1 Le antiche civiltà 3-1 milioni di anni fa Evoluzione: compare l’homo habilis La testimonianza Un canto festoso s’innalza a te dall’arpa, o Fiume Nilo, assieme al battito delle mani. I tuoi giovani e i tuoi bambini ti acclamano e preparano lunghi cortei: 3000 a.C. Invenzione della scrittura Tu sei l’augusto ornamento della terra, fai avanzare la tua barca davanti agli uomini, dai tranquillità e sicurezza alle madri, ami la moltitudine dei tuoi armenti. Prospera, straripa! Divieni grande, orsù! Per gli armenti e i frutteti, o Nilo divieni grande, orsù! Preghiera al Nilo, Antico Egitto 1500 a.C. L’Egitto arriva al suo massimo splendore Presso i popoli antichi ogni preghiera poteva essere esaudita dagli esseri soprannaturali solo se era espressa in musica, se le parole erano intonate e accompagnate da ritmi e strumenti. Così era per gli Egizi, quando invocavano con il canto lo spirito del Nilo perché fecondasse le campagne; così era per ogni altra civiltà antica. Le origini della musica: la preistoria 980 a.C. Gerusalemme: David dà impulso alla musica 753 a.C. Secondo la tradizione, viene fondata Roma Agli inizi dell’umanità, prima ancora che esistesse qualcosa che assomigliasse a una musica vera e propria, l’uomo udiva i suoni della natura: il vento che faceva frusciare le foglie degli alberi, che fischiava tra le canne, che ululava nelle gole rocciose; la pioggia gocciolante dai rami o scrosciante dalle nuvole rigonfie; l’acqua che gorgogliava nei ruscelli o rombava tumultuosa nella cascata dei fiumi; il rumore assordante e spaventoso dei tuoni durante i temporali; i versi tanto singolari e differenti fra loro degli animali: il canto dell’usignolo e il barrito dell’elefante, il ronzio del calabrone, il ruggito del leone, il sibilo del serpente… L’uomo primitivo ascoltava con un’attenzione molto maggiore di quanto non facciamo noi oggi. Saper cogliere il minimo suono e le più piccole differenze tra suoni diversi era importantissimo: ne poteva dipendere la vita o la morte per l’uomo e per il suo gruppo. Un rumore era in grado di annunciare l’avvicinarsi di Questo affresco, che rappresenta un suonatore di arpa, orna la tomba di Anherkha, che si trova in Egitto nella necropoli di Deir el Medina. una belva, oppure la presenza di una preda, l’arrivo di una pericolosa tempesta o al contrario la preziosa vicinanza di un corso d’acqua. Tutto ciò specialmente di notte, quando, prima della scoperta del fuoco, solo l’udito poteva far conoscere il mondo circostante. Le prime musiche Nella nascita della musica ha una parte significativa l’imitazione del mondo naturale: soprattutto i versi e i canti degli animali sono una fonte importante. Imitando il verso dell’animale l’uomo primitivo ha la sensazione di dominarlo meglio, di sentirlo meno pericoloso: proprio come fa quando disegna la sua forma sulle pareti delle caverne. Quando l’uomo imita un suono naturale, lo spirito di quel suono entra in lui. Dal grido di richiamo o di battaglia e dai giochi con la voce, nascono i primi canti; dal comunicare e dal giocare con i suoni degli oggetti nascono le prime musiche strumentali. Parte D Gli antichi attribuivano l’origine della musica a creature divine. Come lo si spiega? Bisogna risalire all’uomo primitivo, per il quale il mondo circostante era un mistero immenso. Tutto quello che succede doveva apparire opera di forze oscure, dotate di poteri soprannaturali. Erano queste forze a provocare non solo i grandi fenomeni come il sorgere del sole o gli uragani, ma anche la vita e la morte, il premio del cibo e la punizione delle sofferenze. Bisognava renderle favorevoli e amiche. Il suono, della voce e degli strumenti, sembrava il modo più efficace: era infatti per loro uno dei fenomeni più inspiegabili; e perciò appa- riva il mezzo più immediato per comunicare con le forze soprannaturali. I popoli primitivi credevano che, dopo la scomparsa degli ultimi resti mortali, l’anima del morto sopravvivesse come spirito che “parla” con i suoni della natura, e che sa ascoltare. “Tu sei cieco, ma le tue orecchie non sono L’uomo preistorico capisce presto di essere lui stesso un produttore di suoni, con la voce, con il corpo, con gli oggetti che adopera. Usa le corde vocali per comunicare la propria presenza, grida per farsi sentire da lontano; percuotendo tronchi vuoti o pelli tese può farsi sentire ancora più lontano. Ma, come avviene per molti animali, anche l’uomo ama “giocare”: mette in moto le sue energie per il solo piacere di esercitare il corpo e di interagire con i suoi simili. Anche con i suoni si può giocare. Gli oggetti d’uso comune diventano strumenti musicali: la frombola (il sasso fatto girare e scagliato) è la prima sirena, le mazze di guerra sono battenti per la percussione degli oggetti più diversi, le canne con cui si costruiscono le capanne diventano flauti, l’arco è la prima corda vibrante, pizzicata poi sfregata. Conchiglie, ciottoli, legnetti, noccioli, inanellati a decorare collo, polsi e caviglie, sono i primi strumenti che ritmano le danze. La storia Inno al sole in un papiro mitologico egizio. Il sole, importante divinità dell’Antico Egitto, è raffigurato tra due leoni. sorde. Ascoltami!” Così cantava, sonagli alla mano, il vecchio capo di una tribù africana sulla tomba di un famoso cacciatore. Da una semplice noce di cocco, svuotata, ripulita all’esterno e tagliata a metà, si ottengono due risuonatori. Le due metà producono suoni se vengono percosse l’una contro l’altra, se vengono battute sul pelo dell’acqua, oppure se le si sfrega sul pavimento. Se nelle due mezze noci accostate mettiamo dei sassolini e poi le agitiamo, otteniamo un sonaglio divertente. Se infine appoggiamo la mezza noce sul palmo della mano e la percuotiamo con un rametto di salice a cui è stata tolta la corteccia, si produce un suono che varia di altezza a seconda di quanto apriamo o chiudiamo la mano. 149 Unità 1 Le antiche civiltà La musica delle civiltà antiche Da quando è stata inventata la scrittura, circa 5000 anni fa, questa fu adoperata anche per trascrivere suoni musicali che, purtroppo, non sappiamo decifrare. Bisogna aspettare l’ultimo nostro millennio per disporre di una notazione decifrabile in modo soddisfacente. Questo vuol dire che mentre è giunta fino a noi una quantità di documenti artistici e letterari delle antiche civiltà, non ci è giunto nessun documento che si possa tradurre in suoni musicali. Non possediamo nessuna creazione musicale di quel lontano passato. 1 La musica accompagnava i diversi momenti della vita Quello che sappiamo è che allora come oggi la musica aveva una speciale importanza nella vita privata e sociale. Esistevano gruppi specializzati di cantori, ed esisteva una quantità di strumenti che in ogni paese assumevano nomi diversi, ma che sono tutti riconducibili alle principali famiglie: a fiato, a corda, a percussione. Nell’antico Egitto le classi superiori allietavano la loro vita intima e le loro feste con musiche affidate alle schiave, cantanti e suonatrici allo stesso tempo. Scene di banchetti e cerimonie a cui partecipavano attivamente i musici ci sono documentate presso le popolazioni della Mesopotamia, di Israele, e dei paesi dell’Oriente, dall’India alla Cina. La musica era una componente essenziale nel culto religioso Dalla preistoria sopravvisse l’idea che la musica fosse una creazione divina, e che avesse poteri speciali. Gli antichi sentivano che una preghiera era molto più importante se veniva cantata, invece che semplicemente recitata. La Bibbia racconta che al tempo dei Re (circa 1000 anni prima di Cristo), sotto Davide e Salomone, vennero organizzati enormi cori, anche di ventimila persone, che cantavano durante le cerimonie del tempio di Gerusalemme. In Egitto come in Cina, ogni nota della scala musicale era associata a uno dei grandi fenomeni della vita e dell’universo: i mesi dell’anno, le ore del giorno, i cicli stagionali della natura e del cosmo, concetti filosofici e religiosi. L’importanza della musica è dimostrata da molti fatti: esistevano leggi che regolavano il comportamento dei musici e fissavano quale musica si dovesse eseguire nelle varie occasioni. Le pratiche musicali degli Ebrei vengono adottate dai cristiani Fra le antiche civiltà, due hanno speciale importanza per la storia dell’Occidente, e in particolare della musica occidentale: la civiltà ebraica e quella greco-romana. Nelle sinagoghe gli Ebrei praticavano due tipi di canto: la salmodia e la cantillazione. La salmodia era il canto dei salmi (preghiere di vario argomento) contenuti nella Bibbia; era basato sulla ripetizione di un suono, intorno a cui la voce ricamava fioriture. La cantillazione era una recita a metà fra parlato e canto. Dal I secolo d.C., con la dominazione romana, inizia la millenaria “diaspora” del popolo ebraico, ossia la sua dispersione nel mondo. Ma intanto le pratiche religiose, compresa la musica, passano nel culto dei cristiani. La musica in Grecia Bassorilievo fenicio in avorio dell’VIII secolo a.C. che raffigura alcuni suonatori. 150 L’altra grande civiltà su cui s’innesta quella europea moderna è la civiltà greca. La stessa parola “musica” è greca. Musiké voleva dire originariamente “le arti delle muse”. Le muse erano le nove divinità che proteggevano le manifestazioni culturali. La musica faceva tutt’uno specialmente con la poesia lirica, a cui presiedeva Euterpe; ma era presente anche nella commedia, nella tragedia, nella danza, nella poesia amorosa e in quella epica. 2 Parte D La storia 1 I primi documenti La musica veniva trasmessa oralmente, “a orecchio”. Soltanto in casi eccezionali veniva trascritta, utilizzando lettere alfabetiche poste sopra le parole. In questo modo sono giunte a noi alcune trascrizioni musicali, come il Papiro di Ossirinco, l’Inno delfico ad Apollo, l’Epitafio di Sìcilo e un frammento dalla tragedia Ifigenìa in Auli- de di Euripide: quasi tutti scritti su papiri. Ma su come si debbano interpretare quei segni si possono solo fare delle ipotesi. 2 La musica nel teatro greco Una delle grandi creazioni della civiltà greca sono i lavori teatrali, tragedie e commedie, molte delle quali sono giunte fino a noi. Massimi autori di tragedie sono Eschilo, Sofocle, Euripide. Nella commedia si affermò soprattutto Aristofane. In questi drammi i testi erano spesso recitati con un’intonazione cantata. E poi c’era il coro. Il coro interveniva nel dramma come se fosse un solo personaggio, che a volte si limitava a commentare quello che succedeva tra gli altri personaggi, a volte dialogava direttamen- Vaso del V secolo a.C. sul quale è rappresentata una scena della tragedia Medea dell’autore greco Euripide. Il V secolo a.C. è il cosiddetto periodo classico dell’arte greca, il più splendido. In questo secolo viene elaborato un cànone, un modello, per rappresentare un corpo umano perfettamente proporzionato; è un modello in cui ogni parte ha dimensioni calcolate secondo precisi rapporti matematici. Come per l’arte, così anche per quanto riguarda la musica i Greci seguirono il loro desiderio di rappresentare un modello perfetto e razionale: organizzarono infatti i suoni secondo lo schema cosiddetto “dei sette modi musicali”. Ogni modo era caratterizzato da una particolare disposizione dei suoni in una scala e veniva denominato a seconda della regione di provenienza. Busto di Dioniso, arte romana, I-II secolo, copia dall’originale greco di Prassitele. te con loro. Questo coro si esprimeva cantando. Nell’Iliade e nell’Odissea si incontrano spesso cantori che si accompagnano con la cetra. Lo stesso Omero, l’autore dei due grandi poemi, viene rappresentato come “citaredo”, ossia suonatore di cetra: il che sta a mostrare che quei poemi erano cantati, non soltanto parlati. Statua di Afrodite di Cnido, arte romana, I-II secolo, copia dall’originale greco di Prassitele. 151 Unità 1 Un vaso greco del V secolo a.C. in cui sono rappresentati un suonatore di aulos e una cetra. A destra, un mosaico della Villa di Cicerone a Pompei in cui sono rappresentati alcuni suonatori ambulanti. Le antiche civiltà I Greci ci hanno trasmesso le nozioni fondamentali della teoria musicale La civiltà romana adotta le pratiche e la teoria dei Greci In tutti i generi, la musica greca non era concepita come un’espressione a sé, ma si univa strettamente alle parole, facendo risaltare i sentimenti con cui erano pronunciate. Il canto poteva essere accompagnato dalla cetra, e si chiamava così citarodìa (citar=cetra; odìa=musica); oppure dall’aulos, strumento a fiato ad ancia doppia, e si chiamava aulodìa. Come la musica ebraica, anche la musica greca influenzò quella dei primi secoli dell’era cristiana. Mentre non sappiamo quasi nulla della concreta musica greca, possediamo numerosi importanti libri nei quali gli studiosi esponevano con molta cura la teoria musicale. Uno dei punti importanti di questa teoria era la distinzione fra diversi modi. I modi erano, per l’esattezza, sette e ognuno si caratterizzava per una particolare disposizione dei suoni della scala. I modi prendevano nome dalla regione greca di provenienza: si chiamavano così dorico, frigio, lidio e altri ancora. Ogni modo aveva una sua particolare espressività, più o meno come avviene per i modi principali della nostra musica, il maggiore e il minore. In origine, la musica era praticata dai Romani proprio come in Grecia: si cantavano inni religiosi e conviviali, canti narrativi o funebri (le neniae). Gli strumenti principali erano i medesimi, con prevalenza dell’aulos, che a Roma prendeva il nome di tibiae. Gli storici come Tito Livio raccontano quanti spettacoli e cerimonie erano accompagnati dalla musica. Quando, con la sua espansione, Roma venne a contatto con la civiltà greca, ne fu rapidamen- Modo dorico Suonatore di flauto, particolare degli affreschi della Tomba dei leopardi, che si trova nella necropoli etrusca di Tarquinia. 152 Modo frigio Modo lidio te affascinata. Musici greci venivano chiamati nelle principali sedi della romanità. La stessa lingua greca era diffusa quanto quella latina. La voce più originale della civiltà musicale romana doveva essere quella legata alla sua politica imperialistica: era la voce di canti e musiche che celebravano i trionfi dei condottieri, i carmina triumphalia; venivano accompagnati da orchestre, anche numerose, di strumenti a fiato: tuba, cornu, lituus, bucina. Parte D La storia Esperienze Le antiche tribù africane usavano comunicare fra loro mandandosi speciali segnali con i tamburi. Qualcosa del genere si è ripetuto da noi nel XIX secolo, quando lo statunitense Samuel Morse inventò l’alfabeto Morse, un sistema che traduceva in sequenze sonore tutte le lettere dell’alfabeto. Per esempio, la lettera “S” è espressa da tre suoni brevi, la “M” da due suoni lunghi. Come trascriviamo allora “SMS”? Così: ···——··· S M S Eppure lo puoi trovare tutti i giorni, molto vicino a te! Sai dove? Sul tuo telefonino, tutte le volte che ti arriva un SMS! Se invece di due suoni lunghi ne metti tre, la lettera non è più “M” ma “O”. E il risultato è il segnale più famoso. Imparalo anche tu, non si sa mai! ···———··· S O S Impariamo dagli antichi ad associare ognuno degli strumenti musicali che conosciamo a un personaggio particolare; per esempio a un compagno. ricapitoliamo Fin dalla preistoria si credeva che la musica fosse una creazione divina, e che avesse poteri soprannaturali, come documenta il mito più famoso, quello del cantore Orfeo. Le antiche civiltà svilupparono forme raffinate di pratica musicale, sia per la vita privata sia per quella pubblica, per usi civili e per usi religiosi. Però di tutte le musiche create allora non è giunto niente fino a noi. Le influenze maggiori sulla musica dell’era cristiana vengono dagli Ebrei e dai Greci. Nelle loro musiche religiose, gli Ebrei praticavano la salmodìa (canto dei salmi) e la cantillazione (una via di mezzo tra canto e parlato). In Grecia la musica era una componente essenziale di tutti gli spettacoli: è presente come canto solistico e come coro nelle tragedie e nelle commedie. Gli strumenti principali dei Greci erano l’aulos (a fiato) e la cetra (a corde). I canti accompagnati da questi due strumenti appartenevano rispettivamente al genere della aulodìa e della citarodìa. Dopo un inizio autonomo, la vita musicale romana subisce l’influsso di quella greca, sia nei generi musicali praticati sia nella teoria. La forma più originale di musica romana è quella militare. 153 2 Chiese e castelli 380 Il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero Romano 800 Carlo Magno è imperatore del Sacro Romano Impero La testimonianza Dio, visto che la maggioranza degli uomini erano indifferenti, poco disposti a leggere le cose spirituali e a sopportarne volentieri la fatica, volle rendergliela più piacevole: aggiunse la melodia alle parole dei profeti, di modo che, attratti dal ritmo del canto, tutti gli rivolgano con ardore i santi inni. Nulla tanto innalza l’anima e la impenna, le dà le ali e la libera dalla Terra, scioglie dai vincoli del corpo, invita alla sapienza, fa trascurare le cose del mondo, quanto l’intonazione del canto e l’inno divino armoniosamente composto. San Giovanni Crisostomo, In Psalmum, IV secolo 1154 Discesa in Italia del Barbarossa 1209 Francesco d’Assisi detta la prima regola del suo Ordine L’importanza del canto della preghiera Come era successo nelle antiche civiltà, anche la Chiesa delle origini intuì quanto fosse efficace orientare i fedeli a rivolgersi a Dio cantando invece che parlando. Nella mentalità di allora, una preghiera, per poter essere valida, doveva essere pronunciata sempre allo stesso modo, senza cambiare neanche una parola, senza cambiare nemmeno un gesto. Lo stesso valeva per la musica del canto, che andava ripetuta sempre con la massima esattezza. La Chiesa pretendeva questa precisione per una ragione importante: se si cambia qualche parola, c’è il rischio che entri nella preghiera un’idea diversa, magari contrastante con i principi che la Chiesa afferma. Per questo la Chiesa si preoccupò di stabilire le preghiere fin nei minimi dettagli, in modo rigido. 1271 Marco Polo inizia il viaggio in Oriente Il canto gregoriano C’era però un problema serio. Mentre le parole delle preghiere venivano scritte su libri, le musiche venivano trasmesse oralmente: un canto si imparava ascoltandolo da chi lo conosceva già. In questo modo era difficile conservare un canto sempre identico: passando da una generazione all’altra e da un paese all’altro, un canto poco per volta cambiava. Allora Gregorio Magno (papa dal 590 al 604), pensò di intervenire fissando la versione ufficiale dei canti. Per questo, l’insieme dei canti cristiani prenderà il nome di canto gregoriano. La lingua usata era il latino, che assicurerà per secoli gli scambi fra le diverse regioni dell’Occidente. Le preghiere che venivano cantate al tempo di Gregorio appartenevano a due tipi diversi: l’Ufficio, che comprendeva le preghiere per i vari momenti della giornata; la Messa, che era la celebrazione dell’Eucarestia. Concordia e devozione Come si cantava nelle chiese e nei monasteri medievali? I padri della Chiesa lo raccomandavano chiaramente. Sentiamo sant’Agostino: “Il coro rappresenta l’unanimità dei cantori; cantando in coro, dobbiamo trovarci perfettamente d’accordo.” E sant’Ambrogio: “Un salmo unisce i diversi, ricompone i contendenti e concilia gli offesi. Per l’insieme del popolo, fondersi in un solo coro costituisce un forte legame unitario.” Si cantava dunque in omofonìa, cioè a una voce sola. I padri avevano un’altra raccomandazione, ancora più importante: i canti sacri si eseguono con uno stato d’animo serio e controllato. Parte D Nel IV secolo il cristianesimo diventa la religione ufficiale dell’Impero Romano. Si edificano basiliche sontuose e monasteri nei quali ritirarsi a condurre una vita di preghiera. In ogni basilica e in ogni monastero, la musica è essenziale: serve a dare maggiore importanza alla preghiera. Canta il popolo nelle chiese insieme ai suoi sacerdoti, durante le messe, le festività, i funerali e gli altri riti. Cantano i monaci nelle diverse ore della giornata. Si canta per glorificare Dio, la Madonna, i santi, per implorare perdono dei propri peccati, per invocare soccorso nelle difficoltà della vita. Un requisito importante del canto liturgico è che si dovevano capire molto bene le parole. Perciò è del tutto naturale sentire canti gregoriani dove su ogni nota si canta una sillaba, o poche. Questo modo di cantare si chiama sillabico. Fin dall’Alto Medioevo prese piede però una pratica di canto che sembra contraddire tale necessità. È la pratica del canto melismatico: la voce si effonde in un vocalizzo, ossia in un lungo giro melodico, stando però ferma sempre sulla stessa vocale. L’effetto che se ne ricava, più che alla mortificazione auspicata dai padri, fa pensare a un’emozione di giubilo, sia pure un giubilo contenuto. La storia La basilica di Santa Maria delle Grazie di Grado (Gorizia), risalente al V secolo. Giubilo, jubilus, era proprio il termine adoperato per questi vocalizzi, o melismi. Nel canto gregoriano, i melismi infiorano quasi immancabilmente l’esclamazione di maggior gioiosità, l’Alleluia. Quale sia il suo significato, e come lo si potesse giustificare, ce lo fa intuire molto bene sant’Agostino, in diversi suoi scritti: “Chi giubila non proferisce parole; è piuttosto un suono di letizia senza parole; è la voce di un animo che erompe in letizia ed esprime il meglio possibile il sentimento, anche se non comprende le parole... Un uomo tanto pieno di gioia da non poterne esprimere a parole la ragione.” Sant’Agostino in un dipinto su tavola di scuola svizzera del XV secolo. Canto sillabico. Canto melismatico. 155 Unità 2 Chiese e castelli Il dramma liturgico Un graduale del XIV secolo in cui la musica è indicata con i nèumi. Nasce la scrittura musicale Episodio della Strage degli innocenti. I nèumi indicano la direzione degli intervalli. Nella tabella, alcuni nèumi e la corrispondente trascrizione moderna. Con il passare del tempo i riti si fanno sempre più complessi: e sempre più numerosi e complessi i canti che li accompagnano, tanto che a cantarli non è più il popolo, ma un gruppo di specialisti. Come fare a ricordarli? Come richiamare alla mente un certo motivo, fra i tanti imparati? A poco a poco si cominciò a usare un sistema elementare per trascrivere i suoni: un semplice saliscendi di punti e di lineette poteva bastare per suggerire il saliscendi del canto. Questi segni speciali, introdotti a partire dal IX secolo, si chiamano nèumi. Venivano disegnati sopra le parole da cantare. I nèumi non indicano esattamente le note da intonare; semplicemente suggeriscono se la voce deve salire, o scendere, o restare ferma sullo stesso suono. Indicano cioè la direzione degli intervalli. Nèumi gregoriani Notazione quadrata 156 Trascrizione Notazione quadrata Trascrizione Il repertorio dei canti gregoriani andò aumentando nei secoli successivi a papa Gregorio, fino ad arrivare al numero di 3000 canti. Alcuni erano inventati di sana pianta, in altri casi si prendeva un lungo melisma e gli si adattavano testi nuovi: questi inserimenti prendevano il nome di tropi. 