쐌 Le vie dell’illuminazione QUESTIONI CHE CONTANO 쐌 L’induismo: tra politeismo e monoteismo 쐌 Il giainismo e il principio della non-violenza 쐌 Buddha e il buddhismo 쐌 Il confucianesimo e l’aspirazione all’armonia 쐌 Il taoismo 쐌 La spiritualità giapponese: zen e shintoismo ITINERARI DI LETTURA PROFILO Le filosofie orientali FILOSOFIA E ALTRI LINGUAGGI 쐌 Lo zen e le arti marziali FILOSOFIA E CITTADINANZA 쐌 Il buddhismo tra filosofia e religiosità popolare FILOSOFIA E CONOSCENZA DI SÉ 쐌 Lo yoga e Platone 쐌 La sapienza dell’oracolo Il contesto storico-culturale IX-VI sec. a.C. periodo delle Upanishad (induismo) 400 a.C. VI-V sec. a.C. Lao-tzu (maestro del taoismo) 500 a.C. LE FILOSOFIE ORIENTALI 600 a.C. Se è difficile formulare una definizione univoca ed esaustiva della filosofia, a maggior ragione è difficile risolvere il quesito relativo all’esistenza di filosofie orientali. Da una parte nessuno nega che l’Oriente abbia sviluppato dottrine di elevata spiritualità e abbia raggiunto risultati in tutto comparabili con quelli della tradizione occidentale, a volte con significative coincidenze, in molti dei campi specifici in cui la Se il relativo disinteresse per la questione ontologica, unitamente a procedure argomentative non sempre improntate a un rigoroso uso del lógos (tanto che in molte occasioni è difficile distinguerne l’aspetto teoretico da quello religioso o mitico) basti a escludere il pensiero orientale dalla categoria del «filosofico», per includerlo in quelle più generiche della sapienza e della ricerca della saggezza, è questione ancora oggi controversa. Va comunque sottolineato che, dal punto di vista storico, vi sono stati almeno tre momenti di fecondo contatto fra le due tradizioni: 1) la nascita stessa del pensiero filosofico greco, debitore nei confronti dell’Oriente di nozioni fondamentali quali anima, reincarnazione ecc., giunte in Grecia attraverso l’orfismo e i culti misterici; 551/479 a.C. Confucio (K’ung-fu-tzu) 565/486 a.C. (fondatore del Siddharta Gautama (fondatore del buddhismo) confucianesimo) 540/468 a.C. Mahavira (fondatore del giainismo) 327/325 a. C. spedizione di Alessandro Magno in Oriente 540/480 a.C ca. Eraclito di Efeso 2 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 100 a.C. Discrepanze tra la sapienza della tradizione occidentale e di quella orientale Momenti di fecondo contatto fra le due tradizioni 200 a.C. La filosofia è un prodotto peculiarmente greco diventato poi patrimonio esclusivo della civiltà occidentale? Non è facile affrontare questo problema e ogni risposta unica e definitiva risulterebbe dogmatica. La ragione è che la questione implica un giudizio sulla natura essenziale dell’attività filosofica, ossia una risposta precisa alla domanda «che cos’è la filosofia in sé?» Certamente sono esistite e nascono continuamente molte «filosofie», che possiamo catalogare e confrontare, ma proprio la complessità e l’eterogeneità della tradizione impedisce di tracciare una netta linea di demarcazione fra ciò che è filosofico e ciò che non lo è. La comunità dei filosofi contemporanei è divisa su questo argomento, e non esistono autorità superiori cui appellarsi. filosofia è stata tradizionalmente suddivisa (gnoseologia, etica, estetica, politica ecc.). D’altra parte, ciò che sembra mancare nel pensiero orientale, mentre per lungo tempo ha costituito l’asse portante di quello occidentale, è la speculazione metafisica, la ricerca della verità ultima dell’Essere, un livello di riflessione che molti pensatori orientali hanno espressamente rifiutato di approfondire. Non è certo per caso che in nessuna delle numerose lingue orientali esista una parola esattamente corrispondente a «filosofia». 