Filosofia e cultura ebraica 1. La cultura ebraica dalle origini a

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Filosofia e cultura ebraica
1. La cultura ebraica dalle origini a Maimonide
Le fonti
Le prime scuole importanti di religione e cultura ebraica risalgono al I secolo a.C., e
sono rette da due prestigiosi rabbini, Hillel e Shammai.
Quali sono i testi sui quali si studia?
La Bibbia, in ebraico Tanakh, che racconta la storia del popolo ebraico dalle origini
fino alla fine dell’esilio babilonese, intorno al 516 a.C.
Il Talmud composto dalla Mishnah, la trascrizione della tradizione orale, e la
Ghemarah, la raccolta
delle
leggi
civili
e
religiose.
Questi sono i due libri che
per secoli saranno alla
base
della
riflessione
religiosa e politica degli
studiosi ebrei. Altri due
testi
influenzeranno
ampiamente la filosofia
ebraica
medievale:
il
Libro della creazione (del
III-IV secolo) e la Misura
della
sapienza
divina
(probabilmente del VII
secolo).
L’ebraismo nell’alto Medioevo…
A Babilonia nasce e fiorisce la corrente culturale dei Gheonim (eccellenze),
studiosi e rabbini che rapidamente s’imposero come punti di riferimento
dell’ebraismo mondiale, interpellati sia da Oriente sia da Occidente su ogni
problema di interpretazione che sorgesse nello studio e nella lettura della Bibbia e del
Talmud. Le loro risposte (Teshuvot in ebraico) furono ben presto raccolte in libri ed
entrarono a loro volta a far parte dei testi di riferimento.
Proprio a partire dal periodo babilonese, possiamo trovare tre snodi della filosofia
ebraica che saranno anche peculiari della filosofia ebraica medievale:
1. Il pensiero razionalista;
2. La cabala spagnola e la cabala di Safed;
3. L’hasidismo renano.
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Per quel che riguarda le scuole babilonesi, il
nome da ricordare è senz’altro quello di
Saadia ben Josef, noto come Saadia
Gaon, nato in Egitto nell’882 d.C, e
considerato il fondatore della filosofia
ebraica: egli tenta una sintesi tra legge
ebraica e filosofia, sostenendo che fede e
ragione hanno entrambe origine in Dio,
quindi, per principio, non possono essere in
contraddizione. Per la filosofia neoplatonica,
l’esponente più importante e noto è Isaac
Israeli, anche lui nato in Egitto, nell’850
d.C., che vive e lavora come medico e
filosofo in Tunisia; tra i suoi testi
ricordiamo: Il libro degli elementi e Il libro
delle definizioni, opere nelle quali si schiera
a favore della dottrina della creazione in
contrapposizione con l’eternità della materia
di matrice aristotelica.
…E nel basso Medioevo
A partire dall’XI secolo, i luoghi più importanti per la filosofia ebraica sono la Spagna,
il Nord Africa, la Francia e la Germania; ma più che una differenziazione ‘geografica’ la
linea di demarcazione passa tra neoplatonici e aristotelici. Neoplatonico è, per
esempio, Shlomo ibn Gabirol (nato intorno al 1021 a Malaga), che vive e scrive in
Andalusia (Spagna); la sua opera principale Fons vitae, è stata letta e studiata per
tutto il Medioevo, sia dai filosofi ebrei sia da quelli cristiani. Altro filosofo neoplatonico
è Yosef ben Ya’aqob Ibn Saddiq (s’ignora la data di nascita, muore nel 1149) che
scrive in arabo a Cordoba un testo dal titolo Il microcosmo nel quale affronta i temi
classici della filosofia platonica. Nasce nel 1075 a Tudela (Spagna) Yehuda ha-Levi,
di educazione ebraica e araba, scrive in arabo testi che saranno successivamente
tradotti in ebraico; critico verso la filosofia in generale e verso Aristotele in particolare,
ha-Levi si impegna a provare la verità dei racconti biblici; muore in Medio Oriente nel
1141, dopo una vita di viaggi nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
In Oriente, e precisamente alla corte dei califfi di Bagdad, tra XI e XII secolo,
troviamo Abu l-Barakat. Medico e filosofo, egli parte dal concetto di anima di
Avicenna per elaborare una teoria autonoma della percezione in polemica con
Aristotele.