1 Durante le messe di Natale e di Pasqua, si cominciarono a inserire tropi che celebravano gli avvenimenti della Natività e quelli della Passione e Risurrezione di Gesù. Natale e Pasqua erano le feste religiose più importanti e popolari. Gli artigiani e i contadini affluivano a frotte dai borghi e dalle campagne: i sacerdoti e i monaci pensarono così di rendere loro più comprensibili e immediati gli eventi della vita di Gesù, facendoli illustrare su affreschi e tavole di legno posti alle pareti delle chiese. Anche i tropi potevano servire a questo scopo. In un passo del Vangelo le pie donne restano sorprese nel vedere vuoto il sepolcro di Cristo; l’angelo chiede: “Quem quaeritis?”, “Chi cercate?” Nel X secolo fu inserito a questo punto un tropo, nel quale l’angelo dialoga con le donne. Altri dialoghi nacquero allo stesso modo. La pratica ebbe una tale fortuna che il popolo non si accontentò più del semplice canto: voleva vedere in carne e ossa l’angelo, le pie donne e gli altri personaggi evangelici, impersonati da attori-cantanti, accompagnati da una varietà di strumenti musicali. 2 Fioriscono in questo modo nelle chiese del Medioevo veri e propri drammi teatrali cantati: i drammi liturgici. Anche gli episodi dell’Antico Testamento diventano oggetto di queste rappresentazioni. Tra le opere più famose vanno ricordati La strage degli innocenti, Il dramma di Daniele, Le vergini savie e le stolte, Il dramma di Adamo. Parte D La storia 1 Un antico tropo Quando si cantava l’Alleluia, il canto di lode, la voce si fermava su ogni sillaba con un vocalizzo. Ne vedi un esempio qui a destra, in alto. In basso puoi osservare poi come sulla stessa musica un autore del IX secolo ha aggiunto le parole di una preghiera. È uno dei primi esempi di tropi. La Regola di san Benedetto chiede che i salmi siano cantati “con cuore contrito, con reverenza, timore di Dio e devozione”. Dunque il ritmo deve seguire pacatamente l’andamento delle parole; e la melodia non deve esprimere emozioni intense, quali si manifestano nella vita mondana. 2 Gli strumenti I padri raccomandavano di non usare gli strumenti musicali durante il culto: gli strumenti erano adoperati dai “pagani” durante i balli, le feste, nei teatri. Tutte occasioni dalle quali il cristiano doveva tenersi lontano. Ma non tutti i padri la penseranno allo stesso modo. Presto ci si accorse che gli strumenti musicali potevano arricchire la preghiera. Per esempio, pochi decenni dopo il pontificato di Gregorio Magno, il vescovo inglese sant’Adelmo attirerà i fedeli in chiesa accompagnando il suo canto con l’arpa. Ma lo strumento che diventerà il prediletto nelle chiese, utilizzato per tutte le funzioni religiose, sarà l’organo. I mosaici della basilica di San Vitale, a Ravenna, ci mostrano l’imperatore Giustiniano insieme al suo seguito. Le figure sono riprese frontalmente, fisse come statue. Le linee tendono alla semplicità geometrica. I personaggi sono ritratti senza mettere in evidenza le loro caratteristiche indi- viduali, non si distinguono l’uno dall’altro: l’artista ha voluto semplicemente rappresentare “un re” e “dignitari di corte”. Come la musica, così anche la pittura delle chiese non doveva mettere in evidenza i sentimenti e le emozioni personali; doveva mostrare figure severe, che aiutassero i fedeli a concentrarsi nella preghiera. Non soltanto i personaggi religiosi, ma anche quelli laici dovevano mettere in mostra la stessa severità! Per questa ragione le figure sono immerse in uno spazio a due dimensioni: manca la profondità, e l’ambiente circostante è rappresentato con pochi oggetti, fortemente stilizzati. 157 Unità 2 Chiese e castelli La scrittura musicale si sviluppa: dai neumi al pentagramma Miniatura dal Canzoniere dei nobili, un codice portoghese del XIII secolo. I menestrelli Uno spartito del XII secolo tratto dal Codex Calistinus. È una trascrizione della Canzone dei pellegrini, dedicata a chi si metteva in viaggio verso Santiago de Compostela. 158 Nel Medioevo non c’erano i mezzi per divertirsi come li conosciamo noi. Ma anche allora come oggi la gente si svagava, nelle feste di paese come nei saloni dei castelli. E naturalmente la musica era l’ingrediente principale. Da paese a paese, da castello a castello, girava una frotta di intrattenitori, che prendevano il nome di menestrelli. I menestrelli erano figure di nomadi e vagabondi, specie di cantastorie che, arrivati in un luogo pubblico, si fermavano e iniziavano il loro spettacolo fatto di danze, capriole acrobatiche, storie raccontate con gesti e disegni, e cantate con l’aiuto di uno o pochi strumenti. Nelle povere contrade dell’epoca, dove non succedeva mai nulla e dove era così difficile spostarsi da un villaggio all’altro sulle strade malandate e percorse da briganti, l’arrivo di questi personaggi era un avvenimento ed era anche l’unica occasione per venire a sapere quel che succedeva negli altri luoghi. Noi sappiamo molto poco di quelle musiche perché nessuno le trascriveva: la pergamena che si adoperava per i libri era costosissima, e soltanto gli ambienti religiosi potevano permettersela. È per questo che di tutte le musiche dei secoli anteriori al XII sono giunte fino a noi quasi soltanto quelle religiose. Anzi, la Chiesa cercava di ostacolare la diffusione dei canti dei menestrelli, perché con i loro testi spiritosi e le loro musiche vivaci distraevano i fedeli dalla meditazione e dal raccoglimento. Via via che il numero dei canti, quelli profani come quelli religiosi, aumentava, diventava sempre più necessario trovare un sistema per indicare con precisione l’altezza di ogni suono. I nèumi non bastavano più. Poco per volta, si cominciò a collocare i nèumi sopra linee diritte, che stavano a indicare delle altezze fisse. A ogni suono, a ogni nota, veniva dedicata una linea: più alto era il suono, più in alto stava la sua linea. Inizialmente le linee erano due: rossa per indicare la nota Fa, nera per indicare la nota Do. Più tardi il sistema si stabilizzò su cinque linee: è il pentagramma, come lo pratichiamo ancora oggi. Il merito di avere sistemato la notazione musicale va soprattutto a Guido d’Arezzo (992-1050). Era un monaco benedettino che si era posto proprio il problema di come permettere ai cantori di imparare melodie che non avevano mai ascoltato prima. Guido d’Arezzo non soltanto sviluppò il sistema delle linee per scrivere le note, ma ebbe anche l’dea di chiamare ogni nota con una sillaba speciale, che aiutasse a fissare nella mente un canto leggendo le note sulla pagina. Sono le note che conosciamo ancora noi oggi: Ut (poi chiamata Do), Re, Mi, Fa, Sol, La. Il nome della settima nota, Si, fu aggiunto più tardi, nel XVII secolo. Parte D Nell’XI secolo, grazie all’aumento della popolazione e ai progressi dell’agricoltura inizia per l’Europa un periodo di prosperità. Il terrore delle carestie e lo spettro della fame, di cui erano vittime soprattutto i più deboli, servi e contadini, si allontana ogni giorno di più. Il potere è nelle mani dei signori feudali che lo esercitano con violenza mettendo tutti al loro servizio. Nella Chiesa cristiana continua un periodo di grandi riforme: l’idea di una nuova spiritualità, partita da Cluny, investe tutta l’Europa. Durante il XII secolo il potere dei signori feudali comincia a essere limitato da uomini ben più potenti: il papa, il re, l’imperatore. Mentre il potere politico è sempre più saldamente nelle mani dei sovrani, in alcune regioni d’Europa – nei Comuni dell’Italia settentrionale e nelle città tedesche dell’Hansa – domina invece la borghesia delle città. Il rilievo realizzato da Benedetto Antelami attorno al 1175 mostra un notevole cambiamento di stile e di sensibilità rispetto ai precedenti mosaici bizantini: la figura umana è rappresentata in modo più vivo. Il volto, la capigliatura e la barba sono più espressivi, riflettono il carattere di ciascun personaggio; la posizione del corpo e quella della testa sono meno rigide, meno statiche, i panneggi degli abiti sono ben definiti, più morbidi. Particolarmente espressivo è il gruppo di personaggi a destra, che rappresenta i soldati intenti a dividere la veste di Cristo; le figure sono scavate una dietro l’altra e generano la percezione della profondità. Tutto contribuisce a dare alla scena un aspet- La storia Vita medievale nelle miniature spagnole di Las cantigas de Santa Maria, del XIII secolo. to vitale. La figura umana rappresentata con maggiore naturalità è segno di un nuovo modo di pensare, che emerge in tutte le arti del tempo: l’uomo comincia a cogliere ciò che di buono e di piacevole c’è nella vita, Benedetto Antelami, Deposizione di Cristo, 1175, cattedrale di Parma. riesce a vedere la bellezza del creato e accetta il piacere che questa gli procura. 159 Unità 2 Chiese e castelli Il mondo dei trovatori Walther von der Vogelweide, cantore d’amore, ritratto in una miniatura del XIII secolo. Cantore di laudi spirituali. Nella pagina a fianco, manoscritto latino del XII secolo: compianto degli Ebrei in Babilonia. 160 I menestrelli si esibivano anche nelle corti dei nobili. A volte i nobili li assoldavano e li portavano con sé nelle proprie imprese: così fece il re Riccardo Cuor di Leone, che condusse nella sua crociata in Terrasanta un menestrello, perché immortalasse le sue gesta. Ma nelle corti signorili si esibiva soprattutto un’altra categoria di musici: i trovatori. 3 I trovatori non erano nomadi e vagabondi come i menestrelli, erano signori raffinati, appartenenti spesso a ricche famiglie feudali, che si dilettavano con canti e danze di carattere amoroso e cavalleresco. “Trovavano”, cioè inventavano, i testi poetici e scrivevano le musiche dei loro canti. La lingua che usavano non poteva più essere il latino, che ormai veniva capito soltanto dagli ecclesiastici e da persone come i letterati, gli avvocati e così via. Era necessario usare la lingua di tutti i giorni, ossia il volgare (provenzale, galiziano, francese antico, tedesco). La musica dei trovatori ebbe un notevole sviluppo in Francia tra il 1100 e il 1250. “Trovatori” (troubadours) era propriamente il nome che questi cantori ricevevano nella Francia meridionale; nel Nord venivano chiamati trovieri (trouvères). Fra i trovatori più rinomati ricordiamo: Bernart De Ventadorn, Raimbaut de Vaqueiras. Fra i trovieri: Gace Brulé e Moniot D’arras. Dalla Francia questo genere si diffuse in tutta l’Europa. In Germania si chiamarono cantori d’amore (Minnesänger): anche loro cantavano d’amore o narravano vicende tratte dall’epica germanica. Il più famoso di loro fu Walther von der Vogelweide. Nei secoli successivi, la pratica fu continuata dai maestri cantori (Meistersinger): ma ormai questi musicisti saranno al servizio delle comunità cittadine, più che delle corti. I canti goliardici Fra l’XI e il XIII secolo vengono fondate nelle città le prime università. Qui fiorisce un altro genere di canti profani, i canti goliardici. Sono canti di carattere prevalentemente scherzoso, inventati dagli studenti, che inneggiano spesso al vino e alla baldoria. La raccolta più importante giunta fino a noi va sotto il nome di Carmina burana. È un insieme di canti su testi latini. Alcune di quelle melodie non erano nuove: gli studenti le prendevano dai canti di chiesa, e naturalmente sostituivano le parole con altre scherzose. Il Dramma di Daniele, opera liturgica scritta da un anonimo nel XIII secolo, era molto famoso, e per questo fu scimmiottato dagli studenti. Questa pratica di cambiare le parole a un canto preesistente veniva chiamata contrafactum (contraffattura). Le laudi Un giorno il monaco francescano Enrico di Pisa, sentendo una ragazza intonare una canzone d’amore, si chiese “perché mai le più belle melodie dovevano essere lasciate al diavolo”. La musica di quella canzone gli piaceva troppo, e allora pensò bene di adoperarla, però su parole nuove, adatte a celebrare il Signore. Presso i francescani si diffuse così l’abitudine di intonare canti religiosi, su melodie prese dalla tradizione popolare, rovesciando quello che avevano fatto i goliardi trasformando canti religiosi in canzoni d’osteria. Molte altre melodie vennero composte appositamente secondo quello stesso stile popolareggiante. Questi canti presero il nome di laudi. Le confraternite che li praticavano, e li insegnavano al popolo, si chiamarono “compagnie di laudesi”. Jacopone da Todi (1230-1306) è il più famoso autore di testi per laudi. La stessa usanza si diffuse in Spagna, dove si ebbe una straordinaria fioritura di canti dedicati alla Madonna, che si chiamavano cantigas. Ce ne sono arrivate più di 400, di cui ben 150 furono scritte dal re di Castiglia Alfonso il Saggio (1221-1284). Parte D La storia 3 Il trovatore triste Rambaldo era il figlio di un cavaliere di Provenza, la cui famiglia si era impoverita. Passato a servizio del marchese del Monferrato come cantore, si innamorò di Beatrice, sorella del marchese, la quale ricambiò il suo amore nominandolo proprio cavaliere. Ma gli altri cortigiani furono presi da invidia, e tanto sparlarono di Rambaldo che la stessa Beatrice lo disdegnò. Da poco erano giunti alla corte del marchese due menestrelli francesi, che suonavano in maniera eccellente. Un giorno suonarono una danza che diede molto piacere al marchese, ai cavalieri e alle signore della corte. Solo Rambaldo se ne stava in disparte. Il marchese lo notò e gli disse: “Cosa ti tormenta che non canti e resti triste davanti al dolce suono delle vielle e davanti alla bellezza di mia sorella?” Ma la ragione della sua tristezza gli era nota; perciò si rivolse a Beatrice: “Mia cara sorella, per amor mio e di tutta la compagnia, degnati di ordinare a Rambaldo di sorridere e cantare allegramente com’era suo costume.” Beatrice allora mostrò a Rambaldo grazia e indulgenza, e gli chiese di dedicarle una nuova canzone. Subito Rambaldo compose con maestrìa questa canzone proprio sul ritmo del brano dei due menestrelli: Kalenda maya… I trovatori si accompagnavano con uno strumento, oppure affidavano l’accompagnamento a un menestrello; il più delle volte suonavano le loro musiche sulla viella, una specie di violino. Il loro canto, eseguito da un singolo esecutore, si chiama monòdico, e dà luogo alla monodìa. Mentre le musiche dei menestrelli erano semplici e orecchiabili, adatte al pubblico popolare, quelle dei trovatori erano sofisticate e complesse, apprezzate dal pubblico raffinato delle corti. Per questo i trovatori sentirono il bisogno di fissare per iscritto le loro creazioni. Ci sono così arrivati numerosi canzonieri, che raccol- gono 300 melodie di trovatori, e 1400 di trovieri. Gli argomenti cantati dai trovatori sono diversi: le virtù e la bellezza della dama erano l’oggetto prediletto delle serenate; il compianto era cantato per la morte di personaggi illustri; i sirventesi esprimevano ammirazione o risentimento; poi c’erano le satire e i racconti di imprese eroiche. Anonimo, Vita di Rambaldo, XIII secolo (adattamento) 161 Unità 2 Chiese e castelli Gli strumenti musicali del Medioevo Gli strumenti in uso nel Medioevo erano molto più numerosi di quanto si possa immaginare. Questi sono i più diffusi e i più importanti. Arpa È uno strumento molto importante durante il Medioevo. Veniva utilizzato sia come solista sia per accompagnare recite di prosa o spettacoli cantati. L’arpa era dotata di una discreta varietà di timbri che si otteneva sia pizzicando le corde con le unghie sia toccandole con i polpastrelli. pata dai musulmani. Nel Medioevo il liuto veniva suonato con un lungo plettro tenuto tra l’indice e il medio ed era utilizzato di solito come strumento da accompagnamento e non come solista. Era dotato di 4 o 5 corde doppie. Salterio Si indicano con questo nome diversi strumenti che venivano appoggiati sulle ginocchia o su un altro sostegno. Il salterio arrivò in Europa durante le Crociate. Aveva una forma variabile: la cassa armonica poteva essere triangolare, rettangolare o trapezoidale. Sulla cassa venivano tese da 7 a 20 corde, a seconda dei casi, a volte singole a volte doppie. Lo si suonava pizzicando le corde con le unghie o con un plettro, oppure battendole con delle bacchettine. Viella Citola Ghironda Le prime testimonianze sulla citola risalgono al XII secolo e provengono dall’Italia. Questo cordòfono a pizzico aveva una piccola cassa a fondo piatto e un manico corto con tasti fissi. Era in genere dotato di 4 corde metalliche. Questo strumento era costruito con casse armoniche di forma molto varia. Il suono veniva prodotto con un ingegnoso meccanismo che richiama il principio degli strumenti ad arco: una manovella azionava un piccolo albero a cui era collegata una ruota di legno. La ruota funzionava come un archetto: era cosparsa di pece e, girando, sfregava sulle corde (da 3 a 6), facendole vibrare. Alcune corde producevano una nota fissa e prolungata (bordone) che serviva per l’accompagnamento; altre potevano produrre una melodia grazie a tasti che, premendo sulle corde, ne variavano la lunghezza. Liuto Strumento cordòfono composto da una cassa armonica a forma bombata e da un manico applicato alla cassa. Costruito in Mesopotamia intorno al 2000 a.C., venne introdotto in Europa nell’VIII secolo, a partire dalla Spagna occu- 162 Considerata lo strumento cordòfono più importante dell’epoca medievale, veniva di solito utilizzata per l’accompagnamento e non per la melodia. Aveva la forma di un “otto” allungato ed era dotata di 4 o 5 corde. Costruita in varie dimensioni, veniva suonata con un archetto e appoggiata, secondo le dimensioni, sulla spalla, sul petto, o sulle ginocchia. Parte D La storia 3 2 1 Ciaramella Strumento aeròfono ad ancia libera dotato di una canna a forma conica e di 7 o 8 fori. È il progenitore della bombarda e del moderno oboe. Cornetto Organo 1 2 Strumento aeròfono a bocchino, diventò di moda soprattutto durante il Rinascimento. Era generalmente di legno o d’avorio, aveva forma conica ed era dotato di 7 o 8 fori. 4 Strumento aeròfono a tastiera, munito di canne e serbatoio d’aria. In età medievale era considerato lo strumento più adatto per le cerimonie religiose, utilizzato per raddoppiare o sostituire alcune voci del canto. Dotato di una sola serie di canne, veniva suonato utilizzando dei tiranti che aprivano le canne. La tastiera venne introdotta soltanto a partire dal Trecento. Scacciapensieri Bombarda 3 Questo strumento, che ha dato vita alla famiglia degli aeròfoni ad ancia, fu utilizzato soprattutto durante il Rinascimento. Era dotato di 7 fori; l’interno era conico. Flauto Strumento di origine popolare in legno o in metallo. Era formato da una sbarretta che veniva tenuta tra i denti, e sulla quale veniva fissata una lamella rivolta verso l’esterno. Il suono era prodotto dalla lamella pizzicata con un dito: la bocca fungeva da cassa di risonanza. 4 Il flauto medievale era costituito da un pezzo unico tornito, e poteva essere ricavato da diversi materiali: canna, legno o corno. Le due grandi famiglie di flauti dell’epoca medievale erano il flauto diritto e il flauto traverso che era una evoluzione dell’antico flauto di Pan. Percussioni Famiglia di strumenti molto numerosa e varia, che comprendeva a grandi linee questi gruppi: naccari (tamburi ricavati da pentole di coccio, rame o altri metalli), tamburelli, tamburelli a sonagli (unico strumento della famiglia suonato con le mani), triangoli, campane, piatti. Tromba da tirarsi Questo strumento era costituito da un tubo cilindrico di ottone o di bronzo, che terminava con una svasatura. In genere era lungo un metro; lo si suonava soffiando in un bocchino. Le note venivano ottenute facendo scorrere il tubo della tromba, che era infilato nel tubo del bocchino. 163 Unità 2 Chiese e castelli Sant’Ambrogio (339-397) Ambrogio è un funzionario dell’Impero Romano quando la popolazione lo acclama vescovo di Milano, città che dal 292 è capitale dell’Impero d’Occidente. Il cristianesimo è da poco diventato religione ufficiale dello stato. Fino a quel momento, ogni comunità dell’impero ha praticato riti propri, diversi da paese a paese. Ambrogio unifica le pratiche religiose nei territori da lui governati. Quando papa Gregorio unificherà a sua volta il rito della Chiesa di Roma, lascerà vive le pratiche fissate da Ambrogio, che da allora prenderanno il nome di rito ambrosiano. In questo rito hanno una parte essenziale i canti, che si affiancano ai gregoriani come canti ambrosiani. Ambrogio stesso contribuisce ad accrescere il repertorio musicale, scrivendo numerosi inni, che continueranno a riscuotere successo per tutto il Medioevo. È ascoltando gli inni di Ambrogio che sant’Agostino maturerà la decisione di convertirsi al cristianesimo. TRACCIA 54 6 Affresco medievale del Sacro Speco di Subiaco. Aeterne rerum conditor È un inno scritto da sant’Ambrogio per essere cantato al mattino. Le parole sono chiaramente scandite. Il coro si alterna al solista: questa pratica è detta responsoriale. L’inno è strofico: ossia sulle diverse strofe viene ripetuta la medesima melodia. In tal modo è più facile per i cantori e per i fedeli tenere a mente il canto, e dunque le parole della preghiera. Ecco il testo, sia nell’originale latino sia nella sua traduzione italiana. Nel testo latino, sottolinea tutte le parole simili a quelle italiane: per esempio, Aeterne (Eterno). Æterne rerum conditor noctem diemque qui regis et temporum das tempora ut alleves fastidium. Preco dici iam sonat, noctis profundae pervigil, nocturna lux viantibus a nocte noctem segregans. Hoc excitatus Lucifer solvit cœlum caligine, hoc omnis errorum chorus vias nocendi deserit. Hoc nauta vires colligit pontique mitescunt freta, hoc ipse petra ecclesiae canente culpam diluit. 