La Storia della Musica - Dalle Origini ad Oggi

1
Le antiche civiltà
3-1 milioni
di anni fa
Evoluzione:
compare
l’homo habilis
La testimonianza
Un canto festoso s’innalza a te dall’arpa,
o Fiume Nilo, assieme al battito delle mani.
I tuoi giovani e i tuoi bambini ti acclamano
e preparano lunghi cortei:
3000 a.C.
Invenzione
della scrittura
Tu sei l’augusto ornamento della terra,
fai avanzare la tua barca davanti agli uomini,
dai tranquillità e sicurezza alle madri,
ami la moltitudine dei tuoi armenti.
Prospera, straripa!
Divieni grande, orsù!
Per gli armenti e i frutteti,
o Nilo divieni grande, orsù!
Preghiera al Nilo, Antico Egitto
1500 a.C.
L’Egitto arriva
al suo massimo
splendore
Presso i popoli antichi ogni preghiera poteva essere esaudita dagli esseri soprannaturali solo se era espressa in musica, se le parole erano intonate e accompagnate da ritmi e strumenti. Così era per gli Egizi, quando invocavano con il canto lo spirito del Nilo perché fecondasse le campagne; così era per ogni altra civiltà antica.
Le origini della musica: la preistoria
980 a.C.
Gerusalemme:
David dà impulso
alla musica
753 a.C.
Secondo la
tradizione, viene
fondata Roma
Agli inizi dell’umanità, prima ancora che esistesse qualcosa che assomigliasse a una musica vera e propria, l’uomo udiva i suoni della
natura: il vento che faceva frusciare le foglie
degli alberi, che fischiava tra le canne, che ululava nelle gole rocciose; la pioggia gocciolante dai rami o scrosciante dalle nuvole rigonfie;
l’acqua che gorgogliava nei ruscelli o rombava tumultuosa nella cascata dei fiumi; il rumore assordante e spaventoso dei tuoni durante i
temporali; i versi tanto singolari e differenti fra
loro degli animali: il canto dell’usignolo e il
barrito dell’elefante, il ronzio del calabrone, il
ruggito del leone, il sibilo del serpente…
L’uomo primitivo ascoltava con un’attenzione
molto maggiore di quanto non facciamo noi
oggi. Saper cogliere il minimo suono e le più
piccole differenze tra suoni diversi era importantissimo: ne poteva dipendere la vita o la
morte per l’uomo e per il suo gruppo. Un rumore era in grado di annunciare l’avvicinarsi di
Questo affresco,
che rappresenta
un suonatore di arpa,
orna la tomba
di Anherkha, che
si trova in Egitto
nella necropoli
di Deir el Medina.
una belva, oppure la presenza di una preda,
l’arrivo di una pericolosa tempesta o al contrario la preziosa vicinanza di un corso d’acqua. Tutto ciò specialmente di notte, quando,
prima della scoperta del fuoco, solo l’udito
poteva far conoscere il mondo circostante.
Le prime musiche
Nella nascita della musica ha una parte significativa l’imitazione del mondo naturale: soprattutto i versi e i canti degli animali sono una
fonte importante. Imitando il verso dell’animale l’uomo primitivo ha la sensazione di dominarlo meglio, di sentirlo meno pericoloso: proprio come fa quando disegna la sua forma sulle pareti delle caverne.
Quando l’uomo imita un suono naturale, lo spirito di quel suono entra in lui.
Dal grido di richiamo o di battaglia e dai giochi con la voce, nascono i primi canti; dal comunicare e dal giocare con i suoni degli oggetti
nascono le prime musiche strumentali.
Parte D
Gli antichi attribuivano l’origine della
musica a creature divine. Come lo si
spiega?
Bisogna risalire all’uomo primitivo,
per il quale il mondo circostante era
un mistero immenso. Tutto quello che
succede doveva apparire opera di forze oscure, dotate di poteri soprannaturali. Erano queste forze a provocare non solo i grandi fenomeni come
il sorgere del sole o gli uragani, ma
anche la vita e la morte, il premio del
cibo e la punizione delle sofferenze.
Bisognava renderle favorevoli e amiche. Il suono, della voce e degli strumenti, sembrava il modo più efficace: era infatti per loro uno dei fenomeni più inspiegabili; e perciò appa-
riva il mezzo più immediato per comunicare con le forze soprannaturali.
I popoli primitivi credevano che, dopo
la scomparsa degli ultimi resti mortali, l’anima del morto sopravvivesse
come spirito che “parla” con i suoni
della natura, e che sa ascoltare. “Tu
sei cieco, ma le tue orecchie non sono
L’uomo preistorico capisce presto di
essere lui stesso un produttore di suoni, con la voce, con il corpo, con gli
oggetti che adopera. Usa le corde vocali per comunicare la propria presenza, grida per farsi sentire da lontano; percuotendo tronchi vuoti o pelli tese può farsi sentire ancora più lontano. Ma, come avviene per molti animali, anche l’uomo ama “giocare”:
mette in moto le sue energie per il
solo piacere di esercitare il corpo e di
interagire con i suoi simili.
Anche con i suoni si può giocare. Gli
oggetti d’uso comune diventano strumenti musicali: la frombola (il sasso
fatto girare e scagliato) è la prima sirena, le mazze di guerra sono battenti
per la percussione degli oggetti più
diversi, le canne con cui si costruiscono le capanne diventano flauti, l’arco è la prima corda vibrante, pizzicata poi sfregata. Conchiglie, ciottoli,
legnetti, noccioli, inanellati a decorare collo, polsi e caviglie, sono i primi
strumenti che ritmano le danze.
La storia
Inno al sole in un papiro mitologico
egizio. Il sole, importante divinità
dell’Antico Egitto, è raffigurato tra
due leoni.
sorde. Ascoltami!” Così cantava, sonagli alla mano, il vecchio capo di una
tribù africana sulla tomba di un famoso cacciatore.
Da una semplice noce di cocco,
svuotata, ripulita all’esterno e tagliata
a metà, si ottengono due risuonatori.
Le due metà producono suoni
se vengono percosse l’una contro l’altra,
se vengono battute sul pelo dell’acqua,
oppure se le si sfrega sul pavimento.
Se nelle due mezze noci accostate
mettiamo dei sassolini e poi le agitiamo,
otteniamo un sonaglio divertente.
Se infine appoggiamo la mezza noce
sul palmo della mano e la percuotiamo
con un rametto di salice a cui è stata tolta
la corteccia, si produce un suono che
varia di altezza a seconda di quanto
apriamo o chiudiamo la mano.
149
Unità 1
Le antiche civiltà
La musica delle civiltà antiche
Da quando è stata inventata la scrittura, circa
5000 anni fa, questa fu adoperata anche per
trascrivere suoni musicali che, purtroppo, non
sappiamo decifrare. Bisogna aspettare l’ultimo
nostro millennio per disporre di una notazione decifrabile in modo soddisfacente.
Questo vuol dire che mentre è giunta fino a noi
una quantità di documenti artistici e letterari
delle antiche civiltà, non ci è giunto nessun
documento che si possa tradurre in suoni musicali. Non possediamo nessuna creazione musicale di quel lontano passato. 1
La musica accompagnava i diversi
momenti della vita
Quello che sappiamo è che allora come oggi la
musica aveva una speciale importanza nella
vita privata e sociale. Esistevano gruppi specializzati di cantori, ed esisteva una quantità
di strumenti che in ogni paese assumevano
nomi diversi, ma che sono tutti riconducibili
alle principali famiglie: a fiato, a corda, a percussione. Nell’antico Egitto le classi superiori
allietavano la loro vita intima e le loro feste
con musiche affidate alle schiave, cantanti e
suonatrici allo stesso tempo. Scene di banchetti
e cerimonie a cui partecipavano attivamente i
musici ci sono documentate presso le popolazioni della Mesopotamia, di Israele, e dei paesi dell’Oriente, dall’India alla Cina.
La musica era una componente
essenziale nel culto religioso
Dalla preistoria sopravvisse l’idea che la musica fosse una creazione divina, e che avesse
poteri speciali. Gli antichi sentivano che una
preghiera era molto più importante se veniva
cantata, invece che semplicemente recitata. La
Bibbia racconta che al tempo dei Re (circa 1000
anni prima di Cristo), sotto Davide e Salomone, vennero organizzati enormi cori, anche di
ventimila persone, che cantavano durante le
cerimonie del tempio di Gerusalemme.
In Egitto come in Cina, ogni nota della scala
musicale era associata a uno dei grandi fenomeni della vita e dell’universo: i mesi dell’anno, le ore del giorno, i cicli stagionali della natura e del cosmo, concetti filosofici e religiosi.
L’importanza della musica è dimostrata da molti fatti: esistevano leggi che regolavano il comportamento dei musici e fissavano quale musica si dovesse eseguire nelle varie occasioni.
Le pratiche musicali degli Ebrei
vengono adottate dai cristiani
Fra le antiche civiltà, due hanno speciale importanza per la storia dell’Occidente, e in particolare della musica occidentale: la civiltà ebraica e quella greco-romana. Nelle sinagoghe gli
Ebrei praticavano due tipi di canto: la salmodia e la cantillazione. La salmodia era il canto dei salmi (preghiere di vario argomento)
contenuti nella Bibbia; era basato sulla ripetizione di un suono, intorno a cui la voce ricamava fioriture. La cantillazione era una recita
a metà fra parlato e canto.
Dal I secolo d.C., con la dominazione romana,
inizia la millenaria “diaspora” del popolo ebraico, ossia la sua dispersione nel mondo. Ma
intanto le pratiche religiose, compresa la musica, passano nel culto dei cristiani.
La musica in Grecia
Bassorilievo
fenicio in avorio
dell’VIII secolo a.C.
che raffigura
alcuni suonatori.
150
L’altra grande civiltà su cui s’innesta quella
europea moderna è la civiltà greca. La stessa
parola “musica” è greca. Musiké voleva dire
originariamente “le arti delle muse”. Le muse
erano le nove divinità che proteggevano le
manifestazioni culturali. La musica faceva
tutt’uno specialmente con la poesia lirica, a cui
presiedeva Euterpe; ma era presente anche nella commedia, nella tragedia, nella danza, nella poesia amorosa e in quella epica. 2
Parte D
La storia
1 I primi documenti
La musica veniva trasmessa oralmente, “a orecchio”. Soltanto in casi
eccezionali veniva trascritta, utilizzando lettere alfabetiche poste sopra
le parole.
In questo modo sono giunte a noi
alcune trascrizioni musicali, come il
Papiro di Ossirinco, l’Inno delfico ad
Apollo, l’Epitafio di Sìcilo e un frammento dalla tragedia Ifigenìa in Auli-
de di Euripide: quasi tutti scritti su
papiri.
Ma su come si debbano interpretare
quei segni si possono solo fare delle
ipotesi.
2 La musica nel teatro greco
Una delle grandi creazioni della civiltà
greca sono i lavori teatrali, tragedie e
commedie, molte delle quali sono
giunte fino a noi. Massimi autori di
tragedie sono Eschilo, Sofocle, Euripide. Nella commedia si affermò
soprattutto Aristofane.
In questi drammi i testi erano spesso recitati con un’intonazione cantata. E poi c’era il coro.
Il coro interveniva nel dramma come
se fosse un solo personaggio, che a
volte si limitava a commentare quello che succedeva tra gli altri personaggi, a volte dialogava direttamen-
Vaso del V secolo a.C. sul quale
è rappresentata una scena della tragedia
Medea dell’autore greco Euripide.
Il V secolo a.C. è il cosiddetto periodo classico dell’arte greca, il più
splendido. In questo secolo viene elaborato un cànone, un modello, per
rappresentare un corpo umano perfettamente proporzionato; è un modello in cui ogni parte ha dimensioni calcolate secondo precisi rapporti matematici.
Come per l’arte, così anche per quanto riguarda la musica i Greci seguirono il loro desiderio di rappresentare un modello perfetto e razionale:
organizzarono infatti i suoni secondo
lo schema cosiddetto “dei sette modi
musicali”. Ogni modo era caratterizzato da una particolare disposizione
dei suoni in una scala e veniva denominato a seconda della regione di
provenienza.
Busto di Dioniso, arte romana,
I-II secolo, copia dall’originale greco
di Prassitele.
te con loro. Questo coro si esprimeva cantando.
Nell’Iliade e nell’Odissea si incontrano spesso cantori che si accompagnano con la cetra. Lo stesso Omero, l’autore dei due grandi poemi, viene rappresentato come “citaredo”,
ossia suonatore di cetra: il che sta a
mostrare che quei poemi erano cantati, non soltanto parlati.
Statua di Afrodite di Cnido,
arte romana, I-II secolo, copia
dall’originale greco di Prassitele.
151
Unità 1
Un vaso greco
del V secolo a.C.
in cui sono
rappresentati un
suonatore di aulos
e una cetra.
A destra,
un mosaico della
Villa di Cicerone
a Pompei in cui
sono rappresentati
alcuni suonatori
ambulanti.
Le antiche civiltà
I Greci ci hanno trasmesso le nozioni
fondamentali della teoria musicale
La civiltà romana adotta le pratiche
e la teoria dei Greci
In tutti i generi, la musica greca non era concepita come un’espressione a sé, ma si univa
strettamente alle parole, facendo risaltare i sentimenti con cui erano pronunciate. Il canto poteva essere accompagnato dalla cetra, e si chiamava così citarodìa (citar=cetra; odìa=musica); oppure dall’aulos, strumento a fiato ad
ancia doppia, e si chiamava aulodìa.
Come la musica ebraica, anche la musica greca influenzò quella dei primi secoli dell’era cristiana. Mentre non sappiamo quasi nulla della
concreta musica greca,
possediamo numerosi
importanti libri nei quali gli studiosi esponevano con molta cura la
teoria musicale. Uno dei
punti importanti di questa teoria era la distinzione fra diversi modi.
I modi erano, per l’esattezza, sette e ognuno si caratterizzava per
una particolare disposizione dei suoni della
scala. I modi prendevano nome dalla regione
greca di provenienza: si
chiamavano così dorico, frigio, lidio e altri
ancora. Ogni modo aveva una sua particolare
espressività, più o meno come avviene per i
modi principali della nostra musica, il maggiore e il minore.
In origine, la musica era praticata dai Romani
proprio come in Grecia: si cantavano inni religiosi e conviviali, canti narrativi o funebri (le
neniae). Gli strumenti principali erano i medesimi, con prevalenza dell’aulos, che a Roma
prendeva il nome di tibiae. Gli storici come
Tito Livio raccontano quanti spettacoli e cerimonie erano accompagnati dalla musica.
Quando, con la sua espansione, Roma venne
a contatto con la civiltà greca, ne fu rapidamen-
Modo dorico
Suonatore di
flauto, particolare
degli affreschi
della Tomba
dei leopardi, che
si trova nella
necropoli etrusca
di Tarquinia.
152
Modo frigio
Modo lidio
te affascinata. Musici greci venivano chiamati
nelle principali sedi della romanità. La stessa
lingua greca era diffusa quanto quella latina.
La voce più originale della civiltà musicale romana doveva essere quella legata alla sua politica imperialistica: era la voce di canti e musiche che celebravano i trionfi dei condottieri, i
carmina triumphalia; venivano accompagnati da orchestre, anche numerose, di strumenti
a fiato: tuba, cornu, lituus, bucina.
Parte D
La storia
Esperienze
Le antiche tribù africane usavano comunicare fra loro mandandosi speciali segnali con i
tamburi. Qualcosa del genere si è ripetuto da noi nel XIX secolo, quando lo statunitense
Samuel Morse inventò l’alfabeto Morse, un sistema che traduceva in sequenze sonore tutte le lettere dell’alfabeto. Per esempio, la lettera “S” è espressa da tre suoni brevi, la “M”
da due suoni lunghi. Come trascriviamo allora “SMS”? Così:
···——···
S
M
S
Eppure lo puoi trovare tutti i giorni, molto vicino a te! Sai dove? Sul tuo telefonino, tutte le
volte che ti arriva un SMS!
Se invece di due suoni lunghi ne metti tre, la lettera non è più “M” ma “O”. E il risultato è
il segnale più famoso. Imparalo anche tu, non si sa mai!
···———···
S
O
S
Impariamo dagli antichi ad associare ognuno degli strumenti musicali che conosciamo a
un personaggio particolare; per esempio a un compagno.
ricapitoliamo
Fin dalla preistoria si credeva che la musica fosse una
creazione divina, e che avesse poteri soprannaturali,
come documenta il mito più famoso, quello del cantore Orfeo.
Le antiche civiltà svilupparono forme raffinate di pratica musicale, sia per la vita privata sia per quella pubblica, per usi civili e per usi religiosi. Però di tutte le
musiche create allora non è giunto niente fino a noi.
Le influenze maggiori sulla musica dell’era cristiana
vengono dagli Ebrei e dai Greci. Nelle loro musiche
religiose, gli Ebrei praticavano la salmodìa (canto dei
salmi) e la cantillazione (una via di mezzo tra canto e
parlato).
In Grecia la musica era una componente essenziale di
tutti gli spettacoli: è presente come canto solistico e
come coro nelle tragedie e nelle commedie.
Gli strumenti principali dei Greci erano l’aulos (a fiato) e la cetra (a corde). I canti accompagnati da questi due strumenti appartenevano rispettivamente al
genere della aulodìa e della citarodìa.
Dopo un inizio autonomo, la vita musicale romana
subisce l’influsso di quella greca, sia nei generi musicali praticati sia nella teoria. La forma più originale di
musica romana è quella militare.
153
2
Chiese e castelli
380
Il cristianesimo
religione ufficiale
dell’Impero
Romano
800
Carlo Magno
è imperatore del
Sacro Romano
Impero
La testimonianza
Dio, visto che la maggioranza degli uomini
erano indifferenti, poco disposti a leggere le
cose spirituali e a sopportarne volentieri la
fatica, volle rendergliela più piacevole: aggiunse la melodia alle parole dei profeti, di modo
che, attratti dal ritmo del canto, tutti gli rivolgano con ardore i santi inni. Nulla tanto innalza l’anima e la impenna, le dà le ali e la libera dalla Terra, scioglie dai vincoli del corpo,
invita alla sapienza, fa trascurare le cose del
mondo, quanto l’intonazione del canto e l’inno divino armoniosamente composto.
San Giovanni Crisostomo,
In Psalmum, IV secolo
1154
Discesa in Italia
del Barbarossa
1209
Francesco
d’Assisi detta
la prima regola
del suo Ordine
L’importanza del canto
della preghiera
Come era successo nelle antiche civiltà, anche
la Chiesa delle origini intuì quanto fosse efficace orientare i fedeli a rivolgersi a Dio cantando invece che parlando. Nella mentalità di allora, una preghiera, per poter essere valida, doveva essere pronunciata sempre allo stesso modo,
senza cambiare neanche una parola, senza
cambiare nemmeno un gesto. Lo stesso valeva per la musica del canto, che andava ripetuta sempre con la massima esattezza.
La Chiesa pretendeva questa precisione per una
ragione importante: se si cambia qualche parola, c’è il rischio che entri nella preghiera un’idea diversa, magari contrastante con i principi che la Chiesa afferma. Per questo la Chiesa
si preoccupò di stabilire le preghiere fin nei
minimi dettagli, in modo rigido.
1271
Marco Polo
inizia il viaggio
in Oriente
Il canto gregoriano
C’era però un problema serio. Mentre le parole delle preghiere venivano scritte su libri, le
musiche venivano trasmesse oralmente: un canto si imparava ascoltandolo da chi lo conosceva già. In questo modo era difficile conservare
un canto sempre identico: passando da una
generazione all’altra e da un paese all’altro, un
canto poco per volta cambiava. Allora Gregorio Magno (papa dal 590 al 604), pensò di intervenire fissando la versione ufficiale dei canti.
Per questo, l’insieme dei canti cristiani prenderà il nome di canto gregoriano. La lingua
usata era il latino, che assicurerà per secoli gli
scambi fra le diverse regioni dell’Occidente.
Le preghiere che venivano cantate al tempo di
Gregorio appartenevano a due tipi diversi: l’Ufficio, che comprendeva le preghiere per i vari
momenti della giornata; la Messa, che era la
celebrazione dell’Eucarestia.
Concordia e devozione
Come si cantava nelle chiese e nei monasteri
medievali? I padri della Chiesa lo raccomandavano chiaramente. Sentiamo sant’Agostino:
“Il coro rappresenta l’unanimità dei cantori;
cantando in coro, dobbiamo trovarci perfettamente d’accordo.” E sant’Ambrogio: “Un salmo unisce i diversi, ricompone i contendenti
e concilia gli offesi. Per l’insieme del popolo,
fondersi in un solo coro costituisce un forte
legame unitario.” Si cantava dunque in omofonìa, cioè a una voce sola.
I padri avevano un’altra raccomandazione,
ancora più importante: i canti sacri si eseguono con uno stato d’animo serio e controllato.
Parte D
Nel IV secolo il cristianesimo diventa la religione ufficiale dell’Impero
Romano. Si edificano basiliche sontuose e monasteri nei quali ritirarsi a
condurre una vita di preghiera. In
ogni basilica e in ogni monastero, la
musica è essenziale: serve a dare
maggiore importanza alla preghiera.
Canta il popolo nelle chiese insieme
ai suoi sacerdoti, durante le messe,
le festività, i funerali e gli altri riti. Cantano i monaci nelle diverse ore della
giornata. Si canta per glorificare Dio,
la Madonna, i santi, per implorare perdono dei propri peccati, per invocare
soccorso nelle difficoltà della vita.
Un requisito importante del canto
liturgico è che si dovevano capire molto bene le parole. Perciò è del tutto
naturale sentire canti gregoriani dove
su ogni nota si canta una sillaba, o
poche. Questo modo di cantare si
chiama sillabico.
Fin dall’Alto Medioevo prese piede
però una pratica di canto che sembra contraddire tale necessità. È la
pratica del canto melismatico: la voce
si effonde in un vocalizzo, ossia in un
lungo giro melodico, stando però ferma sempre sulla stessa vocale.
L’effetto che se ne ricava, più che alla
mortificazione auspicata dai padri, fa
pensare a un’emozione di giubilo, sia
pure un giubilo contenuto.
La storia
La basilica di Santa Maria delle Grazie di Grado (Gorizia), risalente al V secolo.
Giubilo, jubilus, era proprio il termine adoperato per questi vocalizzi, o
melismi.
Nel canto gregoriano, i melismi infiorano quasi immancabilmente l’esclamazione di maggior gioiosità, l’Alleluia. Quale sia il suo significato, e
come lo si potesse giustificare, ce lo
fa intuire molto bene sant’Agostino,
in diversi suoi scritti: “Chi giubila non
proferisce parole; è piuttosto un suono di letizia senza parole; è la voce
di un animo che erompe in letizia ed
esprime il meglio possibile il sentimento, anche se non comprende le
parole... Un uomo tanto pieno di gioia
da non poterne esprimere a parole la
ragione.”
Sant’Agostino in un dipinto su tavola di
scuola svizzera del XV secolo.
Canto sillabico.
Canto melismatico.
155
Unità 2
Chiese e castelli
Il dramma liturgico
Un graduale
del XIV secolo
in cui la musica
è indicata con
i nèumi.
Nasce la scrittura musicale
Episodio
della Strage
degli innocenti.
I nèumi
indicano
la direzione degli
intervalli.
Nella tabella,
alcuni nèumi e la
corrispondente
trascrizione
moderna.
Con il passare del tempo i riti si fanno sempre
più complessi: e sempre più numerosi e complessi i canti che li accompagnano, tanto che
a cantarli non è più il popolo, ma un gruppo
di specialisti. Come fare a ricordarli? Come
richiamare alla mente un certo motivo, fra i
tanti imparati?
A poco a poco si cominciò a usare un sistema
elementare per trascrivere i suoni: un semplice saliscendi di punti e di lineette poteva bastare per suggerire il saliscendi del canto. Questi
segni speciali, introdotti a partire dal IX secolo, si chiamano nèumi. Venivano disegnati
sopra le parole da cantare.
I nèumi non indicano esattamente le note da
intonare; semplicemente suggeriscono se la
voce deve salire, o scendere, o restare ferma
sullo stesso suono. Indicano cioè la direzione
degli intervalli.
Nèumi gregoriani
Notazione quadrata
156
Trascrizione
Notazione quadrata
Trascrizione
Il repertorio dei canti gregoriani andò aumentando nei secoli successivi a papa Gregorio,
fino ad arrivare al numero di 3000 canti. Alcuni erano inventati di sana pianta, in altri casi
si prendeva un lungo melisma e gli si adattavano testi nuovi: questi inserimenti prendevano il nome di tropi. 1
Durante le messe di Natale e di Pasqua, si
cominciarono a inserire tropi che celebravano
gli avvenimenti della Natività e quelli della Passione e Risurrezione di Gesù. Natale e Pasqua
erano le feste religiose più importanti e popolari. Gli artigiani e i contadini affluivano a frotte dai borghi e dalle campagne: i sacerdoti e i
monaci pensarono così di rendere loro più comprensibili e immediati gli eventi della vita di
Gesù, facendoli illustrare su affreschi e tavole
di legno posti alle pareti delle chiese.
Anche i tropi potevano servire a questo scopo.
In un passo del Vangelo le pie donne restano
sorprese nel vedere vuoto il sepolcro di Cristo;
l’angelo chiede: “Quem quaeritis?”, “Chi cercate?” Nel X secolo fu inserito a questo punto
un tropo, nel quale l’angelo dialoga con le donne. Altri dialoghi nacquero allo stesso modo.
La pratica ebbe una tale fortuna che il popolo
non si accontentò più del semplice canto: voleva vedere in carne e ossa l’angelo, le pie donne e gli altri personaggi evangelici, impersonati da attori-cantanti, accompagnati da una
varietà di strumenti musicali. 2 Fioriscono in
questo modo nelle chiese del Medioevo veri e
propri drammi teatrali cantati: i drammi liturgici. Anche gli episodi dell’Antico Testamento
diventano oggetto di queste rappresentazioni.
Tra le opere più famose vanno ricordati La strage degli innocenti, Il dramma di Daniele, Le
vergini savie e le stolte, Il dramma di Adamo.
Parte D
La storia
1 Un antico tropo
Quando si cantava l’Alleluia, il canto
di lode, la voce si fermava su ogni sillaba con un vocalizzo. Ne vedi un
esempio qui a destra, in alto. In basso puoi osservare poi come sulla stessa musica un autore del IX secolo ha
aggiunto le parole di una preghiera.
È uno dei primi esempi di tropi.
La Regola di san Benedetto chiede
che i salmi siano cantati “con cuore
contrito, con reverenza, timore di Dio
e devozione”. Dunque il ritmo deve
seguire pacatamente l’andamento
delle parole; e la melodia non deve
esprimere emozioni intense, quali si
manifestano nella vita mondana.
2 Gli strumenti
I padri raccomandavano di non usare gli strumenti musicali durante il
culto: gli strumenti erano adoperati
dai “pagani” durante i balli, le feste,
nei teatri. Tutte occasioni dalle quali
il cristiano doveva tenersi lontano.
Ma non tutti i padri la penseranno
allo stesso modo.
Presto ci si accorse che gli strumenti musicali potevano arricchire la preghiera. Per esempio, pochi decenni
dopo il pontificato di Gregorio Magno,
il vescovo inglese sant’Adelmo attirerà i fedeli in chiesa accompagnando il suo canto con l’arpa.
Ma lo strumento che diventerà il prediletto nelle chiese, utilizzato per tutte le funzioni religiose, sarà l’organo.
I mosaici della basilica di San Vitale, a Ravenna, ci mostrano l’imperatore Giustiniano insieme al suo seguito. Le figure sono riprese frontalmente,
fisse come statue. Le linee tendono
alla semplicità geometrica. I personaggi sono ritratti senza mettere in
evidenza le loro caratteristiche indi-
viduali, non si distinguono l’uno dall’altro: l’artista ha voluto semplicemente rappresentare “un re” e “dignitari di corte”.
Come la musica, così anche la pittura delle chiese non doveva mettere
in evidenza i sentimenti e le emozioni personali; doveva mostrare figure
severe, che aiutassero i fedeli a concentrarsi nella preghiera. Non soltanto i personaggi religiosi, ma anche
quelli laici dovevano mettere in mostra
la stessa severità! Per questa ragione le figure sono immerse in uno spazio a due dimensioni: manca la
profondità, e l’ambiente circostante
è rappresentato con pochi oggetti,
fortemente stilizzati.
157
Unità 2
Chiese e castelli
La scrittura musicale si sviluppa:
dai neumi al pentagramma
Miniatura
dal Canzoniere
dei nobili, un
codice portoghese
del XIII secolo.
I menestrelli
Uno spartito
del XII secolo
tratto dal Codex
Calistinus.
È una trascrizione
della Canzone
dei pellegrini,
dedicata a chi si
metteva in viaggio
verso Santiago
de Compostela.
158
Nel Medioevo non c’erano i mezzi per divertirsi come li conosciamo noi. Ma anche allora
come oggi la gente si svagava, nelle feste di
paese come nei saloni dei castelli. E naturalmente la musica era l’ingrediente principale.
Da paese a paese, da castello a castello, girava una frotta di intrattenitori, che prendevano
il nome di menestrelli.
I menestrelli erano figure di nomadi e vagabondi, specie di cantastorie che, arrivati in un
luogo pubblico, si fermavano e iniziavano il
loro spettacolo fatto di danze, capriole acrobatiche, storie raccontate con gesti e disegni, e
cantate con l’aiuto di uno o pochi strumenti.
Nelle povere contrade dell’epoca, dove non
succedeva mai nulla e dove era così difficile
spostarsi da un villaggio all’altro sulle strade
malandate e percorse da briganti, l’arrivo di
questi personaggi era un avvenimento ed era
anche l’unica occasione per venire a sapere
quel che succedeva negli altri luoghi.
Noi sappiamo molto poco di quelle musiche
perché nessuno le trascriveva: la pergamena
che si adoperava per i libri era costosissima, e
soltanto gli ambienti religiosi potevano permettersela.
È per questo che di tutte le musiche dei secoli anteriori al XII sono giunte fino a noi quasi
soltanto quelle religiose. Anzi, la Chiesa cercava di ostacolare la diffusione dei canti dei
menestrelli, perché con i loro testi spiritosi e
le loro musiche vivaci distraevano i fedeli dalla meditazione e dal raccoglimento.
Via via che il numero dei canti, quelli profani
come quelli religiosi, aumentava, diventava
sempre più necessario trovare un sistema per
indicare con precisione l’altezza di ogni suono. I nèumi non bastavano più. Poco per volta, si cominciò a collocare i nèumi sopra linee
diritte, che stavano a indicare delle altezze fisse. A ogni suono, a ogni nota, veniva dedicata una linea: più alto era il suono, più in alto
stava la sua linea. Inizialmente le linee erano
due: rossa per indicare la nota Fa, nera per indicare la nota Do. Più tardi il sistema si stabilizzò su cinque linee: è il pentagramma, come
lo pratichiamo ancora oggi.
Il merito di avere sistemato la notazione musicale va soprattutto a Guido d’Arezzo (992-1050).
Era un monaco benedettino che si era posto
proprio il problema di come permettere ai cantori di imparare melodie che non avevano mai
ascoltato prima. Guido d’Arezzo non soltanto
sviluppò il sistema delle linee per scrivere le
note, ma ebbe anche l’dea di chiamare ogni
nota con una sillaba speciale, che aiutasse a
fissare nella mente un canto leggendo le note
sulla pagina. Sono le note che conosciamo ancora noi oggi: Ut (poi chiamata Do), Re, Mi, Fa,
Sol, La. Il nome della settima nota, Si, fu aggiunto più tardi, nel XVII secolo.
Parte D
Nell’XI secolo, grazie all’aumento della popolazione e ai progressi dell’agricoltura inizia per l’Europa un periodo
di prosperità. Il terrore delle carestie
e lo spettro della fame, di cui erano
vittime soprattutto i più deboli, servi e
contadini, si allontana ogni giorno di
più. Il potere è nelle mani dei signori
feudali che lo esercitano con violenza mettendo tutti al loro servizio.
Nella Chiesa cristiana continua un
periodo di grandi riforme: l’idea di
una nuova spiritualità, partita da
Cluny, investe tutta l’Europa. Durante il XII secolo il potere dei signori feudali comincia a essere limitato da
uomini ben più potenti: il papa, il re,
l’imperatore.
Mentre il potere politico è sempre più
saldamente nelle mani dei sovrani,
in alcune regioni d’Europa – nei
Comuni dell’Italia settentrionale e nelle città tedesche dell’Hansa – domina invece la borghesia delle città.
Il rilievo realizzato da Benedetto Antelami attorno al 1175 mostra un notevole cambiamento di stile e di sensibilità rispetto ai precedenti mosaici
bizantini: la figura umana è rappresentata in modo più vivo.
Il volto, la capigliatura e la barba sono
più espressivi, riflettono il carattere
di ciascun personaggio; la posizione
del corpo e quella della testa sono
meno rigide, meno statiche, i panneggi degli abiti sono ben definiti, più
morbidi.
Particolarmente espressivo è il gruppo di personaggi a destra, che rappresenta i soldati intenti a dividere la
veste di Cristo; le figure sono scavate una dietro l’altra e generano la percezione della profondità. Tutto contribuisce a dare alla scena un aspet-
La storia
Vita medievale nelle miniature spagnole di Las cantigas de Santa Maria, del XIII secolo.
to vitale. La figura umana rappresentata con maggiore naturalità è
segno di un nuovo modo di pensare,
che emerge in tutte le arti del tempo:
l’uomo comincia a cogliere ciò che di
buono e di piacevole c’è nella vita,
Benedetto Antelami, Deposizione di
Cristo, 1175, cattedrale di Parma.
riesce a vedere la bellezza del creato e accetta il piacere che questa gli
procura.
159
Unità 2
Chiese e castelli
Il mondo dei trovatori
Walther von
der Vogelweide,
cantore d’amore,
ritratto in una
miniatura
del XIII secolo.
Cantore
di laudi spirituali.
Nella pagina
a fianco,
manoscritto latino
del XII secolo:
compianto degli
Ebrei in Babilonia.
160
I menestrelli si esibivano
anche nelle corti dei nobili. A
volte i nobili li assoldavano e
li portavano con sé nelle proprie imprese: così fece il re
Riccardo Cuor di Leone, che
condusse nella sua crociata
in Terrasanta un menestrello,
perché immortalasse le sue
gesta. Ma nelle corti signorili si esibiva soprattutto un’altra categoria di musici: i trovatori. 3
I trovatori non erano nomadi
e vagabondi come i menestrelli, erano signori raffinati,
appartenenti spesso a ricche famiglie feudali,
che si dilettavano con canti e danze di carattere amoroso e cavalleresco. “Trovavano”, cioè
inventavano, i testi poetici e
scrivevano le musiche dei loro
canti. La lingua che usavano
non poteva più essere il latino,
che ormai veniva capito soltanto dagli ecclesiastici e da persone come i letterati, gli avvocati e così via. Era necessario usare
la lingua di tutti i giorni, ossia il
volgare (provenzale, galiziano,
francese antico, tedesco).
La musica dei trovatori ebbe un
notevole sviluppo in Francia tra
il 1100 e il 1250. “Trovatori”
(troubadours) era propriamente il
nome che questi cantori ricevevano nella Francia meridionale; nel Nord venivano chiamati trovieri (trouvères). Fra
i trovatori più rinomati ricordiamo: Bernart De Ventadorn, Raimbaut de
Vaqueiras. Fra i trovieri: Gace Brulé e
Moniot D’arras.
Dalla Francia questo genere si diffuse in tutta
l’Europa. In Germania si chiamarono cantori
d’amore (Minnesänger): anche loro cantavano d’amore o narravano vicende tratte dall’epica germanica. Il più famoso di loro fu Walther
von der Vogelweide. Nei secoli successivi, la
pratica fu continuata dai maestri cantori (Meistersinger): ma ormai questi musicisti saranno
al servizio delle comunità cittadine, più che
delle corti.
I canti goliardici
Fra l’XI e il XIII secolo vengono fondate nelle
città le prime università. Qui fiorisce un altro
genere di canti profani, i canti goliardici. Sono
canti di carattere prevalentemente scherzoso,
inventati dagli studenti, che inneggiano spesso al vino e alla baldoria. La raccolta più importante giunta fino a noi va sotto il nome di Carmina burana. È un insieme di canti su testi
latini. Alcune di quelle melodie non erano nuove: gli studenti le prendevano dai canti di chiesa, e naturalmente sostituivano le parole con
altre scherzose. Il Dramma di Daniele, opera
liturgica scritta da un anonimo nel XIII secolo,
era molto famoso, e per questo fu scimmiottato dagli studenti. Questa pratica di cambiare le parole a un canto preesistente veniva chiamata contrafactum (contraffattura).
Le laudi
Un giorno il monaco francescano Enrico di Pisa, sentendo una ragazza intonare
una canzone d’amore, si chiese “perché mai le più belle melodie dovevano essere lasciate al
diavolo”. La musica di quella canzone gli piaceva troppo, e allora
pensò bene di adoperarla, però
su parole nuove, adatte a celebrare il Signore.
Presso i francescani si diffuse così l’abitudine di intonare canti religiosi, su melodie prese dalla tradizione popolare, rovesciando quello che avevano fatto i goliardi trasformando
canti religiosi in canzoni d’osteria.
Molte altre melodie vennero composte appositamente secondo quello stesso stile popolareggiante.
Questi canti presero il nome di laudi. Le confraternite che li praticavano, e li insegnavano
al popolo, si chiamarono “compagnie di laudesi”. Jacopone da Todi (1230-1306) è il più
famoso autore di testi per laudi.
La stessa usanza si diffuse in Spagna, dove si
ebbe una straordinaria fioritura di canti dedicati alla Madonna, che si chiamavano cantigas. Ce ne sono arrivate più di 400, di cui ben
150 furono scritte dal re di Castiglia Alfonso il
Saggio (1221-1284).
Parte D
La storia
3 Il trovatore triste
Rambaldo era il figlio di un cavaliere di Provenza, la cui famiglia si era
impoverita. Passato a servizio del
marchese del Monferrato come cantore, si innamorò di Beatrice, sorella del marchese, la quale ricambiò il
suo amore nominandolo proprio cavaliere. Ma gli altri cortigiani furono presi da invidia, e tanto sparlarono di
Rambaldo che la stessa Beatrice lo
disdegnò.
Da poco erano giunti alla corte del
marchese due menestrelli francesi,
che suonavano in maniera eccellente. Un giorno suonarono una danza
che diede molto piacere al marchese, ai cavalieri e alle signore della corte. Solo Rambaldo se ne stava in
disparte.
Il marchese lo notò e gli disse: “Cosa
ti tormenta che non canti e resti triste davanti al dolce suono delle vielle e davanti alla bellezza di mia sorella?” Ma la ragione della sua tristezza
gli era nota; perciò si rivolse a Beatrice: “Mia cara sorella, per amor mio
e di tutta la compagnia, degnati di
ordinare a Rambaldo di sorridere e
cantare allegramente com’era suo
costume.” Beatrice allora mostrò a
Rambaldo grazia e indulgenza, e gli
chiese di dedicarle una nuova canzone. Subito Rambaldo compose con
maestrìa questa canzone proprio sul
ritmo del brano dei due menestrelli:
Kalenda maya…
I trovatori si accompagnavano con
uno strumento, oppure affidavano
l’accompagnamento a un menestrello; il più delle volte suonavano le loro
musiche sulla viella, una specie di
violino.
Il loro canto, eseguito da un singolo
esecutore, si chiama monòdico, e dà
luogo alla monodìa.
Mentre le musiche dei menestrelli
erano semplici e orecchiabili, adatte
al pubblico popolare, quelle dei trovatori erano sofisticate e complesse,
apprezzate dal pubblico raffinato delle corti. Per questo i trovatori sentirono il bisogno di fissare per iscritto
le loro creazioni. Ci sono così arrivati numerosi canzonieri, che raccol-
gono 300 melodie di trovatori, e 1400
di trovieri. Gli argomenti cantati dai
trovatori sono diversi: le virtù e la bellezza della dama erano l’oggetto prediletto delle serenate; il compianto
era cantato per la morte di personaggi
illustri; i sirventesi esprimevano ammirazione o risentimento; poi c’erano le
satire e i racconti di imprese eroiche.
Anonimo, Vita di Rambaldo,
XIII secolo (adattamento)
161
Unità 2
Chiese e castelli
Gli strumenti musicali del Medioevo
Gli strumenti in uso nel Medioevo erano molto più numerosi di quanto
si possa immaginare. Questi sono i più diffusi e i più importanti.
Arpa
È uno strumento molto importante durante
il Medioevo. Veniva utilizzato sia come solista sia per accompagnare recite di prosa o
spettacoli cantati. L’arpa era dotata di una
discreta varietà di timbri che si otteneva sia
pizzicando le corde con le unghie sia toccandole con i polpastrelli.
pata dai musulmani. Nel
Medioevo il liuto veniva suonato con un lungo plettro
tenuto tra l’indice e il medio
ed era utilizzato di solito
come strumento da accompagnamento e non come solista. Era dotato di 4 o 5 corde
doppie.
Salterio
Si indicano con questo nome diversi strumenti che venivano appoggiati sulle ginocchia o
su un altro sostegno. Il salterio arrivò in
Europa durante le Crociate. Aveva una forma variabile: la cassa armonica poteva essere triangolare, rettangolare
o trapezoidale. Sulla cassa venivano tese da 7 a 20 corde, a seconda dei casi, a volte singole a volte doppie. Lo si suonava pizzicando le corde con le unghie o con un plettro, oppure battendole con delle bacchettine.
Viella
Citola
Ghironda
Le prime testimonianze sulla citola risalgono
al XII secolo e provengono dall’Italia.
Questo cordòfono a pizzico
aveva una piccola cassa a
fondo piatto e un manico corto con tasti fissi.
Era in genere dotato di 4
corde metalliche.
Questo strumento era costruito con casse armoniche di forma molto varia. Il suono veniva
prodotto con un ingegnoso meccanismo che
richiama il principio degli strumenti ad arco:
una manovella azionava un piccolo albero a
cui era collegata una ruota di legno. La ruota funzionava come un archetto: era cosparsa di pece e, girando, sfregava sulle corde (da 3 a 6), facendole vibrare. Alcune corde producevano una
nota fissa e prolungata (bordone) che serviva per l’accompagnamento; altre potevano
produrre una melodia grazie a
tasti che, premendo sulle corde,
ne variavano la lunghezza.
Liuto
Strumento cordòfono composto da una cassa
armonica a forma bombata e da un manico
applicato alla cassa. Costruito in Mesopotamia
intorno al 2000 a.C., venne introdotto in Europa nell’VIII secolo, a partire dalla Spagna occu-
162
Considerata lo strumento cordòfono più
importante dell’epoca medievale,
veniva di solito utilizzata per l’accompagnamento e non per la melodia. Aveva la forma di un “otto”
allungato ed era dotata di 4 o 5
corde. Costruita in varie dimensioni, veniva suonata con un
archetto e appoggiata, secondo le dimensioni, sulla spalla,
sul petto, o sulle ginocchia.
Parte D
La storia
3
2
1
Ciaramella
Strumento aeròfono ad ancia
libera dotato di una canna a
forma conica e di 7 o 8 fori.
È il progenitore della bombarda e del moderno oboe.
Cornetto
Organo
1
2
Strumento aeròfono a bocchino, diventò di
moda soprattutto durante il Rinascimento. Era
generalmente di legno o d’avorio, aveva forma
conica ed era dotato di 7 o 8 fori.
4
Strumento aeròfono a tastiera, munito di canne e serbatoio d’aria. In età
medievale era considerato lo strumento più adatto per le cerimonie
religiose, utilizzato per raddoppiare o sostituire alcune voci del
canto. Dotato di una sola serie
di canne, veniva suonato utilizzando dei tiranti che aprivano le
canne. La tastiera venne introdotta
soltanto a partire dal Trecento.
Scacciapensieri
Bombarda
3
Questo strumento, che ha dato vita alla famiglia degli aeròfoni ad ancia, fu utilizzato soprattutto durante il Rinascimento. Era dotato di 7
fori; l’interno era conico.
Flauto
Strumento di origine popolare in legno o in
metallo. Era formato da una sbarretta che veniva tenuta tra i denti, e sulla quale veniva fissata una lamella rivolta verso l’esterno. Il suono era prodotto dalla lamella pizzicata con un
dito: la bocca fungeva da cassa di risonanza.
4
Il flauto medievale era costituito da un pezzo
unico tornito, e poteva essere ricavato da diversi materiali: canna, legno o corno. Le due grandi famiglie di flauti dell’epoca medievale erano il flauto diritto e il flauto traverso che era
una evoluzione dell’antico flauto di Pan.
Percussioni
Famiglia di strumenti molto numerosa e varia, che comprendeva a
grandi linee questi gruppi: naccari (tamburi ricavati da pentole di coccio, rame o altri
metalli), tamburelli, tamburelli a sonagli (unico strumento della
famiglia suonato
con le mani), triangoli, campane, piatti.
Tromba da tirarsi
Questo strumento era costituito da un tubo
cilindrico di ottone o di bronzo, che terminava con una svasatura. In genere era lungo un
metro; lo si suonava soffiando in un bocchino.
Le note venivano ottenute facendo scorrere il
tubo della tromba, che era infilato nel tubo del
bocchino.
163
Unità 2
Chiese e castelli
Sant’Ambrogio
(339-397)
Ambrogio è un funzionario dell’Impero Romano quando la popolazione lo acclama
vescovo di Milano, città che dal 292 è capitale dell’Impero d’Occidente. Il cristianesimo è da poco diventato religione ufficiale dello stato. Fino a quel momento, ogni
comunità dell’impero ha praticato riti propri, diversi da paese a paese.
Ambrogio unifica le pratiche religiose nei territori da lui governati. Quando papa
Gregorio unificherà a sua volta il rito della Chiesa di Roma, lascerà vive le pratiche
fissate da Ambrogio, che da allora prenderanno il nome di rito ambrosiano. In questo rito hanno una parte essenziale i canti, che si affiancano ai gregoriani come canti ambrosiani.
Ambrogio stesso contribuisce ad accrescere il repertorio musicale, scrivendo numerosi inni, che continueranno a riscuotere successo per tutto il Medioevo. È ascoltando gli inni di Ambrogio che sant’Agostino maturerà la decisione di convertirsi al cristianesimo.
TRACCIA 54
6
Affresco
medievale del
Sacro Speco
di Subiaco.
Aeterne rerum conditor
È un inno scritto da sant’Ambrogio per essere cantato
al mattino. Le parole sono chiaramente scandite. Il coro
si alterna al solista: questa pratica è detta responsoriale. L’inno è strofico: ossia sulle diverse strofe viene
ripetuta la medesima melodia. In tal modo è più facile per i cantori e per i fedeli tenere a mente il canto,
e dunque le parole della preghiera.
Ecco il testo, sia nell’originale latino sia nella sua traduzione italiana. Nel testo latino, sottolinea tutte le
parole simili a quelle italiane: per esempio, Aeterne
(Eterno).
Æterne rerum conditor
noctem diemque qui regis
et temporum das tempora
ut alleves fastidium.
Preco dici iam sonat,
noctis profundae pervigil,
nocturna lux viantibus
a nocte noctem segregans.
Hoc excitatus Lucifer
solvit cœlum caligine,
hoc omnis errorum chorus
vias nocendi deserit.
Hoc nauta vires colligit
pontique mitescunt freta,
hoc ipse petra ecclesiae
canente culpam diluit.
164
Eterno creatore di tutto
che governi la notte e il giorno
e regoli l’alternarsi delle stagioni
per rompere la monotonia.
Già suona l’araldo del giorno,
custode della profonda notte,
luce notturna ai viandanti
che separa notte da notte.
Da lui destato, Lucifero
libera il cielo dalla foschia,
per lui la schiera degli erranti
lascia le vie del male.
Per lui il marinaio raccoglie le forze,
si calmano le correnti del mare,
per lui persino chi è pietra della chiesa
riscatta la sua colpa.
Parte D
La storia
Anonimo
TRACCIA 55
6
Iam surgit hora tertia
Il testo narra la salita di Cristo alla croce. Ma sarebbe inutile cercare nella melodia qualcosa che suggerisca la tragicità del momento. Il canto si muove con passo calmo, la voce che
gira in uno spazio melodico contenuto: ossia su poche note vicine fra loro. Come voleva la
Chiesa, anche gli eventi dolorosi vanno espressi in uno stato di profonda quiete spirituale.
Iam surgit hora tertia
qua Christus ascendit crucem
nil insolens mens cogitet
intendat affectum precis.
Qui corde Christum suscipit
innoxium sensum gerit
votisque perstat sædulis
Sanctum mereri Spiritum.
Hæc hora quæ finem dedit
diri veterno criminis
mortisque regnum diriut
culpamquæ ab ævo sustulit.
Hinc iam beata tempora
cœpere Christi gratia;
fidei replevit veritas
totum per orbem æcclesias.
Già sorge l’ora terza
quando Cristo salì in croce
la mente non pensi nulla di estraneo
si dedichi all’affetto della preghiera.
Chi si prende a cuore Cristo
non può fare del male
e spetta ai costanti meritarsi
con le preghiere lo Spirito Santo.
Quest’opera che pose fine
al terribile peccato d’origine
distrusse il regno della morte
e tolse la colpa dalla storia.
Da qui cominciò il tempo
della felicità per grazia di Cristo;
la verità della fede riempì
le chiese sparse per tutto il mondo.
Anonimo
TRACCIA 56
6
Gaude et lætare
Gaude et lætare ci propone, dopo quello responsoriale, l’altro modo base del canto cristiano: il canto antifònico, cioè l’alternanza fra due cori.
Qui sentiamo un coro maschile e uno femminile. Il testo è cantato nel modo chiaro che abbiamo già conosciuto: a ogni sillaba corrisponde una nota musicale, o poche note. È lo stile sillabico, che permette la perfetta comprensione del testo. Ma non sempre Gaude et lætare
rispetta questa consegna. Ora su questa, ora su quella sillaba la voce fiorisce vocalizzi che
fanno dimenticare la parola: è l’espressione del “giubilo”, di cui parla sant’Agostino.
Gaude, et lætare, exultatio angelorum;
Gaude, Domini virgo prophetarum gaudium;
Gaudeas, benedicta, dominus tecum est.
Gaude, quæ per angelum gaudium mundi
suscepisti.
Gaude, quæ genuisti factorem, et Dominum:
Gaudeas, quia digna es esse Mater Christi.
Mare Dominum vidit et timuit:
Undæ obviam veniunt ut adorarent eum,
Hoc videns Petrus clamabat dicens:
Miserere mei Deus.
Gioisci e rallegrati esultanza degli angeli!
Gioisci vergine del Signore, gioia dei profeti!
Gioisci, benedetta, il Signore è con te!
Gioisci, tu che per l’annuncio dell’angelo generasti la gioia
del mondo!
Gioisci, tu che hai generato il creatore e Signore!
Gioisci, perché sei degna di essere Madre di Cristo.
Il mare ha visto il Signore e ha temuto:
le onde vengono incontro per adorarlo,
Pietro vedendo tutto ciò gridava dicendo:
Abbi pietà di me, Dio!
165
Unità 2
Chiese e castelli
Raimbaut de Vaqueiras
(Francia, 1155-1207)
Noto anche come Rambaldo, è uno dei più celebrati trovatori del XII secolo. Entra da giovane al servizio dei marchesi del Monferrato, e a loro rimane fedele per sempre. Salva la vita
del marchese Bonifacio in Sicilia e lo segue in Oriente, dove Bonifacio partecipa come condottiero a una crociata. Qui il marchese viene ucciso in battaglia, e probabilmente è qui che
anche Raimbaut trova la morte. Le sue canzoni celebrano le imprese dei signori, dilettano
i momenti di festa, rasserenano dopo le giornate tumultuose, cantano l’amore per le dame
della corte. Le poesie attribuite a lui sono 35, ma solo di sette ci è giunta anche la musica.
TRACCIA 57
6
Kalenda maya
È una delle più famose canzoni trobadoriche, che Raimbaut scrisse per Beatrice, la sorella del marchese del Monferrato. Era la festa del Calendimaggio, una festa a cui nobili e
popolani partecipavano danzando. Kalenda maya è una estampida: una danza che si ballava a vivaci saltelli. La lingua impiegata in questo brano è quella provenzale (lingua d’oc),
diffusa nel Medioevo nella Francia meridionale e conosciuta anche in Italia.
Kalenda maya,
ni fuelhs de faya
ni chanz d’auzelh
ni flors de glaya
non es qu’em playa,
pros domna guaya,
tro qu’un ysnelh
messatgier aya
Scena di
vita di corte in
un manoscritto
del XIII secolo.
166
Calendimaggio,
né foglia di faggio
né canto d’uccello
né fior di giglio
non c’è che mi piaccia,
o donna gaia,
finché uno snello
messaggero ci sia
del vostre belh
cors, qu’em retraya
plazer novelh,
qu’amors m’atraya;
e iaya e’m traya
vas vos, domna veraya.
E chaya de playa
’l gelos, aus qu’em n’estraya.
del vostro bel
cuore, che mi rechi
piacer novello,
e che amore mi prepari;
e gioia mi porti
verso voi, donna sincera.
E cada di rabbia
il geloso, prima che me ne vada.
Parte D
La storia
Anonimo
TRACCIA 58
6
A l’entrada del tems clar
I canti dei trovatori furono trascritti a volte molto tempo dopo essere stati composti. Così
di parecchi si è perso il nome dell’autore. Anche questo canto, come il precedente, celebra l’arrivo della primavera. La gente è invitata a unirsi alla festa, aggiungendo il suo grido di saluto: “Eya!” E se per caso c’è qualche geloso, se ne stia alla larga! Questo tipo di
canti prendeva il nome di maggiolata.
A l’entrada del tems clar – eya!
per joia recomençar – eya!
e per jelos irritar – eya!
vol la regina mostrar
qu’el est si amorosa.
Ala vi’, ala via, jelos,
lassez nos, lassez nos
balar entre nos, entre nos.
Alfonso X il Saggio
Alfonso X
il Saggio in una
miniatura
spagnola del
XIII secolo.
TRACCE
59 – 60
6
Quando primavera appar – eya!
per letizia ripigliar – eya!
e i gelosi provocar – eya!
la regina vuol mostrar
ch’ell’è sì amorosa.
Via da noi, via da noi, gelosi,
fateci, fateci
ballar fra di noi, fra di noi.
(Castiglia, 1221-1284)
Figlio di Ferdinando il Santo, Alfonso diventò
re di Castiglia nel 1252, e durante il suo regno
fece della Spagna una nazione rispettata in
Europa. Fu un grande promotore di attività
culturali e artistiche: la sua corte diventò un
crocevia in cui confluirono pacificamente cristiani (spagnoli e francesi), ebrei e musulmani. Di tutte le arti fu la musica la sua passione maggiore. A lui si deve la raccolta delle Cantigas de Santa María, ben 400 canzoni in onore della Vergine: molte furono composte direttamente da lui. La lingua usata
nelle cantigas è il galiziano, un dialetto spagnolo simile al portoghese.
Muito devemos e Da que Deus
Sono due brani delle Cantigas de Santa María, la più importante raccolta di canti religiosi
spagnoli.
