile da uno dei quattro
enunciati categorici tradizionali.
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I 4 enunciati categorici
A.
I.
E.
O.
Tutti gli S sono P
Qualche S è P
Nessun S è P
Qualche S non è P.
AdfIrmo
NegO.
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Quadrato aristotelico
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Inferenze dirette
(1)
Nessun S è P
Nessun P è S
(2)
Qualche S è P
Qualche P è S
(1) e (2) erano chiamate regole di conversione semplice
(conversio simplex)
ad esse veniva affiancata la regola di conversione per accidens,
applicabile agli enunciati universali affermativi (A):
(3)
Tutti gli S sono P
Qualche P è S
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Il termine medio ha la funzione di stabilire un nesso tra gli altri
due termini che entrano nelle premesse del sillogismo:
I
I
termine maggiore (predicato della conclusione);
termine minore (soggetto della conclusione);
la premessa che contiene il termine maggiore è chiamata
premessa maggiore
la premessa che contiene il termine minore è chiamata premessa
minore.
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Se poniamo:
‘S’ = termine minore;
‘M’ = termine medio;
‘P’ = termine maggiore
e rispettiamo la condizione che il termine medio debba comparire una
sola volta in ciascuna premessa, data la struttura generale del
sillogismo si avranno soltanto quattro possibili disposizioni, che la
tradizione chiama
FIGURE [SILLOGISTICHE]:
(I)
MP
SM
SP
(II)
PM
SM
SP
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(III)
MP
MS
SP
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(IV)
PM
MS
SP
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Poiché le figure sono 4, e
ciascun enunciato che entra in ciascuna figura può assumere una
delle quattro forme categoriche:
A, E, I, O,
da ciò segue che, sulla base delle figure, si possono generare
43 x 4 = 256 sillogismi
detti modi del sillogismo.
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Usuale convenzione
Universale affermativa = ‘A(SP)’
Universale negativa = ‘E(SP)’
Particolare affermativa = ‘I(SP)’
Particolare negativa = ‘O(SP)’
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Per esempio, il sillogismo:
A(PM) E(SM)
I(SP)
è riconoscibile come un sillogismo di seconda figura, con premesse,
rispettivamente, universale affermativa e universale negativa, e
conclusione particolare affermativa.
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Dei 256 possibili modi sillogistici, quelli che risultano validi sono,
infine, soltanto 24 (6 per ciascuna figura). Il loro numero, tuttavia,
può essere ridotto fino a 19, se si eliminano i 5 modi cosiddetti
subalterni, che derivano da modi validi per ‘subalternazione’ (il
passaggio, per esempio, da SaP a SiP).
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Versi mnemonici
Prima figura: Barbara, Celarent, Darii, Ferio;
Seconda figura: Cesare, Camestres, Festino, Baroco;
Terza figura: Darapti, Disamis, Datisi, Felapton, Bocardo,
Ferison;
Quarta figura: Bramantip, Camenes, Dimaris, Fesapo, Fresison.
I 5 modi subalterni sono:
Prima figura: Barbari, Celaront;
Seconda figura: Cesaro, Camestrop;
Quarta figura: Camenop.
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Sillogismi di prima figura
I sillogismi di prima figura hanno un ruolo privilegiato rispetto agli
altri. A questi sillogismi è attribuito un grado di evidenza che li pone
come veri e propri assiomi: da essi sono ricavabili, mediante l’uso di
regole logiche accettate, tutti i restanti.
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La consonante iniziale del nome mnemonico indica a quale modo
della prima figura è riconducibile il modo in questione (es.
Bramantip (quarta figura)/ Barbara).
‘m’ indica che, per operare la riduzione, bisogna scambiare le
premesse (mutatio praemissarum);
‘s’ indica che all’enunciato designato dalla vocale che la precede
(e oppure i) va applicata la regola della conversione semplice
(conversio simplex);
‘p’ indica che all’enunciato designato dalla vocale che la precede
(a) si deve applicare la regola della conversione per accidens;
‘c’ indica che al modo va applicata la dimostrazione indiretta
(per contradictoriam).
‘s’ posta in finale di una parola mnemonica, indica che alla
conclusione ottenuta sulla base delle premesse del modo
corrispondente di prima figura deve essere applicata la
conversione semplice.
Le rimanenti consonanti non hanno significato, rispetto alle
trasformazioni logiche.
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esempio di riduzione
Camestres (seconda figura):
A(PM) E(SM)
E(SP)
2
scambio premesse (m): E(SM) A(PM)
conversione semplice (s) applicata alla maggiore:
E(MS) A(PM)
3
si ottiene Celarent:
1
4
E(MS) A(PM)
E(PS)
si converte la conclusione E(PS), ottenendo E(SP) la
conclusione di Camestres.
