Solennità della forma e sostanzialità giuridica

Giampaolo Azzoni*
Solennità della forma e sostanzialità giuridica
1. Forma vs. formalismo
1.1. La distinzione di forma e formalismo è stata definitivamente caratterizzata come irriducibile opposizione in un celebre
saggio di Salvatore Satta. Secondo quelle pagine del 1958 ‘formale’ e ‘formalistico’ «sono termini che non hanno nulla in
comune»1. Infatti, da un lato, il diritto altro non è che forma2 e,
dall’altro, il «formalismo comincia dove il diritto finisce»3. Da qui
la celebre (ed efficacissima) metafora sattiana di formalismo quale
«scimmia» dell’esperienza4.
La forma è dunque essenziale al fenomeno giuridico. In questo senso, credo che vada correttamente inteso il principio di
libertà delle forme: la libertà delle forme non è mai libertà dalla
forma5. A tale proposito, Francesco Carnelutti efficacemente scriveva che «atti non formali nel senso che non ne sia affatto regolata la forma, non esistono», «esistono però degli atti, la cui forma
*
Università di Pavia.
S. SATTA, Il formalismo nel processo, 1958, p. 1143; 1994, p. 84.
2 Ivi, 1958, pp.1143-1144; 1994, p. 85.
3 Ivi, 1958, p. 1144; 1994, p. 86.
4 Ivi, 1958, p. 1144; 1994, p. 87.
5 Felice è la formulazione dell’art. 121 (“Libertà di forme”) del Codice di
procedura civile: “Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme
determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”.
1
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RELAZIONI
è libera dal lato della azione: tali sono quelli, che comunemente si
chiamano non formali»6; anche Emilio Betti (per il quale la «fenomenologia del diritto insegna che la forma serve a dare il suggello della giuridicità alle attività e iniziative degli uomini»)7 riteneva che, invece di ‘atti formali’ e ‘atti non formali’, sarebbe più corretto parlare di «atti con forma tassativa o solenne» e «atti con
forma libera, cioè non determinata preventivamente» (pertanto,
una forma «ci vuole in ogni caso, anche nel contegno omissivo»)8.
1.2. Secondo una celebre formula di Giuseppe Capograssi,
«mentre l’imperativo giuridico salva l’azione, l’imperativo morale
salva l’agente»9. Ebbene, l’imperativo giuridico può salvare l’azione essenzialmente perché tale azione si realizza secondo una
forma, in un atto formale. Facendo riferimento a Jeanne Hersch
(che a sua volta riprende un motivo scolastico), si può affermare
che sia la forma a conferire «valeur de réalité» alle azioni umane10.
Questo non significa che la forma blocchi l’azione, sospendendola in una dimensione a-storica, ma piuttosto che le consente di
manifestare compiutamente i suoi effetti.
2. Forma nel diritto come forma di volontà
2.1. Ma se il diritto altro non è che forma (di cui il formalismo
è degenerazione), come si caratterizza la forma nel diritto? Qual
è, se v’è, la specificità della forma quando relativa alla materia giuridica?
Mi sembra che la risposta più adeguata sia quella per cui la
6
F. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, II vol., 1938, p. 175.
E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, 1943; 1994, p. 278.
8 ID., Teoria generale del negozio giuridico, 1943; 1994, p. 126.
9 G. CAPOGRASSI, Analisi dell’esperienza comune, 1930; 2008, p. 415.
10 J. HERSCH, L’être et la forme, 1946, p. 113 (tr. it. p. 91).
7
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forma nel diritto è sempre forma di volontà. Come scrive Rodolfo
Sacco, nel diritto il termine ‘forma’ «si è specializzato fino a comprendere soltanto: il modo con cui avviene la manifestazione di
volontà (ossia lo speciale mezzo semantico; o lo speciale frasario)» o «il modo in cui la manifestazione [di volontà] è resa certa
(presenza di testi, redazione di verbale, ecc.)»11.
Tale forma è così importante che può arrivare ad esaurire interamente la stessa volontà che la forma dovrebbe manifestare,
come accade nel formularismo12 di alcune diritti antichi (ad es.
nelle legis actiones del primo diritto processuale romano dove era
sufficiente che l’attore, che agiva per il taglio di viti, nominasse
nell’azione l’iponimo ‘viti’ invece che l’iperonimo ‘alberi’ perché
perdesse la causa, cfr. Gai Institutiones, IV: 11 e IV: 30)13.
2.2. Se la forma è forma di una volontà, la forma giuridica è
forma di una enunciazione performativa («performative utterance», nel linguaggio di John Langshaw Austin).
Anche gli enunciati o le proposizioni racchiuse in un testo
scritto (ad es. in un atto pubblico), così come i gesti solenni o
comportamenti tipici che realizzano un atto giuridico senza la
11
R. SACCO, Il contratto, 1975, p. 421.
Con il termine ‘formularismo’ intendo la prescrizione di un tipo di
forma che, “per la conclusione di un negozio, i cui effetti sono tutti prefissati
dalla legge, richiede il ricorso a determinate espressioni, cosicché senza l’impiego di tali precise parole solenni gli effetti negoziali non potranno essere prodotti” (G. CIAN, Forma solenne e interpretazione del negozio, 1969, p. 10). Le
formule sono importanti nei riti di ogni cultura (F. CORDERO, Riti e sapienza
del diritto, 1981, pp. 434-443); così decisivo è il ruolo dei mantra nell’India
antica come presentato dal Il Trattato di Manu sulla norma, in cui ad es. si legge
che “Le formule (mantra) per i riti nuziali sono il segno sicuro che una donna
diviene moglie” (§ 8.227; tr. it. p. 187).