300 a.C. La filosofia è solo occidentale? I sec. a.C. i Discorsi del Buddha sono messi per iscritto VI sec. a. C. /V sec. d.C. orfismo IL CONTESTO 2) il periodo ellenistico-romano, in cui l’incontro fu favorito da numerosi viaggi di filosofi al seguito dei conquistatori occidentali; 3) il periodo attuale, a partire da Arthur Schopenhauer nell’Ottocento, in cui l’abbandono occidentale delle pretese totalizzanti della ragione ha creato la possibilità di un confronto vero e approfondito tra le due culture. GIAPPONE COREA TURKESTAN I sec. d.C. AFGHANISTAN CINA NEPAL I ND I A BIRMANIA VIETNAM in Giappone, crisi dello shintoismo, sotto l’influenza del confucianesimo e del buddhismo 600 d.C. 500 d.C. 400 d.C. INDONESIA V-VI sec. d.C. comparsa del tantrismo in India III sec. a. C. /V sec. d.C. 300 d.C. attraverso l’Afghanistan e l’Asia centrale (Turkestan) fino alla Cina e, da lı̀, fino al Vietnam, alla Corea e Giappone. Nel V secolo d. C. fiorisce in vaste aree dell’Asia sub-orientale e dell’Indonesia. Confucianesimo. Complesso di antiche dottrine tradizionali della Cina classica sistematizzato da Confucio (551-479 a. C.). Taoismo. Dottrina filosofica e religiosa della Cina, tradizionalmente collegata alla figura mitica di Lao-tzu (V I -V secolo a. C.). Shintoismo. Forma religiosa autoctona del Giappone, preesistente all’introduzione (nel V I secolo d. C.) del buddhismo. 200 d.C. 100 d. C. Anno 0 I LUOGHI DELLE FILOSOFIE ORIENTALI Induismo. Religione dell’India, databile dalla metà del I I millennio a. C., nelle sue fasi vedica, brahmanica e induistica vera e propria. Giainismo. Religione dei seguaci del Mahavira (540-468 a. C.), l’ultimo di una serie di 24 profeti, diffusasi in tutta l’India. Tantrismo. Insieme di dottrine sviluppatesi in India al di fuori dei sistemi induisti ortodossi. Buddhismo. Il Buddha (565486 a. C.) diffonde la sua dottrina nell’India occidentale. Fin dal I I I secolo a. C. i missionari buddhisti si spingono verso la Birmania. Nel I e I I secolo d. C. il buddhismo si propaga 700 d.C. in India, l’induismo soppianta il buddhismo, bandito dal paese II sec. d. C. gnosticismo filosofie ellenistiche e tardo-ellenistiche 3 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 Uno sguardo d’insieme È difficile riassumere in uno schema unitario sistemi di pensiero molto diversi fra loro per l’epoca e il contesto culturale in cui sono nati. Forse l’unica nozione unificante è quella di illuminazione, variamente declinata, nelle diverse lingue, nei termini «nirvana», «buddhità», «satori» ecc., e definibile in termini molto generali come uno stato di pienezza e completa realizzazione, oppure di assoluta libertà o liberazione dell’individuo dalla realtà fenomenica. Ma, al di là di questo esile filo conduttore, prevalgono le differenze. Mentre l’induismo e il giainismo si presentano come vere e proprie religioni politeiste, tale connotazioni non può essere attribuita alle altre correnti, che in realtà si presentano, più che come religioni, come filosofie a sfondo religioso. Le divergenze si approfondiscono quando si passa a considerare il contenuto specifico di tale illuminazione e le vie adeguate per raggiungerla. L’induismo assume il nirvana nel quadro della tra- 4 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 dizionale dottrina della metempsicosi, come interruzione del ciclo delle reincarnazioni dell’anima, mentre il buddhismo suggerisce che tale condizione può essere raggiunta in questa vita, superando la coscienza della propria esistenza come essere permanente (impermanenza). Un insegnamento che la variante giapponese del buddhismo, lo zen, porta alle estreme conseguenze mettendo in discussione lo stesso principio di causa-effetto, in nome di un superamento della razionalità, valore considerato contrario alla libera espressione delle forze creative. In questa posizione estrema è riconoscibile l’influsso del taoismo cinese, anch’esso contrario all’egemonia della razionalità, considerata, in questo caso, ostacolo alla libera espressione delle forze naturali, con cui è necessario porsi in sintonia. Un discorso particolare, infine, riguarda il confucianesimo, che più che una religione sembra potersi definire una filosofia eticopolitica, che invita al rispetto delle gerarchie sociali. 