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altro esempio di riduzione
Festino (seconda figura):
E(PM) I(SM)
O(SP)
1
2
Conversione semplice della prima premessa (s): E(MP) I(SM);
si ottiene Ferio (prima figura), che permette di inferire O(SP),
conclusione di Festino.
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ultimo esempio di riduzione
Dimaris (quarta figura):
I(PM) A(MS)
I(SP).
Scambiando le premesse:
A(MS) I(PM)
I(PS),
otteniamo, mediante Darii della prima figura, la conclusione I(PS); e
mediante conversione semplice otteniamo I(SP), vale a dire la
conclusione di Dimaris.
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Baroco; Bocardo
Baroco:
A(PM) O(SM)
O(SP).
Supponiamo che il modo sia invalido:
Ipotesi: A(PM) e O(SM) sono veri e O(SP) falso.
Se O(SP) è falso, sarà vero A(SP), l’enunciato ad esso
contraddittorio.
A(SP) congiunto con A(PM) dà luogo alla coppia di premesse in
Barbara:
A(PM) A(SP)
dalle quali si ricava A(SM).
Contraddizione con l’ipotesi (che A(SM) sia vera)!!
Perciò l’ipotesi che Baroco sia non-valido è falsa.
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Teoria della distribuzione dei termini
Un termine si dice distribuito se compare
come soggetto in A;
come soggetto o predicato in E;
come predicato in O.
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Si dice non distribuito se figura
come soggetto in I o O
come predicato in A o I
Nella tradizione aristotelico-scolastica, la teoria della distribuzione dei
termini era utilizzata per definire alcune condizioni fondamentali circa
la validità dei sillogismi.
Venivano perciò distinte due serie di regole sillogistiche: sui termini e
sulle proposizioni.
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Regole sui termini
1. Nel sillogismo devono entrare soltanto tre termini: maggiore,
minore e medio.
2. Il medio deve comparire nelle premesse e non nella conclusione.
3. I termini nella conclusione non devono avere estensione maggiore
che nelle premesse.
4. Il medio deve essere distribuito almeno una volta nelle premesse.
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regole sulle proposizioni
5. Due premesse affermative non possono generare una conclusione
negativa.
6. Da premesse entrambe negative non segue alcuna conclusione.
7. La conclusione segue sempre la parte più debole.
8. Da premesse particolari non segue alcuna conclusione.
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due regole fondamentali, desunte da
sopra
il termine medio dev’essere distribuito almeno in una premessa;
se un termine è distribuito nella conclusione, allora dev’essere
distribuito nella premessa nella quale occorre
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Dibattito sulla teoria della
distribuzione
Peter Geach, Reference and Generality, Cornell University Press,
New York, 1962;
P. Geach, Distribution: A Last Word?, in Logic Matters, Oxford,
1981;
D. Makinson, Remarks on the Concept of Distribution in
Traditional Logic, in “Noûs”, vol. 3, 1969, pp. 103-8;
V. Sanchez Valencia, Monotonicity in Medieval Logic, in
“Language and Computation”, vol. 4, 1994, pp. 161-74;
W. Hodges, The Laws of Distribution for Syllogisms, in “Notre
Dame Journal of Formal Logic”, 39, 2, 1998, pp. 221-230;
T. Parsons, The Doctrine of Distribution, “HPL”, 27, 2006, pp.
59-74.
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Geach rifiuta la teoria della distribuzione, prevalentemente in
base a considerazioni di tipo semantico in Ref. and Gen. e poi in
base a problemi legati a inferenze in A Last Word;
gli altri rivalutano la teoria facendo riferimento alla nozione di
‘monotonicità’ e all’idea che esista una sorta di ‘logica naturale’
che sottende le inferenze che vengono svolte nel linguaggio
ordinario.
Tema della logica naturale e della logica artificiale
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esempio di applicazione della regola
Nella prima figura:
(MP) (SM)
(SP)
la premessa minore deve essere affermativa e la maggiore universale.
Infatti, se la minore fosse negativa, ciò implicherebbe che la
conclusione (per 7) dovrebbe essere negativa. Se però la conclusione
fosse negativa, la maggiore (per 6) dovrebbe essere affermativa: cosı̀
il termine maggiore (predicato della conclusione) sarebbe distribuito
nella conclusione e non distribuito nella premessa maggiore, contro la
regola 3. D’altra parte, se la minore è affermativa, in essa il termine
medio, che funge da predicato, sarà non distribuito, perciò per la
regola 4, dovrà essere distribuito nella premessa maggiore, nella quale
funge da soggetto: dunque, la maggiore dovrà essere universale.
