Cass77 “L’intelligenza dell’universo” di Elio Sindoni (ed. Piemme) presentazione del libro giovedì 26, ore 11,30 Relatore 1: Duccio Macchetto, astrofisico, direttore Hubble Space Telescope Relatore 2: Marco Bersanelli, astrofisico, ricercatore presso il CNR Relatore 3: Roberto Colombo, docente di biologia generale presso l’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Relatore 3: Elio Sindoni, autore, ordinario di fisica presso l’università degli studi di Milano Bicocca Moderatore: Mario Gargantini Gargantini: Presentiamo il libro “L’intelligenza dell’universo” curato dal professor Roberto Colombo, Giulio Giorello ed Elio Sindoni. Evidentemente il panel (?) è molto ricco ma ne vale la pena dato l’argomento e il vostro interesse, la vostra presenza dimostra che l’interesse per l’intelligenza dell’universo, alla quale anche noi partecipiamo, anzi, partecipiamo in prima persona in modo molto sentito. E’ sicuramente un tema che richiede una varietà di approccio, una pluralità di approccio ed una diversità di competenze che qui sono rappresentate eloquentemente. Il libro stesso mostra questo approccio aperto, l’argomento infatti è uno dei massimi argomenti che si possono affrontare, c’è ancora tanto da scoprire, c’è ancora tanto di ignoto, ci sono però ancora tante conoscenze da aggiungere, ci sono tante sorprese che si sono rivelate e che si stanno rivelando ancora in questi giorni nelle ricerche più recenti. Ci sono molti segni interessanti di una realtà che sembra a volte superare la nostra stessa capacità di afferrarla, di analizzarla, di imbrigliarla nei nostri piccoli tentativi di teorizzare. Una realtà, che come si dice nelle prime pagine del libro, è una sfida continua al nostro desiderio di conoscenza. Noi oggi vogliamo fare i primi passi per affrontare questa sfida, i nostri interlocutori ci aiuteranno in questo. Vorrei iniziare chiedendo al professor Elio Sindoni, docente di fisica all’università di Milano, che non solo è curatore, l’ideatore dell’esperienza dei convegni di Varenna dai quali il libro ha preso lo spunto, è anche appunto il curatore del libro. Gli chiederei di farci capire il contesto nel quale il libro è nato e come hanno impostato il libro, qual è la sua finalità, e come aiutarci quindi a leggerlo. Sindoni: Grazie. Questo libro fa parte di un’iniziativa cominciata circa dieci anni fa nell’ambito di una fondazione di cui mi occupo da molti anni che intende affrontare alcuni problemi essenziali che l’uomo si è sempre posto, cioè l’origine dell’universo, l’origine della vita, perché noi ci siamo, c’è qualcosa invece del nulla …. Però affrontati in maniera multidisciplinare, noi pensiamo che questi problemi non possono essere risolti soltanto, o anche affrontati soltanto dal punto di vista del fisico, del biologo, del filosofo, del teologo ma che sia importante avere un dialogo tra tutte queste branche apparentemente così distanti della cultura. Allora abbiamo iniziato a fare questi convegni, all’inizio avevamo molto paura che la cosa non funzionasse invece per fortuna ha funzionato, siamo riusciti veramente a mettere insieme un gruppo di persone, direi un club di amici provenienti dalle più differenti culture che si ritrovano non soltanto ogni due anni per questi convegni e per altre conferenze, e non c’è nessuna preclusione per quanto riguarda la fede religiosa di queste persone, la nazionalità eccetera; per esempio nel nostro gruppo di amici fanno parte oltre ai presenti grandi scienziati come John Barrow(?), Paul Davis, padre Cohen (?), ci sono dei filosofi, alcuni credenti come Giovanni Reale Sini (?), altri come Giorello e persino Emanuele Severino nostro carissimo amico. Poi c’è tutta la parte teologica, già dall’inizio abbiamo avuto il completo appoggio e l’aiuto continuo di sua Eccellenza Monsignor Angelo Scola che si interessa molto alle nostre iniziative. Queste iniziative sfociano poi in convegni e in atti di convegno che sono però atti un po’ per addetti ai lavori, sono abbastanza complicati, difficili. Però noi non vogliamo star chiusi in una torre d’avorio, allora abbiamo deciso di far seguire a questi atti dei libri che io non voglio chiamare divulgativi perché è una parola orrenda, sono dei libri di informazione scientifica che richiedono solo una buona base culturale ma soprattutto stimolano la curiosità perché pongono delle domande e costringono le persone a pensare, che è la cosa più importante. Due anni fa per esempio è nato il libro “La favola dell’universo”, i titoli sono un po’ esotici perché li impone come al solito l’editore, in cui cercavamo di fare il punto su quell’evento che è stato la nascita dell’universo. Il libro di quest’anno invece fa un passo più avanti, cioè ad un certo punto in questo universo inanimato è successo un fatto straordinario, è comparso un essere che è capace di porsi di fronte all’universo e porsi delle domande, chiedersi il perché di tutto e allora è nato il libro “L’intelligenza dell’universo”. Abbiamo fatto qualcosa di più, don Roberto, Giulio Giorello ed io, che non fare l’editing del libro, abbiamo cercato di trarre dalle relazioni dei nostri relatori di Varenna degli spunti e cercare di tradurli in modo che potessero essere fruiti dal maggior numero di persone. Direi che lo sforzo a mio parere, adesso vorrei sentire i miei amici, è riuscito abbastanza bene, quindi vi esorto a leggerlo. Grazie. Gargantini: In cosmologia, come anche in biologia la curiosità tocca un livello altissimo perché si misura con un oggetto tendenzialmente infinito, comunque smisurato. Entrambe le discipline offrono tante nuove prospettive, ci sono tante risposte, ci sono anche alcune smentite, alcune