1. L’induismo: tra politeismo e monoteismo .1. PROFILO L’induismo: tra politeismo e monoteismo 5 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 MODULO Le filosofie orientali Il mosaico politeista Descrivere una religione politeista è sempre difficile. Ai diversi dèi che compongono un pantheon, infatti, corrispondono sempre differenti pratiche di devozione e una molteplicità di scuole religiose e filosofiche, ognuna delle quali è, in un certo senso, autonoma, perché non sottoposta ad alcuna autorità gerarchica. Ciò è vero anche per l’induismo, in cui non esiste una ortodossia dogmatica, né una catechesi omogenea, né un fondatore noto, dato che i testi sacri in cui esso si riconosce derivano da una sapienza le cui origini affondano in epoche pre-storiche. L’unico elemento condiviso in questa pluralità di tendenze è una ricca e lussureggiante mitologia, che non è però interpretabile in maniera omogenea o dogmatica, perché, come nell’antica Grecia, il mito vive in una pluralità di fonti e di varianti, determinando solo uno sfondo culturale, atto a giustificare credenze diverse. Di fatto anche oggi, pur dopo l’abolizione giuridica del sistema castale, il fedele indù trova nel gruppo in cui è nato il suo punto di riferimento religioso, e con esso uno specifico orientamento spirituale, norme di comportamento etico e particolari pratiche liturgiche. La mitologia vedica I Veda, letteralmente «scienza», sono composti fra il 1500 e l’800 a. C. e per lungo tempo sono stati trasmessi oralmente. Si tratta di una raccolta di materiali di natura diversa: i Rigveda, i più antichi, comprendono 1028 inni dedicati alle divinità indù; il Samaveda o «Veda delle melodie» è una collezione di 1810 strofe liturgiche da pronunciarsi durante i sacrifici; l’Atharveda, o «Veda delle formule magiche», contiene inni, preghiere, prescrizioni e incantesimi validi per ogni occasione della vita quotidiana. La tradizione considera i Veda come la sintesi finale della saggezza originaria dell’umanità, ritenendoli quindi eterni, non scritti da alcun autore umano. Ciononostante, è possibile individuare in essi una linea di evoluzione: rispetto a quelli antichi, i più recenti sono caratterizzati da un’esigenza di semplificazione del ricco pantheon. In breve, la religiosità vedica può essere definita un politeismo naturalistico basato sulla divinizzazione dei fenomeni naturali: vi sono divinità del cielo, dell’acqua, della terra e dell’atmosfera, le cui vicende formano una mitologia in cui non mancano somiglianze con quella greca. Il ritualismo brahmanico I Brahmana, i testi sacri composti tra il X e il V I I secolo a. C., segnano una netta evoluzione rispetto ai Veda. Più che narrare le storie degli dèi, infatti, essi illustrano le pratiche rituali. Sono trattati liturgici, veri e propri manuali a uso dei sacerdoti (i brahmani), in cui si descrivono in modo dettagliato l’origine delle cerimonie religiose, la modalità di svolgimento dei riti sacri, le formule magiche da pronunciarsi e il significato dei simboli utilizzati. L’idea di fondo che giustifica questo esasperato ritualismo è che la liturgia cerimoniale sia potente in sé, dotata di una efficacia insita nelle formule e nei gesti sacerdotali, esattamente come un atto magico. Un rito compiuto in perfetta osservanza delle regole, infatti, sviluppa una potenza capace di condizionare il brahman, la forza misteriosa che regge l’universo. Ne consegue che i brahmani, unici depositari di questo sapere sacrificale che li poneva in grado di influire sulle leggi dell’universo, si proclamavano detentori di un potere superiore agli stessi dèi. In effetti, dal punto di vista storico, lo sviluppo del brahmanesimo può essere letto come un tentativo compiuto dalla casta dei sacerdoti di giustificare il proprio potere sociale. Dattatreya, divinità induista che riassume in sé le tre persone divine della Trimurti (Brahma, Shiva e Vishnu), dipinto su legno del Tanjore (Arles, Collezione privata). 