Il Verbo Solitamente si considera che la distinzione tra nome e verbo sia un tratto linguistico universale. In realtà in molte lingue la distinzione è molto meno definita che, ad esempio, in italiano, in inglese o in francese. La nostra distinzione è spesso fondata su basi morfologiche; chiamiamo verbi quegli elementi lessicali che si coniugano come verbi e nomi quelli che seguono la flessione nominale. Molte lingue dispongono di meccanismi per trasformare verbi in nomi e viceversa. In italiano, ad esempio, possiamo derivare verbi da nomi con suffissi come –izzare (), e viceversa con suffissi come –zione o –tore (). Altre lingue presentano una categorizzazione meno distinta, come, ad esempio, il cinese. Secondo alcuni linguisti in cinese è molto difficile distinguere nomi da verbi in quanto (i) non esistono marche morfologiche, (ii) il numero di parole la cui classificazione è ambigua è molto alto e (iii) molti verbi possono apparire in posizione di soggetto, come molti verbi possono apparire in posizione predicativa (13% - 29% delle parole mono- e bisillabiche cinesi possono essere usate sia come verbi che come nomi). Alcune lingue amerindiane, come il cayuga, distinguono nomi basici, come ga-nǫhs-a⁷ “casa”, hnyagwai: “orso”, da nomi verbali descrittivi come dewahǫhde:s “cervo” (lett. “egli ha due lunghe orecchie”), wadręnota⁷ “radio” (lett. “parole sono messe dentro qualcosa”). Un numero più elevato di lingue distingue nettamente il verbo dal nome, affidando al primo l’espressione dell’evento che ciascuna frase rappresenta. Nelle lingue indoeuropee non mancano forme intermedie tra il nome ed il verbo, come l’aggettivo verbale del greco, il participio, il gerundio latino e altre forme assolute del sanscrito. Nella sua essenzialità il sistema verbale indoeuropeo si fonda sui tratti di numero, persona, modo e tempo. Il numero è, in genere, duplice, singolare e plurale, anche se alcune lingue, ad es. il greco classico ed il sanscrito, hanno anche il duale. Le persone sono tre, prima (quella del parlante), seconda (quella dell’ascoltatore) e terza (quella di chi è esterno all’atto comunicativo), ma hanno desinenze diverse a seconda che siano singolari o plurali. Per quanto riguarda i tempi si distingue un presente, alcune forme di passato e il futuro. Il presente tende ad essere unico, anche se alcune lingue moderne aggiungono una forma di presente “in corso” (progressivo). Il futuro è una formazione relativamente recente e poco stabile, che si forma in maniera diversa; ad es. greco e sanscrito concordano su una forma –sigmatica-, mentre la forma latina in –bo affonda le radici in una forma perifrastica. Il passato si forma mediante l’uso di desinenze proprie (desinenze dei tempi storici) che si applicano al tema del presente (imperfetto) o ad un tipo di tema ridotto o –sigmatico(aoristo per il greco e per il sanscrito). Greco e sanscrito concordano anche nell’aggiungere una formazione di “perfetto” che costituisce una tema autonomo. Il latino fa confluire aoristo e perfetto nell’unica forma del perfetto che assume così talora la struttura tematica ridotta dell’aoristo (es. fui, tuli, vidi), quella sigmatica (es. dixi) o quella raddoppiata del perfetto (es. pepuli). I modi più o meno universalmente presenti sono l’indicativo, il congiuntivo e l’imperativo. Greco e sanscrito aggiungono il modo ottativo. La forma passiva è resa in latino, greco, sanscrito, ma anche da molte altre lingue indoeuropee, mediante marche morfologiche specifiche. Altre forme verbali, come il desiderativo, il causativo, l’iterativo ecc. si formano a partire dalla radice del verbo, costruendo nuove radici mediante suffissazioni specifiche. PDF created with pdfFactory trial version www.pdffactory.com