164 Eterno creatore di tutto che governi la notte e il giorno e regoli l’alternarsi delle stagioni per rompere la monotonia. Già suona l’araldo del giorno, custode della profonda notte, luce notturna ai viandanti che separa notte da notte. Da lui destato, Lucifero libera il cielo dalla foschia, per lui la schiera degli erranti lascia le vie del male. Per lui il marinaio raccoglie le forze, si calmano le correnti del mare, per lui persino chi è pietra della chiesa riscatta la sua colpa. Parte D La storia Anonimo TRACCIA 55 6 Iam surgit hora tertia Il testo narra la salita di Cristo alla croce. Ma sarebbe inutile cercare nella melodia qualcosa che suggerisca la tragicità del momento. Il canto si muove con passo calmo, la voce che gira in uno spazio melodico contenuto: ossia su poche note vicine fra loro. Come voleva la Chiesa, anche gli eventi dolorosi vanno espressi in uno stato di profonda quiete spirituale. Iam surgit hora tertia qua Christus ascendit crucem nil insolens mens cogitet intendat affectum precis. Qui corde Christum suscipit innoxium sensum gerit votisque perstat sædulis Sanctum mereri Spiritum. Hæc hora quæ finem dedit diri veterno criminis mortisque regnum diriut culpamquæ ab ævo sustulit. Hinc iam beata tempora cœpere Christi gratia; fidei replevit veritas totum per orbem æcclesias. Già sorge l’ora terza quando Cristo salì in croce la mente non pensi nulla di estraneo si dedichi all’affetto della preghiera. Chi si prende a cuore Cristo non può fare del male e spetta ai costanti meritarsi con le preghiere lo Spirito Santo. Quest’opera che pose fine al terribile peccato d’origine distrusse il regno della morte e tolse la colpa dalla storia. Da qui cominciò il tempo della felicità per grazia di Cristo; la verità della fede riempì le chiese sparse per tutto il mondo. Anonimo TRACCIA 56 6 Gaude et lætare Gaude et lætare ci propone, dopo quello responsoriale, l’altro modo base del canto cristiano: il canto antifònico, cioè l’alternanza fra due cori. Qui sentiamo un coro maschile e uno femminile. Il testo è cantato nel modo chiaro che abbiamo già conosciuto: a ogni sillaba corrisponde una nota musicale, o poche note. È lo stile sillabico, che permette la perfetta comprensione del testo. Ma non sempre Gaude et lætare rispetta questa consegna. Ora su questa, ora su quella sillaba la voce fiorisce vocalizzi che fanno dimenticare la parola: è l’espressione del “giubilo”, di cui parla sant’Agostino. Gaude, et lætare, exultatio angelorum; Gaude, Domini virgo prophetarum gaudium; Gaudeas, benedicta, dominus tecum est. Gaude, quæ per angelum gaudium mundi suscepisti. Gaude, quæ genuisti factorem, et Dominum: Gaudeas, quia digna es esse Mater Christi. Mare Dominum vidit et timuit: Undæ obviam veniunt ut adorarent eum, Hoc videns Petrus clamabat dicens: Miserere mei Deus. Gioisci e rallegrati esultanza degli angeli! Gioisci vergine del Signore, gioia dei profeti! Gioisci, benedetta, il Signore è con te! Gioisci, tu che per l’annuncio dell’angelo generasti la gioia del mondo! Gioisci, tu che hai generato il creatore e Signore! Gioisci, perché sei degna di essere Madre di Cristo. Il mare ha visto il Signore e ha temuto: le onde vengono incontro per adorarlo, Pietro vedendo tutto ciò gridava dicendo: Abbi pietà di me, Dio! 165 Unità 2 Chiese e castelli Raimbaut de Vaqueiras (Francia, 1155-1207) Noto anche come Rambaldo, è uno dei più celebrati trovatori del XII secolo. Entra da giovane al servizio dei marchesi del Monferrato, e a loro rimane fedele per sempre. Salva la vita del marchese Bonifacio in Sicilia e lo segue in Oriente, dove Bonifacio partecipa come condottiero a una crociata. Qui il marchese viene ucciso in battaglia, e probabilmente è qui che anche Raimbaut trova la morte. Le sue canzoni celebrano le imprese dei signori, dilettano i momenti di festa, rasserenano dopo le giornate tumultuose, cantano l’amore per le dame della corte. Le poesie attribuite a lui sono 35, ma solo di sette ci è giunta anche la musica. TRACCIA 57 6 Kalenda maya È una delle più famose canzoni trobadoriche, che Raimbaut scrisse per Beatrice, la sorella del marchese del Monferrato. Era la festa del Calendimaggio, una festa a cui nobili e popolani partecipavano danzando. Kalenda maya è una estampida: una danza che si ballava a vivaci saltelli. La lingua impiegata in questo brano è quella provenzale (lingua d’oc), diffusa nel Medioevo nella Francia meridionale e conosciuta anche in Italia. Kalenda maya, ni fuelhs de faya ni chanz d’auzelh ni flors de glaya non es qu’em playa, pros domna guaya, tro qu’un ysnelh messatgier aya Scena di vita di corte in un manoscritto del XIII secolo. 166 Calendimaggio, né foglia di faggio né canto d’uccello né fior di giglio non c’è che mi piaccia, o donna gaia, finché uno snello messaggero ci sia del vostre belh cors, qu’em retraya plazer novelh, qu’amors m’atraya; e iaya e’m traya vas vos, domna veraya. E chaya de playa ’l gelos, aus qu’em n’estraya. del vostro bel cuore, che mi rechi piacer novello, e che amore mi prepari; e gioia mi porti verso voi, donna sincera. E cada di rabbia il geloso, prima che me ne vada. Parte D La storia Anonimo TRACCIA 58 6 A l’entrada del tems clar I canti dei trovatori furono trascritti a volte molto tempo dopo essere stati composti. Così di parecchi si è perso il nome dell’autore. Anche questo canto, come il precedente, celebra l’arrivo della primavera. La gente è invitata a unirsi alla festa, aggiungendo il suo grido di saluto: “Eya!” E se per caso c’è qualche geloso, se ne stia alla larga! Questo tipo di canti prendeva il nome di maggiolata. A l’entrada del tems clar – eya! per joia recomençar – eya! e per jelos irritar – eya! vol la regina mostrar qu’el est si amorosa. Ala vi’, ala via, jelos, lassez nos, lassez nos balar entre nos, entre nos. Alfonso X il Saggio Alfonso X il Saggio in una miniatura spagnola del XIII secolo. TRACCE 59 – 60 6 Quando primavera appar – eya! per letizia ripigliar – eya! e i gelosi provocar – eya! la regina vuol mostrar ch’ell’è sì amorosa. Via da noi, via da noi, gelosi, fateci, fateci ballar fra di noi, fra di noi. (Castiglia, 1221-1284) Figlio di Ferdinando il Santo, Alfonso diventò re di Castiglia nel 1252, e durante il suo regno fece della Spagna una nazione rispettata in Europa. Fu un grande promotore di attività culturali e artistiche: la sua corte diventò un crocevia in cui confluirono pacificamente cristiani (spagnoli e francesi), ebrei e musulmani. Di tutte le arti fu la musica la sua passione maggiore. A lui si deve la raccolta delle Cantigas de Santa María, ben 400 canzoni in onore della Vergine: molte furono composte direttamente da lui. La lingua usata nelle cantigas è il galiziano, un dialetto spagnolo simile al portoghese. Muito devemos e Da que Deus Sono due brani delle Cantigas de Santa María, la più importante raccolta di canti religiosi spagnoli. TRACCIA 59 La prima cantiga dice: “Dobbiamo molto lodare, amici, Santa Maria, che concede grazie e doni a chi in lei confida.” Alla voce si aggiungono una zampogna, una ghironda, flauti e percussione, i quali alla fine ripetono il motivo più velocemente. TRACCIA 60 Nella seconda gli strumenti sono una cornamusa e percussione. E il canto da chi è praticato? • Da un solista • Dal coro • Da solista alternato a coro 167 Unità 2 Chiese e castelli Anonimo TRACCIA 61 6 Nel 1937, il compositore tedesco Carl Orff ha scelto venticinque poesie della raccolta dei Carmina burana e le ha rivestite di nuova musica. Nell’illustrazione, il costume per una delle sue opere. 168 Carmina burana: Bache bene venies (Benvenuto Bacco) Questa musica ci porta nel bel mezzo di una festa goliardica. Cosa mai possono celebrare, gli studenti delle università medievali, se non l’amore e il vino? Si canta, si suonano tutti gli strumenti disponibili, si balla, si schiamazza. Luogo ideale di ritrovo, la taberna, l’osteria, buia e maleodorante, dei vicoli cittadini. Il canto è un inno a Bacco, il dio pagano del vino. La musica è quella di un dramma liturgico, il Dramma di Daniele, che ora viene cantato su queste parole: Bache bene venies gratus et optatus, per quem noster animus fit letificatus. Refl. Istud vinum bonum vinum vinum generosum reddit virum curialem probum animosum. Benvenuto Bacco, ospite gradito e desiderato, grazie a te i nostri cuori son rallegrati. Rit. Questo vino, questo buon vino, questo vino generoso rende l’uomo nobile, probo e coraggioso. Iste cyphus concavus de bono mero profluus siquis bibit sepius satur fit et ebrius. Refl. Istud vinum… Hec sunt vasa regia quibus spoliatur Ierusalem et regalis Babilon ditatur. Refl. Istud vinum… Ex hoc cypho conscii bibent sui domini bibent sui socii bibent et amici. Refl. Istud vinum… Bachus forte superans pectora virorum in amorem concitat animos eorum. Refl. Istud vinum… Bachus sepe visitans mulierum genus facit eas subditas tibi o tu Venus. Refl. Istud vinum… Bachus venas penetrans calido liquore facit eas igneas veneris ardore. Refl. Istud vinum… Bachus lenis leniens curas et dolores confert iocum gaudia risus et amores. Refl. Istud vinum… Bachus numen faciens hominem iocundum reddit eum pariter doctum et facundum. Refl. Istud vinum… Bache deus inclite omnes hic astantes leti sumus munera tua prelibantes. Refl. Istud vinum… Omnes tibi canimus maxima preconia te laudantes merito tempora per omnia. Refl. Istud vinum… Questo bicchiere profondo trabocca di vino schietto: chi spesso ne beve si sazia e si inebria. Rit. Questo vino… Questi sono i regi calici che furono trafugati da Gerusalemme per arricchire la regale Babilonia. Rit. Questo vino… Da questa coppa bevono i confidenti, bevono i loro padroni, bevono i compagni, bevono gli amici. Rit. Questo vino… Bacco sa conquistare l’animo degli uomini e incitare all’amore il loro cuore. Rit. Questo vino… Bacco visita spesso anche il genere femminile e lo rende sottomesso a te, o Venere. Rit. Questo vino… Bacco, col suo caldo liquido, penetra nelle vene e le riscalda col fuoco dell’amore. Rit. Questo vino… Il mite Bacco mitiga affanni e dolori, portando con sé scherzi, gioie, risa e amori. Rit. Questo vino… Il dio Bacco fa l’uomo giocondo e lo rende parimenti dotto e facondo. Rit. Questo vino… Bacco, o sommo dio, siamo qui riuniti in letizia per gustare i tuoi doni. Rit. Questo vino… Noi tutti leviamo a te i più alti canti, e celebriamo i tuoi meriti in ogni tempo! Rit. Questo vino… Parte D La storia Esperienze Ricostruiamo un ambiente medievale. Raccogliamo altre immagini riguardanti la vita in questo momento storico: riproduzioni di quadri e bassorilievi, testimonianze scritte. Come si viveva in quel tempo? Com’erano le abitazioni, le strade? Esistevano luoghi pubblici? Come si impiegava il tempo libero? (C’era davvero del tempo libero?) Come ci si vestiva? Come e cosa si mangiava? Come erano educati i bambini? In quale condizione vivevano le donne? E poi: chi faceva musica? Dove? A chi era destinata, e a quali scopi? Raccogliamo informazioni nelle enciclopedie e su Internet. Una delle pratiche più diffuse nel Medioevo era il contrafactum: si prendeva una canzone e le si adattava un testo completamente diverso. Realizziamone anche noi qualcuno. Per esempio, scegliamo dal Canzoniere (volume B) una canzone della sezione “Le sensazioni e le emozioni”, e facciamola diventare una canzone buffa. Un esempio: “Tutte le fontanelle si son seccate…” può cominciare così: • “Tutte le caramelle si son squagliate…” • “Tutte le gallinelle sono volate…” • “Tutte le mozzarelle (oppure le tagliatelle, oppure le mortadelle…) si son pappati…” Vai avanti tu a cambiare il testo. PORTFOLIO Kalenda maya e A l’entrada del tems clar sono due belle canzoni che si ispirano entrambe alla primavera. Le trovi nel volume B. Aggiungiamo le canzoni ispirate alla primavera presenti nel Canzoniere (volume B), e inventiamo uno spettacolino che intitoliamo Festa musicale di primavera. Un gruppo canta, un gruppo suona, un gruppo balla. Inventiamo qualche costume e qualche scena. Inventiamo anche i passi e i movimenti dei balli. ricapitoliamo Quando la religione cristiana diventa ufficiale nell’Impero Romano, la Chiesa fissa i riti e i canti. Il repertorio dei canti religiosi dell’Alto Medioevo viene detto gregoriano, dal nome di papa Gregorio. Fino al IX secolo i canti vengono trasmessi solo oralmente. Poi si comincia a usare un sistema elementare per trascrivere i suoni: i nèumi. Il canto gregoriano è omofònico, e sobrio: non deve esprimere emozioni, ma solo celebrare la gloria di Dio. Gli strumenti musicali sono sconsigliati in chiesa. Ma presto si comincia a farne uso: lo strumento prediletto nelle basiliche sarà l’organo. Dalla pratica di inserire nei canti brani nuovi (i tropi), nascono i drammi liturgici. Nel Medioevo fiorisce la musica profana, proposta dai menestrelli, cantori e suonatori che girano per i paesi. Nelle corti signorili le canzoni profane sono composte ed eseguite dai trovatori (Francia del Sud), dai trovieri (Francia del Nord), dai cantori d’amore e maestri cantori (in Germania). Gli studenti universitari hanno un proprio repertorio di canti; spesso usano melodie di chiesa: questa pratica si chiamava contrafactum. In questo periodo c’è anche una ricca fioritura di canti religiosi: le laudi in Italia, e le cantigas in Spagna. Per trascrivere i suoni con esattezza si inventa il rigo musicale. Guido d’Arezzo lo perfeziona e inventa un sistema per dare un nome a ogni grado della scala. 169 3 L’Età della polifonia 1284 Edoardo I annette il Galles all’Inghilterra 1285 Filippo IV il Bello diventa re di Francia 1300 La testimonianza Quando gli abitanti del Galles fanno musica insieme, non cantano i loro motivi all’unisono, come si fa dappertutto, ma in parti diverse, con numerosi modi e frasi simultaneamente. Perciò in un gruppo di cantori (se ne incontrano spesso nel Galles) si possono sentire tante melodie quante sono le persone, e una chiara varietà di parti; e pure tutti si accordano in una composizione consonante e adeguatamente costruita. In un distretto del Nord della Britannia, intorno a York, gli abitanti usano un tipo simile di canto in armonia, ma a due sole voci: una canta lentamente nel registro grave, l’altra lusinga e incanta l’orecchio al di sopra. Questa peculiarità di quella gente non è il risultato di musicisti provetti, ma è acquisita attraverso durature pratiche popolari. Geraldo Cambrense, Storia della Cambria, 1198 Bonifacio VIII bandisce il primo Giubileo Punto contro punto 1300 Inizia in Europa la Piccola età glaciale; finirà nel 1850 1337 Inizia la Guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra Quando Geraldo, cronista medievale, scrive il suo libro, in Europa sta ormai prendendo piede un nuovo modo di cantare e di fare musica: la polifonìa. Fino ad allora i canti che i monaci intonavano nei conventi, o i sacerdoti e i fedeli nelle chiese, erano eseguiti a una voce sola: tutti cantavano la medesima melodia, all’unisono. Il gusto di cantare a più voci prende l’avvio poco prima dell’anno Mille. Si cominciò così: a ogni nota della melodia, che era chiamata punto, si aggiungeva la nota di una seconda voce. Dunque punto contro punto. Questa pratica prende così il nome di contrappunto. L’espressione “cantare in contrappunto” ha lo stesso significato che “cantare in polifonìa”. Il genere di musica che ne risultava era chiamato organum (plurale: organa). Nei primi organa il risultato era semplicemente una sonorità più densa, non dava ancora l’impressione di sentire melodie diverse: si rispettava così il precetto dei padri di cantare “come un cuore solo”. Dopo il Mille i musicisti cominciano a sentire il bisogno di arricchire il semplice canto a voci parallele. E allora nasce un modo nuovo: un gruppo di cantori “tiene” la melodia principale (la vox principalis, o tenor), rallentandola molto; in questo modo ciascuna nota viene dilatata. Altri gruppi partono da quella stessa nota, ma procedono poi liberamente con melodie improvvisate. L’importante era ritrovarsi tutti insieme sulla nota successiva del tenor. La polifonìa si dà regole precise Nel tempo, le melodie aggiunte si fanno sempre più complesse, fiorite di note rapide e di virtuosismi vocali. Sovrapponendo melodie diverse, improvvisate lì per lì, si creavano frequentemente urti fastidiosi. Si sentì quindi il bisogno di fissare delle regole: certi incontri di voce erano permessi, altri dovevano essere evitati. Per ottenere risultati corretti diventava necessario abbandonare la pratica dell’improvvisazione e sostituirla con una composizione pensata con cura e trascritta. Un’altra novità accompagna questa trasformazione dello stile musicale: ora la Chiesa ammette più facilmente nel culto gli strumenti musicali. Le cattedrali non dovevano più essere luoghi in cui estraniarsi dal mondo: diventavano luoghi in cui affrontare con spirito cristiano il mondo, le sue difficoltà e le sue gioie. Parte D La storia Nel XIII secolo l’Europa vive un periodo di grande prosperità. Il denaro diventa il protagonista della vita e trasforma l’economia, la società e la politica. Le città, che del commercio e del denaro sono il regno, crescono sempre più. Dentro le loro mura, con il denaro si fondano le banche, ma si costruiscono anche le cattedrali gotiche. Cambia anche la Chiesa. Nuovi ordini religiosi fanno proprio del denaro il loro nemico: secondo Francesco d’Assisi, povertà e carità sono le uniche ricchezze che rendono credibile la Chiesa. Lo sviluppo economico favorisce lo sviluppo della cultura. Nascono le prime università e la letteratura abbandona il latino: vengono scritti i primi testi in volgare, cioè in francese, tedesco, inglese, italiano. Nel XIV secolo le istituzioni religiose conoscono una forte crisi; il papa è in esilio ad Avignone e il clero è impegnato più in questioni politiche ed economiche che nell’educazione alla fede del popolo cristiano. Molte personalità sono critiche nei confronti del clero: Dante Alighieri, per esempio, colloca il papa Bonifacio VIII nel suo “Inferno”. In questo affresco trecentesco del pittore Niccolò di Pietro Gerini sono raffigurati due banchieri. La musica del Duecento e del Trecento abbandona il ritmo uniforme del canto gregoriano. Nel Duecento la musica è scandita secondo ritmi particolari, che prendono il nome di modi ritmici. I teorici del tempo ne elencano sei, che in una musica potevano variamente alternarsi. Eccoli: Gli strumenti partecipano assiduamente all’esecuzione, secondo libere scelte lasciate agli esecutori. Certi canti risultano tanto complessi che probabilmente sono nati pensando più alle possibilità degli strumenti che a quelle delle voci. Ma dietro l’apparente indipendenza delle frasi si affermano esigenze di ordine. Una di queste esigenze dà luogo all’isoritmìa: le successive parti di cui una composizione è fatta sono sì diverse melodicamente, ma si svolgono sopra il medesimo ritmo. 1o 2o 3o 4o 5o 6o Nel Trecento i ritmi diventano molto complessi: le frasi sono formate da cellule ritmiche che cambiano continuamente, compaiono sìncopi, terzine, gruppi liberi sopra vocalizzi. A sinistra, una miniatura dei Minnesänger (1315). Fra gli strumenti si riconoscono, da sinistra, un flauto, una bombarda, due vielle, un salterio, una cornamusa. A destra, musica del XIV secolo. 171 Unità 3 Ritratto di Francesco Landino, noto compositore dell’Ars nova italiana. L’Età della polifonia L’Ars antiqua Fu soprattutto a Parigi che si sviluppò la polifonìa, presso la cattedrale di Notre-Dame. Qui operarono, tra il 1160 e il 1220, Leonino (Magister Leoninus) e Perotino (Magister Perotinus). Venivano chiamati maestri dell’organum. Di loro non si sa quasi nient’altro. A questa scuola musicale verrà dato più tardi il nome di Ars antiqua (“Arte antica”). La prima cosa che colpisce in queste musiche è la grande vitalità ritmica. Nelle musiche dei due “maestri dell’organo” sentiamo un andamento fortemente cadenzato: lo stesso andamento tipico delle danze popolari. È come se il gusto popolare fosse entrato nel canto religioso, e ciò si spiega con l’apertura della Chiesa alle espressioni del popolo. Anche molti trovatori componevano a volte musiche polifòniche: tra loro spicca, nel XIII secolo, Adam de la Halle. normale che ogni voce canti un testo diverso dall’altra. Quello che sta a cuore al musicista del Trecento è l’effetto armonioso dell’insieme. Questo modo di comporre prende il nome di Ars nova, ossia “Arte nuova”. In Francia i principali esponenti furono Philippe de Vitry (1291-1361) e Guillaume de Machaut (1305-1377). Il genere sacro più coltivato in questo secolo è il mottetto. La musica delle corti e delle città Angelo musicante raffigurato su una vetrata della cattedrale francese di Rouen, 1310 circa. Un gruppo di musici suona un organo portativo, una viella e un cornetto. Miniatura del Trecento tratta dal Tacuinum Sanitatis di Giovannino de Grassi. 172 Dall’Arte antica all’Arte nuova Nel secolo successivo, il Trecento, i musicisti perfezionano la polifonìa: fino al punto che nell’intreccio delle voci si fa fatica a capire il testo che viene cantato. Diventa addirittura Nelle corti principesche e tra i nobili si continua a cantare su temi profani: canzoni d’amore, celebrazioni di avvenimenti, scherzi, danze. Ma il gusto musicale è cambiato, proprio come nelle musiche sacre: quello che domina ora è lo stile polifònico. I generi più diffusi sono la ballata, il rondò, il madrigale. Vengono eseguiti a due o tre voci; spesso la voce superiore è cantata, le altre sono affidate a strumenti. 1 Nell’Italia del Trecento la musica è coltivata soprattutto nelle città del centro-nord, come Firenze e Bologna. Il pubblico, che non appartiene alla classe aristocratica ma a quella dei ricchi borghesi, non è molto sofisticato. Le musiche che predilige sono sì polifòniche, ma tendono alla semplicità e all’immediatezza. Accanto alle ballate e ai madrigali furoreggia in Italia un genere più giocoso, la caccia. Qui due voci si inseguono a cànone: una voce “caccia” l’altra, e una terza voce fa da sostegno. Compositori dell’Ars nova italiana sono Gherardello da Firenze, Jacopo da Bologna, Matteo da Perugia e, sopra tutti, Francesco Landino (1335-1397), noto ai suoi tempi per l’abilità nell’improvvisare all’organo. Cieco dalla nascita, fu soprannominato “cieco degli organi”, ma sapeva anche cantare, suonare altri strumenti, scrivere poesie e libri teorici. Di lui abbiamo più di 150 composizioni, in prevalenza ballate. Parte D La storia 1 Cosa vuol dire “canzone”? È giusto chiamare “canzone” qualunque musica? La risposta ce la dava già Dante Alighieri, esattamente sette secoli fa: Bisogna discutere se è giusto chiamare canzone un testo poetico melodicamente intonato, piuttosto che la musica in sé. Osserviamo che la musica in sé viene chiamata “suono”, o “tono”, o “nota”, o “melodia”. In effet- Nelle cattedrali di questa età si moltiplicano le linee degli archi a sesto acuto, all’interno, e gli archi rampanti all’esterno. L’occhio non riposa più su ampie, solide superfici; è sollecitato a muoversi da un percorso lineare all’altro. Il risultato è un senso di grande dinamismo. ti nessun suonatore di strumento a fiato o a tastiera o a corde chiama la sua melodia canzone, se non quando è sposata a un testo, mentre sono gli ideatori di parole armonicamente disposte a definire le loro opere canzoni. Dante Alighieri, De Vulgari Eloquentia, 1304 Ritratto di Dante Alighieri. Allo stesso modo le linee di canto delle diverse voci si intrecciano l’una sull’altra. La voce non segue più l’andamento delle parole, con i loro accenti e le loro brevi pause. Passa in second’ordine la chiara articolazione delle frasi. Ma il risultato è quello di una fremente vitalità. A sinistra, la cattedrale di Rouen, in Francia, sorta nella prima metà del XIII secolo. A destra, l’interno della cattedrale tedesca di Ingolstadt. 173 Unità 3 L’Età della polifonia Perotino (Francia, 1170-1230 ca.) Le notizie sui compositori di questo periodo sono scarse. Per esempio, tutto quello che sappiamo di Perotino sono queste poche righe che troviamo scritte in un codice manoscritto del 1272: “Il libro degli organa di Leoninus fu in uso fino al tempo del grande Perotinus, che lo abbreviò e portò molte sostituzioni, perché era il migliore autore di canti, migliore di Leoninus. Inoltre Perotinus scrisse eccellenti composizioni a quattro voci, come Viderunt (omnes), colme di ingegnosi motivi e figure musicali, e molte altre composizioni a tre voci e a voce sola. I libri di Magister Perotinus sono restati in uso nel coro della cattedrale di Notre-Dame fino a oggi.” (Anonimo Quarto, Trattato sulle misure e sul discanto, 1272) TRACCIA 1 7 Viderunt omnes Ci sono giunti, attribuiti a Perotino, due organa a quattro voci e una decina a tre voci. Viderunt omnes è a quattro voci e celebra la nascita di Gesù. Papa Clemente IV investe Carlo d’Angiò della sovranità della Sicilia. Affresco del XIII secolo. Strumenti a fiato e campane introducono la celebrazione in un clima di festa. Il ritmo del canto è pulsante e vivace. E il canto, a quale genere appartiene? • Sillabico • Melismatico • Responsoriale Adam de la Halle (Francia, 1237 ca.