TRACCIA 59
La prima cantiga dice: “Dobbiamo molto lodare, amici, Santa Maria, che concede grazie e
doni a chi in lei confida.” Alla voce si aggiungono una zampogna, una ghironda, flauti e
percussione, i quali alla fine ripetono il motivo più velocemente.
TRACCIA 60
Nella seconda gli strumenti sono una cornamusa e percussione. E il canto da chi è praticato?
• Da un solista
• Dal coro
• Da solista alternato a coro
167
Unità 2
Chiese e castelli
Anonimo
TRACCIA 61
6
Nel 1937,
il compositore
tedesco Carl Orff
ha scelto
venticinque
poesie della
raccolta
dei Carmina
burana
e le ha rivestite
di nuova musica.
Nell’illustrazione,
il costume
per una delle
sue opere.
168
Carmina burana:
Bache bene venies (Benvenuto Bacco)
Questa musica ci porta nel bel mezzo di una festa goliardica. Cosa
mai possono celebrare, gli studenti delle università medievali, se non
l’amore e il vino? Si canta, si suonano tutti gli strumenti disponibili, si balla, si schiamazza. Luogo ideale di ritrovo, la taberna, l’osteria, buia e maleodorante, dei vicoli cittadini. Il canto è un inno a
Bacco, il dio pagano del vino. La musica è quella di un dramma liturgico, il Dramma di Daniele, che ora viene cantato su queste parole:
Bache bene venies gratus et optatus,
per quem noster animus fit letificatus.
Refl. Istud vinum bonum vinum
vinum generosum
reddit virum curialem probum animosum.
Benvenuto Bacco, ospite gradito e desiderato,
grazie a te i nostri cuori son rallegrati.
Rit. Questo vino, questo buon vino,
questo vino generoso
rende l’uomo nobile, probo e coraggioso.
Iste cyphus concavus de bono mero profluus
siquis bibit sepius satur fit et ebrius.
Refl. Istud vinum…
Hec sunt vasa regia quibus spoliatur
Ierusalem et regalis Babilon ditatur.
Refl. Istud vinum…
Ex hoc cypho conscii bibent
sui domini bibent
sui socii bibent et amici.
Refl. Istud vinum…
Bachus forte superans pectora virorum
in amorem concitat animos eorum.
Refl. Istud vinum…
Bachus sepe visitans mulierum genus
facit eas subditas tibi o tu Venus.
Refl. Istud vinum…
Bachus venas penetrans calido liquore
facit eas igneas veneris ardore.
Refl. Istud vinum…
Bachus lenis leniens curas et dolores
confert iocum gaudia risus et amores.
Refl. Istud vinum…
Bachus numen faciens hominem iocundum
reddit eum pariter doctum et facundum.
Refl. Istud vinum…
Bache deus inclite omnes hic astantes
leti sumus munera tua prelibantes.
Refl. Istud vinum…
Omnes tibi canimus maxima preconia
te laudantes merito tempora per omnia.
Refl. Istud vinum…
Questo bicchiere profondo trabocca di vino schietto:
chi spesso ne beve si sazia e si inebria.
Rit. Questo vino…
Questi sono i regi calici che furono trafugati
da Gerusalemme per arricchire la regale Babilonia.
Rit. Questo vino…
Da questa coppa bevono i confidenti,
bevono i loro padroni,
bevono i compagni, bevono gli amici.
Rit. Questo vino…
Bacco sa conquistare l’animo degli uomini
e incitare all’amore il loro cuore.
Rit. Questo vino…
Bacco visita spesso anche il genere femminile
e lo rende sottomesso a te, o Venere.
Rit. Questo vino…
Bacco, col suo caldo liquido, penetra nelle vene
e le riscalda col fuoco dell’amore.
Rit. Questo vino…
Il mite Bacco mitiga affanni e dolori,
portando con sé scherzi, gioie, risa e amori.
Rit. Questo vino…
Il dio Bacco fa l’uomo giocondo
e lo rende parimenti dotto e facondo.
Rit. Questo vino…
Bacco, o sommo dio, siamo qui riuniti
in letizia per gustare i tuoi doni.
Rit. Questo vino…
Noi tutti leviamo a te i più alti canti,
e celebriamo i tuoi meriti in ogni tempo!
Rit. Questo vino…
Parte D
La storia
Esperienze
Ricostruiamo un ambiente medievale. Raccogliamo altre immagini riguardanti la vita in
questo momento storico: riproduzioni di quadri e bassorilievi, testimonianze scritte.
Come si viveva in quel tempo? Com’erano le abitazioni, le strade? Esistevano luoghi pubblici? Come si impiegava il tempo libero? (C’era davvero del tempo libero?) Come ci si vestiva? Come e cosa si mangiava? Come erano educati i bambini? In quale condizione vivevano le donne? E poi: chi faceva musica? Dove? A chi era destinata, e a quali scopi?
Raccogliamo informazioni nelle enciclopedie e su Internet.
Una delle pratiche più diffuse nel Medioevo era il contrafactum: si prendeva una
canzone e le si adattava un testo completamente diverso. Realizziamone anche noi qualcuno. Per esempio, scegliamo dal Canzoniere (volume B) una canzone della sezione “Le
sensazioni e le emozioni”, e facciamola diventare una canzone buffa.
Un esempio: “Tutte le fontanelle si son seccate…” può cominciare così:
• “Tutte le caramelle si son squagliate…”
• “Tutte le gallinelle sono volate…”
• “Tutte le mozzarelle (oppure le tagliatelle, oppure le mortadelle…) si son pappati…”
Vai avanti tu a cambiare il testo.
PORTFOLIO
Kalenda maya e A l’entrada del tems clar sono due belle canzoni che si ispirano entrambe alla primavera. Le trovi nel volume B. Aggiungiamo le canzoni ispirate alla primavera
presenti nel Canzoniere (volume B), e inventiamo uno spettacolino che intitoliamo Festa
musicale di primavera. Un gruppo canta, un gruppo suona, un gruppo balla. Inventiamo
qualche costume e qualche scena. Inventiamo anche i passi e i movimenti dei balli.
ricapitoliamo
Quando la religione cristiana diventa ufficiale nell’Impero Romano, la Chiesa fissa i riti e i canti. Il repertorio dei canti religiosi dell’Alto Medioevo viene detto
gregoriano, dal nome di papa Gregorio.
Fino al IX secolo i canti vengono trasmessi solo oralmente. Poi si comincia a usare un sistema elementare per trascrivere i suoni: i nèumi.
Il canto gregoriano è omofònico, e sobrio: non deve
esprimere emozioni, ma solo celebrare la gloria di Dio.
Gli strumenti musicali sono sconsigliati in chiesa. Ma
presto si comincia a farne uso: lo strumento prediletto nelle basiliche sarà l’organo.
Dalla pratica di inserire nei canti brani nuovi (i tropi),
nascono i drammi liturgici.
Nel Medioevo fiorisce la musica profana, proposta dai
menestrelli, cantori e suonatori che girano per i paesi.
Nelle corti signorili le canzoni profane sono composte ed eseguite dai trovatori (Francia del Sud), dai trovieri (Francia del Nord), dai cantori d’amore e maestri
cantori (in Germania).
Gli studenti universitari hanno un proprio repertorio
di canti; spesso usano melodie di chiesa: questa pratica si chiamava contrafactum.
In questo periodo c’è anche una ricca fioritura di canti religiosi: le laudi in Italia, e le cantigas in Spagna.
Per trascrivere i suoni con esattezza si inventa il rigo
musicale. Guido d’Arezzo lo perfeziona e inventa un
sistema per dare un nome a ogni grado della scala.
169
3
L’Età della polifonia
1284
Edoardo I
annette il Galles
all’Inghilterra
1285
Filippo IV
il Bello diventa
re di Francia
1300
La testimonianza
Quando gli abitanti del Galles fanno musica insieme, non
cantano i loro motivi all’unisono, come si fa dappertutto,
ma in parti diverse, con numerosi modi e frasi simultaneamente. Perciò in un gruppo di cantori (se ne incontrano spesso nel Galles) si possono sentire tante melodie quante sono le persone, e una chiara varietà di parti; e pure
tutti si accordano in una composizione consonante e adeguatamente costruita. In un distretto del Nord della Britannia, intorno a York, gli abitanti usano un tipo simile di
canto in armonia, ma a due sole voci: una canta lentamente nel registro grave, l’altra lusinga e incanta l’orecchio al di sopra. Questa peculiarità di quella gente non è
il risultato di musicisti provetti, ma è acquisita attraverso
durature pratiche popolari.
Geraldo Cambrense, Storia della Cambria, 1198
Bonifacio VIII
bandisce il
primo Giubileo
Punto contro punto
1300
Inizia in Europa
la Piccola età
glaciale; finirà
nel 1850
1337
Inizia la Guerra
dei cent’anni
tra Francia
e Inghilterra
Quando Geraldo, cronista medievale, scrive il
suo libro, in Europa sta ormai prendendo piede un nuovo modo di cantare e di fare musica: la polifonìa. Fino ad allora i canti che i
monaci intonavano nei conventi, o i sacerdoti
e i fedeli nelle chiese, erano eseguiti a una voce
sola: tutti cantavano la medesima melodia,
all’unisono.
Il gusto di cantare a più voci prende l’avvio
poco prima dell’anno Mille. Si cominciò così:
a ogni nota della melodia, che era chiamata
punto, si aggiungeva la nota di una seconda
voce. Dunque punto contro punto. Questa pratica prende così il nome di contrappunto. L’espressione “cantare in contrappunto” ha lo stesso significato che “cantare in polifonìa”. Il genere di musica che ne risultava era chiamato organum (plurale: organa).
Nei primi organa il risultato era semplicemente una sonorità più densa, non dava ancora
l’impressione di sentire melodie diverse: si
rispettava così il precetto dei padri di cantare
“come un cuore solo”.
Dopo il Mille i musicisti cominciano a sentire
il bisogno di arricchire il semplice canto a voci
parallele. E allora nasce un modo nuovo: un
gruppo di cantori “tiene” la melodia principale (la vox principalis, o tenor), rallentandola
molto; in questo modo ciascuna nota viene
dilatata. Altri gruppi partono da quella stessa
nota, ma procedono poi liberamente con melodie improvvisate. L’importante era ritrovarsi
tutti insieme sulla nota successiva del tenor.
La polifonìa si dà regole precise
Nel tempo, le melodie aggiunte si fanno sempre più complesse, fiorite di note rapide e di
virtuosismi vocali. Sovrapponendo melodie
diverse, improvvisate lì per lì, si creavano frequentemente urti fastidiosi. Si sentì quindi il
bisogno di fissare delle regole: certi incontri di
voce erano permessi, altri dovevano essere evitati. Per ottenere risultati corretti diventava
necessario abbandonare la pratica dell’improvvisazione e sostituirla con una composizione pensata con cura e trascritta.
Un’altra novità accompagna questa trasformazione dello stile musicale: ora la Chiesa
ammette più facilmente nel culto gli strumenti musicali. Le cattedrali non dovevano più essere luoghi in cui estraniarsi dal mondo: diventavano luoghi in cui affrontare con spirito cristiano il mondo, le sue difficoltà e le sue gioie.
Parte D
La storia
Nel XIII secolo l’Europa vive un periodo di grande prosperità.
Il denaro diventa il protagonista della vita e trasforma l’economia, la società e la politica. Le città, che del
commercio e del denaro sono il regno,
crescono sempre più. Dentro le loro
mura, con il denaro si fondano le banche, ma si costruiscono anche le cattedrali gotiche.
Cambia anche la Chiesa. Nuovi ordini religiosi fanno proprio del denaro
il loro nemico: secondo Francesco
d’Assisi, povertà e carità sono le uniche ricchezze che rendono credibile la Chiesa.
Lo sviluppo economico favorisce lo
sviluppo della cultura. Nascono le prime università e la letteratura abbandona il latino: vengono scritti i primi
testi in volgare, cioè in francese, tedesco, inglese, italiano.
Nel XIV secolo le istituzioni religiose
conoscono una forte crisi; il papa è
in esilio ad Avignone e il clero è impegnato più in questioni politiche ed
economiche che nell’educazione alla
fede del popolo cristiano. Molte personalità sono critiche nei confronti
del clero: Dante Alighieri, per esempio, colloca il papa Bonifacio VIII nel
suo “Inferno”.
In questo affresco trecentesco
del pittore Niccolò di Pietro Gerini
sono raffigurati due banchieri.
La musica del Duecento e del Trecento abbandona il ritmo uniforme
del canto gregoriano. Nel Duecento
la musica è scandita secondo ritmi
particolari, che prendono il nome di
modi ritmici. I teorici del tempo ne
elencano sei, che in una musica potevano variamente alternarsi. Eccoli:
Gli strumenti partecipano assiduamente all’esecuzione, secondo libere scelte lasciate agli esecutori. Certi canti risultano tanto complessi che
probabilmente sono nati pensando
più alle possibilità degli strumenti che
a quelle delle voci.
Ma dietro l’apparente indipendenza
delle frasi si affermano esigenze di
ordine. Una di queste esigenze dà
luogo all’isoritmìa: le successive parti di cui una composizione è fatta sono
sì diverse melodicamente, ma si svolgono sopra il medesimo ritmo.
1o
2o
3o
4o
5o
6o
Nel Trecento i ritmi diventano molto
complessi: le frasi sono formate da
cellule ritmiche che cambiano continuamente, compaiono sìncopi, terzine, gruppi liberi sopra vocalizzi.
A sinistra, una miniatura dei Minnesänger (1315). Fra gli strumenti si riconoscono,
da sinistra, un flauto, una bombarda, due vielle, un salterio, una cornamusa.
A destra, musica del XIV secolo.
171
Unità 3
Ritratto
di Francesco
Landino, noto
compositore
dell’Ars nova
italiana.
L’Età della polifonia
L’Ars antiqua
Fu soprattutto a Parigi che si sviluppò la polifonìa, presso la cattedrale di Notre-Dame. Qui
operarono, tra il 1160 e il 1220, Leonino (Magister Leoninus) e Perotino (Magister Perotinus).
Venivano chiamati maestri dell’organum. Di
loro non si sa quasi nient’altro. A questa scuola musicale verrà dato più tardi il nome di Ars
antiqua (“Arte antica”).
La prima cosa che colpisce in queste musiche
è la grande vitalità ritmica. Nelle musiche dei
due “maestri dell’organo” sentiamo un andamento fortemente cadenzato: lo stesso andamento tipico delle danze popolari. È come se
il gusto popolare fosse entrato nel canto religioso, e ciò si spiega con l’apertura della Chiesa alle espressioni del popolo.
Anche molti trovatori componevano a volte
musiche polifòniche: tra loro spicca, nel XIII
secolo, Adam de la Halle.
normale che ogni voce canti un testo diverso
dall’altra. Quello che sta a cuore al musicista
del Trecento è l’effetto armonioso dell’insieme.
Questo modo di comporre prende il nome di
Ars nova, ossia “Arte nuova”.
In Francia i principali esponenti furono Philippe de Vitry (1291-1361) e Guillaume de
Machaut (1305-1377). Il genere sacro più coltivato in questo secolo è il mottetto.
La musica delle corti e delle città
Angelo
musicante
raffigurato
su una vetrata
della cattedrale
francese
di Rouen,
1310 circa.
Un gruppo di
musici suona un
organo portativo,
una viella
e un cornetto.
Miniatura
del Trecento tratta
dal Tacuinum
Sanitatis
di Giovannino
de Grassi.
172
Dall’Arte antica all’Arte nuova
Nel secolo successivo, il Trecento, i musicisti
perfezionano la polifonìa: fino al punto che
nell’intreccio delle voci si fa fatica a capire il
testo che viene cantato. Diventa addirittura
Nelle corti principesche e tra i nobili si continua a cantare su temi profani: canzoni d’amore, celebrazioni di avvenimenti, scherzi,
danze. Ma il gusto musicale è cambiato, proprio come nelle musiche sacre: quello che domina ora è lo stile polifònico. I generi più diffusi
sono la ballata, il rondò, il madrigale. Vengono eseguiti a due o tre voci; spesso la voce
superiore è cantata, le altre sono affidate a strumenti. 1
Nell’Italia del Trecento la musica è coltivata
soprattutto nelle città del centro-nord, come Firenze e Bologna. Il pubblico, che non appartiene alla classe aristocratica ma a quella dei ricchi borghesi, non è molto sofisticato. Le musiche che predilige sono sì polifòniche, ma tendono alla semplicità e all’immediatezza. Accanto alle ballate e ai madrigali furoreggia in Italia un genere più giocoso, la caccia. Qui due
voci si inseguono a cànone: una voce “caccia”
l’altra, e una terza voce fa da sostegno.
Compositori dell’Ars nova italiana sono Gherardello da Firenze, Jacopo da Bologna, Matteo da Perugia e, sopra tutti, Francesco Landino (1335-1397), noto ai suoi tempi per l’abilità nell’improvvisare all’organo. Cieco dalla nascita, fu soprannominato “cieco degli organi”, ma sapeva anche cantare, suonare altri
strumenti, scrivere poesie e libri teorici. Di lui
abbiamo più di 150 composizioni, in prevalenza ballate.
Parte D
La storia
1 Cosa vuol dire “canzone”?
È giusto chiamare “canzone” qualunque musica? La risposta ce la dava
già Dante Alighieri, esattamente sette secoli fa:
Bisogna discutere se è giusto chiamare canzone un testo poetico melodicamente intonato, piuttosto che la
musica in sé. Osserviamo che la musica in sé viene chiamata “suono”, o
“tono”, o “nota”, o “melodia”. In effet-
Nelle cattedrali di questa età si moltiplicano le linee degli archi a sesto
acuto, all’interno, e gli archi rampanti
all’esterno. L’occhio non riposa più
su ampie, solide superfici; è sollecitato a muoversi da un percorso lineare all’altro. Il risultato è un senso di
grande dinamismo.
ti nessun suonatore di strumento a
fiato o a tastiera o a corde chiama la
sua melodia canzone, se non quando è sposata a un testo, mentre sono
gli ideatori di parole armonicamente
disposte a definire le loro opere canzoni.
Dante Alighieri,
De Vulgari Eloquentia, 1304
Ritratto di Dante Alighieri.
Allo stesso modo le linee di canto delle diverse voci si intrecciano l’una sull’altra. La voce non segue più l’andamento delle parole, con i loro
accenti e le loro brevi pause. Passa
in second’ordine la chiara articolazione delle frasi. Ma il risultato è quello di una fremente vitalità.
A sinistra, la cattedrale di Rouen,
in Francia, sorta nella prima metà
del XIII secolo.
A destra, l’interno della cattedrale
tedesca di Ingolstadt.
173
Unità 3
L’Età della polifonia
Perotino
(Francia, 1170-1230 ca.)
Le notizie sui compositori di questo periodo sono scarse. Per esempio, tutto quello che sappiamo di Perotino sono queste poche righe che troviamo scritte in un codice manoscritto
del 1272: “Il libro degli organa di Leoninus fu in uso fino al tempo del grande Perotinus,
che lo abbreviò e portò molte sostituzioni, perché era il migliore autore di canti, migliore
di Leoninus. Inoltre Perotinus scrisse eccellenti composizioni a quattro voci, come Viderunt
(omnes), colme di ingegnosi motivi e figure musicali, e molte altre composizioni a tre voci
e a voce sola. I libri di Magister Perotinus sono restati in uso nel coro della cattedrale di
Notre-Dame fino a oggi.” (Anonimo Quarto, Trattato sulle misure e sul discanto, 1272)
TRACCIA 1
7
Viderunt omnes
Ci sono giunti, attribuiti a Perotino, due organa a quattro voci e una decina a tre voci. Viderunt
omnes è a quattro voci e celebra la nascita di Gesù.
Papa
Clemente IV
investe Carlo
d’Angiò della
sovranità della
Sicilia. Affresco
del XIII secolo.
Strumenti a fiato e campane introducono la celebrazione in un clima di festa. Il ritmo del canto è
pulsante e vivace. E il canto, a quale genere appartiene?
• Sillabico
• Melismatico
• Responsoriale
Adam de la Halle
(Francia, 1237 ca.-1287 ca.)
Gli studi compiuti presso l’Università di Parigi gli servono a raffinare il talento di
musicista ma anche di letterato. Nel 1262 viene rappresentato un suo dramma con
musiche.
Adam continua la tradizione dei trovatori, che operano al servizio dei signori. I
suoi signori sono gli Angioini, che proprio in quegli anni si trovano a competere
con gli Aragonesi per il governo della Sicilia. Quando nel 1282 scoppia la rivolta
dei Vespri Siciliani, e gli Angioini vengono cacciati dall’isola, Adam si reca a Palermo al seguito di Carlo d’Angiò.
Oltre a una serie di canzoni trobadoriche, Adam ha lasciato molte canzoni polifòniche, rondò, mottetti e il suo lavoro teatrale Le jeu de Robin et Marion.
TRACCIA 2
7
Or est baiars
Il ritmo mostra quanto nella seconda metà del Duecento fossero ancora vivi i “modi ritmici” del tempo di Perotino. La musica è saltellante, adatta per la danza, affidata a un complesso nel quale emergono un piccolo organo e la viella. Una fresca voce femminile canta
le segrete emozioni di una ragazza di quel lontano Medioevo.
174
Parte D
Guillaume de Machaut
La storia
(Francia, 1300-1377)
Per secoli il musicista ha potuto esercitare la sua arte solo ponendosi al servizio di un governante. Non c’è principe, nel tardo Medioevo o nel Rinascimento, che non si circondi di musicisti, poeti, pittori, scultori. Machaut è musicista e insieme poeta: tanto eccellente in entrambe le arti che se lo contendono il re Giovanni di Boemia, Bona, moglie del futuro re di Francia, e Giovanni re di Navarra. Anche le cattedrali aspirano ad averlo presso di sé, e così lo troviamo per un certo periodo canonico a Reims.
Le sue poesie e le sue musiche sono destinate dunque a un pubblico aristocratico, raffinato. Già avanti negli anni, si innamora della giovanissima Péronne, alla quale dedica un romanzo epistolare
contenente sette delicate canzoni d’amore. Più di cento sono le sue musiche profane giunte fino a noi; una ventina quelle sacre. Uno degli speciali artifici praticato da Machaut è l’isoritmìa: la si può trovare nella sua celebre Messa di Notre-Dame, la prima messa cantata
a più voci giunta fino a noi e scritta dalla mano di un solo compositore.
TRACCIA 3
7
Amour me fait désirer
Questa musica ci fa capire com’erano le canzoni d’amore del tempo: un intreccio sofisticato di melodie affidate a voci diverse. Qui, al posto del canto, le parti sono eseguite da tre
strumenti: un piccolo organo portativo, una viella e una mandola, strumento a pizzico.
Gherardello da Firenze
(Italia, Firenze, ?-1362 ca.)
Gherardello appartiene a una famiglia di musicisti. Ma preferisce dedicarsi alla vita ecclesiastica e diventa cappellano di quella che era allora la cattedrale di Firenze, Santa Reparata. La vita religiosa non gli impedisce tuttavia di dedicarsi alla composizione non solo di
pagine religiose ma anche di canti profani, come la celebre caccia che ascoltiamo.
TRACCIA 4
7
Caccia
La caccia era l’occupazione prediletta dei signori: all’istinto
della lotta si aggiungeva l’amore per l’avventura e per l’ignoto. L’oscurità dei boschi esercitava una forte attrattiva
sull’immaginazione medievale: i dipinti del tempo sono ricchi di immagini molto accurate di boschi. Questa passione si esprime anche nella musica, in pezzi che cantano
avventure di caccia. In questo brano sentiamo anche richiami dei cacciatori ai cani. Per dare l’idea dell’inseguimento, il musicista usa un sistema singolare: lascia partire la
prima voce; dopo un po’, una seconda voce dà la “caccia”
alla prima, ossia ripete a distanza la stessa melodia.
Il termine caccia indica proprio il genere di musica composto in questo modo che verrà usato anche per canti ispirati a temi diversi dalla caccia vera e propria.
175
Unità 3
L’Età della polifonia
Esperienze
Inventiamo un semplice organum con la tecnica del XII secolo. Scegliamo una
canzone nota: un gruppo tiene lunghe le sue note. Sopra questa base cantiamo un’altra
melodia. Per esempio, sopra le prime sette note di La campana (volume B, Canzoniere,
sezione “Note di notte”) possiamo aggiungere il cànone Chi vive allegro, così:
PORTFOLIO
Musici
nel particolare
di un affresco
di Castel
Roncolo
(Bolzano).
176
Pratichiamo i sei modi ritmici usati nell’Ars antiqua.
Abbiamo tante opportunità.
• Suoniamo il primo in continuazione: comincia un
ragazzo, poi a uno a uno si aggiungono gli altri; quando tutti suonano, il primo smette, e a uno a uno smettono tutti. Ripetiamolo con gli altri cinque modi.
• Dividiamoci in sei gruppi: ognuno esegue uno dei
sei modi. Comincia un gruppo e via via si aggiungono gli altri. Quando si arriva al fortissimo, si smette
tutti di colpo.
• Un ragazzo ripete in continuazione il primo modo
ritmico sul tamburello. Gli altri, sui loro strumenti, intervengono a uno a uno improvvisando un loro ritmo.
Ripetiamo l’esperienza con gli altri modi ritmici.
• Ripetiamo l’esperienza precedente con strumenti
melodici: flauto dolce, xilofono, metallofono, tastiera…
• Inventa un altro modo di praticare i modi ritmici.
Parte D
La storia
Eseguiamo anche noi
Gherardello da Firenze, Caccia.
ricapitoliamo
Nel IX secolo si avvia la pratica del canto polifònico, all’inizio come “rinforzo” sonoro della melodia: a una nota
se ne sovrappone una diversa. È l’organum parallelo.
ca di questa musica è di essere fortemente ritmata,
come nelle danze popolari.
Nell’XI secolo si diffonde una tecnica più sviluppata:
la melodia principale è eseguita a note dilatate nel
tempo; e su questa altre voci improvvisano.
Nel Trecento la polifonìa si fa più sofisticata: all’Ars
Antiqua si contrappone l’Ars Nova. Il genere sacro più
coltivato è il mottetto, quelli profani sono la ballata,
il rondò e il madrigale.
Nel XIII secolo i musicisti si danno regole chiare riguardanti la sovrapposizione di melodie diverse.
Principali protagonisti dell’Ars Nova sono in Francia
Guillaume de Machaut, in Italia Francesco Landino.
La musica religiosa del Duecento fiorisce soprattutto
a Parigi, con la Scuola di Notre-Dame. La caratteristi-
In Italia fiorisce un genere più vicino al gusto popolare, la caccia.
177
4
Il Rinascimento
1348
Si diffonde
in Europa la
“grande peste”
1414
Il Concilio
di Costanza
avvia la riforma
della Chiesa
La testimonianza
Signori, dovete sapere che io non mi contento del
cortegiano s’egli non è anche musico e se, oltre a
capire la musica ed essere capace di leggerla, non
sa praticare vari strumenti. Bella musica è il cantar bene leggendola con sicurezza e bella maniera; ma molto di più il cantare accompagnati dalla viola. Sono ancora armoniosi tutti gli strumenti da tasti, perché hanno le consonanze molto perfette e con facilità vi si possono fare molte cose
che riempiono l’animo di dolcezza musicale. Non
meno diletta è la musica delle quattro viole ad
arco, che è soavissima e ingegnosa. La voce umana dà ornamento e grazia assai a tutti questi strumenti, dei quali voglio che il nostro cortegiano
abbia conoscenza; e quanto più in essi sarà eccellente, tanto sarà meglio.
1455
Gutenberg
stampa il primo
libro: la Bibbia
Baldassarre Castiglione,
Il cortegiano, 1528 (adattamento)
Giovanni Cariani,
Suonatore di liuto.
Gentiluomini e professionisti
della musica
1492
Cristoforo
Colombo scopre
l’America
1519
Carlo d’Asburgo
viene eletto
imperatore
Nei secoli XV e XVI non c’è corte principesca,
non c’è dimora di ricchi aristocratici e borghesi
dove non si faccia musica. Chi vive stabilmente
a corte, il cortegiano o gentiluomo, deve saper
cantare, suonare e comporre musica. Le corti
più ricche possono anche permettersi musicisti di professione.
I regnanti, poi, amano celebrare la propria
potenza non soltanto edificando palazzi sontuosi, ma anche invitando nelle loro corti schiere di artisti.
Le cattedrali si dotano di gruppi corali: soprattutto nelle Fiandre (la regione compresa tra Belgio, Olanda e Francia del Nord) e in Borgogna,
si sviluppano grandi cori e scuole musicali di
alto livello. Qui si formano numerosi importanti musicisti, che scrivono appositamente per
quelle formazioni musicali. Il più rinomato è
Guillaume Dufay (1400-1474).
I gusti delle persone che frequentano le corti
si fanno sempre più raffinati: così anche lo stile musicale si fa particolarmente sofisticato.
L’invenzione della stampa musicale
Un’altra grande novità cambia la vita musicale: l’invenzione della stampa. Avviata da Gutenberg alla metà del Quattrocento, viene sperimentata una ventina d’anni dopo per la musica. Il primo che fissa un sistema collaudato di
stampa musicale è Ottaviano Petrucci, che nel
1501 pubblica a Venezia il primo libro interamente musicale.
L’invenzione della stampa è un formidabile
strumento per far conoscere le musiche da un
paese all’altro.
Nei paesi europei si afferma, nel Quattrocento, un benessere economico
mai conosciuto prima, del quale le
Fiandre e l’Italia settentrionale sono
le principali protagoniste. E con il
benessere anche la vita delle corti e
delle città si arricchisce: i palazzi signorili sono frequentati da poeti, letterati, pittori, scultori, architetti. La
cultura dell’Umanesimo, che mette
l’uomo al centro dell’universo e rivaluta le sue facoltà morali e intellettuali, nasce in Italia e da qui si irradia in tutta Europa.
Era dai tempi più felici dell’Impero
Romano che non si assisteva a un
interesse così grande per le scienze
e le arti. L’uomo, la sua spiritualità e
le sue creazioni sono al centro degli
interessi di letterati e artisti. Fiorito nelle corti italiane, questo spirito si diffonde in particolare in Borgogna, la regione centro-orientale della Francia.
Nell’Europa del Cinquecento i grandi stati, Francia, Spagna, Inghilterra,
hanno ormai consolidato la loro unità
nazionale mentre si rompe l’unità del
popolo cristiano: da ora in poi ci sarà
una Chiesa cristiana cattolica e una
Chiesa cristiana protestante.
Le grandi scoperte geografiche, oltre
ad aprire gli orizzonti culturali degli
europei, favoriscono un notevole sviluppo economico. Il commercio internazionale cresce poderosamente e i
galeoni delle grandi potenze solcano
tutti gli oceani, trasportando merci di
ogni genere.
I regnanti celebrano la propria potenza edificando palazzi sontuosi e invitando nelle loro corti schiere di arti-
sti. L’arte vive quindi un periodo di
grande splendore: il Rinascimento.
Nel Cinquecento nascono, soprattutto in Italia, maestri dotati di un
eccezionale talento, che creano opere straordinarie.
Due sono le direzioni che la musica
prende nel Quattrocento. La prima è
il bisogno di una fusione armoniosa
fra le diverse voci, cercando la maggiore consonanza possibile. L’incontro delle voci si fa più delicato, meno
aspro che non nella musica del secolo precedente. Anche la melodia si fa
più lineare e cantabile.
Ma lo stile musicale si modifica anche
in una seconda direzione, quella delle tecniche contrappuntistiche, che
portano a un livello sorprendente di
complessità. Per esempio un tema
viene proposto da una voce, alla quale un’altra voce risponde con lo stesso tema all’inverso, cioè letto dall’ultima nota e poi indietro fino alla prima. Quindi se ne aggiunge una terza che canta il tema, sempre lo stesso, ma aumentato, cioè a una velocità diversa. E si aggiunge ancora una
quarta voce che lo intona con gli intervalli melodici rovesciati, cioè invece
di salire verso l’acuto scende al basso e viceversa.
Un altro artificio è la ciclicità, che
viene applicata nelle messe: uno stes-
so canto preesistente è adoperato
come base (come “tenor”); su questa base si costruiscono le successive sezioni di una messa.
Nel Cinquecento l’andamento delle
voci tende a farsi più morbido, rotondo, meno angoloso che nella musica
del Quattrocento. La melodia si svolge prevalentemente per intervalli vicini, non per salti; i ritmi sono meno
marcati; soprattutto si evitano il più
possibile le dissonanze. Tutto deve
dare l’impressione di una grande
moderatezza dei sentimenti.
Il cambiavalute e sua moglie,
un dipinto del pittore fiammingo Metsys
che illustra la ricchezza della società
europea nel Cinquecento.
179
Unità 4
Il Rinascimento
I generi di canto
Musica
popolare italiana
in un dipinto
di Pietro Fabris.
Tra il Quattrocento e il Cinquecento, la nuova
generazione di musicisti rende più semplice la
costruzione musicale: favorisce un’arte più cantabile, più vicina al gusto popolare.
Campioni di questa tendenza sono il fiammingo
Heinrich Isaac e il francese Josquin Desprès
(1440-1521). Questi compositori operano soprattutto in Italia, dove sono chiamati dai principali signori. In Italia hanno potuto ascoltare
uno stile musicale semplice e diretto, di carattere popolaresco: sono composizioni a quattro
voci, che procedono in prevalenza compatte,
in omoritmìa: cioè tengono tutte lo stesso ritmo. Si chiamano villotte e frottole; quelle composte per il carnevale si chiamano canti carnascialeschi. Gli argomenti sono spesso scherzosi. La forma è stròfica: ossia sulla stessa
musica si cantano diverse strofe.
All’inizio del XVI secolo, tra i compositori di
frottole si affermano Marchetto Cara (14701525) e Bartolomeo Tromboncino (1470-1535).
Il madrigale
Un gruppo
musicale
in un arazzo
del Cinquecento.
Gli strumenti
raffigurati sono,
da sinistra, il liuto,
la ribecca,
la bombarda,
l’arpa, il salterio
e un altro liuto.
180
Questo stile si afferma nel genere musicale più
praticato nel Cinquecento, il madrigale. Abbiamo trovato questo nome nella musica del Trecento. Ma ora il termine si applica al nuovo
genere polifònico, inizialmente a quattro voci
come la frottola; più tardi si preferirà ricorrere
a cinque voci. Ma a differenza della frottola, il
madrigale non è più “stròfico”: la musica cambia da strofa a strofa, seguendo da vicino l’andamento delle parole, le atmosfere e i sentimenti
espressi dal testo. 1 Il pubblico distinto delle corti non accetta i testi a volte sguaiati delle frottole; esige poesie raffinate. Per questo i
compositori scelgono i testi dei più importanti
poeti italiani: Francesco Petrarca, Ludovico
Ariosto, Pietro Bembo, Torquato Tasso.
Con lo stesso stile del madrigale si compongono musiche per la Chiesa: i mottetti. 2
La stagione più felice del madrigale si ha con
la generazione successiva di compositori, fra i
quali emergono ora gli italiani: Luca Marenzio (1553-1599), Carlo Gesualdo da Venosa
(1560-1613), Claudio Monteverdi (1567-1643).
Commedie cantate
Oltre che cantati, i madrigali potevano essere
semplicemente suonati su strumenti; oppure
solo la voce superiore si cantava, le altre si suonavano. Gli argomenti erano il più delle volte
amorosi, spesso anche drammatici, per esempio di argomento epico o guerresco.
Ma il pubblico dei salotti amava anche ascoltare storie scherzose. A questo genere si dedicano musicisti che si scrivono da sé testi di
argomento buffo, ispirati a un realismo popolaresco. Troviamo qui personaggi che dialogano fra loro, in un modo che rispetta lo stile polifònico: per esempio, un personaggio è espresso da un coro a due voci, l’altro da un coro a
tre voci. Questo genere prende il nome di
madrigale dialogico, o rappresentativo. Il suo
carattere comico risulta anche dai titoli: Il cicalamento delle donne al bucato di Alessandro
Striggio (1535-1590), Amfiparnaso di Orazio
Vecchi (1550-1605), La barca di Venezia per
Padova, Lo zabaione musicale, La pazzia senile, del monaco Adriano Banchieri (1568-1634).
Parte D
La storia
1 La musica traduce le parole: i madrigalismi
Gli autori di madrigali creano intorno
alle parole un clima intensamente
espressivo, spesso sentimentale e
languido. E si spingono ancora più in
là: arrivano a “tradurre” con i suoni
certe immagini evocate dalle parole.
Se il testo dice “stare”, la musica si
ferma su note lunghe; se dice “saltare”, il ritmo si fa saltante. Se le paro-
le evocano il cielo, sentiamo note acute; se suggeriscono una caduta, sentiamo una melodia discendente. La
gioia è espressa con rapidi giri di voce;
il dolore con lenti ripiegamenti della
voce verso il basso. E così via.
Questo modo di far corrispondere una
musica a un testo si chiama madrigalismo. Lo troveremo usato spesso,
d’ora in poi, anche in musiche molto diverse dai madrigali.
Osserva questi esempi. Nel primo,
sulla parola “scala” il musicista scrive una scala musicale, da Sol al Mi'.
Nel secondo, “cinque perle” è tradotto con cinque note tonde, le semibrevi. Nel terzo, il “respiro” è reso
con numerose pause.
2 Parodìe e polifonìe
I musicisti di questa epoca tendono
a comporre allo stesso modo sia un
mottetto destinato alla Chiesa sia una
canzone per la corte. Usano cioè uno
stile unitario sia per la musica profana sia per quella sacra.
Lo dimostra una pratica molto diffusa allora, la pratica della parodìa: il
musicista prende una canzone di
argomento profano e le adatta un
testo religioso, o anche viceversa. Ciò
vuol dire che lo stesso genere di musica si canta ora per la preghiera come
per argomenti amorosi. Ma in tutti e
due i casi si usa uno stile musicale
“importante”, quello della polifonìa.
Orlando di Lasso alla corte
di Baviera. Questo musicista fiammingo,
compositore di mottetti e madrigali,
fu tra i maggiori polifonisti
del Cinquecento.
181
Unità 4
Il Rinascimento
A Venezia il canto è accompagnato
dagli strumenti
Paolo Veronese,
Le nozze di Cana,
1563, particolare.
Una grande scuola musicale si sviluppa a Venezia, che è all’apice della sua potenza e in polemica con la corte pontificia. Anche qui la polifonìa domina incontrastata, solo che allo stile
“a cappella” di Roma si preferisce il canto accompagnato dagli strumenti. I veneziani coltivano una particolare predilezione per i colori strumentali: è qui, infatti, che nascono le prime grandi composizioni solo strumentali, soprattutto per organo e per strumenti a fiato.
I compositori importanti della scuola veneziana sono Andrea Gabrieli (1510-1586) e suo
nipote Giovanni (1557-1612). Entrambi organisti in San Marco, scrivono musica di ogni
genere, sacra e profana, vocale e strumentale.
Nelle chiese protestanti i fedeli
cantano una musica semplice: il corale
Il XVI secolo non è solo l’età dello sfarzo aristocratico e del trionfo delle arti. È anche un
secolo di guerre e di conflitti religiosi. L’esplosione di questi conflitti avviene con la “protesta” avviata in Germania da Martin Lutero
contro la Chiesa cattolica, e la successiva “riforma” delle pratiche religiose: nascono così le
confessioni riformate, o protestanti, che si
diffusero in particolare a nord delle Alpi.
Secondo Lutero, deve essere il popolo dei fedeli a condurre il rito, non una categoria speciale, quella dei sacerdoti. Conseguenza musicale: è il popolo che deve cantare in chiesa, non
un gruppo specializzato. Ecco allora che nelle
chiese protestanti la polifonìa è messa da par-
182
te. Al popolo si insegnano canti semplici, che
si imparano facilmente. Lutero stesso ne compone diversi; altri sono presi da canti popolari, a cui si adattano testi religiosi, secondo la
pratica della parodìa. Vengono chiamati corali. Nelle chiese l’uso degli strumenti musicali
è limitato o abolito per favorire il raccoglimento
dei fedeli e la sobrietà delle celebrazioni.
Nei paesi cattolici si raffina
il canto polifònico a cappella
La civiltà cattolica resta fedele alla grande tradizione polifònica del passato. Solo la musica
ricca e sontuosa può affascinare l’ascoltatore
e suscitargli immagini del Paradiso: perciò nelle chiese il canto è ancora affidato a gruppi di
cantori altamente specializzati. Ogni chiesa ha
la sua “cappella”: con questo nome si indica
prima il luogo assegnato ai cantori, poi l’insieme dei cantori stessi. Il termine a cappella indica il canto a sole voci, senza strumenti.
Papa e cardinali fanno a gara con le corti europee nel circondarsi di artisti e musicisti. Su tutti si innalza Giovanni Pierluigi da Palestrina
(1525-1594), che ripropone le tecniche dei maestri fiamminghi, ma depurate di ogni più piccola asprezza. Così facendo, rappresenta l’ideale della nuova Chiesa romana, quella uscita dal
Concilio di Trento (1545-1563). Il Concilio,
indetto per rimediare ai mali lamentati dai protestanti, prende posizione anche sulla musica,
e chiede ai compositori di abbandonare le complicazioni che rendono incomprensibili le parole. Lo stile di Palestrina influenza altri grandi
maestri del Cinquecento: il più illustre è il fiammingo Orlando di Lasso (1532-1594). Accanto a messe, mottetti, salmi e altre composizioni sacre, Orlando compone una grande quantità di musiche profane.
La “chanson” francese
Nella musica profana francese del Cinquecento domina il genere musicale della chanson
(canzone). L’autore più famoso di canzoni è
Clément Janequin, al servizio del re di Francia Francesco I nella Cappella reale di Parigi.
Le canzoni adattano in modo equilibrato gli
artifici compositivi della polifonìa alla semplicità delle canzoni popolari, che spesso inseriscono le loro melodie in ritmi di danza. I temi
possono essere malinconici e sentimentali,
scherzosi e ironici o anche epici e militari.
Parte D
Siamo sul finire del XV secolo. Uno
dei regnanti più illustri è Massimiliano d’Austria, re di Germania, poi
imperatore del Sacro Romano Impero, nonché pretendente al regno di
Borgogna. In Borgogna è stupito dalla brillante vita musicale della corte,
e decide di creare per sé un insieme
di cantori e strumentisti ancora più
ricco. Fa venire alla sua corte i musicisti più illustri del tempo, come Heinrich Isaac e l’organista Paul Hofheimer. I cantori allietano le sue feste e
accompagnano le sue preghiere, tra
una spedizione militare e l’altra. Gli
La storia
6
5
4
3
2
1
strumentisti lo seguono nei suoi viaggi, creando una pompa solenne intorno al corteo imperiale.
Massimilano vuole anche far conoscere ai posteri la sua passione per
la musica. Chiama perciò i maggiori
disegnatori del tempo, fra i quali il
celebre Albrecht Dürer, e chiede loro
di raffigurare tutti gli strumenti della
sua corte.
Nascono così le più importanti illustrazioni degli strumenti di quel periodo, presentati su altrettanti carri immaginari: Il corteo trionfale di Massimiliano. Sul primo carro sta lo stes-
so Hofheimer con il suo organo portativo. Dietro a lui stanno tre liuti e
una viola da gamba; sul terzo, un
trombone, due oboi, due cromorni;
dietro a questo, un carro che mostra
la varietà con la quale potevano
mescolarsi allora gli strumenti: un violino, una fidula, un liuto, una mandola, un piffero con tamburello e due
zufoli. In alto, infine, vedi due fanfare: la prima formata di cromorni; la
seconda, di tromboni e tamburi. Chiudeva il corteo la Cappella imperiale:
un coro di sei bambini e sette adulti, un cornetto, un trombone.
183
Unità 4
Il Rinascimento
Guillaume Dufay
(Francia, 1400-1474)
Come si diventa musicisti nel XV secolo? Si comincia come fanciullo cantore presso
una cattedrale, dove si riceve un’istruzione musicale completa. È così che si forma
Dufay presso la cattedrale di Cambrai, nelle Fiandre francesi. Se ha talento, il musicista sarà conteso da città e signorie d’Europa. Ed ecco che troviamo Dufay al servizio
dei Malatesta a Pesaro, poi a Parigi, a Roma presso la Cappella pontificia, a Torino
presso i Savoia. Quando nel 1436 si inaugura la cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze lo chiama a comporre una musica per la cerimonia. Nasce così Nuper rosarum flores, un mottetto che illustra bene il gusto fiammingo per la costruzione calcolata: infatti è scritto in modo che le sue sezioni corrispondano a quelle della cupola. Dufay va
poi a Berna, a Bruxelles, a Digione, prima di tornare definitivamente a Cambrai. I suoi
mottetti e le sue messe sono tra i massimi capolavori del Quattrocento.
TRACCIA 5
7
Bon jour bon mois
Tra i mottetti di Dufay figura quello che inizia sulle parole Jesu judex veritatis (Gesù giudice di verità). Sulla stessa musica religiosa troviamo questo rondò (così si chiamava un
tipo particolare di canzone profana): il testo ora celebra l’arrivo della primavera. È un esempio di come il musicista di quel tempo fosse interessato non a descrivere con la musica i
concetti evocati dalle parole, ma a rivestirle di delicate atmosfere espressive: indipendentemente dal loro contenuto particolare. La composizione è a tre voci: ma solo la superiore
è cantata; le altre sono affidate a strumenti: organo portativo, flauto, viola.
Heinrich Isaac
(Fiandre, 1450-1517)
Le prime notizie che si hanno di questo musicista ce lo presentano già famoso. Manca infatti qualsiasi documento che lo riguardi, prima del 1487, quando Lorenzo de’
Medici lo chiama a Firenze, a comporre le musiche che devono allietare le sue vivaci
feste, e a dirigere cantori e suonatori. Qui Heinrich Isaac scrive una serie di canti popolareschi, secondo lo stile italiano della frottola. Morto il suo signore nel 1492, va a
Vienna. Lì si fa notare dal re di Germania, poi imperatore, Massimiliano, grande amante della musica, che ha allestito una compagnia straordinaria di musici, e che chiama
Isaac al suo servizio. La maggiore opera di questo compositore è il Choralis Constantinus, una raccolta di trecento mottetti scritti per il duomo di Costanza. Come aveva
saputo essere semplice e popolaresco con le sue frottole, così Isaac sa essere raffinato e profondo nelle opere religiose, continuando la tradizione fiamminga.
TRACCIA 6
7
La la ho ho
Un piccolo assaggio del mondo sonoro che dilettava le corti principesche alla fine del Quattrocento. Una compagnia di suonatori intona una “canzona per strumenti”, formata di brevi frasi, che passano da uno strumento all’altro. Bastano quattro flauti diritti per aprire una
serata di festa, che poi continuerà con una serie di danze.
184
Parte D
La storia
Giovanni Pierluigi da Palestrina (Italia, Palestrina, 1525-1594)
Per un aspirante musicista nato vicino a Roma (Palestrina è la sua città natale), le
possibilità di carriera sono legate alla possibilità di farsi conoscere da qualche influente prelato. Il personaggio che mette in moto la carriera di Pierluigi è il vescovo della sua città natale, che diventa papa col nome di Giulio III. A Palestrina, Pierluigi si
è già fatto apprezzare come organista del duomo. Ma la carriera non è facile a Roma:
un artista sposato rischia il posto perché la sede pontificia preferisce operatori celibi. Invece Pierluigi è sposato, con tre figli, che diventeranno anche loro musicisti.
Viene licenziato. Ma la sua fama di “principe della musica” è già tale che non fatica a trovare posto presso le principali chiese romane. Trascorre gli ultimi anni della sua vita a comporre e a curare la pubblicazione delle sue opere.
I capolavori di Pierluigi sono soprattutto messe, mottetti, inni. Ma non mancano
numerosi madrigali scritti per le feste delle principali famiglie patrizie romane.
TRACCIA 7
7
Stabat Mater
Il testo, in forma poetica, fu scritto probabilmente da Jacopone da Todi nel XIII secolo, e
fu presto cantato nelle chiese, alla maniera del canto gregoriano, secondo lo stile sillabico. Entrò così nella liturgia, fra le “sequenze” ammesse dal magistero cattolico, per la giornata del Venerdì santo. Narra il dolore della Madonna davanti alla crocifissione del figlio.
Molti altri musicisti rivestirono quel poema con musiche proprie: fra questi Palestrina. Non
sentiamo grida disperate qui. Tutto scorre mesto sì, ma anche quieto: sopra la morte fisica Palestrina fa risaltare la certezza della beatitudine celeste. Ascoltiamo la prima parte:
Stabat mater dolorosa
juxta crucem lacrimosa
dum pendebat filius.
Cuius animam gementem,
contristatam et dolentem,
pertransivit gladium.
O quam tristis et afflicta
fuit illa benedicta
mater Unigeniti.
Quae maerebat et dolebat
pia mater, dum videbat
nati poenas inclyti.
Quis est homo qui non fleret,
matrem Christi si videret
in tanto supplicio?
Quis non posset contristari,
Christi matrem contemplari
dolentem cum filio?
Pro peccatis suae gentis
vidit Jesum in tormentis
et flagellis subditum.
Vidit suum dulcem natum
moriendo desolatum,
dum emisit spiritum.
Stava la madre sofferente
presso la croce piangente
mentre pendeva il figlio.
La sua anima gemente,
rattristata e dolente
la trapassò la spada.
Oh quanto triste e afflitta
fu quella benedetta
madre dell’Unigenito.
Si lamentava e doleva
la pia madre, mentre vedeva
le pene del figlio glorioso.
Qual è l’uomo che non piangerebbe,
se vedesse la madre di Cristo
in così gran supplizio?
Chi potrebbe non rattristarsi
contemplando la madre di Cristo
sofferente con il figlio?
Per i peccati della sua gente
vide Gesù fra i tormenti
e sottoposto alle fruste.
Vide il suo dolce figlio
affranto davanti alla morte
mentre esalò il respiro.
185
Unità 4
Il Rinascimento
Carlo Gesualdo da Venosa
(Italia, Venosa, 1560-1613)
La vita di Carlo Gesualdo è ben diversa da quella tipica di un musicista del Cinquecento. Palestrina comincia come umile fanciullo cantore in qualche chiesa
cittadina. Gesualdo è invece figlio di principi: i Gesualdo sono aristocratici napoletani; suo padre ha sposato una nipote del Cardinale Borromeo.
La sua vita potrebbe trascorrere tra ozi e divertimenti. Ma il suo spirito inquieto
lo porta a trasgredire le abitudini di famiglia, fino a rendersi colpevole di un delitto: quando infatti sorprende la moglie Maria d’Avalos, anche lei aristocratica, che
lo tradisce, la uccide. Allora questi delitti non erano perseguiti dalla legge. Gesualdo fugge per evitare la vendetta degli Avalos; si rifugia presso la corte ferrarese,
dove sposa Eleonora d’Este.
La musica è per lui, ricco signore, poco più che un passatempo, non certo una
necessità professionale; ma soprattutto è il mezzo con cui dare voce alle inquietudini del suo animo.
TRACCIA 8
7
Luci serene e chiare
Il libro che contiene questo madrigale a cinque voci fu stampato nel 1596. La poesia parla delle sensazioni provate da un innamorato. La luce degli occhi di lei lo brucia, le sue
parole lo feriscono. Eppure da questa doppia sofferenza ricava solo piacere, non dolore!
Ascolta come la voce si agita sulle parole “incendete” e “foco”. E all’opposto come si ripiega sulle parole “sangue” e “langue”. Sono esempi di “madrigalismi”.
Luci serene e chiare 1,
voi m’incendete, voi, ma prova il core
nell’incendio diletto, non dolore 2.
Dolci parole e care,
voi mi ferite, voi, ma prova il petto
non dolor nella piaga, ma diletto 4.
O miracol d’amore!
Alma ch’è tutta foco e tutta sangue,
si strugge e non si duol;
muore e non langue.
Alessandro Striggio
1
SONO LE LUCI DEGLI OCCHI DELL’AMATA.
2
VOI M’INCENDIATE, MA IL MIO CUORE PROVA PIACERE,
NON DOLORE.
4
MA IL MIO PETTO NON PROVA DOLORE NELL’ESSERE
PIAGATO, MA PIACERE.
(Italia, Mantova, 1535-1590)
Trascorre la sua vita alla corte di importanti signorie italiane. A quel tempo la pratica musicale era raccomandata alla classe aristocratica. Lo scrittore Baldassarre Castiglione l’aveva
posta come un aspetto importante dell’educazione dell’uomo di corte, nel suo libro Il cortegiano, pubblicato nel 1528. Castiglione era mantovano, e mantovano è anche il marchese Alessandro Striggio, che opera nella splendida corte dei Gonzaga in qualità di “gran cancelliere”. Lo troviamo anche alla corte fiorentina, dove il granduca lo manda come ambasciatore in Inghilterra. Ma alla storia è passato come musicista, autore di cinque libri di
madrigali e di lavori di carattere scherzoso, appartenenti al genere del madrigale drammatico: Il cicalamento delle donne al bucato e Il gioco di primiera.
186
Parte D
La storia
Il gioco di primiera
TRACCIA 9
7
È una delle creazioni più curiose e originali, nella storia della musica. Una partita di carte: si può metterla in musica? Striggio ci è riuscito brillantemente, adoperando la tecnica
musicale del suo tempo, quella del madrigale e della canzonetta polifònica: i testi sono
cantati da diverse voci simultaneamente, e ogni voce canta una melodia distinta. Perciò
nel Gioco di primiera ogni personaggio “parla” attraverso la voce di ben cinque cantori diversi, tre uomini e due donne. Il che vuol dire che quando sentiamo il piccolo coro di voci non
sono in tanti a parlare: è sempre un solo personaggio, che dialoga con un altro.
1. Al vago e incerto gioco di primiera
chi vuol giocar due scudi per piacere
trovi il denaro e pòngasi 1 a sedere.
Siamo qui in cinque: olà, ragazzo, presto
ci reca qui le carte.
“Eccole qui, signor, polite e belle”.
Mescolatele a un tratto
e poi faccia a chi tocca il primo sette,
col patto che si faccia al perditore
una dolce e solenne trombetta,
una dolce e solenne trombetta.
A QUESTO PUNTO SENTIAMO I GIOCATORI LANCIARE LE CARTE,
COMUNICANDO FRA LORO CON UN GERGO SPECIALE,
PER NOI QUASI INCOMPRENSIBILE.
2. “Facciasi…” – “Or date fuor…” – “…di che caviamo
dei grossi e il grosso stesso il vada. Sia…”
“Passa…” – “Il voglio…” – “Il voglio io…”
“Ed io entro: datemi quattro.” – “Iscarto.”
“Primiera aggio scartato.”
“Mal aggia 2 chi di quella fu inventore!”
“Mi gioco tutto questo.”
“E a me gioca il mio resto.”
“Passate. A monte vada il resto mio.”
Il gioco
delle carte,
particolare
di un affresco
di Giovan
Antonio Fasolo
(1530-1572).
Villa Caldogno,
Caldogno
(Vicenza).
“Il voglio anch’io.”
“Tutti scartiam.” – “Vo a flusso.” – “Ed io a primiera.”
“Cinquanta!” – “Chi ha più punto è vincitore.”
“Voglio far manco. Non farò primiera.”
“Fatela a piacer vostro.”
“Eccola quivi.”
“Ventura che siam vivi.”
“Vo a flusso: che volete che facciamo?”
“Nulla. Tirate suso, farò flusso.”
“Non vel vieto: adagio un poco.”
“Che dite?” – “Non m’avete inteso ancora?”