13 Molto acuta è l’osservazione di Satta secondo cui la distinzione fra arboribus succisis e vitibus succisis non sarebbe formalistica, ma tale sarebbe apparsa a Gaio e tale apparirebbe a noi solo perché non si è più capaci di comprenderla (Il formalismo nel processo, 1958, p. 1143; 1994, p. 85).
12
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RELAZIONI
pronuncia di parole (ad es. nell’usurpatio trinoctii)14, si riferiscono
sempre ad un soggetto che attraverso quegli enunciati, quei gesti o
comportamenti, intende produrre degli effetti giuridici con modalità linguistiche, simboliche (non necessariamente con la parola parlata). Come scriveva lo stesso Austin, vi sono casi in cui atti formali
sono efficaci anche senza la pronuncia di alcuna parola, ma il modo
con cui sono effettuati conserva un’analogia funzionale con le enunciazioni performative: «many conventional acts, such as betting or
conveyance of property, can be performed in non-verbal ways»15.
2.2.1. A tale riguardo, il sintagma ‘atto muto’, introdotto da
Rodolfo Sacco16, è suggestivo ma equivoco: gli atti giuridici muti
14
Gai Institutiones, I: 111: “la legge delle dodici tavole stabilì che, se una
donna non avesse voluto essere sottoposta alla manus del marito, si sarebbe
dovuta assentare per tre notti ogni anno, interrompendo così l’usus”.
15 J. L. AUSTIN, How to Do Things with Words, 1962, p. 19. L’idea è poi
così sviluppata da Austin a p. 76: “We may accompany the utterance of the
words by gestures [...] or by ceremonial non-verbal actions. These may sometimes serve without the utterance of any words, and their importance is very
obvious”. Austin si riferisce specificamente agli atti giuridici (p. 19): “it is
worth pointing out [...] how many of the ‘acts’ which concern the jurist are or
include the utterance of performatives, or at any rate are or include the performance of some conventional procedures”; e prosegue affermando che
l’analisi dell’invalidità degli atti giuridici ha anticipato, tra altro, lo studio della
“infelicity” delle enunciazioni performative: “writers on jurisprudence have
constantly shown themselves aware of the varieties of infelicity and even at
times of the peculiarities of the performative utterance”.
16 R. SACCO, Antropologia giuridica: contributo ad una macrostoria del diritto, 2007, pp. 183-184. Sacco distingue tra atti muti istantanei e atti muti continuati (pp. 296-297). Esempi di atti muti istantanei sono: “l’occupazione, l’abbandono della cosa, la consegna, il conferimento di fondi rustici, l’accettazione tacita di eredità, la convalida del contratto invalido operata mediante esecuzione della prestazione, l’accettazione della proposta contrattuale di cui
all’art. 1327 c.c. it., il contratto concluso mediante l’apparecchio automatico”;
esempi di atti muti continuati sono: la società di fatto, il rapporto di lavoro di
fatto, il ménage di fatto, il possesso, vero prototipo dei rapporti di fatto, il
godimento di fatto di beni immateriali”.
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non sono atti non-linguistici: anche se non utilizzano il linguaggio
verbale si basano comunque su segni e simboli: gli atti giuridici
muti sono «atti semapragmatici»17.
Segnalo che già in Giambattista Vico vi sono significative anticipazioni di una teoria dell’atto muto; secondo Vico, l’atto giuridico nei «tempi mutoli» era basato su una forte fisicità nei comportamenti («le mancipazioni cominciarono con vera mano»): il
caso paradigmatico di atto («mancipazion vera») era «l’occupazione», «primo gran fonte naturale di tutti i domini»18, e «le possessioni dapprima si celebrarono col continuo ingombramento
de’ corpi sopra esse cose possedute»19. Successivamente, secondo
17
Il concetto di “atto semapragmatico” è stata introdotto da P. DI LUCIA,
Atti muti e pluralità degli ordinamenti, 2009. Per Di Lucia “atto semapragmatico” è un tertium genus rispetto a “atto parlato” e “atto muto”, io utilizzo “atto
semapragmatico” nel senso di atto che non utilizza il linguaggio verbale (scritto
o parlato) comprendendovi anche gli atti che Sacco chiamerebbe “muti”. Va poi
ricordata la tetrade di Gaio sui modi di nascita di un’obbligazione contrattuale:
“re contrahitur obligatio aut verbis aut litteris aut consensu” (Gai Institutiones,
III, 89); credo che una più attenta considerazione dell’elemento intenzionale
(buletico) e insieme dell’elemento formale, presenti anche nelle obbligazioni che
vengono contratte “re” (estese, oltre gli esempi di Gaio, ai casi degli altri contratti reali e dei contratti innominati riconducibili allo schema attribuito a Paolo, D.
19.5.5. pr., “do ut des, do ut facias, facio ut des, facio ut facias”: cfr. V. ARANGIORUIZ, Istituzioni di diritto romano, 141975, pp. 301-303; M. MARRONE, Istituzioni
di diritto romano, 32006, p. 480) potrebbe portare a sfumare la radicale opposizione proposta da Sacco (Antropologia giuridica: contributo ad una macrostoria
del diritto, 2007, pp. 306-307) tra dichiarazione negoziale e atto muto.
18 G. VICO, La Scienza nuova (Libro quarto, Sez. decimaquarta, Capo
secondo), 1744, p. 1027; 1928, vol. II., p.119; 1977, 102008, p. 656.