6 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 1. L’induismo: tra politeismo e monoteismo PROFILO La tendenza al monoteismo Dal punto di vista teologico, il brahmanesimo non supera il tradizionale politeismo, e tuttavia sviluppa un’esigenza di unità potenzialmente monoteistica. Il brahman, infatti, è l’Assoluto, la manifestazione di una forza suprema, uno spirito universale al di sopra di tutte le altre divinità, principio e fondamento del mondo fenomenico. In alcune tradizioni è concepito in forma astratta e impersonale, ossia come un principio assoluto o una forza immanente alla natura; in altre è descritto in forma personale, come una divinità specifica e superiore. In questo contesto si presenta come Brahma, il dio Creatore, che successivamente è spesso associato ad altre due divinità supreme, Vishnu il Conservatore e Shiva il Distruttore, a formare la Trimurti, la triade divina che assomma in sé i tre aspetti o le tre funzioni fondamentali di Dio: creatore, conservatore e distruttore. Il periodo delle Upanishad Il terzo periodo, fra il I X e il V I secolo a. C., è quello delle Upanishad, termine che indica l’atto di «sedersi ai piedi del maestro», un modo figurato per indicare il carattere elitario ed esoterico degli insegnamenti più profondi, impartiti solo ai discepoli migliori, in grado di recepire gli aspetti segreti della dottrina. Nei testi delle Upanishad, infatti, è evidente una reazione al ritualismo brahaminico della fase precedente. Interrogandosi sulla natura ultima del cosmo, sull’origine dell’uomo e sul suo destino, questi testi pongono le questioni speculative fondamentali della spiritualità indiana. È nelle Upanishad che si trovano per la prima volta teorizzate le nozioni centrali di dharma, karma, e nirvana. Il dharma, il karma e il nirvana L’idea che lo stato di perfezione cui anela l’uomo possa essere raggiunto solo tramite una rottura della legge del karma è comune a tutte le religioni e scuole di pensiero indiane. Il karma, infatti, definibile come legge della concatenazione causale, è ciò che si oppone al conseguimento della beatitudine (nirvana). Se, come predilige l’induismo, si intende il " Dharma È il concetto chiave dell’etica induista. Termine dalle molteplici valenze semantiche, indica la legge religiosa universale ed eterna che stabilisce la normativa etica, castale e di culto; esso è inoltre identificabile con la verità metafisica e il principio che governa e regge il " Karma Termine sanscrito che letteralmente significa «azione», ma che nella speculazione indiana indica la «conseguenza ineluttabile dell’azione». Nell’induismo indica la condizione di rinascita dell’anima, che si reincarna in un essere commisurato alla qualità delle azioni compiute " mondo. Nell’induismo si specifica nei precetti e doveri relativi alle differenti caste. Nel buddhismo indica non solo la Legge impersonale dell’esistenza, ma anche la legge predicata dal Buddha e quindi la dottrina delle quattro nobili verità. dalla stessa anima nell’incarnazione precedente. Il buddhismo intende il karma come conseguenza ineluttabile del desiderio o «sete» di vivere. Con la scomparsa del desiderio, il karma perde la sua forza cogente e con esso si estingue il processo di metempsicosi. Nirvana Nelle tre grandi religioni indiane (induismo, buddhismo, giainismo) indica la condizione della suprema e definitiva salvezza. Per l’induismo, nel quadro della dottrina della metempsicosi, coincide con l’interruzione del ciclo delle rinascite dell’anima. Per il buddhismo, coincide invece con l’interruzione del ciclo di causa-effetto che determina l’esistenza dell’individuo, condizione ottenibile con l’estinzione della «sete», ossia del desiderio, causa del dolore che contraddistingue l’esistenza empirica. 