Lungo le rotte interplanetarie

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Lungo le rotte interplanetarie
- Ettore Perozzi, 12.08.2015
Mappe celesti /7. Lo scrittore Enrico de’ Conti Novelli da Bertinoro, solo Yambo per i ragazzi di
inizio ’900, cavalcò con la sua fervida fantasia le scoperte del momento e si avventurò nello spazio,
insieme ai primi scienziati
L’editoria elettronica ha un indubbio merito: consente di recuperare i libri perduti, i testi per i quali
nessunolk rischierebbe un invenduto cartaceo. È questo il caso di un prolifico scrittore come Enrico
de’ Conti Novelli da Bertinoro Yambo per i ragazzi che muovevano i primi passi nell’avventuroso
mondo di inizio secolo scorso. Sulla terra automobili a forma di caffettiera avevano appena infranto
il muro dei cento chilometri orari, nel cielo svolazzavano come enormi aquiloni i primi aeroplani, il
vecchio continente colonizzava i popoli africani, il nuovo aveva appena finito di massacrare gli
indiani.
Illustrazioni di Yambo per Gli esploratori dellinfinito
Le rotte dell’esplorazione doppiavano il capo di Buona Speranza, attraversavano il canale di Suez,
raggiungevano i bastimenti alla fonda nel golfo del Bengala. Le mappe celesti si arricchivano di
oggetti sempre più strani tra cui Eros, un asteroide che invece di rimanere ad orbitare tra Marte e
Giove, nella fascia principale, caracollava in direzione del Sole sfiorando la Terra. Si trattava di un
caso anomalo, di un piccolo mondo dalla forma irregolare sfuggito al controllo della gravitazione
universale oppure ne esistevano tanti di questi sassi cosmici, di queste montagne spaziali pronte a
cascarci in testa? Lo spazio era meno vuoto di quanto si pensava e il nostro pianeta meno sicuro di
quanto si sperava.
Immagini che manda la sonda Cassini
In mongolfiera
È in questo clima di agitazione generale che Yambo coglie la palla al balzo e, dopo aver fatto il verso
a Salgari, imbarca Verne e parte per un viaggio interplanetario. Il pretesto è proprio quell’asteroide
che tiene in scacco astronomi e matematici. Con un po’ di fantasia, Eros diventa Cupido, che invece
di sbatterci addosso viene catturato dalla nostra atmosfera e si mette a orbitare attorno al globo
terraqueo.
Un gruppo di umani lo raggiunge in mongolfiera e per le solite dinamiche che caratterizzano i nostri
compaesani, durante un litigio qualcuno accende una miccia, la santabarbara esplode e l’asteroide
con tutto il suo carico viene catapultato oltre la Luna.
L’orbita su cui si ritrovano è talmente eccentrica da fargli attraversare il sistema solare, scendendo
prima verso il Sole e poi allontanandosene per raggiungere l’afelio – il punto più lontano – da
qualche parte tra Giove e Saturno. I titoletti parlano chiaro: Una caduta di trentotto milioni di leghe;
A sessanta milioni di chilometri dal Sole; Mercurio e Copernico; Venere, un pianeta involtato nel
cotone; Marte e i suoi canali; Sprofondando nella notte dell’afelio; Giove, il gigante dei mondi;
Saturno e l’antica frontiera del sistema solare; Urano, Nettuno, e dopo?
Per una curiosa coincidenza la sonda NEAR si è immessa in orbita attorno all’asteroide Eros il 14
febbraio 2000, giorno di San Valentino
Patate galattiche
Gli Esploratori dell’Infinito esce nel 1906, Plutone non è stato ancora scoperto (bisognerà aspettare
il 1930) e men che meno i transnettuniani (1992), la sterminata popolazione di mondi ghiacciati
responsabile del suo declassamento a pianeta nano. Plutone appunto, le cui magnifiche istantanee
appena inviate dalla missione New Horizons pongono il sigillo ad un periodo epico per l’esplorazione
spaziale.