19 ID., La Scienza nuova (Libro quarto, Sez. decimaquarta, Capo secondo),
1744, p. 1028; 1928, vol. II., p.120; 1977, 102008, p. 657. Vico adduce anche
argomenti etimologici: “le possessioni dapprima si celebrarono col continuo
ingombramento de’ corpi sopra esse cose possedute, talché «possessio»
dev’essere stata detta quasi «porro sessio» (per lo quale proseguito atto di
sedere o star fermo i domicili latinamente restaron chiamati «sedes»), e non già
«pedum positio», come dicono i latini etimologi, perché il pretore assiste a
quella e non a questa possessione e la mantiene con gl’interdetti”.
102
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Vico, si ha l’introduzione di atti giuridici con elementi simbolici
(come «la consegna d’un nodo finto, per imitare la catena con la
qual Giove aveva incatenati i giganti alle prime terre vacue»): «gli
atti legittimi, che dovetter essere cerimonie solenni de’ popoli
ancora mutoli»20. Infine, per Vico, si sarebbe avuto il superamento dell’atto muto con la «favella articolata» e la nascita della stipulatio: «Poscia (essendosi la favella articolata formata appresso),
per accertarsi l’uno della volontà dell’altro nel contrarre tra loro,
vollero ch’i patti […] si vestissero con parole solenni, delle quali
fussero concepute stipulazioni certe e precise»21.
2.3. Se la forma giuridica è forma di una volontà che si attua
attraverso una enunciazione performativa, tale forma è sempre
rinvio ad un soggetto che, compiendo l’atto in quella forma,
innanzitutto si dice nella sua soggettività. Il dirsi del soggetto
implica che la forma giuridica sia soggettivamente situata e linguisticamente realizzata: soggetto e linguaggio sono presupposti
della possibilità di una forma giuridica.
Ma la forma giuridica è anche teleologicamente orientata: il soggetto si dice e il soggetto vuole. In questo senso è vero che «form follows function»22, anche se – come esporrò meglio infra – la forma
giuridica (al pari di molti altri fenomeni della cultura umana) eccede sempre la funzione: il principio di strumentalità della forma non
va inteso come principio di economia (che, non a caso, è principio
centrale anche della linguistica funzionale di André Martinet)23.
20
G. VICO, La Scienza nuova (Libro quarto, Sez. decimaquarta, Capo
secondo), 1744, p. 1030; 1928, vol. II., p.120; 1977, 102008, p. 658.
21 ID., La Scienza nuova (Libro quarto, Sez. decimaquarta, Capo secondo),
1744, pp. 1030-1031; 1928, vol. II., pp.120-121; 1977, 102008, p. 658.
22 La frase “form follows function” è stata il motto dell’architetto Louis
Henry Sullivan; cfr. E. DI STEFANO, Ornamento e architettura: l’estetica funzionalistica di Louis H. Sullivan, 2010, p. 7.
23 Il principio di strumentalità delle forme (che vige nella procedura civile
ed amministrativa) è espresso dall’art. 156, 3° comma, del Codice di procedu-
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103
La forma giuridica pertanto non è mai né vuota, né arbitraria
(anche se può avere una molteplicità di attuazioni): in essa il soggetto deve potersi dire e attraverso di essa il soggetto deve potere
manifestare la propria volontà e, soprattutto, deve potere realizzare un atto che sviluppi i propri effetti nella realtà sociale e,
quindi, in una dimensione che trascende lo stesso soggetto che lo
compie e il tempo in cui è compiuto.
2.3.1. La relazione tra il dirsi del soggetto e la sua volizione particolare è al centro della morale kantiana e, in particolare, del test
di universalizzazione delle massime: per Kant morale è quella volizione che non è contraddittoria con il soggetto che la compie24.
La forma giuridica conserva (e quindi, per essere tale, deve
potere conservare) il dirsi del soggetto e la sua volizione ma, in
quanto tale, è indifferente all’eventuale contraddizione tra tale
dirsi del soggetto e la sua correlativa volizione; facendo riferimento analogico ai requisiti del contratto di cui all’art. 1325 del
Codice civile, tale contraddizione potrà rilevare come vizio (non
della forma, ma) della causa o dell’oggetto (come esempio, si
pensi ad un atto lesivo della dignità umana compiuto utilizzando
la forma della compravendita).
3. Forma nel diritto come forma del diritto?
Per il filosofo del diritto è inevitabile porsi la domanda che
ra civile: “La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo
scopo a cui è destinato”: si tratta, quindi, di un giudizio di efficacia, successivo al compimento dell’atto (ex post) e sempre individuale. Assai più problematico è il principio di economia processuale che – come si vedrà infra – se esteso alla forma degli atti e se inteso come criterio di efficienza (vs. efficacia), può
stravolgere (ex ante e in via generale) le condizioni di una forma ben formata
e quindi minare la possibilità dell’atto di realizzare i suoi effetti.
24 G. AZZONI, Filosofia dell’atto giuridico in Immanuel Kant, 1998, pp. 88-90.
104
RELAZIONI
costituisce il titolo del presente paragrafo. Più modestamente,
vorrei presentare due contesti storici in cui si dà risposta affermativa ad una diversa, ma affine, domanda: la presenza di atti formali costituisce un tratto essenziale (anche se non necessariamente
distintivo) del diritto?
3.1. L’importanza della forma quale costitutivo essenziale
della legge è evidenziata da quello che è il massimo rappresentante del giusnaturalismo classico e che, come tale, si potrebbe pensare prima facie (se non considerassimo la necessità metafisica
della forma) distante da una tale posizione teorica. Mi riferisco a
Tommaso d’Aquino che considera la promulgatio (termine che,
nel lessico costituzionale moderno, potremmo tradurre con ‘promulgazione e pubblicazione’) uno dei quattro costitutivi essenziali della legge25 e, quindi, di ogni legge26.