7 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 MODULO Le filosofie orientali nirvana come una condizione non raggiungibile in questa vita, allora il karma indica la legge che regola la reincarnazione delle anime. Nel caso del buddhismo, come vedremo, il karma ha un significato differente. La trasmigrazione delle anime Pagina da un manoscritto delle Upanishad, X V I I secolo. Anche se con accenti diversi, tutte le scuole di pensiero indiane condividono la nozione di samsara (metempsicosi), ossia la teoria secondo cui esiste, in ogni essere vivente e quindi anche in ogni individuo umano, un’anima eterna che dopo la sua morte si potrà reincarnare in un altro essere vivente. L’obiettivo da perseguire è l’interruzione di questo ciclo di rinascite, in modo che l’anima cessi di essere costretta all’interno di un corpo e si affranchi definitivamente dal dolore. Il nirvana, inteso come liberazione dal samsara, è raggiungibile solo attraverso un lungo percorso di perfezionamento dell’anima, la quale, a ogni reincarnazione, può operare un avanzamento o un regresso nella scala degli esseri. Al regresso non c’è praticamente limite: anche l’anima più malvagia, incarnata nel corpo di un uomo, può sempre peggiorare la sua condizione futura, perché la metempsicosi postula una continuità fra uomo e animale, non escludendo che un’anima si degradi sino a reincarnarsi in un animale. Anche nel mondo animale esiste una gerarchia di perfezioni degradanti, dagli animali domestici e socievoli, in qualche modo più simili all’uomo, via via sino alle bestie selvagge. La legge del karma Storicamente la dottrina della metempsicosi e la connessa legge del karma sono state il fondamento del tradizionale sistema castale, offrendo una giustificazione etico-religiosa delle differenze sociali. La condizione di nascita non è frutto del caso, ma un effetto del proprio karma, ossia una conseguenza delle azioni lodevoli o disdicevoli compiute dall’anima dell’individuo nelle incarnazioni precedenti. La condizione di chi nasce servo non è dovuta alla sfortuna o all’ingiustizia, ma è causata dalle colpe commesse nelle vite precedenti. La legge del dharma L’unico modo per progredire nella gerarchia castale è osservare rigidamente, nella propria esistenza attuale, la legge del dharma, ottenendo cosı̀ una migliore rinascita. Dharma, in senso generale, indica il comportamento che ogni essere, vivente o non vivente, deve assumere per essere in accordo con la propria natura. Esiste un dharma che regola il ciclo del Sole, un dharma che governa il movimento delle onde e cosı̀ via. Anche l’uomo è naturalmente compreso fra gli esseri governati dal dharma, ma ciò non implica affatto l’esistenza di un unico dovere valido per tutti gli uomini, perché nell’induismo ogni individuo trova la specificazione della propria legge etica nella casta in cui è destinato alla nascita. AA T1 Etiche e caste L’induismo pone uno strettissimo legame tra fede religiosa e prassi civile attraverso una specificazione particolareggiata delle regole sociali, dei doveri e dei riti legati al sistema delle caste. Ognuna di queste è una cerchia chiusa, con propri usi e costumi, divinità di riferimento, pratiche liturgiche, uno specifico diritto religioso e civile (il dharma appunto). Sarà dunque il dharma a stabilire, sul piano giuridico, il dovere di ogni indù, collocando, per cosı̀ dire, ogni persona al proprio posto. Se si è nati servi, si potrà migliorare