“Ahi piedi, potran gir. Eccovi flusso.”
“Cancher a flusso e alla primiere insieme.
Ahi, putanazza sorte, ahi ciel traverso,
ahi carte ladre, fate ch’io fo buono!”
“No no, facciasi prima al perditor
del resto la stampita 3.
Facciasi allegramente:
te tipitipi top tipitipi tap tap…” 4
1
PÒNGASI
2
“MAL AGGIA”: CHI PERDE COMINCIA A IMPRECARE.
LA “STAMPITA” (O “ESTAMPIDA”) È UNA DANZA.
QUI I VINCITORI SCHERNISCONO IL POVERO “PERDITORE”.
3
4
=
SI METTA.
Unità 4
Il Rinascimento
Esperienze
Come si viveva nelle corti del Rinascimento? Raccogliamo il numero più grande possibile
di illustrazioni, e scriviamo una piccola didascalia per ciascuna, spiegando il suo significato.
Pratichiamo qualche artificio fiammingo:
• cantiamo il cànone Chi ride? (volume B, Canzoniere, sezione “Per la festa di Carnevale”)
all’inverso, cioè dall’ultima nota alla prima;
• cantiamo il cànone Messer Bastian Contrario (volume B, Canzoniere, sezione “Per la
festa di Carnevale”) con la seconda voce aumentata.
Pratichiamo l’omoritmìa cantando qualcuna delle musiche omoritmiche del Canzoniere:
musiche a due voci ma entrambe con lo stesso ritmo. Per esempio, la seconda parte di Vitti ’na crozza (volume B, Canzoniere, sezione “Le sensazioni e le emozioni”).
PORTFOLIO Inventiamo qualche madrigalismo. Scrivi sul quaderno di musica una successione di note per ognuna di queste parole:
• velocissimamente • il cielo • precipitare • otto ganci
• ottovolante • cavalletta • disperazione • apnèa
188
Parte D
La pianta
a croce greca
della basilica
di San Marco.
La storia
Le composizioni religiose dei compositori veneziani sfruttano la particolare architettura della basilica veneziana, la
pianta a croce greca: due organi si fronteggiano alle estremità del transetto; intorno a ciascuno si collocano altri strumenti e un coro. Abbiamo così due masse sonore che “dialogano” fra loro. In tal modo la polifonìa si fa più grandiosa,
creando effetti di profondità e di spazialità “stereofonica”.
Suoniamo un pezzo con questa tecnica “stereofonica”. Ci
mettiamo in due gruppi che si alternano. Per esempio, con
la canzone Aura Lee (volume B, Canzoniere, sezione “Le sensazioni e le emozioni”), ogni gruppo, disponendosi in parti
diverse dell’aula o di una sala, esegue una semifrase, cioè
una riga di musica.
Eseguiamo anche noi
Josquin Desprès, Il grillo (nell’unità “Il contrappunto”, nella parte B di questo volume).
Anonimo, L’homme armé (volume B, Canzoniere, sezione “Gli eroi, il trionfo, la guerra…”).
ricapitoliamo
Ogni corte si riempie di artisti e musicisti. I paesi europei dove la vita musicale si fa più fiorente sono le Fiandre e la Borgogna.
Le melodie che rivestono i canti si fanno ora più cantabili; l’incontro delle voci più armonioso.
Sia nella musica profana sia in quella sacra domina
una polifonìa ispirata a una grande moderatezza espressiva. Il genere profano più diffuso nel Cinquecento è
il madrigale, spesso su testi dei maggiori poeti italiani del tempo.
Le tecniche del contrappunto si fanno sofisticate. Si
afferma la pratica dell’imitazione fra le voci.
Nei madrigali nasce un uso che continuerà anche nei
secoli successivi: la musica “traduce” certe immagini
suggerite dalle parole. È il madrigalismo.
In Italia prevale il canto omoritmico: ossia di voci che
intonano melodie diverse ma sullo stesso ritmo: in
questo stile si compongono villotte, frottole e canti
carnascialeschi.
Concatenando una serie di madrigali di argomento
scherzoso, alcuni musicisti della fine del secolo allestiscono piccole commedie musicali: i madrigali rappresentativi.
Nelle corti francesi del primo Cinquecento furoreggia
la chanson.
Nelle chiese protestanti i fedeli cantano una musica
semplice: il corale. Nei paesi cattolici invece si raffina
il canto polifònico a cappella. A Venezia si preferisce
il canto accompagnato dagli strumenti. Nascono qui
le prime grandi composizioni solo strumentali, soprattutto per l’organo e per gli strumenti a fiato.
Nel XVI secolo si afferma la figura del musicista di professione.
L’invenzione della stampa musicale permette una grande diffusione della musica.
189
5
Il Seicento
1545-1563
Con il Concilio di
Trento si avvia
la Controriforma
cattolica
La testimonianza
1609
Nel canto, quale poteva essere il modo
più efficace di esprimere le emozioni?
Basta assistere agli spettacoli dei teatranti, nelle piazze. “Quando andate alle
tragedie e commedie, osservate in quale maniera parla l’uno con l’altro quieto
gentiluomo, con quale voce, acuta o grave, con che volume di suono, con quale
velocità. Ascoltate un poco la differenza
che occorre tra tutte quelle cose, quando uno di essi parla con un suo servo,
ovvero un servo con l’altro; quando ciò
accade al Principe discorrendo con un suo suddito; quando al supplicante nel raccomandarsi; come ciò faccia l’infuriato o concitato; come
la donna maritata, come la fanciulla; come chi si lamenta; chi grida; chi
ha paura; chi esulta d’allegrezza. Da tutti questi modi di parlare potrete trovare la regola per esprimere nel canto lo stato d’animo.”
Viene fondata
la Moschea Blu,
la più grande
di Istanbul
Vincenzo Galilei, Dialogo della musica antica e della moderna, 1581
(adattamento)
1556
La corona
di Spagna passa
a Filippo II
1648
Pace di Vestfalia:
fine della Guerra
dei Trent’anni
1687
Newton formula
la teoria della
gravitazione
universale
Spettacolo
teatrale all’aperto
nel Seicento.
Si afferma il canto a voce sola
Nasce il melodramma
Vincenzo Galilei era il padre di Galileo, il grande scienziato. Quello che scrive nel suo Dialogo segnala la grande svolta che la musica intraprende sul finire del Cinquecento.
Il musicista di quel periodo sente il bisogno di
arricchire l’espressione musicale, rendendola
capace delle più diverse emozioni. La polifonìa,
con il suo elaborato intreccio di voci, si prestava poco a esprimere le emozioni individuali. Si torna allora ad apprezzare il modo più
semplice di cantare, praticato da sempre (basta
pensare ai trovatori): il canto a voce sola, il
canto monòdico, o monodìa.
Non si tratta però di un semplice ritorno al passato. Nei secoli si è ormai formata una nuova
sensibilità armonica, favorita proprio dalla
polifonìa: ora la melodia cantata dal solista si
arricchisce con una trama affidata agli strumenti, che accompagnano rafforzando l’emozione espressa dalla voce. Il nuovo canto monòdico ha tanto successo che finisce col far passare in secondo piano la polifonìa.
Il canto monòdico favorisce la nascita si un
nuovo genere musicale: il melodramma. Succede a Firenze, nella casa della famiglia Bardi.
Qui si riuniscono musicisti, poeti e letterati con
uno scopo ambizioso: ridare vita all’arte dell’antico teatro greco. Si sa che in quel teatro il
canto aveva una parte fondamentale. E lo si
può ben capire: se la musica serve a mettere
in risalto lo stato d’animo del personaggio – si
chiedevano – perché invece di farlo parlare non
lo facciamo recitare cantando, con l’accompagnamento degli strumenti? Il primo esperimento ha luogo nel 1597, con la rappresentazione della Dafne del poeta Ottavio Rinuccini,
musica di Jacopo Peri.
Recitar cantando è proprio il termine che verrà
usato per indicare quella pratica. Il successo
dell’esperimento è straordinario, ed è seguito
da numerosi altri, a cui partecipa lo stesso Peri
e gli altri componenti del gruppo, che passa
alla storia col nome di Camerata fiorentina:
fra loro c’è anche Vincenzo Galilei.
Parte D
La storia
Il Seicento è un secolo di grande fervore spirituale, e di grande dinamismo. Prende piede l’assolutismo statale, nasce il sistema capitalistico,
si scoprono la gravitazione universale e il calcolo infinitesimale.
Si vuole trovare una nuova sistemazione a tutto, e si inventano le tecniche per arrivarci. Un’ansiosa inquietudine interiore spinge gli uomini alla
ricerca di verità nuove, di nuove scoperte nella politica e nell’economia,
nelle scienze e nel pensiero, e anche
nella religione.
Le guerre di religione tra cattolici e
protestanti, iniziate nel secolo precedente, continuano anche nel Seicento;
i regnanti alimentano l’odio e l’intolleranza religiosa per poter affermare
l’egemonia della propria nazione sopra
le altre.
I re d’Europa lottano contro la nobiltà
con ogni mezzo, cercando di consolidare il proprio potere e rendere così
più efficiente lo Stato.
Nascono le prime società per azioni,
cioè le grandi compagnie commerciali, e l’Europa diventa il centro di
un sistema economico che ormai
comprende tutto il mondo.
La rivoluzione scientifica aperta da
Galileo e ampliata da Isaac Newton
consegna agli uomini un modo nuovo di guardare la realtà, getta una
nuova luce sulla Terra e l’Universo.
Galileo Galilei, pagina della prima
edizione del Dialogo sopra i due massimi
sistemi del mondo, 1632. In questo libro,
Galileo sostiene la tesi dell’astronomo
Niccolò Copernico, secondo la quale
i pianeti si muovono attorno al Sole.
Nel Seicento, il linguaggio musicale
va incontro a un radicale cambiamento.
Nasce l’armonia tonale, il linguaggio degli accordi: la melodia non è
più pensata autonomamente, nella
sua sola successione temporale; il
compositore pensa ogni nota della
melodia come “ambientata” in un’armonia o in un’altra. Una linea di
sostegno al basso guida in maniera
chiara l’intero svolgersi della trama
sonora: viene chiamata basso continuo.
La melodia stessa si fa più ricca e
varia: mentre nei madrigali del Cinquecento si svolgeva per lo più a piccoli passi, ora si alternano intervalli
piccoli ad ampi salti.
Anche il ritmo si fa più vario, per adeguarsi alle diverse emozioni: durate
lunghe per l’espressione della quiete, durate molto corte per la concitazione.
Nel Cinquecento lo stile delle composizioni è unico, quale che sia la loro
destinazione, sacra o profana. Nel
Seicento gli stili si differenziano.
Nella musica vocale si distinguono:
• Aria
• Recitativo
• Concertato.
Nella musica strumentale del Primo
Seicento si distinguono:
• Preludio, toccata, fantasia, capriccio: pezzi dall’andamento libero dove
ha molto spazio l'improvvisazione.
• Sonata, partita, canzone: si susseguono sezioni musicali differenti.
• Ricercare: brani in cui più facilmente le voci giocano a imitarsi reciprocamente.
191
Unità 5
Il Seicento
Claudio Monteverdi
A trasformare l’esperimento in un genere musicale di alto valore artistico è il genio di un musicista che abbiamo già incontrato come autore
di madrigali: Claudio Monteverdi (1567-1643).
Il “recitar cantando” della Camerata fiorentina
si limitava a intonare le parole su formule fisse, molto simili fra loro. Monteverdi invece
inserisce nel canto una carica espressiva mai
conosciuta prima nella storia della musica.
I palazzi in cui si rappresentano i primi melodrammi non bastano più per accogliere tutte
le persone che vorrebbero assistere. Allora si
decide di costruire teatri appositi, aperti a un
pubblico che paga il biglietto. Il primo con questa destinazione si apre a Venezia nel 1637: il
San Cassiano. È a Venezia, infatti, che opera
allora Claudio Monteverdi.
L’oratorio è un dramma cantato
di argomento sacro
Nel Seicento,
anche la pittura
sposta la sua
attenzione
sugli strumenti
musicali, come
documenta
questo dipinto.
Nella Roma dei papi, la nuova idea di recitare
testi teatrali cantando viene applicata anche ad
argomenti religiosi. La Chiesa romana incoraggia un genere di musica che riprende l’antica tradizione del dramma liturgico medievale. Il primo dramma è composto nell’anno 1600
da un componente della Camerata, Emilio De’
Cavalieri (1550-1602), e si intitola La rappresentazione di anima e di corpo. Più tardi i drammi religiosi saranno eseguiti senza rappresentazione teatrale, con uno “storico” che narra,
cantando, le vicende tra un dialogo e l’altro:
prendono il nome di oratòri.
Gli oratori destinati al popolo sono cantati in
italiano; quelli destinati all’aristocrazia, in latino. Il più illustre autore di oratori è Giacomo
Carissimi (1605-1674). Ne compone circa duecento, tra cui spicca il capolavoro Jephte. Come
nel melodramma di Monteverdi, anche qui i
personaggi esprimono nel canto le loro intense emozioni; pure il coro partecipa, dando voce
alle masse: le moltitudini dei beati o dei dannati, degli angeli o dei dèmoni.
Nasce la musica per soli strumenti
Il musicista si rende conto che anche con gli
strumenti, da soli, può dare voce alle più varie
espressioni. 1 Nel Cinquecento si accontentava di adattare agli strumenti brani del repertorio vocale. Anche su un solo strumento si
possono eseguire canzoni o mottetti polifòni-
192
ci: sul liuto, o l’organo, o il clavicembalo, la
presenza di più corde o canne permette infatti di eseguire più note contemporaneamente.
Trasferire agli strumenti la musica polifònica
vocale vuol dire arricchirla delle possibilità tecniche specifiche di ogni strumento: qui si possono realizzare cose che sono impossibili alle
voci. La trascrizione diventa una sfida alle capacità del compositore che trascrive e dello strumentista che esegue: compare e si sviluppa in
questa età il virtuosismo strumentale.
Così si spiega anche il fatto che il liuto, l’organo, il violino, gli strumenti a fiato e a tastiera
(spinetta, virginale, clavicordo, clavicembalo)
conoscono un’evoluzione tecnica significativa.
In particolare, una straordinaria scuola di liutai (costruttori di strumenti a corda come liuti
e violini) si sviluppa in Italia, a Brescia e a Cremona: fra il Seicento e il Settecento, Gasparo
da Salò, Andrea Amati, Antonio Stradivari e
Giuseppe Guarneri del Gesù costruiscono strumenti ad arco ancora oggi insuperati.
Le nuove scuole strumentali
Nel corso del Seicento si passa a creare musiche concepite proprio per le caratteristiche tecniche di ogni strumento.
Nella seconda metà del secolo lo strumento
che conquista l’importanza maggiore è il violino, grazie anche alla presenza di importanti
compositori, sui quali spicca Arcangelo Corelli (1653-1713). Per molti anni le sue opere resteranno un riferimento per i compositori.
Un altro strumento che viene perfezionato è
l’organo. Tra i compositori per organo emerge
Girolamo Frescobaldi (1583-1643), che opera
presso diverse sedi signorili e specialmente a
Roma, presso gli Aldobrandini.
Parte D
La storia
1 I nuovi generi strumentali
A seconda del numero e della disposizione degli strumenti, si fissano i
generi strumentali più importanti del
Seicento.
• La sonata a tre: due violini sono
accompagnati da uno strumento basso, la viola da gamba; di solito si
aggiunge un clavicembalo, che ripete la linea del basso e inserisce accordi e altri passaggi. Le sonate a tre
sono organizzate secondo due principi diversi, che daranno luogo a svolgimenti diversi nel Settecento: la sonata da camera, un’alternanza di danze, che nel Settecento si trasformerà
nella “suite”; e la sonata da chiesa:
un’alternanza di movimenti lenti e
mossi (adagio e allegro), che si trasformerà nella “sonata classica”.
• Il concerto: con questo nome si
intende un insieme vario di strumenti,
che “concertano”, ossia dialogano,
tra loro. Il tipo più semplice è il con-
certo orchestrale, dove nessuno strumento emerge particolarmente, e tutti eseguono parti relativamente semplici. Infatti le orchestre di allora erano formate per lo più da dilettanti. Ma
accanto a loro cominciano ad apparire strumentisti specializzati, capaci
di eseguire passaggi di bravura. Ecco
Mentre nell’architettura si creano opere ricchissime di ornamenti, a volte
magniloquenti, dove viene esaltata la
potenza del committente, che di solito è un sovrano, nella pittura e nella
scultura prende voce la profonda
inquietudine che agita gli animi degli
uomini del Seicento. I personaggi
sono ritratti in modo da rendere visibili il loro stato d’animo, spesso acceso da intense emozioni; i paesaggi,
gli ambienti interni, le cosiddette nature morte e ogni altro oggetto della
realtà quotidiana diventano degni di
essere osservati, studiati e messi in
luce per essere rappresentati. La luce,
infatti, è protagonista nei dipinti del
Seicento: squarcia per un attimo le
tenebre in cui l’uomo è avvolto e ci
consente di rappresentare la verità.
Ritrovi queste caratteristiche in que-
Caravaggio (1571-1610),
Vocazione di san Matteo.
allora che il musicista assegna al
gruppetto parti più impegnative, che
si contrappongono a quelle dell’orchestra. Il gruppetto prende il nome
di concertino, l’orchestra viene indicata col termine tutti. La composizione nel suo insieme si chiama concerto grosso.
Sonata a tre
due violini e un basso continuo
Sonata da chiesa
alternanza di movimenti
lenti e mossi
Sonata da camera
alternanza di danze
Concerto
Concerto orchestrale
Concerto grosso
alternanza tra i solisti
del concertino e l’orchestra
sto dipinto di uno dei massimi pittori del Primo Seicento, Michelangelo
Merisi detto il Caravaggio.
Unità 5
Il Seicento
Claudio Monteverdi
(Italia, Cremona, 1567-1643)
A Cremona, sua città natale, il talento di Monteverdi si rivela molto presto, tanto che
a soli quindici anni pubblica il primo libro delle sue Canzoncine sacre. Nel 1590 viene chiamato in una delle corti più raffinate, Mantova. Il duca lo assume nella sua
orchestra come suonatore di viola e cantore. Qui pubblica i primi libri di madrigali. Il
suo stile musicale appare così nuovo e audace da sollevare le aspre critiche di un
influente studioso, l’Artusi. Monteverdi risponde a modo suo a quelle critiche: componendo lavori ancora più ricchi di novità.
Venuto a conoscenza degli esperimenti della Camerata fiorentina, decide di cimentarsi anche lui con il melodramma: nasce così il primo grande capolavoro del teatro
musicale moderno, l’Orfeo; seguiranno Arianna, Il ritorno di Ulisse in patria, e L’incoronazione di Poppea. Nel 1613 Monteverdi raggiunge l’ultimo e più prestigioso traguardo: è nominato maestro di cappella presso la Repubblica di Venezia, un posto che
è già stato di musicisti famosi come Willaert, De Rore, Gabrieli. È qui che vengono
rappresentate e pubblicate le sue ultime opere, teatrali, madrigalistiche e sacre. Particolarmente significativo è il settimo libro di madrigali, che contiene Il combattimento di Tancredi e Clorinda, drammatico episodio della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
TRACCE
10 – 11
7
Orfeo: Toccata e scena
Nel melodramma, i personaggi non parlano: intonano le parole su semplici linee melodiche,
sostenute da un accompagnamento elementare: Monteverdi infonde nel “recitar cantando”
un’intensità che rende le più sottili sfumature degli stati d’animo. Orfeo fu rappresentata nel
1607 in una saletta del Palazzo Ducale di Mantova, per pochi e raffinati intenditori. Narra
della ninfa Euridice uccisa dal morso di un serpente, e del suo amante Orfeo che, grazie al
suo canto, ottiene dagli Spiriti Infernali la restituzione dell’amata. A una condizione: che nel
viaggio di ritorno non si volti mai a guardarla. Ma Orfeo si volta e la perde per sempre.
TRACCIA 10
Una piccola orchestra apre la rappresentazione con una toccata: una pagina solenne.
TRACCIA 11
La Messaggera annuncia a Orfeo la morte di Euridice. Ecco il dialogo:
Orfeo: Donde vieni? Ove vai? Ninfa che porti?
Messaggera: A te ne vengo, Orfeo, messaggera infelice
di caso più infelice e più funesto: la tua bella Euridice…
Orfeo: Ohimè, che odo?
Messaggera: …la tua diletta sposa è morta.
Orfeo: Ohimè!
Messaggera: In un fiorito prato con l’altre sue compagne
giva 1 cogliendo fiori per farne una ghirlanda a le sue chiome,
quand’angue 2 insidioso, ch’era fra l’erbe ascoso,
le punse un piè con velenoso dente.
Ed ecco immantinente 3 scolorirsi il bel viso
e nei suoi lumi 4 sparir quei lampi, ond’ella al sol fea scorno 5.
Allor noi tutte sbigottite e meste le fummo intorno,
194
richiamar tentando gli spirti in lei smarriti
con l’onda fresca e con possenti carmi.
Ma nulla valse, ahi lassa,
ch’ella i languidi lumi alquanto aprendo,
a te chiamando, Orfeo,
dopo un grave sospiro, spirò fra queste braccia;
ed io rimasi piena il cor di pietade e di spavento.
Pastore: Ahi, caso acerbo! Ahi, fato empio e crudele!
Ahi, stelle ingiuriose! Ahi, cielo avaro!
1
GIVA
3
IMMANTINENTE
5
OND’ELLA AL SOL FEA SCORNO
=
ANDAVA;
2
=
ANGUE
SUBITO;
=
4
SERPENTE;
LUMI
=
=
OCCHI;
CON I QUALI LEI UMILIAVA IL SOLE.
Parte D
Girolamo Frescobaldi
La storia
(Italia, Ferrara, 1583-1643)
Dalla nativa Ferrara, dove ha imparato a comporre e a suonare diversi strumenti, si
trasferisce a Roma, chiamato al posto di organista in Santa Maria in Trastevere. Nel
Seicento continua la tradizione secondo cui il musicista è alle dipendenze di un signore e lo accompagna in tutti i suoi viaggi. Così Frescobaldi segue nelle Fiandre il cardinale Bentivoglio, che l’ha preso sotto la sua protezione. Qui ha modo di apprezzare la celebre scuola musicale, ma anche di farsi apprezzare come compositore e organista. La sua fama ingigantisce, e il cardinale Aldobrandini lo chiama a occupare un
posto molto ambito, quello di organista alla Cappella Giulia, dove il musicista resterà
tutta la vita, tranne una lunga parentesi presso il granduca di Toscana. Da tutta Europa accorrono a sentirlo suonare. La sua tecnica virtuosistica è sbalorditiva; le sue musiche affascinano ancora oggi per la vivacità e la creatività con cui sono costruite. I principali generi strumentali sono presenti nei suoi numerosi libri stampati: toccate, capricci, ricercari, canzoni, danze. La sua raccolta più ricca si intitola Fiori musicali.
TRACCE
12 – 13
7
Capriccio sopra la battaglia
Frescobaldi rievoca qui una scena di battaglia, affidandola a un clavicembalo. Come può
uno strumento dotato di sonorità piuttosto esile, di colori omogenei, suggerire il fragoroso
paesaggio sonoro di un campo di battaglia? Quello che non bisogna cercare in questa musica è il realismo sonoro di tante musiche moderne ispirate alla guerra.
Frescobaldi ha un modo tutto suo di suggerire il clima militare, attraverso una serie di espedienti, che dominano la costruzione del pezzo dall’inizio alla fine.
TRACCIA 12
Le note usate nei segnali militari, per esempio, proprio all’inizio:
TRACCIA 13
Certe figure ritmiche derivate dai segnali dei tamburini, come queste:
L’estrema brevità delle sezioni, che svariano rapidamente in un caleidoscopio di frammenti sonori.
Un
clavicembalo
costruito
a Roma
nel 1658 da
Giovanni Zenti.
Il musicista del Primo Seicento sentiva, di una
battaglia, soprattutto la tumultuosa varietà delle
situazioni.
E qui le situazioni, le sezioni musicali, sono
ben quattordici, a volte brevissime, ciascuna
ripetuta. Sentiamo tremoli che imitano i rumori,
rimbalzi in imitazione tra la mano destra e la sinistra, e un paio di spunti di vere e proprie “arie”, ispirate a quelle che si usavano per accompagnare le
marce dei soldati.
195
Unità 5
Il Seicento
Giacomo Carissimi
(Italia, Marino, 1605-1674)
Nel 1629, quando Giacomo Carissimi viene assunto come maestro di cappella nel Collegio
Germanico, Roma è il luogo ideale per un musicista. Urbano VIII, da poco diventato papa,
tiene la musica in grande considerazione e, disponendo di notevoli risorse finanziarie, incoraggia ogni manifestazione artistica che possa portare lustro alla città. Giacomo ha ventiquattro anni, è pressoché sconosciuto, e ha lavorato come musicista nella basilica di Assisi. Ma ben presto si fa apprezzare e ammirare. La cappella del Collegio (ossia il gruppo dei
musici) comprende, oltre ad alcuni strumentisti, dieci cantori stabili, più altri che vengono
invitati secondo le circostanze. Per loro Carissimi compone una quantità di musiche di argomento religioso, fra cui numerosi oratori.
La fama delle sue creazioni si diffonde presto in Roma, e così il musicista si trova spesso a
condurre la sua “cappella” presso altri istituti religiosi. I dirigenti del Collegio sono però
gelosi delle sue composizioni, tutte scritte a mano: le custodiscono nei loro archivi e non
permettono ad altri di vederle né tantomeno di stamparle.
Nel secolo successivo la collezione andrà dispersa, e i musicologi faticano ancora oggi a
ritrovare i manoscritti, e a capire se una data composizione sia di Carissimi o di qualche
altro compositore.
TRACCE
14 – 18
7
Il Giudizio Universale
In questo oratorio Carissimi riprende alcuni passi del Vecchio e Nuovo Testamento e ne fa
un dialogo tra Cristo, gli angeli e le anime dei beati e dei dannati: accolti i primi nel suo
regno, spinti i secondi nel fuoco eterno.
In queste pagine si alternano voci di solisti – come quella di Cristo, affidata a un basso – e
il coro. Questa alternanza, e lo stesso stile di canto, sono del tutto simili a quelli che si usavano nei melodrammi: te ne rendi conto se confronti questa pagina con quella di Monteverdi. Il testo è in latino.
TRACCIA 14
All’inizio le trombe danno il segnale: il tribunale supremo sta per aprirsi.
TRACCIA 15
Sentiamo Cristo convocare gli angeli:
Ite, ite, angeli mei,
cum tuba et voce magna,
et congregate electos meos a quatuor ventis,
a summis coelorum
usque ad terminos eorum.
Andate, andate, angeli miei,
con la tromba e a gran voce,
e riunite i miei eletti dai quattro venti,
dalle sommità dei cieli
fino ai loro confini.
Carissimi usa vari madrigalismi
196
su voce magna (“gran voce”)
il suono si fa potente
su quatuor ventis (“quattro venti”)
la voce oscilla a suggerire il moto del vento
su coelorum (“i cieli”)
sale verso l’alto
su eorum (“i loro” confini)
si effonde a suggerire la varietà dei confini
Parte D
TRACCIA 16
Il coro evoca il terribile giorno:
Tunc, horribili sonitu tubae clangentes
vocabunt gentes,
et a sepulcris excitabunt angeli.
Vocis fragore, tubae clangore
mugiet terra, resonabunt aethera.
Michelangelo,
Giudizio
universale,
1536-1541,
particolare.
TRACCIA 17
La storia
Allora, con suono tremendo le trombe squillanti
chiameranno le genti,
e dai sepolcri le faranno uscire gli angeli.
Per il fragore della voce, per lo squillo della tromba
rimbomberà la terra, risuoneranno gli spazi.
Carissimi usa tutte le voci e gli strumenti a disposizione per disegnare il suo possente affresco sonoro,
fatto di motivi che rimbalzano in eco da una voce
all’altra. Sottolinea le parole su cui le voci si effondono in lunghi vocalizzi.
Ora sentiamo il richiamo degli angeli. È un duetto
tra due voci femminili:
Surgite, mortui: venite ad judicium!
Sorgete, morti: venite al giudizio!
Com’è il canto? Scegli due aggettivi tra questi:
sicuro
tranquillo
fremente
agitato
risoluto
solenne
spento
Siamo ora al momento tanto atteso e temuto.
Ecco il coro:
Quam magna, quam amara, quam terribilis
erit dies novissima,
cum advenerit Dominus ad iudicandum nos.
Sol obscurabitur, luna obtenebrabitur,
totus stellifer coeli inflammabitur,
de coelo cadent siderea.
Arescent fontes, arescent fulmina, arescent aequora,
coeli concident, mundi machina corruet.
Quanto grande, quanto amaro, quanto terribile
sarà l’ultimo giorno,
quando il Signore verrà a giudicarci.
Si oscurerà il sole, si ottenebrerà la luna,
tutto il firmamento si infiammerà,
dal cielo cadranno le stelle.
Inaridiranno le fonti, i fiumi, i mari,
i cieli precipiteranno, crollerà l’edificio del mondo.
Il cuore aspetta trepidante il momento del giudizio: “grande e amaro”. E su terribilis come
diventa il canto?
• Cupo e tenebroso
• Mesto e sottovoce
• Squillante e agitato
TRACCIA 18
Ultima scena. Come l’ha costruita Carissimi?
• Con un unico crescendo del coro
• In eco continua fra solista e coro
• In un’alternanza dei solisti
197
Unità 5
Il Seicento
Arcangelo Corelli
(Italia, Fusignano, 1653-1713)
Corelli è stato compositore e violinista tra i più grandi del suo tempo. Studia a Bologna, ma trascorre la maggior parte della sua esistenza a Roma, dove ha come mecenati e protettori due cardinali, Benedetto Pamphili e Pietro Ottoboni. Queste importanti amicizie, oltre a quella della regina Cristina di Svezia, gli permettono di vivere senza grandi preoccupazioni materiali, dedicandosi unicamente alla composizione e alla direzione della sua orchestra, che comprende, accanto agli archi, una
varietà di strumenti a fiato.
Il suo stile musicale ha un profondo influsso sui musicisti del Primo Settecento. Il
suo catalogo comprende soprattutto sonate a tre e concerti grossi. Tra questi è particolarmente importante l’Opera VI. Quando viene pubblicata, Corelli è appena
scomparso e i suoi amici hanno voluto raccogliere qui il meglio della sua straordinaria vena creativa. Dei 12 concerti di questo libro, alcuni seguono la forma della
“sonata da camera” (una successione di danze), altri della “sonata da chiesa”.
TRACCE
19 – 23
7
Opera VI: Concerto no 7
Il Concerto no 7 segue la forma della “sonata da chiesa”: è una successione di movimenti
mossi e lenti. Dei sette di cui è costituito questo concerto, ne ascoltiamo cinque.
Vivace
TRACCIA 19
L’avvio è solenne, come si addice all’apertura di una cerimonia importante. Corelli tiene
desta la nostra attenzione anche con un artificio particolare: il gioco d’eco, ottenuto alternando accordi eseguiti forte e altri piano.
Allegro
TRACCIA 20
A mettere in moto il discorso è il concertino, affidato alle trombe: a cosa fa pensare?
• Conflitto
• Serenata
• Fanfara militare
Il gioco delle trombe si alterna all’intenso scambio con l’orchestra intera (il tutti).
Adagio
TRACCIA 21
Un’aria di mistero circonda l’inizio: qui il protagonista sembra essere non il suono, ma il
silenzio:
Allegro
TRACCIA 22
Le voci entrano a una a una: secondo quale di questi princìpi?
• Imitazione
• Ripetizione
• Capriccio alla maniera di Frescobaldi
Vivace
TRACCIA 23
198
Corelli chiude il concerto con un movimento che fa pensare piuttosto a una danza, com’è
tipico della sonata da camera. Com’è condotto questo movimento?
• Solo dal “concertino”
• Sempre dal “tutti”
• Nell’alternanza costante di “concertino e tutti”
Parte D
La storia
Esperienze
Nel concerto grosso l’orchestra intera e il concertino si alternano. Utilizziamo questa procedura nelle nostre esecuzioni. Per esempio, nella canzone La marimorena possiamo:
• eseguire tutti insieme le prime 8 battute;
• affidare a due esecutori soli il ritornello;
e continuare così con le altre strofe.
Trovi la canzone nel volume B, Canzoniere, sezione “Il Natale”.
Cerchiamo immagini in cui si vedano gli strumenti musicali usati nel Rinascimento. Scopriamo che strumenti sono, come si chiamano e come si suonano. Possiamo per esempio
cominciare da questo dipinto di anonimo intitolato Concerto delle monache. Questa è una formazione di archi: due violini,
una viola (quella del quarto personaggio da sinistra), due viole da gamba
e il clavicembalo appoggiato sul tavolo.
Eseguiamo anche noi
Anonimo olandese, Contraddanza (volume B, Musiche da suonare, sezione “Suite barocca”).
ricapitoliamo
Il canto a una voce si presta a esprimere le emozioni
individuali, nel nuovo genere della monodìa accompagnata dalle armonie, e basata sul basso continuo.
Nasce a Firenze il melodramma. I suoi ideatori prendono il nome di Camerata fiorentina. Claudio Monteverdi trasforma l’esperimento dei fiorentini in un genere di alto valore artistico.
Si fissano i principali generi strumentali, la sonata a
tre, da camera e da chiesa; il concerto orchestrale; e il
concerto grosso, nel quale si alternano l’orchestra intera e un gruppo di virtuosi, detto concertino.
Si aprono in questo periodo i primi teatri pubblici per
la rappresentazione dei melodrammi.
Un importante repertorio strumentale di questa epoca è quello scritto per l’organo. I principali generi strumentali sono: ricercare, basato sulle imitazioni; preludio, toccata, fantasia, capriccio, più liberi; sonata, partita, canzone, in cui si susseguono sezioni musicali differenti.
Nello stesso stile dei melodrammi si diffondono drammi cantati di argomento religioso: gli oratòri.
Il linguaggio musicale del Seicento vede l’affermazione definitiva dell’armonia tonale.
199
6
Il Primo Settecento
1661-1715
Luigi XIV, il Re
Sole, monarca
assoluto
in Francia
1662-1699
Gli Ottomani
assediano
Vienna
1701-1714
Guerra di
successione
spagnola
1721
Pietro il Grande
è proclamato
“zar di tutte
le Russie”
La testimonianza
Uno straniero, quando giunge in una città grande e famosa come Napoli, per prima cosa, in
genere, si reca agli spettacoli pubblici. Questi
si offrono nel Teatro Reale, dove si rappresenta
un’opera seria, e in due teatri più piccoli, il
Teatro Nuovo e il Teatro dei Fiorentini, dove si
eseguono solo opere buffe. Esiste anche un
teatrino malconcio, dove ogni sera si rappresenta una commedia; ma il teatro di prosa
riceve un così scarso apprezzamento a Napoli, che agli spettacoli a volte si presenta ben
poca gente.
A prima vista il Teatro Reale è quanto di meglio
possa ammirare un viaggiatore: la straordinaria profondità del palcoscenico, con la prodigiosa circonferenza dei palchi, e l’altezza del
soffitto producono un effetto meraviglioso alla vista; anche se lo spettatore lamenta il fatto che una tale struttura non gratifica l’orecchio: le
voci infatti si perdono in tanta immensità, e anche l’orchestra, pur essendo numerosa, non riesce a farsi ascoltare bene.
L’usanza napoletana è che raramente ci s’invita a casa propria per il
pranzo o per la cena: lo si fa all’opera. E raramente dunque si manca
di andare a teatro, anche se a sentire la stessa opera, eseguita per tre
sere consecutive, senza cambiamenti, per dieci o dodici settimane!
I signori hanno l’abitudine di gironzolare da un palco all’altro, anche
durante la rappresentazione; invece le signore, una volta sedute, non
lasciano mai la loro poltroncina per l’intera serata. Si usa fissare appuntamenti per una data sera. Nell’intervallo fra un atto e l’altro, il proprietario del palco offre agli ospiti della sua dama frutti freschi e dolci.
Samuel Sharp, Lettere dall’Italia, 1767
Il teatro musicale,
attrazione del secolo
1740-1748
Guerra di
successione
austriaca
Dramma
musicale in un
teatro italiano
del XVIII secolo.
Il viaggiatore inglese del Settecento racconta
cose che si ripetevano in tutta Italia.
Nei primi anni del XVIII secolo, l’opera lirica
era nel nostro paese la grande attrazione: lo
spettacolo prediletto, a cui le famiglie ricche si
recavano tutte le sere, per guardare e ascoltare, ma anche per conversare, scambiarsi visite, gustare prelibatezze.
Un po’ come oggi avviene nei locali dove si fa
musica dal vivo.
E dopo decine di ascolti, ogni spettatore, anche
il più distratto e chiacchierone, finiva per imparare a memoria le arie dell’opera.
C’è tanto da ammirare, in uno spettacolo lirico. L’opera infatti è un prodotto collettivo,
esattamente come il cinema: al suo successo
contribuiscono non soltanto cantanti e strumentisti, ma anche scenografi (che preparano
le scene), costumisti (per i costumi), macchinisti. Le loro creazioni colorate e fantasiose
possono rendere gli spettacoli ancora più affascinanti.
Parte D
Fino al XVII secolo la società è dominata da poche corti, ricche e potenti. Nel Settecento acquista potere la
borghesia, il ceto medio dei commercianti, dei banchieri, dei possidenti terrieri che vivono e operano
nelle città: così le città si estendono,
si popolano e diventano i veri centri
del potere economico e culturale, in
sostituzione delle corti.
La musica colta, che fino al Seicento è stata un’arte riservata a pochi,
nel XVIII secolo diventa accessibile
Passeggiata in carrozza per le vie
di Roma in un dipinto del XVIII secolo.
Il linguaggio musicale si rinnova. Mentre una musica del Seicento era formata di frasi piuttosto brevi, di spunti diversi l’uno dall’altro, nel Settecento le composizioni sono formate
da movimenti più lunghi, basati su
pochi motivi (che oggi vengono chiamati soggetti), o addirittura su un
motivo soltanto. Il compositore li tratta con fantasia, facendo largo uso del
contrappunto, cioè la sovrapposizione di melodie diverse (vedi l’unità “Il
contrappunto”, pag. 102).
Una tecnica particolarmente sfruttata è l’imitazione: si ha quando una
voce espone il soggetto, o un suo
frammento, e poco dopo un’altra voce
lo riprende; così si continua anche
con altri frammenti (vedi pag. 102).
L’imitazione è alla base di un genere
musicale che ha avuto una grande
importanza storica: la fuga (vedi l’unità “La fuga”, pag. 106).
Da allora, la fuga è il banco di prova
di qualsiasi compositore. Ancora oggi,
per arrivare al diploma di composi-
La storia
al pubblico sempre più vasto delle
città. A questo punto, i compositori
non devono più fare i conti soltanto
con i capricci di un sovrano e della
sua corte, ma devono tenere in considerazione i gusti di persone appartenenti ai più diversi livelli sociali ed
economici, accomunati dall’amore
per la musica.
zione in un conservatorio, lo studente deve mostrare di saper comporre
una fuga.
Nei concerti del tempo di Corelli, i
pochi esecutori esperti si alternavano all’orchestra dei dilettanti: era il
concerto grosso. Nel Settecento si
impongono esecutori professionisti
particolarmente abili, che amano esibirsi da soli. Così fiorisce il concerto
solistico, dove il dialogo non è più tra
concertino e tutti, ma tra solista e
orchestra. Non soltanto il violino ma
anche gli altri strumenti, il flauto, l’oboe, il fagotto, e così via, sono i protagonisti dei concerti.
La struttura del concerto comprende, in molti casi, due movimenti allegri, e in mezzo un movimento lento.
Non sono rari i concerti in quattro
movimenti: anche in questo caso, a
un movimento lento se ne alterna uno
più rapido.
Un altro genere musicale particolarmente amato nella prima metà del
Settecento è la suite, una successione di pezzi di danza, ognuno con
il suo ritmo e il suo andamento.
Paul Joseph Delcloche,
Concerto a Lüttich, 1755.
201
Unità 6
Il Primo Settecento
L’opera diventa popolare
Rappresentazione
di un intermezzo
in un dipinto
della Scuola del
pittore veneziano
Pietro Longhi
(1702-1785).
Come oggi, anche nel Settecento si ammira il
grande cantante, idolatrato come un “divo” della voce. A farlo conoscere e ad amministrare
la sua attività, ci pensa un personaggio nuovo,
l’impresario, una specie di manager dei cantanti; poi lo sarà anche dei compositori e degli
esecutori. Gli amministratori cittadini sovvenzionano con il denaro pubblico le associazioni musicali. Si comincia a pensare che le manifestazioni della cultura non devono essere
lasciate solo ai ricchi, ma anche a chi dispone
di mezzi meno consistenti. L’opera diventa allora lo spettacolo più popolare in Europa.
La più importante scuola operistica ha come
fulcro la città di Napoli. Il grande maestro che
dà inizio a questa scuola è Alessandro Scarlatti (1660-1725). Gli argomenti che interessano in modo speciale sono le storie dell’antichità classica, con i loro eroi e i loro miti; a
questi si intitolano le opere di Scarlatti e degli
altri compositori: Mitridate, La caduta dei Tarquini, Telemaco, Marco Attilio Regolo.
L’opera buffa
Fra un atto e l’altro di tali opere serie (così
vengono chiamate), si prende l’abitudine di
inserire un breve melodramma 1 di argomento comico, un intermezzo. Presto gli intermezzi vengono rappresentati per conto loro,
in teatri minori e rivolti di preferenza a un pubblico popolare: sono le opere buffe. I mezzi a
disposizione dell’opera buffa sono scarsi: pochi
Nella
bellissima sala
del Teatro Regio
di Torino si sta
rappresentando
un’opera seria,
Secondo una
rigida tradizione,
questo teatro
permetterà la
rappresentazione
di opere buffe
soltanto a partire
dal 1855.
.
202
strumenti, cantanti senza pretese divistiche,
teatri minuscoli. Le trame riguardano la semplice vita quotidiana: spesso raccontano la storia di un amore ostacolato da qualche vecchio
impiccione, con un allegro lieto fine.
Per mettere in musica queste semplici storie, i
compositori adottano un nuovo linguaggio
musicale, più spontaneo e immediato. È Giovan Battista Pergolesi (1710-1736), con l’opera La serva padrona, il geniale iniziatore di questo genere, che nella seconda metà del secolo
ha importanti continuatori: Giovanni Paisiello (1740-1816), che ottiene un successo strepitoso con La Molinara e Il barbiere di Siviglia,
tanto che la fama di quest’opera sarà eclissata solo dal capolavoro di Rossini con lo stesso
titolo; e Domenico Cimarosa (1749-1801), autore di un altro capolavoro amato ancora oggi, Il
matrimonio segreto.
Dove si formano i musicisti?
Le nuove opere liriche richiedono cantanti e
suonatori sempre più abili e preparati. Dove si
studiava musica nel Settecento? È dalla fine del
XVI secolo che esistono in Italia – a Napoli,
Venezia, Palermo e altrove – orfanotrofi dove
sacerdoti o frati curano i bambini abbandonati. Insegnano loro un mestiere. E siccome servono suonatori e cantori per le funzioni in chiesa o per le cerimonie pubbliche, uno dei mestieri che i bambini imparano in questi ambienti
è cantare, suonare e comporre musica.
Nel Settecento, queste istituzioni cominciano
a ospitare anche giovani di famiglie paganti, e
vengono chiamate conservatori. 2 Sono proprio gli antenati dei conservatori di musica esistenti oggi: da piccole scuole senza pretese
diventano istituti importanti, che esigono un
notevole impegno dai loro alunni. È in questi
istituti che si formano molti fra i principali compositori italiani del tempo.
Parte D
1
La storia
Come si crea un melodramma
Il musicista usa un testo letterario, il
libretto, preparato da un poeta, il
librettista. Nel Settecento, spesso il
libretto è confezionato alla bell’e meglio, perché si sa che tanto il pubblico presta attenzione più alla musica
che alle parole. A volte però il librettista è un poeta di talento. Il caso più
illustre è offerto da Pietro Metastasio (1698-1782), un poeta ricercatissimo: sono decine i musicisti che
si servirono dei suoi testi.
Gli argomenti prediletti del tempo
sono le vicende dei grandi eroi, che
vengono prese indifferentemente dalla storia, dalla mitologia, dalla Bibbia;
in queste vicende le trame amorose
e le situazioni patetiche occupano
una parte fondamentale.
Il librettista prepara due tipi di testo:
• i dialoghi, che scandiscono le azioni; il musicista li fa cantare con intonazioni fisse, standard, accompagnate
il più delle volte solo dal clavicembalo; si chiamano “recitativi secchi”;
• i momenti lirici, in cui il personaggio fa conoscere al pubblico l’emozione che lo attraversa in quel momento.
Ai momenti lirici il musicista dedica
tutta la sua creatività: inventa sulle
parole una bella melodia, con un ricco accompagnamento dell’orchestra;
queste parti si chiamano arie. Il tipo
di aria che nel Settecento va per la
maggiore è fatta così: a una sezione
a segue una sezione diversa (b), quindi si riprende la prima (a); ha cioè una
forma tripartita (a-b-a), e prende il
nome di aria col da capo (vedi l’unità
“Le forme a contrasto”, pag. 76).
La tradizione voleva che il cantante,
al momento di riprendere a, inserisse una serie di vocalizzi e altri passaggi di bravura. I cantanti facilmente esageravano nelle improvvisazioni, sollevando le proteste dei musicisti e degli ascoltatori più sensibili.
Un’altra abitudine era quella di inserire in un’opera arie tolte da altre opere. Questi eccessi erano oggetto di
satire, la più celebre delle quali si intitola Il teatro alla moda, scritta da
Benedetto Marcello.
In alto, il poeta Pietro Metastasio
(1698-1782). A destra, il compositore
Benedetto Marcello (1686-1739).
2 Una mattina in Conservatorio
Non tutti gli studenti dei conservatori diventavano esecutori virtuosi. Allora le scuole non erano certo quelle di
oggi. Leggi questa testimonianza.
Mi sono recato stamani col mio giovane amico Oliver al Conservatorio di
Sant’Onofrio e ho visitato tutte le
camere occupate da quei ragazzi, ove
dormono e ove mangiano.
Al primo piano era uno studioso di
clarino che si spolmonava, fino a esaurirsi, su quell’istromento; al secondo
mi sono imbattuto in un suonatore di
tromba che muggiva senza posa; nel-
la grande stanza comune sono capitato tra un concerto “all’olandese”:
sette o otto clavicembali, più di altrettanti violini e molte e diverse voci! Tutti suonavano svariati pezzi di musica,
su diversi toni, mentre altri allievi s’occupavano a scrivere.
Era giorno di festa, e parecchi dei
figlioli mancavano. Figurarsi se fossero stati lì anche costoro a esercitarsi in quel camerone a quello stesso modo! Potrà ben darsi che la confusione di tutti questi suoni riuniti non
nuoccia, che anzi possa servire a fissare più forte l’attenzione degli allie-
vi alle loro lezioni, senza distrarneli,
che possa pur dare ad essi l’abitudine di poter soltanto udire se stessi e
rafforzare la loro esecuzione: sì, non
lo nego. Ma bisogna pur ammettere
che tra una simile cacofonia, tra tanta continua dissonanza riesca ben
difficile serbare la finitezza, la perfezione del proprio suono.
Credo che da questo derivino quel
modo grossolano, quella rozza esecuzione che è lamentata nei pubblici concerti.
Emanuele Barbella, 1770
203
Unità 6
Il Primo Settecento
I fans del melodramma
Concerto vocale
e strumentale
in un dipinto
del 1771.
Intorno all’opera si agitano passioni. Quando
La serva padrona di Pergolesi viene rappresentata a Parigi, a metà del Settecento, esplode una polemica tra i sostenitori di questo nuovo genere brillante, importato dall’Italia, e gli
appassionati dell’opera francese, che era stata
avviata da Jean-Baptiste Lully (1632-1687).
La tradizione francese è continuata da JeanPhilippe Rameau (1683-1764). Anche le sue
opere si ispirano a temi dell’antichità classica:
Ippolito e Aricia, Castore e Polluce. Ma si diffonde il gusto per le storie esotiche. Infatti si fanno più intensi gli scambi tra i paesi occidentali e l’Oriente e una delle opere più famose di
Rameau si intitola Le Indie galanti.
Vent’anni dopo, sempre a Parigi, esplode una
seconda polemica tra i sostenitori del compositore italiano Niccolò Piccinni (1728-1800) e
quelli di Christoph Willibald Gluck (17141787), un musicista tedesco che, dopo aver
operato in Italia, si è trasferito in Francia e da
qui propone una riforma profonda del melodramma. In questa riforma è assistito dal poeta Ranieri De Calzabigi, che gli prepara il libretto di Orfeo ed Euridice e di altri capolavori.
La musica strumentale
Insieme al melodramma, anche la musica strumentale conosce una straordinaria fioritura. 3
Lo strumento più importante è il violino. I più
noti virtuosi italiani hanno risonanza internazionale. Molti, come Francesco Geminiani
(1687-1762) e Antonio Locatelli (1695-1764),
sono contesi dalle principali corti europee, ed
effettuano tournée da un capo all’altro del con-
204
tinente, diffondendo la cultura musicale italiana: tanto che da allora in tutte le lingue sono
entrate molte parole italiane riferite alla musica. A Venezia si afferma un’importante scuola violinistica, che ha il suo massimo rappresentante in Antonio Vivaldi (1678-1741). Vivaldi opera come maestro nella scuola veneziana
che prepara le giovani orfane all’attività musicale: l’Ospedale della Pietà.
Si afferma il clavicembalo
Uno strumento che suscita un crescente favore come solista è il clavicembalo. L’arte clavicembalistica è sviluppata soprattutto da Domenico Scarlatti (1685-1757), che continua la tradizione dell’opera napoletana avviata dal padre
Alessandro. Ma la sua fama è legata soprattutto alle sonate per clavicembalo, ben 555, che
testimoniano una capacità tecnica eccezionale
e sono lo specchio di una personalità dalla fantasia estrosa e inesauribile. Scarlatti lavora molto in Spagna. Un altro straordinario clavicembalista lo troviamo in Francia: è François Couperin (1668-1733), detto “il Grande”.
I due astri del Nord e lo stile galante
Il compositore che porta a risultati trionfali l’antico stile a imitazioni è Johann Sebastian Bach
(1685-1750). Le sue grandiose fughe per organo o quelle del Clavicembalo ben temperato sono
capolavori di tecnica polifonica strumentale; i
concerti orchestrali e le sonate per strumento
solista e clavicembalo sono esempi a cui attingeranno molti musicisti del secolo successivo.
L’altra figura tedesca che domina la prima metà
del Settecento è quella di Georg Friedrich Händel (1685-1759). Rispetto a quella di Bach, la
musica di Händel appare più “mondana”, proprio come più mondana è stata la sua vita. Ammirato in tutta Europa, ebbe in vita quegli onori che non ebbe invece Bach, la cui fama, presso i contemporanei, fu più quella di un virtuoso organista che di un compositore. Altra differenza fra i due è che Bach non compose mai
per il teatro, mentre Händel ha lasciato una
quantità di melodrammi italiani. Tutti e due
hanno composto una ricca collana di opere
sacre: oratòri e cantate. Lo stile “mondano” è
ancora più evidente nella musica di un altro
tedesco, Georg Philipp Telemann (1681-1767).
Incomincia ad affermarsi con lui uno stile meno
severo, che prende il nome di stile galante.
Parte D
La storia
3 Un insolito strumento: il glo-glo
Carlo Goldoni, il grande commediografo italiano, ci racconta questa curiosa esperienza che gli capitò in casa
di un conte, a Gorizia.
La cosa che mi spiaceva un poco erano i brindisi che continuamente bisognava fare. Il giorno di San Carlo si
cominciò con Sua Maestà Imperiale,
a ogni convitato presentarono un recipiente affatto strano: era una mac-
china di vetro composta di varie sfere che andavan diminuendo ed erano separate da piccoli tubi; finiva con
un lungo becco che si pigliava comodamente in bocca e dal quale usciva il liquido; si riempiva il fondo di
quella macchina, detta glo-glo, poi,
accostando il becco alla bocca e
alzando il gomito, il vino che passava per i tubi e le sfere rendeva un
suono armonioso; tutti i convitati beve-
vano a un tempo, e così si formava
un concerto del tutto nuovo e piacevolissimo. Ignoro se queste usanze
durino ancora in quei paesi; tutto
cambia, e tutto potrebbe essere cambiato anche colà, ma se vi sono ancora uomini all’antica, come sono io,
saranno forse assai contenti che io
gliene rinfreschi il ricordo.
Carlo Goldoni, Memorie, 1787
Una speciale caratteristica della musica del Primo Settecento è la magnificenza e la densità del suo contrappunto: melodie diverse si intrecciano, affidate in simultanea alle varie
voci. E l’effetto è di una sorpresa continua. Anche l’arte è dominata dalla
stessa magnificenza, come possiamo vedere in questa immagine che
presenta il capolavoro di uno dei massimi architetti tedeschi.
Una quantità di elementi diversi si
intreccia in un grande ordine a dare
un senso di splendente benessere:
le colonne che sorreggono le rampe
di scale, disposte simmetricamente
e convergenti verso la balaustra sormontata dallo stemma della principesca famiglia; e poi gli archi, le lesene, le statue, i vasi, i cornicioni, gli
affreschi del soffitto…
E anche qui la composizione è sorprendente, e crea un gioco di elementi che si rincorrono, come i soggetti di una fuga musicale.
Nel 1719 l’architetto tedesco
Johann Balthasar Neumann fu nominato
sovrintendente alle costruzioni della corte
di Würzburg, in Germania. Qui progettò
la residenza vescovile nella quale si trova
questo scalone.
.
205
Unità 6
Il Primo Settecento
Antonio Vivaldi
(Italia, Venezia, 1678-1741)
Nella prima metà del Settecento, a Venezia, dove Vivaldi trascorre la sua esistenza, la
vita musicale è molto intensa. Ordinato sacerdote, e chiamato “il prete rosso” per il colore dei capelli, diventa insegnante di violino nel Conservatorio della Pietà. Qui rimane
sino a un anno prima della morte, avvenuta a Vienna in condizioni di assoluta povertà.
I conservatòri di Venezia hanno gli stessi compiti educativi e assistenziali di quelli
napoletani. Quello della Pietà è un istituto esclusivamente femminile: le orfanelle vengono istruite nel canto e nella pratica strumentale. Ogni domenica fanno sfoggio della loro abilità di musiciste, per la quale sono famose. Per loro Vivaldi scrive una quantità di concerti e di musica sacra.
Ma la sua fama è tale che anche ricchi personaggi europei gli commissionano musiche. Johann Sebastian Bach ammirava profondamente il compositore veneziano, fino
al punto di scegliere sei dei suoi concerti, e di rielaborarli a modo suo.
Circa 450 sono i concerti di Vivaldi arrivati fino a noi, tra i quali sono famosi quelli
denominati Le stagioni e i dodici dell’Estro armonico. Per le solennità cittadine compose
anche numerose opere teatrali, tra cui una ispirata alla storia di Orlando.