-1287 ca.) Gli studi compiuti presso l’Università di Parigi gli servono a raffinare il talento di musicista ma anche di letterato. Nel 1262 viene rappresentato un suo dramma con musiche. Adam continua la tradizione dei trovatori, che operano al servizio dei signori. I suoi signori sono gli Angioini, che proprio in quegli anni si trovano a competere con gli Aragonesi per il governo della Sicilia. Quando nel 1282 scoppia la rivolta dei Vespri Siciliani, e gli Angioini vengono cacciati dall’isola, Adam si reca a Palermo al seguito di Carlo d’Angiò. Oltre a una serie di canzoni trobadoriche, Adam ha lasciato molte canzoni polifòniche, rondò, mottetti e il suo lavoro teatrale Le jeu de Robin et Marion. TRACCIA 2 7 Or est baiars Il ritmo mostra quanto nella seconda metà del Duecento fossero ancora vivi i “modi ritmici” del tempo di Perotino. La musica è saltellante, adatta per la danza, affidata a un complesso nel quale emergono un piccolo organo e la viella. Una fresca voce femminile canta le segrete emozioni di una ragazza di quel lontano Medioevo. 174 Parte D Guillaume de Machaut La storia (Francia, 1300-1377) Per secoli il musicista ha potuto esercitare la sua arte solo ponendosi al servizio di un governante. Non c’è principe, nel tardo Medioevo o nel Rinascimento, che non si circondi di musicisti, poeti, pittori, scultori. Machaut è musicista e insieme poeta: tanto eccellente in entrambe le arti che se lo contendono il re Giovanni di Boemia, Bona, moglie del futuro re di Francia, e Giovanni re di Navarra. Anche le cattedrali aspirano ad averlo presso di sé, e così lo troviamo per un certo periodo canonico a Reims. Le sue poesie e le sue musiche sono destinate dunque a un pubblico aristocratico, raffinato. Già avanti negli anni, si innamora della giovanissima Péronne, alla quale dedica un romanzo epistolare contenente sette delicate canzoni d’amore. Più di cento sono le sue musiche profane giunte fino a noi; una ventina quelle sacre. Uno degli speciali artifici praticato da Machaut è l’isoritmìa: la si può trovare nella sua celebre Messa di Notre-Dame, la prima messa cantata a più voci giunta fino a noi e scritta dalla mano di un solo compositore. TRACCIA 3 7 Amour me fait désirer Questa musica ci fa capire com’erano le canzoni d’amore del tempo: un intreccio sofisticato di melodie affidate a voci diverse. Qui, al posto del canto, le parti sono eseguite da tre strumenti: un piccolo organo portativo, una viella e una mandola, strumento a pizzico. Gherardello da Firenze (Italia, Firenze, ?-1362 ca.) Gherardello appartiene a una famiglia di musicisti. Ma preferisce dedicarsi alla vita ecclesiastica e diventa cappellano di quella che era allora la cattedrale di Firenze, Santa Reparata. La vita religiosa non gli impedisce tuttavia di dedicarsi alla composizione non solo di pagine religiose ma anche di canti profani, come la celebre caccia che ascoltiamo. TRACCIA 4 7 Caccia La caccia era l’occupazione prediletta dei signori: all’istinto della lotta si aggiungeva l’amore per l’avventura e per l’ignoto. L’oscurità dei boschi esercitava una forte attrattiva sull’immaginazione medievale: i dipinti del tempo sono ricchi di immagini molto accurate di boschi. Questa passione si esprime anche nella musica, in pezzi che cantano avventure di caccia. In questo brano sentiamo anche richiami dei cacciatori ai cani. Per dare l’idea dell’inseguimento, il musicista usa un sistema singolare: lascia partire la prima voce; dopo un po’, una seconda voce dà la “caccia” alla prima, ossia ripete a distanza la stessa melodia. Il termine caccia indica proprio il genere di musica composto in questo modo che verrà usato anche per canti ispirati a temi diversi dalla caccia vera e propria. 175 Unità 3 L’Età della polifonia Esperienze Inventiamo un semplice organum con la tecnica del XII secolo. Scegliamo una canzone nota: un gruppo tiene lunghe le sue note. Sopra questa base cantiamo un’altra melodia. Per esempio, sopra le prime sette note di La campana (volume B, Canzoniere, sezione “Note di notte”) possiamo aggiungere il cànone Chi vive allegro, così: PORTFOLIO Musici nel particolare di un affresco di Castel Roncolo (Bolzano). 176 Pratichiamo i sei modi ritmici usati nell’Ars antiqua. Abbiamo tante opportunità. • Suoniamo il primo in continuazione: comincia un ragazzo, poi a uno a uno si aggiungono gli altri; quando tutti suonano, il primo smette, e a uno a uno smettono tutti. Ripetiamolo con gli altri cinque modi. • Dividiamoci in sei gruppi: ognuno esegue uno dei sei modi. Comincia un gruppo e via via si aggiungono gli altri. Quando si arriva al fortissimo, si smette tutti di colpo. • Un ragazzo ripete in continuazione il primo modo ritmico sul tamburello. Gli altri, sui loro strumenti, intervengono a uno a uno improvvisando un loro ritmo. Ripetiamo l’esperienza con gli altri modi ritmici. • Ripetiamo l’esperienza precedente con strumenti melodici: flauto dolce, xilofono, metallofono, tastiera… • Inventa un altro modo di praticare i modi ritmici. Parte D La storia Eseguiamo anche noi Gherardello da Firenze, Caccia. ricapitoliamo Nel IX secolo si avvia la pratica del canto polifònico, all’inizio come “rinforzo” sonoro della melodia: a una nota se ne sovrappone una diversa. È l’organum parallelo. ca di questa musica è di essere fortemente ritmata, come nelle danze popolari. Nell’XI secolo si diffonde una tecnica più sviluppata: la melodia principale è eseguita a note dilatate nel tempo; e su questa altre voci improvvisano. Nel Trecento la polifonìa si fa più sofisticata: all’Ars Antiqua si contrappone l’Ars Nova. Il genere sacro più coltivato è il mottetto, quelli profani sono la ballata, il rondò e il madrigale. Nel XIII secolo i musicisti si danno regole chiare riguardanti la sovrapposizione di melodie diverse. Principali protagonisti dell’Ars Nova sono in Francia Guillaume de Machaut, in Italia Francesco Landino. La musica religiosa del Duecento fiorisce soprattutto a Parigi, con la Scuola di Notre-Dame. La caratteristi- In Italia fiorisce un genere più vicino al gusto popolare, la caccia. 177 4 Il Rinascimento 1348 Si diffonde in Europa la “grande peste” 1414 Il Concilio di Costanza avvia la riforma della Chiesa La testimonianza Signori, dovete sapere che io non mi contento del cortegiano s’egli non è anche musico e se, oltre a capire la musica ed essere capace di leggerla, non sa praticare vari strumenti. Bella musica è il cantar bene leggendola con sicurezza e bella maniera; ma molto di più il cantare accompagnati dalla viola. Sono ancora armoniosi tutti gli strumenti da tasti, perché hanno le consonanze molto perfette e con facilità vi si possono fare molte cose che riempiono l’animo di dolcezza musicale. Non meno diletta è la musica delle quattro viole ad arco, che è soavissima e ingegnosa. La voce umana dà ornamento e grazia assai a tutti questi strumenti, dei quali voglio che il nostro cortegiano abbia conoscenza; e quanto più in essi sarà eccellente, tanto sarà meglio. 1455 Gutenberg stampa il primo libro: la Bibbia Baldassarre Castiglione, Il cortegiano, 1528 (adattamento) Giovanni Cariani, Suonatore di liuto. Gentiluomini e professionisti della musica 1492 Cristoforo Colombo scopre l’America 1519 Carlo d’Asburgo viene eletto imperatore Nei secoli XV e XVI non c’è corte principesca, non c’è dimora di ricchi aristocratici e borghesi dove non si faccia musica. Chi vive stabilmente a corte, il cortegiano o gentiluomo, deve saper cantare, suonare e comporre musica. Le corti più ricche possono anche permettersi musicisti di professione. I regnanti, poi, amano celebrare la propria potenza non soltanto edificando palazzi sontuosi, ma anche invitando nelle loro corti schiere di artisti. Le cattedrali si dotano di gruppi corali: soprattutto nelle Fiandre (la regione compresa tra Belgio, Olanda e Francia del Nord) e in Borgogna, si sviluppano grandi cori e scuole musicali di alto livello. Qui si formano numerosi importanti musicisti, che scrivono appositamente per quelle formazioni musicali. Il più rinomato è Guillaume Dufay (1400-1474). I gusti delle persone che frequentano le corti si fanno sempre più raffinati: così anche lo stile musicale si fa particolarmente sofisticato. L’invenzione della stampa musicale Un’altra grande novità cambia la vita musicale: l’invenzione della stampa. Avviata da Gutenberg alla metà del Quattrocento, viene sperimentata una ventina d’anni dopo per la musica. Il primo che fissa un sistema collaudato di stampa musicale è Ottaviano Petrucci, che nel 1501 pubblica a Venezia il primo libro interamente musicale. L’invenzione della stampa è un formidabile strumento per far conoscere le musiche da un paese all’altro. Nei paesi europei si afferma, nel Quattrocento, un benessere economico mai conosciuto prima, del quale le Fiandre e l’Italia settentrionale sono le principali protagoniste. E con il benessere anche la vita delle corti e delle città si arricchisce: i palazzi signorili sono frequentati da poeti, letterati, pittori, scultori, architetti. La cultura dell’Umanesimo, che mette l’uomo al centro dell’universo e rivaluta le sue facoltà morali e intellettuali, nasce in Italia e da qui si irradia in tutta Europa. Era dai tempi più felici dell’Impero Romano che non si assisteva a un interesse così grande per le scienze e le arti. L’uomo, la sua spiritualità e le sue creazioni sono al centro degli interessi di letterati e artisti. Fiorito nelle corti italiane, questo spirito si diffonde in particolare in Borgogna, la regione centro-orientale della Francia. Nell’Europa del Cinquecento i grandi stati, Francia, Spagna, Inghilterra, hanno ormai consolidato la loro unità nazionale mentre si rompe l’unità del popolo cristiano: da ora in poi ci sarà una Chiesa cristiana cattolica e una Chiesa cristiana protestante. Le grandi scoperte geografiche, oltre ad aprire gli orizzonti culturali degli europei, favoriscono un notevole sviluppo economico. Il commercio internazionale cresce poderosamente e i galeoni delle grandi potenze solcano tutti gli oceani, trasportando merci di ogni genere. I regnanti celebrano la propria potenza edificando palazzi sontuosi e invitando nelle loro corti schiere di arti- sti. L’arte vive quindi un periodo di grande splendore: il Rinascimento. Nel Cinquecento nascono, soprattutto in Italia, maestri dotati di un eccezionale talento, che creano opere straordinarie. Due sono le direzioni che la musica prende nel Quattrocento. La prima è il bisogno di una fusione armoniosa fra le diverse voci, cercando la maggiore consonanza possibile. L’incontro delle voci si fa più delicato, meno aspro che non nella musica del secolo precedente. Anche la melodia si fa più lineare e cantabile. Ma lo stile musicale si modifica anche in una seconda direzione, quella delle tecniche contrappuntistiche, che portano a un livello sorprendente di complessità. Per esempio un tema viene proposto da una voce, alla quale un’altra voce risponde con lo stesso tema all’inverso, cioè letto dall’ultima nota e poi indietro fino alla prima. Quindi se ne aggiunge una terza che canta il tema, sempre lo stesso, ma aumentato, cioè a una velocità diversa. E si aggiunge ancora una quarta voce che lo intona con gli intervalli melodici rovesciati, cioè invece di salire verso l’acuto scende al basso e viceversa. Un altro artificio è la ciclicità, che viene applicata nelle messe: uno stes- so canto preesistente è adoperato come base (come “tenor”); su questa base si costruiscono le successive sezioni di una messa. Nel Cinquecento l’andamento delle voci tende a farsi più morbido, rotondo, meno angoloso che nella musica del Quattrocento. La melodia si svolge prevalentemente per intervalli vicini, non per salti; i ritmi sono meno marcati; soprattutto si evitano il più possibile le dissonanze. Tutto deve dare l’impressione di una grande moderatezza dei sentimenti. Il cambiavalute e sua moglie, un dipinto del pittore fiammingo Metsys che illustra la ricchezza della società europea nel Cinquecento. 179 Unità 4 Il Rinascimento I generi di canto Musica popolare italiana in un dipinto di Pietro Fabris. Tra il Quattrocento e il Cinquecento, la nuova generazione di musicisti rende più semplice la costruzione musicale: favorisce un’arte più cantabile, più vicina al gusto popolare. Campioni di questa tendenza sono il fiammingo Heinrich Isaac e il francese Josquin Desprès (1440-1521). Questi compositori operano soprattutto in Italia, dove sono chiamati dai principali signori. In Italia hanno potuto ascoltare uno stile musicale semplice e diretto, di carattere popolaresco: sono composizioni a quattro voci, che procedono in prevalenza compatte, in omoritmìa: cioè tengono tutte lo stesso ritmo. Si chiamano villotte e frottole; quelle composte per il carnevale si chiamano canti carnascialeschi. Gli argomenti sono spesso scherzosi. La forma è stròfica: ossia sulla stessa musica si cantano diverse strofe. All’inizio del XVI secolo, tra i compositori di frottole si affermano Marchetto Cara (14701525) e Bartolomeo Tromboncino (1470-1535). Il madrigale Un gruppo musicale in un arazzo del Cinquecento. Gli strumenti raffigurati sono, da sinistra, il liuto, la ribecca, la bombarda, l’arpa, il salterio e un altro liuto. 180 Questo stile si afferma nel genere musicale più praticato nel Cinquecento, il madrigale. Abbiamo trovato questo nome nella musica del Trecento. Ma ora il termine si applica al nuovo genere polifònico, inizialmente a quattro voci come la frottola; più tardi si preferirà ricorrere a cinque voci. Ma a differenza della frottola, il madrigale non è più “stròfico”: la musica cambia da strofa a strofa, seguendo da vicino l’andamento delle parole, le atmosfere e i sentimenti espressi dal testo. 1 Il pubblico distinto delle corti non accetta i testi a volte sguaiati delle frottole; esige poesie raffinate. Per questo i compositori scelgono i testi dei più importanti poeti italiani: Francesco Petrarca, Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Torquato Tasso. Con lo stesso stile del madrigale si compongono musiche per la Chiesa: i mottetti. 2 La stagione più felice del madrigale si ha con la generazione successiva di compositori, fra i quali emergono ora gli italiani: Luca Marenzio (1553-1599), Carlo Gesualdo da Venosa (1560-1613), Claudio Monteverdi (1567-1643). Commedie cantate Oltre che cantati, i madrigali potevano essere semplicemente suonati su strumenti; oppure solo la voce superiore si cantava, le altre si suonavano. Gli argomenti erano il più delle volte amorosi, spesso anche drammatici, per esempio di argomento epico o guerresco. Ma il pubblico dei salotti amava anche ascoltare storie scherzose. A questo genere si dedicano musicisti che si scrivono da sé testi di argomento buffo, ispirati a un realismo popolaresco. Troviamo qui personaggi che dialogano fra loro, in un modo che rispetta lo stile polifònico: per esempio, un personaggio è espresso da un coro a due voci, l’altro da un coro a tre voci. Questo genere prende il nome di madrigale dialogico, o rappresentativo. Il suo carattere comico risulta anche dai titoli: Il cicalamento delle donne al bucato di Alessandro Striggio (1535-1590), Amfiparnaso di Orazio Vecchi (1550-1605), La barca di Venezia per Padova, Lo zabaione musicale, La pazzia senile, del monaco Adriano Banchieri (1568-1634). Parte D La storia 1 La musica traduce le parole: i madrigalismi Gli autori di madrigali creano intorno alle parole un clima intensamente espressivo, spesso sentimentale e languido. E si spingono ancora più in là: arrivano a “tradurre” con i suoni certe immagini evocate dalle parole. Se il testo dice “stare”, la musica si ferma su note lunghe; se dice “saltare”, il ritmo si fa saltante. Se le paro- le evocano il cielo, sentiamo note acute; se suggeriscono una caduta, sentiamo una melodia discendente. La gioia è espressa con rapidi giri di voce; il dolore con lenti ripiegamenti della voce verso il basso. E così via. Questo modo di far corrispondere una musica a un testo si chiama madrigalismo. Lo troveremo usato spesso, d’ora in poi, anche in musiche molto diverse dai madrigali. Osserva questi esempi. Nel primo, sulla parola “scala” il musicista scrive una scala musicale, da Sol al Mi'. Nel secondo, “cinque perle” è tradotto con cinque note tonde, le semibrevi. Nel terzo, il “respiro” è reso con numerose pause. 2 Parodìe e polifonìe I musicisti di questa epoca tendono a comporre allo stesso modo sia un mottetto destinato alla Chiesa sia una canzone per la corte. Usano cioè uno stile unitario sia per la musica profana sia per quella sacra. Lo dimostra una pratica molto diffusa allora, la pratica della parodìa: il musicista prende una canzone di argomento profano e le adatta un testo religioso, o anche viceversa. Ciò vuol dire che lo stesso genere di musica si canta ora per la preghiera come per argomenti amorosi. Ma in tutti e due i casi si usa uno stile musicale “importante”, quello della polifonìa. Orlando di Lasso alla corte di Baviera. Questo musicista fiammingo, compositore di mottetti e madrigali, fu tra i maggiori polifonisti del Cinquecento. 181 Unità 4 Il Rinascimento A Venezia il canto è accompagnato dagli strumenti Paolo Veronese, Le nozze di Cana, 1563, particolare. Una grande scuola musicale si sviluppa a Venezia, che è all’apice della sua potenza e in polemica con la corte pontificia. Anche qui la polifonìa domina incontrastata, solo che allo stile “a cappella” di Roma si preferisce il canto accompagnato dagli strumenti. I veneziani coltivano una particolare predilezione per i colori strumentali: è qui, infatti, che nascono le prime grandi composizioni solo strumentali, soprattutto per organo e per strumenti a fiato. I compositori importanti della scuola veneziana sono Andrea Gabrieli (1510-1586) e suo nipote Giovanni (1557-1612). Entrambi organisti in San Marco, scrivono musica di ogni genere, sacra e profana, vocale e strumentale. Nelle chiese protestanti i fedeli cantano una musica semplice: il corale Il XVI secolo non è solo l’età dello sfarzo aristocratico e del trionfo delle arti. È anche un secolo di guerre e di conflitti religiosi. L’esplosione di questi conflitti avviene con la “protesta” avviata in Germania da Martin Lutero contro la Chiesa cattolica, e la successiva “riforma” delle pratiche religiose: nascono così le confessioni riformate, o protestanti, che si diffusero in particolare a nord delle Alpi. Secondo Lutero, deve essere il popolo dei fedeli a condurre il rito, non una categoria speciale, quella dei sacerdoti. Conseguenza musicale: è il popolo che deve cantare in chiesa, non un gruppo specializzato. Ecco allora che nelle chiese protestanti la polifonìa è messa da par- 182 te. Al popolo si insegnano canti semplici, che si imparano facilmente. Lutero stesso ne compone diversi; altri sono presi da canti popolari, a cui si adattano testi religiosi, secondo la pratica della parodìa. Vengono chiamati corali. Nelle chiese l’uso degli strumenti musicali è limitato o abolito per favorire il raccoglimento dei fedeli e la sobrietà delle celebrazioni. Nei paesi cattolici si raffina il canto polifònico a cappella La civiltà cattolica resta fedele alla grande tradizione polifònica del passato. Solo la musica ricca e sontuosa può affascinare l’ascoltatore e suscitargli immagini del Paradiso: perciò nelle chiese il canto è ancora affidato a gruppi di cantori altamente specializzati. Ogni chiesa ha la sua “cappella”: con questo nome si indica prima il luogo assegnato ai cantori, poi l’insieme dei cantori stessi. Il termine a cappella indica il canto a sole voci, senza strumenti. Papa e cardinali fanno a gara con le corti europee nel circondarsi di artisti e musicisti. Su tutti si innalza Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594), che ripropone le tecniche dei maestri fiamminghi, ma depurate di ogni più piccola asprezza. Così facendo, rappresenta l’ideale della nuova Chiesa romana, quella uscita dal Concilio di Trento (1545-1563). Il Concilio, indetto per rimediare ai mali lamentati dai protestanti, prende posizione anche sulla musica, e chiede ai compositori di abbandonare le complicazioni che rendono incomprensibili le parole. Lo stile di Palestrina influenza altri grandi maestri del Cinquecento: il più illustre è il fiammingo Orlando di Lasso (1532-1594). Accanto a messe, mottetti, salmi e altre composizioni sacre, Orlando compone una grande quantità di musiche profane. La “chanson” francese Nella musica profana francese del Cinquecento domina il genere musicale della chanson (canzone). L’autore più famoso di canzoni è Clément Janequin, al servizio del re di Francia Francesco I nella Cappella reale di Parigi. Le canzoni adattano in modo equilibrato gli artifici compositivi della polifonìa alla semplicità delle canzoni popolari, che spesso inseriscono le loro melodie in ritmi di danza. I temi possono essere malinconici e sentimentali, scherzosi e ironici o anche epici e militari. Parte D Siamo sul finire del XV secolo. Uno dei regnanti più illustri è Massimiliano d’Austria, re di Germania, poi imperatore del Sacro Romano Impero, nonché pretendente al regno di Borgogna. In Borgogna è stupito dalla brillante vita musicale della corte, e decide di creare per sé un insieme di cantori e strumentisti ancora più ricco. Fa venire alla sua corte i musicisti più illustri del tempo, come Heinrich Isaac e l’organista Paul Hofheimer. I cantori allietano le sue feste e accompagnano le sue preghiere, tra una spedizione militare e l’altra. Gli La storia 6 5 4 3 2 1 strumentisti lo seguono nei suoi viaggi, creando una pompa solenne intorno al corteo imperiale. Massimilano vuole anche far conoscere ai posteri la sua passione per la musica. Chiama perciò i maggiori disegnatori del tempo, fra i quali il celebre Albrecht Dürer, e chiede loro di raffigurare tutti gli strumenti della sua corte. Nascono così le più importanti illustrazioni degli strumenti di quel periodo, presentati su altrettanti carri immaginari: Il corteo trionfale di Massimiliano. Sul primo carro sta lo stes- so Hofheimer con il suo organo portativo. Dietro a lui stanno tre liuti e una viola da gamba; sul terzo, un trombone, due oboi, due cromorni; dietro a questo, un carro che mostra la varietà con la quale potevano mescolarsi allora gli strumenti: un violino, una fidula, un liuto, una mandola, un piffero con tamburello e due zufoli. In alto, infine, vedi due fanfare: la prima formata di cromorni; la seconda, di tromboni e tamburi. Chiudeva il corteo la Cappella imperiale: un coro di sei bambini e sette adulti, un cornetto, un trombone. 