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altro esempio
Nella terza figura:
(MP) (MS)
(SP)
la premessa minore deve essere affermativa e la conclusione
particolare.
Se infatti la minore fosse negativa, anche la conclusione dovrebbe
esserlo, e la premessa maggiore dovrebbe essere affermativa: cosı̀,
però, il predicato della conclusione risulterebbe distribuito nella
conclusione e non distribuito nella prima premessa. D’altra parte, se
la minore è affermativa, per la regola 3, il soggetto della conclusione
non deve essere distribuito.
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Gli enunciati singolari
La sillogistica aristotelica ammette anche enunciati singolari, vale a
dir enunciati che, per soggetto, possono avere: un nome proprio; un
termine ‘indicale’ (‘questo’, ‘quello’); una descrizione definita (‘il
maestro di Platone’, . . . ).
Problema di come inserirli nel quadro dell’inferenza sillogistica.
Di solito venivano equiparati agli enunciati universali (‘Socrate è
filosofo’ = ‘Ogni Socrate è filosofo’). C’era però chi li considerava
equivalenti a enunciati particolari oppure a entrambi.
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Gli enunciati singolari
Gli enunciati singolari nella sillogistica hanno una posizione ‘ambigua’
(‘anomala’):
Da un lato forniscono la base per l’analisi della struttura
dell’enunciato elementare (soggetto-copula-predicato), che viene
estesa a tutti gli enunciati categorici;
dall’altro, vengono ‘forzati’ dentro lo schema dei 4 enunciati
categorici fondamentali.
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ARISTOTELE
Aristotele conosce le inferenze immediate: conversione semplice e
conversione per accidens; e ne dà una dimostrazione basandosi su due
regole, che assumono un ruolo fondamentale nel suo sistema:
esposizione (èktesis)
‘sillogismo espositorio’ [nome dato dai medievali]
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Èkthesis
(1)
Qualche S è P
i è S
(2)
Qualche S è P
i è P
Che è una regola analoga alla ‘esemplificazione esistenziale’:
∃x(Px)
Pa;
con a non impiegata prima.
NB. Problemi interpretativi!
R. Smith, “What is Aristotelian Ecthesis?”, HPL, 3, 1982, 113-27.
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Sillogismo espositorio
In forma positiva:
(i è P) (i è Q)
Qualche P è Q
In forma negativa:
(i non è P) (i non è Q)
Qualche P non è Q
Analogo alla ‘generalizzazione esistenziale’:
Pa
∃x(Px);
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An. Pr. I, 25a 7-14
1
2
3
4
“È necessario che una premessa universale privativa
dell’appartenere si converta rispetto ai suoi termini. Per esempio,
se nessun piacere è un bene, nessun bene sarà un piacere.
Mentre la premessa positiva si converte necessariamente,
sebbene non universalmente, ma solo parzialmente. Per esempio,
se ogni piacere è un bene, allora qualche bene sarà un piacere.
Tra le premesse particolari, quella affermativa si deve convertire
parzialmente (poiché se qualche piacere è un bene, allora
qualche bene sarà un piacere);
ma la premessa privativa non è necessario che si converta
(poiché, se uomo non appartiene a qualche animale, non è il
caso che animale non appartenga a qualche uomo).”
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dimostrazione di (1)
“Ora, se A non appartiene ad alcuno dei B, allora neppure B
appartiene ad alcuno degli A. Poiché, se appartenesse a qualcuno
(per esempio a C), non sarebbe vero che A non appartiene ad alcuno
dei B, poiché C è uno dei B.”
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dimostrazione di (1)
1
2
I (AB)
3
Ac
4
Bc
5
I (BA)
6
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E (BA)
E (AB)
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dimostrazione di (2)
“Se ogni B è A, allora qualche A sarà B. Poiché, se nessun A è B,
allora nessun B sarà A, ma si era assunto che ogni B fosse A.”
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49 / 93
dimostrazione di (2)
1
A(BA)
2
E (AB)
3
E (BA)
4
I (AB)
NB: al passo 3 presuppone la dimostrazione di (1)
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Sillogismo aristotelico
Aristotele è il primo a impiegare sistematicamente lettere
dell’alfabeto al posto di termini qualsiasi, con lo scopo di ricorrere a
schemi generali per rappresentare esempi concreti di sillogismi (validi
e invalidi) e mettere cosı̀ in risalto la forma dell’inferenza sillogistica.