clamorose, alcune teorie vengono contraddette, ma ci sono anche tante nuove domande; ecco io vorrei chiedere un po’ a tutti, provocarvi inizialmente con questo interrogativo: sono di più le domande o le risposte? Perché uno immagina sempre che la scienza sia una macchina che dà risposte. In questo momento nelle vostre discipline sono di più, se così si può dire se si può misurare, le domande o le risposte? Sono più interessanti le domande o le risposte? Non ho prima presentato tutti direttamente ma direi che oramai siamo familiari qui al Meeting: Duccio Macchetto, direttore dei programmi scientifici del telescopio spaziale Hubble che abbiamo ascoltato ieri e che risentiremo questa sera nell’incontro di approfondimento sulle ultime novità da Hubble che ci mostrerà in diretta con le immagini. Marco Bersanelli, astrofisico, ricercatore presso il CNR docente all’università di Milano presidente dell’associazione Euresis. Roberto Colombo, docente di biologia alla Cattolica, esperto di bioetica. Tutti vi invito a rispondere a questa domanda: sono di più le domande, più interessanti le domande o le risposte? Macchetto: Prima di tutto penso che sono sempre più le domande che le risposte, detto molto brevemente: trovare una risposta ad una domanda importante è veramente quello che cerchiamo di fare nel nostro mestiere tutti i giorni, andare ad individuare con le osservazioni, con le misure che dobbiamo fare per rispondere alle domande fondamentali. Ma la parte più divertente poi è quando, si, troviamo questa risposta ma nel trovare questa risposta cambiamo le nostre ipotesi, cambiamo le nostre teorie e ci poniamo tutta una nuova serie di domande perché è così che si progredisce, e facendosi nuove domande più che rispondendo a delle domande già fatte prima perché ogni volta che ci poniamo nuove domande cambiamo le nostre idee, facciamo dei progressi, quando rispondiamo, si, facciamo un progresso ma non è così importante come quello di porsi nuove domande. Bersanelli: La strana sensazione che si ha facendo ricerca è che quando si riesce a formulare in modo corretto una domanda è la stessa sensazione di compimento, di gratitudine che si ha quando si trova una risposta, intendo dire che quando siamo capaci di formulare una domanda sensata, la domanda giusta, arrivare alla domanda giusta è veramente l’anticamera di un passo avanti, quindi è proprio da un certo punto di vista inscindibile la questione della domanda e della risposta, la parte più creativa sta proprio nell’arrivare a formulare la domanda giusta, è sulle domande giuste che partono i nuovi grandi progetti le nuove prospettive. Colombo: Per ogni risposta che trovo mi sorgono dieci, cento, mille domande. Quando vado nella biblioteca e scovo un articolo e dico: ecco, questa è la risposta a un lavoro che stiamo facendo, subito viene rilanciata una domanda. Allora, è proprio la certezza che una risposta esiste, che accende in te la domanda. Chi non ha il gusto di cercare la risposta evidentemente fa fatica a tirare fuori la domanda, almeno questo è quello che accade a me. L’uomo è un animale insaziabile, insaziabile di risposte ma è ancor più insaziabile di domande. Bersanelli: Posso dire una cosa? No, mi veniva in mente adesso che facendo ricerca a volte succede anche un po’ l’inverso, cioè a volte capita di imbattersi in qualcosa che è evidentemente una risposta, e quindi bisogna andare a scovare qual è la domanda, mi spiego? Perché a volte una scoperta accade per caso. Cioè uno si imbatte – la scoperta del fondo cosmico di microonde che è l’oggetto di cui mi occupo – è avvenuta per … in modo assolutamente imprevedibile, non era ciò che Benzes e Wilson (?) stavano cercando . Si sono imbattuti in questo oggetto. Ma la scoperta non è stata tale fino a quando si è riusciti a porsi la domanda, cioè a capire – diciamo - qual era il terreno sul quale questa scoperta andava a completare un quadro. Quindi è proprio vero che c’è un incontro tra la domanda e la risposta che è inscindibile. Galantini: Bene, adesso entrando un po’ più nello specifico del tema, immediatamente balza all’occhio il problema del tempo -c’è anche una mostra qui al Meeting sul tempo - il tempo sembra un elemento cruciale in tutta questa vicenda, quando si parla di storia dell’universo si parla di evoluzione cosmica, si parla di emergenza della vita e poi della vita intelligente, tutto questo è avvenuto nel tempo, ma sul tempo oggi la scienza, la fisica e in particolare anche le altre scienze hanno molto da dire, hanno molte cose da dire nuove. Ecco, cosa… allora volevo chiedere a Duccio Macchetto, che cosa si può dire oggi sul tempo, sui tempi cosmici, sull’età dell’universo, e quale influenza queste nuove conoscenze hanno sul problema dell’emergere della vita e della vita intelligente. Macchetto: E’ vero che il problema del tempo è stato uno dei più grossi problemi dell’astrofisica, dell’astronomia, da sempre, e dovete solo pensare che in principio di questo secolo, negli anni ’20, per la prima volta ai tempi di Hubble , appunto, l’astronomo americano a cui abbiamo dato il nome al nostro telescopio spaziale, ai tempi di Hubble si è scoperto per la prima volta che c’erano delle galassie al di fuori delle nostre galassia, e che queste galassie si espandevano, più erano lontane più si allontanavano con una velocità che aumentava. E da lì, da queste osservazioni pochi anni dopo è venuta fuori tutta l’idea dei -“pan” (?) non si capisce – anche se veniva chiamato in un altro modo a quell’epoca, è venuta fuori l’idea che se in un certo momento l’universo si sta espandendo, nel passato questo universo doveva essere più compatto e tutto doveva essere