183 Unità 4 Il Rinascimento Guillaume Dufay (Francia, 1400-1474) Come si diventa musicisti nel XV secolo? Si comincia come fanciullo cantore presso una cattedrale, dove si riceve un’istruzione musicale completa. È così che si forma Dufay presso la cattedrale di Cambrai, nelle Fiandre francesi. Se ha talento, il musicista sarà conteso da città e signorie d’Europa. Ed ecco che troviamo Dufay al servizio dei Malatesta a Pesaro, poi a Parigi, a Roma presso la Cappella pontificia, a Torino presso i Savoia. Quando nel 1436 si inaugura la cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze lo chiama a comporre una musica per la cerimonia. Nasce così Nuper rosarum flores, un mottetto che illustra bene il gusto fiammingo per la costruzione calcolata: infatti è scritto in modo che le sue sezioni corrispondano a quelle della cupola. Dufay va poi a Berna, a Bruxelles, a Digione, prima di tornare definitivamente a Cambrai. I suoi mottetti e le sue messe sono tra i massimi capolavori del Quattrocento. TRACCIA 5 7 Bon jour bon mois Tra i mottetti di Dufay figura quello che inizia sulle parole Jesu judex veritatis (Gesù giudice di verità). Sulla stessa musica religiosa troviamo questo rondò (così si chiamava un tipo particolare di canzone profana): il testo ora celebra l’arrivo della primavera. È un esempio di come il musicista di quel tempo fosse interessato non a descrivere con la musica i concetti evocati dalle parole, ma a rivestirle di delicate atmosfere espressive: indipendentemente dal loro contenuto particolare. La composizione è a tre voci: ma solo la superiore è cantata; le altre sono affidate a strumenti: organo portativo, flauto, viola. Heinrich Isaac (Fiandre, 1450-1517) Le prime notizie che si hanno di questo musicista ce lo presentano già famoso. Manca infatti qualsiasi documento che lo riguardi, prima del 1487, quando Lorenzo de’ Medici lo chiama a Firenze, a comporre le musiche che devono allietare le sue vivaci feste, e a dirigere cantori e suonatori. Qui Heinrich Isaac scrive una serie di canti popolareschi, secondo lo stile italiano della frottola. Morto il suo signore nel 1492, va a Vienna. Lì si fa notare dal re di Germania, poi imperatore, Massimiliano, grande amante della musica, che ha allestito una compagnia straordinaria di musici, e che chiama Isaac al suo servizio. La maggiore opera di questo compositore è il Choralis Constantinus, una raccolta di trecento mottetti scritti per il duomo di Costanza. Come aveva saputo essere semplice e popolaresco con le sue frottole, così Isaac sa essere raffinato e profondo nelle opere religiose, continuando la tradizione fiamminga. TRACCIA 6 7 La la ho ho Un piccolo assaggio del mondo sonoro che dilettava le corti principesche alla fine del Quattrocento. Una compagnia di suonatori intona una “canzona per strumenti”, formata di brevi frasi, che passano da uno strumento all’altro. Bastano quattro flauti diritti per aprire una serata di festa, che poi continuerà con una serie di danze. 184 Parte D La storia Giovanni Pierluigi da Palestrina (Italia, Palestrina, 1525-1594) Per un aspirante musicista nato vicino a Roma (Palestrina è la sua città natale), le possibilità di carriera sono legate alla possibilità di farsi conoscere da qualche influente prelato. Il personaggio che mette in moto la carriera di Pierluigi è il vescovo della sua città natale, che diventa papa col nome di Giulio III. A Palestrina, Pierluigi si è già fatto apprezzare come organista del duomo. Ma la carriera non è facile a Roma: un artista sposato rischia il posto perché la sede pontificia preferisce operatori celibi. Invece Pierluigi è sposato, con tre figli, che diventeranno anche loro musicisti. Viene licenziato. Ma la sua fama di “principe della musica” è già tale che non fatica a trovare posto presso le principali chiese romane. Trascorre gli ultimi anni della sua vita a comporre e a curare la pubblicazione delle sue opere. I capolavori di Pierluigi sono soprattutto messe, mottetti, inni. Ma non mancano numerosi madrigali scritti per le feste delle principali famiglie patrizie romane. TRACCIA 7 7 Stabat Mater Il testo, in forma poetica, fu scritto probabilmente da Jacopone da Todi nel XIII secolo, e fu presto cantato nelle chiese, alla maniera del canto gregoriano, secondo lo stile sillabico. Entrò così nella liturgia, fra le “sequenze” ammesse dal magistero cattolico, per la giornata del Venerdì santo. Narra il dolore della Madonna davanti alla crocifissione del figlio. Molti altri musicisti rivestirono quel poema con musiche proprie: fra questi Palestrina. Non sentiamo grida disperate qui. Tutto scorre mesto sì, ma anche quieto: sopra la morte fisica Palestrina fa risaltare la certezza della beatitudine celeste. Ascoltiamo la prima parte: Stabat mater dolorosa juxta crucem lacrimosa dum pendebat filius. Cuius animam gementem, contristatam et dolentem, pertransivit gladium. O quam tristis et afflicta fuit illa benedicta mater Unigeniti. Quae maerebat et dolebat pia mater, dum videbat nati poenas inclyti. Quis est homo qui non fleret, matrem Christi si videret in tanto supplicio? Quis non posset contristari, Christi matrem contemplari dolentem cum filio? Pro peccatis suae gentis vidit Jesum in tormentis et flagellis subditum. Vidit suum dulcem natum moriendo desolatum, dum emisit spiritum. Stava la madre sofferente presso la croce piangente mentre pendeva il figlio. La sua anima gemente, rattristata e dolente la trapassò la spada. Oh quanto triste e afflitta fu quella benedetta madre dell’Unigenito. Si lamentava e doleva la pia madre, mentre vedeva le pene del figlio glorioso. Qual è l’uomo che non piangerebbe, se vedesse la madre di Cristo in così gran supplizio? Chi potrebbe non rattristarsi contemplando la madre di Cristo sofferente con il figlio? Per i peccati della sua gente vide Gesù fra i tormenti e sottoposto alle fruste. Vide il suo dolce figlio affranto davanti alla morte mentre esalò il respiro. 185 Unità 4 Il Rinascimento Carlo Gesualdo da Venosa (Italia, Venosa, 1560-1613) La vita di Carlo Gesualdo è ben diversa da quella tipica di un musicista del Cinquecento. Palestrina comincia come umile fanciullo cantore in qualche chiesa cittadina. Gesualdo è invece figlio di principi: i Gesualdo sono aristocratici napoletani; suo padre ha sposato una nipote del Cardinale Borromeo. La sua vita potrebbe trascorrere tra ozi e divertimenti. Ma il suo spirito inquieto lo porta a trasgredire le abitudini di famiglia, fino a rendersi colpevole di un delitto: quando infatti sorprende la moglie Maria d’Avalos, anche lei aristocratica, che lo tradisce, la uccide. Allora questi delitti non erano perseguiti dalla legge. Gesualdo fugge per evitare la vendetta degli Avalos; si rifugia presso la corte ferrarese, dove sposa Eleonora d’Este. La musica è per lui, ricco signore, poco più che un passatempo, non certo una necessità professionale; ma soprattutto è il mezzo con cui dare voce alle inquietudini del suo animo. TRACCIA 8 7 Luci serene e chiare Il libro che contiene questo madrigale a cinque voci fu stampato nel 1596. La poesia parla delle sensazioni provate da un innamorato. La luce degli occhi di lei lo brucia, le sue parole lo feriscono. Eppure da questa doppia sofferenza ricava solo piacere, non dolore! Ascolta come la voce si agita sulle parole “incendete” e “foco”. E all’opposto come si ripiega sulle parole “sangue” e “langue”. Sono esempi di “madrigalismi”. Luci serene e chiare 1, voi m’incendete, voi, ma prova il core nell’incendio diletto, non dolore 2. Dolci parole e care, voi mi ferite, voi, ma prova il petto non dolor nella piaga, ma diletto 4. O miracol d’amore! Alma ch’è tutta foco e tutta sangue, si strugge e non si duol; muore e non langue. Alessandro Striggio 1 SONO LE LUCI DEGLI OCCHI DELL’AMATA. 2 VOI M’INCENDIATE, MA IL MIO CUORE PROVA PIACERE, NON DOLORE. 4 MA IL MIO PETTO NON PROVA DOLORE NELL’ESSERE PIAGATO, MA PIACERE. (Italia, Mantova, 1535-1590) Trascorre la sua vita alla corte di importanti signorie italiane. A quel tempo la pratica musicale era raccomandata alla classe aristocratica. Lo scrittore Baldassarre Castiglione l’aveva posta come un aspetto importante dell’educazione dell’uomo di corte, nel suo libro Il cortegiano, pubblicato nel 1528. Castiglione era mantovano, e mantovano è anche il marchese Alessandro Striggio, che opera nella splendida corte dei Gonzaga in qualità di “gran cancelliere”. Lo troviamo anche alla corte fiorentina, dove il granduca lo manda come ambasciatore in Inghilterra. Ma alla storia è passato come musicista, autore di cinque libri di madrigali e di lavori di carattere scherzoso, appartenenti al genere del madrigale drammatico: Il cicalamento delle donne al bucato e Il gioco di primiera. 186 Parte D La storia Il gioco di primiera TRACCIA 9 7 È una delle creazioni più curiose e originali, nella storia della musica. Una partita di carte: si può metterla in musica? Striggio ci è riuscito brillantemente, adoperando la tecnica musicale del suo tempo, quella del madrigale e della canzonetta polifònica: i testi sono cantati da diverse voci simultaneamente, e ogni voce canta una melodia distinta. Perciò nel Gioco di primiera ogni personaggio “parla” attraverso la voce di ben cinque cantori diversi, tre uomini e due donne. Il che vuol dire che quando sentiamo il piccolo coro di voci non sono in tanti a parlare: è sempre un solo personaggio, che dialoga con un altro. 1. Al vago e incerto gioco di primiera chi vuol giocar due scudi per piacere trovi il denaro e pòngasi 1 a sedere. Siamo qui in cinque: olà, ragazzo, presto ci reca qui le carte. “Eccole qui, signor, polite e belle”. Mescolatele a un tratto e poi faccia a chi tocca il primo sette, col patto che si faccia al perditore una dolce e solenne trombetta, una dolce e solenne trombetta. A QUESTO PUNTO SENTIAMO I GIOCATORI LANCIARE LE CARTE, COMUNICANDO FRA LORO CON UN GERGO SPECIALE, PER NOI QUASI INCOMPRENSIBILE. 2. “Facciasi…” – “Or date fuor…” – “…di che caviamo dei grossi e il grosso stesso il vada. Sia…” “Passa…” – “Il voglio…” – “Il voglio io…” “Ed io entro: datemi quattro.” – “Iscarto.” “Primiera aggio scartato.” “Mal aggia 2 chi di quella fu inventore!” “Mi gioco tutto questo.” “E a me gioca il mio resto.” “Passate. A monte vada il resto mio.” Il gioco delle carte, particolare di un affresco di Giovan Antonio Fasolo (1530-1572). Villa Caldogno, Caldogno (Vicenza). “Il voglio anch’io.” “Tutti scartiam.” – “Vo a flusso.” – “Ed io a primiera.” “Cinquanta!” – “Chi ha più punto è vincitore.” “Voglio far manco. Non farò primiera.” “Fatela a piacer vostro.” “Eccola quivi.” “Ventura che siam vivi.” “Vo a flusso: che volete che facciamo?” “Nulla. Tirate suso, farò flusso.” “Non vel vieto: adagio un poco.” “Che dite?” – “Non m’avete inteso ancora?” “Ahi piedi, potran gir. Eccovi flusso.” “Cancher a flusso e alla primiere insieme. Ahi, putanazza sorte, ahi ciel traverso, ahi carte ladre, fate ch’io fo buono!” “No no, facciasi prima al perditor del resto la stampita 3. Facciasi allegramente: te tipitipi top tipitipi tap tap…” 4 1 PÒNGASI 2 “MAL AGGIA”: CHI PERDE COMINCIA A IMPRECARE. LA “STAMPITA” (O “ESTAMPIDA”) È UNA DANZA. QUI I VINCITORI SCHERNISCONO IL POVERO “PERDITORE”. 3 4 = SI METTA. Unità 4 Il Rinascimento Esperienze Come si viveva nelle corti del Rinascimento? Raccogliamo il numero più grande possibile di illustrazioni, e scriviamo una piccola didascalia per ciascuna, spiegando il suo significato. Pratichiamo qualche artificio fiammingo: • cantiamo il cànone Chi ride? (volume B, Canzoniere, sezione “Per la festa di Carnevale”) all’inverso, cioè dall’ultima nota alla prima; • cantiamo il cànone Messer Bastian Contrario (volume B, Canzoniere, sezione “Per la festa di Carnevale”) con la seconda voce aumentata. Pratichiamo l’omoritmìa cantando qualcuna delle musiche omoritmiche del Canzoniere: musiche a due voci ma entrambe con lo stesso ritmo. Per esempio, la seconda parte di Vitti ’na crozza (volume B, Canzoniere, sezione “Le sensazioni e le emozioni”). PORTFOLIO Inventiamo qualche madrigalismo. Scrivi sul quaderno di musica una successione di note per ognuna di queste parole: • velocissimamente • il cielo • precipitare • otto ganci • ottovolante • cavalletta • disperazione • apnèa 188 Parte D La pianta a croce greca della basilica di San Marco. La storia Le composizioni religiose dei compositori veneziani sfruttano la particolare architettura della basilica veneziana, la pianta a croce greca: due organi si fronteggiano alle estremità del transetto; intorno a ciascuno si collocano altri strumenti e un coro. Abbiamo così due masse sonore che “dialogano” fra loro. In tal modo la polifonìa si fa più grandiosa, creando effetti di profondità e di spazialità “stereofonica”. Suoniamo un pezzo con questa tecnica “stereofonica”. Ci mettiamo in due gruppi che si alternano. Per esempio, con la canzone Aura Lee (volume B, Canzoniere, sezione “Le sensazioni e le emozioni”), ogni gruppo, disponendosi in parti diverse dell’aula o di una sala, esegue una semifrase, cioè una riga di musica. Eseguiamo anche noi Josquin Desprès, Il grillo (nell’unità “Il contrappunto”, nella parte B di questo volume). Anonimo, L’homme armé (volume B, Canzoniere, sezione “Gli eroi, il trionfo, la guerra…”). ricapitoliamo Ogni corte si riempie di artisti e musicisti. I paesi europei dove la vita musicale si fa più fiorente sono le Fiandre e la Borgogna. Le melodie che rivestono i canti si fanno ora più cantabili; l’incontro delle voci più armonioso. Sia nella musica profana sia in quella sacra domina una polifonìa ispirata a una grande moderatezza espressiva. Il genere profano più diffuso nel Cinquecento è il madrigale, spesso su testi dei maggiori poeti italiani del tempo. Le tecniche del contrappunto si fanno sofisticate. Si afferma la pratica dell’imitazione fra le voci. Nei madrigali nasce un uso che continuerà anche nei secoli successivi: la musica “traduce” certe immagini suggerite dalle parole. È il madrigalismo. In Italia prevale il canto omoritmico: ossia di voci che intonano melodie diverse ma sullo stesso ritmo: in questo stile si compongono villotte, frottole e canti carnascialeschi. Concatenando una serie di madrigali di argomento scherzoso, alcuni musicisti della fine del secolo allestiscono piccole commedie musicali: i madrigali rappresentativi. Nelle corti francesi del primo Cinquecento furoreggia la chanson. Nelle chiese protestanti i fedeli cantano una musica semplice: il corale. Nei paesi cattolici invece si raffina il canto polifònico a cappella. A Venezia si preferisce il canto accompagnato dagli strumenti. Nascono qui le prime grandi composizioni solo strumentali, soprattutto per l’organo e per gli strumenti a fiato. Nel XVI secolo si afferma la figura del musicista di professione. L’invenzione della stampa musicale permette una grande diffusione della musica. 189 5 Il Seicento 1545-1563 Con il Concilio di Trento si avvia la Controriforma cattolica La testimonianza 1609 Nel canto, quale poteva essere il modo più efficace di esprimere le emozioni? Basta assistere agli spettacoli dei teatranti, nelle piazze. “Quando andate alle tragedie e commedie, osservate in quale maniera parla l’uno con l’altro quieto gentiluomo, con quale voce, acuta o grave, con che volume di suono, con quale velocità. Ascoltate un poco la differenza che occorre tra tutte quelle cose, quando uno di essi parla con un suo servo, ovvero un servo con l’altro; quando ciò accade al Principe discorrendo con un suo suddito; quando al supplicante nel raccomandarsi; come ciò faccia l’infuriato o concitato; come la donna maritata, come la fanciulla; come chi si lamenta; chi grida; chi ha paura; chi esulta d’allegrezza. Da tutti questi modi di parlare potrete trovare la regola per esprimere nel canto lo stato d’animo.” Viene fondata la Moschea Blu, la più grande di Istanbul Vincenzo Galilei, Dialogo della musica antica e della moderna, 1581 (adattamento) 1556 La corona di Spagna passa a Filippo II 1648 Pace di Vestfalia: fine della Guerra dei Trent’anni 1687 Newton formula la teoria della gravitazione universale Spettacolo teatrale all’aperto nel Seicento. Si afferma il canto a voce sola Nasce il melodramma Vincenzo Galilei era il padre di Galileo, il grande scienziato. Quello che scrive nel suo Dialogo segnala la grande svolta che la musica intraprende sul finire del Cinquecento. Il musicista di quel periodo sente il bisogno di arricchire l’espressione musicale, rendendola capace delle più diverse emozioni. La polifonìa, con il suo elaborato intreccio di voci, si prestava poco a esprimere le emozioni individuali. Si torna allora ad apprezzare il modo più semplice di cantare, praticato da sempre (basta pensare ai trovatori): il canto a voce sola, il canto monòdico, o monodìa. Non si tratta però di un semplice ritorno al passato. Nei secoli si è ormai formata una nuova sensibilità armonica, favorita proprio dalla polifonìa: ora la melodia cantata dal solista si arricchisce con una trama affidata agli strumenti, che accompagnano rafforzando l’emozione espressa dalla voce. Il nuovo canto monòdico ha tanto successo che finisce col far passare in secondo piano la polifonìa. Il canto monòdico favorisce la nascita si un nuovo genere musicale: il melodramma. Succede a Firenze, nella casa della famiglia Bardi. Qui si riuniscono musicisti, poeti e letterati con uno scopo ambizioso: ridare vita all’arte dell’antico teatro greco. Si sa che in quel teatro il canto aveva una parte fondamentale. E lo si può ben capire: se la musica serve a mettere in risalto lo stato d’animo del personaggio – si chiedevano – perché invece di farlo parlare non lo facciamo recitare cantando, con l’accompagnamento degli strumenti? Il primo esperimento ha luogo nel 1597, con la rappresentazione della Dafne del poeta Ottavio Rinuccini, musica di Jacopo Peri. Recitar cantando è proprio il termine che verrà usato per indicare quella pratica. Il successo dell’esperimento è straordinario, ed è seguito da numerosi altri, a cui partecipa lo stesso Peri e gli altri componenti del gruppo, che passa alla storia col nome di Camerata fiorentina: fra loro c’è anche Vincenzo Galilei. Parte D La storia Il Seicento è un secolo di grande fervore spirituale, e di grande dinamismo. Prende piede l’assolutismo statale, nasce il sistema capitalistico, si scoprono la gravitazione universale e il calcolo infinitesimale. Si vuole trovare una nuova sistemazione a tutto, e si inventano le tecniche per arrivarci. Un’ansiosa inquietudine interiore spinge gli uomini alla ricerca di verità nuove, di nuove scoperte nella politica e nell’economia, nelle scienze e nel pensiero, e anche nella religione. Le guerre di religione tra cattolici e protestanti, iniziate nel secolo precedente, continuano anche nel Seicento; i regnanti alimentano l’odio e l’intolleranza religiosa per poter affermare l’egemonia della propria nazione sopra le altre. I re d’Europa lottano contro la nobiltà con ogni mezzo, cercando di consolidare il proprio potere e rendere così più efficiente lo Stato. Nascono le prime società per azioni, cioè le grandi compagnie commerciali, e l’Europa diventa il centro di un sistema economico che ormai comprende tutto il mondo. La rivoluzione scientifica aperta da Galileo e ampliata da Isaac Newton consegna agli uomini un modo nuovo di guardare la realtà, getta una nuova luce sulla Terra e l’Universo. Galileo Galilei, pagina della prima edizione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632. In questo libro, Galileo sostiene la tesi dell’astronomo Niccolò Copernico, secondo la quale i pianeti si muovono attorno al Sole. Nel Seicento, il linguaggio musicale va incontro a un radicale cambiamento. Nasce l’armonia tonale, il linguaggio degli accordi: la melodia non è più pensata autonomamente, nella sua sola successione temporale; il compositore pensa ogni nota della melodia come “ambientata” in un’armonia o in un’altra. Una linea di sostegno al basso guida in maniera chiara l’intero svolgersi della trama sonora: viene chiamata basso continuo. La melodia stessa si fa più ricca e varia: mentre nei madrigali del Cinquecento si svolgeva per lo più a piccoli passi, ora si alternano intervalli piccoli ad ampi salti. Anche il ritmo si fa più vario, per adeguarsi alle diverse emozioni: durate lunghe per l’espressione della quiete, durate molto corte per la concitazione. Nel Cinquecento lo stile delle composizioni è unico, quale che sia la loro destinazione, sacra o profana. Nel Seicento gli stili si differenziano. Nella musica vocale si distinguono: • Aria • Recitativo • Concertato. Nella musica strumentale del Primo Seicento si distinguono: • Preludio, toccata, fantasia, capriccio: pezzi dall’andamento libero dove ha molto spazio l'improvvisazione. • Sonata, partita, canzone: si susseguono sezioni musicali differenti. • Ricercare: brani in cui più facilmente le voci giocano a imitarsi reciprocamente. 191 Unità 5 Il Seicento Claudio Monteverdi A trasformare l’esperimento in un genere musicale di alto valore artistico è il genio di un musicista che abbiamo già incontrato come autore di madrigali: Claudio Monteverdi (1567-1643). Il “recitar cantando” della Camerata fiorentina si limitava a intonare le parole su formule fisse, molto simili fra loro. Monteverdi invece inserisce nel canto una carica espressiva mai conosciuta prima nella storia della musica. I palazzi in cui si rappresentano i primi melodrammi non bastano più per accogliere tutte le persone che vorrebbero assistere. Allora si decide di costruire teatri appositi, aperti a un pubblico che paga il biglietto. Il primo con questa destinazione si apre a Venezia nel 1637: il San Cassiano. È a Venezia, infatti, che opera allora Claudio Monteverdi. L’oratorio è un dramma cantato di argomento sacro Nel Seicento, anche la pittura sposta la sua attenzione sugli strumenti musicali, come documenta questo dipinto. Nella Roma dei papi, la nuova idea di recitare testi teatrali cantando viene applicata anche ad argomenti religiosi. La Chiesa romana incoraggia un genere di musica che riprende l’antica tradizione del dramma liturgico medievale. Il primo dramma è composto nell’anno 1600 da un componente della Camerata, Emilio De’ Cavalieri (1550-1602), e si intitola La rappresentazione di anima e di corpo. Più tardi i drammi religiosi saranno eseguiti senza rappresentazione teatrale, con uno “storico” che narra, cantando, le vicende tra un dialogo e l’altro: prendono il nome di oratòri. Gli oratori destinati al popolo sono cantati in italiano; quelli destinati all’aristocrazia, in latino. Il più illustre autore di oratori è Giacomo Carissimi (1605-1674). Ne compone circa duecento, tra cui spicca il capolavoro Jephte. Come nel melodramma di Monteverdi, anche qui i personaggi esprimono nel canto le loro intense emozioni; pure il coro partecipa, dando voce alle masse: le moltitudini dei beati o dei dannati, degli angeli o dei dèmoni. Nasce la musica per soli strumenti Il musicista si rende conto che anche con gli strumenti, da soli, può dare voce alle più varie espressioni. 