Quest’uso delle lettere richiama da vicino la moderna nozione di
‘variabile’: Aristotele, tuttavia, non poteva avere il nostro concetto di
variabile ed è più opportuno considerare le lettere che egli impiega
come semplici ‘segnaposto’ per termini generali del linguaggio.
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Sillogismo aristotelico
1. Contrariamente a quanto accade col ‘sillogismo classico’, il
sillogismo aristotelico fa un uso limitato di nomi propri; pertanto un
sillogismo del tipo: “Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è uomo;
Dunque, Socrate è mortale” non può essere considerato un esempio
tipico di sillogismo come lo intende Aristotele.
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An. Pr. I 27 39-42a
“Né possono gli individui esser predicati di altre cose, altre
cose, invece, sono predicate degli individui. È chiaro,
tuttavia, che per ciò che sta nel mezzo è possibile la
predicazione in entrambi i sensi (poiché tali cose possono
esser dette di altre cose e queste di esse). E gli argomenti e
le indagini concernono quasi sempre in grado eminente
queste cose.”
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sillogismo aristotelico
2. In quella che potremmo chiamare ‘presentazione canonica’ del
sillogismo, Aristotele preferisce impiegare il verbo ‘appartenere’
(upàrchein ), invece del verbo ‘essere’. Cosı̀, l’universale affermativa
assume la forma: ‘P appartiene a tutti gli S’; la particolare negativa
diventa: ‘P non appartiene a qualche S’, ecc. Sebbene Aristotele
impieghi anche locuzioni più naturali per la lingua greca, come ‘Tutti
gli S sono P’, ‘Qualche S non è P’, ecc., ritiene, tuttavia, che la
rappresentazione del rapporto tra soggetto e predicato in termini di
appartenenza sia più consona a esprimere i quattro enunciati
categorici fondamentali. Ciò comporta, rispetto alla tradizione
successiva, un’inversione: dal punto di vista schematico, la prima
figura sillogistica della tradizione diventa la quarta secondo la
presentazione aristotelica.
Massimo Mugnai (SNS Pisa)
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sillogismo aristotelico
3. Aristotele conosce e usa la quarta figura sillogistica, si limita
tuttavia a teorizzare l’esistenza delle sole prime tre figure. Circa le
ragioni di questo comportamento si è molto discusso: è probabile che
sia da imputarsi al fatto che la prima e la quarta figura, per la loro
struttura, gli apparissero sostanzialmente analoghe, quasi che la
quarta non fosse altro che una variante della prima.
Massimo Mugnai (SNS Pisa)
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sillogismo aristotelico
4. Aristotele chiama ‘sillogismo’ prevalentemente la coppia di
premesse che determinano figura e modo; e tende a presentare
l’inferenza sillogistica in due maniere differenti, senza distinguerle
chiaramente tra loro: da un lato come un insieme di tre enunciati
(due premesse e una conclusione: “A; B; Dunque C”), dall’altro
come un unico enunciato condizionale, costituito dalla congiunzione
delle premesse che inferisce la conclusione (“Se A e B, allora C”)
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56 / 93
questione storiografica
Contrapposizione: sillogismo come regola o come proposizione
(condizionale).
J. Lukasiewicz, Aristotle’s Syllogistic from the Standpoint of
Modern Formal Logic, 2nd ed., Oxford, Clarendon Press, 1957;
J. Corcoran, Aristotle’s Natural Deduction System, in Ancient
Logic and Its Modern Interpretations, Dordrecht-Boston, Reidel,
1974;
T. Smiley, What is a Syllogism?, in “Journal of Philosophical
Logic”, 2, 1973, 136-154.
P. Thom, The Syllogism, München, Philosophia Verlag, 1981.
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5. Negli Analitici primi, per trovare le coppie di premesse che non
danno luogo a sillogismi validi, Aristotele impiega un metodo che
avrà scarso seguito nella tradizione sillogistica successiva. Dopo avere
specificate le premesse che determinano un modo, Aristotele, per
mostrare che tali premesse sono ‘sterili’, sceglie due opportune terne
di termini che, sostituite alle lettere nello schema sillogistico
prefigurato dalle premesse, danno luogo a conclusioni distinte, tra
loro incompatibili. Per avere un’idea del procedimento aristotelico, si
consideri il seguente esempio, tratto dal quarto capitolo del primo
libro degli Analitici primi.