E proprio la difficoltà teoretica (con la correlativa fatica argomentativa) nel richiedere la promulgatio non solo per la legge
positiva, ma anche per la legge naturale e per la stessa legge eterna, ne mostra la necessità concettuale nell’impostazione tomista.
In particolare, secondo Tommaso, per la legge naturale, la promulgatio «si ha nel fatto medesimo che Dio ha inserito la legge
naturale nelle menti umane per essere conosciuta naturalmente»27. Ancora più complesso è giustificare la necessità (e la stessa
possibilità) della promulgatio per la legge eterna, infatti la promul25 Ricordo che gli altri tre costitutivi essenziali della legge sono: l’appartenenza alla ragione; l’orientamento al bene comune; la produzione da parte del
popolo o del suo rappresentante.
26 Come scrive Raffaele Vela in nota alla traduzione italiana della Summa
theologiae (vol. XII, p. 39), “I tomisti discutono se la promulgazione sia necessaria solo come “condicio sine qua non” (Gonet, Billuart), oppure come elemento intrinseco della legge (Bañez). Qualsiasi opinione si preferisca rimane
fermo che essa è necessaria”.
27 T. D’AQUINO, Summa theologiae, Ia-IIae, q. 90, a. 4, ad 1 (tr. it. vol. XII,
p. 40).
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gatio avviene nel tempo (mentre la legge è eterna) ed è rivolta a
destinatari che, essendo creature di Dio, non possono essere essi
stessi eterni (per cui si potrebbe sostenere che «la promulgatio
non poteva esserci dall’eternità poiché non esisteva nessuno cui
promulgarla»)28. Se tale difficoltà fosse provata, non sarebbe possibile una legge eterna («nulla lex potest esse aeterna»)29.
Tommaso supera l’obiezione e sostiene che si ha promulgazione
anche per la legge eterna distinguendo tra l’atto della promulgazione (eterno come il Verbo divino e la scrittura del libro della
vita) e gli effetti di tale atto che si danno nel tempo in cui la legge
è ascoltata o letta dai destinatari30. Nel caso poi degli esseri naturali diversi dalle creature razionali (ai quali pure si applica la legge
eterna, a differenza della legge naturale e degli altri tipi di legge),
Tommaso ritiene che «l’inserimento in essi del principio attivo
intrinseco equivale alla promulgazione della legge rispetto agli
uomini»31.
Sempre in Tommaso è poi significativo che sia formale il criterio per decidere del dovere di osservanza di una legge umana
(tranne che nei casi di antinomia con i principî comuni della lex
naturalis da tutti conosciuti o, al più, con le conseguenze di essi
che gli uomini migliori possono trarre con sicurezza). Infatti, il criterio decisivo è quello della legittimità della fonte della legge
umana: la legge umana, anche se materialmente iniqua, è detta
derivare dalla lex aeterna [«derivatur a lege aeterna»] nella misura
in cui conserva qualche somiglianza di legge [«inquantum servatur
aliquid de similitudine legis»] in virtù dell’ordine dell’autorità che
la pone [«propter ordinem potestatis eius qui legem fert»]32.
28 ID., Summa
29 Ibidem.
30
theologiae, Ia-IIae, q. 91, a. 1, arg. 1 (tr. it. vol. XII, p. 42).
Ivi, Ia-IIae, q. 91, a. 1, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 44).
Ivi, Ia-IIae, q. 93, a. 5, ad 1 (tr. it. vol. XII, p. 84).
32 Ivi, Ia-IIae, q. 93, a. 3, ad 2 (tr. it. vol. XII, p. 78); cfr. J. FINNIS, Natural
Law and Natural Rights, 1980, pp. 363-366; G. AZZONI, Lex aeterna e lex naturalis: attualità di una distinzione concettuale, 2008, pp. 159-209.
31
106
RELAZIONI
3.2. La teoria generale del diritto del XX secolo rappresenta il
secondo contesto storico, molto distante dal giusnaturalismo
tomista, in cui, come in Tommaso, la presenza di atti formali
viene a costituire un tratto essenziale (anche se non necessariamente distintivo) del diritto. Si deve ricordare, infatti, che la teoria generale del diritto del XX secolo è stata prevalentemente una
teoria della produzione di norme in evidente sintonia con una
configurazione positivistica delle fonti e, in particolare, con una
acquisita centralità della legislazione. In tale contesto, attorno al
concetto di forma sono state realizzate numerose ricerche (tra
loro connesse) che ne hanno illuminato diversi profili rimasti fino
ad allora non adeguatamente analizzati. Di tali ricerche ricordo,
per titoli sintetici, le cinque che mi sembrano più importanti:
(i.) in Wesley N. Hohfeld, l’analisi della posizione soggettiva
di «power» (inteso come potere di compiere un atto giuridico) e
della correlativa posizione di «liability» (intesa come soggezione
agli effetti dell’atto giuridico compiuto)33;
(ii.) in Hans Kelsen, l’analisi dei «sistemi normativi dinamici»
(basati su una norma fondamentale che non predetermina il contenuto delle norme giuridiche, ma solo le modalità della loro valida produzione: da qui il cosiddetto «formalismo kelseniano»)34;
(iii.) in Alf Ross, l’analisi delle «norme di competenza» che
pongono le condizioni per la produzione di diritto valido (in
quanto contrapposte alle «norme di condotta» che prescrivono
azioni)35;
(iv.) in Herbert L.A. Hart, l’analisi delle «regole secondarie»
che attribuiscono poteri (in quanto contrapposte alle «regole primarie» che impongono doveri) e, in particolare, all’interno delle
33 W.N. HOHFELD, Some Fundamental Legal Conceptions as Applied in
Judicial Reasoning. I., 1913; 1923, pp. 50-60 (tr. it. pp. 31-41).