partito da un certo punto dove non c’era niente, nulla, tra virgolette, e dal quale è partito, anche lì tra virgolette, tutto quello che sappiamo, che conosciamo: lo spazio, il tempo, l’energia, la massa, le leggi della fisica ecc. ecc. Il problema fondamentale era sapere, ed era fino a poco tempo fa, sapere quanto ci ha messo l’universo ad evolvere fino al giorno d’oggi. Le misure della velocità di espansione dell’universo erano molto incerte perché per degli astronomi è facile misurare una velocità ed è molto difficile misurare una distanza con precisione. Non abbiamo dei metri decenti, non possiamo andare a mettere un centimetro e vedere quanto sono distanti queste galassie! Possiamo misurare facilmente la velocità e non entro nei dettagli di come lo facciamo….. Con il telescopio Hubble abbiamo potuto, attraverso una serie di misure diverse, determinare la distanza a galassie relativamente vicine a noi, nel senso relativamente vicine in astronomia vuol dire qualche decina di milioni di anni luce, ma abbastanza lontane perché queste galassie non siano sottoposte a dei moti che confonderebbero questa nostra idea, questa nostra visione di espansione globale. Con le misure del telescopio Hubble stiamo arrivando a una incertezza sulla età dell’universo che è dell’ordine del 10%. Fino a una decina di anni fa l’incertezza era più del 50%; si andava da valori minimi di circa 10 miliardi di anni fino a valori di 15-20 miliardi di anni. Al giorno d’oggi siamo attorno – arrotondiamo il numero – diciamo che l’universo ha circa un’età di 15 miliardi di anni. Ma perché è importante 15 miliardi e non 10, non 5 ecc.? Cioè qual è la differenza? La differenza è che – sicuramente sentiremo dopo dal Prof. Colombo – è che la evoluzione della nostra stella, e della vita nel nostro pianeta, attorno alla nostra stella, il sole, è anche questa limitata nel tempo. Ci sono voluti circa 5 miliardi di anni, un po’ di meno per la nostra terra e un po’ di meno per l’evoluzione della vita, ma ci sono voluti parecchi miliardi di anni per permettere l’evoluzione della vita nel nostro stesso pianeta. E se vogliamo estendere il discorso e cominciare a pensare alla possibilità di vita altrove, dobbiamo mettere tra i parametri non solo il numero possibile di pianeti simili alla nostra terra, con le giuste caratteristiche, ma anche i tempi evolutivi, cioè quanto ci vuole per formare quel pianeta, quanto ci vuole poi una volta che è stato formato quel pianeta, a dare il tempo che si evolva la vita. E non è automatico, sicuramente sentiremo più in dettaglio questo. Per cui avere un universo che è abbastanza vecchio – diciamo – di 15 miliardi di anni, piuttosto di uno di 10 miliardi di anni, aumenta la probabilità, se non altro, che ci sia da qualche parte un altro sistema planetario o altri sistemi planetari con le giuste condizioni per dare origine ad altri sistemi di vita. Galantini: Ecco, già lei ha accennato all’inizio di tutta questa avventura, a questa origine dell’universo in generale e poi alle varie origini. Anche nel testo, in alcuni interventi, si parla delle nuove teorie cosmologiche, delle nuovissime teorie che vanno sotto il nome di…teorie dell’inflazione caotica, o cose simili che… vi chiederei di spiegare adesso. Parlando di queste teorie capita soprattutto nella divulgazione, di sentire dire – grazie a queste nuove teorie che parlano di una situazione iniziale in cui c’erano queste fluttuazioni quantistiche - di cui poi ci parleranno, si può dire che l’universo, tutto quello che c’è è così iniziato dal nulla. Ecco, quando il lettore arriva a questo dal nulla, rimane un po’ lì! Però i fisici usano questi termini, …come dobbiamo leggere queste vostre affermazioni, e prima ancora se ci aiutate a capire queste teorie cosa hanno di interessante, che passi avanti hanno fatto fare per capire come tutto è iniziato e come dobbiamo confrontarci con esse. Bersanelli: Ma, io parlo come uno che si occupa della questione dal punto di vista scientifico, e quindi che cerca nei dati o nei dati osservativi sempre un pilastro, come dire, una conferma di quello che si va pensando a riguardo dell’universo, della realtà. Questa … ci sono dei dati osservativi molto interessanti e un po’ misteriosi all’origine…diciamo della nuova concezione o della nuova proposta che è stata fatta recentemente appunto di questa fase di inflazione iniziale dell’universo; cioè quello che noi osserviamo è che andando a grandissime distanze da noi, quindi andando ad osservare i fotoni del fondo cosmico prima ancora – diciamo – che le galassie potessero formarsi, quindi a una età di…. quando l’universo abbiamo sentito ora ha circa 15 miliardi di anni, quando l’universo aveva soltanto trecentomila anni, che è pochissimo rispetto alla sua età attuale, ecco a quell’epoca noi possiamo osservare l’universo attraverso il fondo cosmico, e noi vediamo che questo fondo cosmico ha una uniformità di intensità su tutte le scale angolari, quindi andando a confrontare regioni molto separate fra di loro, troviamo una uniformità straordinaria, di una parte su centomila. C’è una uniformità che non si riesce a spiegare. Perché non si riesce a spiegare questo? Non si riesce a spiegare facilmente questo perché all’epoca, quando l’universo aveva circa trecentomila anni, queste due regioni che io vado a osservare nel cielo in direzioni molto lontane, non avevano avuto il tempo di essere in rapporto fra loro. Perché noi sappiamo dalla teoria della relatività generale che qualunque messaggio fisico può propagarsi al più alla velocità della luce; dunque, se un raggio di luce fosse partito all’inizio dell’espansione dell’universo non avrebbe