solo adempiendo al 8 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 1. L’induismo: tra politeismo e monoteismo PROFILO meglio il proprio compito in questa vita; ogni tentativo di migliorare ora la propria condizione castale condurrà a peggiori disastri futuri. Precettistica castale Le regole sancite dal dharma castale sono dettagliatamente descritte in una specie di manuale, il Codice di Manu, e riguardano ogni aspetto della vita. Il matrimonio può essere contratto solo con membri della stessa casta e il lavoro deve essere quello specifico assegnato alla casta di appartenenza. La semplice struttura arcaica della società indù prevedeva l’esistenza di cinque caste fondamentali: 1) sacerdoti (brahmani); 2) guerrieri; 3) contadini; 4) commercianti; 5) servi. La graduale specializzazione del lavoro ha prodotto un sistema complicatissimo in cui si annoverano dalle 2000 alle 3000 sottocaste. La diseguaglianza sociale sancita dal sistema è in qualche modo riequilibrata dalla pesantezza e dalla rigidità delle regole che compongono il dharma delle caste più elevate. Ai brahmani, ad esempio, è rigidamente vietato il consumo di carne, che è invece parzialmente consentito ai componenti delle classi più basse. I brahmani devono anche praticare rigorosamente la regola della non-violenza, con il divieto assoluto di danneggiare qualunque forma di vita. Devono scandire la loro vita secondo quattro fasi prefissate, prima come allievo, poi come padre di famiglia e infine come eremita e pellegrino asceta. Il dharma brahminico prevede, infatti, l’obbligo di abbandonare la famiglia nella seconda fase dell’esistenza. Il tantrismo Un prodotto originale della cultura indiana è il tantrismo, letteralmente «trama» e, quindi, «testo», comparso in India nei primi tre secoli dopo Cristo, all’epoca in cui in Occidente fioriscono le sette gnostiche. Riscuote grande successo e a partire dal V I secolo si radica saldamente nella cultura indiana. Influenza non solo la vita degli asceti, ma ogni aspetto della cultura, ed è assimilato da tutte le grandi religioni del subcontinente indiano: induismo, buddhismo e giainismo. Il tantrismo infatti non è una religione, ma una dottrina esoterica, un movimento misterico che comprende un complesso di riti, mitologie, prescrizioni etiche e soprattutto tecniche di meditazione. La sua specificità sta nel ritenere che la via all’illuminazione debba essere trovata non in una rinuncia al mondo o nell’annullamento della fisicità in nome dello spirito, ma, al contrario, nel totale dominio del proprio corpo. L’idea base del tantrismo è che l’accesso alla dimensione mistica, ovvero la soppressione della normale attività mentale, l’abbandono dell’io e l’unione con l’Assoluto, sia acquisibile tramite facoltà straordinarie derivanti da un completo controllo della propria fisicità. La visione tantrica è debitrice di molte categorie dello yoga. La disciplina dello yoga prevede innanzi tutto l’osservanza di norme etiche propedeutiche, senza le quali ogni forma di meditazione si rivelerebbe inutile. Lo yogi (il praticante) deve osservare i princı̀pi della non-violenza, dell’onestà, dell’astinenza sessuale Savitri, sposa di Brahma e madre dei quattro Veda, nell’aspetto del Sacro verso vedico gayatri, stampa popolare indiana. 