TRACCE
24 – 30
7
Concerto del cardellino
Il canto degli uccellini ha sempre interessato molto i musicisti. Protagonista di questa musica è il cardellino. Vivaldi traduce il suo canto con i suoni del flauto, mentre un’orchestra
d’archi (violini, viole, violoncelli e contrabbassi) lo accompagna dialogando con lui.
Allegro
TRACCIA 24
L’inizio è come una presentazione; il flauto sembra dire: “Eccomi qui!”, mentre l’orchestra
scandisce un tema vigoroso:
Sentiamo trilli e gorgheggi. Ma Vivaldi non si limita certo a “copiare” sul flauto il canto dell’uccellino: lo usa per costruire un ampio pezzo di musica, secondo lo stile del suo tempo.
Il flauto dà avvio al suo canto festoso, con i violini che lo assecondano trillando, in un clima di festa. Finché l’orchestra lo interrompe, ripetendo il motivo iniziale.
206
TRACCIA 25
Il dialogo tra i due continua. Mentre il flauto si esibisce, cosa fa l’orchestra?
• Tace
• Suona all’unisono con il flauto
• Accompagna il flauto trillando
TRACCIA 26
Stiamo avviandoci verso la conclusione. Il violoncello tiene una lunga nota grave. E su questa nota cosa fanno l’orchestra e il flauto?
• Suonano il motivo iniziale
• Suonano a cànone
• Mentre uno suona l’altro tace
Parte D
La storia
Largo
TRACCIA 27
Ora il flauto abbandona i gorgheggi virtuosistici, e canta una tenera melodia, cullante come
una pastorale. L’orchestra lo sostiene con un ritmo costante, in un clima di pace e serenità. Questo è il ritmo:
La melodia è ripetuta. In che modo?
• Identica
• Poco variata con abbellimenti
TRACCIA 28
• Molto cambiata
Si passa alla seconda parte. Anche questa è ripetuta, allo stesso modo della prima. E l’accompagnamento ritmico dell’orchestra com’è?
• Identico
• Poco variato
• Molto cambiato
Allegro
TRACCIA 29
Si ripresenta il tono vivace del primo movimento. Ma la genialità di Vivaldi sta nella fantasia con cui riesce a dare un seguito estroso anche ai più semplici motivi.
L’inizio è solo una scaletta discendente. Ma subito il flauto e un violino la continuano con
guizzi vivaci verso l’alto:
TRACCIA 30
Il duetto tra flauto e violini prosegue in una ininterrotta invenzione di spunti sempre nuovi, interrotti solo dal ritorno della scaletta iniziale: che sembra quasi un “punto e a capo”
detto con le note musicali. E chi conclude il concerto?
• Il flauto
• L’orchestra
• Entrambi
Gabriel
Bella,
La cantata
delle putte
dell’Ospedale
della Pietà,
a Venezia.
Le ragazze
ospitate negli
istituti chiamati
“ospedali”
ricevevano
la loro istruzione
da insegnanti
e direttori
famosi.
207
Unità 6
Il Primo Settecento
Georg Friedrich Händel
(Germania, 1685-1759)
Come spesso capita, anche il padre di Händel è contrario all’aspirazione del piccolo
Georg a diventare musicista. Ma deve ricredersi quando, dopo averlo mandato a studiare legge all’università, lo scopre organista del duomo.
A ventun anni Händel è in Italia, dove conquista presto l’ammirazione degli amanti del
melodramma con il suo Rodrigo, su testo italiano. Ben 42 saranno le opere che Händel compone in italiano, quasi tutte ispirate a personaggi eroici: storici, come Giulio
Cesare, o cavallereschi, come Rinaldo. Queste opere vengono rappresentate nei principali teatri europei, e specialmente a Hannover e a Londra, le due città in cui il musicista passa la gran parte della sua vita, prima di diventare cieco.
Il pubblico inglese ama particolarmente, accanto al melodramma, l’oratorio: Händel
vi si dedica, componendo una quantità di capolavori, sui quali emerge il Messia. Il catalogo delle sue opere si completa con una ricca collana di concerti orchestrali, musica da camera, pezzi per il clavicembalo.
TRACCE
31 – 36
7
Il cucù e l’usignolo
È un concerto per organo e orchestra. L’organo non era mai stato usato come strumento
protagonista di un concerto solistico: fu proprio Händel a “inventare” il concerto per organo e orchestra. C’è una spiegazione: nell’esecuzione degli oratori, una ricca orchestra accompagnava i cantanti e, dato l’argomento religioso, anche un organo. Tra un atto e l’altro, per
riempire i tempi morti necessari a far riposare i cantanti, Händel pensò di utilizzare l’occasione unica di poter disporre di un organo e di un’orchestra insieme.
I suoi concerti per organo e orchestra nacquero quindi come “entr’actes”, ossia musiche
tra un atto e l’altro degli oratori. Il tredicesimo dei suoi sedici concerti porta come titolo Il
cucù e l’usignolo, perché Händel vi imita il canto di questi due uccelli. Il soggetto è dunque simile a quello del concerto di Vivaldi. Ma mentre quello è a tre movimenti, questo è
a quattro: larghetto, allegro, larghetto, allegro.
Larghetto
TRACCIA 31
La musica si muove con un passo leggero e ben ritmato. Il clima è sorridente, sereno. L’affascinante tema compare più e più volte:
Quale fra i due dialoganti lo esegue?
• L’organo
• L’orchestra
• L’organo e l’orchestra, in alternanza
Allegro
TRACCIA 32
208
Il tema iniziale oscilla curiosamente tra il modo maggiore e il modo minore:
Parte D
La storia
Lo eseguono violini e oboi. E subito l’organo lo riprende. Inizia così un dialogo serrato tra
il solista e l’orchestra, dove l’uno espone un frammento e l’altro lo ripete in eco. A volte è
l’organo a iniziare, a volte è l’orchestra.
TRACCIA 33
Concerto
per organo
e orchestra
in una stampa
dell’epoca.
TRACCIA 34
Ecco comparire sulla scena i due simpatici animaletti. Si presenta l’usignolo, con i primi
trilli. Ma appena entra il cucù, l’usignolo si scatena, e lo accompagna con un gorgheggiare vivace e continuo:
Quali strumenti danno voce ai due uccellini?
• L’organo all’usignolo, l’orchestra al cucù
• L’organo al cucù, l’orchestra all’usignolo
• L’organo a tutti e due gli uccellini
• L’orchestra a tutti e due gli uccellini
Finita la conversazione dei due piccoli ospiti, riparte il tema iniziale, all’orchestra. Trovi qualche differenza rispetto all’inizio?
• No, il tema è identico
• Allo spunto in modo maggiore segue ora
lo stesso spunto, su note più basse
• Il tema è eseguito con diverse pause
Larghetto
TRACCIA 35
È la pagina che più si avvicina al “Largo” del Concerto del cardellino di Vivaldi (pag. 206). Il ritmo è lo stesso: quello di una
pastorale, la musica cullante degli zampognari. Il clima però è
diverso. Il modo infatti non è ora maggiore, ma minore.
Che effetto crea? Sottolinea i due termini che ti sembrano più
adatti:
vivacità
solennità
malinconia
gioia
tenerezza
angoscia
paura
Il dialogo tra il solista e l’orchestra si presenta qui in una forma caratteristica: uno espone
un frammento del motivo; l’altro fa eco alle ultime note, poi continua il discorso; e così vanno avanti. Il risultato è quello di un’intesa costruttiva: l’intesa tra due interlocutori, che sono
sì d’accordo tra loro, ma che hanno ciascuno delle cose importanti da aggiungere via via.
Allegro
TRACCIA 36
Un concerto del Settecento deve lasciare gli ascoltatori con un senso di soddisfazione e di
benessere. Non può finire, normalmente, con una delicata pastorale. Serve un ritmo vivace, brioso, a note rapide. È quello che fa Händel qui, adoperando due tecniche tipiche del
Settecento. Le riconosci, tra questa serie di parole?
canone
imitazione
minuetto
ostinato
progressione
209
Unità 6
Il Primo Settecento
Johann Sebastian Bach
(Germania, 1685 -1750)
La famiglia di Bach ha una straordinaria tradizione musicale. Fra gli immediati predecessori di Johann Sebastian si contano numerosi compositori di prestigio e lui
stesso contribuisce a tenere viva questa tradizione: dei ventuno figli avuti da due
matrimoni, alcuni sono tra i maggiori compositori del Settecento. Bach cura personalmente la loro educazione musicale, arrivando a scrivere musiche per l’addestramento al clavicembalo, come la serie delle Invenzioni, a due e a tre voci. Non
si tratta di semplici esercizi: anche in piccole pagine come queste, la tecnica dell’imitazione è praticata con grande maestria.
Durante la sua lunga esistenza, Bach viaggia da una città all’altra della Germania.
Infatti, come la maggior parte dei compositori del tempo, deve guadagnarsi da vivere prestando i propri servizi musicali presso una corte o presso una città. Per l’orchestra del principe di Cöthen scrive i sei Concerti brandeburghesi, a cui si aggiunge una quantità di concerti, molti con il clavicembalo. Per questo strumento scrive le due raccolte intitolate Il clavicembalo ben temperato, e un “Capriccio” scritto
Sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo. Al 1723 risale l’ultimo suo incarico, presso la chiesa di San Tommaso, a Lipsia, dove fa ascoltare la monumentale Passione secondo
san Matteo. Quando, poco prima di morire, ormai quasi cieco, il re Federico il Grande gli
sottopone un tema musicale, Bach elabora su quel tema una miriade di composizioni in
contrappunto, che intitola Offerta musicale: un’offerta al suo nobile ospite.
Le composizioni di Bach sono sia di carattere religioso sia profano, proprio perché egli
ricopre sia l’incarico di musicista di corte sia quello di organista. Come organista in città
importanti (Weimar, Mülhausen e Lipsia), deve occuparsi di tutte le funzioni religiose che
vengono celebrate durante l’anno liturgico. Nascono così le numerose composizioni per
organo, e le cantate, scritte una per ogni domenica, secondo i temi proposti dalle Sacre
Scritture: a noi ne sono giunte poco più di duecento.
TRACCE
37 – 43
7
Suite per orchestra no 2: Danze
Per l’orchestra, Bach compone quattro suite, ossia collane di brani musicali. La seconda
risale agli anni in cui Bach cura la vita musicale della cattedrale di San Tommaso, a Lipsia.
Nella città c’è una fiorente associazione concertistica, alla quale Bach destina questa composizione.
Ognuna delle “suite” di Bach è preceduta da una solenne introduzione ed è formata da una
serie di musiche di danza. Queste però non sono destinate al ballo, ma semplicemente
all’ascolto nella elegante sala da concerto.
Rondeau
TRACCIA 37
Il termine francese rondeau si riferisce a qualcosa che “ritorna” periodicamente. Qui a ritornare, a farsi sentire più volte, è il tema iniziale, formato di una prima semifrase più trattenuta e di una seconda scorrevole:
A te il compito di scoprire quante volte si fa sentire il tema intero:
•4
•7
•9
210
Parte D
La storia
Bourrée
TRACCIA 38
Lipsia
(Germania),
chiesa di
San Tommaso.
Nel Settecento la bourrée è la più importante danza in
misura binaria. Come t’immagini i passi di un ideale ballerino? Scegli qui la risposta che ti sembra più adatta:
lenti
scatenati
marcianti
solenni
saltellanti
trascinati
Ognuna delle due sezioni di cui il brano è composto
viene ripetuta.
TRACCIA 39
Quando la danza è finita, Bach introduce una seconda bourrée, nella quale uno strumento emerge come
protagonista. Lo riconosci?
• Chitarra
• Flauto
• Tromba
Una musica è come un viaggio di esplorazione in un paese di suoni. Alla fine si torna a
casa, e questo ritorno dà un piacevole senso di sicurezza. È quello che succede in questa
musica: che si conclude con il ritorno alla prima bourrée, ora ripetuta senza ritornelli.
Polacca
TRACCIA 40
Questa danza si chiama polacca perché è originaria della Polonia. Come ogni viaggio che
si rispetti, anche questo nel paese della danza ha bisogno di varietà. Le musiche precedenti erano in misura binaria, a due tempi. Ora si passa alla misura ternaria, a tre tempi,
che richiede all’immaginario ballerino un passo più elaborato. Infatti la misura binaria si
accorda con il fatto che abbiamo due gambe: su ogni tempo si muove un piede. Ma oltre
a questa, quale altra differenza senti nel movimento?
• È più mosso
• È più moderato
• È scattante
TRACCIA 41
Bach ci prepara qui una sorpresa. A Lipsia c’erano, a quel tempo, bravi strumentisti. Per
il flautista dell’orchestra ecco ora pronto un pezzo che poteva soddisfare il suo desiderio di
emergere. Mentre il flauto esegue i suoi gorgheggi, cosa fanno i violoncelli?
• Tengono note lunghe
• Eseguono il tema della polacca
• Ripetono un motivo ostinato
Anche stavolta, dopo l’episodio del flauto si torna a sentire la prima polacca.
Minuetto
TRACCIA 42
Il minuetto è la danza più amata e praticata nel Settecento. Il più delle volte ha un carattere sorridente, giocoso. Come ti sembra questo? Scrivilo qui:
Badinerie
TRACCIA 43
Se il flautista dell’orchestra di Lipsia non è ancora soddisfatto della parte che Bach ha scritto per lui, qui, alla fine della “suite”, ha modo di rifarsi, e di riscuotere l’applauso ammirato del pubblico. La badinerie è infatti una delle danze più gaie e vivaci del tempo.
211
Unità 6
Il Primo Settecento
Giovanni Battista Pergolesi
(Italia, Jesi, 1710-1736)
La vita di Giovanni Battista non è felice: muoiono bambini i suoi due fratelli e una
delle sorelle; lui stesso si porta addosso handicap fisici a causa dei quali morirà a
soli 26 anni. Gli è di grande conforto la musica: vi si dedica con impegno, mostrando presto un talento speciale, tanto che il padre decide di mandarlo a studiare nel
conservatorio napoletano dei Poveri di Gesù Cristo. Una delle attività dei giovani
musicanti dei conservatòri napoletani sono le paranze, prestazioni musicali per
cerimonie pubbliche, e Giovanni Battista viene nominato “capo paranza”.
Ammirato come violinista, lo diventa ancora più come compositore. A ventun anni
scrive la prima opera seria, e l’anno successivo la prima commedia musicale, Lo
frate ’nnamorato, in dialetto napoletano. L’anno dopo scrive il suo capolavoro, l’opera comica La serva padrona. C’era allora l’usanza di inserire una breve operina
divertente, chiamata “intermezzo” fra un atto e l’altro di un’opera seria. La serva
padrona è una coppia di intermezzi, collocati nell’opera seria Il prigionier superbo.
TRACCIA 1
8
La serva padrona: Stizzoso, mio stizzoso
L’operina La serva padrona, rappresentata nel 1733, è famosa anche perché darà origine,
vent’anni dopo, a un’accesa polemica a Parigi tra i sostenitori della musica italiana e quelli della musica francese. Narra della capricciosa servetta Serpina che riesce, usando l’inganno, a farsi sposare dal suo anziano padrone, Uberto. Uberto è da tempo innamorato di
lei, ma non ha mai avuto il coraggio di dichiararle il suo amore. In questa scena Serpina
se la prende con il povero Uberto:
Stizzoso 1, mio stizzoso,
voi fate il borioso 2,
ma non vi può giovare.
Bisogna, al mio divieto,
star cheto, e non parlare.
Zit… zit…: Serpina vuol così.
Cred’io che m’intendete 3, sì,
da che mi conoscete
son molti e molti dì.
1
BISBETICO, PERMALOSO
2
SUPERBO
3
CRED’IO CHE M’INTENDETE
=
IO CREDO CHE VOI MI CAPIATE
Pergolesi ci presenta un personaggio vivo: il suo canto segue proprio gli accenti e le intonazioni che avrebbe se parlasse. È questa la grande novità della musica di Pergolesi. La
musica ci fa capire il carattere e lo stato d’animo del personaggio.
Qual è secondo te? Scegli gli aggettivi che ti sembrano più adatti.
affettuoso
capriccioso
docile
pacifico
prepotente
civettuolo
L’aria Stizzoso, mio stizzoso è una tipica aria col da capo: il tipo di aria più diffuso nel Settecento. Alla fine ritorna il motivo iniziale, questo:
212
Parte D
La storia
Esperienze
Nel primo movimento del suo concerto, Vivaldi inserisce una nota di bordone. Aggiungiamo anche noi questa nota di bordone a qualche nostro canto.
Rileggi l’episodio in cui Carlo Goldoni parla del glo-glo. Mettiti in gruppo con qualche compagno. Qual è il gruppo che riesce a inventare lo strumento musicale più curioso?
Conosciamo il capolavoro di Christoph Willibald Gluck, Orfeo ed Euridice nel quaderno
Serata all’opera.
Eseguiamo anche noi
Antonio Vivaldi, Concerto del cardellino: Largo.
ricapitoliamo
Nel Settecento la musica strumentale e specialmente
quella operistica hanno un nuovo pubblico: la borghesia.
Il compositore tedesco Gluck avvia una riforma che dà
importanza alla continuità drammatica dell’opera.
Si sviluppano scuole di musica, i conservatòri, e nasce
la figura dell’impresario.
Lo stile musicale si basa su un ricco contrappunto e
sulle imitazioni fra le voci: questa pratica trova l’applicazione più tipica nella fuga.
Accanto all’opera seria fiorisce l’opera buffa, che nasce
dalla pratica degli intermezzi.
L’opera consiste in una serie di dialoghi cantati (i recitativi), per le scene d’azione; e di arie, soprattutto arie
col da capo, per le scene in cui il personaggio fa conoscere il proprio stato d’animo.
I cantanti si prendono spesso licenze nel modo di eseguire le arie. Queste licenze vengono fortemente criticate dai musicisti più sensibili.
I maggiori musicisti italiani sono contesi dalle principali corti europee: vi diffondono non solo la cultura
musicale, ma anche la lingua italiana.
Fioriscono nuovi generi musicali: il concerto solistico,
a tre movimenti; e la suite, che è una successione di
movimenti diversi, prevalentemente di danza.
Il clavicembalo si affianca al violino come strumento
prediletto.
213
7
1750
A Parigi si apre
al pubblico
il Museo
del Louvre
La musica nell’Età
della ragione
La testimonianza
1765
L’inglese Henry
Cavendish
scopre l’idrogeno
1775
Il navigatore
inglese James
Cook raggiunge
l’Antartide
La Convenzione Nazionale, decretando feste degne della maestà del popolo, ha chiamato tutte le arti a contribuire alla sua magnificenza. La musica, in virtù dello speciale carattere che sa loro imprimere, ha una parte troppo importante nella celebrazione di queste feste
perché l’Istituto Nazionale non sia penetrato dal senso dei doveri sublimi che gli competono. Impegno ancora più onorevole è trasmettere al popolo la musica degli
inni. I canti del fanatismo antico saranno soppiantati
dai canti per la libertà. I membri dell’Istituto andranno a insegnarli in ogni distretto e in ogni scuola primaria. Così il popolo francese mostrerà ai popoli ancora schiavi di Germania e d’Italia che essi pure possiedono genio in quest’arte, ma che lo dedicano solo ai
canti per la libertà. Trèmino i tiranni: più di una volta
un inno nazionale risuonante in battaglia spinse i soldati francesi a raddoppiare il loro impeto valoroso; e
il coraggio che scosse il trono del tiranno fu nutrito dai
canti del popolo. Gli accenti della libertà precedono
sempre le sue bandiere.
Jean-François Lesueur, Etienne Méhul e altri,
Per la festa dell’Essere Supremo, 1794 (adattamento)
Emblema della
Rivoluzione francese.
1787
Viene redatta
la Costituzione
degli Stati Uniti
d’America
1789
Rivoluzione
francese
La musica si dà nuovi compiti
Nella seconda metà del Settecento il mondo
cambia drammaticamente. E i musicisti sentono di poter esprimere lo spirito di questo cambiamento. Con la musica, pensano, si possono non soltanto imitare le diverse emozioni,
come si pensava prima: si possono anche esprimere le emozioni. Con la musica si possono
“raccontare storie”: presentare conflitti, che
alla fine si risolvono. E in ogni storia raccontata si nasconde un messaggio, che il compositore manda ai suoi ascoltatori.
Proprio come avviene nel nuovo genere letterario che comincia a furoreggiare in Europa: il
romanzo, con la sua varietà di personaggi e di
intrecci drammatici.
Per raggiungere questo risultato lo stile della
musica deve necessariamente cambiare. La mu-
sica del tempo di Bach si basava per lo più su
un tema solo, il soggetto, che veniva passato
fantasiosamente da una voce all’altra. Ora si
vuole creare anche in musica un effetto-romanzo, cioè l’idea di conflitti che alla fine si risolvono: un tema solo non basta più; se ne dispongono almeno due, ben diversi fra loro, spesso
anche tre o più; il loro avvicendarsi crea tensioni e contrasti.
In Germania, la musica di Bach viene rapidamente dimenticata. Persino i suoi figli tendono a considerarlo ormai “superato”. I figli di
Bach rappresentano un singolare fenomeno
nella storia della musica. Almeno tre di loro
sono da considerare fra i più grandi compositori del Settecento: Wilhelm Friedemann, Carl
Philipp Emanuel e Johann Christian, autori
di sonate, concerti e di musica vocale.
Parte D
Al culmine della Rivoluzione francese, Robespierre decise la festa dell’Essere Supremo. Fece scrivere un
inno apposito ai musicisti del nuovo
Istituto Nazionale per la Musica, che
tre anni dopo sarebbe diventato il Conservatorio di Parigi, e impose loro di
insegnarlo quella sera stessa a tutti i
cittadini di Parigi. Cosa era successo
nella seconda metà del Settecento?
Si era diffusa una nuova idea di so-
cietà: la “ragione” era diventata il nuovo mito in tutti i campi dell’attività umana. Lottando contro il pregiudizio e l’ignoranza, i pensatori volevano chiarire ogni aspetto della realtà.
Illuminismo è il nome che si dà a
questo movimento di pensiero. La
tecnica progredisce, nascono le industrie e nuovi modi di commerciare:
occorre perciò che il lavoro sia organizzato in modo più libero e raziona-
La storia
le. I “lumi della ragione” devono essere la guida della vita sociale e individuale; con la ragione tutti i problemi
della società possono essere risolti.
Quando nel 1789 scoppia la Rivoluzione francese, libertà e uguaglianza
diventano obiettivi che alcuni pensano “razionalmente” di poter raggiungere. Ma le stragi e le guerre che la
rivoluzione porta con sé metteranno
in crisi queste convinzioni.
D’Alembert legge l’Encyclopédie in casa di Mme. de Geoffrin. L’Encyclopédie di
Diderot e d’Alembert (1751-72) è l’espressione completa della cultura dell’Illuminismo.
Un episodio della Rivoluzione
francese.
Anche i musicisti dispongono in maniera ordinata le diverse parti della
composizione.
Il principio che domina è quello della simmetria: un brano musicale deve
concludere nello stesso modo in cui
è cominciato. Questo principio guida
l’organizzazione interna di diverse forme musicali: la più diffusa e caratteristica prende il nome di forma-sonata (pag. 110).
Altre forme musicali che vengono fissate in modo preciso sono il rondò
(pag. 82), la forma-romanza, il minuetto (pag. 88), il tema e variazioni (pag. 92).
Una successione simile si applica:
• nel concerto solistico, per lo più in
tre movimenti;
• nella musica da camera, dove predomina la sonata, composizione per
strumento solo o per due strumenti;
• nelle composizioni per più strumenti:
trio, quartetto, quintetto e così via.
Generi più vari, nella tradizione della
suite, sono divertimenti e serenate.
I musicisti amano scrivere composizioni, a più sezioni (o movimenti, o
tempi), ognuna delle quali segue una
delle forme citate, e con una sua propria velocità. Il genere più amato dal
pubblico è la sinfonia (pag. 122). La
maggioranza delle sinfonie composte nel Settecento è in quattro movimenti, di solito nell’ordine rappresentato in questo schema:
Primo movimento
Secondo movimento
Terzo movimento
Quarto movimento
Forma-sonata
Forma-romanza
Minuetto
Rondò
Allegro
Adagio
Allegretto
Allegro vivace
215
Unità 7
Al pianoforte,
dipinto
del XVIII secolo
del pittore
Stephan Sedlacek.
216
La musica nell’Età della ragione
I maestri dell’età classica
Il nuovo gusto del colore strumentale
Una schiera di compositori rende possibile questo straordinario sviluppo: in Italia sono in particolare Gian Battista Viotti (1755-1824), che
ha lasciato soprattutto concerti per violino; Muzio Clementi (1752-1832), autore, per il pianoforte, di sonate e della raccolta Gradus ad Parnassum; Luigi Boccherini (1743-1805), che si
dedicò specialmente alla musica da camera.
Ma la musica strumentale non è più tanto gradita a un pubblico che delira per il melodramma. Così i nostri autori di musica strumentale
devono trasferirsi all’estero: Viotti e Clementi
operano soprattutto in Inghilterra; Boccherini
in Spagna, dove viene nominato “virtuoso da
camera e compositor di musica” dell’infante di
Spagna don Luigi, fratello del re Carlo III. Il
suo nome è legato ai deliziosi minuetti: danze in stile galante, che fanno respirare l’aria
fastosa dei salotti settecenteschi.
Gli esempi significativi del nuovo stile musicale vengono però dall’Austria, con Franz
Joseph Haydn (1732-1809) e Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791). La loro produzione
strumentale, vastissima, comprende tutti i generi già elencati, sonate, sinfonie, concerti; poi
serenate e divertimenti, e musiche da camera,
in cui spiccano i quartetti per archi. Di Mozart
si ricordano anche le straordinarie creazioni
per il teatro lirico: le sue opere italiane (Don
Giovanni, Così fan tutte, Le nozze di Fìgaro)
sono tra i capolavori del genere, mentre Il ratto dal serraglio e il Flauto magico sono i primi
capolavori del nascente melodramma tedesco.
All’inizio del Settecento l’orchestra tradizionale è formata dai soli strumenti ad arco: violini,
viole, violoncelli, contrabbassi. Occasionalmente partecipano oboi, flauti, fagotti, corni,
trombe; più tardi si aggiungono clarinetti e
tromboni: nel corso del secolo, questi strumenti
a fiato entrano stabilmente nell’orchestra, di solito in coppia. Come unico strumento a percussione sono introdotti i timpani; altre percussioni entreranno nel corso dell’Ottocento.
La musica del XVIII secolo ricerca effetti espressivi nuovi e il musicista va alla ricerca di una
sempre maggiore varietà di colori strumentali.
Questo spiega il tramonto del clavicembalo e
l’affermarsi, al suo posto, del pianoforte: il clavicembalo, con le sue corde pizzicate, non permette infatti grande varietà di volume sonoro.
È Bartolomeo Cristofori (1655-1732) a inventare uno strumento in cui le corde sono percosse
da martelletti: con la pressione delle dita sui tasti
si ottengono così differenze anche notevoli di
suono. Lo strumento viene chiamato clavicordo, poi fortepiano, infine pianoforte: solo mezzo secolo dopo la morte di Cristofori diventerà
lo strumento prediletto nella vita musicale.
Un compositore fra due epoche
Ludwig van Beethoven (1770-1827) è il compositore che, vivendo fra il Settecento e l’Ottocento, avvia la musica verso un futuro profondamente rinnovato. La sua produzione è
costituita da nove sinfonie per orchestra, sonate per pianoforte, concerti per strumento solista e orchestra, e musica da camera, in particolare quartetti per archi. Le sue composizioni sembrano legate al passato poiché rispettano la tradizione che fa capo alla forma-sonata, ma la veemenza e l’impeto del suo stile anticipano i fermenti di un’epoca nuova: il Romanticismo. Nella musica da camera Beethoven parla di sé: le sue emozioni, le sue gioie e
le sue ansie; nella musica per orchestra sembra rivolgersi all’umanità intera con un messaggio di riscatto e consolazione. Sia nelle opere cantate – come la sua unica opera teatrale,
Fidelio, e la sua Messa solenne – sia nelle “narrazioni musicali”, affidate ai soli strumenti,
mette in scena situazioni drammatiche: coronate da un lieto fine, solenne e grandioso. In
queste scelte Beethoven si rivela l’ultimo erede dell’Illuminismo, l’Età dei lumi. 1
Parte D
1
La storia
Il testamento di Heiligenstadt
O voi uomini, che mi ritenete o mi
fate passare per astioso, folle e misantropo, come siete ingiusti con me! Voi
ignorate le segrete ragioni di ciò che
vedete! Il mio cuore e il mio spirito
erano inclini, sin dall’infanzia, al dolce sentimento della bontà. Persino a
compiere grandi opere io fui sempre
disposto. Ma pensate che da sei anni
ormai io sono caduto in una condizione disperata; che questa situazione mi si è andata aggravando per col-
pa di medici senza criterio, e che di
anno in anno io mi sono illuso nella
speranza di un miglioramento. Infine sono costretto all’idea di un male
duraturo, la cui guarigione richiederà
forse lunghissimo tempo o è forse
addirittura impossibile.
Nato con un temperamento ardente
e attivo ... ho dovuto ben presto separarmi dagli uomini e trascorrere la vita
in solitudine. Se anche io volevo, talvolta, sormontare tutto questo, oh,
come duramente venivo respinto dalla triste e rinnovata esperienza della
mia infermità! Eppure non mi era
ancor possibile di dire agli uomini:
“Parlate più forte, gridate, perché io
sono sordo!”
Ah, come potrei andar rivelando proprio la debolezza di un senso che io
dovrei possedere più perfetto di ogni
altro, un senso ch’ebbi dotato di gran-
dissima perfezione, quale certamente poche persone del mio mestiere
hanno mai avuta! Oh, non posso!
Perdonatemi dunque se mi vedete
vivere in disparte, mentre vorrei mescolarmi alla vostra compagnia... Completamente solo, io posso frequentare la società unicamente in quanto lo
esiga una necessità assoluta, e mi
tocca di vivere come un proscritto. Se
mi avvicino alla gente, vengo afferrato da un’angoscia divorante...
Divinità, tu dall’alto vedi sino in fondo al mio cuore, tu conosci il mio cuore, tu sai che vi dimorano l’amore per
gli uomini e l’impulso a fare il bene.
O uomini, se un giorno leggerete queste mie parole, pensate che mi avete fatto torto...
Nella seconda metà del Settecento,
anche gli artisti si fanno guidare dalla
ragione. Guardano con serena lucidità
quello che li circonda e cercano di riprodurlo nel modo più “ragionevole”
possibile: gli scrittori raccontano le
cose in modo lineare e ordinato, i pittori dispongono sulla tela figure nitide
e ben distribuite, gli architetti creano
edifici rigorosamente simmetrici.
In tutte le arti si respira un senso di
grande equilibrio: gli artisti si sentono artigiani che lavorano operosamente per la felicità degli uomini.
Osserva la chiesa napoletana di San
Francesco di Paola (nella foto), opera dell’architetto Pietro Bianchi. La
simmetria è rigorosa, il lungo colonnato è disposto ad arco: come due
lunghe braccia che vogliano invitare
i fedeli. E c’è da osservare un’altra
cosa: il corpo centrale imita l’antica
chiesa romana del Pantheon.
Infatti per gli artisti di questa Età l’antichità classica, quella dei Greci e dei
Romani, rappresenta l’ideale “razionale” che va preso a modello. Questo è il motivo per cui il periodo che
va dal 1770 al 1820 circa viene chiamato l’Età classica.
A Beethoven era capitata la peggiore infermità che possa colpire un
musicista: la sordità. Scrive allora una
lettera, conosciuta come Testamento di Heiligenstadt, il cui concetto di
fondo è questo: “Io sono per natura
portato a essere buono, generoso e
aperto con i miei simili; ma la sordità
mi ha reso disperato.”
Ludwig van Beethoven,
6 ottobre 1802 (adattamento)
Unità 7
La musica nell’Età della ragione
Wolfgang Amadeus Mozart
(Austria, 1756-1791)
Il talento musicale di Mozart si rivela prestissimo: ha solo sei anni quando il padre
Leopold, illustre compositore, lo porta in tournée nelle maggiori città europee, tra
le quali Milano. A Vienna, dove viene invitato dall’imperatrice in persona, il piccolo Wolfgang entra nelle simpatie della principessa Maria Antonietta e le promette
che da grande la sposerà. La principessa andrà invece sposa al re di Francia Luigi
XVI, insieme al quale finirà ghigliottinata durante la Rivoluzione francese.
Nei suoi concerti Mozart non solo si esibisce al clavicembalo, spesso insieme alla
sorella Nannerl, ma esegue anche musiche composte da lui. A dodici anni ha già
scritto musica per gruppi da camera, per orchestra e per la Chiesa. Inizia a quell’età anche la carriera di autore teatrale, con l’opera buffa La finta semplice: una
carriera che culminerà con i capolavori Il ratto dal serraglio, Le nozze di Fìgaro,
Don Giovanni, Così fan tutte, Flauto magico. Nella seconda metà del Settecento, i
musicisti, per poter condurre una vita sicura, dovevano prestare la propria opera
al servizio di un signore: e così fa Mozart, presso l’arcivescovo Colloredo. Ma il
suo desiderio di libertà si scontra presto con le pretese tiranniche dell’arcivescovo, e allora
Mozart decide di lavorare come “libero professionista”, diremmo oggi: è uno dei primi casi
di professionismo autonomo, nella storia della musica.
Autore di una quantità di musica da camera e da chiesa, Mozart ha lasciato numerosi concerti per pianoforte, per violino e per altri strumenti, e 52 sinfonie. La morte lo coglie a
soli 35 anni, quando sta componendo il suo ultimo capolavoro, il Requiem.
TRACCE
2–7
8
Concerto per flauto, arpa e orchestra: Andantino e Rondò
Le ragioni per le quali un compositore può decidere di scrivere un concerto per un dato strumento possono essere le più varie. Mozart non amava particolarmente né il flauto né l’arpa.
Si trovava a Parigi nel 1778 quando fu accolto nella casa del conte de Guines: il conte era
un buon flautista e la figlia, a cui Mozart dava lezioni di composizione, suonava molto bene
l’arpa. L’arpa era uno strumento che piaceva in quegli anni a Parigi. Erano ragioni sufficienti
perché Mozart si decidesse a comporre un concerto per questi strumenti.
Come compenso per tanta fatica il duca offrì una cifra così bassa (tre lire d’oro) che Mozart
preferì non prendere niente.
Andantino
I solisti qui sono due, dunque. Nell’Andantino l’orchestra è formata solo di strumenti ad arco:
violini, viole, violoncelli e contrabbassi. In quasi tutte le musiche di quest’epoca i violoncelli
e i contrabbassi suonano la stessa parte, il contrabbasso un’ottava sotto il violoncello.
TRACCIA 2
Sentiamo come “dialogano” fra loro i due solisti e l’orchestra. Sono i violini a presentare il
tema principale: uno di quei temi sublimi che hanno contribuito a creare il mito leggendario di “Amadeus”, come spesso viene chiamato, familiarmente, Mozart. Comincia così:
Flauto e arpa subentrano insieme a ripetere il tema.
218
Parte D
TRACCIA 3
Louis Vigée
(1715-1767),
Ritratto
di fanciulla
con arpa.
La storia
Ed ecco ora una caratteristica sezione a dialogo: il
flauto fa partire la continuazione del tema, l’arpa
gli fa eco. Come continuano i due solisti?
• Con un dialogo ravvicinato e affettuoso
• Eseguendo il tema in simultaneità
• Opponendosi drammaticamente
L’orchestra si limita a brevi semifrasi, che segnano
i passaggi tra una sezione e l’altra del brano. Per il
resto, fa da umile servitrice ai due solisti.
TRACCIA 4
Solo alla fine Mozart fa cantare il tema ai violini
con il flauto, con un’ultima eco all’arpa.
Rondò
TRACCIA 5
Nell’orchestra, agli archi si aggiungono due oboi e
due corni, che contribuiscono a rendere più intenso il clima di festa creato da Mozart. Chi esegue il
tema del rondò?
• I violini
• Oboi e corni
• Per meta i violini,
per l’altra metà oboi e corni
L’orchestra stavolta è la protagonista di tutta la prima parte del Rondò. Dei due solisti, quale si fa sentire per primo?
TRACCIA 6
Sul silenzio di tutti gli altri strumenti, il solista ci presenta il tema della sezione successiva. L’altro lo ripete. Il dialogo tra i due solisti, e tra questi e l’orchestra, continua con una
varietà sorprendente di soluzioni e di motivi nuovi. Durante l’ascolto, cerchiamo di scoprire questi due motivi:
a
b
Ricorda come è fatto un rondò: una sezione A ritorna più volte, intervallata da episodi diversi.
TRACCIA 7
Quando A ritorna, chi lo esegue qui?
• L’orchestra
• Il flauto
• Flauto e arpa
La varietà dei motivi e delle combinazioni fra gli strumenti ci fa apparire tutta la pagina di
Mozart come una vivace conversazione tra personaggi ricchi di idee e di emozioni da scambiare vicendevolmente.
219
Unità 7
La musica nell’Età della ragione
Sinfonia Jupiter, K 551: Finale
TRACCE
8 – 18
8
TRACCIA 8
È l’ultima delle 41 sinfonie di Mozart e risale al 1788, quando il musicista attraversava un
periodo di difficoltà economiche e di disgrazie quali la morte del suo piccolo Leopoldo. Ma
niente di tutto ciò traspare dalla sua musica, che appare come una vittoriosa affermazione
della vita, la consapevolezza che l’esistenza è comunque un dono grandioso che varca i
confini del dolore, tristo compagno di ogni vicenda umana. È questo che intende esprimere il titolo che le diedero i primi ascoltatori: Jupiter, cioè Giove, la divinità greca che governa saggiamente l’intero universo.
Il Finale è il momento culminante del messaggio mozartiano, animato da un’energia gioiosa e irresistibile. Lo ricaviamo dall’abbondanza dei temi usati dall’autore: quattro sono i
temi principali, a cui ne aggiunge altri secondari; e poi dal fitto intreccio che li lega instancabilmente l’uno all’altro.
La composizione è in forma-sonata, con ampie sezioni in cui i temi si sovrappongono: in
un sapiente contrappunto.
Il primo tema (a) dell’Esposizione è formato da quattro note lunghe seguite da un rapidissimo disegno discendente:
a
TRACCIA 9
Un ritmo martellante caratterizza l’attacco del secondo tema (b):
b
TRACCIA 10
Jean-AugusteDominique
Ingres
(1780-1867),
Giove e Teti.
220
Ritorna il tema a: ben sei volte, alternato in imitazione fra gli strumenti ad arco. Scopri tu
in quale ordine gli strumenti si susseguono nelle prime cinque imitazioni:
• violini > viola > violoncello > contrabbasso
• contrabbasso > violoncello > viola > violini
Parte D
TRACCIA 11
La storia
In coda alla sesta ripetizione Mozart inserisce un nuovo tema (c), slanciato verso l’alto, e
anch’esso ripetuto in imitazione fra violini e violoncelli:
c
TRACCIA 12
Ora è il tema b a essere eseguito in imitazione. Questa imitazione stretta fra le diverse voci
che impressione crea? Scegli i termini che ti sembrano adatti:
tensione
TRACCIA 13
calma
vitalità
densità
trasparenza
concitazione
relax
Ecco infine il quarto tema principale (d):
d
Su questo tema la fantasia di Mozart si scatena: appena l’ha esposto, vi sovrappone il tema
c al fagotto e il tema b al flauto. Il tutto continua con gli strumenti che si rimpallano il tema
d con una foga esplosiva.
TRACCIA 14
L’Esposizione si chiude con il tema b ancora una volta giocato in imitazione.
TRACCIA 15
Inizia ora lo Sviluppo. Quale dei quattro temi adopera qui Mozart?
• Il tema a
• Il tema b
• Il tema c
• Il tema d
TRACCIA 16
Lo Sviluppo è il momento in cui nel “racconto musicale” si arriva alla situazione di conflitto. E infatti il clima si fa drammatico, con gli archi e gli ottoni che si oppongono con forza ai legni.
TRACCIA 17
Il conflitto si placa nel ritorno del tema iniziale: è la Ripresa. L’intera Esposizione è eseguita qui, con gli adattamenti propri di una forma-sonata.
TRACCIA 18
Ma Mozart non conclude così, nel rispetto delle convenzioni. Introduce una lunga Coda,
dove compie una specie di miracolo musicale: sovrappone prima due dei quattro temi, poi
tre, poi tutti insieme.
Te lo mostriamo in questo schema:
1
2
3
4
5
6
d
a
c
c
d
a
c
c
Violini primi
Violini secondi
Viole
d
a
Violoncelli
a
c
Contrabbassi
b
b
d
b
d
a
d
a
c
221
Unità 7
La musica nell’Età della ragione
Ludwig van Beethoven
(Germania, 1770-1827)
Beethoven ha un’infanzia difficile, guidato alla musica da un padre dedito all’alcool. Così matura un carattere scontroso e intemperante. Nutre grandi ambizioni,
non soltanto per la sua vita personale ma anche per il progresso della società in
cui vive. Il suo ideale è un’umanità che sa affrontare il male e le avversità della
vita per conquistare la felicità, una felicità consistente nell’amore e nella fratellanza. Questo messaggio Beethoven lo trasmette soprattutto nelle sue composizioni sinfoniche e nell’unica opera lirica: il Fidelio. Quando sembra che Napoleone porti gli ideali di libertà in Europa, Beethoven gli dedica una sinfonia, la terza
delle nove da lui composte, intitolata Eroica. Ma strappa la dedica quando sente
che Napoleone si è fatto proclamare imperatore.
Beethoven deve presto affrontare la prova più dura per un musicista, la sordità,
che si fa sempre più grave con il passare degli anni: nell’ultimo periodo della sua
vita può comunicare con gli altri solo per iscritto.
Commovente testimonianza di questi profondi conflitti interiori, alternati a momenti di serenità e di contemplazione della natura, sono le 32 sonate per pianoforte, i 16 quartetti per archi, insieme a molta altra
musica sinfonica e da camera. Per la
chiesa compose, tra l’altro, un grande
capolavoro, la Messa solenne.
TRACCE
19 – 23
8
Osef Anton
Koch,
Paesaggio
eroico con
arcobaleno,
1805.
Koch, artista
importante
nella pittura
austriaca
dei primi anni
dell’Ottocento, fu
contemporaneo
di Beethoven.
TRACCIA 19
222
Sinfonia no 6 Pastorale:
Primo movimento
Beethoven compose questa sua Sesta
sinfonia tra il 1805 e il 1808, negli
stessi anni in cui creò la Quinta sinfonia. Queste due opere rivelano la complessa personalità del loro autore: tanto è conflittuale e drammatica la Quinta sinfonia, tanto questa è pervasa da
sentimenti di serenità e fiducia. Beethoven la presenta con queste parole: “Vi
sono espresse le sensazioni che suscita nell’uomo il piacere della campagna;
sono rappresentati alcuni sentimenti
della vita dei campi.”
Il primo movimento dell’Esposizione
porta il sottotitolo Risveglio dei sentimenti all’arrivo in campagna.
Il tema iniziale si affaccia subito, ai violini, senza alcun preambolo, e rimbalza poi da uno
strumento all’altro, fino a sfociare eseguito a piena orchestra, carico di entusiasmo e vitalità:
Parte D
TRACCIA 20
La storia
Appare il secondo tema, che non si oppone al primo, come avviene più spesso nelle musiche di Beethoven, ma appare piuttosto una sua serena continuazione. È formato di due frasi melodiche (a e b) sovrapposte in questo modo:
a
b
TRACCIA 21
Quando il secondo tema è ripetuto, la frase a passa sopra, e b passa sotto.
TRACCIA 22
L’Esposizione si conclude con una Coda, poi si passa allo Sviluppo. Sentiamo riapparire il
primo tema: come?
• Intero
• Solo l’inizio
• Solo la conclusione
Ora sentiamo come un compositore possa svolgere un lungo discorso musicale anche partendo da poche note. Beethoven infatti sceglie la seconda battuta del suo tema, e la fa rimbalzare da uno strumento all’altro, dai registri più gravi a quelli più acuti. L’effetto è quello di un moto perpetuo, o di un incantamento, come se Beethoven volesse renderci partecipi del perenne rinascere della sorpresa gioiosa davanti al fascino della natura.
TRACCIA 23
TRACCE
24 – 30
8
La Ripresa ripropone i temi partendo forte a piena orchestra. Nella Continuazione come
appare il ritmo?
• Uguale al ritmo dell’Esposizione
• Rallentato
• Ravvivato
Sinfonia no 7: Secondo movimento
Questa sinfonia appartiene a un momento relativamente felice della vita di Beethoven. Il
musicista è reduce da cure termali che gli hanno procurato un notevole benessere, ed esprime la sua gioia di vivere in tutta la composizione: in tutta, tranne che nel secondo movimento, Allegretto (ricorda che il termine “Allegretto” non si riferisce allo stato d’animo, ma
alla velocità del pezzo). Fin dalle prime esecuzioni, la sinfonia fu accolta con entusiasmo.
Dell’Allegretto, il pubblico chiedeva spesso il bis.
TRACCIA 24
Ci accorgiamo fin dall’inizio delle sonorità meste e scure del primo tema, eseguito da viole, violoncelli e contrabbassi su un ritmo che si ripete regolarissimo.
TRACCIA 25
Mentre i violini lo ripetono, gli altri archi eseguono una seconda melodia, più aperta e patetica. Tre volte sentiamo l’abbinamento dei due temi. Come avvengono le ripetizioni? Segna
le due risposte corrette:
• Sempre più forte
• Sempre più verso l’alto
• Sempre più verso il basso
L’impressione è quella di un passaggio da una dolorosa contemplazione a un’accesa, aspra
commozione.
223
Unità 7
TRACCIA 26
Presto però si ritorna a una sonorità più contenuta, che lascia il posto a un sentimento sereno, come di consolazione, con il motivo eseguito da clarinetto e fagotto.
Presta attenzione all’accompagnamento dei violini: si uniscono al clarinetto ma fioriscono
il canto con un ritmo particolare, il ritmo della terzina (vedi nel volume B l’unità “La terzina”, pag. 50). È un ritmo ondeggiante, che si presta bene a suggerire l’impressione di rasserenamento.
TRACCIA 27
La serenità non dura a lungo. Improvvisamente, una brusca caduta di terzine dall’acuto del
flauto alle profondità del contrabbasso riporta un’impressione di ansia. E infatti ritornano
i mesti motivi iniziali. Però non con la sofferta quiete di allora. Come ha fatto nella sezione precedente, Beethoven affida ai violini il compito di rendere ancora più mosso il tono
del discorso. Lo fa sovrapponendo alle terzine un nuovo ritmo, le semicrome (vedi nel volume B l’unità “Figure con la semicroma”, pag. 40).
TRACCIA 28
Gli archi, poi i legni, infine gli ottoni conducono un dialogo estremamente serrato, secondo quella tecnica musicale che prende il nome di fugato (vedi pag. 106): è come una meditazione severa sopra l’idea da cui è germogliata l’intera composizione.
TRACCIA 29
Ancora una volta clarinetto e fagotto ci ricordano, sulle terzine dei violini, il momento di
serenità espresso dal motivo c.
TRACCIA 30
Ed eccoci alla fine, e all’ultima eco dei temi iniziali. Come ce li presenta Beethoven?
• Eseguiti dagli archi
• Eseguiti dai fiati
• Spezzati fra archi e fiati
Pagina
manoscritta
di una parte
della Settima
sinfonia
di Beethoven.
224
La musica nell’Età della ragione
Parte D
Franz Joseph Haydn
La storia
(Austria, 1732-1809)
Nei secoli passati era normale che uno studente di musica praticasse diversi strumenti musicali, il clavicembalo, il violino, il flauto. Così avviene per Haydn, fin da
bambino. Haydn è anche un abile cantore nella prestigiosa cappella del duomo di
Vienna: una volta cresciuto, ne diventerà il direttore, prima di passare nel 1761 al
servizio del principe di Esterhazy.
Gli Esterhazy sono una famiglia ungherese che si è costruita una magnifica reggia,
chiamata “la seconda Versailles” (la vera Versailles era la reggia dei re di Francia).
E qui la musica ha un posto d’onore. Per gli aristocratici che frequentano la corte
Haydn scrive una quantità di musica da camera e sinfonica.
Quando il principe muore, il figlio che gli succede scioglie l’orchestra e mette Haydn
in pensione. Intanto però a Londra fiorisce una iniziativa nuova: i concerti a pagamento, organizzati da un impresario. Per l’impresario Salomon il musicista scrive
alcune delle sue più celebrate sinfonie. Ma Haydn non chiude la sua carriera in
Inghilterra: la cappella degli Esterhazy viene ricostituita e Haydn è naturalmente
invitato a dirigerla ancora una volta, ammirato e venerato dai suoi concittadini.
Il catalogo delle sue opere è ampio: 108 sinfonie; 83 quartetti per archi, che resteranno a
modello per i compositori successivi; e una quantità di altra musica da camera e sacra.
TRACCE
31 – 35
8
Quartetto Imperatore op. 76 no 3: Tema e Variazioni
Nel 1797 l’Impero austriaco dovette affrontare uno dei primi assalti dell’armata napoleonica. Haydn operava in quei giorni a Vienna. Per la sua patria scrisse un inno che celebra
l’imperatore Francesco II, e che diventerà presto un inno patriottico: ancora oggi è usato
come inno nazionale dalla Germania. Poco tempo dopo, riprese l’inno e ci costruì intorno
una serie di variazioni, per quartetto d’archi (primo e secondo violino, viola, violoncello).
TRACCIA 31
Ascoltiamo prima il tema dell’inno eseguito dal primo violino, mentre gli altri strumenti
accompagnano. E ora le variazioni:
TRACCIA 32
Prima variazione
Tocca ora al secondo violino eseguire il tema. Scopri cosa vi aggiunge il primo violino:
• Un’altra melodia
• Una nota lunga tenuta
• Arpeggi staccati e fioriture
TRACCIA 33
Seconda variazione
Il primo violino esegue un disegno melodico sincopato; a quale strumento è affidato l’inno?
• Al secondo violino
• Alla viola
• Al violoncello
TRACCIA 34
Terza variazione
La viola esegue il tema, mentre i due violini si alternano in deliziosi controcanti. E il violoncello cosa fa?
• Tace
• Aggiunge un controcanto
• Esegue il tema insieme alla viola
TRACCIA 35
Quarta variazione
Il tema ritorna al primo violino: con quali differenze rispetto all’inizio?
• È rallentato
• È accelerato
• È trasportato, dopo 4 battute, all’ottava alta
Gli altri strumenti sviluppano ciascuno un proprio discorso: dalla loro fusione risulta un ricco impasto di armonie.
225
Unità 7
La musica nell’Età della ragione
Esperienze
La testimonianza dei musicisti della Rivoluzione francese ci ricorda l’importante capacità della musica di infiammare gli animi. Conduciamo una ricerca nel nostro ambiente. In quali situazioni la musica è usata con scopi simili? Pensiamo alle ricorrenze civili, o
militari, o sportive.
PORTFOLIO
Recitiamo il “Testamento di Heiligenstadt” di Beethoven. Possiamo alternarci le
frasi. Possiamo anche recitarlo coralmente. Pensiamo di farne uno spettacolo radiofonico,
e allora aggiungiamo un sottofondo musicale.
Quali delle musiche di questa lezione sceglieremo? Come la sovrapporremo alle parole?
Possiamo anche pensare di lasciare qualche stacco solo musicale in certi punti della recitazione. E come concluderemo? Con le sole parole? Con la sola musica? Con tutte e due?
PORTFOLIO
L’Inno imperiale composto da Haydn è usato oggi come inno nazionale della Repubblica
Tedesca. Ma prima è stato usato da altri regimi politici. Cerca su libri e su Internet le notizie per scrivere una piccola storia dell’inno.
Eseguiamo anche noi
Franz Joseph Haydn, L’Inno imperiale.
Sulla nostra terra amata
splenda sempre la libertà!
Onoriam fraternamente
la giustizia e l’unità!
226
La giustizia nella libertà
ci darà la felicità.
Vivi prospera, vivi placida,
terra tedesca dei padri miei.
Parte D
La storia
Ludwig van Beethoven, i due temi della Sinfonia no 7.
Primo tema
Secondo tema
Wolfgang Amadeus Mozart, Concerto per flauto, arpa e orchestra: il tema del Rondò.
ricapitoliamo
La Rivoluzione francese incoraggia la creazione di musiche che sappiano infiammare gli animi agli ideali di
libertà.
La cultura dominante nel Settecento è quella dell’Illuminismo. È caratterizzata da una grande fiducia nella
capacità della ragione di risolvere i problemi dell’umanità.
Le musiche composte in questa epoca seguono rigorosi principi organizzativi, che rispecchiano il bisogno
di razionalità e di ordine. Le forme musicali che si rifanno a tali principi sono: forma-sonata, rondò, formaromanza, minuetto, tema con variazioni. I generi strumentali più diffusi sono: sinfonia, concerto solistico,
sonata.
L’orchestra del Settecento si amplia, aggiungendo vari
strumenti a fiato. Nella musica da camera si afferma
il pianoforte, che prende il sopravvento sul clavicembalo.
La musica si “drammatizza”: in una stessa composizione temi diversi arrivano a opporsi fra loro: un po’
come nel genere letterario del romanzo (che si afferma nel Settecento), lo scrittore ci presenta storie ricche di contrasti. Tra i compositori che iniziano questo
stile sono i figli di Bach, e soprattutto Haydn, Mozart.
Beethoven continua questa tradizione, a cui si dà il
nome di classica. Ma al tempo stesso introduce toni
molto accesi, tanto che questo musicista è considerato l’iniziatore di una età nuova, l’Età del Romanticismo.
227
8
Il Romanticismo
1804
Napoleone
è incoronato
imperatore
1815
Congresso
di Vienna
1824
Muore Byron,
simbolo del
Romanticismo
europeo
La testimonianza
Quando sento come dal vuoto silenzio a un tratto si
snoda una bella fila di note e s’innalza come un fumo
d’incenso, si libra nell’aria e di nuovo scende nel silenzio, allora sbocciano e fanno ressa nella mia anima
tante nuove e belle immagini che io non posso più
contenermi dalla gioia. L’arte dei suoni è per me proprio come il simbolo della nostra vita. Domandate a
un musicista perché gode così intensamente dei suoi
accordi. “Non è tutta la vita – vi risponderà – un bel
sogno? Lo è anche la mia musica.”
Per custodire i sentimenti sono state fatte diverse belle invenzioni, e così sono nate tutte le arti. Ma io ritengo la musica come la più meravigliosa di queste scoperte, poiché essa rappresenta i sentimenti umani in
una maniera soprannaturale; ci mostra tutti i movimenti del nostro animo. La musica parla una lingua
che non sentiamo nella vita ordinaria, l’abbiamo imparata non sappiamo dove e come, e soltanto si potrebbe credere che sia la lingua degli angeli.
Wilhelm Heinrich Wackenroder,
Fantasie sull’arte per amici dell’arte, 1799
(adattamento)
Andrea Appiani
(1754-1817),
Ritratto di Carolina
Pitrot-Angiolini.