34 Cfr. la “nomodynamics” ampiamente presentata da Hans Kelsen in
General Theory of Law and State, 1945, e in Reine Rechstlehre, 21960.
35 Cfr. le analisi delle “kompetencenormer” sviluppate da Alf Ross in Om
ret og retfærdighed, 1953, e in Directives and Norms, 1978.
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norme secondarie, l’analisi delle «regole di mutamento» (che
attribuiscono al legislatore e ai singoli individui il potere di introdurre nuove regole primarie)36;
(v.) in Amedeo Giovanni Conte, la triplice analisi di: (i.) «regole ipotetico-costitutive» (quali meta-regole che pongono una condizione di validità di un atto, di cui caso paradigmatico sono le
regole che, come l’art. 602 del Codice civile sulla forma del testamento olografo, pongono una condizione necessaria di validità di
un atto, cioè le «regole anankastico-costitutive»);37 (ii.) «validità
pragmatica» (quale validità specifica degli atti normativi distinta,
in particolare, dalla validità quale esistenza di norme)38 e (iii.)
«dovere anankastico» (quale dovere che si contrappone al dovere
deontico in quanto è relativo a comportamenti prescritti non in sé,
ma come condizione necessaria di conseguimento di un fine)39.
Ciò che io qui vorrei sottolineare è un importante tratto
comune a tutte le cinque ricerche appena menzionate: la tesi
secondo cui per un’adeguata comprensione del fenomeno giuridico non è sufficiente l’utilizzo dei concetti tradizionali che ruotano attorno ad un modello di diritto inteso come insieme di prescrizioni di comportamenti, ma occorre integrarli con nuovi concetti che consentano di analizzare i modi con cui tali prescrizioni
possono essere poste, cioè la loro forma. Mentre per la morale
(l’altro sistema normativo coestensivo alla realtà umana) la considerazione dell’elemento formale appare irrilevante o addirittura
incongrua (essendo determinante il contenuto e l’assenso ad esso
dato dalla coscienza), il diritto si caratterizza per avere tra i suoi
costitutivi quegli elementi sopra ricordati e che rappresentano
una sorta di costellazione concettuale per un’analisi della forma:
36 Cfr. il paragrafo intitolato The Elements of Law in H.L.A. HART, The
Concept of Law, 1961, 21994, pp. 91-99 (tr. it. pp. 108-117).
37 Cfr. A.G. CONTE, Regola eidetico-costitutiva vs. regola anankastico-costitutiva, 2007.
38 Cfr. ID., Minima deontica, 1988.
39 Cfr. ID., Anankastico vs. deontico, 2010.
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relazioni di power; dinamicità dell’ordinamento; norme di competenza; regole di mutamento; regole ipotetico-costitutive; validità pragmatica; dovere anankastico.
4. Il significato antropologico della forma
4.1. Nell’intera storia del diritto sono ricorrenti le battaglie
contro la forma, vista come inutile esteriorità, limite estrinseco ad
una volontà che potrebbe altrimenti attuarsi in modo più autentico e rapido. Dalle battaglie contro la forma vanno distinte quelle contro il formalismo che, come s’è visto in Satta, della forma è
l’opposto (combattere contro il formalismo è anche combattere
per la forma). Anche se ricorrenti, le battaglie contro la forma
hanno assunto una particolare forza all’interno di quella configurazione valoriale che possiamo sinteticamente caratterizzare come
post-modernità (o modernità liquida) e che ha la sua estensione
sociale nella globalizzazione.
Le forme giuridiche sono sfidate da una domanda di velocità
(tempi brevi, sempre più brevi) e di semplificazione (requisiti
ridotti, sempre più ridotti): il flusso delle pulsioni e degli scambi
(di cui è parte preminente l’utilizzabilità degli avanzamenti tecnologici) non deve essere frenato dalle chiuse del diritto.
L’esperienza giuridica sembra prodursi in una serie discreta di
tempuscoli dove il momento in cui assolvere l’obbligo appare
radicalmente diverso da quello in cui lo si è assunto.
Certamente c’è una verità anche in queste richieste: in ogni
contesto si deve porre il problema di valutare l’adeguatezza teleologica [la Zweckmäßigkeit] delle forme giuridiche, anche in considerazione dell’inerzia che accompagna la loro evoluzione. Ma
sarebbe fallace ritenere che tale adeguatezza si risolva nell’individuare la modalità apparentemente meno onerosa.
La forma infatti deve garantire la realtà dell’atto giuridico:
cioè la possibilità per la volontà del soggetto di realizzarsi oltre l’at-
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109
to dell’enunciazione (e le sue contingenze spazio-temporali) divenendo uno stato-di-cose normativo, vincolante, non eludibile.
Questo è il senso metastorico della regola «ex nudo pacto actio non
nascitur»40: uno scambio di volontà informali non ha effetto oltre il
momento in cui è avvenuto. Ed è ancora icastica la metafora, introdotta dai giuristi medievali, dei vestimenta pactorum necessari per
rendere giuridicamente impegnativo un nudo patto41.
La forma dell’atto giuridico è sempre eccedente rispetto alla
manifestazione di volontà e, come tale, è sempre inutile42; ma è
solo attraverso questo inutile eccesso che la volontà del soggetto
diviene oggettività giuridica.
4.2. L’eccesso proprio della forma giuridica è infatti strutturalmente il medesimo che troviamo in altri fenomeni come il gioco,
connotato da disinteresse e separazione dalla vita ordinaria, o il
dono generoso, offerto con largesse; fenomeni tutti caratterizzati
da quella che Georges Bataille ha chiamato dépense (dispendio
che va oltre «il principio del pareggio dei conti»). In tali eccessi
l’eccesso è tale se misurato secondo il metro dell’utile immediato,
ma acquisisce una sua profonda funzionalità se connesso alle condizioni attraverso cui l’uomo può diventare e restare tale.