1 Nel Cinquecento si accontentava di adattare agli strumenti brani del repertorio vocale. Anche su un solo strumento si possono eseguire canzoni o mottetti polifòni- 192 ci: sul liuto, o l’organo, o il clavicembalo, la presenza di più corde o canne permette infatti di eseguire più note contemporaneamente. Trasferire agli strumenti la musica polifònica vocale vuol dire arricchirla delle possibilità tecniche specifiche di ogni strumento: qui si possono realizzare cose che sono impossibili alle voci. La trascrizione diventa una sfida alle capacità del compositore che trascrive e dello strumentista che esegue: compare e si sviluppa in questa età il virtuosismo strumentale. Così si spiega anche il fatto che il liuto, l’organo, il violino, gli strumenti a fiato e a tastiera (spinetta, virginale, clavicordo, clavicembalo) conoscono un’evoluzione tecnica significativa. In particolare, una straordinaria scuola di liutai (costruttori di strumenti a corda come liuti e violini) si sviluppa in Italia, a Brescia e a Cremona: fra il Seicento e il Settecento, Gasparo da Salò, Andrea Amati, Antonio Stradivari e Giuseppe Guarneri del Gesù costruiscono strumenti ad arco ancora oggi insuperati. Le nuove scuole strumentali Nel corso del Seicento si passa a creare musiche concepite proprio per le caratteristiche tecniche di ogni strumento. Nella seconda metà del secolo lo strumento che conquista l’importanza maggiore è il violino, grazie anche alla presenza di importanti compositori, sui quali spicca Arcangelo Corelli (1653-1713). Per molti anni le sue opere resteranno un riferimento per i compositori. Un altro strumento che viene perfezionato è l’organo. Tra i compositori per organo emerge Girolamo Frescobaldi (1583-1643), che opera presso diverse sedi signorili e specialmente a Roma, presso gli Aldobrandini. Parte D La storia 1 I nuovi generi strumentali A seconda del numero e della disposizione degli strumenti, si fissano i generi strumentali più importanti del Seicento. • La sonata a tre: due violini sono accompagnati da uno strumento basso, la viola da gamba; di solito si aggiunge un clavicembalo, che ripete la linea del basso e inserisce accordi e altri passaggi. Le sonate a tre sono organizzate secondo due principi diversi, che daranno luogo a svolgimenti diversi nel Settecento: la sonata da camera, un’alternanza di danze, che nel Settecento si trasformerà nella “suite”; e la sonata da chiesa: un’alternanza di movimenti lenti e mossi (adagio e allegro), che si trasformerà nella “sonata classica”. • Il concerto: con questo nome si intende un insieme vario di strumenti, che “concertano”, ossia dialogano, tra loro. Il tipo più semplice è il con- certo orchestrale, dove nessuno strumento emerge particolarmente, e tutti eseguono parti relativamente semplici. Infatti le orchestre di allora erano formate per lo più da dilettanti. Ma accanto a loro cominciano ad apparire strumentisti specializzati, capaci di eseguire passaggi di bravura. Ecco Mentre nell’architettura si creano opere ricchissime di ornamenti, a volte magniloquenti, dove viene esaltata la potenza del committente, che di solito è un sovrano, nella pittura e nella scultura prende voce la profonda inquietudine che agita gli animi degli uomini del Seicento. I personaggi sono ritratti in modo da rendere visibili il loro stato d’animo, spesso acceso da intense emozioni; i paesaggi, gli ambienti interni, le cosiddette nature morte e ogni altro oggetto della realtà quotidiana diventano degni di essere osservati, studiati e messi in luce per essere rappresentati. La luce, infatti, è protagonista nei dipinti del Seicento: squarcia per un attimo le tenebre in cui l’uomo è avvolto e ci consente di rappresentare la verità. Ritrovi queste caratteristiche in que- Caravaggio (1571-1610), Vocazione di san Matteo. allora che il musicista assegna al gruppetto parti più impegnative, che si contrappongono a quelle dell’orchestra. Il gruppetto prende il nome di concertino, l’orchestra viene indicata col termine tutti. La composizione nel suo insieme si chiama concerto grosso. Sonata a tre due violini e un basso continuo Sonata da chiesa alternanza di movimenti lenti e mossi Sonata da camera alternanza di danze Concerto Concerto orchestrale Concerto grosso alternanza tra i solisti del concertino e l’orchestra sto dipinto di uno dei massimi pittori del Primo Seicento, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Unità 5 Il Seicento Claudio Monteverdi (Italia, Cremona, 1567-1643) A Cremona, sua città natale, il talento di Monteverdi si rivela molto presto, tanto che a soli quindici anni pubblica il primo libro delle sue Canzoncine sacre. Nel 1590 viene chiamato in una delle corti più raffinate, Mantova. Il duca lo assume nella sua orchestra come suonatore di viola e cantore. Qui pubblica i primi libri di madrigali. Il suo stile musicale appare così nuovo e audace da sollevare le aspre critiche di un influente studioso, l’Artusi. Monteverdi risponde a modo suo a quelle critiche: componendo lavori ancora più ricchi di novità. Venuto a conoscenza degli esperimenti della Camerata fiorentina, decide di cimentarsi anche lui con il melodramma: nasce così il primo grande capolavoro del teatro musicale moderno, l’Orfeo; seguiranno Arianna, Il ritorno di Ulisse in patria, e L’incoronazione di Poppea. Nel 1613 Monteverdi raggiunge l’ultimo e più prestigioso traguardo: è nominato maestro di cappella presso la Repubblica di Venezia, un posto che è già stato di musicisti famosi come Willaert, De Rore, Gabrieli. È qui che vengono rappresentate e pubblicate le sue ultime opere, teatrali, madrigalistiche e sacre. Particolarmente significativo è il settimo libro di madrigali, che contiene Il combattimento di Tancredi e Clorinda, drammatico episodio della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. TRACCE 10 – 11 7 Orfeo: Toccata e scena Nel melodramma, i personaggi non parlano: intonano le parole su semplici linee melodiche, sostenute da un accompagnamento elementare: Monteverdi infonde nel “recitar cantando” un’intensità che rende le più sottili sfumature degli stati d’animo. Orfeo fu rappresentata nel 1607 in una saletta del Palazzo Ducale di Mantova, per pochi e raffinati intenditori. Narra della ninfa Euridice uccisa dal morso di un serpente, e del suo amante Orfeo che, grazie al suo canto, ottiene dagli Spiriti Infernali la restituzione dell’amata. A una condizione: che nel viaggio di ritorno non si volti mai a guardarla. Ma Orfeo si volta e la perde per sempre. TRACCIA 10 Una piccola orchestra apre la rappresentazione con una toccata: una pagina solenne. TRACCIA 11 La Messaggera annuncia a Orfeo la morte di Euridice. Ecco il dialogo: Orfeo: Donde vieni? Ove vai? Ninfa che porti? Messaggera: A te ne vengo, Orfeo, messaggera infelice di caso più infelice e più funesto: la tua bella Euridice… Orfeo: Ohimè, che odo? Messaggera: …la tua diletta sposa è morta. Orfeo: Ohimè! Messaggera: In un fiorito prato con l’altre sue compagne giva 1 cogliendo fiori per farne una ghirlanda a le sue chiome, quand’angue 2 insidioso, ch’era fra l’erbe ascoso, le punse un piè con velenoso dente. Ed ecco immantinente 3 scolorirsi il bel viso e nei suoi lumi 4 sparir quei lampi, ond’ella al sol fea scorno 5. Allor noi tutte sbigottite e meste le fummo intorno, 194 richiamar tentando gli spirti in lei smarriti con l’onda fresca e con possenti carmi. Ma nulla valse, ahi lassa, ch’ella i languidi lumi alquanto aprendo, a te chiamando, Orfeo, dopo un grave sospiro, spirò fra queste braccia; ed io rimasi piena il cor di pietade e di spavento. Pastore: Ahi, caso acerbo! Ahi, fato empio e crudele! Ahi, stelle ingiuriose! Ahi, cielo avaro! 1 GIVA 3 IMMANTINENTE 5 OND’ELLA AL SOL FEA SCORNO = ANDAVA; 2 = ANGUE SUBITO; = 4 SERPENTE; LUMI = = OCCHI; CON I QUALI LEI UMILIAVA IL SOLE. Parte D Girolamo Frescobaldi La storia (Italia, Ferrara, 1583-1643) Dalla nativa Ferrara, dove ha imparato a comporre e a suonare diversi strumenti, si trasferisce a Roma, chiamato al posto di organista in Santa Maria in Trastevere. Nel Seicento continua la tradizione secondo cui il musicista è alle dipendenze di un signore e lo accompagna in tutti i suoi viaggi. Così Frescobaldi segue nelle Fiandre il cardinale Bentivoglio, che l’ha preso sotto la sua protezione. Qui ha modo di apprezzare la celebre scuola musicale, ma anche di farsi apprezzare come compositore e organista. La sua fama ingigantisce, e il cardinale Aldobrandini lo chiama a occupare un posto molto ambito, quello di organista alla Cappella Giulia, dove il musicista resterà tutta la vita, tranne una lunga parentesi presso il granduca di Toscana. Da tutta Europa accorrono a sentirlo suonare. La sua tecnica virtuosistica è sbalorditiva; le sue musiche affascinano ancora oggi per la vivacità e la creatività con cui sono costruite. I principali generi strumentali sono presenti nei suoi numerosi libri stampati: toccate, capricci, ricercari, canzoni, danze. La sua raccolta più ricca si intitola Fiori musicali. TRACCE 12 – 13 7 Capriccio sopra la battaglia Frescobaldi rievoca qui una scena di battaglia, affidandola a un clavicembalo. Come può uno strumento dotato di sonorità piuttosto esile, di colori omogenei, suggerire il fragoroso paesaggio sonoro di un campo di battaglia? Quello che non bisogna cercare in questa musica è il realismo sonoro di tante musiche moderne ispirate alla guerra. Frescobaldi ha un modo tutto suo di suggerire il clima militare, attraverso una serie di espedienti, che dominano la costruzione del pezzo dall’inizio alla fine. TRACCIA 12 Le note usate nei segnali militari, per esempio, proprio all’inizio: TRACCIA 13 Certe figure ritmiche derivate dai segnali dei tamburini, come queste: L’estrema brevità delle sezioni, che svariano rapidamente in un caleidoscopio di frammenti sonori. Un clavicembalo costruito a Roma nel 1658 da Giovanni Zenti. Il musicista del Primo Seicento sentiva, di una battaglia, soprattutto la tumultuosa varietà delle situazioni. E qui le situazioni, le sezioni musicali, sono ben quattordici, a volte brevissime, ciascuna ripetuta. Sentiamo tremoli che imitano i rumori, rimbalzi in imitazione tra la mano destra e la sinistra, e un paio di spunti di vere e proprie “arie”, ispirate a quelle che si usavano per accompagnare le marce dei soldati. 195 Unità 5 Il Seicento Giacomo Carissimi (Italia, Marino, 1605-1674) Nel 1629, quando Giacomo Carissimi viene assunto come maestro di cappella nel Collegio Germanico, Roma è il luogo ideale per un musicista. Urbano VIII, da poco diventato papa, tiene la musica in grande considerazione e, disponendo di notevoli risorse finanziarie, incoraggia ogni manifestazione artistica che possa portare lustro alla città. Giacomo ha ventiquattro anni, è pressoché sconosciuto, e ha lavorato come musicista nella basilica di Assisi. Ma ben presto si fa apprezzare e ammirare. La cappella del Collegio (ossia il gruppo dei musici) comprende, oltre ad alcuni strumentisti, dieci cantori stabili, più altri che vengono invitati secondo le circostanze. Per loro Carissimi compone una quantità di musiche di argomento religioso, fra cui numerosi oratori. La fama delle sue creazioni si diffonde presto in Roma, e così il musicista si trova spesso a condurre la sua “cappella” presso altri istituti religiosi. I dirigenti del Collegio sono però gelosi delle sue composizioni, tutte scritte a mano: le custodiscono nei loro archivi e non permettono ad altri di vederle né tantomeno di stamparle. Nel secolo successivo la collezione andrà dispersa, e i musicologi faticano ancora oggi a ritrovare i manoscritti, e a capire se una data composizione sia di Carissimi o di qualche altro compositore. TRACCE 14 – 18 7 Il Giudizio Universale In questo oratorio Carissimi riprende alcuni passi del Vecchio e Nuovo Testamento e ne fa un dialogo tra Cristo, gli angeli e le anime dei beati e dei dannati: accolti i primi nel suo regno, spinti i secondi nel fuoco eterno. In queste pagine si alternano voci di solisti – come quella di Cristo, affidata a un basso – e il coro. Questa alternanza, e lo stesso stile di canto, sono del tutto simili a quelli che si usavano nei melodrammi: te ne rendi conto se confronti questa pagina con quella di Monteverdi. Il testo è in latino. TRACCIA 14 All’inizio le trombe danno il segnale: il tribunale supremo sta per aprirsi. TRACCIA 15 Sentiamo Cristo convocare gli angeli: Ite, ite, angeli mei, cum tuba et voce magna, et congregate electos meos a quatuor ventis, a summis coelorum usque ad terminos eorum. Andate, andate, angeli miei, con la tromba e a gran voce, e riunite i miei eletti dai quattro venti, dalle sommità dei cieli fino ai loro confini. Carissimi usa vari madrigalismi 196 su voce magna (“gran voce”) il suono si fa potente su quatuor ventis (“quattro venti”) la voce oscilla a suggerire il moto del vento su coelorum (“i cieli”) sale verso l’alto su eorum (“i loro” confini) si effonde a suggerire la varietà dei confini Parte D TRACCIA 16 Il coro evoca il terribile giorno: Tunc, horribili sonitu tubae clangentes vocabunt gentes, et a sepulcris excitabunt angeli. Vocis fragore, tubae clangore mugiet terra, resonabunt aethera. Michelangelo, Giudizio universale, 1536-1541, particolare. TRACCIA 17 La storia Allora, con suono tremendo le trombe squillanti chiameranno le genti, e dai sepolcri le faranno uscire gli angeli. Per il fragore della voce, per lo squillo della tromba rimbomberà la terra, risuoneranno gli spazi. Carissimi usa tutte le voci e gli strumenti a disposizione per disegnare il suo possente affresco sonoro, fatto di motivi che rimbalzano in eco da una voce all’altra. Sottolinea le parole su cui le voci si effondono in lunghi vocalizzi. Ora sentiamo il richiamo degli angeli. È un duetto tra due voci femminili: Surgite, mortui: venite ad judicium! Sorgete, morti: venite al giudizio! Com’è il canto? Scegli due aggettivi tra questi: sicuro tranquillo fremente agitato risoluto solenne spento Siamo ora al momento tanto atteso e temuto. Ecco il coro: Quam magna, quam amara, quam terribilis erit dies novissima, cum advenerit Dominus ad iudicandum nos. Sol obscurabitur, luna obtenebrabitur, totus stellifer coeli inflammabitur, de coelo cadent siderea. Arescent fontes, arescent fulmina, arescent aequora, coeli concident, mundi machina corruet. Quanto grande, quanto amaro, quanto terribile sarà l’ultimo giorno, quando il Signore verrà a giudicarci. Si oscurerà il sole, si ottenebrerà la luna, tutto il firmamento si infiammerà, dal cielo cadranno le stelle. Inaridiranno le fonti, i fiumi, i mari, i cieli precipiteranno, crollerà l’edificio del mondo. Il cuore aspetta trepidante il momento del giudizio: “grande e amaro”. E su terribilis come diventa il canto? • Cupo e tenebroso • Mesto e sottovoce • Squillante e agitato TRACCIA 18 Ultima scena. Come l’ha costruita Carissimi? • Con un unico crescendo del coro • In eco continua fra solista e coro • In un’alternanza dei solisti 197 Unità 5 Il Seicento Arcangelo Corelli (Italia, Fusignano, 1653-1713) Corelli è stato compositore e violinista tra i più grandi del suo tempo. Studia a Bologna, ma trascorre la maggior parte della sua esistenza a Roma, dove ha come mecenati e protettori due cardinali, Benedetto Pamphili e Pietro Ottoboni. Queste importanti amicizie, oltre a quella della regina Cristina di Svezia, gli permettono di vivere senza grandi preoccupazioni materiali, dedicandosi unicamente alla composizione e alla direzione della sua orchestra, che comprende, accanto agli archi, una varietà di strumenti a fiato. Il suo stile musicale ha un profondo influsso sui musicisti del Primo Settecento. Il suo catalogo comprende soprattutto sonate a tre e concerti grossi. Tra questi è particolarmente importante l’Opera VI. Quando viene pubblicata, Corelli è appena scomparso e i suoi amici hanno voluto raccogliere qui il meglio della sua straordinaria vena creativa. Dei 12 concerti di questo libro, alcuni seguono la forma della “sonata da camera” (una successione di danze), altri della “sonata da chiesa”. TRACCE 19 – 23 7 Opera VI: Concerto no 7 Il Concerto no 7 segue la forma della “sonata da chiesa”: è una successione di movimenti mossi e lenti. Dei sette di cui è costituito questo concerto, ne ascoltiamo cinque. Vivace TRACCIA 19 L’avvio è solenne, come si addice all’apertura di una cerimonia importante. Corelli tiene desta la nostra attenzione anche con un artificio particolare: il gioco d’eco, ottenuto alternando accordi eseguiti forte e altri piano. Allegro TRACCIA 20 A mettere in moto il discorso è il concertino, affidato alle trombe: a cosa fa pensare? • Conflitto • Serenata • Fanfara militare Il gioco delle trombe si alterna all’intenso scambio con l’orchestra intera (il tutti). Adagio TRACCIA 21 Un’aria di mistero circonda l’inizio: qui il protagonista sembra essere non il suono, ma il silenzio: Allegro TRACCIA 22 Le voci entrano a una a una: secondo quale di questi princìpi? • Imitazione • Ripetizione • Capriccio alla maniera di Frescobaldi Vivace TRACCIA 23 198 Corelli chiude il concerto con un movimento che fa pensare piuttosto a una danza, com’è tipico della sonata da camera. Com’è condotto questo movimento? • Solo dal “concertino” • Sempre dal “tutti” • Nell’alternanza costante di “concertino e tutti” Parte D La storia Esperienze Nel concerto grosso l’orchestra intera e il concertino si alternano. Utilizziamo questa procedura nelle nostre esecuzioni. Per esempio, nella canzone La marimorena possiamo: • eseguire tutti insieme le prime 8 battute; • affidare a due esecutori soli il ritornello; e continuare così con le altre strofe. Trovi la canzone nel volume B, Canzoniere, sezione “Il Natale”. Cerchiamo immagini in cui si vedano gli strumenti musicali usati nel Rinascimento. Scopriamo che strumenti sono, come si chiamano e come si suonano. Possiamo per esempio cominciare da questo dipinto di anonimo intitolato Concerto delle monache. Questa è una formazione di archi: due violini, una viola (quella del quarto personaggio da sinistra), due viole da gamba e il clavicembalo appoggiato sul tavolo. Eseguiamo anche noi Anonimo olandese, Contraddanza (volume B, Musiche da suonare, sezione “Suite barocca”). ricapitoliamo Il canto a una voce si presta a esprimere le emozioni individuali, nel nuovo genere della monodìa accompagnata dalle armonie, e basata sul basso continuo. Nasce a Firenze il melodramma. I suoi ideatori prendono il nome di Camerata fiorentina. Claudio Monteverdi trasforma l’esperimento dei fiorentini in un genere di alto valore artistico. Si fissano i principali generi strumentali, la sonata a tre, da camera e da chiesa; il concerto orchestrale; e il concerto grosso, nel quale si alternano l’orchestra intera e un gruppo di virtuosi, detto concertino. Si aprono in questo periodo i primi teatri pubblici per la rappresentazione dei melodrammi. Un importante repertorio strumentale di questa epoca è quello scritto per l’organo. I principali generi strumentali sono: ricercare, basato sulle imitazioni; preludio, toccata, fantasia, capriccio, più liberi; sonata, partita, canzone, in cui si susseguono sezioni musicali differenti. Nello stesso stile dei melodrammi si diffondono drammi cantati di argomento religioso: gli oratòri. Il linguaggio musicale del Seicento vede l’affermazione definitiva dell’armonia tonale. 199 6 Il Primo Settecento 1661-1715 Luigi XIV, il Re Sole, monarca assoluto in Francia 1662-1699 Gli Ottomani assediano Vienna 1701-1714 Guerra di successione spagnola 1721 Pietro il Grande è proclamato “zar di tutte le Russie” La testimonianza Uno straniero, quando giunge in una città grande e famosa come Napoli, per prima cosa, in genere, si reca agli spettacoli pubblici. Questi si offrono nel Teatro Reale, dove si rappresenta un’opera seria, e in due teatri più piccoli, il Teatro Nuovo e il Teatro dei Fiorentini, dove si eseguono solo opere buffe. Esiste anche un teatrino malconcio, dove ogni sera si rappresenta una commedia; ma il teatro di prosa riceve un così scarso apprezzamento a Napoli, che agli spettacoli a volte si presenta ben poca gente. A prima vista il Teatro Reale è quanto di meglio possa ammirare un viaggiatore: la straordinaria profondità del palcoscenico, con la prodigiosa circonferenza dei palchi, e l’altezza del soffitto producono un effetto meraviglioso alla vista; anche se lo spettatore lamenta il fatto che una tale struttura non gratifica l’orecchio: le voci infatti si perdono in tanta immensità, e anche l’orchestra, pur essendo numerosa, non riesce a farsi ascoltare bene. L’usanza napoletana è che raramente ci s’invita a casa propria per il pranzo o per la cena: lo si fa all’opera. E raramente dunque si manca di andare a teatro, anche se a sentire la stessa opera, eseguita per tre sere consecutive, senza cambiamenti, per dieci o dodici settimane! I signori hanno l’abitudine di gironzolare da un palco all’altro, anche durante la rappresentazione; invece le signore, una volta sedute, non lasciano mai la loro poltroncina per l’intera serata. Si usa fissare appuntamenti per una data sera. Nell’intervallo fra un atto e l’altro, il proprietario del palco offre agli ospiti della sua dama frutti freschi e dolci. Samuel Sharp, Lettere dall’Italia, 1767 Il teatro musicale, attrazione del secolo 1740-1748 Guerra di successione austriaca Dramma musicale in un teatro italiano del XVIII secolo. Il viaggiatore inglese del Settecento racconta cose che si ripetevano in tutta Italia. Nei primi anni del XVIII secolo, l’opera lirica era nel nostro paese la grande attrazione: lo spettacolo prediletto, a cui le famiglie ricche si recavano tutte le sere, per guardare e ascoltare, ma anche per conversare, scambiarsi visite, gustare prelibatezze. Un po’ come oggi avviene nei locali dove si fa musica dal vivo. E dopo decine di ascolti, ogni spettatore, anche il più distratto e chiacchierone, finiva per imparare a memoria le arie dell’opera. C’è tanto da ammirare, in uno spettacolo lirico. L’opera infatti è un prodotto collettivo, esattamente come il cinema: al suo successo contribuiscono non soltanto cantanti e strumentisti, ma anche scenografi (che preparano le scene), costumisti (per i costumi), macchinisti. Le loro creazioni colorate e fantasiose possono rendere gli spettacoli ancora più affascinanti. Parte D Fino al XVII secolo la società è dominata da poche corti, ricche e potenti. Nel Settecento acquista potere la borghesia, il ceto medio dei commercianti, dei banchieri, dei possidenti terrieri che vivono e operano nelle città: così le città si estendono, si popolano e diventano i veri centri del potere economico e culturale, in sostituzione delle corti. La musica colta, che fino al Seicento è stata un’arte riservata a pochi, nel XVIII secolo diventa accessibile Passeggiata in carrozza per le vie di Roma in un dipinto del XVIII secolo. Il linguaggio musicale si rinnova. Mentre una musica del Seicento era formata di frasi piuttosto brevi, di spunti diversi l’uno dall’altro, nel Settecento le composizioni sono formate da movimenti più lunghi, basati su pochi motivi (che oggi vengono chiamati soggetti), o addirittura su un motivo soltanto. Il compositore li tratta con fantasia, facendo largo uso del contrappunto, cioè la sovrapposizione di melodie diverse (vedi l’unità “Il contrappunto”, pag. 102). Una tecnica particolarmente sfruttata è l’imitazione: si ha quando una voce espone il soggetto, o un suo frammento, e poco dopo un’altra voce lo riprende; così si continua anche con altri frammenti (vedi pag. 102). L’imitazione è alla base di un genere musicale che ha avuto una grande importanza storica: la fuga (vedi l’unità “La fuga”, pag. 106). Da allora, la fuga è il banco di prova di qualsiasi compositore. Ancora oggi, per arrivare al diploma di composi- La storia al pubblico sempre più vasto delle città. A questo punto, i compositori non devono più fare i conti soltanto con i capricci di un sovrano e della sua corte, ma devono tenere in considerazione i gusti di persone appartenenti ai più diversi livelli sociali ed economici, accomunati dall’amore per la musica. zione in un conservatorio, lo studente deve mostrare di saper comporre una fuga. Nei concerti del tempo di Corelli, i pochi esecutori esperti si alternavano all’orchestra dei dilettanti: era il concerto grosso. Nel Settecento si impongono esecutori professionisti particolarmente abili, che amano esibirsi da soli. Così fiorisce il concerto solistico, dove il dialogo non è più tra concertino e tutti, ma tra solista e orchestra. Non soltanto il violino ma anche gli altri strumenti, il flauto, l’oboe, il fagotto, e così via, sono i protagonisti dei concerti. La struttura del concerto comprende, in molti casi, due movimenti allegri, e in mezzo un movimento lento. Non sono rari i concerti in quattro movimenti: anche in questo caso, a un movimento lento se ne alterna uno più rapido. Un altro genere musicale particolarmente amato nella prima metà del Settecento è la suite, una successione di pezzi di danza, ognuno con il suo ritmo e il suo andamento. Paul Joseph Delcloche, Concerto a Lüttich, 1755. 