avuto il tempo di connettere queste due regioni che pure sembrano essere – sono di fatto – si presentano come connesse in quanto hanno esattamente le stesse caratteristiche, la stessa temperatura. Allora per ovviare a questo paradosso, o per dare una spiegazione possibile a questo paradosso, è stato….oltre che ad altre cose su cui non mi addentro, è stato ipotizzato che nei primissimi istanti, nelle primissime frazioni di secondo dopo l’inizio della vita dell’universo, l’universo sia…abbia attraversato una fase di espansione esponenziale molto più rapida di quello che noi estrapoleremmo andando all’indietro nel tempo e questo farebbe sì che quello che noi vediamo…l’orizzonte cosmico che noi vediamo, in realtà è partito da una regione molto più piccola, tale per cui è stato in grado di essere casualmente connesso al suo interno. Ecco, questa è una delle questioni che il modello appunto dell’inflazione, la proposta dell’inflazione incontra, cioè è uno dei dati che in qualche modo ha favorito il venire a galla di questa ipotesi. Ci sono anche altri dati che verrebbero spiegati in modo abbastanza naturale, così come ci sono un sacco di difficoltà in questo modello. Non si riesce bene a capire in nessun modo, è molto artificioso il modo in cui questa espansione esponenziale viene innescata e poi rallentata – ci sono delle condizioni al contorno molto artificiose che quasi sembrano essere ancora più artificiose di quelle che verrebbero spiegate in modo ancor più naturale – non so se….rendo l’idea. E’ una questione quindi interessante ma ben lontana dall’essere solida dal punto di vista scientifico. E una degli obiettivi delle prossime missioni spaziali, soprattutto ma non soltanto quelle che vanno a osservare queste fluttuazioni, appunto, leggere fluttuazioni, nel fondo cosmico, è proprio quello di andare a cercare dei dati osservativi che possano eventualmente confermare, correggere o negare questa ipotesi. Ecco, dentro queste ipotesi appunto, una delle cose che l’inflazione potrebbe spiegare è proprio l’origine delle fluttuazioni iniziali, e questa verrebbe fatta risalire a una fase quantistica dell’universo, cioè quando – pensate – tutto quanto l’universo che noi osserviamo oggi arriva ad avere delle dimensioni che sono paragonabili a quelle di un nucleo atomico, là dove i processi quantistici diventano dominanti e quindi tutto il discorso della nascita dell’universo dal nulla in realtà è soltanto l’affacciarsi dentro questa descrizione della evoluzione dell’universo di quel livello iniziale in cui cominciano a entrare in gioco – potrebbero, potrebbero essere, diventare importanti – le leggi della meccanica quantistica, per le quali non c’è una relazione di causa – effetto così come noi, la nostra esperienza umana, legata alla fisica classica, ci porta a immaginare. Comunque è evidente che parlare del nulla come il punto – adesso qui diciamo mi azzardo a un livello più filosofico della questione – ma che possa apparire qualcosa dal nulla, vuol dire dare una definizione di questo nulla che è alquanto interessante. Macchetto: Se potessi aggiungere appunto su quest’argomento… quanto noi fisici o astrofisici parliamo di nulla, parliamo di nulla nel senso che almeno ci sono delle leggi della fisica, che hanno una certa validità a partire da quell’istante, da quella frazione di istante in poi. Per cui è un nulla che però ha già qualcosa. Ha delle leggi della fisica, ha delle fluttuazioni statistiche, ha altre caratteristiche per cui non è un nulla nel senso che non c’era veramente niente e automaticamente, senza l’intervento di nessuno in particolare, senza l’intervento di Dio possiamo dimostrare che sì, l’universo può esistere, può espandersi senza che ci sia quello là che ci ha fatti tutti… noi come fisici possiamo limitarci soltanto a dire: arriviamo fino a quel punto, a quell’istante, a quella frazione di istante, dove però abbiamo comunque bisogno di queste cose, di queste caratteristiche per spiegare cosa è successo al nostro universo da lì in poi. Quello che succedeva prima non ha nemmeno senso chiedercelo per noi, perché prima non esiste, non c’è un prima, il tempo non esisteva prima di quella frazione di istante. E non esisteva nemmeno questo nulla. Il nulla è stato in qualche modo… è già qualcosa, non è un nulla che non è….che è un vuoto assoluto. Bersanelli: E’ un nulla gravido ! Macchetto: Eh sì! Galantini: Bene, portiamoci adesso a un’altra origine, che si avvicina sempre più a noi, l’origine della vita, portiamoci quindi a un campo biologico. Anche qui ci sono grandi novità, naturalmente c’è come tutti sanno una grande teoria almeno il nome di una grande teoria, che è il nostro nome (?) di evoluzione che poi…forse va declinata in tanti punti più precisi che tenta di spiegare, di interpretare il fenomeno della vita, della sua origine in tutto il suo sviluppo. Però nella sua forma più recente deve affrontare un apparente contrasto, tra un aspetto di casualità dei processi di quella che oggi chiamano la microevoluzione, cioè l’evoluzione a livello genetico – molecolare, e quindi una casualità di questi processi e invece una necessità dei processi di quello che chiamano la macroevoluzione, di quella che porta al cambiamento delle specie, all’emergere di nuove specie ecc. Allora, è possibile chiedo a Colombo, è possibile superare questo contrasto e se questo superamento cosa ci dice del fenomeno vita che più ci interessa. Colombo: Ritengo che sia possibile introducendo però una nuova categoria, che non è affatto nuova, ma lo è all’interno di questo dibattito, e cioè la categoria di scopo. Il libro porta come titolo “L’intelligenza dell’universo”. Ma che