Percorrendo in lungo e in largo il sistema solare a cavallo delle nostre sonde spaziali non abbiamo
fatto altro che ricalcare la trama avventurosa di Yambo, il suo libro che «non è un libro, è uno
scherzo, una bizzarria, un passatempo, un sogno illustrato a colori. È una cosa indefinibile e assurda,
che farà sbalordire la gente; è, infine, una sfida allo spazio, al tempo e al buon senso».
Non si potrebbero trovare parole più appropriate per descrivere trent’anni di missioni
interplanetarie. Rimbalzare tra i pianeti come ha fatto il Voyager fino a sfuggire per sempre
all’attrazione solare vi sembra una cosa normale? E sparare una sonda a duecentomila chilometri
orari contro la cometa di Halley per vedere se veramente nasconde un nucleo ghiacciato?
Su Eros ci siamo davvero arrivati, anche se per interposta persona: la sonda Near – americana ha
ripreso con le sue telecamere ogni angolo di quella specie di patata lunga trenta chilometri, prima di
insabbiarsi sulla sua superficie e riposare in pace.
Le bizzarrie di Saturno viaggiano tutti i giorni nello spazio e nel tempo per arrivare puntuali sui
nostri tablet: le manda la sonda Cassini, che da quando è laggiù (fine 2004) non smette di postare
visioni da fantascienza di anelli e lune che si rincorrono davanti al grande disco dorato del pianeta
più famoso del sistema solare.
Dal 2000 Marte è continuamente presidiato: satelliti artificiali gli girano attorno mentre piccoli robot
si muovono sulla sua superficie arrugginita e battuta da tempeste di sabbia che infuriano spesso su
scala globale. Da Venere si va e si viene, appena capita. Mercurio è tosto ma non lo abbandoniamo –
la prossima missione porta il nome di un italiano: BepiColombo.
Insomma, chi ha avuto la fortuna di iniziare a occuparsi trent’anni fa di scienze planetarie ha visto
poche e sfocate fotografie astronomiche tramutarsi magicamente in interi archivi digitali, disponibili
on-line. Ma più che il numero e la qualità delle immagini quello che conta è la incredibile varietà di
fenomeni che «il lungo inverno dell’afelio» – per dirla alla Yambo – ci ha svelato. Niente vita oltre la
Terra, è vero, nemmeno una zanzara, ma una dirompente geologia planetaria fatta di ghiaccio e non
di silicati.
Le montagne ghiacciate di Plutone
Paesaggi extraterrestri
Croste congelate e oceani sommersi, gelidi geysers, criovulcanismo, tanto per usare una
terminologia adeguata. Parliamo delle lune di Giove e di Saturno, Urano e Nettuno veri e propri
nuovi mondi, tutti da esplorare. Nella fascia asteroidale Cerere sembra canzonarci con le sue
misteriose «luci» che fanno capolino nel bel mezzo di un cratere. Plutone, con i suoi altipiani brillanti
e le montagne di ghiaccio ha ripagato i dieci anni di attesa necessari per raggiungerlo, simbolo della
tenacia umana e di quel «dopo» a cui Yambo tanto anelava. Perché la nascita delle scienze
astronautiche gli era contemporanea.
Nella Germania di inizio Novecento un gruppo di visionari decidono infatti che è giunto il momento
di rimboccarsi le maniche. Fondano la «Società per i Viaggi Spaziali» e cominciano a trafficare con
lamiere e bulloni e materiali altamente infiammabili. Si chiamano Hermann Oberth, Walter
Hohmann, Guido Von Pirquet, Willy Ley, Wernher Von Braun. Sperimentano la propulsione a razzo,
tracciano le prime traiettorie interplanetarie scoprendo che, nello spazio come sulla terra, le rotte
dell’esplorazione hanno dei passaggi obbligati.