Mosè Maimonide
Nato in Spagna, a Cordova, nel 1135, Mosè Maimonide con la famiglia si trasferisce
prima a Fes, in Marocco, dove studia medicina poi al Cairo, nel 1160; diventa ben
presto uno degli esponenti più importanti della comunità ebraica della città e, a partire
dal 1185, uno dei medici ufficiali della corte del visir al-Fadil. Ed è in Egitto, al Cairo,
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che Maimonide scrive e opera per tutta la sua vita, spaziando dalla medicina, al
diritto, alla religione, alla filosofia. Scrive di logica aristotelica, esamina la
condizione degli Ebrei costretti a convertirsi e li esorta ad abbandonare i paesi
che li costringono a violare la legge di Dio; scrive un commento alla Mishnah, il
testo sopra citato e uno alla Torah, nel quale elenca in maniera sistematica tutte le
norme che devono regolare la vita degli Ebrei.
La guida dei perplessi
Nel 1190 scrive il suo testo di filosofia più importante: La guida dei perplessi.
Questo testo è suddiviso in tre parti; nella prima si parla di interpretazioni della
Bibbia e del Talmud; nella seconda – in polemica con Saadia Gaon – si tratta degli
attributi divini, del ruolo della profezia e di filosofia; nella terza infine si prende
in esame il problema della provvidenza e dei precetti religiosi. Maimonide,
afferma nell’introduzione, scrive questo libro non per i neofiti o per chi si avvicina agli
studi religiosi o filosofici, ma per “un uomo che è perfetto nella sua religione e nei
suoi costumi, che ha studiato le scienze dei filosofi e ne conosce il significato, che la
ragione ha attirato e guidato nel suo regno, ma che è messo in difficoltà dal senso
letterale della Legge”.
In breve, La guida dei perplessi è scritta per coloro che sono colti conoscitori della
religione e della dialettica filosofica, che sono guidati nel loro pensiero e nelle loro
azioni da una ragione illuminata e proprio per questo sono perplessi davanti ad
affermazioni ed espressioni dei testi religiosi che sono, o appaiono, con essa in
contrasto. In contrasto soprattutto con la filosofia aristotelica, nell’eterna tensione
tra ‘ragione’ e ‘rivelazione’. Il percorso disegnato da Maimonide parte dagli
attributi di Dio che vengono da lui divisi in cinque classi e solo quelli appartenenti
all’ultima possono essere applicati alla divinità, e sono definiti “attributi di azione”, per
essere compresi dagli uomini. Per Maimonide comprendere Dio non significa
conoscere e fare chiarezza sui suoi attributi, ma comprendere le sue azioni
ed essere consapevoli della distanza tra Dio e gli uomini. La conoscenza degli
attributi divini è utile solo perché l’intelletto umano, a differenza di quello divino, è
finito; l’unica forma di vicinanza che l’uomo ha con Dio è il pensiero.
La conoscenza reciproca tra l’uomo e Dio
Sono cinque i passaggi che il filosofo traccia nella sua guida:
1. L’intelletto in potenza;
2. La conoscenza di una forma astratta, che rende l’uomo intelligente in atto;
3. La forma astratta conosciuta, l’oggetto;
4. L’atto dell’intellezione;
5. La conoscenza che deriva dall’atto dell’intellezione e viene conservata, detta
intelletto acquisito. Quest’ultimo punto è il momento di maggior vicinanza tra uomo e
Dio.
Una volta stabilita quale conoscenza ha l’uomo del divino e delle sue azioni,
Maimonide affronta il problema speculare: quale conoscenza ha Dio del mondo?