9 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 MODULO Le filosofie orientali e della povertà; deve poi «lavorare» sulla propria mente per distruggere tutti gli ostacoli che impediscono l’accesso a una vita spirituale superiore, come l’ira, l’ansia e tutte le passioni. Solo dopo aver assunto un tale stile di vita, lo yogi può affrontare con successo l’esperienza della meditazione, che lo yoga pone in stretta relazione con il controllo del respiro. È esperienza universale che il respiro controlla le emozioni e funge da regolatore dello stato d’animo: in una condizione di paura o di ansia, ad esempio, il suo ritmo accelera. Il rapporto però è reversibile, poiché è possibile influire sullo stato mentale regolando la propria respirazione secondo criteri di ritmo, durata e intensità. Lo yoga estende questo principio fino a farne una norma metafisica: il respiro è la via privilegiata al superamento del dualismo fra il corpo e la mente. Oltre al controllo del respiro e delle posizioni del corpo, altre tecniche sono praticate dal mistico orientale. Importanti sono la concentrazione visiva sui mandala (costruzioni LA STORIA E LA CULTURA DEL TEMPO Il tantrismo Per quanto il misticismo rappresenti una parte importante della tradizione cristiana, non ne è però l’elemento costitutivo. Il pensiero teologico europeo, innestandosi sul razionalismo filosofico greco, ha sempre concesso uno spazio prestigioso ma delimitato a un’esperienza certo devota ma fondamentalmente irrazionale. In Oriente, invece, il misticismo si è sviluppato all’interno di una cultura che ha sempre privilegiato il rapporto religioso con il mondo e ha quindi raggiunto una notevole consapevolezza teorica ed elaborato originali tecniche adatte alla meditazione contemplativa. Il tantrismo – letteralmente «ciò che estende la conoscenza» – comparve in India nei primi tre secoli della nostra era, all’epoca in cui in Occidente fiorivano le sette gnostiche. Ebbe un successo improvviso ed enorme; a partire dal V I secolo dilagò come una moda. Accettato e assimilato da tutte le grandi religioni del subcontinente indiano (buddhismo, induismo, giainismo) influenzò non solo gli asceti (yogi) ma anche ogni aspetto della cultura. Non è propriamente una dottrina ma un complesso di riti, mitologie, prescrizioni etiche e tecniche di meditazione. La sua specificità sta nel ritenere che la via all’illuminazione estatica debba essere trovata non in una rinuncia al mondo, ma nel totale dominio del proprio corpo. La dottrina fondamentale riguarda il sistema dell’energia Kundalini. Il fine dello yoga tantrico è quello di risvegliare la dea serpente, che risiede in stato di quiescenza in fondo alla spina dorsale, e far sı̀ che rialzi la testa e risalga lungo il canale, o nervo sottile, che percorre la colonna vertebrale, fino a raggiungere la sommità del capo. Il risveglio di Kundalini avviene attraverso molteplici forme che corrispondono a diverse tradizioni tantriche. 10 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4 La più antica pratica tantra prevedeva il controllo dell’energia sessuale. Nei templi indiani sono molto frequenti le raffigurazioni dell’amplesso, fondamentale simbologia dell’unità. Infatti la diversità sessuale è la metafora più evidente di una concezione dualistica, e quindi l’amplesso è, in opposizione, un simbolo della riunione mistica nell’Uno. Il tema delle «nozze mistiche», del resto, è presente anche nell’alchimia occidentale, che descrive la fusione dei metalli come un rapporto magicosessuale. Oltre che un simbolo metafisico, l’amplesso è nel tantrismo anche una fondamentale pratica mistica e ascetica. La tradizione fondamentale del tantrismo è lo yoga, la cui tecnica più conosciuta è il controllo del respiro. È esperienza universale che il respiro controlla le emozioni e funge da regolatore dello stato d’animo: in una condizione di paura o di ansia, ad esempio, il suo ritmo accelera. Il rapporto però è reversibile, poiché è d’altra parte possibile influire sullo stato emotivo regolando la propria respirazione. Lo yoga estende questo principio fino a farne una norma metafisica: il respiro è la via privilegiata al superamento del dualismo fra il corpo e la mente. Mente e respiro sono la stessa cosa. Il canale assiale su cui risale Kundalini è 1. L’induismo: tra politeismo e monoteismo PROFILO grafiche che facilitano la meditazione) e