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metodo del contro-esempio
Partiamo dal modo di prima figura con premesse A(MP) e E(SM), e
prendiamo in considerazione le due terne di termini:
a) A = ‘animale’; U = ‘uomo’; C = ‘cavallo’
b) A = ‘animale’; U = ‘uomo’; P = ‘pietra’
in modo da formare le due coppie di premesse:
(a)
(b)
A(UA) E(CU)
A(UA) E(PU)
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Consideriamo, quindi, due altre asserzioni:
1 A(CA) ‘Ogni cavallo è un animale’, compatibile con A(UA),
E(CU);
2 E(PA) ‘Nessuna pietra è un animale’, compatibile con A(CA),
E(PU).
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Supponiamo, cioè, con (1), che il termine maggiore si predichi di tutti
gli oggetti che cadono sotto il termine minore; e che, con (2), il
termine maggiore sia escluso da tutti gli oggetti che cadono sotto il
termine minore. Cosı̀, si vengono a creare 2 situazioni, che possiamo
rappresentare mediante diagrammi:
1 una nella quale i due insiemi C ed U sono sottoinsiemi propri
dell’insieme A e sono totalmente disgiunti tra loro (privi di
elementi comuni);
2 un’altra nella quale U è un sottoinsieme proprio di A, mentre P è
nel complemento di A.
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(a)
A(UA), E(CU), A(CA)
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(b)
A(UA), E(PU), E(PA)
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Se valgono le relazioni specificate in (a) [A(UA), E(CU),
A(CA)], allora dalla coppia A(UA), E(CU) non si può inferire né
E(CA) né O(CA);
Se valgono le relazioni specificate in (b) [A(UA), E(PU), E(PA)],
allora dalla coppia A(UA), E(PU) non si può inferire né A(PA)
né I(PA).
Di conseguenza la coppia di premesse A(UA) E(CU) è sterile e non
dà luogo a sillogismi validi.
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J. Lear, Aristotle and Logical Theory,
Cambridge, Cambridge UP, 1980, p. 55
“Si noti che la dimostrazione di sterilità non elimina la
possibilità che la coppia di premesse abbia una qualche
conseguenza semantica, bensı̀ si limita a escludere la
possibilità che le premesse abbiano una conseguenza
sillogistica che connetta i termini maggiore e minore
nell’ordine prescritto”.
Per esempio, la coppia A(UA) E(CU) non ha una conseguenza
sillogistica, ma ne ha una semantica: O(AC). (Nel nostro esempio:
‘Ogni uomo è un animale; Nessun cavallo è uomo; Dunque: Qualche
animale non è un cavallo’).
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An. Pr. 26a 36-39
Caso controverso:
“Di nuovo: se B non appartiene ad alcun C e A appartiene
o non appartiene a qualche B, oppure non appartiene a ogni
B, non ci sarà neppure in questo caso un sillogismo. Si
prendano i termini: bianco-cavallo-cigno;
bianco-cavallo-corvo.”
Le coppie sono:
1 Qualche cavallo è bianco; Nessun cigno è un cavallo.
2 Qualche cavallo non è bianco; Nessun corvo è un cavallo.
I termini:
Bianco = A
Cavallo = B
Cigno = C; Corvo = D.
A (1) va associato: ‘Ogni cigno è bianco’; a (2): ‘Nessun corvo è
bianco’.
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6. Nel capitolo VII degli Analitici primi, Aristotele ha l’intuizione di
una procedura che potremmo definire ‘di tipo assiomatico’: assunti
come primitivi due soli modi della prima figura (quelli che, in seguito,
verranno designati come Barbara e Celarent), mediante le regole
ammesse mostra come sia possibile ricavare da essi tutti gli altri
sillogismi validi. In generale, tuttavia, per determinare la validità dei
sillogismi, Aristotele ricorre sia alla derivazione diretta dagli ‘assiomi’
(dai sillogismi assunti come validi), sia al metodo della dimostrazione
per assurdo, senza limitarsi ad applicare tale metodo a (quelli che in
seguito saranno chiamati) Baroco e Bocardo.
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Logica stoica
La fondazione della scuola megarica (dalla città di Megara) si fa
risalire a Euclide (non il matematico), discepolo di Socrate, di poco
più anziano di Platone (427-347 a. C.). Tra i discepoli di Euclide vi
sarebbero Eubulide, al quale viene attribuita la scoperta
dell’antinomia del mentitore, Diodoro Crono (IV secolo a. C) e Filone.