cos’è l’intelligenza? Se non la presenza di uno scopo. Infatti l’alternativa tra caso e necessità si pone proprio come alternativa tra l’ignoto e il completamente noto. Se io getto per aria questa monetina e la faccio cadere così ho uguale probabilità che io vedo testa piuttosto che croce sul mio tavolo. Come dicono gli statistici P = 0.5. La probabilità è fifty fifty. Ma se lascio cadere questo orologio sul tavolo ho sempre la stessa probabilità che cada sul tavolo e non che venga lanciato per aria, da una forza che non esiste perché su questa terra – ci insegnano i fisici – esiste la forza di gravità che ci porta sempre in una direzione centripeta. Ora, da questo punto di vista la natura vivente si caratterizza eminentemente per la presenza di uno scopo. Il biologo non è in grado di descrivere nessuna struttura dalla più semplice alla più complessa senza invocare quella che noi chiamiamo la funzione, un fine, uno scopo. Quando io chiedo ai miei studenti che cos’è un mitocontrio (?) - una struttura che compone tutte le nostre cellule – bene essi me lo descrivono in termini di struttura ma a un certo punto scatta il livello della funzione. E’ un organello che serve a produrre energia sotto forma di molecole di ATP per tutta la cellula. Bene, se voi togliete lo scopo, è impossibile distinguere il livello biologico dal livello fisico e chimico. Così non bisogna cancellare il caso. Il caso rappresenta uno strumento nelle mani di uno scopo. L’esempio è noto a tutti: qui ci sono diverse persone sposate da tanti anni, magari anche coppie di fidanzati. Una tra le cose più frequenti che capitano è che si sia conosciuto lui o lei per puro caso ma ciò non toglie che questo sia servito ad uno scopo nella vita di ciascuno di loro. Dunque che la vita sia nata per caso è anche possibile, non lo possiamo escludere, ma ciò che dobbiamo escludere se vogliamo fare una affermazione ragionevole è che la vita sia priva di uno scopo. Allora tutto il gioco della ricerca sull’origine dell’evoluzione della vita è mettere in relazione la struttura, le modificazioni della struttura con lo scopo. E qui cercherò di fare un esempio che nasce da un lavoro che sto facendo: attualmente noi cerchiamo di comprendere il processo evolutivo in termine di microevoluzione a livello del genoma, cioè a livello della molecola del DNA. Le mutazioni a livello genomico sono completamente casuali. Non è stato possibile riscontrare nessuna legge che mette in relazione gli agenti mutageni con il numero e la localizzazione delle mutazioni nella sequenza del DNA. Eppure ci riesce difficile pensare che queste mutazioni non abbiano concorso al processo evolutivo attraverso quella che è nota come la teoria della selezione. Ma la teoria della selezione agisce non sul materiale genetico in quanto tale, non è il DNA che viene selezionato, ma la selezione agisce sull’organismo. Noi usiamo la distinzione dicendo che la selezione agisce sul fenotipo, cioè su come noi siamo fatti, su come lavora il nostro corpo, su come lavorava il corpo degli organismi che c’erano un milione, cinque milioni, cento milioni di anni fa, un miliardo o tre miliardi e mezzo di anni fa. E il caso agisce invece generando le condizioni di possibilità di un processo evolutivo. Ora, una cosa interessante è proprio questa: che lo scopo è un mistero. Mentre il caso è completamente ignoto, lo scopo appare essere misterioso, o meglio lo puoi capire solo a posteriori, solo osservando in azione una struttura biologica tu puoi dedurre lo scopo, ma lo scopo appare indeducibile dalla struttura stessa. Cerco di fare un esempio a questo proposito: noi abbiamo nel nostro corpo una proteina che molti di voi conoscono che è l’emoglobina. Quando andiamo a farci fare l’esame del sangue uno tra i dosaggi più frequentemente chiesti è l’emocromo. Cioè la quantità di emoglobina che noi abbiamo nel sangue. Questa è una proteina tra le più semplici che noi conosciamo e tra le più studiate; è fatta di quattro catene, due alfa e due beta. Una di queste è fatta da soli 146 amminoacidi, dico solo perché ci sono proteine che ne contengono più di mille. Bene, tutti questi amminoacidi si dispongono nello spazio e danno una struttura che è indeducibile dalla sequenza degli amminoacidi stessi. E’ stato calcolato che esistono oltre 200 possibili teoriche strutture per l’emoglobina che corrispondono ad un minimo di energia accettabile entro una determinata fluttuazione statistica. Bene, che cosa stabilizza una struttura di queste e fa sì che questa sia la struttura che noi chiamiamo nativa dell’emoglobina? Quella che essa assume all’interno dei nostri globuli rossi? E’ esattamente lo scopo o la funzione dell’emoglobina che è quella di legare l’ossigeno. Cioè di trasportare dagli alveoli polmonari dove viene catturato dopo il processo di inspirazione fino a tutti i tessuti periferici. Il fatto che l’emoglobina debba legare una struttura che contiene ferro e altre molecole, che a sua volta lega con una determinata e precisa affinità l’ossigeno, costringe l’emoglobina ad assumere la sua struttura nativa. Ora questo è un esempio abbastanza semplice tra quelli che si potrebbero fare, per mostrare come è lo scopo, che guida il processo di formazione delle strutture biologiche, ma poi potremmo passare dalla struttura delle proteine, che sono i componenti base e fondamentali di tutto il metabolismo, alla struttura delle cellule, dei tessuti, degli organi, dell’intero organismo. L’importante non è non sbagliare, l’importante è avere uno scopo. Questa non è solo una grande legge della nostra vita, è anche la legge della vita. L’evoluzione è passata attraverso numerosissimi – potremmo