la ripetizione ossessiva di parole, sillabe sacre o preghiere (mantra). La più antica pratica tantrica prevedeva un rituale sessuale, il maithuna, in cui l’adepto, unendosi con una donna iniziata il cui corpo era stato consacrato precedentemente da un guru, doveva dimostrare di saper controllare la propria energia sessuale. GUIDA ALLO STUDIO O Sai specificare la differenza fra le nozioni di casta e di classe? O Anche alcuni filosofi greci professarono la dottrina della metempsicosi: quali? O Il sistema castale indiano è stato a volte paragonato a quello delineato da Platone nella Repubblica: sai indicare le principali differenze? fiancheggiato e attraversato da altri due: quello detto Ida sale serpeggiando dal testicolo sinistro alla narice destra ed è associato alle energie fresche e «lunari» della psiche. Il secondo, detto Pingala, sale dal testicolo destro alla narice sinistra e la sua energia è solare, infuocata come il calore dei tropici, secca e distrugge ogni cosa. Il compito dello yogi è riunire l’energia di queste due potenze opposte alla base del canale e poi farle risalire, trasportate dallo svolgersi e innalzarsi della dea serpente. Lo yogi inizia inspirando attraverso la narice destra, immaginando che l’aria scenda lungo il canale Ida, per cosı̀ dire ripulendolo. Trattiene il respiro contando fino a un certo numero poi espira attraverso l’altro canale, Pingala. Poi si inspira dalla narice sinistra, ripetendo l’operazione al contrario, e cosı̀ via. In questo modo la mente si placa e l’intero sistema nervoso viene purificato. Improvvisamente, affermano gli yogi, un giorno ci si accorge che la dea serpente comincia a muoversi e a risalire. Dove i due canali si incrociano sono posizionati i sette chakra, come stazioni su questo cammino, immaginati come fiori di loto che sbocciano aprendosi al passaggio di Kundalini (la sua presenza si manifesta con un eccezionale riscaldamento nel punto del corpo corrispondente). Dal più basso al più alto, attraverso i 5 intermedi, l’asceta sperimenta mutamenti sostanziali nella propria psicologia e personalità. Nel caso estremo, solo dopo molti anni di esercizio, riesce a far risalire l’energia fino alla sommità del capo, dove lo sbocciare del loto-dai-mille-petali indica il raggiungimento del samadhi, lo stato di estasi. I sette chakra segnano le tappe dell’elevazione spirituale. Raggiungere il livello superiore significa non solo un aumento della conoscenza, ma soprattutto una trasformazione complessiva e definitiva del soggetto. La scala orientale è nettamente divisa in due: i primi tre chakra descrivono modelli di vita ottimali ma praticabili conducendo un’esistenza normale, mentre la vita meditativa inizia solo quando l’energia Kundalini si eleva ai centri superiori. Da questo livello diventano decisive le pratiche yoga, le quali comunque, ben lungi dall’essere tecniche risolutive, devono essere accompagnate da un adeguato stile complessivo della vita. Ad ogni chakra corrisponde un simbolo, un fiore di loto contrassegnato da un crescente numero di petali, che riassume alcune delle tecniche usate dallo yogi. Le sillabe inscritte sono i particolari suoni e vocalizzazioni, detti «mantra», ossia formule invocatorie che l’adepto deve imparare a emettere durante gli esercizi di controllo del respiro (ad esempio la OM). Oltre al controllo del respiro, esistono altre pratiche yoga finalizzate al superamento del dualismo mentecorpo. Nello «yoga del corpo illusorio» l’adepto guarda la propria immagine riflessa in uno specchio fino a identificarsi con essa e sperimentare un senso di illusorietà del proprio corpo materiale. Due posizioni classiche dello yoga: Kandasana, posizione del bulbo, e Utthita-Pascimottanasana, posizione dell’estensione della schiena in verticale. 11 & Loescher Editore, 2008 - da ISBN 97-888-201-2724-4