Gran parte dell’eredità logica dei megarici verrà accolta dalla scuola
stoica, il cui fondatore fu Zenone di Cizio (Cizio, Cipro: 333 - Atene:
263 a. C.). Successori di Zenone nella conduzione della Stoà furono
Cleante (304 - 232) e Crisippo (Soli, Cipro: 281/277 - Atene 208/04)
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Gli stoici sono soprattutto interessati ai rapporti tra enunciati; ed è
per questo che sviluppano un’approfondita analisi delle espressioni
linguistiche che legano tra loro gli enunciati, come (i corrispettivi in
greco di) ‘e’, ‘o’, ‘non’, ‘se..., allora...’. L’intuizione che sta alla base
della trattazione stoica consiste nell’idea di determinare il
comportamento di siffatte espressioni mediante le condizioni di verità
degli enunciati connessi. Cosı̀, per esempio, il comportamento della
congiunzione ‘e’ è stabilito in base alle seguenti condizioni: Un
enunciato della forma ‘A e B’, per ‘A’ e ‘B’ enunciati qualsiasi, è vero
solo nel caso in cui entrambi gli enunciati componenti siano veri ed è
falso nei casi restanti. ‘A o B’, per ‘A’ e ‘B’ enunciati qualsiasi, ha
invece condizioni di verità differenti, a seconda che la ‘o’ sia
concepita con significato esclusivo o inclusivo.
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Fonti:
Sesto Empirico (160-210) (Contro i matematici; Lineamenti
della dottrina di Pirrone);
Diogene Laerzio (180-240) (Vite dei filosofi);
Galeno (129-216) (opere varie);
Testi di riferimento:
B. Mates, Stoic Logic, Berkeley, 1953 [1973]
M. Frede, Stoische Logik, Göttingen, 1974.
W. M. Kneale, The Development of Logic, Oxford, 1962
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Esempio tipico di argomento:
Se è giorno, allora c’è luce;
è giorno;
Dunque c’è luce.
Che veniva reso anche come:
Se il primo, allora il secondo;
il primo;
Dunque il secondo.
Argomento e schema di argomento
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i 5 indimostrabili
Primo indimostrabile:
Se il primo, allora il secondo; Se è giorno, allora c’è luce;
il primo;
è giorno;
Dunque il secondo.
Dunque c’è luce.
Secondo indimostrabile:
Se il primo, allora il secondo; Se è giorno, allora c’è luce;
non il secondo;
non c’è luce;
Dunque non il primo.
Dunque non è giorno.
Terzo indimostrabile:
Non: il primo e il secondo; Non: è giorno ed è notte;
il primo;
è giorno;
Dunque non il secondo.
Dunque non è notte.
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i 5 indimostrabili
Quarto indimostrabile:
O il primo o il secondo; È giorno o è notte;
il primo;
è giorno;
Dunque non il secondo. Dunque non è notte.
Quinto indimostrabile:
O il primo o il secondo; È giorno o è notte;
non il primo;
non è giorno;
Dunque il secondo.
Dunque è notte.
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analisi degli argomenti
1
2
3
4
Se entrambi, il primo e il secondo, allora il terzo;
Non il terzo;
Il primo;
Dunque, non il secondo.
L’argomento è composto da un indimostrabile di tipo 2 e da uno di
tipo 3. Da (1) e (2) mediante il secondo ind. otteniamo:
‘Non entrambi, il primo e il secondo’. Da questa conclusione, assunta
come premessa, e (3) otteniamo (4).
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“Gli stoici ritengono ci siano tre tipi di discorsi, tra loro
connessi: il discorso concludente, quello vero e quello
dimostrativo. Il dimostrativo è assolutamente vero e
assolutamente concludente; quello vero è assolutamente
concludente, ma non necessariamente anche dimostrativo;
quello concludente non è né assolutamente vero né
assolutamente dimostrativo.”
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Da Adv. Math. VIII, 415-417
“Quando è giorno, il discorso : ‘se è notte c’è tenebra; ma è
notte; dunque c’è tenebra’ diciamo che non è vero, poiché
porta al falso. Tuttavia è concludente. [. . . ] il discorso
concludente, quindi, è valido quando, congiunte le premesse
e formata una proposizione condizionale che ha per
antecedente la congiunzione delle premesse e per
conseguente la conclusione, siffatta proposizione
condizionale risulti vera.”
Da questo passo si vede chiaramente che gli stoici distinguono verità
da validità, attribuendo la prima agli enunciati e la seconda agli
argomenti, e che ritengono plausibile che un argomento falso, vale a
dire composto da almeno un enunciato falso, sia, ciononostante,
valido.