dire – sbagli. Se voi guardate nel libro a pagina 135, c’è una rappresentazione che è comune del processo evolutivo che è l’albero. Questo albero, che mostra tutto il processo di ramificazione delle varie specie, presenta però dei rami tronchi, cioè dei processi che si sono conclusi con l’estinzione della specie. Questi potrebbero essere considerati dei fallimenti, degli errori fatali nella vita. Ma come mai la vita è continuata? E come mai si è arrivati al vertice di questo albero, che è quel puntino rosso qui in alto che rappresenta l’uomo? Perché lo scopo è più grande dello sbaglio. Come si suole dire il processo evolutivo è un processo che apprende dai propri sbagli. La natura non sbaglia mai due volte allo stesso modo. E così è possibile vedere come il processo evolutivo è un processo guidato. Io non pongo la questione che andrebbe posta ai filosofi o ai teologi di chi guida, ma comunque non è un processo completamente casuale e non è neppure un processo completamente determinato, perché ripeto la funzione non è deducibile dalla struttura in quanto tale. Faccio un altro esempio che proviene sempre dal lavoro che stiamo facendo. Oggi attraverso il progetto genoma umano che ha come scopo quello di mappare tutti i circa settantamila – ottantamila geni contenuti nel nucleo delle nostre cellule, noi siamo arrivati a conoscere circa 21.000 – 21.500 sequenze geniche. Cioè sequenze che sono in grado di essere espresse, cioè di essere utili all’organismo perché nel nostro DNA c’è circa il 25% di sequenze espresse e il 75% di sequenze di cui non conosciamo la potenziale utilità. Bene a queste 21.500 sequenze, corrispondono oggi solo circa seimila proteine. Cioè noi sappiamo solo di seimila di esse qual è la funzione. Un giorno arriveremo probabilmente a conoscerle tutte, ma questo vi fa vedere come non basta studiare la struttura per ricavare lo scopo. Lo scopo eccede sempre, è indeducibile ed eccede sempre il processo in quanto tale. Potremmo dire che lo scopo è un mistero, nel senso che è per l’uomo indeducibile. E’ solo il compiersi di esso. Cioè attraverso un avvenimento come è stata l’evoluzione, perché l’evoluzione è stato un avvenimento, qualcosa che è accaduto, noi oggi tentiamo di decifrarne la storia, perché l’avvenimento si dà nella storia. E così l’evoluzione si è data nel tempo generando una storia, perché – e qui riprendo una delle questioni che era stata sollevata prima – per il biologo la questione del tempo è la questione di una storia. Cioè può essere a livello del singolo organismo individuale, quello che noi chiamiamo il ciclo vitale. Quello che accade a ciascuno di noi dal momento della formazione della prima cellula fino al momento della nostra morte. Ma è anche la storia dei viventi o della vita sulla terra cioè tutto ciò che è accaduto da quando sono comparse le prime strutture cellulari molto semplici, procarioti, fino all’attuale uomo vivente, che non è mai identico a se stesso; un altro punto interessante per la biologia è il fatto che non esiste la ripetibilità. Neanche due gemelli cosiddetti identici, noi diciamo monozigoti sono identici. Può essere in alcuni casi identico il monogenoma ma il loro organismo non è mai perfettamente identico. Vorrei concludere accennando al fatto che lo scopo è lo spazio della libertà. Il biologico è caratterizzato da un numero di gradi di libertà estremamente superiore al numero dei gradi di libertà di qualsiasi altro sistema. Per questo l’ammettere che lo scopo sia un’ipotesi esplicativa del processo evolutivo significa ammettere il principio libertà. Ma qui non sto parlando – sia ben chiaro – anzitutto ed esclusivamente della libertà autocosciente che appartiene a quel particolare vivente che è l’uomo e solo a lui, ma della libertà di cui è dotato ogni sistema biologico. Per cui negare la possibilità di uno scopo o ridurre tutto al caso e necessità o a gioco tra caso e necessità significa annullare la categoria della libertà. Grazie. Fine lato A Lato B Galantini: Quindi in fondo tutta la polemica il dibattito su caso necessità è più un dibattito una polemica di tipo filosofico, di tipo scientifico, e qui veniamo a un aspetto che è interessante perché spesso i filosofi si pongono gli stessi interrogativi degli scienziati, nel libro stesso, nel convegno ci sono contributi di filosofi che si sono posti – giustamente anche – le stesse domande e interrogativi sull’origine, sull’evoluzione, sul futuro dell’universo. Ecco, come vivete voi questo dialogo tra scienziati e filosofi che in questo momento sta ritornando interessante, è interessante, e utile come va vissuto da parte degli uni, degli altri e come va colto da noi? Chi vuole intervenire? Macchetto: Beh, l’incontro, lo scontro ideologico se vogliamo, tra scienziati e filosofi è fondamentale perché noi scienziati siamo degli esseri umani e abbiamo due parti della nostra personalità. Una quella che cerchiamo di limitare molto alle nostre osservazioni, alle nostre misure, alle nostre teorie e a capire attraverso queste misure queste teorie e queste osservazioni, gli aspetti fisici dell’universo in tutti i suoi aspetti, però poi non possiamo separare questo nostra parte – se vogliamo il nostro lavoro – da quello che è la nostra personalità che è molto più complessa, più ricca. E non possiamo non porci delle domande che vanno al di là delle domande semplicemente di come sono fatte le cose, qual è lo scopo di queste cose che osserviamo e qual è lo scopo del nostro universo se vogliamo metterlo nelle parole di Don Colombo. Non possiamo rispondere a questo scopo con la fisica. Possiamo dire che sì vediamo questo universo, vediamo questo universo che si