Vengono assoldati da un regista non meno visionario: Fritz Lang li vuole come consulenti per Una
donna nella Luna. Ed è su quel set che nasce il countdown – il rito per eccellenza dell’era spaziale, la
litania che ne racchiude tutto il pathos. Poi viene la guerra, mondiale, e le strade si separano. C’è chi,
come Von Braun, ha la ventura di sopravvivere anche alle sue scelte sbagliate. Con uguale fervore
progetta e lancia le V2 – micidiali bombe a razzo, «arma finale» hitleriana – così come il gigantesco
vettore Saturno V che porterà l’uomo sulla Luna.
Hohmann invece è terribilmente sfortunato. Si rifiuta di militarizzare i suoi sogni, non partecipa alle
applicazioni belliche dei suoi ritrovati, si ritira a vita privata, muore nel ’45 – crudele ironia – sotto le
bombe alleate. Di lui dice il suo biografo ufficiale: «Il grande contributo di Walter Hohmann alle
scienze spaziali è stato di aver trovato un nuovo uso per un vecchio oggetto: le ellissi!».
Sì perché le rotte dell’esplorazione erano sotto gli occhi di tutti sin dai tempi di Keplero, ma nessuno
le aveva mai guardate come si guardano delle autostrade. Un po’ come i crateri lunari, da sempre
sotto il nostro naso ma solo di recente accomunati, per origine, all’estinzione dei dinosauri – spazzati
via da un asteroide delle dimensioni di Eros, sessantacinque milioni di anni fa.
Un impatto che grazie alla moderna tecnologia spaziale, tra sonde kamikaze, raggi laser e trattori
gravitazionali, saremmo in grado di evitare. Ed è ancora Yambo a sorprenderci: nel 1926 pubblica
L’allevatore di dinosauri, una sorta di Jurassic Park nostrano. Ma questa è un’altra storia…
7 continua
SCHEDA
L’asteroide Eros venne indipendentemente scoperto nella notte del 13 agosto 1898 dagli astronomi
Gustav Witt a Berlino e Auguste Charlois a Nizza. Negli anni a seguire molti altri oggetti andarono a
far compagnia a Eros, dimostrando che si era di fronte a una nuova popolazione di piccoli corpi
celesti che per le sue caratteristiche orbitali viene oggi indicata con l’acronimo Neo – Near Earth
Objects (Oggetti Vicini alla Terra). Grazie alla meccanica celeste sappiamo che si tratta in gran parte
di frammenti di asteroidi di grandi dimensioni prodotti da collisioni catastrofiche avvenute
all’interno della cosiddetta «cintura asteroidale principale», situata tra Marte e Giove.
Alcuni di questi frammenti finiscono su traiettorie fortemente caotiche che nel giro di poche
centinaia di migliaia o milioni di anni li portano a intersecare le orbite dei pianeti interni e dunque
anche della Terra. L’esistenza di questo «canale dinamico» è in grado di spiegare non solo eventi
che lasciano tracce evidenti su pianeti e satelliti, i crateri da impatto, ma anche la caduta dei
meteoriti, che altro non sono che Neo grandi abbastanza da sopravvivere al calore generato
dall’attrito atmosferico, ma sufficientemente piccoli da non provocare danni quando raggiungono il
suolo. I moderni programmi di osservazione sistematica del cielo con telescopi a grande campo e
alta sensitività hanno fatto crescere rapidamente il numero di Neo noti: ad oggi se ne contano più
di12000 e se ne scoprono al ritmo di circa 1500 l’anno. Ma non basta individuarli, bisogna anche
calcolare le loro traiettorie future per identificare eventuali rischi di impatto con la Terra. L’Agenzia
Spaziale Europea (Esa) contribuisce a questa attività, che per la sua natura «globale» necessita di
un coordinamento internazionale, con un centro dedicato al monitoraggio del rischio asteroidale
operativo dal 2013 presso l’Esrin di Frascati. Il Neo Coordination Centre possiede un portale web
accessibile alll’indirizzo http://neo.ssa.esa.int dove vengono rese disponibili informazioni sempre
aggiornate sulla popolazione dei Neo e sui rischi ad essa associati.
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