1830
Si estende
la Rivoluzione
industriale
1848
Marx e Engels
pubblicano
“Il Manifesto
del Partito
Comunista”
Il musicista esprime
il proprio mondo interiore
All’inizio dell’Ottocento la musica appare ai pensatori la più perfetta delle arti, perché sembra
l’unico linguaggio che possa dare vita al mondo interiore degli affetti e delle emozioni; anzi,
l’unico in grado di metterci in comunicazione
con i misteri dell’universo. La musica è un linguaggio capace di raccontare cose che nessuna
parola o immagine potrebbe fare: suggerisce
l’intimo significato di una situazione o di un
avvenimento, fa capire l’emozione che attraversa l’animo di un personaggio. Così il musicista si sente capace di raccontare storie semplicemente con i suoni degli strumenti: è la
musica a programma. Il francese Hector Berlioz (1803-1869) scrive una sinfonia, la Sinfonia fantastica, che racconta una sofferta storia
d’amore, e un’altra, Aroldo in Italia, ispirata a
un poema, che narra i viaggi in Europa di uno
spirito ribelle. Questa idea di comporre musiche orchestrali che raccontino una storia viene
sviluppata soprattutto da Franz Liszt (18111886) in una serie di composizioni che chiamò
poemi sinfonici: tra questi, I preludi, Faust, Tasso, Dante, Quello che si sente sulla montagna.
Parte D
La storia
Dopo un’età che ha basato le proprie
certezze sulla fiducia sulla ragione e
sul progresso sociale, politico e culturale, l’Ottocento si apre valorizzando
quella tradizione che la Rivoluzione
francese voleva cancellare. Il congresso di Vienna progetta una Restaurazione che deve riportare l’Europa
indietro di trent’anni, ma le basi del
pensiero rivoluzionario francese hanno ormai raggiunto l’intera Europa.
Scompare la parola “uguaglianza” ma
rimane la parola libertà: libertà del
popolo dai vincoli dei governi reazionari della Restaurazione, libertà delle nazioni sottomesse al dominio straniero, libertà personale dell’individuo.
Contro gli schemi rigidi della Restaurazione politica, ma anche contro gli
schemi della ragione illuminista nasce
la cultura del Romanticismo.
I romantici rivalutano il sentimento, la
fantasia, il sogno e a un’immagine di
uomo freddo e calcolatore contrappongono quella di un uomo sensibile e tormentato, passionale ed eroico.
Francesco Hayez (1791-1882),
Studio di guerriero seduto.
Pagina a fronte, in basso, F. P. Tolstoj,
Alla finestra in una notte di luna, 1822.
L’elemento che i compositori del tempo considerano il più importante in
una musica è la melodia: il più possibile cantabile, spesso vicina alle forme popolari. Schubert, Chopin, gli
operisti italiani costruiscono melodie
di lungo respiro, canzoni o arie di profondo lirismo.
Mentre nell’Età classica prevaleva il
modo maggiore (il minore era usato
per lo più come breve diversivo), ora
i due modi si usano con uguale frequenza: il maggiore per espressioni
chiare e gioiose; il minore per quelle
ombrose e melanconiche (vedi nel
volume B, l’unità “I modi”, pag. 68).
Ora si sfruttano i livelli estremi di velocità (molto adagio e molto veloce) e le
sue variazioni (accelerando, ritardando, rubato). Si usano diffusamente ritmi di danza (scozzese, valzer, mazurka). Anche nella dinàmica si sfruttano i livelli estremi (pianissimo e fortissimo) e i cambiamenti graduali di
intensità (crescendo, diminuendo) (vedi
nel volume B, l’unità “L’andamento, o
velocità. La dinamica”, pag. 22). Il bisogno di dinamismo, di movimento si
realizza utilizzando più che mai l’arte
della modulazione, ossia del passaggio da una tonalità all’altra.
Il musicista del Settecento rispetta
schemi precisi: le forme classiche
della forma-sonata, del rondò e così
via. Il musicista del secolo nuovo sente invece queste forme come catene.
La musica deve seguire il libero fluire dei sentimenti; perciò prende “la
forma” di questi sentimenti: i sentimenti sono ogni volta diversi, e ogni
musica deve avere uno svolgimento
diverso da quello di ogni altra.
229
Unità 8
Il Romanticismo
Particolare
di un dipinto
incompiuto
di Moritz von
Schwind (18041871) che rievoca
una delle famose
serate musicali
che Schubert
organizzava
spesso in casa
di amici. Queste
serate venivano
chiamate
“schubertiadi”.
Annibale Gatti,
Concerto di
Niccolò Paganini.
La voce dell’intimità:
il pianoforte e la romanza
Strumento ideale per i romantici è il pianoforte,
sul quale si può produrre una massa di suoni
impossibile al violino, al flauto, a ogni singolo
strumento dell’orchestra: il pianoforte permette
a un solo individuo di esprimere con i suoni le
più segrete avventure del suo animo.
Franz Schubert (1797-1828) scrive sonate, fantasie e molti pezzi per pianoforte, segnati da
una sensibilità intimistica e affettuosa. Trasferisce lo stesso spirito nella musica da camera
– nella quale primeggiano stupendi trii, quartetti e quintetti – e anche nelle nove sinfonie,
tra cui la celebre Incompiuta. Un altro genere
musicale prediletto dagli autori dei paesi tedeschi è il lied (plurale: lieder): romanze per
canto e pianoforte, che usano come testi le poesie di autori famosi, come Goethe. Schubert ne
scrive più di 600. La loro caratteristica, che
spiega l’eccezionale successo nei paesi tedeschi, è di narrare spesso storie sentimentali su
melodie chiare, ben riconoscibili, che anche
un dilettante poteva cantare in casa sua, accompagnandosi al pianoforte. 1
I virtuosi dello strumento
Da un artista che vuole esprimere i misteri dell’universo il pubblico si aspetta prestazioni
eccezionali. È così che si afferma nell’Ottocento
la figura del virtuoso: l’esecutore capace di
autentiche acrobazie sul suo strumento. A dare
230
il via a questa moda è un violinista italiano,
Niccolò Paganini (1782-1840). Le folle accorrono a sentire i suoi funambolismi con l’archetto: addirittura si diffonde la leggenda che abbia
stretto un patto col diavolo! Paganini non è solo un esecutore: compone personalmente le
musiche che suona.
La passione del virtuosismo passa dal violino
al pianoforte. Il primo e più famoso virtuoso
è l’ungherese Franz Liszt. Il suo pianismo spettacolare fu definito “sinfonico” per la grandiosità orchestrale del risultato sonoro. Tutto nasce
da una tecnica esecutiva al limite delle possibilità umane: celebri in questo senso sono i
suoi Studi trascendentali. 2
Ancora il pianoforte è il grande protagonista
della musica del polacco Fr yderyk Chopin
(1810-1849). Chopin dà voce alle più intime e
delicate emozioni dell’anima romantica, in pezzi per lo più brevi e condotti su ritmi di danza, come valzer e mazurke.
Anche Robert Schumann (1810-1856) e Felix
Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) scrivono
per il pianoforte numerosi pezzi che non si adeguano ai rigidi schemi della forma-sonata ma
si svolgono più liberamente, guidati dalla fantasia del compositore. Schumann e Mendelssohn continuano anche la tradizione sinfonica
di Beethoven e Schubert. Nel genere delle musiche di scena, realizzate per il teatro di prosa,
Mendelssohn scrive il Sogno di una notte di
mezza estate, per la commedia di Shakespeare.
Parte D
La storia
1 Il repertorio del dilettante
Non tutta la musica che si scrive nell’Ottocento è pensata per i virtuosi
dello strumento. A quel tempo, uno
dei divertimenti delle famiglie consisteva nel trovarsi a suonare insieme
i brani più attuali del momento.
Questa Età è anche quella che vede
fiorire una ricca pratica amatoriale,
soprattutto per il canto e per il pianoforte. Si contano a migliaia e migliaia i pezzi composti per essere alla
portata di ogni esecutore. Spesso questi pezzi si adattano per il pianoforte,
a due o a quattro mani: le musiche
orchestrali e operistiche allora in voga.
Piccolo concerto in casa:
protagonista è il pianoforte.
2 Nasce il recital
La parola recital per indicare un concerto nasce poco prima del 1840 in
Inghilterra. Recital vuol dire “recita”.
Un pianista del tempo ci racconta il
suo significato originario, il giorno che
si reca ad ascoltare Liszt.
Non ho potuto ascoltare di nuovo Liszt
se non a Londra nel 1840, quando
suscitò la perplessità del pubblico
annunciando un “Recital di pianoforte”. Questo termine che ora si accetta normalmente non era mai sta-
to usato prima, e la gente si chiedeva: “Cosa vuol dire? Come si può recitare sul pianoforte?”
Lo spiego subito.
Ai suoi recital Liszt, dopo aver suonato un brano in programma, aveva
l’abitudine di lasciare il palco e, scendendo nella platea, dove le sedie erano disposte in modo da permettere
di muoversi liberamente, camminava tra i suoi ascoltatori e conversava
con gli amici, con la garbata condiscendenza di un principe, finché si
sentiva pronto per tornare al pianoforte.
Charles Salaman,
Pianisti del passato, 1901
Una caricatura di Liszt in cui
una platea entusiasta composta
in prevalenza da donne lo applaude.
231
Unità 8
Il Romanticismo
Scenografia
per Anna Bolena
di Gaetano
Donizetti.
L’opera lirica diventa popolare
Puoi vedere
e ascoltare
qualche scena
da opere di Verdi
e Rossini nella
videocassetta
in dotazione
con questo testo.
Nell’Ottocento l’opera lirica diventa il genere
di spettacolo più importante e popolare. 3
Due erano i tipi: l’opera seria e l’opera comica. Gli argomenti della prima erano coerenti
con il nuovo spirito del Romanticismo: amori
contrastati, drammi di sangue, tradimenti, passioni patriottiche, storie di innocenti perseguitati, tutti soggetti che permettevano al compositore di rendere in musica le più accese emozioni. Gaspare Spontini (1774-1851) nella sua
opera La vestale canta un amore travagliato al
tempo dei Romani; Luigi Cherubini (17601842) nella Medea mette in musica il mito greco della donna che, abbandonata da Giasone,
per vendetta ne uccide i figli. Spontini riceve
da Napoleone un premio di diecimila franchi
per la sua opera; Cherubini verrà nominato,
dopo la caduta di Napoleone, direttore del Conservatorio di Parigi. 4
In Francia, dove Cherubini e Spontini passano
gran parte della loro vita, gli spettacoli operistici sono sontuosi, lunghi, arricchiti da balletti. È il genere del grand-opéra, caratterizzato da grandiose scene corali, dal fasto nelle
scenografie e da un gusto speciale per le trame fosche e truci. Il maestro di questo genere
è Giacomo Meyerbeer (1791-1864), con lavori come Gli Ugonotti e L’Africana.
L’opera seria
Scenografia
per Il barbiere
di Siviglia
di Gioachino
Rossini.
232
Il pubblico italiano preferisce un tipo di opera
seria meno pomposo, dove i personaggi mettono in mostra in modo diretto i loro sentimenti.
In questo genere si affermano Vincenzo Bellini (1801-1835) e Gaetano Donizetti (17971848). Anche loro si ispirano a grandi eventi
storici: Bellini in Norma racconta il tragico destino di una sacerdotessa romana abbandonata
dall’amante, Donizetti scrive opere sul triste
destino della regina Maria Stuarda o di Anna
Bolena. Ma quello che sta a cuore all’uno e
all’altro sono le situazioni patetiche: per renderle più evidenti agli ascoltatori, entrambi fanno cantare i personaggi su ampie melodie, semplici ma profondamente espressive.
Il vertice dell’opera seria italiana è tuttavia rappresentato da Giuseppe Verdi (1813-1901). Le
sue opere di carattere storico, tra cui Nabucco,
gli procurano subito una grande celebrità; a
queste seguono numerose opere che sono ancora oggi le più eseguite nel mondo intero: Rigoletto, Il trovatore, La traviata, Un ballo in
maschera, La forza del Destino, Aida, sino alla
grande modernità degli ultimi lavori: Otello,
eseguita nel 1887, quando Verdi aveva settantaquattro anni, e l’opera comica Falstaff, scritta a quasi ottant’anni.
L’opera comica
L’opera comica è l’altro importante genere di
teatro musicale. Gli argomenti trattati sono il
più delle volte storie di imbrogli a lieto fine.
Donizetti è autore di capolavori spassosi, tra i
quali L’elisir d’amore e Don Pasquale; quest’ultima ripropone uno degli argomenti prediletti fin dal Settecento: il vecchio spasimante di una bella ragazza è beffato dal rivale giovane, che alla fine se la sposa.
Un argomento simile è messo in musica nel
capolavoro di Gioachino Rossini (1792-1868),
Il barbiere di Siviglia. Rossini è il principale
compositore di melodrammi di inizio secolo:
nelle sue opere dedica una cura particolare all’orchestra, mentre la voce guizza in effetti scoppiettanti di vocalizzi e di note ribattute a gran
velocità. L’irresistibile effetto comico della sua
musica è reso proprio dalla straordinaria carica ritmica. Rossini, con il Guglielmo Tell e altri
lavori, si cimentò anche nel grand-opéra.
Parte D
La storia
3 Un’industria dello spettacolo
Nell’Ottocento, la musica strumentale fiorisce soprattutto fuori dall’Italia.
Nel nostro paese è il melodramma a
conquistare il grande pubblico. Si
costruisce una quantità di teatri, tanto che alla fine del secolo le sale che
offrono spettacoli d’opera saranno più
di mille!
Intorno al melodramma fiorisce una
vera e propria industria, gestita da
abili impresari. Compositori, cantanti, strumentisti sono ricercatissimi, fin
da giovani: proprio come oggi avviene per gli sportivi.
Raramente un’opera viene rappresentata per due anni di seguito, e così
i compositori lavorano ogni stagione,
producendo incessantemente nuovi
spartiti. E come oggi succede nello
sport, anche i musicisti dell’Ottocen-
to operano liberamente nei vari paesi europei: troviamo infatti musicisti
italiani che lavorano in Russia, in Germania, e soprattutto in Francia.
Rappresentazioni in due teatri europei
frequentatissimi nell’Ottocento:
a sinistra un balletto a Parigi, a destra
una rappresentazione teatrale a Vienna.
4 Chi ha ragione?
Mio caro Cherubini, sarete di sicuro
un eccellente musicista; ma a dire il
vero la vostra musica è così rumorosa e complicata che io non so che
farmene.
Napoleone Bonaparte
I gusti degli ascoltatori sono sempre
stati molto diversi fra loro. Ecco come
due importanti personaggi giudicavano la musica di Luigi Cherubini.
La vera arte non può perire. Il vero
artista prova un intenso piacere nelle grandi creazioni del genio. È quello che mi incanta quando ascolto
una vostra nuova composizione; in
realtà provo un ben maggior interesse in essa che non nelle mie stesse opere. In breve, vi ho a cuore e
vi onoro.
Ludwig van Beethoven,
Lettera a Cherubini, 1823
Mio caro generale, sarete di sicuro
un eccellente soldato; ma per quanto riguarda la musica, dovete scusarmi se io non ritengo necessario
adattare le mie composizioni alla
vostra capacità di comprensione.
Luigi Cherubini
Luigi Cherubini.
Da E. Bellasis, Cherubini, 1874
233
Unità 8
Il Romanticismo
Un concerto
diretto da Richard
Wagner.
L’opera tedesca
Thomas
Lawrence,
Ritratto di Carl
Maria von Weber,
1824.
234
Per tutto il XIX secolo, l’opera lirica costituì un
genere tanto popolare che a volte un musicista
allestiva una compagnia di cantanti e suonatori formata dai componenti della sua stessa
famiglia. Carl Maria von Weber (1786-1826)
comincia da bambino a cantare e suonare musiche operistiche. A soli diciotto anni
gli viene affidata la direzione dell’orchestra di Breslavia. Si butta allora in imprese che gli procurano soltanto guai economici, dai quali si
risolleva scrivendo i suoi capolavori
teatrali: Il franco cacciatore, Euriante, Oberon. Sono storie fantastiche,
popolate di fate, maghi, elfi; nel Franco cacciatore compare il diavolo in
persona, con cui il protagonista stringe un patto. Caratteristiche di queste opere sono non solo un infallibile senso dell’effetto teatrale, ma anche un gusto
originale per i colori orchestrali. Il suo senso
del teatro è così forte che anche quando scrive per gli strumenti sembra pensare ai loro giri
melodici come alle voci dei personaggi sulla
scena. Lo si avverte in particolare nei concerti
per clarinetto e orchestra, o per pianoforte e
orchestra, come nel celebre Invito al valzer.
Richard Wagner (1813-1883) raccoglie l’eredità di Weber nel valorizzare l’importanza dell’orchestra. Il suo ideale è un’opera d’arte totale: ossia uno spettacolo nel quale le parole, la
musica, persino la scenografia, devono essere
opera di una sola persona. Per questo scrive
tutti i libretti delle sue opere, e arriva a farsi
costruire un teatro pensato su misura per le
sue creazioni. Nella sua intenzione gli orchestrali, con i loro abiti moderni, non devono più
stare sul palcoscenico, vicini ai cantanti in
costume, come è sempre avvenuto prima: così
l’orchestra viene collocata al di sotto del palcoscenico. Il pubblico deve concentrarsi sui
personaggi cantanti, in religioso silenzio!
Assistere a un’opera per Richard Wagner è come
assistere a un rito: un rito nel quale viene esaltata un’umanità speciale, di grandi eroi. Per
questo il musicista trae i suoi argomenti dall’antica mitologia germanica, nella quale le
divinità competono con esseri umani di straordinario valore.
Anche le dimensioni delle sue opere si presentano eccezionali. Il suo Anello del Nibelungo
è un’immensa epopea che dura più di quindici ore, formata da quattro opere (Tetralogia):
L’oro del Reno, La walkiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei. 5
Parte D
La storia
5 Come Wagner costruisce le sue opere
Nelle sue opere Wagner associa un
particolare motivo musicale a ogni
personaggio, e anche a ogni oggetto
o situazione particolare: per esempio, la spada di Sigfrido, o l’incantesimo del fuoco. Così, se vuole far capire allo spettatore che un personaggio in quel momento sta pensando
alla scena dell’incantesimo del fuo-
co, gli basta introdurre il motivo corrispondente: questa tecnica prende
il nome di motivo conduttore (leitmotiv). Naturalmente il motivo introdotto non è sempre uguale: ogni volta è modificato in modo da adattarsi
alla nuova situazione.
Ecco allora come Wagner costruisce
le sue opere: combina fra loro i diver-
si motivi, ogni volta adattati. Pertanto, la musica che risulta non è più
una successione di pezzi ben separati e conclusi; è come un unico, lunghissimo discorso portato avanti dalle voci e dall’orchestra, che si conclude veramente solo alla fine di ogni
atto. Questo criterio prende il nome
di melodia infinita.
Il passato, la Storia, è per il Romanticismo un luogo in cui ci si rifugia
per allontanarsi dal presente, da una
realtà dura, che minaccia l’esistenza
materiale e spirituale dell’individuo.
Il romantico si rivolge al passato per
trovare una risposta a quei sogni e
desideri che il mondo in cui vive non
vuole soddisfare. E questo accade nel
quadro I vespri siciliani (sotto), dipinto nel 1822 da Francesco Hayez che,
per sottolineare l’esigenza di una lot-
ta per l’indipendenza dell’Italia, rappresenta un episodio della storia medievale italiana.
Il fatto avviene nel 1282: siamo a
Palermo, nella Sicilia che la dinastia
francese degli Angiò ha conquistato
nel 1266; un francese offende una
donna italiana e questo gesto scatena una rivolta del popolo siciliano, la
cosiddetta “guerra del Vespro”, che
caccia lo straniero dall’isola. Notiamo
che in Hayez prevale la rappresenta-
zione delle emozioni e dei sentimenti dei personaggi. Sia per la teatralità
dei gesti dei personaggi e di tutta la
scena, sia per le emozioni rappresentate, il quadro può essere considerato un esempio del sentimentalismo
tipico del melodramma italiano.
A questo stesso fatto storico si ispirò
Giuseppe Verdi per realizzare la sua
opera I vespri siciliani, messa in scena per la prima volta all’Opéra di Parigi nel 1855.
Unità 8
Il Romanticismo
Franz Schubert
(Austria, 1797-1828)
A differenza della maggioranza dei compositori, Schubert trascorre quasi tutta la
vita a Vienna, la città vicino a quella in cui è nato. Entra a undici anni come cantore della cappella imperiale e comincia a guadagnarsi da vivere facendo l’insegnante. Ma la musica è la sua irresistibile passione. A diciannove anni ha già composto cinque delle nove sinfonie che ci ha lasciato, quattro messe e tanta altra
musica, comprese alcune opere teatrali.
Ma il fanatismo del pubblico per la musica di Rossini lo spinge a trascurare il teatro e a dedicarsi soprattutto alla musica da camera. Quartetti, quintetti, musiche
per pianoforte sgorgano fluenti dalla sua penna, con una rapidità sorprendente. Il
suo nome è legato a un genere che durante l’Ottocento ebbe una straordinaria fioritura nei paesi tedeschi, il lied, la romanza per canto e pianoforte. Schubert ne
compone circa 600, tra cui spiccano Il re degli elfi, La trota, Serenata e le raccolte La bella mugnaia, Viaggio d’inverno e Il canto del cigno.
TRACCE
36 – 37
8
La canzone della trota
È uno dei lieder più famosi di Schubert. Il musicista lo scrisse tanto velocemente, una sera,
che l’inchiostro gli cadde sullo spartito, e per poco non cancellò l’intero lavoro. Il testo, del
poeta Christian Schubart, racconta una storiella da niente, quella di una trota che finisce
preda di un astuto pescatore. Trovi testo e musica alle pagine 244-245.
TRACCIA 36
La musica del pianoforte descrive il rapido guizzare del pesce, mentre la voce canta una
melodia di sapore popolare.
TRACCIA 37
Com’è la musica quando la poesia descrive la cattura? Segna le due risposte corrette:
• Il pianoforte ripete accordi secchi
• Il modo diventa minore
• La voce intona ancora una volta la melodia iniziale
TRACCE
38 – 44
8
Quintetto della trota: Andantino
Qualche tempo dopo aver composto La canzone della trota, Schubert ci costruì intorno sei
variazioni, e le collocò a chiudere una composizione da camera, il Quintetto per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso.
TRACCIA 38
All’inizio sentiamo la canzone eseguita solo dagli archi. Seguono le variazioni:
TRACCIA 39
Prima variazione
Il tema è affidato al pianoforte, mentre gli archi accompagnano con rapidi arpeggi.
TRACCIA 40
Seconda variazione
Tocca ora a viola e violoncello farci sentire il tema. Il violino sembra preso da una incontenibile frenesia.
E il pianoforte cosa fa?
• Fa eco al tema
• Raddoppia il tema
• Esegue rapidi arpeggi
236
Parte D
TRACCIA 41
La storia
Terza variazione
Si scende al registro più grave: ora è il contrabbasso a canterellare il tema, mentre il pianoforte si libra in spericolate acrobazie.
TRACCIA 42
Quarta variazione
Qui il tema appare mimetizzato, grazie anche a una grossa novità: non è più in modo maggiore, ma alterna il maggiore al minore. Schubert fa anche un’altra cosa; quale?
• Fa sentire prima solo gli archi, poi solo il pianoforte
• Alterna momenti in fortissimo ad altri in pianissimo
• Fa tacere violino e viola
TRACCIA 43
Quinta variazione
Il disegno del tema si confonde ancora di più. Mentre nelle prime variazioni risaltava chiaramente, ora bisogna “scoprirlo” nei giri degli strumenti: in particolare del violoncello. La
musica si fa ora più complessa. Il pianoforte suona per moto contrario: ossia mentre la
mano destra esegue accordi ascendenti, la mano sinistra vi si intromette con accordi discendenti.
TRACCIA 44
Sesta variazione
Se hai ascoltato attentamente la Canzone della trota, non farai fatica a scoprire cosa fa ora
Schubert: ci ripropone tale e quale la canzone, con il violino che esegue la parte del canto e con il pianoforte che ci fa sentire per l’ultima volta i guizzi del povero pesciolino.
Il castello
di Zeliz,
residenza
di campagna
degli Esterházy,
in cui Schubert
passò l’estate
del 1818.
Nella lunetta
centrale,
Schubert
è raffigurato
mentre
impartisce
una lezione
di pianoforte.
237
Unità 8
Il Romanticismo
Niccolò Paganini
(Italia, Genova, 1782-1840)
“Sulla ribalta abbagliante del Teatro di Vienna comparve l’uomo dal pallore spettrale, dai lineamenti devastati e con gli occhi fiammeggianti. Il suono del suo violino fu una scintilla elettrica che, all’improvviso, lo illuminò come un’apparizione miracolosa nel campo dell’arte. È una stregoneria: si rimane immobilizzati,
incatenati alle sue corde.” Così un giornale tedesco dell’Ottocento commenta un
concerto dato da Paganini. Paganini comincia a quindici anni la sua carriera di
straordinario virtuoso del violino, tanto da far nascere la leggenda che abbia stretto un patto con il diavolo. Oltre al violino, padroneggia altrettanto abilmente la
chitarra. E non è solo un esecutore, è anche compositore: ci ha lasciato una quantità di pezzi per violino, solo o accompagnato dalla chitarra o dal pianoforte, e
sei concerti con l’orchestra. Il violino stesso è nelle sue mani un’intera orchestra.
Ma il virtuosismo spiega solo il lato “diabolico” dello stile di Paganini. Ce n’è un
altro: ed è quello di una grande cantabilità, una vena lirica che lo accomuna ai
grandi melodisti del tempo, Rossini come Bellini.
TRACCE
45 – 49
238
8
Variazioni su un’aria di Rossini
Il gusto del canto viene a Paganini proprio dal melodramma. Il pubblico dei concerti strumentali chiedeva spesso agli esecutori delle paràfrasi di melodrammi, oppure variazioni sulle arie celebri. Paganini lo accontentava.
Gioachino Rossini disse una volta che se Paganini si fosse cimentato con l’opera sarebbe
stato per lui un concorrente ben pericoloso! Ogni sua musica ha i tratti musicali di una scena lirica.
Una volta sorprese la principessa Elisa Buonaparte improvvisandole una Scena amorosa tutta speciale: la parte della fanciulla era “cantata” sulla terza corda, quella del focoso amante sulla quarta (la corda più grave, che Paganini prediligeva). Della scena non abbiamo traccia, ma la musica che ascoltiamo qui ci mostra a quale punto potesse arrivare il suo estro.
Quando la eseguiva in concerto, Paganini toglieva davanti al pubblico le prime tre corde del
violino, e suonava sulla sola ultima corda rimasta.
L’aria di Rossini, da cui prende origine la composizione, è una preghiera tratta dall’opera
Mosè. È Mosè stesso a cantarla insieme ai congiunti e all’intero popolo ebraico, alla fine dell’opera: e Dio lo asseconda, spalancandogli davanti le acque del Mar Rosso.
TRACCIA 45
Paganini ci fa sentire prima l’intera aria, poi fa seguire quattro variazioni. Il tema si riconosce poco in queste variazioni. L’autore prende spunto dalla melodia rossiniana, ma poi
la tratta molto liberamente, cambiando ogni volta il ritmo.
TRACCIA 46
Nella prima variazione adotta un ritmo saltellante.
TRACCIA 47
La seconda si svolge su un ritmo più scorrevole, con rapidi glissandi sulla corda.
TRACCIA 48
Nella terza il passo si fa trotterellante.
Riconosci in questa variazione un curioso passaggio ottenuto con l’archetto sul ponticello:
qual è il risultato?
• Note molto gravi
• Note molto acute
• Glissandi
TRACCIA 49
L’ultima è la più rapida, e conduce a un presto palesemente destinato a strappare l’applauso.
Parte D
Fryderyk Chopin
La storia
(Polonia, 1810-1849)
Nato a Varsavia da una famiglia di origine francese, è, come Mozart, un bambino prodigio, capace di improvvisare al pianoforte con notevole abilità e gusto. E
per il pianoforte Chopin scrive quasi esclusivamente le proprie composizioni: ballate, mazurke, valzer, studi, sonate e tante altre. Il pianoforte è lo strumento che
gli permette di esprimere tutte le sfumature emotive del suo spirito sensibile, e
che accompagna le tormentate vicende della sua esistenza.
Nel 1837 il padre della fidanzata Maria si oppone drasticamente alle nozze. Chopin si trova a Parigi, e cade in uno stato di forte depressione psicologica: compone allora la celebre Marcia funebre, che più tardi include nella sua seconda sonata per pianoforte. Si lega alla poetessa George Sand: ma la relazione è burrascosa e finisce malamente.
Quando muore, a Parigi, dopo l’ultima tournée pianistica in Inghilterra, una folla
immensa segue il suo funerale: il corpo è sepolto a Parigi, ma il cuore, racchiuso
in un’urna, viene portato nella sua Varsavia.
TRACCE
1–5
9
Cinque preludi op. 28 no 4, 3, 10, 11, 16
Ciò che fa di Chopin uno dei compositori romantici più amati e conosciuti dal grande pubblico è la capacità di raccontare se stesso attraverso la musica e di fare del pianoforte un
tramite per aprire agli altri il proprio mondo interiore. L’intensità emotiva colpiva a tal punto i primi ascoltatori da generare nei critici musicali tradizionalisti l’idea che la musica di
Chopin contenesse qualcosa di “malato”. “Quale potrebbe essere la particolare influenza
della sua musica in chi ne facesse uno studio esclusivo?” si chiedeva un critico. “Non esitiamo a dire: sarebbe dannosa. Chopin è un malato, un malato che si compiace della sua
sofferenza e non vuole essere guarito. È pericoloso abbandonarsi al fascino della musica di
Chopin. Bisogna sottrarsi in tempo alla tristezza sterile ch’essa provoca.”
TRACCIA 1
Preludio no 4 Questa tristezza traspare nel primo dei cinque Preludi che ascoltiamo. Proviene dalla raccolta di 24 Preludi che Chopin scrisse prendendo a modello la raccolta di
24 preludi di Bach. Ma lo spirito è ora completamente cambiato. È un canto doloroso, sostenuto dai pesanti accordi ripetuti dalla mano sinistra.
Il canto si ripete in un crescendo d’intensità e di movimento, fino a un culmine drammatico: dopo di che torna a rinchiudersi nella mestizia con cui era iniziato.
TRACCIA 2
Preludio no 3 Ma solo pochi Preludi di questa raccolta ci parlano di “tristezze”. Ognuno ha un
suo carattere speciale. Il prossimo è più solare e scorrevole. Mentre nel preludio precedente la
melodia si presentava chiaramente sopra l’accompagnamento degli accordi, qui la nuova melodia è avvolta in un pulviscolo di suoni: come una linea che si staglia sulle trine di un ricamo.
TRACCIA 3
Preludio no 10 Questo preludio è come una festosa danza, formata da un semplice motivo
eseguito due volte. Come si presenta la seconda volta?
• Come la prima
• Chiude in accelerando
• Chiude in rallentando
TRACCIA 4
Preludio no 11 È il più semplice: ha il carattere di una preziosa canzonetta.
TRACCIA 5
Preludio no 16 Qui si rivela un aspetto della personalità di Chopin che esaltava il pubblico:
l’accesa passionalità. Le mani percorrono in su e in giù la tastiera in una corsa vertiginosa.
Non c’è più una melodia che si possa cantare: è come un fuoco che divampa senza sosta.
239
Unità 8
Il Romanticismo
Robert Schumann
Il primo
numero della
Nuova Rivista
Musicale
fondata
da Schumann,
uscito
il 3 aprile 1834.
TRACCE
6 – 13
9
Clara Wieck.
240
(Germania, 1810-1856)
Nato in una famiglia di persone amanti della letteratura e della musica, Schumann
è a lungo combattuto, incerto su quale delle due arti scegliere. Legge con grande
foga le maggiori opere dei poeti tedeschi, e abbozza un romanzo e una tragedia. Ma
quando a Francoforte sente suonare Paganini, rompe ogni incertezza e si dedica definitivamente alla musica: anche lui vuole diventare un grande virtuoso del pianoforte.
Nella casa del suo maestro di pianoforte, Friedrich Wieck, conosce la giovane Clara, figlia del maestro, anche lei pianista e compositrice; fra i due nasce un amore
intenso. Ma Wieck non vuole saperne di dare Clara in moglie a Robert: e questo procura al giovane grandi sofferenze. Solo dopo che si è affermato come pianista e compositore Schumann potrà sposare Clara. Ma la sua ambizione di ottenere sul pianoforte risultati acrobatici, gli procura un grave danno alla mano, tale da costringerlo a interrompere la carriera di interprete.
Da allora si dedica alla composizione. Nasce
una quantità di opere per il pianoforte, composizioni da camera, 4 sinfonie, il Concerto per pianoforte, e diverse appassionate raccolte di lieder: Amore e
vita di donna, Amor di poeta, Mirti. Le sue musiche
sono dominate da uno spirito acceso e visionario, che
non sempre il pubblico apprezza. Scrivendo articoli di
critica musicale e fondando una rivista, la Nuova Rivista Musicale, Schumann sostiene la causa della propria musica e di quella degli altri compositori che come
lui aprono alla musica strade nuove. La sua dedizione alla musica è così intensa che finisce per condurlo
alle soglie della pazzia: nel 1854 tenta il suicidio, e
viene internato in una casa di cura, dove si spegne a
quarantasei anni.
Concerto per pianoforte e orchestra
op. 54: Allegro affettuoso
Schumann compose questo concerto fra il 1841 e il
1844, anni per lui fecondi e sereni. Il matrimonio con
Clara Wieck si è finalmente celebrato, le sue musiche
cominciano a essere apprezzate. Clara è tra le prime a
eseguire questo concerto, come avviene in una memorabile esecuzione a Dresda, dove l’orchestra è diretta
da Felix Mendelssohn.
Nella sua struttura d’insieme, il Concerto di Schumann
si attiene accuratamente alla logica architettonica della tradizione classica: due Allegri con in mezzo un
Andantino. Ognuno dei due Allegri è nella rigorosa tripartizione della forma sonata: Esposizione – Sviluppo
– Ripresa fedele dell’Esposizione: il tutto coronato da
un’ampia Coda. Ma sentiamo come Schumann tratta
in modo personale questo modello.
Parte D
La storia
Esposizione
TRACCIA 6
La composizione si apre con un’introduzione energica e serrata del pianoforte, su cui si staglia il primo tema (a), eseguito dai fiati, che il pianoforte ripete subito:
TRACCIA 7
Il clima si riscalda, con la scorrevole melodia dei violini, sul fluente arpeggiare del pianoforte:
TRACCIA 8
Cerchiamo ora il secondo tema. In un tradizionale Allegro di sonata impostato in modo
minore, il secondo tema si trova di solito quando la musica passa al più aperto modo maggiore. Ebbene, nella zona di modo maggiore di questo Allegro noi non troviamo un tema
nuovo, ma lo stesso tema a, con il modo cambiato.
Schumann ci ripropone il tema perennemente trasformato: come un personaggio emotivamente acceso, che si ripresenti sulla scena ogni volta imprevedibilmente diverso da se
stesso.
Sviluppo
TRACCIA 9
Quanto in là si spinga Schumann nella trasformazione del suo protagonista lo rivela il gesto
inatteso di introdurre lo Sviluppo con un episodio a velocità andante. E anche qui è il nostro
tema a figurare, mutato anche nella misura: non più binaria come prima, ma ternaria; giocata in un affettuoso scambio tra pianoforte e clarinetto, mentre i violini fanno eco a ogni
frase:
L’effetto è di pacificazione, di appagamento: giusto l’opposto di quell’aumento di tensione
che caratterizza gli sviluppi degli Allegri classici.
TRACCIA 10
Lo Sviluppo continua appassionato. La melodia principale è eseguita dai fiati, fusi con il
pianoforte.
Ripresa
TRACCIA 11
Dopo la ripetizione della prima parte Schumann ci porta in un altro mondo espressivo.
TRACCIA 12
Il pianoforte dialoga fra sé e sé, teneramente: la poesia e il vagabondare assorto hanno il
sopravvento sul virtuosismo.
TRACCIA 13
Giungiamo alla sezione conclusiva, la Coda. Solo il primo inciso del tema viene utilizzato,
ripetuto con foga sempre crescente. L’andamento si fa marziale. Quali sonorità emergono
qui maggiormente?
• Pianoforte
• Legni
• Ottoni
• Archi
241
Unità 8
Il Romanticismo
Richard Wagner
(Germania, 1813-1883)
Molti musicisti hanno incominciato la loro carriera da bambini. Wagner invece studia regolarmente musica solo a partire dai diciassette anni, e matura in fretta il proprio talento. Anche in Germania la musica che va per la maggiore presso il grande pubblico è l’opera, in particolare l’opera italiana. Wagner comincia già a vent’anni a scrivere opere secondo il gusto italiano.
Presto però le sue aspirazioni cambiano rotta: nella sua mente va vagheggiando
un tipo nuovo di opera lirica, più vicina ai modi del teatro di prosa. Il primo tentativo in questo senso è l’opera Il vascello fantasma. Anche gli argomenti delle opere devono essere diversi da quelli della tradizione italiana: Wagner trova la sua
grande fonte letteraria nelle leggende dell’antica epopea germanica. A questa si
ispirano Tannhäuser e Lohengrin.
Non è facile tuttavia far accettare al pubblico drammi così nuovi, nuovi nella musica e nel testo (Wagner è anche l’autore dei libretti). Il musicista si trova costretto
a difendere le sue idee in numerosi libri tra i quali Opera e dramma. È solo nel
1864 che la sua vita cambia: Wagner incontra il re Luigi II di Baviera, che diventa un fanatico sostenitore dei suoi ideali, fino al punto da costruirgli, a Bayreuth, un teatro nel quale
rappresentare esclusivamente le sue opere. Il teatro è attivo ancora oggi. Nascono in questi anni la grande epopea dell’Anello del Nibelungo, il dramma passionale Tristano e Isotta
e l’opera satirica I maestri cantori di Norimberga. Nell’ultimo periodo della sua vita Wagner
coltiva ideali mistici, di cui è documento l’ultima sua opera, Parsifal: la storia del cavaliere senza macchia, custode del sacro Graal.
TRACCE
14 – 20
242
9
Il mormorio della foresta
In questa opera che celebra le imprese sovrumane di Sigfrido, il leggendario eroe della Saga
dei Nibelunghi, Wagner presenta il giovane guerriero alle prese con la magia stupefacente
di un bosco a primavera, quando gli uccelli cantano e le brezze fanno dolcemente stormire le fronde degli alberi. Questa scena rappresenta in modo unico l’ideale tedesco che vede
nella natura le risposte ai dubbi umani. Sigfrido, che ha appena ucciso il terribile Drago,
interroga gli uccelli e questi gli rivelano le trame che i suoi nemici stanno ordendo contro
di lui. Così saprà affrontarli e vincerli.
TRACCIA 14
Per questa scena, Wagner ha scritto un brano orchestrale che inizia con il cupo mormorio
dei violoncelli: il senso della natura che palpita, del vento che stormisce, dei ruscelli che
scendono giù per la selva.
Su questo mormorio si insinua un motivo sommesso del clarinetto, ripetuto dal corno; lo
riprende il clarinetto. Ecco il motivo. È il tema del Fato, che incombe su tutta la vicenda:
TRACCIA 15
Quale strumento lo continua, con un nuovo tema?
• Il flauto
• Il corno
• I violoncelli
TRACCIA 16
L’atmosfera si riscalda. Sigfrido sente il desiderio di parlare con gli uccelli, e il miracolo si
compie. Trilla l’oboe; gli risponde il flauto: Wagner imita qui proprio il richiamo degli uccelli. Ma non è un canto privo di senso per un orecchio umano: Sigfrido capisce.
Parte D
La storia
TRACCIA 17
Wagner realizza questo effetto trasformando il richiamo dell’uccello in un vero e proprio
canto, un canto festoso e rassicurante. È il clarinetto a eseguirlo:
TRACCIA 18
Ora anche l’oboe aggiunge un suo canto ancora più spensierato:
TRACCIA 19
Il dialogo fra i tre strumenti (clarinetto, oboe, flauto) continua a lungo. Sono le voci che
raccontano all’ignaro Sigfrido ciò che sta succedendo intorno a lui. Cresce l’emozione, crescono lo stupore di Sigfrido e la sua voglia di cimentarsi con i nemici.
TRACCIA 20
Sul fondo dei mormorii della foresta echeggia un tema eroico: il tema stesso di Sigfrido
guerriero:
A poco a poco la scena si placa. Sigfrido può abbandonarsi al sereno incanto della natura.
Herman
Hendrich,
Sigfrido lotta
contro il drago.
243
Unità 8
Il Romanticismo
Esperienze
Il mondo dell’opera lirica raccoglie intorno a sé una quantità di appassionati.
Ancora oggi si allestiscono nei principali teatri del mondo spettacoli d’opera. Conduciamo
un’inchiesta sul mondo dell’opera: chi organizza gli spettacoli? Chi sono i cantanti più
apprezzati? Quali opere vengono più rappresentate oggi?
PORTFOLIO
Le opere italiane del teatro di prosa occupano uno spazio minimo nei cartelloni dei teatri
stranieri. Non è così per l’opera lirica: le opere italiane sono le preferite, anche se vengono cantate in italiano. È grazie all’opera lirica che la nostra lingua è conosciuta all’estero.
Facciamo una verifica, cercando su riviste e in Internet i cartelloni dei teatri d’opera stranieri (vedi anche “Viaggi musicali in Internet”, pag. 146).
Eseguiamo anche noi
Franz Schubert, La canzone della trota.
244
Parte D
1. Nell’acqua trasparente guizzava proprio a me vicin
un pesciolin lucente, felice del suo destin.
Mi siedo allora sulla sponda, lo guardo, e lui che cosa fa?
Si lascia andare all’onda, poi salta qua e là.
La storia
3. Ma perde la pazienza il pescator:
intorbida il torrente e allor come ha fatto, chi lo sa?
La trota presto abbocca. Oplà, ha finito di guizzar.
4. Con un limone in bocca nel desco finirà.
2. Ma un pescator la lenza s’accinse allora ad apprestar
A tavola vieni che si mangia, la cena è pronta già.
e con indifferenza lo stava ad osservar.
“Se l’acqua resta sempre chiara, pensai, per lui non v’è timor:
invano si prepara quell’amo traditor.”
ricapitoliamo
Nel primo Ottocento si afferma in Europa il bisogno
di libertà, individuale e sociale. Gli artisti aspirano a
sentirsi liberi dalle regole codificate e a esprimere la
propria interiorità. Romanticismo è il nome che si dà
a questo movimento culturale.
Il pianoforte è lo strumento ideale che permette a un
solo musicista di esprimere le sfumature degli stati
d’animo. Il lied, canto accompagnato dal pianoforte,
ha una straordinaria fioritura nei paesi tedeschi.
Si afferma il gusto per il virtuosismo strumentale in
tutti gli strumenti, ma specialmente nel violino e nel
pianoforte.
Si compongono numerose musiche a programma, in
particolare poemi sinfonici, musiche che descrivono
situazioni o raccontano storie.
Il melodramma diventa in Italia il genere musicale più
diffuso e popolare. Operisti italiani lavorano per i principali teatri europei.
Mentre in Italia, soprattutto per merito di Giuseppe
Verdi, si preferisce un melodramma che dà importanza ai sentimenti dei personaggi, in Francia si afferma
il grand-opéra, uno spettacolo fastoso, ricco di scene
corali e di danze.
All’opera seria si affianca l’opera comica, che ha il suo
insuperato protagonista in Gioachino Rossini.
In Germania Richard Wagner crea complesse opere
totali (ossia scrive lui stesso le parole, la musica, le
indicazioni per le scenografie); il motivo conduttore e
la melodia infinita sono caratteristiche del suo stile.
245
9
L’Età delle Scuole nazionali
1853
Il Giappone si
avvia a diventare
una grande
potenza
1861
Proclamazione
del Regno
d’Italia
1861
Inizia la guerra
di secessione
americana
La testimonianza
Un importante aspetto caratterizza la nostra nuova scuola: la sua ricerca di un carattere nazionale. Non lo si può
trovare in alcun’altra scuola europea: lì il canto popolare, l’espressione spontanea e diretta del popolo, va scomparendo. Una volta esisteva, ma ci è passata sopra la
falce livellante della cultura europea, così nemica di tutto ciò che sta alle radici della musica popolare, tanto che
ora occorrono gli sforzi di archeologi musicali per scovare i resti dei vecchi canti popolari in qualche remota
provincia. Da noi in Russia la faccenda è tutta diversa.
I canti popolari riempiono l’aria in ogni luogo. Ogni contadino, ogni carpentiere, ogni muratore, custode, cocchiere, ogni lavandaia, ogni cuoca, ogni balia: tutti portano i loro canti nativi nelle città. Quasi tutti i più significativi compositori russi, come Musorgskij e Rimskij-Korsakov, nati nelle campagne, hanno subito la profonda
influenza di questi canti, e ora possono creare la musica a loro più congeniale e cara, cioè nello stile popolare
russo. Per essere nazionale infatti, per esprimere l’anima
e lo spirito di una nazione, la musica deve assorbire linfa dalle radici della vita di un popolo.
Vladimir Stasov, Opere scelte, 1894 (adattamento)
1871
Guglielmo I
imperatore
di Germania
1909
Parte il primo
Giro d’Italia
Lo stile “universale” del Settecento
lascia il posto a stili nazionali
Fino alla metà dell’Ottocento, il tipo di linguaggio musicale era simile in tutti i paesi europei: in Italia come in Germania, in Francia come
in Boemia i musicisti parlavano per così dire
una medesima lingua. Lo stile musicale era
“universale”. Per esempio la forma-sonata era
un modello praticato dappertutto. Ciò era vero
per i musicisti “classici”, quelli che proponevano le loro opere nelle corti e nelle sale da
concerto. Fra le classi più umili in città, e soprattutto in campagna, non era così: ogni popolo
aveva usanze, canzoni, danze, folklore diversi da quelli di ogni altro popolo.
I compositori della seconda metà dell’Ottocento
non accettano più di parlare tutti la medesima
lingua musicale: eccoli impiegare certe forme
tipiche del folklore. In questo modo sentono di
valorizzare le tradizioni del proprio paese.
La Scuola russa
La Russia si era aperta nel Settecento alla cultura occidentale: il genere musicale che più
conquistava i gusti del pubblico aristocratico
era il melodramma, specialmente italiano.
Numerosi musicisti italiani erano così invitati
alla corte imperiale.
È solo verso la metà dell’Ottocento che anche
in Russia si creano scuole superiori di musica,
con l’intenzione di promuovere una produzione musicale nazionale. Si scrivono i primi melodrammi in lingua russa e su argomenti tratti
dalla storia russa. Intorno al 1860 un gruppo
di musicisti, che si autoproclama L’invincibile banda (il cosiddetto Gruppo dei Cinque) si
propone di contrastare il predominio della musica tradizionale occidentale, e di valorizzare
invece l’originalità espressiva del popolo russo. Il gruppo era costituito da: Musorgskij, Rimskij-Korsakov, Balakirev, Cui e Borodin.
Parte D
Nella seconda metà dell’Ottocento lo
sviluppo industriale iniziato in Inghilterra si estende a tutto il continente,
favorito da una serie di grandi scoperte scientifiche e di novità tecniche.
Mezzi di trasporto sempre più veloci
facilitano i collegamenti, si formano
le prime grandi metropoli abitate dal
proletariato e da una borghesia che
con lo sviluppo dell’industria diviene
la classe dominante.
Il benessere in cui la borghesia si adagia fa coniare per l’epoca tra Ottocento
e Novecento l’espressione Belle époque. Italia e Germania, finalmente
indipendenti, diventano anch’esse
protagoniste della politica internazio-
In piena Belle époque, al Teatro
alla Scala di Milano va in scena
il Ballo Excelsior che è un inno al
progresso. A destra, il frontespizio
di una raccolta di disegni che illustrano
la rappresentazione.
Molti compositori attingono largamente le loro melodie al repertorio
dei canti popolari dei diversi paesi.
Altri invece, come Johannes Brahms,
rimangono più legati alla tradizione
dei motivi brevi, da sviluppare sapientemente, che era tipica di Beethoven
e dei suoi successori. Anche le danze popolari nazionali offrono molto
materiale al rinnovamento dei ritmi.
Troviamo ritmi instabili, che tendono
a volte a evitare i regolari accenti della misura: soprattutto nei paesi emergenti dell’Est europeo. Mentre Wagner
La storia
nale, dominata dalla Francia e dall’Inghilterra.
La seconda metà dell’Ottocento è
quella in cui anche gli artisti e le persone di cultura esaltano le tradizioni
del proprio paese: l’identità nazionale del popolo, la sua cultura, sono
considerati l’unico antidoto contro
una società industriale in cui conta
solo il denaro.
adoperava le modulazioni in forma
esasperata per creare uno stato di
continua tensione, i compositori dell’Est cercano bruschi contrasti di tonalità, mediante un uso drammatico delle dissonanze.
Per quel che riguarda la forma: le
costruzioni dell’età classica si basavano sulla tensione che si crea fra la
tonica e la dominante: si partiva dalla tonica (stato di quiete), si passava
alla dominante (tensione) per concludere acquietandosi sulla tonica.
Ora si tende, anche nei pezzi in forma-sonata, a disporre l’uno dopo l’altro blocchi equivalenti e autonomi,
costruiti su un confronto più libero di
idee musicali diverse.
Una riunione di musicisti russi tra
i quali si riconoscono gli appartenenti
alla “Invincibile banda”. Da sinistra:
Musorgskij (di fronte alla cantante),
Rimskij-Korsakov (con in mano uno
spartito), Stasov e Cui (in piedi), Borodin
(seduto con le gambe accavallate).
247
Unità 9
L’Età delle Scuole nazionali
Scenografia
realizzata da
Konstantin Korovin
(1861-1939),
famoso pittore
e scenografo russo,
per il primo atto
del Boris Godunov
di Musorgskij.
Gli ideali dei “Cinque”
Smetana
in una curiosa
incisione
che lo vede ritratto
al centro
di un gruppo
di orchestrali.
248
Le opere dei compositori russi, scritte per il teatro ma anche per orchestra e complessi da camera, non solo si ispirano alla storia del loro paese, ma utilizzano anche motivi popolari russi.
I più illustri sono Aleksandr Borodin (18331887), Nikolaj Rimskij-Korsakov (1844-1908),
e il più originale e geniale, Modest Musorgskij
(1839-1881). Il massimo capolavoro musicale
scritto con quegli intenti è l’opera Boris Godunov di Musorgskij. Il loro stile influenzerà le
successive generazioni di compositori, contribuendo a rinnovare profondamente il linguaggio musicale del Novecento. 1
Ma non tutti in Russia erano favorevoli a staccarsi dalla tradizione occidentale. Soprattutto Pëtr Il’ic Cajkovskij (1840-1893), da un lato
riprende gli ideali dei “Cinque”, per esempio con l’Ouverture 1812, che esalta la
vittoria dei Russi sull’armata di Napoleone nel 1812;
dall’altro scrive sinfonie e
concerti di impianto tradizionale, in cui inserisce momenti di intensa emotività,
come avviene nella celebre
Sinfonia patetica. Dall’Occidente assorbe anche
la grazia dei ritmi di danza e il gusto per le
melodie cantabili, che impiega con i suoi balletti (La bella addormentata, Il lago dei cigni,
Schiaccianoci). 2
In Boemia e in Scandinavia, fra
tradizione occidentale e spirito locale
Anche negli altri paesi dell’Est europeo i musicisti tendono a fondere la tradizione operistica
e sinfonica occidentale con gli elementi della
loro civiltà. La scuola più stimata è quella boema. In Boemia un musicista come Bedrich Smetana (1824-1884) scrive la prima grande opera nazionale ceca, La sposa venduta, e un ciclo
di poemi sinfonici che intitola La mia patria:
tra questi emerge La Moldava, che descrive il
corso del fiume, affluente del Danubio. Una
generazione dopo, è Antonín Dvorák (18411904) a portare avanti l’insegnamento di Smetana. Alla sua patria dedica una brillante raccolta di pezzi sinfonici, le Danze slave. 3
Nei paesi nordici la sintesi fra tradizione e spirito locale è opera di compositori come il norvegese Edvard Grieg (1843-1907), che raggiunge la più alta fama quando il massimo scrittore norvegese, Henrik Ibsen, lo invita a scrivere le musiche di scena per la commedia Peer
Gynt, basata su elementi delle leggende popolari scandinave.
Parte D
1
Il musicista chirurgo
La vita musicale nella Russia dell’Ottocento era così povera che un compositore non poteva vivere solo delle
sue opere, ma doveva cercarsi un
altro lavoro.
Aleksandr Borodin era scienziato e
chirurgo. Ma che la sua passione fosse molto più la musica che la chirurgia lo rivela un fatto che gli capitò in
ospedale. Un giorno gli si presentò il
cocchiere di un alto ufficiale a cui era
rimasto per traverso un osso di pollo. Mentre Borodin lo operava, l’ar-
2
nese malandato che stava utilizzando si ruppe nella gola del paziente. E
il musicista-chirurgo ci mise un po’
per liberarlo.
Racconta Borodin: “Il cocchiere mi
si buttò in ginocchio, e io durai fatica a non fare lo stesso. Pensate cosa
mi sarebbe successo se la pinza gli
si fosse conficcata in gola! Sarei passato per la corte marziale e spedito
difilato in Siberia!”
Aleksandr Porfirievic Borodin.
La doppia vita dell’artista
Nel momento della creazione, è indispensabile all’artista la massima tranquillità: si inganna chi crede che un
artista sia in grado di esprimere le
sensazioni che prova nel momento
stesso dell’emozione. Tanto i sentimenti di gioia quanto quelli di tristezza
non si possono rendere se non retrospettivamente.
Io sono capace di lasciarmi prendere da un estro creativo pieno di serenità e di letizia senza avere una particolare ragione di gioia; come al contrario comporre un’opera dalle tinte
fosche e malinconiche in un momento assolutamente pacifico.
3
La storia
In altre parole, l’artista ha come due
esistenze: quella dell’uomo comune
e quella dell’artista; esistenze che non
sempre si accordano. Comunque sia,
la condizione essenziale per creare
è questa: liberarsi da tutte le preoccupazioni della vita quotidiana e
abbandonarsi totalmente all’altro tipo
di vita, la vita dell’arte.
Pëtr Il’ic Cajkovskij,
Lettera a Nadesha von Meck, 1878
Pëtr Il’ic Cajkovskij.
Lo spirito slavo
Tutte le composizioni di Dvorák sono
segnate da un particolare carattere:
sono nostre, sono ceche, sono slave.
Tuttavia il carattere slavo della musica di Dvorák emerge in un modo speciale, senza affettazione: la semplicità naturale della sua musica è la
magia che cattura l’ascoltatore.
Dvorák non è il primo a imprimere
alla musica il carattere slavo, ma la
sua originalità sta nell’incantevole
inventiva melodica, mentre l’effetto
d’insieme è elettrizzante. Dvorák è
l’araldo della patria ceca, ché è stato capace di portare la nostra arte
all’attenzione degli ambienti più ampi.
Da un articolo pubblicato
sulla rivista ceca La Lira, 1892
Antonín Dvorák.
249
Unità 9
L’Età delle Scuole nazionali
In Francia alla tradizione teatrale si
affianca una nuova scuola sinfonica
Il costume
di Plutone,
cocchiere
degli Inferi
per l’operetta
Orfeo all’Inferno
di Offenbach.