201 Unità 6 Il Primo Settecento L’opera diventa popolare Rappresentazione di un intermezzo in un dipinto della Scuola del pittore veneziano Pietro Longhi (1702-1785). Come oggi, anche nel Settecento si ammira il grande cantante, idolatrato come un “divo” della voce. A farlo conoscere e ad amministrare la sua attività, ci pensa un personaggio nuovo, l’impresario, una specie di manager dei cantanti; poi lo sarà anche dei compositori e degli esecutori. Gli amministratori cittadini sovvenzionano con il denaro pubblico le associazioni musicali. Si comincia a pensare che le manifestazioni della cultura non devono essere lasciate solo ai ricchi, ma anche a chi dispone di mezzi meno consistenti. L’opera diventa allora lo spettacolo più popolare in Europa. La più importante scuola operistica ha come fulcro la città di Napoli. Il grande maestro che dà inizio a questa scuola è Alessandro Scarlatti (1660-1725). Gli argomenti che interessano in modo speciale sono le storie dell’antichità classica, con i loro eroi e i loro miti; a questi si intitolano le opere di Scarlatti e degli altri compositori: Mitridate, La caduta dei Tarquini, Telemaco, Marco Attilio Regolo. L’opera buffa Fra un atto e l’altro di tali opere serie (così vengono chiamate), si prende l’abitudine di inserire un breve melodramma 1 di argomento comico, un intermezzo. Presto gli intermezzi vengono rappresentati per conto loro, in teatri minori e rivolti di preferenza a un pubblico popolare: sono le opere buffe. I mezzi a disposizione dell’opera buffa sono scarsi: pochi Nella bellissima sala del Teatro Regio di Torino si sta rappresentando un’opera seria, Secondo una rigida tradizione, questo teatro permetterà la rappresentazione di opere buffe soltanto a partire dal 1855. . 202 strumenti, cantanti senza pretese divistiche, teatri minuscoli. Le trame riguardano la semplice vita quotidiana: spesso raccontano la storia di un amore ostacolato da qualche vecchio impiccione, con un allegro lieto fine. Per mettere in musica queste semplici storie, i compositori adottano un nuovo linguaggio musicale, più spontaneo e immediato. È Giovan Battista Pergolesi (1710-1736), con l’opera La serva padrona, il geniale iniziatore di questo genere, che nella seconda metà del secolo ha importanti continuatori: Giovanni Paisiello (1740-1816), che ottiene un successo strepitoso con La Molinara e Il barbiere di Siviglia, tanto che la fama di quest’opera sarà eclissata solo dal capolavoro di Rossini con lo stesso titolo; e Domenico Cimarosa (1749-1801), autore di un altro capolavoro amato ancora oggi, Il matrimonio segreto. Dove si formano i musicisti? Le nuove opere liriche richiedono cantanti e suonatori sempre più abili e preparati. Dove si studiava musica nel Settecento? È dalla fine del XVI secolo che esistono in Italia – a Napoli, Venezia, Palermo e altrove – orfanotrofi dove sacerdoti o frati curano i bambini abbandonati. Insegnano loro un mestiere. E siccome servono suonatori e cantori per le funzioni in chiesa o per le cerimonie pubbliche, uno dei mestieri che i bambini imparano in questi ambienti è cantare, suonare e comporre musica. Nel Settecento, queste istituzioni cominciano a ospitare anche giovani di famiglie paganti, e vengono chiamate conservatori. 2 Sono proprio gli antenati dei conservatori di musica esistenti oggi: da piccole scuole senza pretese diventano istituti importanti, che esigono un notevole impegno dai loro alunni. È in questi istituti che si formano molti fra i principali compositori italiani del tempo. Parte D 1 La storia Come si crea un melodramma Il musicista usa un testo letterario, il libretto, preparato da un poeta, il librettista. Nel Settecento, spesso il libretto è confezionato alla bell’e meglio, perché si sa che tanto il pubblico presta attenzione più alla musica che alle parole. A volte però il librettista è un poeta di talento. Il caso più illustre è offerto da Pietro Metastasio (1698-1782), un poeta ricercatissimo: sono decine i musicisti che si servirono dei suoi testi. Gli argomenti prediletti del tempo sono le vicende dei grandi eroi, che vengono prese indifferentemente dalla storia, dalla mitologia, dalla Bibbia; in queste vicende le trame amorose e le situazioni patetiche occupano una parte fondamentale. Il librettista prepara due tipi di testo: • i dialoghi, che scandiscono le azioni; il musicista li fa cantare con intonazioni fisse, standard, accompagnate il più delle volte solo dal clavicembalo; si chiamano “recitativi secchi”; • i momenti lirici, in cui il personaggio fa conoscere al pubblico l’emozione che lo attraversa in quel momento. Ai momenti lirici il musicista dedica tutta la sua creatività: inventa sulle parole una bella melodia, con un ricco accompagnamento dell’orchestra; queste parti si chiamano arie. Il tipo di aria che nel Settecento va per la maggiore è fatta così: a una sezione a segue una sezione diversa (b), quindi si riprende la prima (a); ha cioè una forma tripartita (a-b-a), e prende il nome di aria col da capo (vedi l’unità “Le forme a contrasto”, pag. 76). La tradizione voleva che il cantante, al momento di riprendere a, inserisse una serie di vocalizzi e altri passaggi di bravura. I cantanti facilmente esageravano nelle improvvisazioni, sollevando le proteste dei musicisti e degli ascoltatori più sensibili. Un’altra abitudine era quella di inserire in un’opera arie tolte da altre opere. Questi eccessi erano oggetto di satire, la più celebre delle quali si intitola Il teatro alla moda, scritta da Benedetto Marcello. In alto, il poeta Pietro Metastasio (1698-1782). A destra, il compositore Benedetto Marcello (1686-1739). 2 Una mattina in Conservatorio Non tutti gli studenti dei conservatori diventavano esecutori virtuosi. Allora le scuole non erano certo quelle di oggi. Leggi questa testimonianza. Mi sono recato stamani col mio giovane amico Oliver al Conservatorio di Sant’Onofrio e ho visitato tutte le camere occupate da quei ragazzi, ove dormono e ove mangiano. Al primo piano era uno studioso di clarino che si spolmonava, fino a esaurirsi, su quell’istromento; al secondo mi sono imbattuto in un suonatore di tromba che muggiva senza posa; nel- la grande stanza comune sono capitato tra un concerto “all’olandese”: sette o otto clavicembali, più di altrettanti violini e molte e diverse voci! Tutti suonavano svariati pezzi di musica, su diversi toni, mentre altri allievi s’occupavano a scrivere. Era giorno di festa, e parecchi dei figlioli mancavano. Figurarsi se fossero stati lì anche costoro a esercitarsi in quel camerone a quello stesso modo! Potrà ben darsi che la confusione di tutti questi suoni riuniti non nuoccia, che anzi possa servire a fissare più forte l’attenzione degli allie- vi alle loro lezioni, senza distrarneli, che possa pur dare ad essi l’abitudine di poter soltanto udire se stessi e rafforzare la loro esecuzione: sì, non lo nego. Ma bisogna pur ammettere che tra una simile cacofonia, tra tanta continua dissonanza riesca ben difficile serbare la finitezza, la perfezione del proprio suono. Credo che da questo derivino quel modo grossolano, quella rozza esecuzione che è lamentata nei pubblici concerti. Emanuele Barbella, 1770 203 Unità 6 Il Primo Settecento I fans del melodramma Concerto vocale e strumentale in un dipinto del 1771. Intorno all’opera si agitano passioni. Quando La serva padrona di Pergolesi viene rappresentata a Parigi, a metà del Settecento, esplode una polemica tra i sostenitori di questo nuovo genere brillante, importato dall’Italia, e gli appassionati dell’opera francese, che era stata avviata da Jean-Baptiste Lully (1632-1687). La tradizione francese è continuata da JeanPhilippe Rameau (1683-1764). Anche le sue opere si ispirano a temi dell’antichità classica: Ippolito e Aricia, Castore e Polluce. Ma si diffonde il gusto per le storie esotiche. Infatti si fanno più intensi gli scambi tra i paesi occidentali e l’Oriente e una delle opere più famose di Rameau si intitola Le Indie galanti. Vent’anni dopo, sempre a Parigi, esplode una seconda polemica tra i sostenitori del compositore italiano Niccolò Piccinni (1728-1800) e quelli di Christoph Willibald Gluck (17141787), un musicista tedesco che, dopo aver operato in Italia, si è trasferito in Francia e da qui propone una riforma profonda del melodramma. In questa riforma è assistito dal poeta Ranieri De Calzabigi, che gli prepara il libretto di Orfeo ed Euridice e di altri capolavori. La musica strumentale Insieme al melodramma, anche la musica strumentale conosce una straordinaria fioritura. 3 Lo strumento più importante è il violino. I più noti virtuosi italiani hanno risonanza internazionale. Molti, come Francesco Geminiani (1687-1762) e Antonio Locatelli (1695-1764), sono contesi dalle principali corti europee, ed effettuano tournée da un capo all’altro del con- 204 tinente, diffondendo la cultura musicale italiana: tanto che da allora in tutte le lingue sono entrate molte parole italiane riferite alla musica. A Venezia si afferma un’importante scuola violinistica, che ha il suo massimo rappresentante in Antonio Vivaldi (1678-1741). Vivaldi opera come maestro nella scuola veneziana che prepara le giovani orfane all’attività musicale: l’Ospedale della Pietà. Si afferma il clavicembalo Uno strumento che suscita un crescente favore come solista è il clavicembalo. L’arte clavicembalistica è sviluppata soprattutto da Domenico Scarlatti (1685-1757), che continua la tradizione dell’opera napoletana avviata dal padre Alessandro. Ma la sua fama è legata soprattutto alle sonate per clavicembalo, ben 555, che testimoniano una capacità tecnica eccezionale e sono lo specchio di una personalità dalla fantasia estrosa e inesauribile. Scarlatti lavora molto in Spagna. Un altro straordinario clavicembalista lo troviamo in Francia: è François Couperin (1668-1733), detto “il Grande”. I due astri del Nord e lo stile galante Il compositore che porta a risultati trionfali l’antico stile a imitazioni è Johann Sebastian Bach (1685-1750). Le sue grandiose fughe per organo o quelle del Clavicembalo ben temperato sono capolavori di tecnica polifonica strumentale; i concerti orchestrali e le sonate per strumento solista e clavicembalo sono esempi a cui attingeranno molti musicisti del secolo successivo. L’altra figura tedesca che domina la prima metà del Settecento è quella di Georg Friedrich Händel (1685-1759). Rispetto a quella di Bach, la musica di Händel appare più “mondana”, proprio come più mondana è stata la sua vita. Ammirato in tutta Europa, ebbe in vita quegli onori che non ebbe invece Bach, la cui fama, presso i contemporanei, fu più quella di un virtuoso organista che di un compositore. Altra differenza fra i due è che Bach non compose mai per il teatro, mentre Händel ha lasciato una quantità di melodrammi italiani. Tutti e due hanno composto una ricca collana di opere sacre: oratòri e cantate. Lo stile “mondano” è ancora più evidente nella musica di un altro tedesco, Georg Philipp Telemann (1681-1767). Incomincia ad affermarsi con lui uno stile meno severo, che prende il nome di stile galante. Parte D La storia 3 Un insolito strumento: il glo-glo Carlo Goldoni, il grande commediografo italiano, ci racconta questa curiosa esperienza che gli capitò in casa di un conte, a Gorizia. La cosa che mi spiaceva un poco erano i brindisi che continuamente bisognava fare. Il giorno di San Carlo si cominciò con Sua Maestà Imperiale, a ogni convitato presentarono un recipiente affatto strano: era una mac- china di vetro composta di varie sfere che andavan diminuendo ed erano separate da piccoli tubi; finiva con un lungo becco che si pigliava comodamente in bocca e dal quale usciva il liquido; si riempiva il fondo di quella macchina, detta glo-glo, poi, accostando il becco alla bocca e alzando il gomito, il vino che passava per i tubi e le sfere rendeva un suono armonioso; tutti i convitati beve- vano a un tempo, e così si formava un concerto del tutto nuovo e piacevolissimo. Ignoro se queste usanze durino ancora in quei paesi; tutto cambia, e tutto potrebbe essere cambiato anche colà, ma se vi sono ancora uomini all’antica, come sono io, saranno forse assai contenti che io gliene rinfreschi il ricordo. Carlo Goldoni, Memorie, 1787 Una speciale caratteristica della musica del Primo Settecento è la magnificenza e la densità del suo contrappunto: melodie diverse si intrecciano, affidate in simultanea alle varie voci. E l’effetto è di una sorpresa continua. Anche l’arte è dominata dalla stessa magnificenza, come possiamo vedere in questa immagine che presenta il capolavoro di uno dei massimi architetti tedeschi. Una quantità di elementi diversi si intreccia in un grande ordine a dare un senso di splendente benessere: le colonne che sorreggono le rampe di scale, disposte simmetricamente e convergenti verso la balaustra sormontata dallo stemma della principesca famiglia; e poi gli archi, le lesene, le statue, i vasi, i cornicioni, gli affreschi del soffitto… E anche qui la composizione è sorprendente, e crea un gioco di elementi che si rincorrono, come i soggetti di una fuga musicale. Nel 1719 l’architetto tedesco Johann Balthasar Neumann fu nominato sovrintendente alle costruzioni della corte di Würzburg, in Germania. Qui progettò la residenza vescovile nella quale si trova questo scalone. . 205 Unità 6 Il Primo Settecento Antonio Vivaldi (Italia, Venezia, 1678-1741) Nella prima metà del Settecento, a Venezia, dove Vivaldi trascorre la sua esistenza, la vita musicale è molto intensa. Ordinato sacerdote, e chiamato “il prete rosso” per il colore dei capelli, diventa insegnante di violino nel Conservatorio della Pietà. Qui rimane sino a un anno prima della morte, avvenuta a Vienna in condizioni di assoluta povertà. I conservatòri di Venezia hanno gli stessi compiti educativi e assistenziali di quelli napoletani. Quello della Pietà è un istituto esclusivamente femminile: le orfanelle vengono istruite nel canto e nella pratica strumentale. Ogni domenica fanno sfoggio della loro abilità di musiciste, per la quale sono famose. Per loro Vivaldi scrive una quantità di concerti e di musica sacra. Ma la sua fama è tale che anche ricchi personaggi europei gli commissionano musiche. Johann Sebastian Bach ammirava profondamente il compositore veneziano, fino al punto di scegliere sei dei suoi concerti, e di rielaborarli a modo suo. Circa 450 sono i concerti di Vivaldi arrivati fino a noi, tra i quali sono famosi quelli denominati Le stagioni e i dodici dell’Estro armonico. Per le solennità cittadine compose anche numerose opere teatrali, tra cui una ispirata alla storia di Orlando. TRACCE 24 – 30 7 Concerto del cardellino Il canto degli uccellini ha sempre interessato molto i musicisti. Protagonista di questa musica è il cardellino. Vivaldi traduce il suo canto con i suoni del flauto, mentre un’orchestra d’archi (violini, viole, violoncelli e contrabbassi) lo accompagna dialogando con lui. Allegro TRACCIA 24 L’inizio è come una presentazione; il flauto sembra dire: “Eccomi qui!”, mentre l’orchestra scandisce un tema vigoroso: Sentiamo trilli e gorgheggi. Ma Vivaldi non si limita certo a “copiare” sul flauto il canto dell’uccellino: lo usa per costruire un ampio pezzo di musica, secondo lo stile del suo tempo. Il flauto dà avvio al suo canto festoso, con i violini che lo assecondano trillando, in un clima di festa. Finché l’orchestra lo interrompe, ripetendo il motivo iniziale. 206 TRACCIA 25 Il dialogo tra i due continua. Mentre il flauto si esibisce, cosa fa l’orchestra? • Tace • Suona all’unisono con il flauto • Accompagna il flauto trillando TRACCIA 26 Stiamo avviandoci verso la conclusione. Il violoncello tiene una lunga nota grave. E su questa nota cosa fanno l’orchestra e il flauto? • Suonano il motivo iniziale • Suonano a cànone • Mentre uno suona l’altro tace Parte D La storia Largo TRACCIA 27 Ora il flauto abbandona i gorgheggi virtuosistici, e canta una tenera melodia, cullante come una pastorale. L’orchestra lo sostiene con un ritmo costante, in un clima di pace e serenità. Questo è il ritmo: La melodia è ripetuta. In che modo? • Identica • Poco variata con abbellimenti TRACCIA 28 • Molto cambiata Si passa alla seconda parte. Anche questa è ripetuta, allo stesso modo della prima. E l’accompagnamento ritmico dell’orchestra com’è? • Identico • Poco variato • Molto cambiato Allegro TRACCIA 29 Si ripresenta il tono vivace del primo movimento. Ma la genialità di Vivaldi sta nella fantasia con cui riesce a dare un seguito estroso anche ai più semplici motivi. L’inizio è solo una scaletta discendente. Ma subito il flauto e un violino la continuano con guizzi vivaci verso l’alto: TRACCIA 30 Il duetto tra flauto e violini prosegue in una ininterrotta invenzione di spunti sempre nuovi, interrotti solo dal ritorno della scaletta iniziale: che sembra quasi un “punto e a capo” detto con le note musicali. E chi conclude il concerto? • Il flauto • L’orchestra • Entrambi Gabriel Bella, La cantata delle putte dell’Ospedale della Pietà, a Venezia. Le ragazze ospitate negli istituti chiamati “ospedali” ricevevano la loro istruzione da insegnanti e direttori famosi. 207 Unità 6 Il Primo Settecento Georg Friedrich Händel (Germania, 1685-1759) Come spesso capita, anche il padre di Händel è contrario all’aspirazione del piccolo Georg a diventare musicista. Ma deve ricredersi quando, dopo averlo mandato a studiare legge all’università, lo scopre organista del duomo. A ventun anni Händel è in Italia, dove conquista presto l’ammirazione degli amanti del melodramma con il suo Rodrigo, su testo italiano. Ben 42 saranno le opere che Händel compone in italiano, quasi tutte ispirate a personaggi eroici: storici, come Giulio Cesare, o cavallereschi, come Rinaldo. Queste opere vengono rappresentate nei principali teatri europei, e specialmente a Hannover e a Londra, le due città in cui il musicista passa la gran parte della sua vita, prima di diventare cieco. Il pubblico inglese ama particolarmente, accanto al melodramma, l’oratorio: Händel vi si dedica, componendo una quantità di capolavori, sui quali emerge il Messia. Il catalogo delle sue opere si completa con una ricca collana di concerti orchestrali, musica da camera, pezzi per il clavicembalo. TRACCE 31 – 36 7 Il cucù e l’usignolo È un concerto per organo e orchestra. L’organo non era mai stato usato come strumento protagonista di un concerto solistico: fu proprio Händel a “inventare” il concerto per organo e orchestra. C’è una spiegazione: nell’esecuzione degli oratori, una ricca orchestra accompagnava i cantanti e, dato l’argomento religioso, anche un organo. Tra un atto e l’altro, per riempire i tempi morti necessari a far riposare i cantanti, Händel pensò di utilizzare l’occasione unica di poter disporre di un organo e di un’orchestra insieme. I suoi concerti per organo e orchestra nacquero quindi come “entr’actes”, ossia musiche tra un atto e l’altro degli oratori. Il tredicesimo dei suoi sedici concerti porta come titolo Il cucù e l’usignolo, perché Händel vi imita il canto di questi due uccelli. Il soggetto è dunque simile a quello del concerto di Vivaldi. Ma mentre quello è a tre movimenti, questo è a quattro: larghetto, allegro, larghetto, allegro. Larghetto TRACCIA 31 La musica si muove con un passo leggero e ben ritmato. Il clima è sorridente, sereno. L’affascinante tema compare più e più volte: Quale fra i due dialoganti lo esegue? • L’organo • L’orchestra • L’organo e l’orchestra, in alternanza Allegro TRACCIA 32 208 Il tema iniziale oscilla curiosamente tra il modo maggiore e il modo minore: Parte D La storia Lo eseguono violini e oboi. E subito l’organo lo riprende. Inizia così un dialogo serrato tra il solista e l’orchestra, dove l’uno espone un frammento e l’altro lo ripete in eco. A volte è l’organo a iniziare, a volte è l’orchestra. TRACCIA 33 Concerto per organo e orchestra in una stampa dell’epoca. TRACCIA 34 Ecco comparire sulla scena i due simpatici animaletti. Si presenta l’usignolo, con i primi trilli. Ma appena entra il cucù, l’usignolo si scatena, e lo accompagna con un gorgheggiare vivace e continuo: Quali strumenti danno voce ai due uccellini? • L’organo all’usignolo, l’orchestra al cucù • L’organo al cucù, l’orchestra all’usignolo • L’organo a tutti e due gli uccellini • L’orchestra a tutti e due gli uccellini Finita la conversazione dei due piccoli ospiti, riparte il tema iniziale, all’orchestra. Trovi qualche differenza rispetto all’inizio? • No, il tema è identico • Allo spunto in modo maggiore segue ora lo stesso spunto, su note più basse • Il tema è eseguito con diverse pause Larghetto TRACCIA 35 È la pagina che più si avvicina al “Largo” del Concerto del cardellino di Vivaldi (pag. 206). Il ritmo è lo stesso: quello di una pastorale, la musica cullante degli zampognari. Il clima però è diverso. Il modo infatti non è ora maggiore, ma minore. Che effetto crea? Sottolinea i due termini che ti sembrano più adatti: vivacità solennità malinconia gioia tenerezza angoscia paura Il dialogo tra il solista e l’orchestra si presenta qui in una forma caratteristica: uno espone un frammento del motivo; l’altro fa eco alle ultime note, poi continua il discorso; e così vanno avanti. Il risultato è quello di un’intesa costruttiva: l’intesa tra due interlocutori, che sono sì d’accordo tra loro, ma che hanno ciascuno delle cose importanti da aggiungere via via. Allegro TRACCIA 36 Un concerto del Settecento deve lasciare gli ascoltatori con un senso di soddisfazione e di benessere. Non può finire, normalmente, con una delicata pastorale. Serve un ritmo vivace, brioso, a note rapide. È quello che fa Händel qui, adoperando due tecniche tipiche del Settecento. Le riconosci, tra questa serie di parole? canone imitazione minuetto ostinato progressione 209 Unità 6 Il Primo Settecento Johann Sebastian Bach (Germania, 1685 -1750) La famiglia di Bach ha una straordinaria tradizione musicale. Fra gli immediati predecessori di Johann Sebastian si contano numerosi compositori di prestigio e lui stesso contribuisce a tenere viva questa tradizione: dei