4.2.1. A tale riguardo, è significativo che Johan Huizinga con40 Cfr. l’opinione di Ulpiano secondo cui “nuda pactio obligationem non
parit” (D. 2,14,7,4). Questo non esclude che in altri ordinamenti il patto sia
considerato una forma adeguata per la costituzione di stati di cose normativi:
in questo senso, preciso è il 1° comma dell’art. 1134 del Code civil (che si ritiene avere tra i primi recepito il principio della vincolatività dei patti) quando
afferma: “Les conventions légalement formées [corsivo mio] tiennent lieu de
loi à ceaux qui les ont faites”.
41 G. AZZONE (Summa Codicis, lib. II, tit. III De pactis) scriveva “vestitur
[...] pactum VI modis re, verbis, consensu, litteris, contractus coherentia, rei
interventu”.
42 F. CORDERO (Riti e sapienza del diritto, 1981, p. 441) scrive: “Le forme
decadono nel momento in cui qualcuno si domanda a cosa servono”.
110
RELAZIONI
sideri il gioco (fino dal sottotitolo del suo libro) essenzialmente
come un «fenomeno culturale» [«cultuurverschijnsel»] e non come
una «funzione biologica» [«biologische functie»] e quindi «faccia
un uso solo molto ristretto delle idee e delle spiegazioni dell’etnologia»43. Per Huizinga, il gioco, anche nelle sue forme più semplici,
«oltrepassa i limiti dell’attività puramente biologica: è una funzione che contiene un senso [«Het spel is een zinrijke functie»]»44:
insieme al gioco «si riconosce anche […] lo spirito [«geest»]»45.
Huizinga contrappone gioco [«spel»] e puerilismo [«Puerilisme»]46; tale contrapposizione ha una struttura simile alla contrapposizione di forma e formalismo: mentre il primo elemento è
costitutivo dell’umano, il secondo ne è una parodia, una volgare
imitazione.
4.2.2. Già Huizinga segnalava le analogie tra gioco e alcune
forme di dono47. Qui, nell’immensa letteratura sul tema48, vorrei
ricordare le analisi del dono generoso, offerto con largesse, effettuate da Jean Starobinski. Esempi paradigmatici di largesse sono
le largitiones attraverso cui chi ha auctoritas manifesta la sua capacità di augere 49, aumentare o creare prosperità50; le sparsiones di
43
J. HUIZINGA, Homo ludens: proeve eener bepaling van het spel-element
der cultuur, 1938, 2008, p. 27; tr. it. p. XXXII.
44 Ivi, p. 28; tr. it. p. 3.
45 Ivi, 1938, 2008, p.30; tr. it. p. 6.
46 Ivi, 1938, 2008, p. 237; tr. it. p. 241; con il neologismo ‘Puerilisme’
Huizinga intende “l’atteggiamento adolescente, non frenato da educazione, né
da forme; né da tradizione” che permea molte espressioni della cultura moderna (che in questo modo si allontana dal gioco); mentre, per Huizinga, un
“bambino che gioca non è puerile” (p. 238; tr. it. p. 242).
47 ID., Homo ludens: proeve eener bepaling van het spel-element der cultuur,
1938, 2008, pp. 86-91; tr. it. pp. 68-74.
48 Cfr. S. ZANARDO, Il legame del dono, 2007.
49 Per un’analisi di ‘augere’, cfr. É. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, 1969, II, pp. 148-151.
50 J. STAROBINSKI, Largesse, 1995; tr. it. p. 14.
GIAMPAOLO AZZONI
111
missilia (a volte di rilevante valore) che ripetono la logica della
semina di un campo51 o, per venire a tempi più vicini e minori
sacrifici economici, il «lancio di confetti, di dolciumi e di soldi al
momento dei battesimi (natalitia) e delle nozze»52.
Il dono offerto con largesse, a pieni mani, a persone indeterminate, è un dono che mette «tra parentesi» il donatario53 e, in un
certa misura, lo stesso donante: è un dono che si dona.
Riferendomi ad un’opposizione di Bruno Romano54, il dono è
«dono del senso» e si oppone al «commercio dell’utile»: la forma
dell’atto giuridico (in quanto presupposta dal soggetto e, a un
tempo, orientata verso un fine particolare) partecipa di entrambi
i poli di questa opposizione, in modo omologo alla terzeità del
diritto, ma è importante evidenziare che la dinamica della forma
è dal «dono del senso» al «commercio dell’utile»: l’utile del commercio può avere la sua realtà solo attraverso il senso donato dalla
forma.
Come il gioco ha sua specifica opposizione nel puerilismo,
così il dono generoso può degenerare nella violenza narcisistica o
nell’umiliazione dell’altro: nuovamente, forma e formalismo.
4.2.3. Come ho detto, sia il gioco, sia il dono offerto con largesse, sono caratterizzati da quella che Bataille ha chiamato
dépense. A tale riguardo, mi sembra non solo brillante, ma ancora attuale per un’analisi dell’eccesso strutturalmente proprio della
forma degli atti giuridici, l’incipit de La Notion de dépense:
«Chaque fois que le sens d’un débat dépend de la valeur fondamentale du mot utile, c’est-à-dire chaque fois qu’une ques51
Ivi, 1995; tr. it. p. 14.
Ivi, tr. it. p. 12, n. 7.
53 J.-L. MARION, Étant donné: essai d’une phénoménologie de la donation,
21998, pp. 124-128.
54 B. ROMANO, Dono del senso e commercio dell’utile: diritti dell’io e leggi
dei mercanti, 2011.