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L’argomento dimostrativo
“il discorso dimostrativo è differente da quello vero, in
quanto, mentre questo può avere tutto evidente, premesse e
conclusione, quello pretende qualcosa in più, cioè che la
conclusione, di per sé non evidente, sia svelata dalle
premesse. Perciò, mentre l’argomento ‘se è giorno, c’è luce;
ma è giorno; dunque, c’è luce’, siccome ha evidenti le
premesse e la conclusione, è vero e non dimostrativo,
l’argomento ‘se questa donna ha latte alle mammelle, allora
è incinta; ma ha latte alle mammelle; dunque è incinta’,
oltre a esser vero è anche dimostrativo, poiché la
conclusione non evidente ‘questa donna è incinta’ viene
svelata mediante le premesse.”
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Gli stoici affidavano le loro dottrine logiche a testi in forma di veri e
propri manuali. Si trattava, con ogni probabilità, di testi a carattere
tecnico, e autori dell’anitichità poco interessati alla logica, che ebbero
modo di leggerli, si lamentano per la loro aridità e per il linguaggio
ostico in cui erano scritti. Non è da escludere che uno dei motivi per i
quali abbiamo perduto queste preziose fonti risieda proprio nel
carattere estremamente tecnico, che poco doveva concedere al lettore
non iniziato. In ogni caso, già nei primi secoli dell’era cristiana, la
logica stoica aveva assunto i contorni di una dottrina autonoma: suoi
elementi erano confluiti in una dottrina eclettica, composta da una
base aristotelica con occasionali innesti stoici.
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Dalla logica antica alla logica
medievale
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Tra il quinto e il nono secolo d. C. si assiste a una pressochè totale
scomparsa delle fonti antiche greche e, in gran parte, latine. La
cultura medievale si sviluppa a partire da compendi e centoni, che
veicolano porzioni di cultura antica: esemplare, a questo proposito
l’Etymologicon di Isidoro di Siviglia, una sorta di enciclopedia
composta nel secolo VII.
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Per ciò che concerne le fonti delle dottrine logiche medievali, si
individuano di solito tre classi di testi, su ciascuna delle quali si
impernia una peculiare tradizione:
logica vetus [logica vecchia];
logica nova [logica nuova];
logica modernorum [logica dei moderni]
Sebbene ciascuno di questi tre tipi di logica si sviluppi nell’ordine in
cui è stato menzionato, non si escludono a vicenda, ma convivono
l’uno accanto agli altri come differenti strati geologici in un medesimo
terreno.
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Fra i testi che fanno parte del patrimonio al quale attinge la logica
medievale figurano numerose opere di Severino Boezio (sec. V), tra
le quali un’introduzione ai sillogismi categorici; uno scritto dedicato
interamente ai sillogismi ipotetici; un commento ai Topici di Cicerone
e i commenti al De interpretatione e alle Categorie di Aristotele. Di
straordinaria importanza sono lo scritto sui sillogismi ipotetici e quello
sui Topici: entrambi, infatti, veicoleranno nella cultura logica
medievale concetti e idee mutuati dalla tradizione stoica. Tra i meriti
di Boezio, inoltre, vi è quello di aver preparato una versione latina
dell’Organon, versione che costituirà un punto di riferimento
obbligato per la cultura medievale.
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Altri testi importanti
De interpretatione di Apuleio (sec. II);
Isagoge di Porfirio (sec. III), discepolo di Plotino. L’espressione
Isagoge è la traslitterazione della parola greca Eisagoghè, che
significa ‘introduzione’ (alla dottrina aristotelica relativa alle
Categorie) [disputa sugli universali];
Categoriae decem, attribuite ad Agostino (una sorta di parafrasi
con commento delle Categorie di Aristotele;
De divisione, sulla divisione dei concetti in generi e specie;
Liber sex principiorum (sec. XII circa), di carattere affine al
precedente, nel quale compare una discussione di sei categorie
tratte dall’elenco aristotelico.
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Logica vetus e Logica nova
:
Logica vetus
I
I
I
I
I
Categorie
De interpretatione di Aristotele;
Isagoge e il commento alle Categorie di Porfirio;
De divisione;
liber sex principiorum
Logica nova.
I
Organon privo di Categorie e De interpretatione.
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Aspetti originali della logica
medievale
:
teoria della suppositio
teoria delle consequentiae
Obligationes
Insolubili
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suppositio
L’espressione latina suppositio, è il sostantivo corrispondente al verbo
supponere, che significa ‘stare per’: la teoria della suppositio si
proponeva, infatti, di indagare in modo sistematico per cosa stesse
propriamente un termine all’interno dell’enunciato, affinché
quest’ultimo risultasse vero. In altre parole, la teoria della
supposizione concerneva il significato di un termine, in rapporto al
valore di verità dell’enunciato in cui il termine compare.