Il pubblico francese continua a prediligere gli
spettacoli sontuosi del grand-opéra. Ma si fa
strada anche il gusto per vicende ispirate alla
realtà più quotidiana, alle storie di sentimenti
e di passioni sul genere della Traviata di Verdi. Charles Gounod (1818-1893), con il suo
Faust, ricorre alla storia grandiosa del pensatore che stringe il patto col diavolo: però quello che gli sta più a cuore sono i sentimenti
anche più teneri dei suoi personaggi. Georges
Bizet (1838-1875) con la sua Carmen, il capolavoro del teatro francese ottocentesco, non esita a mettere in scena la drammatica e realistica vicenda di un amore travolgente. Camille
Saint-Saëns (1835-1921) è autore, oltre che dell’opera Sansone e Dalila, anche di una quantità di musiche strumentali rispettose della tradizione classica, e di pagine spiritose come il
celebre Carnevale degli animali. Più intime e
delicate sono le opere di Jules Massenet (18421912), come Manon e Werther.
Un musicista che scrive poco per il teatro
è invece Gabriel Fauré (1845-1924),
che si dedica soprattutto alla
musica da camera, per piccoli
complessi, per pianoforte, per
il canto; il suo Requiem è pervaso da una spiritualità serena e
classicheggiante.
In Francia e Austria
fiorisce l’operetta
Il can can.
250
Dopo il 1870, anno in cui la Francia è sconfitta dai Prussiani, inizia
un felice periodo di pace. È la cosiddetta Belle époque. I popoli sono stanchi di guerre e amano divertirsi con spettacoli leggeri e divertenti. Da una ventina d’anni
fiorisce un genere di teatro musicale che mette in burla i costumi e le abitudini del tempo:
l’operetta. Ora questo genere raggiunge un successo strepitoso. Qui i dialoghi sono per metà
parlati, per metà cantati su musiche facili e
orecchiabili.
Jacques Offenbach (1819-1880), il più famoso
autore di operette, ne compone più di cento. A
volte si diverte a prendere in giro i miti greci,
come in Orfeo all’Inferno: Orfeo scende nell’Oltretomba a supplicare che gli restituiscano
Euridice, morta da poco; ma le divinità infer-
nali se ne guardano bene, e organizzano una
grande festa nella quale Euridice ballerà insieme a tutti gli altri una danza scatenata, il celebre can can. L’operetta fiorisce anche in Austria,
soprattutto per merito di Johann Strauss junior
(1825-1899), famoso, tra l’altro, per i suoi innumerevoli, gioiosi valzer: operette ancora oggi
rappresentate sono Il pipistrello e Sangue viennese. L’operetta continuerà a godere di una grande fortuna anche nei primi decenni del Novecento, in cui si afferma l’ungherese Franz Lehár
(1870-1948), con la sua Vedova allegra.
In Germania ai continuatori di Wagner
si contrappongono musicisti legati
al mondo classico
In Germania, Richard Wagner domina le scene. Il suo linguaggio passionale e grandioso ispira i musicisti più giovani, in particolare Anton
Bruckner (1824-1896), che lo riprende nelle
sue sinfonie e nelle numerose composizioni
sacre, permeate di una intensa spiritualità.
Ma non tutti sono favorevoli a uno stile musicale così carico di emozioni.
Nei paesi tedeschi ci sono musicisti che preferiscono uno stile più severo; e per realizzare il
loro ideale riutilizzano le forme della tradizione classica, basate sulla forma-sonata. Il più
importante compositore di questa tendenza è
Johannes Brahms (1833-1897), autore di quattro sinfonie, di concerti e di una ricca collana
di musiche da camera. Nella sua musica però
non si sente solo la grande abilità costruttiva:
si avverte un mondo di sentimenti, ora patetici, ora tragici, ora festanti, che Brahms lascia
trapelare con discrezione, senza farli esplodere, come fa invece Bruckner. 4 5
Parte D
4
Foto con dedica
no mandò la moglie a chiedergli una
sua foto con tanto di autografo. Pochi
giorni dopo Brahms le consegnò un
ritratto sul quale aveva abbozzato le
prime battute del valzer Sul bel Danubio blu; sotto c’era la sua firma,
preceduta dall’esclamazione: “Ahimè, non sono di Johannes Brahms!”
Bruckner aveva un carattere ingenuo
come quello di un bambino, e credeva a tutto quello che gli dicevano.
Approfittando della sua assenza per
il pranzo, i suoi allievi decisero di organizzare uno scherzo. Bruckner aveva un cagnolino di nome Mops: gli
allievi gli suonavano ogni giorno, in
continuazione, un tema di Wagner, e
a ogni ripetizione gli davano una pacca e lo cacciavano. Poi gli suonavano l’inizio del Te Deum di Bruckner,
e nel frattempo lo coccolavano e gli
davano un boccone dei loro panini.
Inutile dire a quale delle due musiche andasse la preferenza di Mops.
Quando fu addestrato per bene,
scattò l’operazione.
“Caro maestro, sappiamo quanto voi
siate devoto a Wagner, ma noi crediamo che la vostra musica valga molto di più. Anche un cane è in grado
di riconoscerlo!” Il maestro arrossì,
ma li prese sul serio: li rimproverò,
ripetendo che Wagner era il più grande musicista mai esistito. Ma fu anche
incuriosito per come un cane potesse avere preferenze.
Era il momento che gli allievi aspettavano. Suonarono il tema di Wagner,
e si vide Mops precipitarsi fuori della stanza. Poi alle note del Te Deum
il botolo rientrò di corsa scodinzolando, e si sollevò sulle zampe posteriori davanti al pianoforte. Bruckner
ne fu commosso.
A metà dell’Ottocento un gruppo di
pittori francesi, fra i quali spicca Daumier, decide di farla finita con il modo
di dipingere dominante: abbandonano i tradizionali temi mitologici e storici per cogliere la realtà presente.
Nasce così il Realismo, un movimento
che influenza tutta l’arte. Il popolo,
colto nei suoi momenti di vita quotidiana, è il soggetto preferito dai rea-
listi, che lo rappresentano in modo
oggettivo, addirittura calcando la mano
sulla sua “bruttezza”, che viene in
questo modo valorizzata.
Anche i pittori tradizionalisti, per
esempio Bouguereau, si cimentano
con lo stesso tema ma il risultato è
ben diverso. Nelle loro opere il popolo è rappresentato in modo da non
turbare i borghesi benpensanti; la loro
pittura vuole comunicare che anche
il povero ha una dignità umana, ma
alla fine dimentica che la povertà è
degradante. E i benpensanti furono
ugualmente turbati quando il musicista Bizet mise in scena una popolana, Carmen, che non corrispondeva alla loro immagine di donna del
popolo, perché si mostrava libera,
indipendente e lottava per decidere
da sé il proprio destino.
Brahms non perdeva mai l’occasione di ascoltare i concerti pomeridiani di Johann Strauss. Strauss considerava Brahms un maestro, e un gior-
5
La storia
Il cane di Bruckner
Honoré Daumier, Partita a dama.
William Adolphe Bouguereau, Famiglia
povera, 1865.
Unità 9
L’Età delle Scuole nazionali
Pëtr Il’ic Cajkovskij
(Russia, 1840-1893)
A metà Ottocento la popolazione russa è formata nella stragrande maggioranza
da contadini. Perciò la musica classica non può ancora contare su un ampio pubblico: e dunque uno non può mantenersi solo facendo il compositore.
Cajkovskij sente fin da bambino una grande passione per la musica, ma è costretto allo studio del diritto, per diventare avvocato. Per sua fortuna ha un padre che
lo capisce, e che con i suoi guadagni gli permette di dedicarsi solo alla musica. Le
cose cambiano quando il padre subisce un rovescio finanziario, e l’adorata madre
muore durante un’epidemia di colera: Pëtr comincia a sentirsi perseguitato da un
maleficio, e questo sentimento lo accompagnerà per tutta la vita. Quando si sposa, anche la relazione coniugale si rivela disastrosa.
Intanto ha ottenuto un posto di insegnante a Mosca, e può dedicarsi alla composizione: il poema sinfonico Romeo e Giulietta, l’Ouverture 1812 che celebra la ritirata di Napoleone dalla Russia, le opere liriche La dama di picche e Eugenio Onieghin. Nella sua vita entra la fortuna quando la ricca vedova Nadezda von Meck,
senza averlo mai conosciuto di persona, gli elargisce una rendita fissa purché continui a
comporre: tanto è entusiasta della sua musica. Cajkovskij si è già affermato come straordinario autore di musiche per balletto, con il suo Lago dei cigni; a queste si aggiungono ora
le musiche per La bella addormentata e Schiaccianoci. Ma l’ossessione che lo perseguita fin
da ragazzo prende il sopravvento: l’ultima, fra le sei sinfonie da lui composte, che porta il
titolo di Patetica, rivela un tragico senso di desolazione.
TRACCE
21 – 25
9
Una scena
del balletto
La bella
addormentata.
La bella addormentata: Suite dal balletto
Cajkovskij compose queste musiche nel 1889, in mezzo alle sue due maggiori opere liriche, Eugenio Onieghin e La dama di picche. Sono pezzi che accompagnano le scene di un
balletto. La vicenda narrata è quella della celebre fiaba di Perrault, dove la bella è colpita
da un sortilegio che solo il bacio del principe potrà annullare. Più tardi le musiche più interessanti furono raccolte in una suite.
Le parole che l’autore scrisse in una lettera indirizzata all’amica Nadezda von Meck ci fanno capire quanto Cajkovskij abbia sentito e amato questa composizione: “Sento profondamente che la musica per questo balletto è una delle mie opere migliori. La trama è così
poetica e si presta così bene a essere musicata che
ne sono stato fortemente emozionato mentre stavo
componendo. Solo l’amore e l’entusiasmo con cui
ho lavorato potevano generare un’opera di qualità
così elevata.”
Primo episodio
TRACCIA 21
252
Nella reggia si sta festeggiando la nascita della principessina Aurora. Tutte le fate sfilano davanti alla culla, portando i loro doni. Ma la musica ci porta direttamente al momento in cui la fata cattiva Carabosse
fa il suo inaspettato ingresso nel castello e in un lampo distrugge la gioia dell’evento. Il tema musicale
che la accompagna è sinistro e carico di tensione.
Parte D
La storia
Ma il rimedio sarà presto trovato: la Fata dei lillà riuscirà infatti a mitigare il tremendo maleficio di Carabosse: quando Aurora si pungerà, anziché morire si addormenterà per un secolo e sarà destata dal bacio di un principe. Il corno inglese intona una cullante melodia:
Quali strumenti lo ripetono poi, sull’accompagnamento dell’arpa?
• I flauti
• I corni
• Gli archi
Secondo episodio
TRACCIA 22
S’intitola l’Adagio della rosa, ed è tratto dal primo atto. L’Introduzione è affidata all’arpa,
come avviene spesso in Cajkovskij; poi prende il via l’episodio vero e proprio, maestoso e
altisonante, con il tema principale eseguito forte dagli archi:
L’atmosfera diventa via via più concitata, fino a giungere all’apice dell’emozione quando
l’orchestra esplode in un fortissimo; il tema passa ai fiati e gli archi sottolineano la tensione con un vibrato a cui si associano anche timpani e tamburo con un rullio ininterrotto.
Terzo episodio
TRACCIA 23
Il terzo brano ci presenta due personaggi singolari. L’autore del balletto infatti ha immaginato che alla festa della principessa partecipino anche i protagonisti delle fiabe più famose. Ecco allora davanti a noi il Gatto dagli stivali. Lo troviamo in una situazione delicata:
sta facendo la corte alla Gatta bianca. Avranno successo le sue moine? Decidi tu, ascoltando come va a finire la musica.
• Si
• No
Quarto episodio
TRACCIA 24
Accompagna l’arrivo del principe al castello di Aurora, su questo tema:
Come appare il principe, con questa musica? Sottolinea gli aggettivi che ti sembrano più
adatti:
irruente
appassionato
timido
allegro
sentimentale
sorridente
Quinto episodio
TRACCIA 25
L’ultimo brano della suite è il Valzer che tutti gli invitati ballano nella reggia durante i festeggiamenti per la principessa Aurora. A una vorticosa Introduzione fa seguito il tema, che è
uno dei più famosi valzer, in grado di competere con i più belli del “re del valzer”, Johann
Strauss.
253
Unità 9
L’Età delle Scuole nazionali
Bedrich Smetana
(Boemia, 1824-1884)
Nelle famiglie borghesi dell’Ottocento capita spesso che nei momenti liberi dal lavoro ci si trovi a fare musica insieme: così avviene nella famiglia di Smetana, che a
sette anni già partecipa alle esecuzioni suonando il pianoforte.
Quella che oggi è la Repubblica Ceca, allora era una regione dell’Impero Asburgico, come l’Ungheria o il Lombardo-Veneto. Una volta diventato musicista Smetana
pensa di dedicare la sua opera musicale al riscatto della sua terra dal dominio asburgico. Durante le rivoluzioni che sconvolgono l’impero negli anni 1848-1849 (gli anni
in cui anche il Piemonte entra in guerra contro l’Austria, nella Prima guerra d’indipendenza), Smetana fa parte della guardia nazionale ribelle al governo centrale.
La rivolta viene domata e Smetana passa il periodo più triste della sua vita, reso
drammatico dalla morte della sua bambina: questo evento gli ispira il doloroso Trio
per violino, violoncello e pianoforte.
Nel 1860 il popolo insorge ancora, e stavolta l’imperatore è costretto a concedere
la costituzione. Smetana continua a sostenere la causa del suo paese proprio attraverso la musica: sceglie argomenti ispirati alla sua terra, e inserisce nelle composizioni motivi e ritmi tratti dal folklore boemo. Nascono così l’opera teatrale La sposa venduta e il ciclo
La mia patria, al quale appartiene il poema sinfonico La Moldava.
TRACCE
26 – 31
9
La Moldava
a Praga.
254
La Moldava
La Moldava è il secondo poema sinfonico di un ciclo composto da Smetana in onore della
sua terra. Gli altri sono: Vysehrad, dal nome del celebre castello carico di antiche leggende; Sárka, che narra la tremenda storia della regina che odiava gli uomini; Dai campi e dai
prati di Boemia, un delicato idillio pastorale; Tábor, che rievoca l’eroismo di Jan Hus, il riformatore della chiesa slava, e
infine Blaník, la montagna dell’epopea nazionale cèca.
Moldava è il nome del fiume che attraversa la Repubblica
Ceca. Smetana segue idealmente il suo percorso dalla sorgente alla confluenza nell’Elba; e commenta con la musica
le situazioni che si affacciano via via. Così le descrive lo stesso compositore:
Due sorgenti sgorgano all’ombra della foresta boema: l’una calda e gorgheggiante, l’altra fredda e tranquilla. Le allegre correnti, mormorando
tra le fronde, si uniscono e brillano ai primi raggi del sole mattutino.
Il rapido ruscello diviene così il fiume Moldava che, sempre più grande,
scorre attraverso fitti boschi, ove si ode un lieto rumore di cacce in mezzo agli ubertosi pascoli e alle pianure.
Là fra allegri suoni di canti e di danze, si celebra una festa nuziale.
Nella notte le ninfe dei boschi e delle acque giocano al chiaro di luna,
fra le onde luccicanti in cui si riflettono i gravi castelli e i palazzi testimoni della passata grandezza dei cavalieri e delle guerre gloriose.
Nella gola di San Giovanni il fiume serpeggia rovesciandosi nelle cateratte, aprendosi a forza la strada attraverso le fratture delle rocce; poi torna a scorrere tranquillo nel suo letto fatto più ampio, dirigendosi con maestosa calma verso Praga, e, salutando al suo passaggio il vecchio e superbo castello di Vysehrad, si perde
nella vasta lontananza, scomparendo alla vista del poeta.
Parte D
La storia
La Moldava è una delle pagine “geografiche” più celebri, una delle più semplici per la sua
immediatezza e per la cantabilità dei suoi motivi. Il primo, che ritornerà più volte nel corso della composizione, assomiglia da vicino a un’antica melodia napoletana, anch’essa in
modo minore, Fenesta ca luciv’e:
TRACCIA 26
La composizione non incomincia con questo tema. Sentiamo un agile motivo del flauto, a
cui si aggiunge presto il clarinetto: sono le due sorgenti nominate da Smetana.
TRACCIA 27
Poi il ruscello diventa fiume, acquista un volto: è il volto dolce e malinconico fissato dall’autore con la melodia dell’esempio precedente.
TRACCIA 28
Corni e legni, sempre meno lontani, annunciano la Caccia nella foresta, che conduce direttamente alla terza sezione, Notte di contadini, scandita dal passo rapido di una rustica e
gaia danza paesana:
TRACCIA 29
Dopo un fortissimo, si apre la parte centrale del poema, Chiaro di luna – danza di
ninfe: un’atmosfera di incantato notturno. Il musicista sembra osservare i tremolanti riflessi dell’acqua sotto i raggi della luna.
Come ottiene questo effetto?
• Con un tremolo sul piatto sospeso
• Con le rapide note di due flauti
• Con i trilli dei violini
TRACCIA 30
Il tono emotivo della musica si fa più carico e gonfio all’approssimarsi delle Cascate di San Giovanni.
Questa è la parte più movimentata dell’opera, con i suoi vorticosi glissandi degli
archi.
TRACCIA 31
La Moldava torna a scorrere ampiamente:
passa davanti allo storico castello di Vysehrad, richiamato dallo squillo trionfale degli
ottoni, e sfocia placida e meravigliosa nell’Elba.
Come diventa ora il tema?
• Diventa più lento
• Diventa più agitato
• Passa dal modo minore al maggiore
Il castello
di Vysehrad.
255
Unità 9
L’Età delle Scuole nazionali
Nikolaj Rimskij-Korsakov
(Russia, 1844-1908)
Con il padre e un fratello maggiore ufficiali di marina, anche il giovane Nicolaj non
sa sottrarsi al richiamo dell’avventura sugli oceani. Frequenta la Scuola navale ed
entra come ufficiale nell’Imperial Marina. Ma c’è un’altra cosa che lo attrae quanto il mare: l’opera lirica. Quei personaggi che cantano sulla scena le loro gioie e i
loro dolori lo affascinano a tal punto che sente il bisogno di partecipare di persona alla creazione di nuove opere. Dentro di sé sente echeggiare le melodie dell’opera italiana, di Rossini e Donizetti. Ma un altro patrimonio di melodie si mescola al primo: i canti popolari della sua terra. Per un po’ porta avanti insieme la carriera militare e gli studi musicali, che gli procurano presto un posto di insegnante
nel Conservatorio di Pietroburgo. Poi, a trent’anni, la grande decisione: si dedicherà solo alla musica. Le vicende che vuole mettere sulle scene non sono quelle
passionali dell’opera italiana, ma le storie fiabesche della tradizione popolare del
suo paese. Nascono così i suoi capolavori teatrali, tra i quali Sadko, Zar Saltan, Il
gallo d’oro. A Pietroburgo sviluppa un’abilità di orchestratore che farà scuola non
solo nel suo paese. Conosce i segreti e le possibilità espressive di ogni singolo strumento
dell’orchestra, e applica questa abilità non soltanto nelle opere teatrali ma anche in quelle sinfoniche, come il Capriccio spagnolo e il poema Shéhérazade.
L’attenzione alla vita della sua patria è dimostrata anche dall’appoggio che, a più di sessant’anni, si sente di dare agli studenti che partecipano ai moti del 1905: moti stroncati nel
sangue, che a Rimskij-Korsakov costano l’allontanamento dal posto. Ma è un maestro insostituibile, e le autorità non possono fare altro che riammetterlo. A Pietroburgo conclude la
sua carriera, venerato dai numerosi allievi che creeranno la giovane Scuola musicale russa.
TRACCIA 32
9
Il volo del calabrone
Questa musica appartiene all’opera Zar Saltan, ispirata a una fiaba del poeta Aleksandr
Puskin e rappresentata nell’anno 1900. Vi si narra di un re che sposa la più giovane e generosa di tre sorelle. Si scatena l’invidia delle altre due, che fanno credere al re che la sposa
abbia partorito un orribile mostro. Il re fa chiudere in una botte e gettare in mare madre e
bimbo. La botte approda su un’isola meravigliosa, dove il bimbo diventato adulto salva una
principessa da un maligno incantesimo. Per riconoscenza, la principessa permette al suo
eroe di trasformarsi, quando vuole, in un calabrone: così può volare fino alla reggia paterna per vendicarsi dell’ingiustizia subita. Detto fatto: arrivato in patria nelle sembianze di un
calabrone, si avventa contro le due malvagie zie e le punge nell’occhio, facendole strillare:
“Ah bestiaccia!
Dalle, afferra, schiaccia, schiaccia!”
Ma più svelto il calabrone
via sen vola pel balcone
e tranquillo al suo soggiorno
su per l’onde fa ritorno.
Segue naturalmente il lieto fine.
Il ronzio ininterrotto dell’insetto è imitato magistralmente dal compositore, con le veloci
note dei violini, ai quali si aggiungono poi i legni, il flauto e il clarinetto. Il pizzicato degli
archi sembra quasi suggerire… un pericoloso pungiglione al lavoro.
256
Parte D
Johannes Brahms
La storia
(Germania, 1833-1897)
Brahms ha solo vent’anni quando Robert Schumann, musicista ormai affermato, lo
saluta sulla sua rivista come il compositore che aprirà alla musica nuove vie. Brahms
diventa amico di Schumann e della moglie Clara, che assisterà dopo la tragica morte del marito, e lo prende a modello per uno stile musicale severo, lontano da quello che va affermandosi a opera di Liszt e Wagner: a Brahms interessa comporre
facendosi guidare da una logica esclusivamente musicale, e non da una storia da
rivestire di suoni. Quattro sinfonie, diversi concerti per strumento solista e orchestra, molta musica da camera e per pianoforte incarnano questo ideale di purezza stilistica. Ma Brahms continua anche la grande tradizione del lied: ne scrive circa 200, a cui aggiunge molte composizioni per coro.
Nato ad Amburgo, nel 1862 Brahms si trasferisce a Vienna, dove concluderà la sua
esistenza: e qui viene a contatto con la cultura quanto mai varia di un impero, l’Impero Asburgico, che comprende popoli di tante nazionalità. Le sue famose Danze
ungheresi sono un omaggio alla cultura di quella nazione, e in particolare alla sua
componente zigana, allora molto forte: Brahms ne scrisse 21 per pianoforte a quattro mani,
trascrivendone poi tre per orchestra, nel 1873.
TRACCE
33 – 36
9
Concerto per violino e orchestra: Adagio
Brahms aveva un caro amico di gioventù, che era diventato un grande violinista, Joseph
Joachim. Nel 1878 pensò di dedicargli un concerto, un concerto su misura per lui. Cominciò a comporre, ma sentì subito il bisogno di chiedergli una quantità di suggerimenti sul
modo migliore di fissare certi dettagli: tanto che, una volta conclusa l’opera, disse all’amico che la parte violinistica era una creazione “a quattro mani”.
I violinisti venuti dopo non hanno sempre amato questo concerto, e il perché ce lo rivela
proprio l’inizio dell’Adagio.
TRACCIA 33
È una delle più delicate melodie scritte da Brahms. Che però non viene esposta dal violino, ma dall’oboe!
TRACCIA 34
Il violino entra quando questa melodia si è conclusa. Ora tocca a lui ripeterla. Ma Brahms
non si limita a fargliela eseguire tale e quale: tutto il canto è fiorito di arpeggi e giri melodici, come un’antica colonna di marmo su cui cresce una delicata edera.
TRACCIA 35
Nella seconda parte dell’Adagio l’oboe tace. L’atmosfera si fa sempre più carica di emozione, nel girovagare appassionato del violino; che si fa affannoso su questo motivo:
TRACCIA 36
Il violino raggiunge i suoni sovracuti, e qui tutta l’emozione precedente si placa. Ritorna
l’oboe, con la sua indimenticabile melodia.
E il violino? Scopriamo insieme cosa fa:
• Tace
• Raddoppia la parte dell’oboe
• Aggiunge un ondeggiante controcanto
257
Unità 9
L’Età delle Scuole nazionali
Esperienze
Cajkovskij racconta qual è il suo atteggiamento davanti alla composizione musicale. Qual
è l’atteggiamento dei compositori del nostro tempo? Cerchiamo di conoscerne uno, per
esempio tra i docenti del Conservatorio o di una scuola di musica, e intervistiamolo.
PORTFOLIO Nella “Testimonianza”, il russo Stasov dice che i canti popolari sono dimenticati da gran tempo. È proprio vero? Intervistiamo le persone che conosciamo: ricordano qualche vecchio canto popolare? Se possono cantarlo, registriamolo. Che tipo di musica è? Di
cosa parlano i testi?
Inventiamo un nostro spettacolo sulla musica della Bella addormentata. Decidiamo i personaggi; creiamo qualche semplice scenografia; reinventiamo la vicenda, facendoci guidare dalla musica. Possiamo farne una pantomima, usando solo i gesti e i movimenti; possiamo anche aggiungere qualche dialogo. Non dimentichiamo di collocare sul nostro palcoscenico alcuni oggetti interessanti, e di usarli.
Confrontiamo il tema principale della Moldava di Smetana con la canzone Fenesta ca
luciv’e. Cantiamola:
1. Finestra che lucevi e ora non luci,
segno è che la mia cara sarà malata.
S’affaccia la sorella e me lo dice:
“Nennella tua è morta e sotterrata.
Piangeva tanto che dormiva sola,
ora con gli altri morti è accomunata.
258
2. Le han fatto una cassa proprio bella:
tutta a ricami d’oro martellato.
Se non mi credi va’ a Santa Maria,
sulla sinistra alla prima svoltata.
Piangeva tanto che dormiva sola,
ora con gli altri morti è accomunata.”
Parte D
La storia
Eseguiamo anche noi
Pëtr Il’ic Cajkovskij, La bella addormentata: il Valzer.
Johannes Brahms, il tema del Concerto per violino e orchestra.
ricapitoliamo
Nella seconda metà dell’Ottocento, l’aspirazione alla
libertà porta i popoli ad affermare i valori particolari
delle proprie nazioni. Mentre nel Settecento la musica era simile nei diversi paesi, ora i musicisti si ispirano alla musica popolare locale.
Dalla tradizione classica si distaccano le nazioni slave, in particolare Russia e Boemia, e le nazioni scandinave.
In Francia una nuova scuola sinfonica si affianca alla
tradizione teatrale. Accanto all’opera fiorisce, in Francia e in Austria, il nuovo genere dell’operetta, più leggero e frivolo.
In Germania ai continuatori di Wagner si contrappongono musicisti legati al mondo classico, come
Brahms.
259
Tra Ottocento e Novecento
1907-1914
L’Italia raddoppia
la produzione
industriale
1914
Attentato di
Sarajevo contro
l’arciduca
d’Austria
1914-1918
La testimonianza
Tutto è così squallido intorno a me! I rami di una
desolata e sterile esistenza stanno spezzandosi
alle mie spalle. A volte sono pieno di fuoco e la
vita mi sembra bellissima; subito dopo mi rode
dentro un desiderio di annullamento. L’odioso potere dell’ipocrisia e della menzogna del nostro tempo mi ha condotto al punto di disprezzare me stesso; il legame che unisce la vita e l’arte, e che in
noi non s’interrompe mai, mi fa provare disgusto
per tutto ciò che mi è sacro, l’arte, l’amore, la religione: allora non mi resta altra scelta che morire.
Mi ribello alle catene che mi legano mentre cammino in questa stagnante palude che è la mia vita,
e con la forza della disperazione mi aggrappo alla
mia sofferenza come al mio solo conforto.
Gustav Mahler, Lettera a Steiner, 1879
Prima guerra
mondiale
1919
Inizia
la conferenza
per la pace
di Versailles
1921
Italia: viene
fondato il Partito
nazionale
fascista
Edvard Munch,
Il grido, 1893
Mahler esprime in musica alti ideali
Il poema sinfonico
Il musicista Gustav Mahler (1860-1911) non
ha ancora diciannove anni quando scrive questa lettera all’amico; ma già vi leggiamo il suo
estremo disagio nei confronti del mondo in cui
vive. La società gli appare dominata dall’ipocrisia. E allora si vota anima e corpo a un ideale a cui resterà fedele fino all’ultimo: denunciare nella sua musica lo spirito di ipocrisia e
di violenza che agita la società del tempo. Nelle sue nove sinfonie ci fa sentire marce angosciose, che sembrano presagire il passo brutale di milizie spietate. A queste contrappone
pagine musicali in cui mette idealmente in scena i poveri derelitti della società: come quando nella prima sinfonia deforma la canzoncina popolare Fra Martino e ne fa una marcia
funebre, per il funerale dell’uomo comune, contrapposto al mito degli eroi superumani cantati da Wagner.
Per esprimere questo straordinario mondo di
pensieri ed emozioni, Mahler usa un’orchestra
arricchita di ogni sorta di strumenti, e di voci
umane: la sua Ottava sinfonia è detta “dei mille” perché tra strumenti e voci si arriva vicini
a quel numero di esecutori!
Anche Richard Strauss (1864-1949) usa un’orchestra di grandi dimensioni, ma il suo mondo espressivo è molto diverso. Strauss è più
portato a descrivere le emozioni segrete del
nostro mondo interiore.
Lo sentiamo soprattutto nelle numerose opere
scritte per il teatro musicale, spesso su temi
sanguinari: come Salomè, ispirata a un episodio della Bibbia, in cui racconta la gioia crudele con cui la principessa fa decapitare san
Giovanni; o Elettra, la protagonista di un’antica tragedia greca, che spinge il fratello Oreste
a uccidere la madre, colpevole dell’assassinio
del padre Agamennone.
Strauss ricorre allo stesso fiammeggiante linguaggio musicale nei suoi poemi sinfonici, che
continuano la tradizione di quelli di Franz
Liszt, come I tiri burloni di Till Eulenspiegel,
Morte e trasfigurazione, Così parlò Zarathustra.
Il poema sinfonico è anche il genere di musica prediletto dal compositore finlandese Jean
Sibelius (1865-1957), che si ispira alle leggende
e ai miti della sua terra, con opere come Finlandia e Il cigno di Tuonela.
Parte D
La storia
La Belle époque, l’epoca bella della
spensieratezza al riparo dalle guerre,
non dura molto. In realtà continua a
covare nelle società europee lo spirito nazionalista, anzi cresce man
mano che fra le nazioni si fa sempre
più aspra la concorrenza economica, l’aspirazione a conquistare sempre nuovi territori e nuovi mercati. E
la guerra è ancora una volta lo sbocco inevitabile: sarà la Prima guerra
mondiale (1914-1918).
Al tempo stesso il mondo è agitato da
forze che vogliono cambiare il sistema economico e l’organizzazione della società. La maggioranza della popolazione è costituita da contadini e operai, che si sentono ingiustamente
esclusi dal benessere di cui può godere la minoranza, e rivendicano sempre più i loro diritti, sia sul terreno
politico sia su quello economico. Questa tensione genera violenti conflitti,
che in Russia sfociano nella Rivoluzione sovietica del 1917, e in Germania, nel dopoguerra, portano al
governo il Partito socialdemocratico.
Mentre la maggior parte della borghesia si appassiona alle forme dell’arte più semplice, sentimentale e
consolatoria (trionfa infatti in questo
periodo l’operetta), gli uomini di cultura, gli scrittori, gli artisti sono in pri-
Partenza per il fronte di soldati
della Prima guerra mondiale.
Le maggiori innovazioni dello stile
musicale le troviamo nel timbro. La
scelta degli strumenti e dei loro impasti diventa uno degli elementi più
importanti dell’espressione. Mahler,
Strauss, Skrjabin arrivano a usare
un’orchestra gigantesca, che permette le più ricche combinazioni
sonore. In generale si valorizza il timbro di ciascun singolo strumento:
soprattutto i fiati e la percussione
acquistano un’importanza pari a quella che nell’orchestra classica avevano gli archi.
Nella scelta delle melodie invece i
musicisti prendono strade diverse.
Nel melodramma italiano prevale una
cantabilità facile, popolaresca; mentre si diffonde sempre più, negli spagnoli e negli slavi, l’uso di temi e ritmi popolari, presi prevalentemente
dal folklore.
In Mahler questo uso, che arriva a
includere ballabili e motivi per banda, ha un significato ironico e perfino allucinato. All’opposto, la melodia di Debussy è vaporosa, come
sospesa: evita infatti di appoggiarsi
ai gradi della scala tradizionale; spesso si svolge su una scala nuova, fatta di toni interi (Do, Re, Mi, Fa diesis, Sol diesis, La diesis, Do): la scala esatonale; il ritmo che anima queste melodie tende a liberarsi dal rigo-
re della misura; mentre il senso tradizionale della tonalità comincia ad
allentarsi.
Infine, ci sono cambiamenti che riguardano la forma: mentre la costruzione classica di un pezzo assomiglia
a quella di un romanzo (in cui dalla
presentazione dei personaggi e delle situazioni si sviluppa gradatamente una trama fino ad arrivare un culmine, al quale segue la conclusione),
nel Novecento i momenti culminanti tendono a essere disseminati lungo l’intero pezzo. Si avvia così una
costruzione episodica, a mosaico, di
parti dotate tutte di grande intensità
espressiva.
ma linea nel rappresentare nelle loro
opere la crisi morale e politica di questi anni.
261
Unità 10
Tra Ottocento e Novecento
Skrjabin fonde suoni e colori
Nei suoi poemi sinfonici Strauss evoca immagini visive con la forza dei suoni. Il musicista
russo Alexander Skrjabin (1872-1915) va ancora più in là, con un esperimento audace. Nell’orchestra, accanto agli strumenti, colloca una
tastiera speciale: premendo i tasti non si sentono suoni, ma si proiettano luci colorate. L’esecuzione diventa così uno spettacolo di suoni e colori. Skrjabin si serve di questo singolare abbinamento per esprimere in forme esaltate un suo profondo misticismo, come nel Poema del fuoco dedicato a Prometeo, l’eroe della
mitologia greca a cui si attribuisce il merito di
aver donato all’uomo la conoscenza del fuoco.
Il panorama europeo si allarga
Il film Shine
racconta la storia
di un pianista
alle prese con
un’opera
difficilissima:
il secondo
Concerto
per pianoforte
e orchestra
di Rachmaninov.
262
Il legame con la cultura musicale della propria
terra continua a essere forte in tutti i paesi. In
Cecoslovacchia Leós Janácek (1854-1928) è
autore di alcune delle più suggestive opere teatrali del Primo Novecento, come Jenufa e La
volpe astuta. Il russo Sergej Rachmaninov
(1873-1943) continua la tradizione rappresentata da Cajkovskij. Grande pianista, scrive lavori per il suo strumento e per l’orchestra, tra i
quali emergono i quattro Concerti.
Anche paesi dove da tempo non emergevano
compositori importanti arricchiscono il panorama della musica europea. Così è per l’Inghilterra, dove Edward Elgar (1857-1934) è
autore di oratori e di musica sinfonica; e per
la Spagna, dove Isaac Albéniz (1860-1909) e
Enrique Granados (1867-1916) scrivono pagine scintillanti e vivaci, nelle quali sanno dare
voce alle esuberanze dell’anima spagnola.
In Italia continua la tradizione
del melodramma
Il pubblico italiano comincia ad apprezzare la
musica strumentale creata negli altri paesi. Ma
bisognerà aspettare ancora qualche decennio
prima che si affermino anche in Italia musicisti che si dedicano a questo genere: qui si continua ad amare l’opera lirica, ed è perciò in
questo campo che troviamo i maggiori compositori italiani.
Dopo Amilcare Ponchielli, continuatore di Verdi (la sua opera più importante è la Gioconda),
sorge un gruppo di autori che mettono in scena storie dal carattere aspramente realista: è la
cosiddetta Scuola verista. Vi appartengono
Pietro Mascagni (Cavalleria rusticana), Umberto Giordano (Andrea Chénier), Ruggero Leoncavallo (Pagliacci), Francesco Cilea (Adriana
Lecouvreur), che nelle loro opere rappresentano tragiche storie d’amore.
Da questi si stacca Giacomo Puccini (18581924), che esprime una vena più intimista e
sentimentale. Protagonista delle sue opere
(Bohème, Madama Butterfly, La fanciulla del
West, Turandot) il più delle volte è un delicato personaggio femminile che patisce per situazioni avverse create dagli uomini.
Debussy si collega ai poeti simbolisti
e ai pittori impressionisti
Nella Francia della fine del secolo XIX i poeti
esprimono le sensazioni più segrete dell’animo ricorrendo a immagini simboliche: Simbolismo è il nome che si dà a questa corrente.
Anche i musicisti partecipano a questo ambiente culturale. Il più illustre è Claude Debussy
(1862-1918), che mette in musica il dramma
Pelléas et Mélisande.
Debussy rinnova profondamente il linguaggio
musicale: le sue armonie sono delicate e sfuggenti, i ritmi raramente sono pulsanti, le melodie evitano la quadratura regolare. In questo
modo crea climi di sogno, fluidi, evanescenti.
Con gli strumenti crea sonorità rarefatte e
“magiche”, spesso di sapore esotico, che paiono vivere fuori del tempo e dei luoghi. Per queste ragioni la sua musica è stata spesso accostata alla pittura degli impressionisti: l’I mpressionismo, avviato fin dal 1867, cerca di
cogliere le “impressioni” create dalle cose su
di noi, più che descrivere realisticamente le
cose stesse. 1
Parte D
La storia
1 La maestra del musicista è la natura
Credo che fino ad ora la musica si sia
basata su un principio errato. Cerchiamo le idee in noi, mentre dovremmo cercarle “attorno” a noi. Per
un compositore è più utile veder sorgere il sole che udire la Sinfonia Pastorale di Beethoven. La saggezza sta
nel non ascoltare i consigli di nessuno, se non del vento che passa e ci
racconta la storia del mondo… La
musica è come una misteriosa matematica che governa il moto delle
acque e il gioco di curve descritto dalle mutevoli brezze…
Nulla è più musicale di un tramonto. Per chi sa guardare attentamente è la più bella lezione di “sviluppo”
(in senso musicale) scritta in questo
libro: che non è abbastanza consultato dai musicisti, intendo dire: la
natura…
I nostri “pittori sinfonici” non concedono un’attenzione abbastanza fervida alla bellezza delle stagioni. Studiano la natura in opere nelle quali
ella assume un aspetto assai sgradevolmente artificiale, con rocce di
cartone e foglie di cartapesta.
La musica invece è appunto l’arte più
vicina alla natura, quella che le tende la trappola più sottile… Solo i musicisti hanno il privilegio di captare tutta la poesia della notte e del giorno,
della terra e del cielo, di ricostruire
l’atmosfera e ritmarne l’immenso palpito. Il più delle volte la loro passione si adatta a una vegetazione che la
letteratura ha fatto seccare tra le foglie
dei suoi libri.
Gustav Mahler e Claude Debussy rappresentano i due poli opposti della
musica del Primo Novecento: per
Mahler la musica è un modo per
denunciare le ipocrisie del mondo, la
falsità e le finzioni degli uomini; per
Debussy, è più un ritrarsi nel proprio
mondo interiore. Una simile opposizione è presente nell’arte.
Il belga James Ensor, nato nel 1860,
come Mahler, nel suo Ingresso di Cristo a Bruxelles presenta un’atroce
caricatura dei suoi concittadini. Il
dipinto rievoca l’episodio della Bibbia
in cui il popolo di Gerusalemme accoglie Gesù che entra in città, osan-
nandolo e sventolando rami di palma.
Ma questa festa assordante e carnevalesca, i volti grotteschi e inquietanti
delle persone che popolano il quadro
sono in realtà segno di una tragedia
che incombe: Cristo è un pretesto,
subito emarginato, per una festa in
cui ognuno pensa solo a se stesso, a
divertirsi. Cristo viene messo in croce nel bel mezzo della festa e proprio
grazie alla festa, perché tutti si dimenticano di lui. La stessa ipocrisia umana che Ensor denuncia con la pittura è rappresentata nella musica di
Mahler, che vuole mandare un messaggio di alto valore morale.
Il pittore francese Claude Monet, invece, è incantato dai giochi di luce che
lo stagno con le ninfee crea nelle
diverse ore del giorno.
Come per Debussy la musica è un
modo per ascoltare e descrivere con
le note le emozioni suscitate dalla
realtà, così Monet è affascinato dalle emozioni generate dal mutare dei
colori nell’osservazione di uno stagno
con le ninfee.
Claude Debussy,
Il signor Croche antidilettante, 1921
A sinistra, James Ensor, Ingresso
di Cristo a Bruxelles, 1888.
A destra, Claude Monet, Il bacino
delle ninfee, armonia in verde, 1899.
263
Unità 10
Tra Ottocento e Novecento
Isaac Albéniz
(Spagna, 1860-1909)
Prima di dedicarsi esclusivamente alla composizione, Albéniz si afferma come grande pianista in tutta Europa e nelle due Americhe. Nei
suoi viaggi ha modo di conoscere molti importanti compositori, a cominciare da Liszt, e di
eseguire le loro musiche.
Quando nel 1893 si stabilisce a Parigi, si rende
conto che se vuole continuare a suonare da virtuoso, non può raffinare il suo talento di compositore. A Parigi operano musicisti che aprono strade nuove alla musica: Debussy, Dukas,
Fauré. Albéniz si sente stimolato a competere
con loro e abbandona la carriera concertistica.
Non abbandona invece la sua vocazione a portare nella musica classica lo spirito del folklore spagnolo. Molte delle sue opere, scritte prevalentemente per il pianoforte, portano titoli legati al suo paese: Iberia, Suite spagnola, Catalogna, Ricordi di viaggio.
TRACCE
1–7
10
TRACCIA 1
Siviglia
I musicisti spagnoli sono sempre stati fieri delle loro tradizioni nazionali e dei caratteri della loro musica popolare, tanto che vi si sono spesso ispirati anche nelle loro creazioni più
impegnative, come questa.
Iberia è una raccolta di 12 impressioni musicali del mondo spagnolo: Albéniz le compose
per pianoforte, ma è più facile sentirle nella trascrizione orchestrale che ne fece più tardi
il musicista Enrique Fernández Arbós. Ascoltiamo una delle più caratteristiche, dedicata a
Siviglia, il capoluogo dell’Andalusia. La musica descrive una giornata importante nella vita
della città: la festa religiosa del Corpus Domini, il 19 giugno.
I tamburi lontani annunciano l’arrivo della processione che si incammina verso la cattedrale. E subito si sente la banda che suona un allegro motivo popolare, La Tarara (a). Cominciano i flauti:
Il motivo passa poi ad altri strumenti, ognuno dei quali aggiunge la propria piccola variazione, finché gli ottavini con il loro suono penetrante portano la processione proprio davanti a noi.
TRACCIA 2
264
Albéniz ci fa sentire, con i suoni dell’orchestra, i rumori di folla, mescolati al suono delle
campane. Gli ottoni proclamano la potenza e la gloria della Chiesa. Ascolta bene il motivo
che i violini sovrappongono: lo riconosci?
• È il motivo a
• È l’inno nazionale spagnolo
• È l’Inno alla Gioia
Parte D
TRACCIA 3
La storia
La processione si allontana. Lo si capisce dal rarefarsi delle sonorità. Albéniz distoglie un
momento lo sguardo dalla processione, e ci presenta una scena più intima, espressa da
questa melodia del corno inglese:
A cosa ti fa pensare questa melodia? Scegli tra queste risposte, oppure scrivine una tua:
• I giardini di Siviglia
• Una devota preghiera
• Una canzone d’amore
• La corrida
TRACCIA 4
Il clarinetto, seguito dall’oboe e via via dagli altri strumenti, ripete questa melodia, variandola.
TRACCIA 5
L’episodio appena ascoltato era come una parentesi, nella festa del Corpus Domini. Eccoci di nuovo in mezzo alla folla, con la ripresa del tema della marcia. Squillano le campane, tornano a suonare gli strumenti della banda.
TRACCIA 6
La gente balla per le strade: Albéniz ce lo fa capire ripetendo il motivo a prima leggero e
danzante, poi in una variazione che lo trasforma in un vivace tempo composto.
TRACCIA 7
La processione è finita, e la festa sta per concludersi. Arriva la sera, e nella strada qualcuno intona una serenata alla sua bella. Albéniz affida a flauto e fagotto una canzone popolare spagnola.
Il quadro si dissolve dolcemente. Quali di questi strumenti commentano, nella pace della
sera, il termine del giorno del Corpus Domini a Siviglia?
• Flauto
• Tromba
• Arpa
• Fagotto
• Pianoforte
• Campane
• Violino
Tempo
composto
È l’articolarsi
della
pulsazione
in tre unità
invece che
in due (vedi
nel volume B
l’unità
“Il tempo
composto”,
pag. 56).
Manuel
Cabral
Bejarano,
Corpus Christi
a Siviglia,
1857.
265
Unità 10
Tra Ottocento e Novecento
Claude Debussy
(Francia, 1862-1918)
La più importante esperienza educativa del giovane Debussy avviene nel salotto di un
poeta, Stéphane Mallarmé. Qui si danno appuntamento, ogni martedì, illustri poeti,
artisti e personalità della cultura francese. Mallarmé stesso è uno dei grandi maestri
della nuova corrente letteraria che va sotto il nome di Simbolismo. Debussy è affascinato da questa poesia, che nomina le cose non per descriverle nella loro concretezza, ma per esprimere le sensazioni che le cose materiali evocano in noi. Questo è
l’obiettivo che Debussy pone alle sue creazioni musicali. Nel suo primo successo, Preludio al pomeriggio di un fauno, sceglie proprio un poema di Mallarmé per descrivere con i suoni dell’orchestra la sognante atmosfera di un pomeriggio estivo.
Intanto, anche in Francia si diffonde un vero e proprio culto per la musica di Wagner.
Debussy si sente lontanissimo dal mondo di supereroi cantato nei drammi del compositore tedesco. Il suo ideale è una musica raffinata, che dia voce alle emozioni più
delicate e sottili dell’animo. Uno scrittore simbolista, Maurice Maeterlinck, ha espresso questo stesso mondo nel suo dramma Pelléas et Mélisande: Debussy prende tale
e quale il testo di Maeterlinck e lo riveste di musica. Nasce così la prima opera lirica che
rompe audacemente con la tradizione del passato. Qui infatti Debussy usa un linguaggio
musicale fluttuante, libero dai vincoli della musica classica tradizionale. La stessa sensibilità dà origine ai grandi capolavori orchestrali come La mer (Il mare), Notturni, Iberia; e
alle numerose opere per pianoforte: Studi, Stampe, Immagini, Preludi.
TRACCE
8 – 15
10
La copertina
dell’edizione
originale della
partitura di
La mer (1905)
riproduce
un particolare
di questa
celebre stampa
del pittore
giapponese
Katsushika
Hokusai, che
fa parte della
serie “Trentasei
vedute del Fuji”
(1826-1833).
266
La mer: Il dialogo del vento e del mare
La mer (il mare) è una composizione formata da tre schizzi sinfonici composti tra il 1903
e il 1905. Il musicista guarda il mare, su cui soffia il vento, a volte leggero, a volte impetuoso. Le onde si alzano e si accavallano, spruzzi d’acqua si levano al cielo, una miriade
di luci scintilla sui frangenti. Osservando la distesa marina, Debussy “vede” i suoni salire
e scendere sulla sua partitura: a volte come masse di tanti strumenti, che si gonfiano e
ricadono; a volte come linee che si intrecciano, o come guizzi che sprizzano e rapidamente svaniscono… Per Debussy, la natura è come un immenso spartito, che richiede solo di
essere tradotto in suoni.
Parte D
La storia
TRACCIA 8
Debussy immagina che il mare e il vento dialoghino fra loro. Ma l’idea non va presa alla lettera. Debussy non “copia” i suoni della natura; crea un accostamento di atmosfere e di emozioni. Il tremolo di grancassa e timpani, il disegno minaccioso di violoncelli e contrabbassi,
il gong: fanno pensare al turbinare lontano del vento, o a un’onda che si gonfia. A questa
pennellata cupa subentra il canto nostalgico e dilatato di oboi e clarinetti… Debussy ripete
poi il frammento, caricandolo di più intense vibrazioni.
TRACCIA 9
Nei movimenti delle onde Debussy “legge” un tema cantabile, che traduce con il suono
della tromba con sordina, il tema a:
TRACCIA 10
Un crescendo degli strumenti ad arco porta a un secondo motivo, b, eseguito da oboe, corno inglese e fagotto, che comincia così:
Due volte viene ripetuto, ogni volta con una combinazione diversa di strumenti, che creano magici effetti di colore.
TRACCIA 11
L’occhio si spinge a scrutare le profondità dei flutti. Ecco di nuovo il tema a eseguito nella regione grave dell’orchestra. Quante volte lo senti eseguire?
•4
•6
•7
La sonorità è andata crescendo, e ora discende rapidamente, con i suoni degli strumenti a
fiato: proprio come fanno i cavalloni marini.
TRACCIA 12
Debussy immagina ora il mare in un momento di quiete, con i corni che intonano un inno
solenne, che a poco a poco si smorza:
TRACCIA 13
E ora il vento, il cielo. Un lungo suono sovracuto dei violini crea un’impressione di spazio
immenso, sul quale si leva il canto di flauto e oboe. Cosa suonano, due volte di seguito?
• Il motivo a
• Il motivo b
• Un motivo nuovo
Ed eccolo ora, questo motivo, esplodere possente, affidato a tutta l’orchestra.
TRACCIA 14
A differenza di quanto si faceva nell’Età classica, quando si alternavano ordinatamente
pochi temi ben riconoscibili e cantabili, Debussy alterna pennellate di colori strumentali
che creano ogni volta atmosfere completamente nuove.
Qui sembra quasi che Debussy veda danzare i due protagonisti, il vento e il mare (ricorda
che mer, il mare, in francese è femminile), sul ritmo eccitante delle trombe. È una danza
in cui senti affiorare frammenti di tutti e due i motivi.
TRACCIA 15
Si avvicina la conclusione. L’orchestra è impegnata al gran completo. Qual è l’immagine
ultima che Debussy ci consegna, di questa sua visione marina?
• Il trionfo della natura
• La furia del vento
• Il placarsi sereno del mare
267
Unità 10
Tra Ottocento e Novecento
Jean Sibelius
(Finlandia, 1865-1957)
All’inizio del Novecento la Finlandia è un paese scarsamente abitato, che vive ai margini delle manifestazioni culturali europee. Non ha nemmeno l’indipendenza politica: fa parte infatti dell’Impero russo. I giovani vanno a completare gli studi superiori soprattutto in Germania: ed è qui che Sibelius perfeziona gli studi di composizione e di violino.
Come tutti i più sensibili artisti finlandesi, Sibelius contribuisce con la sua musica a
tenere viva l’aspirazione a una patria libera dal dominio straniero. Alle origini della
cultura finlandese sta un’antica saga, ripresa da un poeta del Primo Ottocento: il poema epico Kalevala. Sibelius si ispira a questa saga in numerose composizioni: i poemi sinfonici Kullervo, Una saga, Finlandia, Tapiola, e le musiche di scena Lemminkäinen, Kuolema. Nel linguaggio musicale, che è quello della tradizione tardoromantica, Sibelius si distacca dai principali compositori del Primo Novecento, che
sono invece interessati ad aprire alla musica vie nuove.
Questo gusto tradizionalista Sibelius lo conserverà fino alla fine della sua lunga esistenza, in particolare nelle 7 sinfonie, nel Concerto per violino, nei pezzi pianistici e nei
numerosi affascinanti lieder per canto e pianoforte.
TRACCE
16 – 20
268
10
Finlandia
Quando un compositore scrive una musica ispirata al proprio paese, si serve spesso dei canti popolari del popolo che lo abita. Nel caso di Jean Sibelius avviene il contrario. Alla sua
patria dedicò, nel 1899, questo poema sinfonico intitolato semplicemente
Finlandia. Non utilizzò canti finlandesi, ma all’opposto avvenne che il popolo fece sue le melodie inventate da Sibelius, e queste diventarono così canti popolari.
La Finlandia era allora dominata dalla Russia degli zar, che cercava di soffocare ogni aspirazione nazionalista, a cominciare dal diritto di stampa. I patrioti promossero una campagna per raccogliere fondi a beneficio della stampa.
Sibelius si incaricò di scrivere le musiche per la serata di gala di questa campagna: l’ultima musica fu appunto Finlandia. Fu un successo trionfale, tanto che le autorità ne vietarono qualsiasi altra esecuzione su terra finlandese: in altre parti dell’Impero russo avrebbe potuto essere suonata, ma cambiando il titolo. Così nel 1904 il popolo della città di Riga, nella vicina Lettonia, la ascoltò come Improvviso. Nel 1918 il trattato di Versailles diede
finalmente l’indipendenza alla Finlandia, e con l’indipendenza la musica di
Sibelius divenne addirittura il simbolo della nazione. Il corale che sentiamo
è un vero e proprio inno nazionale.
TRACCIA 16
Questo poema sinfonico è un acquarello dell’animo finlandese. Un aspro accordo iniziale
e una Introduzione solenne evocano una terra di antiche lotte fra l’uomo e una durissima
natura, fatta di foreste impenetrabili, di laghi che sbarrano la comunicazione a ogni passo,
di nevi, di ghiacci, di gelo.
TRACCIA 17
L’animo è assorto in una meditazione dolorosa, quasi una preghiera, sul tragico destino della patria.
TRACCIA 18
Il ritmo scattante delle trombe lancia
il segnale della riscossa:
Parte D
La storia
Il popolo marcia coraggiosamente per vincere secoli di avversità, ed ecco nella musica un
tema epico, che assomiglia non poco all’Inno alla Gioia di Beethoven:
TRACCIA 19
Ma Sibelius vuole ricordarci che il progresso di una nazione non si attua solo con la forza
fisica, ma anche con quella morale: il motivo energico di prima è interrotto da un corale
affidato ai legni, con una sonorità che sembra imitare quella dell’organo. È questo corale
che diventerà tanto popolare in Finlandia.
TRACCIA 20
Riprende il tema epico di prima, con il segnale delle trombe. Come si conclude il brano?
• Con la meditazione iniziale
• Con il tema epico
• Con il corale
I colori orchestrali di questa musica, che sfrutta soprattutto le sonorità gravi e melanconiche, traducono mirabilmente lo spirito intimista e riflessivo del popolo finlandese, e i colori della sua terra. Lo racconta Sibelius stesso: a un amico che descriveva la Finlandia come
una terra di “rocce basse, di granito rossiccio, emergenti da un mare azzurro pallido”, Sibelius rispose: “Certo, e solo quando vediamo quelle rocce di granito sappiamo perché un
musicista finlandese mescola i suoni dell’orchestra in questo modo.”
Ascar
Keineh, L’isola
di Hanasaari,
1873.
269
Unità 10
Tra Ottocento e Novecento
Esperienze
Particolare
di un dipinto
impressionista
dedicato al
mare: Edouard
Manet,
Sulla spiaggia,
1873.
Cerchiamo riproduzioni di quadri dei pittori
impressionisti. Riusciamo a trovarne qualcuna
dedicata al mare? Un compito impegnativo: trovarne una per ogni episodio del Dialogo del vento e del mare di Debussy.
Pratichiamo sui nostri strumenti la scala esatonale che spesso adopera Debussy. I suoni sono
questi:
Suoniamoli su flauto, tastiera, xilofono. Mettiamoci in coppie: uno suona i primi tre, l’altro i successivi quattro. Improvvisiamo liberamente, uno
dopo l’altro, ma anche in simultaneità, uno insieme all’altro.