52
112
RELAZIONI
tion essentielle touchant la vie des sociétés humaines est abordée, quelles que soient les personnes qui interviennent et
quelles que soient les opinions représentées, il est possible
d’affirmer que le débat est nécessairement faussé et que la
question fondamentale est éludée»55.
Esempio tipico di dépense è il potlatch studiato da Marcel
Mauss, ma la parte forse più significativa della cultura umana
altro non è che dépense: oltre al gioco e al dono, il lusso, i lutti, le
guerre, i culti, le costruzioni di monumenti suntuari, gli spettacoli56. Il principio della dépense relativizza (per la stessa economia) l’importanza del «principe économique de la balance des
comptes»57.
Come il gioco si contrappone al puerilismo e il dono generoso si contrappone alla violenza narcisistica dell’esibizione, così la
dépense ha in sé la possibilità dell’auto-distruzione: nuovamente,
ancora, la stessa dialettica di forma e formalismo.
Pertanto si può affermare che l’onerosità della forma dell’atto
giuridico si misura col grado di dépense che essa comporta. La
dépense in alcuni atti può essere elevata: si pensi alla forma richiesta per l’adrogatio, cioè l’adoptio di un sui iuris davanti ai comitia
curiata presieduti da un pontifex (o successivamente in presenza
di trenta littori)58, ma si pensi anche (per smentire il pregiudizio
che associa indissolubilmente onerosità della forma e arcaicità del
diritto)59 alle rigorose forme richieste dall’analoga adozione di
55
G. BATAILLE, La Notion de dépense, 1933; 1970, p. 302.
de dépense, 1933; 1970, p. 305.
56 ID., La Notion
57 Ibidem.
58
A. GELLIUS, Noctes Atticae, V, 19, 1-13.
Come osserva Friedrich Carl von Savigny (System des heutigen römischen Rechts, 1840, Vol. III, § 130), quando la determinazione della forma
degli atti solenni avviene attraverso la “arbitraria disposizione dei legislatori”
[“durch willkührliche Vorschrift der Gesetzgeber”], “come un comando venuto dal di fuori”, si ha un rovesciamento nell’ordine delle funzioni proprie della
59
GIAMPAOLO AZZONI
113
persone maggiori di età per il vigente Codice civile (artt. 311 ss.).
Più in generale, la forma di ogni atto giuridico prevede un certo
grado di dépense e, in questa prospettiva, non sarebbe che una
«conception misérable»60 quella che riducesse la forma dell’atto
alla sua immediata funzionalità.
4.3. L’eccesso della forma, la sua apparente diseconomia, evidenziano come il fenomeno giuridico partecipi della cultura
umana e sia pertanto irriducibile alle regolarità di un sistema
naturale basato sul principio del minimo sforzo: la forma dell’atto giuridico preclude la riduzione del diritto a etologia o economia (quest’ultima intesa secondo le concezioni della moderna
economia politica che ripetono nel sociale le leggi dell’evoluzione
per selezione del più adatto)61. La forma garantisce all’atto giuridico il suo spirito, la sua tensione verticale, il suo momento antigravitazionale62.
La forma dell’atto giuridico è una sfida alla morte (non è un
caso che i negozi mortis causa siano, in tutte le culture, tra gli atti
formali per eccellenza). In questo sfidare la morte attraverso atti
capaci di produrre stati-di-cose normativi definitivi c’è una sorta di
forma: “le conseguenze secondarie degli atti simbolici (la sicurezza della prova
e la pubblicità) vengono [...] a trovarsi in prima linea, mentre i vantaggi intrinseci ed essenziali [“die inneren und wesentlichen Vortheile”], che negli atti
simbolici vanno congiunti con la loro viva plasticità [“Anschaulichkeit”], non
possono conseguirsi che in grado minore”. Tra tali vantaggi intrinseci ed essenziali, Savigny indica il fatto che le forme simboliche degli atti solenni
favoriscono uno stato di riflessiva attenzione nelle parti e consentono l’univoca individuazione del momento della conclusione. Nonostante tale rovesciamento operato dai legislatori, Savigny è lontano dal biasimarli in quanto, con
la introduzione di nuove forme, hanno soccorso al bisogno pratico “quando è
venuto meno quel modo di sentire, dal quale soltanto gli atti simbolici ripetono
la loro origine e possono avere vita durevole”.
60 G. BATAILLE, La Notion de dépense, 1933; 1970, p. 303.
61 Cfr. B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia: vita animus anima, 2009.
62 Cfr. P. SLOTERDIJK, Du mußt dein Leben ändern: über Anthropotechnik,
2009.
114
RELAZIONI
hybris, un orgoglio che potrebbe apparire smisurato dell’uomo e
del suo diritto; forse è anche connesso a ciò il fatto che (a differenza che nel diritto civile dove vige il principio «res iudicata pro veritate accipitur»)63 nel diritto della Chiesa cattolica, per lunga tradizione e in nome di un principio di diritto divino, «Le cause sullo
stato delle persone […] non passano mai in giudicato» (can. 1643).
5. Solennità e giuridicità: ritorno a Hegel
5.1. Nel § 3 ho presentato due contesti storici in cui la presenza di atti formali viene a costituire un tratto essenziale (anche se
non necessariamente distintivo) del diritto. Ma, forse, nella storia
della filosofia il luogo in cui con maggiore profondità è stato esaminato il nesso tra solennità della forma e giuridicità degli statidi-cose è il § 164 delle Grundlinien der Philosophie des Rechts in
cui Hegel, all’interno di una mirabile analisi filosofico-giuridica
del matrimonio64, considera il nesso tra solennità dell’atto e costituzione etica del rapporto matrimoniale.