espande che si spopolerà (?) alla fine e smetterà di esserci…ma qual è lo scopo di questo universo? Non possiamo rispondere a queste domande con la fisica. Dobbiamo invece rispondere con la nostra filosofia, con la nostra fede, con la nostra religione, per cui questi confronti sono essenziali per darci quest’altra dimensione che appartiene a noi come esseri umani. Bersanelli: In effetti sia nell’occasione di Varenna, che è una cosa per cui è nato appunto questo libro, che è un avvenimento abbastanza singolare, non capita spesso, appunto di poter dialogare con persone per esempio che lavorano nel campo della filosofia ecc. ma per quanto mi riguarda anche delle amicizie che ho, per esempio, con persone che si occupano di filosofia è sempre interessante…non sempre pacifica diciamo, ….no? il dialogo e la discussione. Io mi rendo conto che c’è un aspetto per cui forse sia noi come scienziati che i filosofi dovremmo sempre tener presente dialogando, e cioè che ci si capisce soprattutto forse e soltanto tenendo presente la propria esperienza. Cioè che quello che per es. uno può dire a riguardo della scienza, del metodo scientifico, che è appunto uno degli aspetti più di dibattito che i filosofi magari hanno approfondito e sul quale hanno scritto molto più degli scienziati, ci dovrebbe essere sempre un aggancio all’esperienza di questo modo di conoscere che è la scienza. E in questo senso credo che come diceva Macchetto adesso è importante non trascurare il fatto che chi fa scienza è un uomo e quindi è in grado di interrogarsi a riguardo di quello che fa. E’ chiaro che un rapporto con un discorso più strettamente filosofico su questo terreno è positivo e costruttivo, altrimenti diventa come una elucubrazione complicata in cui alla fine si rimane della stessa opinione, non cambia nulla di sostanziale né per gli uni né per gli altri. Galantini: Forse per i biologi questo dialogo è ancora meno pacifico in questo momento. Colombo: Sì è meno pacifico ma è anche più sostenuto da una esperienza quotidiana. Se è vero che la realtà, come ci veniva ricordato, si rende evidente solo attraverso una esperienza, la nostra esperienza è di avere tra le mani un pezzo di noi. Io non posso non domandarmi di fronte a una cellula che metto sul vetrino sotto il mio microscopio, non posso non domandarmi che cosa fa essere quella struttura che io sto osservando? E questa domanda è inscindibile da una domanda che investe la mia vita. Che cosa fa essere la mia vita? Quello che fa essere quello che io sto studiando è la stessa cosa che fa essere la mia vita. E se è vero come dicevamo prima che tutto ha uno scopo, l’uomo è l’unico vivente che ha la coscienza di questo scopo. Che può avere la coscienza di questo scopo. Un’ameba, un batterio, un cane, un gatto, anche una scimmia antropomorfa tra le più vicine a noi nel processo evolutivo, manca di questa coscienza. Ora, il dibattito tra la filosofia e la scienza molte volte rischia di insabbiarsi in una astrattezza che prescinde da una domanda esistenziale, ed è solo la vivacità del ricercatore, la vivacità umana, la vivezza umana del ricercatore, di cui abbiamo avuto testimonianza adesso nei due interventi precedenti, solo questo rende acuta la domanda sullo scopo, sul senso di quello che stai studiando e rende possibile percorsi più creativi e percorsi più fecondi dal punto di vista della risposta. La parola Mistero non può essere eliminata nella misura in cui tu percepisci – io percepisco - che la mia vita dipende da esso. Allora in questo senso non la elimino neppure come ipotesi di lavoro nella ricerca che sto facendo. Sindoni: Volevo solo aggiungere, come dice anche il premio Nobel Delduve (?) nell’introduzione nella prefazione al libro “la distinzione tra scienziato e filosofo è una cosa relativamente recente”. E dal tempo dei greci Aristotele era uno scienziato e un filosofo, ma anche per esempio Newton forse non molti sanno che Newton ha scritto un bellissimo libro sull’Apocalisse, e si interessava anche di teologia, e anche per esempio il filosofo Kant d’altra parte ha scritto un libro di cosmologia. Quindi direi che è abbastanza artificiosa ed è degli ultimi 200 anni probabilmente questa distinzione così netta tra il filosofo e lo scienziato. Galantini: In realtà, della vita nostra, della vita sulla terra, sappiamo molto ma sappiamo ancora poco, c’è ancora molto da ricercare eppure ci sono già in atto ricerche e se ne stanno progettando altre, per la ricerca di forme di vita e addirittura qualcuno di forma di vita intelligente, al di fuori della terra. Io vorrei chiedere a Duccio Macchetto di illustrarci brevemente nei pochi minuti che ci restano le prospettive di queste ricerche e il loro interesse, cosa si sta progettando e cosa ci possiamo aspettare per i prossimi anni. Macchetto: Beh, la ricerca della vita altrove è una cosa molto complessa perché significa ipotizzare per prima dov’è che uno può andare a trovare questa vita e abbiamo in programma tra la NASA e l’agenzia spaziale europea un programma di ricerca su molti anni che farà piccoli passi per volta perché non possiamo con le tecnologie e i costi attuali pensare di fare l’ultimo passo, cioè andare, trovare necessariamente la vita intelligente, ma se procediamo a piccoli passi per volta abbiamo delle possibilità o delle buone probabilità di trovare prima di tutto dei pianeti, perché è chiaro che perché ci sia la vita, almeno la vita così come la conosciamo noi abbiamo bisogno di una stella che produca l’energia e di un pianeta dove questa vita possa evolvere. Il primo passo sarà fatto con la costruzione di un telescopio che chiamiamo “the next generation space telescope” cioè