Dio ne conosce certamente le leggi, perché sono state da lui stabilite, ma quale
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conoscenza ha del particolare, dell’individuale? Per arrivare a una risposta il filosofo
esamina le più importanti posizioni sulla provvidenza, tra le quali ricordiamo:
a)
Quella degli atomisti antichi, per i quali il mondo è frutto del caso;
b)
La teoria che identifica la provvidenza divina con le leggi naturali;
c)
La posizione che nega la validità delle leggi di natura perché tutto
accade per volere divino;
d)
La teoria che sostiene che Dio si conforma alle leggi che egli stesso
ha fissato;
e)
La teoria aristotelica, seguita in linea di massima anche da Maimonide,
secondo la quale uomini (e animali) sono esseri che hanno la facoltà di fare
tutto ciò che è nelle loro possibilità e che non è possibile imputare a Dio
l’ingiustizia e il male.
Come scrive Maimonide:
“Il fatto si è che – io credo – nel mondo di quaggiù, ossia al di sotto della sfera
della luna, la provvidenza divina ha per oggetto, in fatto di individui, solo quelli
della specie umana, ed è solo in questa specie che tutte le condizioni degli
individui, al pari del bene e del male sopravvengono loro, sono conformi al merito,
come è detto: ‘perché tutte le sue vie sono giustizia’ (Deuteronomio 32,4). Per
quanto, invece, concerne gli altri animali, e a maggior ragione le piante, condivido
l’opinione di Aristotele. Io non credo proprio che quella foglia sia caduta per effetto
della provvidenza, né che tal ragno abbia divorato la tal mosca in virtù di un
decreto divino e per un suo volere momentaneo e particolare.”
(La guida dei perplessi)
Il problema della creazione
L’altro importante argomento affrontato da La guida dei perplessi riguarda il
problema della creazione del mondo e anche qui il modo di procedere di
Maimonide è di esaminare le più rilevanti ipotesi filosofiche sul tema. Quanto
alla sua impostazione, egli si conforma alla tesi della creazione ex nihilo, in
contrapposizione
a
quella
platonica, che vede invece la
creazione del mondo per
opera del Demiurgo da una
materia informe a lui coeva.
L’altra
interpretazione
è
l’aristotelica, per la quale Dio è
causa
materiale
dell’universo. Vi è però da
sottolineare che Maimonide, in
alcuni passi della sua opera
sembra voler considerare il
mondo
come
eterno,
soprattutto quando riflette sul
fatto che tutte le prove dell’esistenza di Dio, della sua unità, della sua incorporeità
ecc. sono ottenute a partire dalla tesi dell’eternità dell’universo.
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Si tratta, però, di questioni di non facile lettura e comprensione, e di questo lo
stesso Maimonide è ben consapevole quando avvisa il lettore nell’introduzione che
il suo testo è per studiosi colti, anche dal punto vista scientifico. Il problema qui è
stabilire se dell’eternità del mondo sia possibile dare una spiegazione
scientifica, e la risposta di Maimonide è che, per varie ragioni, si tratta di un
problema scientificamente non risolvibile. Sia perché la fisica aristotelica conosce
punti di crisi conoscitiva per quel che riguarda l’universo celeste sia perché vi è
in Maimonide il dubbio filosofico che di esso non sia possibile alcuna
conoscenza. Inoltre, dacché abbiamo una conoscenza hic et nunc del mondo,
questa conoscenza non è in grado di esserci utile per quel che riguarda la sua
creazione o la sua origine. Dal punto di vista teologico, Maimonide mette in luce
l’esito contrapposto delle posizioni dei due filosofi greci: se sull’origine del mondo
avesse ragione Platone cadrebbe in crisi la filosofia, se invece avesse ragione
Aristotele allora in crisi sarebbe la religione.
L’opera di Maimonide si diffuse ampiamente nel mondo ebraico, in quello
islamico e in quello cristiano; e, attraverso le traduzioni in latino, influenzò il
pensiero della Scolastica.
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