Il tema è quello della realtà del matrimonio [«Wirklichkeit der
Ehe»]: quando si ha un reale matrimonio? La risposta di Hegel è
che il legame matrimoniale si costituisce a seguito della cerimonia
[«Zeremonie»] solenne [«feierliche»] attraverso cui «l’essenza di
questo legame viene enunciata e constatata come un che di etico
innalzato sopra l’accidentale del sentimento e dell’inclinazione
particolare». Nella cerimonia solenne, forma dell’atto e realtà del
rapporto si coimplicano reciprocamente65.
5.1.1. Hegel si oppone esplicitamente a quella concezione
63
D.1.5.25 e D.50.17.207.
G. W. F. HEGEL, Grundlinien der Philosophie des Rechts, 1821, §§ 161164 e §§ 167-168 (tr. it. pp. 141-144; 145-146).
65 Ivi, § 164 (tr. it. pp. 143-144).
64
GIAMPAOLO AZZONI
115
romantica e individualistica che consegnava la realtà del matrimonio al sentimento e vedeva pertanto nella cerimonia solenne solo
«una formalità esteriore» [«eine äußerliche Formalität»]. Tale concezione riducendo l’atto matrimoniale al rispetto di un precetto
meramente civile lo privava di qualsiasi significato «salvo forse di
avere il fine dell’edificazione e dell’attestazione del rapporto civile». Secondo Hegel «tale opinione, mentre ha la pretesa di dare il
più alto concetto della libertà, intimità e compiutezza dell’amore,
nega piuttosto l’elemento etico dell’amore». Invece, grazie alla
cerimonia solenne e sulla base dell’obbligo che con essa la
coscienza contrae verso i Penati, il legame d’amore viene sottratto all’«arbitrio dell’inclinazione dei sensi» [«Willkür der sinnlichen Neigung»] e concesso al «sostanziale» [«das Substantielle»]
divenendo così legame etico.
5.1.2. Pertanto, secondo la prospettiva di Hegel, per la sostanzialità del matrimonio quale rapporto è necessaria la solennità
[«Feierlichkeit»] del matrimonio quale atto. Atto che così si realizza: «la dichiarazione solenne del consenso al vincolo etico del
matrimonio e il corrispondente riconoscimento e sanzionamento
del vincolo medesimo da parte della famiglia e della comunità».
A tale proposito, è da segnalare un’importante notazione di
Hegel sulla connessione tra cerimonia, sostanzialità, linguisticità
e spirito: nella cerimonia si ha «la conduzione a compimento del
sostanziale tramite il segno, il linguaggio, inteso come il più spirituale esserci dell’elemento spirituale».
5.2. Sempre nelle Grundlinien der Philosophie des Rechts,
Hegel riprende il tema della forma degli atti giuridici nel § 217
dove rileva l’importanza di forma [«Form»] e formalità
[«Förmlichkeiten»] per i negozi traslativi o modificativi dei diritti di proprietà: le «acquisizioni e azioni relative alla proprietà
devono […] venir intraprese e corredate con la forma che conferisce loro […] l’esserci» propriamente giuridico. È grazie alle for-
116
RELAZIONI
malità che un diritto di proprietà può essere non solo provato, ma
acquisisce anche la sua validità ed efficacia: le formalità «rendono la proprietà suscettibile della prova e avente forza giuridica
[«rechtskräftig»]».
Secondo Hegel pervenire a forme giuridiche che siano «semplici e adeguate» richiede un «lungo e duro lavoro»: ecco perché
in «una civiltà giuridica soltanto incipiente le solennità e formalità sono di grande circonstanziatezza e valgono più come la cosa
stessa che come il segno». La forma giuridica è anche in Hegel
consegnata allo sviluppo della cultura umana.
Nella società civile ogni acquisizione di proprietà avviene normalmente attraverso un atto formale non avendo più rilievo i
«titoli e modi di acquisto originari, cioè immediati», come l’occupazione e l’impossessamento66.
5.2.1. Molto interessanti sono le osservazioni di Hegel relativamente ai due errori opposti che si possono dare nella considerazione della forma per gli atti giuridici: l’errore di rigettare la
forma in generale e l’errore di trattare una forma particolare in
modo irrelato a ciò di cui essa è forma.
Il primo errore è di coloro che, come nel caso visto del matrimonio, ritengono la forma inutile o addirittura contraria all’autenticità dell’atto. Di tale errore esistono due versioni: la prima
(romantica) è quella del «sentimento [«Gefühl»] che resta fermo
nel soggettivo», la seconda (moralistica) è quella della «riflessione [«Reflexion»] che si arresta all’astratto delle proprie essenzialità».
Il secondo errore è quello tipico del formalismo (a cui Satta
avrebbe opposto la forma): l’errore che compie «il morto intelletto» di «tenere ferme e aumentare all’infinito» le formalità a discapito della Cosa. Come avrebbe scritto Franco Cordero, «A un
dato punto lo stile formalistico diventa malattia: gli scrupolosi
66
Ivi, § 217 (tr. it. p. 175).
GIAMPAOLO AZZONI
117
investono una logorante tensione psichica in ogni minuzia, ignorando sfondo economico, profilo tecnico, figura logica»67.
5.3. Hegel concludeva il § 164 scrivendo che le legislazioni dei
popoli cristiani erano coerenti con gli esiti della sua riflessione sul
legame matrimoniale e le forme della sua costituzione. Oggi forse
ciò non è più vero, ma credo che, attraverso l’esempio del matrimonio, Hegel abbia sviluppato argomenti ancora attuali sull’importanza della solennità formale per la sostanzialità giuridica.
Solennità che proporrei di definire come un eccesso simbolicamente giustificato della forma sulla funzione.
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