PORTFOLIO L’amore che i musicisti dell’Ottocento portano alla musica popolare del proprio
paese è documentato nella biografia dei compositori conosciuti in questa Unità e nella precedente.
E in Italia? In Italia domina l’opera lirica. Le melodie dell’opera hanno spesso il carattere
della canzone italiana del tempo: diventeranno presto popolari, e saranno cantate fin nei
piccoli villaggi delle campagne.
Conduciamo una ricerca sulle canzoni italiane dell’Ottocento e del Primo Novecento, anche
quelle dialettali (per esempio, la canzone napoletana).
Raccogliamole da canzonieri, da rifacimenti incisi su disco. Confrontiamole con le romanze operistiche dei compositori italiani.
Eseguiamo anche noi
Jean Sibelius: il tema di Finlandia.
270
Parte D
1. Finlandia mia, sei sempre nel mio cuor.
Oh, terra cara, unico mio amor,
sono i tuoi figli prodi e coraggiosi,
difenderanno la tua integrità.
Sanno che al mondo non vi è ugual valore
che conti più di pace e libertà.
La storia
2. Le nevi eterne, i ghiacci e il bianco mar,
le rocce dure e i boschi senza fin
sono un tesoro di grande valore,
sono l’emblema della tua beltà.
Patria felice, prospera e serena
pel mondo intero esempio tu sarai.
ricapitoliamo
L’età fra Ottocento e Novecento è caratterizzata da
uno spirito di dominio nazionalista, che porterà alla
Prima guerra mondiale. A questo si oppongono le classi sociali subalterne, che rivendicano i propri diritti in
forme anche violente.
Gustav Mahler è il musicista che più di ogni altro dà
voce ai forti contrasti dell’epoca; Richard Strauss invece esplora nelle sue opere le passioni anche morbose
degli individui.
In tutte le nazioni europee i musicisti riprendono a
valorizzare il patrimonio musicale nazionale: accanto
a russi, slavi e scandinavi, si affermano i musicisti spagnoli e inglesi. Il russo Skrjabin crea composizioni in
cui unisce i suoni ai colori.
In Italia continua la tradizione del melodramma, che
si ispira ora anche ai drammi più cruenti: questa tendenza prende il nome di Verismo. Giacomo Puccini se
ne distacca con una musica più intimista.
In Francia Claude Debussy rinnova profondamente il
linguaggio musicale. In modo simile operano i poeti
del Simbolismo con il linguaggio verbale e i pittori dell’Impressionismo con il linguaggio visuale.
271
Il XX secolo
1939-1945
Seconda guerra
mondiale
1946
Referendum
in Italia:
la repubblica
vince sulla
monarchia
1989
Cade il muro
di Berlino
La testimonianza
Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre
sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia… Noi canteremo le
grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere, o dalla sommossa; canteremo le
maree multicolori e polifoniche delle
rivoluzioni nelle capitali moderne, canteremo il vibrante fervore notturno degli
arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche, e stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei
contorti fili dei loro fumi, i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli, piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio, imbrigliati di tubi, e
il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una
bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
Filippo Tommaso Marinetti, Il Manifesto dei Futuristi, 1913
1991
A Maastricht
nasce l’Unione
Europea
2001
Attentato alle
Torri Gemelle:
mobilitazione
contro
il terrorismo
Giacomo Balla,
Automobile +
velocità + luce,
1913.
A destra,
il drammatico
crollo delle
Twin Towers
l’11 settembre
2001.
Il Futurismo
Stravinskij
Nei primi decenni del Novecento nasce in Italia un movimento di artisti, poeti e musicisti,
che esalta la potenza delle macchine, arrivando a celebrarle fanaticamente: è il Futurismo,
fondato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti.
Vi partecipano i compositori Luigi Russolo e
Balilla Pratella. Alle belle melodie, i futuristi
contrappongono le sonorità aspre e i rumori, al
sentimento sostituiscono l’oggettività fredda,
indifferente, anche brutale. Russolo inventa uno
strumento speciale, l’intonarumori: una macchina che produce fischi, scoppi, gorgoglii, per
la quale scrive composizioni in cui i diversi tipi
di rumori si alternano e si sovrappongono.
Oggi le musiche dei futuristi sono dimenticate. Ma le loro idee hanno dato frutti interessanti
altrove: il compositore svizzero Arthur Honegger nel suo Pacific 231 descrive la corsa di una
locomotiva, facendoci ascoltare anche i sibili
del vapore e il lento avviarsi delle bielle.
Questo spirito concreto, contrario a ogni forma di sentimentalismo, pulsa anche nella musica di Igor Stravinskij (1882-1971).
Nei primi anni di attività musicale, Stravinskij
scrive musiche ispirate alla tradizione russa.
Sono pagine vivacissime, in cui si rifà a personaggi e a leggende del folklore: L’uccello di
fuoco, Petruska, La sagra della primavera.
Dopo la Rivoluzione sovietica si trasferisce in
Occidente. Qui è ancora viva la tradizione romantica, che da Beethoven a Mahler, da Wagner
a Puccini, dà voce all’intensità dei sentimenti.
Il gusto di Stravinskij è opposto, e perciò si
dedica a riportare in vita il gusto musicale del
Settecento, più razionale e geometrico.
Così, per esempio, nel suo balletto Pulcinella
usa musiche di Pergolesi, caricandole però con
una strumentazione e un’armonia pungenti. A
questo orientamento si dà il nome di Neoclassicismo.
Nel corso del Novecento la scienza
e la tecnica compiono progressi senza precedenti e rivoluzionano il mondo del lavoro, migliorando il tenore di
vita di molti. Spesso, però, i ritrovati
tecnici sono stati impiegati non per
migliorare la qualità della vita ma per
soddisfare una insaziabile sete di
denaro e di conquista. E così questo
formidabile progresso tecnico ed economico si è rivelato un meccanismo
incontrollabile che ha travolto l’umanità di guerra in guerra.
La fine della Seconda guerra mondiale vede l’Europa divisa in due blocchi, che rimangono minacciosamente contrapposti fino alla fine degli anni
Ottanta: quello dei paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, e quello
dei paesi orientali, guidati dall’Unione Sovietica. Con la dissoluzione di
quest’ultima inizia un’era nuova.
Gli sviluppi della tecnologia informatica creano aspettative entusiasmanti. Ma al tempo stesso si acuisce il
contrasto fra i paesi benestanti e quelli sottosviluppati, che genera reazioni di stampo terroristico: il crollo del-
le Twin Towers (le Torri gemelle) di
New York, l’11 settembre 2001, è l’esempio più clamoroso. Del resto, il
secolo XX è a sua volta iniziato con
una catastrofe: la distruzione nucleare di Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, che ha gettato un’ombra angosciosa sulla pace che è seguita.
Si afferma una cultura di massa, favorita dai mezzi di comunicazione: prima il cinema e la radio, poi la televisione e infine i mezzi informatici. È
così che la musica folk tradizionale è
andata scomparendo, sostituita da
nuovi generi popolari: dalla musica
leggera alle varie forme di rock. Gli
artisti impegnati prendono le distanze dai generi popolari, visti come forme di divertimento e di evasione e
non espressione di valori e di messaggi. In questo modo aumenta la
distanza tra il pubblico e i compositori, che operano appartati, in un isolamento sempre più sofferto.
Mentre molti compositori continuano a usare il linguaggio musicale ereditato dall’Ottocento, altri cercano
nuove forme espressive, che rivoluzionano completamente il linguaggio.
La melodia si restringe a formule brevi e ripetitive, come nelle opere di
Stravinskij; oppure si apre in un gioco imprevedibile, frammentario, di
intervalli dilatati, come in quelle di
Schönberg e di Berg.
Nel ritmo si perde il senso della misura. Nella scuola espressionista anche
la pulsazione sparisce, sostituita dallo scorrere fluido e senza tempo dei
suoni, con un effetto come di sogno;
all’opposto, negli autori russi e francesi la pulsazione è una presenza a
volte ossessiva, tesa a sottolineare il
bisogno di concretezza. In tutti è frequente la sovrapposizione di ritmi
diversi, anche fortemente contrastanti
fra loro.
Si abbandona la grande orchestra
compatta, che Mahler e Richard
Strauss avevano portato a dimensioni gigantesche, e si preferisce scrivere per piccoli complessi di strumenti diversi. Anche quando un brano è orchestrale, ogni strumento tende a essere valorizzato in sé, quasi
come solista.
Il principio su cui si basava la musica tradizionale – la tonalità – è ormai
apertamente sotto accusa. Una delle tecniche usate è la politonalità,
ossia la sovrapposizione di melodie
ciascuna in una tonalità diversa;
Schönberg e gli altri viennesi la rifiutano, sostituendola con un nuovo sistema: la dodecafonìa. Nel costruire
un pezzo musicale si abbandona il
criterio di un punto culminante, secondo il quale ciò che precede fa da preparazione, e ciò che segue fa da conclusione logica; piuttosto le singole
parti sono aggiunte l’una all’altra, e
ciascuna ha la stessa importanza.
273
Unità 11
Il XX secolo
In Russia
Petrovic
Koncalovskij,
Ritratto di Sergej
Prokofiev, 1934.
Il “Gruppo
dei sei”, costituito
dai giovani
musicisti Auric,
Durey, Honegger,
Milhaud, Poulenc
e Germaine
Tailleferre,
ammiratori
e seguaci del
compositore Erik
Satie e del poeta
Jean Cocteau.
274
L’Espressionismo
Sulla scia di Stravinskij opera in Russia un altro importante compositore, Sergej
Prokofiev (1891-1953). Ritmi energici e aspre dissonanze caratterizzano la sua
musica per pianoforte, le
opere teatrali (L’amore delle tre melarance, L’angelo di
fuoco), i balletti (Romeo e
Giulietta), le musiche da
film (Alexander Nevski).
Infine Dmitrij Sciostakovic
(1906-1975) scrive quindici
sinfonie e altre pagine sinfoniche, nelle quali celebra il
nuovo corso politico della
Russia nel XX secolo: una
sinfonia è dedicata alla Rivoluzione dell’ottobre 1917, un’altra al terribile assedio che Leningrado subì nel 1943 a opera dei nazisti.
I musicisti sono in prima fila, insieme a scrittori e artisti, anche nell’esprimere il malessere della società. Espressionismo è il nome che
si dà questa tendenza, che si sviluppa soprattutto nei paesi di lingua tedesca. Qui già si era
fatta sentire la musica “contestatrice” di Gustav
Mahler; il suo diretto continuatore è Arnold
Schönberg (1874-1951).
Come si poteva esprimere con la musica l’opposizione al mondo circostante? Quel mondo
adoperava un suo linguaggio musicale, il linguaggio della “tonalità”: era il linguaggio della chiarezza, della razionalità. Però quella razionalità non impedisce le catastrofi delle guerre
mondiali. Ecco allora che Schönberg rifiuta
quello stesso linguaggio, con tutta la sua grammatica. Scrive una musica che si svolge imprevedibile, a balzi improvvisi, con voci che si
intrecciano fra loro come in preda a un delirio.
È la musica atonale, che sta alla base di opere come il suo Pierrot lunaire.
In Francia
La dodecafonìa
Quando la Sagra della primavera di Stravinskij
è rappresentata la prima volta, a Parigi nel 1913,
il pubblico reagisce con fischi e grida, scandalizzato dall’audacia della composizione. 1
I Francesi infatti cominciavano allora ad apprezzare pienamente la musica più riservata ed elegante di Debussy. Il musicista che più di ogni
altro subisce il fascino di Debussy e ne continua la tradizione è Maurice Ravel (1875-1937).
I suoi pregi maggiori stanno nella vivacità con
cui dispone i colori sonori, ossia la scelta accuratissima degli strumenti, nella precisione dei
disegni melodici, e nei ritmi ben scanditi. Ravel
è un appassionato di meccanismi a orologeria,
e trasferisce questa passione nelle sue musiche, come possiamo sentire nel ritmo ostinato
del celebre Bolero.
Pochi anni dopo Ravel, operano in Francia compositori che si raccolgono nel
cosiddetto Gruppo dei sei,
tra i quali emergono Francis Poulenc e Darius Milhaud. Infine uno spirito
graffiante, ironico e antiaccademico, è quello che
anima l’opera singolare di
Erik Satie.
Da questa posizione nasce il bisogno di costruire una nuova grammatica musicale: la dodecafonìa, cioè l’arte di comporre con dodici suoni. 2
La denuncia più cruda, nel linguaggio dodecafonico, Schönberg ce la trasmette con il suo
Sopravvissuto da Varsavia: qui la voce di un
uomo sopravvissuto al lager nazista descrive
le atrocità del campo con una voce a metà fra
parlato e cantato, mentre gli strumenti dell’orchestra vagano in un drammatico, allucinato intreccio.
L’opera di Schönberg è continuata dai suoi due
allievi Alban Berg (1885-1935) e Anton von
Webern (1883-1945). Il primo fonde il metodo dodecafonico con un’espressività intensa.
Nel suo capolavoro, l’opera Wozzeck, mette in
scena il povero soldato vittima dei soprusi dei
superiori. Webern invece piega la tecnica dodecafonica per costruire un mondo magico di
vibrazioni interiori: le sue opere sono tutte
estremamente brevi; alcune durano meno di
un minuto.
L’altro importante musicista tedesco di questo
periodo, Paul Hindemith (1895-1963), compone in uno stile severo, che recupera modi
propri della tradizione barocca, in particolare
di Bach.
Parte D
La storia
1 La “prima” della Sagra
Mi asterrò dal descrivere lo scandalo
che provocò la prima rappresentazione della Sagra della primavera, il 28
maggio 1913. Se n’è parlato troppo.
La complessità della mia partitura
aveva richiesto un grande numero di
prove che il direttore d’orchestra Monteux diresse con la cura e l’attenzione che gli sono proprie. Quale sia stata l’esecuzione durante lo spettacolo,
non posso giudicare, avendo abbandonato la sala dopo le prime battute
del preludio, che sollevarono subito
risa e canzonature. Ne fui indignato.
Queste manifestazioni... produssero
in breve un chiasso infernale.
Durante tutta la rappresentazione
rimasi tra le quinte, a fianco di Nijinsky [il ballerino-coreografo]. Questi
stava in piedi su una sedia e gridava
a squarciagola ai ballerini: “Sedici,
diciassette, diciotto…” [un conteggio
convenzionale per segnare le battute]. Naturalmente i poveri ballerini
non sentivano niente a causa del
Bozzetto per la scenografia della Sagra della primavera di Igor Stravinskij.
tumulto della sala e del calpestìo...
Diaghilev, il coreografo, per far cessare il fracasso, dava ordine agli elettricisti, ora di accendere, ora di spegnere la luce nella sala.
È tutto ciò che ricordo di quella “prima”. Fatto strano, alla prova generale a cui assistevano, come sempre,
artisti, pittori, musicisti, letterati e i
rappresentanti più colti della società,
tutto si era svolto in modo calmo ed
io ero lontano mille miglia dal prevedere... quella gazzarra.
un “punto di riferimento”. Inoltre, tutti i dodici suoni della scala cromatica
devono potersi sentire in un arco di
tempo il più ridotto possibile. Anzi,
una delle regole della dodecafonia
vuole che un suono della scala non
si risenta prima che siano stati eseguiti gli altri undici. Ogni composizione è basata su una particolare successione dei dodici suoni della scala
cromatica: questa successione si chiama serie dodecafonica. Nell’esempio qui sotto, la serie usata da Schönberg per il suo Quintetto opera 26.
All’interno di una composizione, la
stessa serie può presentarsi in diversi modi, tra cui:
• successione diretta (come nell’esempio in basso, a sinistra);
• successione retrograda o cancrizzante, che corrisponde a una successione contraria, cioè eseguita dalla fine all’inizio.
Una serie può anche farsi sentire con
alcuni dei suoni eseguiti simultaneamente, ad accordo. L’esempio precedente potrebbe perciò presentarsi
anche così:
Igor Stravinskij,
Cronache della mia vita, 1935
2 La dodecafonìa
La musica composta secondo le regole in uso prima del XVII secolo è detta musica modale. A partire dal XVII
secolo la musica è guidata dal sistema tonale, dove i suoni della scala
musicale si legano l’uno all’altro secondo una serie di regole ben precise.
Nella musica tonale le note gravitano
intorno a un “centro”: la tonica.
Nel metodo compositivo di Schönberg, la successione di note che formano una melodia dev’essere tale
che nessun suono possa apparire al
nostro orecchio come un “centro”,
275
Unità 11
Bozzetto
per Il cappello
a tricorno di
Manuel de Falla.
Béla Bartók
e Zoltán Kodály.
Il XX secolo
Nell’Europa dell’Est
Il clima aspro e contestatore dell’Espressionismo anima anche le prime musiche dell’ungherese Béla Bartók (1881-1945). Nella sua
opera Il castello del principe Barbablù racconta una storia truce: Barbablù apre alla moglie
tutte le stanze del castello tranne una, che le
è severamente vietata; ma la donna non resiste alla tentazione, e Barbablù la uccide. Questo è in realtà un modo un po’ crudo per esprimere il bisogno che ognuno di noi ha di conservare uno spazio privato e protetto.
Nello stesso tempo però Bartók si interessa al
folklore musicale dell’Est europeo. Gira per le
campagne e registra sui primi rudimentali apparecchi canti e danze popolari, che gli serviranno
a volte come spunti per
composizioni da camera
e sinfoniche. Insieme a lui
lavora, alla ricerca dei
documenti popolari, Zoltán Kodály (1882-1967).
Meno schivo di Bartók,
più aperto e ottimista, Kodály riceve dal governo
ungherese l’incarico di
riorganizzare l’educazione musicale dei giovani; e
lui scrive una ricca raccolta di canti: infatti per
Kodály il canto corale è la
pratica indispensabile per
formare la propria sensibilità musicale.
Neofolklore
Come Kodály in Ungheria, così in Inghilterra
Benjamin Britten (1913-1976) scrive musiche
concepite per l’educazione musicale dei ragazzi, tra cui l’operina Il piccolo spazzacamino.
I musicisti continuano a valorizzare le tradizioni popolari. In Spagna l’artista più originale è Manuel de Falla (1876-1946). Nelle sue
opere sinfoniche e da camera usa i modi tipici del folklore spagnolo per evocare coloriti paesaggi, come in Notti nei giardini di Spagna.
Anche nei lavori teatrali si ispira ai racconti del
suo paese, come nella vivacissima Il cappello
a tricorno e nel balletto L’amore stregone.
Si ispirano al folklore i musicisti delle due Americhe, un continente che fino ai primi anni del
276
Novecento è rimasto ai margini della vita musicale “colta”. In Brasile Heitor Villa-Lobos (18871959) cerca una sintesi tra la musica degli indios
e dei coloni portoghesi da una parte, e la tradizione barocca europea dall’altra: non a caso
ai suoi lavori più famosi ha dato il nome di
Bachianas brasileiras, ossia “musiche brasiliane che si rifanno a Bach”.
Negli Stati Uniti la musica popolare più caratteristica è il jazz, al quale si rifà il compositore nordamericano George Gershwin (18981937). Nell’opera teatrale Porgy and Bess le voci
intonano deliziosi “song”, sull’accompagnamento di un’orchestra sinfonica; e per l’orchestra scrive pezzi divenuti celebri: Un americano a Parigi e Rapsodia in blu. Singolare è anche
la figura di Charles Ives (1874-1954): la sua
formazione musicale avviene fuori dallo stretto contatto con gli autori europei, eppure nella sua musica compaiono le stesse soluzioni
audaci che si praticavano allora in Europa. In
Central Park di notte e Tre pezzi del New England
Ives si fa portavoce dei valori spirituali che caratterizzano la civiltà nordamericana.
In Italia rinasce l’interesse
per la musica strumentale
Nell’Ottocento, i musicisti italiani componevano quasi esclusivamente musica per il teatro d’opera. Soltanto verso la fine del secolo rinasce l’interesse per la musica solo strumentale, da parte di autori come Giuseppe Martucci. Con lui studia Ottorino Respighi (18791936) che ne riceve il gusto per la musica sinfonica. Quando va a lavorare in Russia, prende
lezioni anche da Rimskij-Korsakov, che gli rivela i segreti dell’orchestrazione: Respighi diventa così il compositore italiano più abile nel
maneggiare la tavolozza dei colori strumentali. Lo sentiamo nei lavori più noti, i poemi sinfonici I pini di Roma, Le fontane di Roma, Trittico botticelliano, e il balletto La bottega fantastica, in cui rielabora per orchestra brani scritti da Rossini per pianoforte. 3
Parte D
Le inquietudini delle generazioni che
hanno vissuto l’età delle due guerre
mondiali sono espresse bene dalle
parole dello scrittore tedesco Hermann
Bahr in Espressionismo (1916):
Noi non viviamo più, siamo vissuti.
Non abbiamo più libertà, non sappiamo più deciderci, l’uomo è privato dell’anima, la natura è privata dell’uomo... Mai vi fu epoca più sconvolta dalla disperazione, dall’orrore
della morte. Mai più sepolcrale silenzio ha regnato sul mondo. Mai l’uomo è stato più piccolo. Mai è stato più
La storia
inquieto. Mai la gioia è stata più assente, e la libertà più morta. Ed ecco urlare la disperazione: l’uomo chiede
urlando la sua anima, un solo grido
d’angoscia sale dal nostro tempo.
Anche l’arte urla nelle tenebre, chiama a soccorso, invoca lo spirito.
L’arte che manifesta questa angoscia
è soprattutto quella dei pittori espressionisti. In uno dei suoi autoritratti
Egon Schiele sembra scrutare il tragico destino umano nello sguardo
allucinato, nella mano tesa in modo
innaturale, nel vuoto che sta dietro la
A sinistra, Georges Braque,
Il tavolo del musicista, 1913.
Sotto, Egon Schiele (1890-1918),
Autoritratto, particolare.
Respighi, Franco Alfano, Alfredo Casella, Gian Francesco Malipiero, Ildebrando Pizzetti.
Franco Alfano (1875-1954) compone musica orchestrale e da camera.
Alfredo Casella (1883-1947) fa conoscere l’opera di Stravinskij e degli altri
autori contemporanei più innovativi,
e compone lui stesso musiche vicine al gusto neoclassico, come Scarlattiana e Paganiniana. In quegli anni
rinasce l’interesse per la musica antica, e nelle loro musiche Gian Francesco Malipiero (1882-1973) e Ildebrando Pizzetti (1880-1968) utilizzano spesso modi antichi.
Tutti scrivono anche per il teatro, che
continua a essere il genere musicale più amato dagli italiani: qui si distingue in particolare Pizzetti, che mette in musica drammi di Gabriele d’Annunzio, come La figlia di Jorio.
figura. Come la fuga dalla tradizione
conduce i compositori alla atonalità,
così in pittura la rinuncia a “copiare”
gli oggetti porta al cubismo e all’astrattismo: il mondo visibile nei quadri di Braque, Picasso, Kandinskij,
Mondrian appare deformato e trasfigurato da una capacità di vedere le
cose con “gli occhi della mente”.
3 Il “gruppo dell’Ottanta”
Agli inizi del Novecento l’attenzione
dell’ambiente musicale italiano si rivolge a un gruppo di musicisti ventenni (nati appunto intorno al 1880).
Questi musicisti vengono a contatto
con il grande rivolgimento musicale
e artistico che domina l’Europa e tentano di dare un’impronta “italiana”
alle innovazioni del linguaggio musicale. I maggiori esponenti della “generazione dell’Ottanta” sono Ottorino
277
Unità 11
Il XX secolo
Negli anni Cinquanta si afferma
una musica di impegno sociale
Una pagina
della partitura
di Circles,
opera per voce
e alcuni strumenti
composta
da Luciano Berio
nel 1960.
278
Il capovolgimento che avviene nella civiltà del
Novecento si esprime in una rivoluzione del
modo di concepire la musica. La musica popolare, pop, rock e derivati, punta sul rafforzamento delle sonorità e della ritmica pulsante,
ma al tempo stesso adotta alcuni procedimenti della musica “impegnata”. A partire da Schönberg il sistema tonale è stato contestato dai compositori più innovativi: negli anni Cinquanta la
dodecafonìa continua a essere usata come sistema alternativo alla tonalità, soprattutto dai compositori che sentono il bisogno di esprimere il
disagio della civiltà contemporanea.
In Italia il rinnovamento si deve soprattutto a
Luigi Dallapiccola (1904-1975) e Goffredo Petrassi (1904-2003). Fin dagli anni della Seconda guerra mondiale, entrambi portano una testimonianza di impegno civile al progresso democratico del paese: il primo con opere come i
Canti di prigionia e l’oratorio Job; il secondo
con il Magnificat e i numerosi Concerti per orchestra. Sulla loro scia si muove la generazione dei
compositori nata negli anni Venti: Bruno Maderna (1920-1973) con opere come Notturno e Continuo, Luigi Nono (1924-1990) con La fabbrica illuminata, Canto sospeso, A floresta è jovem,
e Luciano Berio (1925-2003), che ha esplorato tutte le possibilità espressive dei suoni della
voce umana nelle Sequenze, ognuna dedicata
a uno strumento o alla voce.
Fuori dall’Italia numerosi musicisti si impegnano per realizzare musiche di alto valore
morale: il polacco Krzysztof Penderecki (1933)
dedica un’importante composizione Alle vittime di Hiroshima; l’estone Arvo Pärt (1935)
recupera forme dell’antico canto gregoriano;
l’ungherese György Ligeti (1923) scrive musiche formate da fluide fasce sonore che si intrecciano e si sovrappongono, come Atmosphères.
Darmstadt diventa un centro
per la produzione della nuova musica
Negli anni Cinquanta, il centro più fertile per
la musica è la cittadina tedesca di Darmstadt.
Qui si svolgono corsi e rassegne di concerti di
musiche nuove, che diventano un punto di riferimento per tutti i musicisti del mondo. Caposcuola è il francese Olivier Messiaen (19081992) che elabora una tecnica compositiva sofisticata nella quale, accanto a una precisione e
a un rigore matematici, trovano curiosamente
spazio anche concetti musicali e filosofici orientali, e spunti melodici e ritmici presi dal canto
degli uccelli. Gli insegnamenti di Messiaen hanno influenzato compositori più giovani come
il francese Pierre Boulez (1925) e il tedesco
Karlheinz Stockhausen (1928), suoi allievi.
Un nuovo universo sonoro
La ricerca di nuove forme e di nuove tecniche
di espressione anima l’arte contemporanea. Già
all’inizio del XX secolo i futuristi hanno mostrato come si possa usare il rumore per costruire discorsi musicali. Questa intuizione viene
ripresa da un compositore americano, Edgar
Varèse (1883-1965), che in opere come Ionisation usa gli strumenti a percussione tradizionali, superando la distinzione tra suono e
rumore. Varèse è un grande compositore, anche
se ha scritto pochissime opere: sempre teso alla
produzione di nuovi suoni, è stato tra i primi
a usare in modo magistrale la composizione
con suoni e mezzi solo elettronici. Nascono
così opere, come Deserti e Poema elettronico,
che utilizzano fonti sonore fino a quel momento sconosciute. Per la prima volta i suoni, anziché nascere da corde, legno, metallo, pelle, vengono generati da macchine elettroniche: sono
suoni inediti, gelidi e astratti, misteriosi e affascinanti, che sembrano arrivare da altri mondi. Il suono elettronico entra così stabilmente
sia nella musica colta sia in quella popolare.
In Italia sono soprattutto Maderna, Berio e Nono
a servirsene, fondando il Centro di fonologia
di Milano; in Francia questa tecnica è sviluppata nella musica concreta di Pierre Schaeffer (1910-1995). 4
Parte D
La storia
4 Musica elettronica e musica concreta
Così si presenta, sul monitor
del computer, uno dei più diffusi software
per generare suoni elettronici.
Questo tipo di software viene definito
“strumento virtuale”.
Musica elettronica e musica concreta: con questi termini si indicano due
modi diversi di produrre suoni con
strumenti musicali non tradizionali:
nella musica elettronica il suono è
generato direttamente da strumenti elettronici, nella musica concreta prima si registra un suono naturale, per esempio uno scroscio, o
un clacson di automobile, poi lo si
trasforma elettronicamente.
La musica elettronica si serve solo
di suoni prodotti attraverso apparecchiature elettroniche chiamate solitamente generatori. Vi sono generatori d’onde sonore, di rumori, di fre-
quenza, di impulsi ecc. Oggi, per
generare suoni elettronici, ci si serve
anche di sintetizzatori, computer,
software specializzati e linguaggi di
programmazione. I suoni prodotti in
questo modo sono spesso totalmente nuovi e quindi non riproducibili con
i normali strumenti musicali.
Caratteristica essenziale della musica elettronica è quella di creare suoni con mezzi che non implicano l’abilità manuale di chi suona; nel caso
degli strumenti elettronici la difficoltà
è che il compositore deve avere contemporaneamente conoscenze musicali, matematiche e informatiche.
I musicisti del XX secolo si mostrano
interessati più alla materia sonora,
alle sfumature e alle combinazioni di
colore che non alla forma della composizione, alla melodia o al ritmo tradizionali. Allo stesso modo i pittori e
gli scultori studiano l’impasto dei colori, la superficie, la plasticità dei materiali. L’italiano Alberto Burri, ad esempio, lavora deformando sacchi di iuta
o teloni di plastica mentre altri, come
lo spagnolo Antoni Tápies, applicano segno e colore su tele preparate
con una spesso strato di materia plasmabile. Le combustioni con cui Burri modifica i materiali plastici che ha
fissato sulla tela lasciano spazio all’azione del caso così come nella musica aleatoria il caso determina almeno in parte la composizione.
Altri danno importanza all’azione fisica del creare opere d’arte: in questi
casi conta più il gesto che non il risultato, come avviene nelle creazioni di
Jackson Pollock (vedi pag. 299), ottenute spargendo strati di colore sulla
tela distesa sul pavimento. Questo
modo di fare arte si avvicina ai modi
della musica aleatoria.
All’opposto, altri artisti accostano semplici oggetti di uso comune, come
negli Interni di Tom Wesselmann.
Nella musica concreta, invece, il
materiale sonoro è sempre precostituito, tratto dalla vita quotidiana o da
registrazioni di strumenti musicali reali ed etnici; i suoni e i rumori provengono da qualunque situazione:
un mercato, una fabbrica, un ristorante, uno stadio, un’automobile, un
esecutore d’orchestra.
Dopo essere stati registrati con raffinati registratori, oppure campionati,
i suoni vengono montati con effetti di
sovrapposizione e variazione. Spesso il suono finale è talmente alterato
rispetto a quello originale da non essere nemmeno riconoscibile.
Tom Wesselmann, Interior, 1964.
279
Unità 11
Il XX secolo
L’era del computer
Schermata di
un software in uso
presso l’IRCAM,
utilizzato per
esecuzioni
dal vivo, ricerca
e insegnamento.
I suoni vengono
generati
da formule
matematiche.
Una scena
della versione
cinematografica
di My Fair Lady,
il musical che ha
riscosso il maggiore
successo negli
anni Sessanta.
280
L’avvento del computer
amplia ancora di più le possibilità della creazione musicale. Per realizzare musica con il computer sorgono
nel mondo importanti centri di ricerca e produzione
come l’IRCAM di Parigi
(Istituto per la ricerca acustica e musicale), l’Istituto
di fonologia dell’Università
di Utrecht in Olanda, i laboratori del MIT di Boston e
quelli dell’Università di
Stanford negli Stati Uniti.
La sintesi sonora è una elaborazione del suono tramite computer, che si
avvale di calcoli matematici complessi e che
viene applicata a una serie di forme d’onda
generate da un elaboratore o da un oscillatore. In questo campo ha lavorato il compositore greco naturalizzato francese Iannis Xenakis
(1922-2001), realizzando varie opere fra le quali Orient e Occident (1960).
La grande varietà di mezzi elettronici consente oggi al compositore un controllo totale e precisissimo di ogni parametro del suono: durata,
altezza, intensità, timbro. È quindi possibile
lavorare con una serie di suoni sempre nuovissimi che possono essere associati a quelli
prodotti dai normali strumenti musicali o a suoni registrati, in combinazioni infinite. 5
L’alea, il minimalismo, il musical
Negli Stati Uniti, John Cage (1912-1992) propone una musica anticonformista, a volte provocatoria, nella quale grande parte ha l’alea,
la casualità: il compositore rinuncia spesso a
scrivere tutte le note lasciando che sia il caso
a determinare parte della sua composizione.
L’alea è sfruttata ancora di più dal compositore argentino Mauricio Kagel (1931).
Tra le correnti più recenti infine va segnalato
un certo ritorno alle origini: una musica molto semplice, basata sulla ripetizione continua
di piccoli elementi, per esempio una melodia
di poche note. Questa corrente prende il nome
di minimalismo: Morton Feldman, Terry
Riley, Philip Glass e Steve Reich ne sono i
rappresentanti più significativi.
Ma il genere musicale che ha più successo nell’America del Novecento è il musical, o commedia musicale; tra i suoi autori troviamo
Irving Berlin, Cole Porter, Richard Rodgers,
Leonard Bernstein. Si sono dedicati al musical anche cantanti come Bing Crosby, Frank
Sinatra, Sarah Vaughan, che hanno generalmente interpretato canzoni a metà strada tra il
jazz e la musica leggera.
La musica oggi
Oggi i compositori di talento sono molti, in tutte le parti del mondo, dal Giappone all’Australia,
dal Canada al Medio Oriente, tanto che sarebbe impossibile elencare anche soltanto i più
significativi. Sono compositori che scrivono per
le sale da concerto o da teatro, o direttamente
per le case discografiche o anche solo per la
diffusione via Internet o radio. Tra i nomi più
illustri operanti in Italia ricordiamo quelli di
Franco Donatoni, Sylvano Bussotti, Salvatore Sciarrino.
Tuttavia ai compositori si sono anche aperte
numerose strade nuove. Già da tempo, infatti,
si compone musica per la televisione e per il
cinema, dove la colonna sonora è un ingrediente insostituibile (un solo esempio: le musiche di Ennio Morricone), e infine, recentemente, anche musica inserita nelle reti informatiche, che può essere ascoltata direttamente navigando in Internet, oppure ordinando,
sempre in Internet, un CD.
Sono tutte occasioni che dilatano straordinariamente le opportunità sia di ascoltare sia di
creare nuova musica. 6
Parte D
La storia
5 Tape music e computer music
Data la grandissima varietà di mezzi
con cui si possono produrre suoni, i
compositori hanno creato nuovi generi musicali. La tape music si compone elaborando un suono con tagli,
accelerazioni e diminuzioni di velocità di un nastro registrato.
Un altro genere molto praticato è la
computer music: ossia la musica
composta solo con il computer. Questo “pensa e lavora” grazie a un codice binario composto da sole due cifre:
zero e uno; una volta tradotto il suono in questo codice, è possibile manipolarlo con l’ausilio di tecniche matematiche molto complesse. In questo
caso comporre una musica vuole dire
inserire nel computer una specie di
“messaggio cifrato” composto da
parole costruite utilizzando il codice
binario.
Per eseguire la musica si ordina al
computer di leggere il messaggio
cifrato che viene così decodificato e
trasformato in un impulso elettrico
che, adeguatamente amplificato, restituisce una serie di suoni.
tava normalmente composizioni scritte da musicisti del tempo.
All’inizio del Novecento, invece, si
verifica un cambiamento: i gusti e le
conoscenze del grande pubblico comprendono infatti un repertorio che
parte dalla fine del Seicento. Oggi,
grazie alla diffusione della musica
registrata, tutte le età della storia della musica – dal canto gregoriano fino
alle ultime creazioni – sono disponibili su dischi, CD o altri supporti.
Questa
immagine
rappresenta un
brano di musica
elettronica
composto con un
apposito software.
I suoni sono
rappresentati
da codici,
composti da
lettere e numeri;
il computer legge
una riga per volta
e invia i codici
agli strumenti
elettronici.
A questo punto
il codice è
diventato musica.
Ogni colonna
corrisponde
a uno strumento
musicale
elettronico. Tutti
i comandi che
stanno in alto,
in basso e a destra
servono per
variare i parametri
del suono e della
composizione.
6 Una memoria su disco
Fino al Settecento era raro l’ascolto
di musiche “vecchie” anche di soli
venti o trent’anni, che risultavano
essere fuori moda: un po’ come capita oggi con le canzoni di vent’anni fa.
Anche nell’Ottocento il pubblico ascol-
281
Unità 11
Il XX secolo
George Gershwin
Copertina
del disco di
Rapsodia in blu
e Un americano
a Parigi
disegnata da
Guido Crepax.
TRACCE
21 – 26
10
(Stati Uniti, 1898-1937)
I suoi familiari, di origine russa, abitano a New York, in uno dei quartieri più popolari di Brooklyn. È qui che Gershwin trascorre la sua infanzia, ed è qui che la sua
immaginazione si nutre delle musiche di strada, il blues, il ragtime, le vecchie canzoni folkloristiche: la musica diventa la sua grande passione. Per sbarcare il lunario lavora prima come strimpellatore di canzoni nuove per una casa editrice, poi
come pianista nei musical. Rivela presto un grande talento per la melodia, componendo canzoni che lo rendono famoso: Swanee, Lady be Good, The Man I love,
Fascinating Rhythms.
Ma Gershwin ha un’ambizione più alta: quella di creare una sintesi fra il linguaggio
musicale nordamericano e la musica classica europea. In questo è incoraggiato e
assistito dal musicista e direttore d’orchestra Paul Whiteman. Nascono così la
Rapsodia in blu, il Concerto in Fa per pianoforte, Un americano a Parigi, che tratteggia la passeggiata di un newyorkese per le vie di Parigi, dove la gioia si alterna alla nostalgia di casa.
Non contento, si cimenta con l’opera lirica, componendo il suo ultimo
capolavoro, Porgy and Bess, un’opera drammatica ambientata nei luoghi in cui ha trascorso l’infanzia e
che contiene alcune delle sue più belle pagine, come il celebre spiritual
Summertime.
Concerto in Fa:
Allegro agitato
Gershwin era già famoso in patria per
le sue bellissime canzoni, quando nel
1925 il direttore della Società sinfonica di New York lo sollecitò a scrivere un’opera ambiziosa: un concerto
nello stile classico. Gershwin però non poteva dimenticare le sue redici, legate al ragtime e
al blues. Ed ecco nascere questo Concerto in Fa, nei tre movimenti classici: Allegro, Adagio, Allegro. Ascoltiamo l’Allegro finale.
282
TRACCIA 21
L’inizio sfolgorante ci presenta il motivo che tornerà più volte nel corso della composizione: un motivo a note ribattute, martellato dall’orchestra intera e ripreso dal pianoforte. I
due protagonisti, orchestra e pianoforte, si scambiano poche battute di dialogo.
TRACCIA 22
Ora procedono insieme, con un caratteristico motivo in contrattempo, che si era già fatto
sentire nel primo movimento del concerto:
Parte D
TRACCIA 23
La storia
Riprende il motivo martellante: prima nel pianoforte, poi in tutti i gruppi orchestrali, dal
grave all’acuto. Qui Gershwin introduce il tema principale del secondo movimento, nel suono inconfondibile della tromba con sordina:
Quale strumento lo ripete?
• Il pianoforte
• I violini
• Il flauto
Il ribattuto dello xilofono, e un improvviso rallentamento, concludono l’episodio.
TRACCIA 24
Si riparte con l’orchestra, con il ritmo martellante del pianoforte, e con un nuovo motivo,
un “song” già presentato nel secondo movimento:
Quando il pianoforte resta solo, che cosa esegue?
• Il song
• Il motivo della tromba con sordina
• Un motivo completamente nuovo
TRACCIA 25
Lo xilofono riprende il motivo in contrattempo che abbiamo sentito all’inizio, e che ora prepara la conclusione.
TRACCIA 26
Il pubblico che applaudì entusiasta la prima di questo concerto era rimasto colpito dall’inventiva melodica di Gershwin.
E come resistere all’applauso, quando l’intera orchestra si precipita nel fragoroso, entusiasmante finale?
Scena
dalla prima
rappresentazione
dell’opera
Porgy and Bess,
nel 1935.
283
Unità 11
Il XX secolo
Anton von Webern
A destra,
Anton
von Webern
in un dipinto
del pittore
Valerio Adami,
1971.
TRACCE
27 – 29
10
(Austria, 1883-1945)
Gli studi severi compiuti nell’Università di Vienna lo orientano a una carriera di compositore fedele alla tradizione. A fargli cambiare completamente
rotta è, nel 1904, l’incontro con Schönberg, di cui
diventa allievo. Schönberg sta maturando il suo
allontanamento dalla tonalità, che lo porterà a elaborare il metodo dodecafònico.
Webern segue il maestro nel suo percorso artistico, ma in modo del tutto speciale: invece di comporre lunghe melodie, con ritmi più o meno regolari, seleziona pochi suoni e li accosta, variando
con estrema cura l’altezza, la durata, il timbro e
l’intensità di ciascuno. Risultato: le sue composizioni sono cortissime, come un “distillato di musica”. L’effetto d’insieme è una geometria sonora, dove i
pieni e i vuoti sono disposti con grande equilibrio, a creare un’atmosfera rarefatta, di sognante purezza. Si possono paragonare ai lavori più geometrici dell’arte astratta, dove il pittore sceglie con grande rigore quadrati e rettangoli, da
alternare sulla tela agli spazi vuoti. Con questo modo di pensare la musica, Webern si trova perfettamente a suo agio con il metodo dodecafònico del maestro.
Quando Hitler sale al potere in Germania, Schönberg è costretto a fuggire all’estero; la musica sua e quella di Webern vengono messe al bando come “arte degenerata”. Webern deve
limitarsi a dare lezioni private. Scoppia la guerra, si arriva al crollo del nazismo, Vienna
viene occupata dagli Alleati. È il 1945: un giorno, mentre Webern passeggia nei dintorni di
Vienna, un soldato americano gli intima l’alt. Per un tragico malinteso, il soldato lascia partire una raffica: Webern muore così.
Variazioni op. 27
Questa composizione risale al 1936, e usa il metodo dodecafònico, su questa serie di dodici suoni:
TRACCIA 27
Sono tre brevi momenti. Il primo serve da Introduzione.
TRACCIA 28
Il secondo, ancora più corto, è come un antico “scherzo”, miniaturizzato.
TRACCIA 29
La variazione vera e propria della serie occupa il terzo frammento.
La spiegazione più acuta di questa musica ci viene dal maestro di Webern, Arnold Schönberg: “Pensate quanto senso di rinuncia è necessario per essere così succinti. Su ogni sguardo si può ben costruire un poema, su ogni sospiro un romanzo. Ma esprimere un romanzo
con un solo gesto, una felicità in un sospiro: tanta concentrazione è possibile solo se non
si ha troppa indulgenza verso se stessi. Questi pezzi saranno capiti solo da chi condivide
la fede che la musica può dirci cose che solo la musica è in grado di esprimere.”
284
Parte D
Luciano Berio
La storia
(Italia, Imperia, 1925-2003)
Luciano Berio è uno dei musicisti italiani più importanti del XX secolo.
Studia al Conservatorio di Milano, poi negli Stati Uniti, dove insegna in
varie università.
Insieme a Bruno Maderna fonda a Milano nel 1954 lo Studio di fonologia
musicale, dedicato all’elaborazione elettronica del suono.
Nascono così le prime opere italiane di musica elettronica, come Visage
(1961), nella quale una voce femminile è sottoposta a trattamenti elettronici: il risultato è una storia fantastica, che sembra dare consistenza ai
nostri sentimenti più nascosti, ai nostri incubi.
Il suono si lega spesso in Berio al movimento fisico, all’azione scenica: la
musica si trasforma in musica/azione, o action music, come viene chiamato tale modo di comporre. Da questa ricerca nascono diversi lavori destinati espressamente al teatro, come Opera, La vera storia, Un re in ascolto.
TRACCIA 30
10
Sequenza IV per pianoforte
Lo spirito di ricerca di mondi sonori nuovi porta Luciano Berio a realizzare numerose composizioni strumentali. Le 13 Sequenze composte fino al 1996 sono dedicate ciascuna a uno
strumento.
Nella quarta sequenza Berio costruisce un’ampia composizione a partire da certe possibilità tipiche del pianoforte. Inizia da semplici accordi seguiti da silenzi e poi il gioco si infittisce sempre più. Ma la cosa che gli interessa particolarmente è la possibilità di lasciar
vibrare alcuni suoni, mentre se ne sovrappongono altri che svaniscono: questo è possibile
grazie al pedale centrale dello strumento.
Il risultato è un esempio di musica/azione: è come se un bizzarro folletto si fosse intrufolato nel pianoforte; anzi è come se la voce del folletto si identificasse con le corde del pianoforte, ed è una voce che fa ascoltare i più capricciosi moti d’animo del nostro inconscio.
Particolare
della partitura
di Mutazioni, di
Luciano Berio.
285
Unità 11
Il XX secolo
Cathy Berberian
(Stati Uniti, 1925-1983)
A lungo, le attività artistiche sono state una prerogativa degli uomini. Solo in casi eccezionali potevano accedervi le donne. Oggi le cose sono cambiate, almeno in molti paesi, e
anche una musicista può vedere riconosciuto il suo talento. L’americana Cathy Berberian è
autrice di musiche vocali e strumentali ed è riconosciuta per la sua versatilità: era bravissima come cantante, come mimo, come interprete dei generi di danza più diversi. Negli
anni Cinquanta del XX secolo si trasferì in Italia, e qui, oltre a comporre le proprie musiche, come la scherzosa Stripsodia, divenne l’interprete prediletta di numerosi compositori,
che scrissero musiche apposta per lei, da Luciano Berio a Igor Stravinskij.
TRACCE
31 – 36
10
TRACCIA 31
Stripsodia
Si può capire una storia raccontata solo con le onomatopèe? Cathy Berberian ci ha provato. Ascoltiamola. Il disegnatore Roberto Zamarin l’ha trascritta con i seguenti disegni.
Prima scenetta
La protagonista è in casa, sola. Tic-toc, tic-toc: il pendolo batte i secondi.
La signora sospira, accende la radio (ts-tsk): gira inquieta da una stazione all’altra. Sospira.
Qualcuno bussa: chi sarà? Apre la porta: è una visita affettuosa (smack, smack).
TRACCIA 32
Seconda scenetta
Ora si passa in cucina, si mangia. Poi va alla fattoria, dove vengono incontro un’oca (honk,
honk), un maialino (oink, oink), un moscone seguito da una mucca: zzzzzzzz...muuuuu...
286
Parte D
TRACCIA 33
La storia
Terza scenetta
Arrivano gli indiani; cavalcata. Cow-boy rispondono sparando.
Ritorna la quiete: un topolino esce allo scoperto (squeek, squeek).
Alla fattoria la vita riprende: slam slap smash smack snap snap splash…
TRACCIA 34
Quarta scenetta
Ma ora arriva un bandito, a passi pesanti (stomp, stomp, stomp). Apre, spara, stende a terra qualcuno, se ne riparte. Sirena della polizia.
287
Unità 11
TRACCIA 35
Il XX secolo
Quinta scenetta
Un missile parte. Poi ricade: swiiiii…tak.
Accorrere di gente. Sorpresa (yowee!): chi arriva?
Un uccello? No!
Un aereo? No!
È Superman!
TRACCIA 36
Sesta scenetta
Si ritorna nella fattoria. Il cow-boy si rimette al lavoro. Poi stanco s’addormenta (zzzzzzfiiii).
Un’implacabile zanzara lo disturba. Il cow-boy estrae la pistola: bang.
Tutto è finito.
288
Parte D
Leonard Bernstein
La storia
(Stati Uniti, 1918-1990)
È stato uno dei più grandi e amati direttori
d’orchestra del XX secolo. Tutte le maggiori
orchestre del mondo lo hanno ospitato. Ma è
stato anche un importante compositore di
musica d’ogni genere: sinfonie, musiche da
camera, da film, di scena. Per il teatro musicale scrive l’opera A quiet place e il suo capolavoro, il musical intitolato West Side Story.
Negli anni Sessanta si dedica all’educazione
musicale dei giovani, realizzando per la TV
una serie di trasmissioni durante le quali spiega le musiche che poi esegue. Queste registrazioni si possono vedere ancora oggi.
TRACCE
37 – 46
10
Sopra,
a destra,
la locandina
del film West
Side Story
(1961), tratto
dal musical
di Bernstein.
West Side Story: Scene dal musical
West Side Story è uno dei musical – o commedie musicali – più acclamati. Rappresentato
per la prima volta nel 1957, narra una storia ispirata a quella di Giulietta e Romeo, la celebre tragedia di Shakespeare, ambientata però a New York: invece delle due famiglie rivali
dei Capuleti e dei Montecchi, qui si affrontano due fra le bande di giovani che popolano il
quartiere; invece di Giulietta e Romeo, qui ci sono Maria e Tony. Nel corso di una rissa Tony
uccide il rivale Bernardo. Un omicidio che Tony pagherà con la morte.
Ouverture
Bernstein introduce la rappresentazione con una pagina solo strumentale, proprio come
facevano i compositori dei melodrammi, e anticipa in questa pagina alcuni dei più bei temi
della commedia.
TRACCIA 37
L’inizio è tumultuoso: si apre davanti a noi lo spettacolo di una metropoli convulsa, percorsa da gente di ogni tipo e tormentata dalle violenze delle bande rivali. Un ritmo martellante prepara le smorfie espresse da tromboni e trombe.
TRACCIA 38
Improvvisamente dalla confusione si stacca una figura amabile. Bernstein introduce una
canzone del primo atto, Tonight, che tra poco sentiremo cantare dai due innamorati. È suonata su questo accompagnamento sincopato:
TRACCIA 39
La mischia riprende solo per permettere al musicista di staccare un’altra scena sentimentale, quella legata alla figura di Maria, sempre dal primo atto: il bel tema è eseguito dal
corno.
TRACCIA 40
Il finale è sempre più precipitoso. A dipingere la vita frenetica che continua nella città partecipa tutta l’orchestra, con i campanacci che aggiungono un tocco popolare.
289
Unità 11
Il XX secolo
Maria
TRACCIA 41
Quando Tony vede Maria se ne innamora subito, e lo dice al suo amico. Ascoltiamolo leggendo la sua confessione qui sotto:
The most beautiful sound I ever heard: Maria, Maria, Maria… Il più bel suono che ho mai udito: Maria, Maria, Maria…
All the beautiful sounds of the world
Tutti i bei suoni del mondo
in a single world: Maria, Maria, Maria…
in una sola parola: Maria, Maria, Maria…
Maria! I’ve just met a girl named Maria,
and suddenly that name will never be the same,
will never be the same to me.
Maria! Ho incontrato una ragazza di nome Maria
e subito quel nome non sarà più lo stesso,
non sarà più lo stesso per me.
Maria! I’ve just kissed a girl named Maria,
and suddenly I’ve found
how wonderful a sound can be!
Maria! Ho baciato una ragazza di nome Maria,
e subito ho scoperto
quanto un suono possa essere meraviglioso!
Maria! Say it loud and there’s music playing.
Say it soft and it’s almost like praying.
Maria, I’ll never stop saying Maria, Maria, Maria, Maria…
Maria! Dillo forte, ed è una musica che suona.
Dillo piano, ed è quasi una preghiera.
Maria, non smetterò di dire Maria, Maria, Maria, Maria…
Maria! Say it loud and there’s music playing.
Say it soft and it’s almost like praying.
Maria, I’ll never stop saying Maria, Maria, Maria, Maria…
Maria! Dillo forte, ed è una musica che suona.
Dillo piano ed è come una preghiera.
Maria, non smetterò di dire Maria, Maria, Maria, Maria…
The most beautiful sound I ever heard: Maria!
Il più bel suono che ho mai udito: Maria!
West Side
Story.
290
Parte D
La storia
Scena del balcone
TRACCIA 42
Come Giulietta nella tragedia di Shakespeare, anche Maria parla dal balcone al suo innamorato:
Maria: Only you, you’re the only thing I’ll see forever.
In my eyes, in my words and in ev’rything I do,
nothing else but you, ever!
Maria: Solo tu, tu sei la sola cosa che vedrò per sempre.
Nei miei occhi, nelle mie parole e in tutto ciò che faccio,
nient’altro che te, sempre!
Tony: And there’s nothing for me but Maria,
ev’ry sight that I see is Maria.
Tony: E non c’è niente per me se non Maria,
ogni immagine che vedo è Maria.
Maria: Tony, Tony…
Maria: Tony, Tony…
Tony: Always you, ev’ry thought I’ll ever know,
ev’rywhere I go, you’ll be, you and me!
Tony: Sempre tu, ogni pensiero che penserò,
dovunque andrò, tu sarai, tu con me!
Maria: All the world is only you and me!
Tonight, tonight, it all began tonight,
I saw you and the world went away.
Tonight, tonight, there’s only you tonight,
what you are, what you do, what you say.
Today, all day I had the feeling
a miracle would happen. I know now I was right.
For here you are,
and what was just a world is a star—tonight.
Maria: Tutto il mondo è solo te con me!
Stanotte, stanotte, tutto è cominciato stanotte,
ti ho vista e il mondo è scomparso.
Stanotte, stanotte, ci sei solo tu stanotte,
ciò che sei, ciò che fai, ciò che dici.
Oggi, tutto oggi ho avuto la sensazione
che un miracolo sarebbe avvenuto. Ora so che avevo ragione.
Perché tu sei qui,
e quello che era solo un mondo è una stella—stanotte.
Insieme: Tonight, tonight, the world is full of light,
with suns and moons all over the place.
Insieme: Stanotte, stanotte, il mondo è pieno di luce,
con soli e lune su tutti i luoghi.
Tony: Tonight, tonight, the world is wild and bright,
going mad, shooting sparks into space.
Tony: Stanotte, stanotte, il mondo è selvaggio e luminoso,
impazzisce, spara scintille nello spazio.
Insieme: Tonight, tonight, the world was just an address,
a place for me to live in, no better than all right,
but here you are,
and what was just a world is a star—tonight.
Good night, good night, sleep well and when you dream,
dream of me, tonight.
Insieme: Stanotte, stanotte, il mondo era solo un indirizzo,
un posto dove vivere, non meglio di ogni cosa che va,
ma tu sei qui,
e quello che era solo un mondo è una stella—stanotte.
Buona notte, buona notte, dormi bene e quando sogni,
sogna me, stanotte.
La rissa
TRACCIA 43
Riff, l’amico di Tony, viene sfidato da Bernardo. Lottano con i coltelli. Le trombe con sordina sembrano dare voce ai ghigni dei contendenti. I due si bloccano a vicenda, faticano
a liberarsi: la musica si fa nervosa. Senti lo xilofono scandire i gesti convulsi.
TRACCIA 44
La lotta riprende furiosa, fino a che Bernardo uccide Riff.
TRACCIA 45
Momento di silenzio. Tony prende il coltello dalla mano dell’amico e si avventa su Bernardo, uccidendolo. Davanti al duplice delitto le due bande si disperdono.
TRACCIA 46
I tamburi ci fanno capire che la scena è rimasta vuota. L’ultimo ad andarsene è Tony, disperato. Il suo pensiero è per Maria.
291
Unità 11
Il XX secolo
Esperienze
I futuristi e gli autori di musica concreta ci insegnano che i rumori ambientali possono essere utilizzati per costruire “messaggi sonori”. Inventiamo anche noi una musica di rumori.