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esempio
Nell’enunciato: ‘Uomo ha quattro lettere’: se ‘uomo’ vi compare
secondo il suo significato ordinario, l’enunciato è falso (non ha alcun
senso affermare che Pietro, Marco, ecc. ha quattro lettere). Se
invece ‘uomo’ sta per la parola ‘uomo’, allora è vero, in quanto è vero
che la parola italiana ‘uomo’ ha quattro lettere. I medievali
chiamavano suppositio materialis [supposizione materiale] il tipo di
supposizione che ha ‘uomo’ in ‘uomo ha quattro lettere’. In un
enunciato come ‘uomo corre’ ‘uomo’ suppone per uno o più uomini
in carne e ossa, e l’enunciato è vero o falso a seconda che
effettivamente qualche individuo umano corra: in tal caso, il termine
‘uomo’ sta per il suo significato ordinario e i medievali dicevano che è
in supposizione personale [suppositio personalis].
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Problemi con la teoria della suppositio
mescolanza di teoria del significato e condizioni di verità;
legami (incerti) con la teoria della quantificazione
problema generale di ‘traducibilità’ nelle categorie della logica
contemporanea.
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suppositio e quantificazione
In un enunciato come
‘Tutti gli uomini sono animali’
per esempio, il termine ‘uomini’ si diceva che si trovava in
supposizione confusa e distributiva, in quanto da ‘Tutti gli uomini
sono animali’ è legittimo inferire la congiunzione finita di enunciati
singolari: ‘Socrate è animale e Platone è animale e Pietro è
animale...’.
“Tutti gli uomini”, cioè, sta indistintamente (‘confusamente’) per
qualsiasi individuo umano e ‘Tutti’ è preso in senso distributivo, col
valore di ‘ogni’.
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Da
‘Qualche uomo è animale’
è legittimo inferire, invece, la disgiunzione finita di enunciati singolari:
‘Socrate è animale o Platone è animale o Pietro è animale...”.
Sia nel caso dell’enunciato universale sia di quello particolare veniva
ammessa l’inferenza nella direzione opposta: quella cioè che va dalla
congiunzione degli enunciati singolari all’enunciato universale e dalla
disgiunzione degli enunciati singolari all’enunciato particolare
corrispondente: in tal modo era sanzionata l’equivalenza logica tra
l’universale e la congiunzione finita degli asserti singolari e tra la
particolare e la disgiunzione finita degli asserti singolari.
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suppositio e fallacie
Un’importante funzione svolta dalla teoria della supposizione era
anche quella di determinare le condizioni di validità degli argomenti e
quindi di mettere in luce il carattere fallace di inferenze, come la
seguente:
Uomo è specie; Socrate è uomo; Dunque Socrate è specie.
Questa inferenza era ritenuta invalida, poiché in essa il termine
‘uomo’ ha differente supposizione nelle due premesse e, quindi, non è
preso nel medesimo significato: ha supposizione semplice nella prima
premessa e supposizione personale nella seconda.
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I logici medievali erano soliti pagare il loro tributo all’autorità di
Aristotele, sostenendo che il sillogismo è l’unica vera forma di
argomentazione scientifica. Si rendevano conto, tuttavia, che il
sillogismo non esaurisce tutte le possibili forme di argomentazione: la
dottrina delle consequentiae concerneva, appunto, gli argomenti
validi che non sono in forma sillogistica. Naturalmente, rimaneva il
problema del rapporto che lega tra loro il sillogismo di derivazione
aristotelica e conseguenze.
Presso alcuni autori, tuttavia (Walter Burleigh, per esempio, o
Giovanni Buridano), sembra di cogliere l’embrione di una
consapevolezza che lo stesso sillogismo sia soltanto una possibile
forma di argomento.
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sillogismo e consequentiae
Tutti i C sono B
Tutti gli A sono C
Tutti gli A sono B
‘A’, ‘B’, ‘C ’ sono lettere segna-posto per termini generali come
‘uomo’, ‘mortale’, ‘greco’.
‘Se il primo, allora il secondo’
‘primo’ e ‘secondo’ sono espressioni segna-posto per enunciati
(proposizioni).
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Con la fine dell’antichità si perde il senso pregnante della differenza e,
con rare eccezioni, il condizionale:
‘Se A, allora B’
viene perlopiù ricondotto entro la teoria dei termini:
‘Se è A, allora è B’
‘Se è uomo, allora è animale’.
[Dove si sottintende il soggetto, qualcosa del tipo:
‘Se x è A, allora x è B’
‘Se x è uomo, allora x è animale’.]
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