il telescopio di prossima generazione, il successore del telescopio Hubble, che è un telescopio, sarà un telescopio di 8 metri di diametro delle stesse dimensioni dei più grandi telescopi a terra, posto nello spazio a circa un milione di chilometri dalla terra, semplicemente per evitare la aridizione (?) della terra stessa. Abbiamo bisogno di un telescopio freddo, che lavori a circa 220-230 gradi sotto zero, e freddo perché deve osservare la radiazione di questi ipotetici pianeti attorno a delle stelle. E il contrasto tra un pianeta e una stella è maggiore dell’infrarosso, cioè la radiazione che sentiamo ma non vediamo in questo momento, il caldo che ci arriva; e per osservare la radiazione infrarossa il telescopio stesso deve essere molto freddo. Questo è una questione tecnica, che significa che nei prossimi sette otto anni lavoreremo intensamente allo sviluppo di questo telescopio, stiamo spendendo già nell’ordine di venti milioni di dollari all’anno nella fase iniziale per la costruzione delle parti tecnologiche per gli sviluppi tecnologici e speriamo di mettere in orbita a un milione di chilometri di distanza da terra questo satellite nell’anno 2008. E l’obiettivo, uno degli obiettivi, sono due ma uno degli obiettivi più importanti è osservare tutte le stelle vicino a noi, sempre nel senso astronomico all’incirca 100-200 anni luce da noi, che sono relativamente poche le stelle a questa distanza. Andare a osservare ciascuna di queste stelle e vedere se attorno a questa stella ci sono dei pianeti. Con i telescopi da terra si è già osservato o si è dedotta la presenza di pianeti molto grossi, dell’innessione (?) di Giove attorno a un certo numero di stelle abbastanza vicino a noi. Ma questi pianeti non sono i pianeti tipici nei quali uno potrebbe poi andare a cercare la vita. Nonostante questo noi andremo anche a osservare quelli. Perché non sappiamo veramente dal punto di vista né della teoria e ancora di meno delle osservazioni qual è in dettaglio il processo di formazione dei pianeti. Abbiamo un’idea abbastanza grossolana di come si formano i pianeti. Ci vogliono dei dischi di materia e gas che cadono attorno a una stella nel momento della formazione ma cosa succede poi, quanti pianeti vengono formati, ne abbiamo 9 attorno al nostro sole, ma tutte le stelle ne hanno 9, ne hanno 1, ne hanno 1000, non lo sappiamo. Che dimensioni hanno? Non lo sappiamo. E la dimensione è importante perché se è troppo grosso il pianeta diventa un pianeta gassoso come Giove, e lì è poco probabile che si evolva la vita, se è troppo piccolo come Mercurio non è abbastanza grande da mantenere una atmosfera, l’atmosfera evaporerebbe, per cui ci vuole un pianeta più o meno delle dimensioni della terra, di Venere, Marte, appena appena un minimo di atmosfera… e ci vogliono poi un sacco di altre caratteristiche; quello che cercheremo con questo nuovo telescopio è dove ci sono i pianeti. Il passo successivo che verrà dopo il 2010, sarà andare a studiare ciascuno di questi pianeti, sperando di averli trovati, e fare una analisi chimica della loro composizione chimica, della composizione chimica dell’atmosfera, per vedere se ci sono dei segnali di vita. Per cui non abbiate troppa fretta ma nei prossimi 20 anni troveremo qualche segnale di vita. Galantini: Per concludere forse molti si aspettavano dal titolo del libro e da questo stesso incontro un discorso esplicito e diretto sulla ricerca degli extraterrestri. Immediatamente forse l’opinione pubblica, pensando al tema intelligenza nell’universo si aspettava una trattazione di questo tipo. Il libro però per come è articolato sembra parlare più di noi, sembra parlare di più di come conosciamo, di cosa ci aspettiamo dalla conoscenza, forse io volevo chiedere per concludere a Marco Bersanelli forse è sempre così nella scienza? Parliamo degli oggetti ma ciò che è in gioco è il soggetto. Bersanelli: Ma indubbiamente grande è la trepidazione, l’intensità no della domanda sulla eventuale unicità della vita sulla terra piuttosto che no. A me sembra che bisogna tuttavia non perdere di vista da buon scienziato sperimentale, da buon fisico sperimentale non perdere di vista il dato più impressionante e cioè che la vita esiste, che esiste almeno in un punto questo fenomeno straordinario. La vita intelligente esiste. E prima quando parlava Don Roberto Colombo parlava dello scopo che evidentemente è sotteso a tutta la storia dell’evoluzione. E’ interessante notare come è difficile tracciare una divisione tra quello che è l’evoluzione biologica e tutto quello che la permette, perchè anche l’universo, oggi possiamo dire con grande confidenza è una realtà che evolve, quindi che tende a mutare nel tempo e in questo tempo così grande, questo spazio così grande, ha permesso di fatto la nostra emergenza nella realtà. Ha permesso a questo fenomeno della vita di capitare. E da questo punto di vista è interessante rendersi conto che non è tanto la eventuale presenza di vita altrove che cambierebbe questo scenario, il punto più a me sembra più notevole di questo nuovo sguardo più profondo più completo alla natura sta proprio in questa grande unità che lega la nostra esistenza a tutto quanto c’è e in questo noi non poniamo limiti a quello che la realtà può dirci e siamo appunto sempre di nuovo stupiti e alla ricerca di nuove risposte e di nuove domande da porci di fronte a una realtà che sempre supera le nostre aspettative. Galantini: Allora concludo indicandovi, mentre il Prof. Sindoni sta preparando il prossimo Varenna, ma ce lo dirà fra due anni, vi invito evidentemente a leggere e approfondire il libro e ringrazio per la partecipazione. Arrivederci.