Scegliamo oggetti che producano effetti sonori diversi. Ricordiamoci che ogni oggetto può
produrre una quantità di effetti, a seconda di come lo si tratta: anche un semplice pezzo
di carta può essere stropicciato, agitato, lacerato, percosso, sfregato…
Decidiamo un segno per ogni effetto sonoro.
Facciamo un’esperienza diretta e molto semplice di dodecafonìa. Procediamo così:
• scriviamo alla lavagna una serie di dodici suoni, disposti in modo che il risultato non sia
“tonale”;
• mettiamoci in gruppi di quattro ragazzi;
• comincia il primo gruppo: ogni ragazzo si prende tre note;
• eseguiamo tutte le dodici note in successione: ogni ragazzo decide se suonarle rapidamente o lentamente, con pause o senza; può anche decidere di suonarle a una a una oppure simultaneamente;
• si passa al secondo gruppo, poi ai successivi.
La dodecafonìa impiega anche le tecniche escogitate nel Quattrocento dai Fiamminghi.
Una medesima melodia può allora essere eseguita nei seguenti modi:
• retrogrado, leggendola al contrario, da destra a sinistra;
• inverso, un intervallo che sale è sostituito da uno che scende, e così via;
• retrogrado e inverso, si applicano insieme i due modi precedenti.
Proviamo a eseguire le note della serie in modo retrogrado. Con l’aiuto dell’insegnante,
possiamo riscrivere la melodia in modo inverso e retrogrado/inverso, ed eseguirla così.
Inventiamo una musica fatta di clusters: grappoli di suoni vicini, come quelli che
si ottengono premendo insieme con il palmo della mano aperta tutti i tasti possibili di un
pianoforte. Usiamo tutti gli strumenti melodici che abbiamo. Decidiamo prima la forma
complessiva del pezzo: alterniamo sonorità dense (tanti suoni, intensità forte) e sonorità
rarefatte (pochi suoni, intensità piano); creiamo anche passaggi graduali dall’una all’altra.
PORTFOLIO
PORTFOLIO Inventiamo una musica concreta elementare. Registriamo i rumori ambientali.
Ogni ragazzo registra un rumore: per esempio, il rombo di un motore, la goccia d’acqua
del lavandino… Costruiamo un pezzo alternando e sovrapponendo i suoni.
Pratichiamo qualcuna delle proposte per il computer suggerite nel CD che accompagna
questo corso.
Inventiamo una “stripsodia”, come ha fatto Cathy Berberian. Disegniamo il fumetto di una storia; riempiamolo di onomatopee, e sonorizziamole.
PORTFOLIO
Mettiamoci in gruppi e organizziamo una ricerca sulla vita musicale, gli usi e le caratteristiche della musica. Ogni gruppo sceglie un periodo storico da approfondire. Aspetti da
mettere in luce:
• funzioni della musica: cerimonie, divertimento, culto religioso;
• ambienti in cui la musica era eseguita, e tipo di pubblico;
• committenti: signori, amministratori pubblici, impresari;
• estrazione sociale del musicista;
292
Parte D
La storia
• caratteristiche della musica;
• strumenti utilizzati;
• affinità con le altre arti.
Ogni gruppo può realizzare alcuni tabelloni, da esporre in classe e da illustrare ai compagni in una “conferenza” finale.
PORTFOLIO Visitiamo un museo dedicato a un musicista. Spesso il museo è allestito nella
casa natale del musicista stesso. Qualche suggerimento per prepararci alla visita:
• conduciamo prima un’indagine sulla figura del musicista: l’epoca in cui è vissuto, il suo
ambiente, la sua estrazione sociale e così via;
• se sono state stampate le sue lettere o le sue memorie, leggiamone insieme qualcuna;
• ascoltiamo qualche sua musica significativa;
• procuriamoci la documentazione di quello che il museo contiene;
• durante la visita, diamoci compiti diversi: un gruppo si concentra sulle abitudini del musicista e i suoi gusti; un altro sulle sue amicizie; un altro sull’ambiente in cui è vissuto; un
altro sui suoi modi di comporre; e così via.
E non dimentichiamo di informarci per tempo sugli orari di apertura del museo.
Eseguiamo anche noi
George Gershwin, Concerto in Fa: l’ultimo tema.
Cathy Berberian, Stripsodia: la terza scenetta.
ricapitoliamo
La prima metà del XX secolo è caratterizzata dal contrasto fra i progressi della tecnica e dell’economia, e
la barbarie delle guerre e degli stermini. Anche le arti
rivelano questo doppio volto: per esempio, il Futurismo celebra le macchine ma anche le guerre.
Nella prima metà del XX secolo, il legame con la musica popolare è alla base delle opere dei compositori
ungheresi, inglesi, slavi, spagnoli, e anche americani.
In seguito, la musica “impegnata” si allontana sempre
più dal gusto popolare.
I compositori russi si ispirano alle leggende della propria terra, come fa Igor Stravinskij, o alla sua storia e
alla sua vita politica, come fa Dmitrij Sciostakovic.
Negli anni Cinquanta si affermano le avanguardie colte, che riprendono la lezione della dodecafonìa e si
ispirano a temi di grande impatto sociale e politico.
Mentre in Italia rinasce l’interesse per la musica strumentale, in Francia si affermano nuove importanti
scuole di compositori. In Germania la critica verso i
valori sociali che hanno condotto alle guerre è espressa soprattutto dagli artisti dell’Espressionismo: in musica, questa corrente ha un protagonista in Arnold Schönberg, che elabora una nuova grammatica musicale, la
dodecafonìa.
Nuove sonorità si affermano grazie all’elettronica: la
musica elettronica, la musica concreta e la computer
music usano le nuove tecnologie per esplorare mondi espressivi impensati prima.
Soprattutto negli Stati Uniti, accanto al genere popolare del musical si affermano le correnti più antitradizionali, ispirate all’alea (cioè alla composizione “casuale”) e al minimalismo.
293
Il jazz
1861
Stati Uniti:
abolizione della
schiavitù e inizio
della guerra
di secessione
1887
Invenzione
del grammofono
La testimonianza
Laggiù nel Sud dove sono nato
raccoglievo il cotone
e zappavo il granturco
—tanto tempo fa.
Oh, drizzate la schiena e tirate,
accostate e prendete la vostra paga.
Cinque dollari al giorno
è la paga di un bianco,
e un dollaro è quella di un nero.
Potessi avere un po’ di rum,
vi canterei una canzone, se ne avessi una.
Anonimo, A long time ago
Raccolta del cotone.
1919-1933
Proibizionismo
negli Stati Uniti
1968
Assassinio
di Martin
Luther King
Le origini
Così canta uno schiavo d’America appena liberato. Ma è cambiata veramente la sua vita? Il
canto era l’unico sollievo per i diseredati: un
canto così espressivo da avere inciso profondamente sulla storia della canzone. L’origine
di molta della musica che ascoltiamo oggi, infatti, è afroamericana: affonda le sue radici nella
cultura multietnica della popolazione degli Stati Uniti e in particolare in quella delle popolazioni africane deportate in America secoli fa in
schiavitù. È da questa fusione di culture (negli
USA viene chiamata melting pot) che nascono
jazz, twist, rock e così via. 1
Le prime forme di jazz: blues e ragtime
1994
Fine
dell’apartheid
in Sudafrica
Il jazz ha origine e si evolve a partire dalle melodie e dai ritmi che gli schiavi neri hanno portato con sé dall’Africa; queste espressioni native si trasformano a contatto con quelle dei coloni americani di origine europea.
Le prime forme musicali originali sono i canti di lavoro, e soprattutto il blues, un genere
musicale popolare che nasce negli Stati Uniti,
nella comunità degli schiavi neri, e comprende canzoni accompagnate da chitarra o pianoforte. I temi delle canzoni riguardano aspetti spiacevoli e dolorosi della vita: un amore
deluso, la fame, la fatica del lavoro. Il termine
blue, infatti, significa tristezza.
Padre del jazz è anche il ragtime creato dall’afroamericano Scott Joplin, una musica brillante e allegra in genere suonata sugli striduli
pianoforti dei locali notturni americani.
Un’orchestrina di solisti
Le orchestre jazz, le band, si esibivano anche
su traballanti carri per le vie di New Orleans,
o sulle zattere del Mississippi, in occasione di
feste, parate e funerali.
La formazione strumentale tipica della musica di matrice afroamericana comprende generalmente una sezione ritmica composta da una
batteria e da un contrabbasso, a cui si aggiungono un pianoforte e talvolta una chitarra, e
strumenti a percussione. Questa sezione serve
come base ritmica e armonica alle improvvisazioni melodiche del solista o di più solisti
che si alternano al sassofono, al clarinetto, alla
tromba, eccetera.
Parte D
Negli anni Venti del XX secolo, gli Stati Uniti attraversano un periodo di
intenso sviluppo economico. È in questo clima che la musica jazz conquista il pubblico americano, tanto che
questi anni vengono definiti la Jazz
Age, l’Età del jazz. Ma nel 1929 il sistema economico manifesta la sua debolezza con il crollo della borsa di Wall
Street. L’ideologia della totale libertà
economica deve essere corretta e il
presidente Roosevelt apre l’era del
New Deal: gli Stati Uniti diventano la
maggiore potenza nel mondo.
Dopo la Seconda guerra mondiale la
loro forza economica genera anche
una forza culturale. Si impone lo stile di vita americano e con questo
anche le tipiche musiche di questo
paese: il jazz e il rock.
Nel jazz ogni componente della band
è protagonista. Una volta fissati il giro
armonico e un motivo musicale,
ognuno si ricava uno spazio per svolgere creativamente la sua parte: non
solo nelle note che suona, ma anche
nel modo di produrle, con determinati attacchi del suono, con vibrati e
1
La storia
Folla davanti alla borsa di Wall Street nel 1929.
glissandi, con l’uso di sordine. Le
melodie sono spesso costruite con
intervalli ampi e, all’opposto, con frequenti intervalli cromatici. Soprattutto nei pezzi lenti si predilige la scala
di blues.
Mentre la misura è quasi sempre
binaria, al suo interno i ritmi sono
estremamente vari: è normale che
mentre un esecutore pratica un certo ritmo, un altro ne sovrapponga uno
completamente diverso.
E tutti praticano lo swing: il tipico dondolare, fatto di anticipi e ritardi, a cui
concorre un altro elemento costante
del jazz: il sincopato.
L’origine della parola “jazz”
Il termine jazz viene introdotto fra il
1910 e il 1915 a New Orleans, città
che si trova nello stato della Louisiana (Stati Uniti) e che può essere considerata la madre del jazz. La parola
deriva dai termini dialettali gism, e
poi jasm e jass che indica la forza, la
vitalità e l’energia con cui una persona si dedicava allo sport o a qualunque altra attività. Agli inizi del Novecento, New Orleans è una città multietnica, abitata da Francesi, Spagno-
li e Anglosassoni perché la Louisiana, prima di fare parte degli Stati Uniti, è stata una colonia spagnola e poi
francese. Ai bianchi di origine europea si sono aggiunti i figli degli schiavi e i creoli, ossia i neri africani che
hanno raggiunto il continente con i
coloni francesi: molti creoli furono
liberati nei primi anni dell’Ottocento.
Mercato degli schiavi nella Louisiana
agli inizi dell’Ottocento.
295
Unità 12
Il jazz
Le prime jazz band
Il primo documento sonoro della storia del jazz
risale al 1917: è un disco inciso dalla Original
Dixieland Jazz Band, una formazione composta da musicisti bianchi. Ma è fra i neri che
emergono i primi straordinari solisti del jazz:
i trombettisti King Oliver e Louis Armstrong.
Con Louis Armstrong e il clarinettista e sassofonista Sidney Bechet il jazz passa dall’improvvisazione collettiva, caratteristica delle
band, a quella solistica: a ogni strumentista
vengono riservate alcune battute per la sua personale improvvisazione, i solisti si alternano
secondo schemi prestabiliti, in un gioco sempre più fitto e stringente di botta e risposta.
Col tempo, acquista sempre più importanza il
pianoforte che, a causa delle dimensioni ingombranti, non poteva comparire nelle prime band
itineranti di New Orleans. Un pianoforte, anche
se stridulo e scordato, è presente in quasi tutti i locali di divertimento, nei ristoranti e nei
bar, nei locali spesso di infimo rango che non
possono permettersi un gruppo strumentale. I
primi rappresentanti del pianismo jazz sono
Jelly Roll Morton e Fats Waller che, pur con
stili diversi, inventano un linguaggio musicale e una tecnica strumentale che saranno alla
base di tutto il pianismo jazz.
Le big band
Duke Ellington
e la sua band.
Negli anni Venti del XX secolo si costituiscono
le big band, grandi orchestre formate da sezioni di fiati (gruppi di tre o quattro strumenti a
fiato simili, come sassofoni, trombe, trombo-
ni) e da una sezione ritmica composta da batteria, basso, pianoforte e talvolta una chitarra.
Le big band hanno bisogno di un direttore e di
arrangiamenti per i brani da eseguire, cioè di
partiture musicali nelle quali siano esattamente
notate le parti di ogni strumento: non era infatti pensabile un’improvvisazione collettiva di
dodici o quindici strumenti, che si sarebbe risolta in un grande caos. 2
Il momento dell’improvvisazione solistica esiste però anche in queste grandi formazioni,
affidato di volta in volta a rappresentanti delle varie sezioni che si producono in un assolo, nei punti previsti dall’arrangiamento, creando un dialogo con l’orchestra: un po’ come nel
“concerto grosso” della tradizione classica
barocca. È in questo modo che dalla big band
di Duke Ellington, pianista, compositore e
arrangiatore tra i più geniali del jazz, emergono solisti famosi. 3
Swing e boogie-woogie
Negli anni Quaranta è ancora un’orchestra,
quella di Count Basie, a lanciare lo swing, uno
stile caratterizzato da una grande incisività ritmica che ben si presta al ballo.
È infatti destinata al ballo la musica di molte
orchestre swing di quegli anni, proposta da
musicisti bianchi per scopi essenzialmente commerciali. Tra le tante vale la pena di ricordare
l’orchestra di Glenn Miller: i suoi famosissimi
boogie-woogie, come In the Mood, Moonlight
Serenade, American Patrol, Pennsylvania 65000, accompagnano l’ingresso in Europa delle truppe americane durante la Seconda guerra mondiale, fra il 1943 e il 1944.
L’antagonismo tra bianchi e neri
In risposta alla musica leggera e commerciale
creata dalle grandi orchestre bianche, nell’immediato dopoguerra nasce il be-bop, espressione del disagio sociale e della presa di coscienza politica dei neri d’America. In contrasto con
gli arrangiamenti accattivanti delle grandi orchestre, il be-bop viene suonato da piccole formazioni e punta sull’improvvisazione totale,
in un veloce e spigoloso fraseggio ritmico, e in
un tessuto armonico complesso e aspro che
recupera, aggiornandola, la tradizione del blues.
Gli esponenti più importanti del be-bop sono
Charlie Parker, con il suo sax contralto, e il
trombettista Dizzy Gillespie.
296
Parte D
La storia
2 Il jazz è improvvisazione
Diversamente dalla musica classica,
dove di solito tutte le note sono pensate e scritte dal compositore, nel jazz
ogni esecuzione è anche invenzione.
Non esistono due versioni uguali dello stesso brano, anche se suonato
dallo stesso musicista.
Gli esecutori normalmente si basano
su una traccia melodica o armonica
(una successione di note o di accordi) che subisce continue variazioni e
trasformazioni per tutta la durata dell’esecuzione. Le tracce più note e di
maggiore successo sono chiamate
standards; ogni jazzista si esercita e
si esibisce con queste basi, impara
un linguaggio musicale comune a tanti altri musicisti: ciò gli consente di
associarsi nei concerti con relativa
facilità a colleghi sempre diversi.
John Coltrane (con il sax) e Lee Morgan improvvisano durante la preparazione
del mitico disco Blue Train (1957).
3 Il compito del batterista
Il famoso batterista Max Roach.
sione. Per questo non tutti quelli che
suonano la batteria sono batteristi.
So che parrà strano sentirmi parlare
di spirito. Ma suonare la batteria è un
fatto di spirito: devi sentirtela nel corpo, nell’anima. Può anche essere uno
spirito cattivo: se sei cattivo suonerai
la batteria da cattivo, e se suoni da
cattivo metterai la tua cattiveria nella mente di qualcun altro. Che razza
di band riusciresti a fare? Solo una
band dallo spirito cattivo.
Se un batterista si limita a suonare la
batteria, non conta nulla. Il suo compito è di aiutare gli altri e non di scatenarsi e suonare per se stesso. Se
un batterista non sa come aiutare gli
altri, non esiste la band.
Sento di essere l’uomo chiave della
band. Dalla percussione devi badare
a tutti. Devi sentire quel suonatore con
chiarezza, sentire quello che vuole; e
fare di tutto per darglielo. Devi studiare la natura umana di quel tipo, studiare dove vuole arrivare, capire cosa
cerca. E tutto questo con la percus-
Da un’intervista a Baby Dodds
(1898-1959), uno tra i più grandi
batteristi di New Orleans
297
Unità 12
Il jazz
Il jazz prosegue il suo cammino
di libera sperimentazione
Miles Davis
suona con
il sassofonista
Kenny Garrett.
Franco Cerri,
esponente
di punta del jazz
europeo.
298
Cool jazz e free jazz
Nel corso degli anni Cinquanta, alla musica
inquieta e nervosa del be-bop se ne sostituisce
una più fredda, distaccata, razionale ed equilibrata, che si manifesta per la prima volta con
il suono della tromba di Miles Davis. Il cool
jazz (“jazz freddo”) è sviluppato dal pianista
Lennie Tristano e dai sassofonisti Stan Getz e
Gerry Mulligan, nonché dal piano del nero
John Lewis che, con il suo gruppo Modern Jazz
Quartet, propone un’originale fusione tra jazz
e musica classica.
Il problema razziale e l’emancipazione dei negri
sono il tema di fondo del free jazz, che si inserisce come un manifesto per la libertà nella vita
delle popolazioni di colore. Iniziato da Max
Roach con la sua Freedom Now Suite (“Libertà
adesso”) e dal contrabbassista e compositore
Charlie Mingus, il jazz degli anni Sessanta trova una delle sue voci più intense nel sax di
John Coltrane e negli strumenti (sax, violino, tromba) di Ornette Coleman.
L’elegante compostezza del
cool jazz viene qui rovesciata in uno stile esecutivo arrabbiato e aggressivo:
il solista si esprime con la
massima libertà, recuperando le radici della cultura africana. Come già era
accaduto nella musica classica con Schönberg, con il
free jazz si comincia ad abbandonare la tradizionale
armonia tonale. 4
Il free jazz ha rappresentato un processo di
liberazione totale dagli schemi tradizionali che,
pure nelle varie evoluzioni degli stili, si erano
mantenuti. Perciò tutto il jazz prodotto dagli
anni Settanta del XX secolo può essere ricondotto al free jazz. Ritmi, melodie e armonia
vengono smontati e rimontati in mille modi; la
musica folk africana comincia lentamente a
riportare linfa vitale al jazz quando i musicisti
inseriscono sempre più spesso nelle composizioni melodie e ritmi tradizionali dei popoli
dell’Africa. Un suono con nuovi timbri viene
ottenuto grazie a un massiccio inserimento di
strumentazione elettrica ed elettronica.
Lo sviluppo del free jazz continua negli anni
Ottanta e Novanta, ma la carica di aggressività
e la volontà di rottura con il passato vanno progressivamente estinguendosi per lasciare posto
a una musica sofisticata che abbandona, almeno in parte, la vitalità “fisica” della musica africana. Fra le tante esperienze, interessante è
quella di Miles Davis che nei primi anni Settanta inizia una fusione tra jazz e rock, creando un genere denominato appunto fusion.
Il jazz in Europa
Nato negli Stati Uniti, il jazz è stato sempre più
praticato anche da musicisti europei. Il più
significativo è probabilmente il chitarrista belga Jean Baptiste Reinhardt, detto Django, che
fonde i modi del jazz con la tradizione musicale zigana. Questo modo di procedere è una
costante del jazz europeo: raramente ripete le
forme originali d’oltreoceano, ma più spesso
le contamina con maniere tipiche della tradizione leggera e anche colta propria dell’Europa. In questo senso si sono mossi il pianista
francese Michel Petrucciani, e i jazzmen italiani, come il chitarrista Franco Cerri e il pianista Enrico Intra.
In Sudamerica invece il jazz si è collegato con
la tradizione del folklore locale: il caso più significativo è quello del sassofonista argentino Gato
Barbieri, emulo di John Coltrane.
Ma il jazz ha avuto anche un’altra conseguenza
sulla musica colta europea: diversi compositori “classici” lo hanno utilizzato all’interno
del proprio linguaggio musicale. L’esempio più
interessante è quello di Igor Stravinskij, autore fra l’altro di un Ragtime per undici strumenti.
Parte D
La storia
4 Le regine del jazz
Il jazz non è una manifestazione
esclusivamente maschile. Molte sono
le protagoniste femminili che hanno
lasciato una traccia indelebile nella
storia di questo genere, recando soprattutto il contributo di una vocalità
intensamente espressiva.
Tra le voci celebri del jazz meritano
di essere ascoltate ancora oggi Bessie Smith, Mahalia Jackson, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Sarah Vaughan,
Aretha Franklin.
Ella Fitzgerald.
Sarah Vaughan.
Il ritmo e la vitalità della musica jazz
e il ruolo che in essa ha l’improvvisazione avvicinano questo genere di
musica alle forme d’arte di alcuni
gruppi di avanguardia americani e in
particolare all’action painting.
Per i pittori di questo gruppo l’azione fisica del creare un’opera d’arte è
estremamente importante: esprime
un impulso vitale creativo che ha
come protagonista l’uomo, ma lascia
anche aperta la porta al caso, a un
disegno imprevedibile che vive fuori
da qualsiasi progetto umano, a un
inconscio a cui si attribuisce più saggezza artistica che non ai calcoli della ragione. L’artista non è più il genio
che “fa” un’opera d’arte, piuttosto la
lascia accadere, è un mediatore aperto a un’opera che si fa da sé.
Le creazioni di Jackson Pollock, per
esempio, sono ottenute impugnando
un pennello e facendo gocciolare il
colore su una tela distesa sul pavimento, con un movimento spontaneo e imprevedibile del braccio.
Jackson Pollock, Sentieri ondulati, 1947.
299
Unità 12
Il jazz
William Christopher Handy
TRACCIA 47
10
St. Louis Blues (canta Bessy Smith)
È il maggiore successo di questo compositore, reso immortale dalla voce di Bessy Smith,
la più straordinaria cantante di blues. Nata in un ghetto nero di Chattanooga, Bessy Smith
si fa notare all’età di nove anni per la sua musicalità e per l’intensità espressiva della sua
voce. Inizia la carriera aggregandosi a compagnie ambulanti di suonatori, con i quali canta per pochi centesimi, ma in pochi anni arriva a vendere milioni di copie dei suoi dischi.
Scott Joplin
TRACCIA 48
10
(1868-1917)
Maple leaf rag (suona l’autore)
Mentre il blues rappresenta l’anima sentimentale del jazz, il rag rappresenta quella giocosa. Un ritmo costante viene martellato sul pianoforte dalla mano sinistra, mentre la destra
ci fa sentire motivi spiritosi, basati sul continuo spostamento di accenti: il ritmo sincopato. Al tempo di Joplin le registrazioni venivano effettuate su rulli meccanici, che possono
essere utilizzati ancora oggi applicando un apposito dispositivo a qualsiasi pianoforte.
Louis Armstrong
TRACCIA 49
10
10
Una rara
immagine
del clarinettista
Buddy De
Franco durante
un concerto al
Teatro Manzoni
di Milano.
300
(1900-1971)
I’m in the mood for love
Nato nella patria del jazz, New Orleans, Armstrong, soprannominato “Satchmo”, può essere considerato il simbolo del jazz, per la sua lunga carriera di straordinario trombettista e
cantante. La sua voce, dal timbro roco ma espressivo, e il suo modo di suonare sono inconfondibili: con lui lo strumento sembra “parlare”. Armstrong eccelle sia nel genere sentimentale sia nel più indiavolato scat. Qui lo sentiamo eseguire il motivo con la tromba, e poi
riprenderlo al canto, variandolo liberamente.
George Gershwin
TRACCIA 50
(1873-1958)
(1898-1937)
But not for me (suona Buddy De Franco)
Le canzoni di Gershwin hanno avuto innumerevoli interpreti nella storia del
jazz. Caratterizzate da melodie accattivanti e facilmente memorizzabili, si
prestano a essere trasformate in modo originale. L’interprete in questo caso
è Buddy De Franco, uno dei pochi clarinettisti ad avere aderito allo stile
be-bop. But not for me, composta nel 1930, è di tono sentimentale (le
parole raccontano di una delusione d’amore), basato, nella versione originale, su un tempo lento. De Franco la imposta invece su un tempo veloce.
Dopo l’introduzione tranquilla del pianoforte, che sembra introdurre un’esecuzione tradizionale, l’esposizione del tema è scattante. Segue l’assolo
di clarinetto, che si snoda attraverso frasi lunghe e rapide, accompagnato
da pianoforte, contrabbasso e batteria.
Parte D
Duke Ellington
TRACCIA 51
10
La storia
(1899-1974)
I don’t mean a thing (if it ain’t got that swing)
Il titolo del brano significa “non vuol dire nulla, se non ha quel certo swing”. Scritta da
Duke Ellington nel 1932, questa canzone celebra il requisito ritmico più importante nel
jazz, lo swing appunto. Le parole originali dicono infatti: “Non importa se il brano è dolce
(sweet) o intenso (hot): mantieni quel ritmo con tutta l’energia che hai.” Da sempre nella
storia del jazz si distinguono musicisti dallo stile hot – cioè caldo, vigoroso, estroverso – e
sweet – dolce, lirico, introverso: Lester Young, che interpreta il brano con il suo sax tenore, rientra in quest’ultima categoria. Il suo fraseggio è fluido e rilassato, ma la sensazione
di una continua spinta ritmica è mantenuta per tutto l’assolo.
Esperienze
Conduciamo una ricerca su come vivevano gli schiavi nelle piantagioni americane, e su quale spazio aveva la musica: quando cantavano, in quali occasioni, di cosa parlano i loro canti, com’era la musica…
PORTFOLIO
“Dubbudù budù dudduddù…”: pratichiamo anche noi lo scat. Si prende una canzone, la si
canta prima con le parole originali, poi si sostituiscono le parole con sillabe senza senso,
che imitino il suono di uno strumento. Scriviamole prima sotto il pentagramma, in modo
di poter cantare tutti insieme con le stesse sillabe. Proviamo con Head and shoulders: la
trovi nel Canzoniere, sezione “Per la festa di Carnevale” (volume B).
Eseguiamo anche noi
Qualcuno degli spiritual del Canzoniere, sezione “Il senso della vita” (volume B): per esempio, Oh! Fammi sognar.
ricapitoliamo
Il jazz rappresenta il contributo più originale della civiltà
americana alla storia della musica: deriva dalla cultura delle popolazioni africane deportate in schiavitù.
Tra le prime forme di jazz, eseguite dai gruppi strumentali originali chiamati band, ci sono il blues e il
ragtime.
Nel jazz prevale l’improvvisazione. Quando il jazz conquista i musicisti bianchi, che scrivono per vere e proprie orchestre, le big band, l’improvvisazione resta confinata agli interventi solistici.
I generi che si affermano, dagli anni Quaranta del XX
secolo, sono lo swing e il boogie-woogie, destinati al
ballo.
Si innesca una competizione fra i musicisti bianchi,
che lanciano il cool jazz, e i neri, con il be-bop e il free
jazz. Negli ultimi decenni del XX secolo il jazz tende a
fondersi con il rock.
Il jazz ha avuto importanti cultori anche in Europa; e
ha ispirato musicisti dell’area colta.
301
La canzone
1963
Prime truppe
americane nel
Vietnam
1968
In Europa inizia
la contestazione
giovanile
1982
Vengono messi
in commercio
i primi
Compact Disc
1989
Gli studenti
cinesi in piazza
Tien-an-Men
2004
La TV italiana
celebra 50 anni
di trasmissioni;
la radio, 80 anni
La testimonianza
C’era un ragazzo che come me
amava i Beatles e i Rolling Stones
girava il mondo, veniva da
gli Stati Uniti d’America.
Non era bello ma accanto a sé
aveva mille donne se
cantava “Help” e “Ticket to ride”
o “Lady Jane” o “Yesterday”.
Cantava “Viva la libertà”
ma ricevette una lettera,
la sua chitarra mi regalò
fu richiamato in America.
Stop! coi Rolling Stones!
Stop! coi Beatles. Stop!
Gli han detto vai nel Vietnam
e spara ai Vietcong…
Ta ta ta ta ta…
Canzone di F. Migliacci e M. Lusini cantata da Gianni Morandi (1966)
Soldati americani
in Vietnam nel 1968.
Piccoli drammi
C’era una volta…
La canzone, con le sue parole e i suoi motivi
musicali, è oggi una delle forme espressive più
popolari, più vicine al gusto della gente, ai pensieri e alle emozioni di tutti i giorni. Ogni canzone riuscita è come un piccolo spettacolo, i
cui ingredienti sono testi evocativi, melodie
orecchiabili, pochi accordi di accompagnamento
suonati da un numero limitato di strumenti.
Dietro ogni canzone possiamo immaginare il
palcoscenico di un teatrino. Il fondale e le quinte ci presentano l’ambiente in cui si svolge la
scena: l’interno di una casa, il bosco, la riva
del mare… Sentiamo un personaggio raccontare la sua storia, lo sentiamo ridere e scherzare, oppure soffrire e piangere, o pregare, o
ballare, o cullare un bimbo. Oppure vediamo
due personaggi dialogare, amarsi, litigare…
L’argomento più ricorrente è l’amore. Ma spesso la canzone parla di attualità, di interesse
sociale o politico, come C’era un ragazzo, un
brano che, descrivendo il tragico destino di un
giovane soldato nella guerra del Vietnam, è
diventato un inno alla pace. 1
Un secolo fa le canzoni erano molto diverse da
quelle di oggi. In Italia continuava la tradizione gloriosa della canzone napoletana. Le sue
melodie assomigliavano piuttosto a quelle dell’opera lirica: tant’è vero che alcune celebri
canzoni napoletane come Fenesta ca luciv’e
(che trovi a pag. 258) o Te voglio bene assaje,
sono attribuite a compositori di melodrammi
come Bellini e Donizetti.
In Francia la canzone nasce invece nei caféschantants (i caffè concerto), dove alla musica
e al canto si unisce un’azione teatrale. Il “caféchantant” era un punto di incontro di poeti,
musicisti, attori, raccogliendo in sé diversi stimoli intellettuali. Da qui la musica leggera francese ha tratto ispirazione fino ai nostri giorni.
Ancora più teatrale e coreografico è stato il
cabaret francese che si è sviluppato nel primo dopoguerra a opera di personaggi come
Maurice Chevalier e Josephine Baker. Il cabaret è uno spettacolo di varietà, con balletti,
recitazioni e canzoni di argomento soprattutto satirico.
Parte D
Nel corso del XX secolo l’umanità
conosce un progresso superiore a
quello raggiunto in tutto il millennio
precedente. Nei paesi industrializzati si impone un nuovo stile di vita.
Per secoli l’uomo ha vissuto in un
mondo in cui dominavano la scarsità
e, a volte, la fame; ora nei paesi economicamente più forti la maggior parte della popolazione vive nell’abbon-
La storia
danza. Anzi, il consumo di ogni genere di beni è il motore fondamentale
del sistema economico e della vita
sociale.
Fame e povertà, sebbene compaiano a volte anche nei paesi ricchi, sono
confinate nel cosiddetto Terzo Mondo, cioè in quelle regioni che, pur
avendo sconfitto il colonialismo e raggiunto l’indipendenza politica, dipen-
dono ancora economicamente dai
paesi ricchi. La grande sfida sociale
e politica del nostro tempo è quella
di consentire anche ai paesi sottosviluppati di raggiungere un dignitoso livello di vita.
Il meccanismo del consumo cattura
e trasforma anche la musica, raggiungendo nella canzone un’espressione compiuta.
testo cantato nelle musiche da discoteca, generalmente in inglese, non
serve tanto a trasmettere un messag-
gio verbale ma ha un puro valore sonoro: la voce diventa uno strumento
musicale solista.
con questo brano cantato in un inglese un po’ maccheronico.
Franco Migliacci, nel giro di dieci
minuti… scrisse questo testo. Eravamo in piena guerra del Vietnam e lui
la scrisse così come gli venne, non
cambiò, credo, nemmeno una parola. Poi me la fecero sentire… Io mi
innamorai disperatamente della canzone e decisi, io per la prima volta,
che volevo farla (fino ad allora era
Franco che decideva). Lottai moltissimo e un po’ anche contro la discografia, che non voleva sentirmi cantare canzoni di protesta, e poi contro
la censura della RAI, perché la canzone diceva “…adesso è morto nel
Vietnam”. La canzone andò in onda
un po’ di volte alla radio ma, per le
esibizioni alla televisione, fummo
costretti a sostituire il Vietnam con
rattattatta.
La canzone è del 1966 ed è straordinaria. All’inizio la gente non l’accettò molto bene, ma poi finì per
diventare molto importante per me e
anche per quell’epoca, perché divenne un inno di pace per i giovani del
1968. Joan Baez la cantò nei suoi
concerti e perfino all’isola di Wight.
Musica in discoteca
La musica che si ascolta nelle discoteche è in prevalenza creata da musicisti americani e inglesi che hanno
imposto un proprio stile “internazionale”. I suoi caratteri sono un’ostinata e incisiva ripetitività ritmica, sonorità standard prodotte con mezzi elettronici, e un volume di suono costantemente tenuto a livelli massimi, vicini alla soglia del dolore. Una musica
così, la discomusic, serve a guidare
i movimenti elementari del ballo di
discoteca, e ha un valore incantatorio e ipnotico insieme, soprattutto nella sua forma estrema, la techno. Il
1 La nascita di una canzone
In una intervista rilasciata al critico
televisivo Vincenzo Mollica, Gianni
Morandi ricorda la nascita di un suo
grande successo.
Mollica: Cosa accadde quando cantasti “C’era un ragazzo che, come me,
amava i Beatles e i Rolling Stones”?
Morandi: In quel periodo io cantavo
delle canzoni molto melodiche e tradizionali, come La fisarmonica, In
ginocchio da te, Non son degno di
te, Se non avessi più te… Arrivò questo ragazzo da Siena, Mauro Lusini,
303
Unità 13
La canzone
In Italia prima e dopo la guerra
Elvis Presley
nel 1957,
al culmine della
sua popolarità.
Nel ventennio fascista la canzone rifiuta le nuove mode musicali straniere per recuperare materiali musicali e letterari di origine popolaresca.
Nascono allora molte canzoni che si ispirano
alle vicende politiche del Ventennio, come Faccetta nera, dedicata all’impresa coloniale italiana in Etiopia. 2
Il principale veicolo di diffusione della musica
leggera, prima dell’arrivo dei dischi e della televisione, era la radio, dove si potevano ascoltare le grandi orchestre radiofoniche, che portavano al successo le canzoni cantate dai divi
di allora. Nel secondo dopoguerra l’orchestra di Gorni Kramer, con i cantanti Alberto Rabagliati e Natalino
Otto, e con il Quartetto Cetra, introduce un modo nuovo di fare musica che si rifà apertamente al
senso ritmico e alle atmosfere armoniche e melodiche del jazz commerciale americano.
Il pubblico fedele alla tradizione continua però a essere numeroso, e la canzone italiana tradizionale convive con le proposte americaneggianti. Negli anni Cinquanta, all’orchestra di
Gorni Kramer si affiancano quelle di Cinico Angelini e di Pippo Barzizza, con cantanti
come Nilla Pizzi, Luciano
Tajoli, Achille Togliani, Carla Boni, Gino Latilla. La
voce che meglio rappresenta la canzone all’italiana di
quegli anni è Claudio
Villa, soprannominato
il “reuccio” della canzone melodica. Roccaforte della canzone italiana diventa il Festival di Sanremo, nato nel 1951
proprio per proteggere gli interessi e i valori
della canzone nostrana contro l’invasione della musica leggera nordamericana. 3
Influssi americani in Europa
La risposta che la musica italiana sa dare a questa invasione è rappresentata da gruppi e cantanti che emulano, a volte in modo dilettantesco, i modelli stranieri o che cercano di fonderli alla tradizione italiana in uno stile ibrido:
304
sono i cosiddetti “urlatori”, Tony Dallara, Betty
Curtis, Rita Pavone, Adriano Celentano, che
si contrappongono ai “melodici”, fedeli alla tradizione nazionale.
Nel secondo dopoguerra anche in Francia si fa
sentire l’influsso della musica americana in
alcuni autori-interpreti come Gilbert Bécaud
e Charles Aznavour. Più radicati alla tradizione popolare sono Edith Piaf e Yves Montand, mentre uno stile schiettamente francese
caratterizza gli chansonniers come Georges
Brassens, Jacques Brel, Juliette Gréco.
Nei paesi anglosassoni
Ma cosa sta succedendo in quella cultura musicale anglosassone che oggi ha conquistato
il mondo? Bisogna pensare alle sue radici:
da una parte, quelle
afroamericane vicine al jazz; dall’altra
quella bianca del
country, musica di tradizione popolare statunitense che ha origine nella musica scozzese, inglese
e irlandese.
Nei primi decenni del XX secolo non si
è ancora definito chiaramente un confine tra jazz e musica leggera. È negli anni
Cinquanta, con il fenomeno del rock’n
roll, che si delinea un modo di fare
musica prepotentemente innovativo.
Il rock’n roll, al di là dei contenuti
musicali, si impone come fatto di
costume e modello di vita; è un
fenomeno dirompente che coinvolge la cultura e la vitalità delle
generazioni più giovani, grazie
a un meccanismo industriale
che non si lascia sfuggire una
popolazione di consumatori
numerosa e disponibile come quella degli adolescenti. Il primo divo del rock, con la sua chitarra acustica tipica dei cantanti country, è Elvis
Presley. Presley e altri musicisti combinano stili musicali differenti, creando una musica fortemente ritmata, provocatoria per le orecchie
abituate alla musica tradizionale. Le giovani
generazioni hanno la “loro” musica per cantare ed esprimere i “loro” sentimenti: amore, rabbia, felicità, disperazione… Nel 1956 i dischi
delle canzoni di Presley vendono milioni di
copie in tutto il mondo: un fenomeno mai visto.
Parte D
La storia
2 Faccetta nera
Nel 1935 l’Italia invade l’Etiopia, la occupa e ne fa una colonia. Nasce così
l’Impero. Ma i soldati, più che le glorie imperiali, vedono in quella guerra
un diverso genere di conquista. Lo rivela la canzone più famosa di quei giorni, scritta da Giuseppe Micheli e Mario Ruccione in dialetto romanesco:
La copertina di un quaderno celebra
l’Impero e la conquista dell’Etiopia.
Si mo’ dall’Altipiano guardi er mare,
moretta che sei schiava tra le schiave,
vedrai come in un giorno tante nave
e un tricolore sventolà pe’ te!
Faccetta nera, bell’Abissina,
aspetta e spera che già l’ora s’avvicina:
quando saremo vicino a te
noi ti daremo un’antra legge e ’n altro re!
La legge nostra è schiavitù d’amore…
3 Vola colomba
Al Festival di Sanremo del 1952 vince la canzone Vola colomba, composta da Carlo Concina e Bruno Cherubini. La voce è la più amata dagli
italiani di quegli anni: Nilla Pizzi.
È una canzone d’amore naturalmente. Ma dietro la storia d’amore, quel
mese di febbraio, tutti leggevano
un’altra storia. San Giusto, nominato
nella canzone, è la chiesa di Trieste:
e la ragazza inginocchiata, separata
dal suo “amore”, era allora identificata con la città stessa.
Infatti, dal giorno in cui la guerra era
finita, nel 1945, Trieste era stata separata dall’Italia e riconosciuta come
“città libera”. Solo nell’ottobre 1954
tornerà italiana. Anche queste parole erano servite a tenere desta la
coscienza patriottica degli Italiani:
Dio del ciel, se fossi una colomba,
vorrei volar laggiù dov’è il mio amor
che, inginocchiata, a San Giusto
prega con l’animo mesto:
“Fa’ che il mio amore torni,
ma torni presto!”
Vola, colomba bianca, vola…
diglielo tu che tornerò…
Dille che non sarà più sola
e che mai più la lascerò!
Fummo felici, uniti, e ci han divisi…
Ci sorrideva il sole, il cielo e il mar…
Noi lasciavamo il cantiere,
lieti del nostro lavoro,
e il “Campanon”, din don,
ci faceva il coro.
Vola, colomba bianca, vola…
Nilla Pizzi, prima “diva” di Sanremo.
305
Unità 13
La canzone
Dal rock al beat
La famosissima
copertina
di Sgt. Pepper’s
Lonely Hearts
Club Band,
uno tra i dischi
più geniali
del repertorio
dei Beatles.
Dagli Stati Uniti il rock sbarca in Europa e trova in Inghilterra un terreno fertile. Conquista
rapidamente il pubblico e i musicisti che cominciano a imitare questa musica d’oltreoceano:
nasce il beat. Negli anni Sessanta si diffonde in
tutto il mondo occidentale. La musica beat si
esprime, più che con il divo solista, con i complessi: quattro o cinque musicisti (una o due
chitarre elettriche, un basso elettrico, un organo elettronico, una batteria, una o più voci soliste e tutti come voci corali), che si uniscono in
gruppi dai nomi fantasiosi e provocatori. Già
nel fatto di riunirsi in formazioni stabili per fare
una musica autonoma, pensata, composta,
arrangiata ed eseguita all’interno del gruppo
stesso, possiamo vedere un simbolo dell’aggregazione giovanile di quegli anni, della voglia
di condividere ed esprimere pensieri e idee.
scela di rock, blues, folk e musica classica, unita a testi di valore. I Rolling Stones, che rappresentano invece il lato più duro della musica rock, mettono in scena la trasgressione con
gli atteggiamenti aggressivi e provocatori del
loro leader, il cantante Mick Jagger, con una
musica fatta di sonorità aspre e violente tratte
direttamente dal blues e dal rock’n roll.
La matrice che più influenzò la musica beat fu
quella folklorica di Gran Bretagna e Irlanda,
alla quale si sono mescolati, addolciti, alcuni
caratteri della musica nera americana. 4
I cantautori
Dagli anni Sessanta del XX secolo anche la canzone italiana si fa più impegnata. Una svolta
storica si ebbe al Festival di Sanremo del 1958
con la canzone Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno. In quegli anni nasce la generazione dei cantautori, che costituisce l’aspetto più interessante della musica leggera italiana e che negli anni Novanta continua con figure di alto livello. Gino Paoli, Giorgio Gaber,
Fabrizio De André, Lucio Battisti, Sergio
Endrigo, Enzo Jannacci sono tra i primi cantautori che negli anni Sessanta inventano un
modo di fare canzoni che non è semplice evasione ma unisce una musica di qualità a testi
interessanti: socialmente impegnati, come in
De André e Jannacci, oppure ispirati al mondo
quotidiano, come Lucio Battisti. Accanto a loro,
Mina, Milva, Ornella Vanoni interpretano canzoni di alta qualità artistica.
Le espressioni della musica
anglosassone
Sono proprio due complessi inglesi i grandi protagonisti della musica beat degli anni Sessanta: i Beatles e i Rolling Stones, si impongono
come fenomeni di massa che interpretano due
lati profondamente diversi della nuova cultura. I Beatles rappresentano l’aspetto più moderato dell’innovazione. Il loro stile musicale,
dovuto ai due veri talenti del gruppo, John
Lennon e Paul McCartney, è una geniale mi-
306
Per il rock e il pop, gli anni Settanta sono un’epoca di grande evoluzione e di sviluppo planetario. Le platee di tutto il mondo applaudono le grandi stelle della musica leggera, che si
esibiscono negli stadi in concerti affollatissimi. Le grandi case discografiche promuovono
la carriera e i dischi di alcuni gruppi fondati
nel decennio precedente. Tra i tanti complessi
di quegli anni vanno ricordati i Pink Floyd,
esponenti di musica psichedelica e visionaria,
che usa in modo spettacolare le nuove sonorità degli strumenti elettronici. Altrettanto seguiti sono i gruppi di rock duro come i Deep Purple, i Led Zeppelin, gli AC/DC. La grezza energia del beat confluisce nella rabbia distruttiva
del punk dei Sex Pistols.
Parte D
La storia
4 Le musiche dell’America Latina
Un’altra culla della musica neopopolare del nostro tempo è l’America
Latina, il continente compreso tra il
Messico a nord e l’Argentina a sud.
La sua storia è legata alla colonizzazione dei conquistatori europei che
distrussero quasi interamente il patrimonio culturale, anche musicale, delle popolazioni locali.
Sui resti delle tradizioni popolari dei
nativi si inserirono elementi della cultura degli schiavi africani deportati
qui da Spagnoli, Portoghesi e Francesi. L’espressione musicale risultante è una miscela originalissima
che unisce elementi diversi (ritmi,
danze, armonie, strumenti, melodie
e tecniche vocali) tratti da culture
americane, africane ed europee.
Nella prima metà degli anni Sessanta si afferma negli Stati Uniti la pop
art. L’artista pop utilizza materiali della vita quotidiana, spesso scegliendo
oggetti che fanno esplicito riferimento al mondo dei mass media e della
pubblicità: questi oggetti vengono
montati sulla tela con la tecnica del
collage o riprodotti con dipinti più o
meno realisti. Lo scopo è creare nuove forme di rappresentazione artistica usando segni facilmente riconoscibili, in opposizione alle astrazioni
di una certa pittura colta. Un percorso
analogo è quello seguito dalla musica pop, che partendo da motivi e ritmi orecchiabili costruisce brani musicali originali. Ma non sempre riesce
il tentativo di creare opere nuove, belle e che parlino al grande pubblico
in modo semplice ma anche intenso: il pop, sia nelle arti figurative sia
in quelle musicali, si trasforma spesso in un fenomeno di consumo, che
asseconda solo le leggi del mercato.
Generalmente la musica latino-americana si esprime in forme musicali
derivate dalla danza, che, al di là delle formule ritmiche legate all’uso funzionale del ballo, diventano generi
musicali con precise caratteristiche:
in Argentina il tango, il cui rappresentante più famoso è Astor Piazzolla, a Cuba la rumba e il mambo,
in Brasile il samba e la bossanova
con i cantanti-strumentisti-autori João
Gilberto e Antonio Carlos Jobim.
Più recentemente si sono imposti la
salsa e il reggae che, nato in Giamaica
dal calypso, ha avuto un’ampia diffusione, soprattutto con Bob Marley,
acquistando, al di là dei contenuti
musicali, un carattere mistico con
risvolti di impegno politico.
Bob Marley sulla copertina del disco
Rastaman Vibration, 1976.
Andy Warhol, copertina di un disco dei Velvet Underground, gruppo pop statunitense.
307
Unità 13
La canzone
Dalla new wave al grunge
Michael
Jackson in una
famosa immagine
del video della
canzone Smooth
Criminal, 1987.
Jovanotti.
308
Negli anni Ottanta il rock sembra scindersi in
due correnti. Da una parte, la new wave prosegue il discorso iniziato da Sex Pistols e soci,
ma in forme più meditate; dall’altra, prende
piede una musica di puro intrattenimento, molto legata al culto dell’immagine e del successo: trovano grande seguito di pubblico solisti
come Michael Jackson, Bruce Springsteen,
Prince, Sting e Madonna. Ciascuno, secondo
il suo stile individuale, esprime una moda, una
tendenza che influenza folle di spettatori in tutto il mondo. Il pop e il rock diventano così una
chiara espressione della globalizzazione culturale, intesa come tendenza ad abbattere le barriere che dividono popoli di tradizioni diverse, ma
anche come svolta epocale che uniforma i gusti
di tutti gli abitanti della
Terra. Alcuni tra gli artisti più consapevoli, come
il gruppo degli U2, conoscono il potere della musica leggera e le sue contraddizioni: cercano di
staccarsi dalle espressioni convenzionali scrivendo brani di impegno sociale e politico.
Gli anni Novanta portano alla ribalta la musica delle minoranze: è quasi una ribellione contro l’appiattimento e il conformismo. Da New
York a Los Angeles si levano le parole sferzanti
del rap e dell’hip-hop, i nuovi generi che esaltano la ritmica delle parole e portano in primo
piano la voce dei neri e degli ispanici che abitano i ghetti delle metropoli americane. I bianchi sono contagiati dalla nuova moda, e si affermano le provocazioni del “rapper” americano
Eminem. A Seattle, intanto, si scatena la pioggia acida del grunge, che con il complesso dei
Nirvana sconvolge l’universo del rock più commerciale e banale.
I gruppi di maggiore successo fanno tesoro delle esperienze musicali della new wave e del
grunge: i R.E.M. e i Red Hot Chili Peppers,
veri fenomeni di vendita negli Stati Uniti e in
tutto il mondo, tengono conto delle esperienze della musica d’avanguardia e delle rivolte
contro la società di cui il rock si fa portavoce,
ma traducono questi stili in brani gradevoli,
adatti a un vasto pubblico. 5
L’influsso della canzone anglosassone
in Italia
Dagli anni Settanta, accanto a numerosi rappresentanti della generazione precedente che
hanno saputo rinnovare il proprio repertorio,
si impongono i nomi di Francesco De Gregor i, Roberto Vecchioni, Francesco Guccini,
Lucio Dalla, Eugenio Bennato, Antonello Venditti, Paolo Conte, Riccardo Cocciante, che
sviluppano i temi e i modi della canzone d’autore utilizzando contenuti musicali di varia provenienza, dal jazz al rock, dal folklore anglosassone alla canzone francese.
In quegli stessi anni la cultura musicale giovanile prevalente è quella di matrice anglosassone: da quel momento è difficile parlare di
“canzone italiana” senza rifarsi alle novità emergenti in quei paesi. Le canzoni “di consumo”,
quelle che sopravvivono una sola estate o un
mese o una settimana sono passate attraverso
le mode e gli influssi che si sono susseguiti nell’ultimo trentennio del XX secolo. Il rock, il
rock duro, l’heavy metal, l’etnomusic, il rave,
il reggae, il rap, sono stati assimiliati e reinterpretati da autori come Battiato, Vasco Rossi, Ligabue, Renato Zero, J ovanotti, Pino
Daniele, Zucchero: le idee straniere circolano
con le persone che si spostano, viaggiano, assimilano, ma al tempo stesso reinventano un
proprio linguaggio musicale. Così Alexia è un
talento squisitamente italiano arrivato in testa
alle classifiche cantando… in inglese.
Per creare un successo ci vogliono le voci, anche
splendide come quelle di Giorgia e Laura Pausini. Ma ci vogliono anche un compositore, un
arrangiatore e un paroliere che sappiano creare un mix di emozioni: queste prenderanno poi
vita attraverso l’interprete. Uno dei limiti della canzone italiana è di avere pochi compositori impegnati a creare i piccoli capolavori per
voci dotate. Un paroliere di valore, Mogol, ha
fondato a questo scopo una scuola.
Un singolare ritorno alla tradizione lirica italiana è rappresentato dalla voce tenorile di
Andrea Bocelli e da quella sopranile di Antonella Ruggero. Nel panorama della canzone
italiana si possono anche distinguere vere e
proprie “scuole regionali”, e centri nei quali è
più vivo l’ambiente musicale. Le città più rappresentative sono sempre Roma, Milano, Napoli e Bologna. Milano è anche la sede delle principali case discografiche italiane.
Parte D
La storia
5 Il nuovo millennio. La musica nell’era di Internet
Oggi la musica trova nuovi canali di
diffusione. Il personal computer, un
apparecchio alla portata di gran parte delle famiglie del mondo occidentale, rende possibile la duplicazione
e l’elaborazione di tracce musicali.
La rivoluzione attraverso la rete è
ormai una realtà e rovescia il mercato discografico tradizionale.
Si affermano vari software che permettono lo scambio di file musicali
tramite Internet. I cibernauti si passano i brani attraverso un data base
centrale o scambiandosi direttamente dati attraverso la rete. E lo fanno
pagando solo la spesa della connessione telefonica. Agli artisti vengono
così a mancare i proventi dei diritti
d’autore; le case discografiche sono
enormemente danneggiate; i fan hanno a loro disposizione un immenso
patrimonio di pezzi: alcuni popolarissimi, altri difficilmente reperibili nei
circuiti convenzionali. I produttori di
dischi hanno dichiarato guerra alla
Napster, la società americana che alla
fine degli anni Novanta ha ideato e
diffuso questo meccanismo di trasmissione. E così hanno fatto alcuni
dei maggiori artisti, allarmati dal calo
delle vendite. La guerra è stata breve: nel 2001, Napster è stata costretta ad ammainare la sua bandiera di
dispensatrice di musica gratuita.
Tuttavia è ormai sempre più evidente che si aprono nuovi orizzonti per
la diffusione dei prodotti discografici. La rete è indubbiamente un ottimo mezzo per la distribuzione, e la
musica può raggiungere il pubblico
in un tempo brevissimo.
L’inaugurazione di alcuni portali che
vendono al pubblico brani musicali
a prezzi ragionevoli costituisce forse
un avvio verso la soluzione al problema della pirateria, che procura a
molti appassionati vantaggi momentanei, ma rischia di lasciare senza
introiti molti artisti che hanno tutto il
diritto di essere pagati per il loro lavoro e per le loro creazioni originali.
ricapitoliamo
Nel mondo della canzone distinguiamo le musiche scritte per ragioni esclusivamente commerciali, come la
discomusic delle discoteche, e le canzoni d’autore, nelle quali musica e testo sono particolarmente curati.
La canzone italiana del XX secolo deriva soprattutto
dalla canzone napoletana ottocentesca e dal melodramma. In Francia si sviluppa una canzone raffinata, che nasce nei caffè concerto e nei cabaret; i contributi più originali sono offerti dagli chansonniers.
All’inizio del XX secolo la canzone italiana è influenzata dai modi della canzone francese dei caffè concerto; più tardi dalle formule del jazz commerciale nordamericano.
La musica più diffusa oggi nel mondo è quella di origine anglosassone, che ha due radici: il folklore locale e il jazz. Un genere che utilizza anche elementi della musica classica è il musical.
Le maggiori innovazioni nel mondo dei generi neopopolari si manifestano negli anni Cinquanta, con il rock’n
roll e il beat. I Beatles e i Rolling Stones sono i gruppi
che hanno dato i contributi più significativi.
A partire dagli anni Cinquanta l’influsso nordamericano si fa sempre più sentire anche in Italia, in particolare attraverso gli urlatori. Per tutelare la canzone
italiana viene creato il Festival di Sanremo.
Dagli anni Sessanta la canzone italiana si fa più impegnata: nasce la generazione dei cantautori.
Nell’ultimo trentennio del XX secolo il mondo della
canzone italiana è dominato dalle mode anglosassoni, sostenute dalle grandi case discografiche.
Le espressioni della musica anglosassone dominano
gli anni Settanta con il punk, gli Ottanta con la new
wave, i Novanta con il rap, l’hip-hop e il grunge.
Si impongono le musiche vivaci dell’America Latina,
che invitano alla danza: dopo il tango argentino e il
calypso giamaicano, i musicisti centro e sudamericani creano rumba, mambo, samba, bossa nova, salsa e
reggae.
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