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Giorno del a Memoria, suc es o per lo spet acolo
“BuchenwaldTos” a Cairo
Venerdì 3 febbraio 2017
Lo scorso 27 gennaio, Giorno della Memoria, al Teatro della Scuola di Polizia Penitenziaria
è andato in scena lo spettacolo lirico “BuchenwaldTosca” organizzato dal Comune di
Cengio – Settore Cultura nell’ambito del progetto Cengio in Lirica, in parternariato
culturale con tutti i Comuni della Valle Bormida. Di seguito la recensione scritta dal
musicologo genovese Alfredo Malerba, che ha assistito in prima fila allo spettacolo lirico.
27 Gennaio: una data storica giustamente ricordata in tutto il mondo.
Tra le tante iniziative,spicca, per originalità, la toccante realizzazione dello
spettacolo BUCHENWALDTOSCA,messo in scena a Cairo Montenotte,da
un’idea di Mauro Pagano per la regia di Marcello Lippi. Corre l’obbligo,
innanzi tutto, di considerare che non si tratta di una rivisitazione della celebre
opera,ma di una ben mirata fusione di due eventi: un melodramma e la
rievocazione di un vero dramma; il tutto in un crescendo di emozioni che
incantano e coinvolgono lo spettatore conducendolo alla consapevolezza di
aver partecipato ad un evento unico. Lavoro realizzato,guarda caso,nel teatro
della scuola della Polizia Penitenziaria…e già all’ingresso dell’area della
caserma si trova un vero agente in divisa che aziona un cancello automatico
per consentire l’ingresso delle auto,per altro sotto una nevicata che,in
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armonia col titolo, richiama il freddo inverno tedesco. L’inferno
nazionalsocialista viene concretamente proposto alla biglietteria,dove soldati
con le originali divise dalla SS accolgono un pubblico cui è impossibile restare
indifferente alla vista di quelle uniformi con tanto di svastica al
braccio;pastori tedeschi al guinzaglio di sentinelle armate di mitra,
sorvegliano poco più avanti un gruppo di reclusi,col tipico pigiama a strisce,
frequentemente richiamati da un’autoritaria pronuncia tedesca. Sarà che si
tratta di storia recente,con tanti superstiti ancora in vita, sarà per quanto
abbiamo visto nelle testimonianze dei documentari,ma l’impressione
suscitata,già prima dello spettacolo,risulta molto,molto forte ed ha tutti i
connotati di una tragica Overture.
Dopo una breve ed esplicativa prolusione,la presentatrice ha invitato il
pubblico in sala ad astenersi dagli applausi se non a fine d’atto, trasmettendo
così ai presenti la sensazione di non assistere ad un’opera lirica ma di
partecipare ad un evento commemorativo cui si addice maggiormente il
silenzio,il rispetto e la commozione. E difatti le lacrime non sono mancate. La
realizzazione artistica che ha come paradigma l’armonia per contrasto.trova
qui la sua espressione nella contrapposizione tra le melodie di Puccini e la
gelida,terrificante atmosfera del lager. Un gruppetto di artisti prigionieri,per
il diletto di un gruppetto di graduati,seduti in un’improvvisata platea,sulla
destra del palcoscenico, esegue l’opera sopra un improvvisato palco: Il teatro
nel teatro. Desiderio di amore,di vita futura e l’ineluttabilità della
morte:questo è TOSCA…questo è BUCHENWALD.
L’opera, raffazzonata, come può esserlo in un campo di concentramento, è
stata mirabilmente restituita dagli interpreti: la soggezione e l’ansia di
esibirsi davanti ai propri carnefici è stata resa, sin da subito, dall’entrata di
Angelotti, formidabile nel mostrarsi timoroso ed esitante; sospinto ed
incoraggiato dal più intrepido Cavaradossi, esordisce con le parole di Illica e
Giacosa,adattissime alla circostanza:”…nel terror mio stolto vede ceffi di birro
in ogni volto”. Idee geniali hanno caratterizzato l’intero svolgersi
dell’opera,sempre nel massimo rispetto delle note. : ufficiali che irrompono
sull’improvvisata scena per interrompere le troppo dolci effusioni tra Floria
ed il suo amante. Affatto vincente,poi, aver affidato la parte del “bigotto e
satiro” Scarpia ad un Capò, che, in virtù del suo grado, riesce a recitare con
maggior disinvoltura identificandosi totalmente nel suo doppio ruolo, non
scordando, tuttavia, qual tipo di pubblico sia costretto a compiacere: “è forza
che si adempia la legge”- affermazione categorica che non ammette
polemiche, declamata a gran voce non alla sua interlocutrice ma agli
inquietanti spettatori del lager; una vera e propria “captatio benevolentiae”,
peraltro, vana.
Toccante infine l’aria del tenore, anch’essa rivolta ai gerarchi ed il “muoio
disperato e non ho amato mai tanto la vita”, assume connotazioni di tale
realismo capace di toccare le corde più profonde di tutti i presenti. Corre
l’obbligo di lodare anche la bravura delle comparse che hanno saputo
incarnare al meglio lo spirito e le movenze degli ufficiali nazisti: attratti dalla
bellezza dell’opera italiana, dimostrano competenza e gradimento per
l’intrattenimento offerto dai reclusi;c’è chi segue passo-passo sullo
spartito,chi si gode la musica senza mai cessare di vigilare e senza lesinare
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convinti battimani al termine delle romanze. Stupore e sorpresa hanno
suscitato le esecuzioni dei cantanti uccisi appena terminati i rispettivi ruoli.
La TOSCA reclama le sue vittime ed a “consacrare il melodramma in
autentico dramma se ne fa carico la follia nazista; una trovata registica dove
la finzione diventa realtà sul palcoscenico o più verosimilmente un messaggio
universale: l’impossibilità per l’ARTE di sopravvivere nei regimi dittatoriali.
Cast di ottimo livello. Particolarmente felice la scelta della fisarmonica,
strumento degli umili, evocatore di luoghi lontani, che insieme a violino e
pianoforte, grazie agli esecutori, rispettivamente:M° Franco Giacosa,
Massimo Cocco e Massimo De Stefano, hanno sostenuto brillantemente solisti
e coro. La protagonista Renata Campanella, già vincitrice del concorso Cengio
in lirica 2016, ha mostrato radiosa purezza e fermezza di emissione con acuti
lucenti e timbratissimi rivelando anche spiccate doti di attrice che la parte
reclama: vale ricordare, ad esempio, la destrezza nell’utilizzo di uno
spazzolino, improvvisato sostituto del ventaglio. Accanto a Lei, il Cavaradossi
di Mauro Pagano:parte quanto mai congeniale al Suo timbro bruno, alla calda
espansività di un fraseggio morbido con attimi di grande tenerezza al primo
atto e di lacerante disperazione al terzo;ispiratore dello spettacolo,ha
dominato la scena,contribuendo col Suo consumato mestiere a mettere in
valore l’nterpretazione dei colleghi.Assai convincente lo Scarpia di Giorgio
Valerio, in un ruolo baritonale che reclama in quest’ambito una perfidia al
quadrato.Non di meno per i comprimari. Marcello Lippi, regista di valida
esperienza e solido buon senso, con estrema sagacia,ha saputo trarre buon
partito dalle possibilità offerte dalla scena. Successo di pubblico. Un vero
trionfo. L’auspicio è che simili realizzazioni possano essere riproposte e
divulgate a benefico della cultura,della memoria storica e delle future
generazioni.
Dott. A. Malerba, musicologo
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