ventuno figli avuti da due matrimoni, alcuni sono tra i maggiori compositori del Settecento. Bach cura personalmente la loro educazione musicale, arrivando a scrivere musiche per l’addestramento al clavicembalo, come la serie delle Invenzioni, a due e a tre voci. Non si tratta di semplici esercizi: anche in piccole pagine come queste, la tecnica dell’imitazione è praticata con grande maestria. Durante la sua lunga esistenza, Bach viaggia da una città all’altra della Germania. Infatti, come la maggior parte dei compositori del tempo, deve guadagnarsi da vivere prestando i propri servizi musicali presso una corte o presso una città. Per l’orchestra del principe di Cöthen scrive i sei Concerti brandeburghesi, a cui si aggiunge una quantità di concerti, molti con il clavicembalo. Per questo strumento scrive le due raccolte intitolate Il clavicembalo ben temperato, e un “Capriccio” scritto Sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo. Al 1723 risale l’ultimo suo incarico, presso la chiesa di San Tommaso, a Lipsia, dove fa ascoltare la monumentale Passione secondo san Matteo. Quando, poco prima di morire, ormai quasi cieco, il re Federico il Grande gli sottopone un tema musicale, Bach elabora su quel tema una miriade di composizioni in contrappunto, che intitola Offerta musicale: un’offerta al suo nobile ospite. Le composizioni di Bach sono sia di carattere religioso sia profano, proprio perché egli ricopre sia l’incarico di musicista di corte sia quello di organista. Come organista in città importanti (Weimar, Mülhausen e Lipsia), deve occuparsi di tutte le funzioni religiose che vengono celebrate durante l’anno liturgico. Nascono così le numerose composizioni per organo, e le cantate, scritte una per ogni domenica, secondo i temi proposti dalle Sacre Scritture: a noi ne sono giunte poco più di duecento. TRACCE 37 – 43 7 Suite per orchestra no 2: Danze Per l’orchestra, Bach compone quattro suite, ossia collane di brani musicali. La seconda risale agli anni in cui Bach cura la vita musicale della cattedrale di San Tommaso, a Lipsia. Nella città c’è una fiorente associazione concertistica, alla quale Bach destina questa composizione. Ognuna delle “suite” di Bach è preceduta da una solenne introduzione ed è formata da una serie di musiche di danza. Queste però non sono destinate al ballo, ma semplicemente all’ascolto nella elegante sala da concerto. Rondeau TRACCIA 37 Il termine francese rondeau si riferisce a qualcosa che “ritorna” periodicamente. Qui a ritornare, a farsi sentire più volte, è il tema iniziale, formato di una prima semifrase più trattenuta e di una seconda scorrevole: A te il compito di scoprire quante volte si fa sentire il tema intero: •4 •7 •9 210 Parte D La storia Bourrée TRACCIA 38 Lipsia (Germania), chiesa di San Tommaso. Nel Settecento la bourrée è la più importante danza in misura binaria. Come t’immagini i passi di un ideale ballerino? Scegli qui la risposta che ti sembra più adatta: lenti scatenati marcianti solenni saltellanti trascinati Ognuna delle due sezioni di cui il brano è composto viene ripetuta. TRACCIA 39 Quando la danza è finita, Bach introduce una seconda bourrée, nella quale uno strumento emerge come protagonista. Lo riconosci? • Chitarra • Flauto • Tromba Una musica è come un viaggio di esplorazione in un paese di suoni. Alla fine si torna a casa, e questo ritorno dà un piacevole senso di sicurezza. È quello che succede in questa musica: che si conclude con il ritorno alla prima bourrée, ora ripetuta senza ritornelli. Polacca TRACCIA 40 Questa danza si chiama polacca perché è originaria della Polonia. Come ogni viaggio che si rispetti, anche questo nel paese della danza ha bisogno di varietà. Le musiche precedenti erano in misura binaria, a due tempi. Ora si passa alla misura ternaria, a tre tempi, che richiede all’immaginario ballerino un passo più elaborato. Infatti la misura binaria si accorda con il fatto che abbiamo due gambe: su ogni tempo si muove un piede. Ma oltre a questa, quale altra differenza senti nel movimento? • È più mosso • È più moderato • È scattante TRACCIA 41 Bach ci prepara qui una sorpresa. A Lipsia c’erano, a quel tempo, bravi strumentisti. Per il flautista dell’orchestra ecco ora pronto un pezzo che poteva soddisfare il suo desiderio di emergere. Mentre il flauto esegue i suoi gorgheggi, cosa fanno i violoncelli? • Tengono note lunghe • Eseguono il tema della polacca • Ripetono un motivo ostinato Anche stavolta, dopo l’episodio del flauto si torna a sentire la prima polacca. Minuetto TRACCIA 42 Il minuetto è la danza più amata e praticata nel Settecento. Il più delle volte ha un carattere sorridente, giocoso. Come ti sembra questo? Scrivilo qui: Badinerie TRACCIA 43 Se il flautista dell’orchestra di Lipsia non è ancora soddisfatto della parte che Bach ha scritto per lui, qui, alla fine della “suite”, ha modo di rifarsi, e di riscuotere l’applauso ammirato del pubblico. La badinerie è infatti una delle danze più gaie e vivaci del tempo. 211 Unità 6 Il Primo Settecento Giovanni Battista Pergolesi (Italia, Jesi, 1710-1736) La vita di Giovanni Battista non è felice: muoiono bambini i suoi due fratelli e una delle sorelle; lui stesso si porta addosso handicap fisici a causa dei quali morirà a soli 26 anni. Gli è di grande conforto la musica: vi si dedica con impegno, mostrando presto un talento speciale, tanto che il padre decide di mandarlo a studiare nel conservatorio napoletano dei Poveri di Gesù Cristo. Una delle attività dei giovani musicanti dei conservatòri napoletani sono le paranze, prestazioni musicali per cerimonie pubbliche, e Giovanni Battista viene nominato “capo paranza”. Ammirato come violinista, lo diventa ancora più come compositore. A ventun anni scrive la prima opera seria, e l’anno successivo la prima commedia musicale, Lo frate ’nnamorato, in dialetto napoletano. L’anno dopo scrive il suo capolavoro, l’opera comica La serva padrona. C’era allora l’usanza di inserire una breve operina divertente, chiamata “intermezzo” fra un atto e l’altro di un’opera seria. La serva padrona è una coppia di intermezzi, collocati nell’opera seria Il prigionier superbo. TRACCIA 1 8 La serva padrona: Stizzoso, mio stizzoso L’operina La serva padrona, rappresentata nel 1733, è famosa anche perché darà origine, vent’anni dopo, a un’accesa polemica a Parigi tra i sostenitori della musica italiana e quelli della musica francese. Narra della capricciosa servetta Serpina che riesce, usando l’inganno, a farsi sposare dal suo anziano padrone, Uberto. Uberto è da tempo innamorato di lei, ma non ha mai avuto il coraggio di dichiararle il suo amore. In questa scena Serpina se la prende con il povero Uberto: Stizzoso 1, mio stizzoso, voi fate il borioso 2, ma non vi può giovare. Bisogna, al mio divieto, star cheto, e non parlare. Zit… zit…: Serpina vuol così. Cred’io che m’intendete 3, sì, da che mi conoscete son molti e molti dì. 1 BISBETICO, PERMALOSO 2 SUPERBO 3 CRED’IO CHE M’INTENDETE = IO CREDO CHE VOI MI CAPIATE Pergolesi ci presenta un personaggio vivo: il suo canto segue proprio gli accenti e le intonazioni che avrebbe se parlasse. È questa la grande novità della musica di Pergolesi. La musica ci fa capire il carattere e lo stato d’animo del personaggio. Qual è secondo te? Scegli gli aggettivi che ti sembrano più adatti. affettuoso capriccioso docile pacifico prepotente civettuolo L’aria Stizzoso, mio stizzoso è una tipica aria col da capo: il tipo di aria più diffuso nel Settecento. Alla fine ritorna il motivo iniziale, questo: 212 Parte D La storia Esperienze Nel primo movimento del suo concerto, Vivaldi inserisce una nota di bordone. Aggiungiamo anche noi questa nota di bordone a qualche nostro canto. Rileggi l’episodio in cui Carlo Goldoni parla del glo-glo. Mettiti in gruppo con qualche compagno. Qual è il gruppo che riesce a inventare lo strumento musicale più curioso? Conosciamo il capolavoro di Christoph Willibald Gluck, Orfeo ed Euridice nel quaderno Serata all’opera. Eseguiamo anche noi Antonio Vivaldi, Concerto del cardellino: Largo. ricapitoliamo Nel Settecento la musica strumentale e specialmente quella operistica hanno un nuovo pubblico: la borghesia. Il compositore tedesco Gluck avvia una riforma che dà importanza alla continuità drammatica dell’opera. Si sviluppano scuole di musica, i conservatòri, e nasce la figura dell’impresario. Lo stile musicale si basa su un ricco contrappunto e sulle imitazioni fra le voci: questa pratica trova l’applicazione più tipica nella fuga. Accanto all’opera seria fiorisce l’opera buffa, che nasce dalla pratica degli intermezzi. L’opera consiste in una serie di dialoghi cantati (i recitativi), per le scene d’azione; e di arie, soprattutto arie col da capo, per le scene in cui il personaggio fa conoscere il proprio stato d’animo. I cantanti si prendono spesso licenze nel modo di eseguire le arie. Queste licenze vengono fortemente criticate dai musicisti più sensibili. I maggiori musicisti italiani sono contesi dalle principali corti europee: vi diffondono non solo la cultura musicale, ma anche la lingua italiana. Fioriscono nuovi generi musicali: il concerto solistico, a tre movimenti; e la suite, che è una successione di movimenti diversi, prevalentemente di danza. Il clavicembalo si affianca al violino come strumento prediletto. 213 7 1750 A Parigi si apre al pubblico il Museo del Louvre La musica nell’Età della ragione La testimonianza 1765 L’inglese Henry Cavendish scopre l’idrogeno 1775 Il navigatore inglese James Cook raggiunge l’Antartide La Convenzione Nazionale, decretando feste degne della maestà del popolo, ha chiamato tutte le arti a contribuire alla sua magnificenza. La musica, in virtù dello speciale carattere che sa loro imprimere, ha una parte troppo importante nella celebrazione di queste feste perché l’Istituto Nazionale non sia penetrato dal senso dei doveri sublimi che gli competono. Impegno ancora più onorevole è trasmettere al popolo la musica degli inni. I canti del fanatismo antico saranno soppiantati dai canti per la libertà. I membri dell’Istituto andranno a insegnarli in ogni distretto e in ogni scuola primaria. Così il popolo francese mostrerà ai popoli ancora schiavi di Germania e d’Italia che essi pure possiedono genio in quest’arte, ma che lo dedicano solo ai canti per la libertà. Trèmino i tiranni: più di una volta un inno nazionale risuonante in battaglia spinse i soldati francesi a raddoppiare il loro impeto valoroso; e il coraggio che scosse il trono del tiranno fu nutrito dai canti del popolo. Gli accenti della libertà precedono sempre le sue bandiere. Jean-François Lesueur, Etienne Méhul e altri, Per la festa dell’Essere Supremo, 1794 (adattamento) Emblema della Rivoluzione francese. 1787 Viene redatta la Costituzione degli Stati Uniti d’America 1789 Rivoluzione francese La musica si dà nuovi compiti Nella seconda metà del Settecento il mondo cambia drammaticamente. E i musicisti sentono di poter esprimere lo spirito di questo cambiamento. Con la musica, pensano, si possono non soltanto imitare le diverse emozioni, come si pensava prima: si possono anche esprimere le emozioni. Con la musica si possono “raccontare storie”: presentare conflitti, che alla fine si risolvono. E in ogni storia raccontata si nasconde un messaggio, che il compositore manda ai suoi ascoltatori. Proprio come avviene nel nuovo genere letterario che comincia a furoreggiare in Europa: il romanzo, con la sua varietà di personaggi e di intrecci drammatici. Per raggiungere questo risultato lo stile della musica deve necessariamente cambiare. La mu- sica del tempo di Bach si basava per lo più su un tema solo, il soggetto, che veniva passato fantasiosamente da una voce all’altra. Ora si vuole creare anche in musica un effetto-romanzo, cioè l’idea di conflitti che alla fine si risolvono: un tema solo non basta più; se ne dispongono almeno due, ben diversi fra loro, spesso anche tre o più; il loro avvicendarsi crea tensioni e contrasti. In Germania, la musica di Bach viene rapidamente dimenticata. Persino i suoi figli tendono a considerarlo ormai “superato”. I figli di Bach rappresentano un singolare fenomeno nella storia della musica. Almeno tre di loro sono da considerare fra i più grandi compositori del Settecento: Wilhelm Friedemann, Carl Philipp Emanuel e Johann Christian, autori di sonate, concerti e di musica vocale. Parte D Al culmine della Rivoluzione francese, Robespierre decise la festa dell’Essere Supremo. Fece scrivere un inno apposito ai musicisti del nuovo Istituto Nazionale per la Musica, che tre anni dopo sarebbe diventato il Conservatorio di Parigi, e impose loro di insegnarlo quella sera stessa a tutti i cittadini di Parigi. Cosa era successo nella seconda metà del Settecento? Si era diffusa una nuova idea di so- cietà: la “ragione” era diventata il nuovo mito in tutti i campi dell’attività umana. Lottando contro il pregiudizio e l’ignoranza, i pensatori volevano chiarire ogni aspetto della realtà. Illuminismo è il nome che si dà a questo movimento di pensiero. La tecnica progredisce, nascono le industrie e nuovi modi di commerciare: occorre perciò che il lavoro sia organizzato in modo più libero e raziona- La storia le. I “lumi della ragione” devono essere la guida della vita sociale e individuale; con la ragione tutti i problemi della società possono essere risolti. Quando nel 1789 scoppia la Rivoluzione francese, libertà e uguaglianza diventano obiettivi che alcuni pensano “razionalmente” di poter raggiungere. Ma le stragi e le guerre che la rivoluzione porta con sé metteranno in crisi queste convinzioni. D’Alembert legge l’Encyclopédie in casa di Mme. de Geoffrin. L’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert (1751-72) è l’espressione completa della cultura dell’Illuminismo. Un episodio della Rivoluzione francese. Anche i musicisti dispongono in maniera ordinata le diverse parti della composizione. Il principio che domina è quello della simmetria: un brano musicale deve concludere nello stesso modo in cui è cominciato. Questo principio guida l’organizzazione interna di diverse forme musicali: la più diffusa e caratteristica prende il nome di forma-sonata (pag. 110). Altre forme musicali che vengono fissate in modo preciso sono il rondò (pag. 82), la forma-romanza, il minuetto (pag. 88), il tema e variazioni (pag. 92). Una successione simile si applica: • nel concerto solistico, per lo più in tre movimenti; • nella musica da camera, dove predomina la sonata, composizione per strumento solo o per due strumenti; • nelle composizioni per più strumenti: trio, quartetto, quintetto e così via. Generi più vari, nella tradizione della suite, sono divertimenti e serenate. I musicisti amano scrivere composizioni, a più sezioni (o movimenti, o tempi), ognuna delle quali segue una delle forme citate, e con una sua propria velocità. Il genere più amato dal pubblico è la sinfonia (pag. 122). La maggioranza delle sinfonie composte nel Settecento è in quattro movimenti, di solito nell’ordine rappresentato in questo schema: Primo movimento Secondo movimento Terzo movimento Quarto movimento Forma-sonata Forma-romanza Minuetto Rondò Allegro Adagio Allegretto Allegro vivace 215 Unità 7 Al pianoforte, dipinto del XVIII secolo del pittore Stephan Sedlacek. 216 La musica nell’Età della ragione I maestri dell’età classica Il nuovo gusto del colore strumentale Una schiera di compositori rende possibile questo straordinario sviluppo: in Italia sono in particolare Gian Battista Viotti (1755-1824), che ha lasciato soprattutto concerti per violino; Muzio Clementi (1752-1832), autore, per il pianoforte, di sonate e della raccolta Gradus ad Parnassum; Luigi Boccherini (1743-1805), che si dedicò specialmente alla musica da camera. Ma la musica strumentale non è più tanto gradita a un pubblico che delira per il melodramma. Così i nostri autori di musica strumentale devono trasferirsi all’estero: Viotti e Clementi operano soprattutto in Inghilterra; Boccherini in Spagna, dove viene nominato “virtuoso da camera e compositor di musica” dell’infante di Spagna don Luigi, fratello del re Carlo III. Il suo nome è legato ai deliziosi minuetti: danze in stile galante, che fanno respirare l’aria fastosa dei salotti settecenteschi. Gli esempi significativi del nuovo stile musicale vengono però dall’Austria, con Franz Joseph Haydn (1732-1809) e Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791). La loro produzione strumentale, vastissima, comprende tutti i generi già elencati, sonate, sinfonie, concerti; poi serenate e divertimenti, e musiche da camera, in cui spiccano i quartetti per archi. Di Mozart si ricordano anche le straordinarie creazioni per il teatro lirico: le sue opere italiane (Don Giovanni, Così fan tutte, Le nozze di Fìgaro) sono tra i capolavori del genere, mentre Il ratto dal serraglio e il Flauto magico sono i primi capolavori del nascente melodramma tedesco. All’inizio del Settecento l’orchestra tradizionale è formata dai soli strumenti ad arco: violini, viole, violoncelli, contrabbassi. Occasionalmente partecipano oboi, flauti, fagotti, corni, trombe; più tardi si aggiungono clarinetti e tromboni: nel corso del secolo, questi strumenti a fiato entrano stabilmente nell’orchestra, di solito in coppia. Come unico strumento a percussione sono introdotti i timpani; altre percussioni entreranno nel corso dell’Ottocento. La musica del XVIII secolo ricerca effetti espressivi nuovi e il musicista va alla ricerca di una sempre maggiore varietà di colori strumentali. Questo spiega il tramonto del clavicembalo e l’affermarsi, al suo posto, del pianoforte: il clavicembalo, con le sue corde pizzicate, non permette infatti grande varietà di volume sonoro. È Bartolomeo Cristofori (1655-1732) a inventare uno strumento in cui le corde sono percosse da martelletti: con la pressione delle dita sui tasti si ottengono così differenze anche notevoli di suono. Lo strumento viene chiamato clavicordo, poi fortepiano, infine pianoforte: solo mezzo secolo dopo la morte di Cristofori diventerà lo strumento prediletto nella vita musicale. Un compositore fra due epoche Ludwig van Beethoven (1770-1827) è il compositore che, vivendo fra il Settecento e l’Ottocento, avvia la musica verso un futuro profondamente rinnovato. La sua produzione è costituita da nove sinfonie per orchestra, sonate per pianoforte, concerti per strumento solista e orchestra, e musica da camera, in particolare quartetti per archi. Le sue composizioni sembrano legate al passato poiché rispettano la tradizione che fa capo alla forma-sonata, ma la veemenza e l’impeto del suo stile anticipano i fermenti di un’epoca nuova: il Romanticismo. Nella musica da camera Beethoven parla di sé: le sue emozioni, le sue gioie e le sue ansie; nella musica per orchestra sembra rivolgersi all’umanità intera con un messaggio di riscatto e consolazione. Sia nelle opere cantate – come la sua unica opera teatrale, Fidelio, e la sua Messa solenne – sia nelle “narrazioni musicali”, affidate ai soli strumenti, mette in scena situazioni drammatiche: coronate da un lieto fine, solenne e grandioso. In queste scelte Beethoven si rivela l’ultimo erede dell’Illuminismo, l’Età dei lumi. 1 Parte D 1 La storia Il testamento di Heiligenstadt O voi uomini, che mi ritenete o mi fate passare per astioso, folle e misantropo, come siete ingiusti con me! Voi ignorate le segrete ragioni di ciò che vedete! Il mio cuore e il mio spirito erano inclini, sin dall’infanzia, al dolce sentimento della bontà. Persino a compiere grandi opere io fui sempre disposto. Ma pensate che da sei anni ormai io sono caduto in una condizione disperata; che questa situazione mi si è andata aggravando per col- pa di medici senza criterio, e che di anno in anno io mi sono illuso nella speranza di un miglioramento. Infine sono costretto all’idea di un male duraturo, la cui guarigione richiederà forse lunghissimo tempo o è forse addirittura impossibile. Nato con un temperamento ardente e attivo ... ho dovuto ben presto separarmi dagli uomini e trascorrere la vita in solitudine. Se anche io volevo, talvolta, sormontare tutto questo, oh, come duramente venivo respinto dalla triste e rinnovata esperienza della mia infermità! Eppure non mi era ancor possibile di dire agli uomini: “Parlate più forte, gridate, perché io sono sordo!” Ah, come potrei andar rivelando proprio la debolezza di un senso che io dovrei possedere più perfetto di ogni altro, un senso ch’ebbi dotato di gran- dissima perfezione, quale certamente poche persone del mio mestiere hanno mai avuta! Oh, non posso! Perdonatemi dunque se mi vedete vivere in disparte, mentre vorrei mescolarmi alla vostra compagnia... Completamente solo, io posso frequentare la società unicamente in quanto lo esiga una necessità assoluta, e mi tocca di vivere come un proscritto. Se mi avvicino alla gente, vengo afferrato da un’angoscia divorante... Divinità, tu dall’alto vedi sino in fondo al mio cuore, tu conosci il mio cuore, tu sai che vi dimorano l’amore per gli uomini e l’impulso a fare il bene. O uomini, se un giorno leggerete queste mie parole, pensate che mi avete fatto torto... Nella seconda metà del Settecento, anche gli artisti si fanno guidare dalla ragione. Guardano con serena lucidità quello che li circonda e cercano di riprodurlo nel modo più “ragionevole” possibile: gli scrittori raccontano le cose in modo lineare e ordinato, i pittori dispongono sulla tela figure nitide e ben distribuite, gli architetti creano edifici rigorosamente simmetrici. In tutte le arti si respira un senso di grande equilibrio: gli artisti si sentono artigiani che lavorano operosamente per la felicità degli uomini. Osserva la chiesa napoletana di San Francesco di Paola (nella foto), opera dell’architetto Pietro Bianchi. La simmetria è rigorosa, il lungo colonnato è disposto ad arco: come due lunghe braccia che vogliano invitare i fedeli. E c’è da osservare un’altra cosa: il corpo centrale imita l’antica chiesa romana del Pantheon. Infatti per gli artisti di questa Età l’antichità classica, quella dei Greci e dei Romani, rappresenta l’ideale “razionale” che va preso a modello. Questo è il motivo per cui il periodo che va dal 1770 al 1820 circa viene chiamato l’Età classica. A Beethoven era capitata la peggiore infermità che possa colpire un musicista: la sordità. Scrive allora una lettera, conosciuta come Testamento di Heiligenstadt, il cui concetto di fondo è questo: “Io sono per natura portato a essere buono, generoso e aperto con i miei simili; ma la sordità mi ha reso disperato.” Ludwig van Beethoven, 6 ottobre 1802 (adattamento) Unità 7 La musica nell’Età della ragione Wolfgang Amadeus Mozart (Austria, 1756-1791) Il talento musicale di Mozart si rivela prestissimo: ha solo sei anni quando il padre Leopold, illustre compositore, lo porta in tournée nelle maggiori città europee, tra le quali Milano. A Vienna, dove viene invitato dall’imperatrice in persona, il piccolo Wolfgang entra nelle simpatie della principessa Maria Antonietta e le promette che da grande la sposerà. La principessa andrà invece sposa al re di Francia Luigi XVI, insieme al quale finirà ghigliottinata durante la Rivoluzione francese. Nei suoi concerti Mozart non solo si esibisce al clavicembalo, spesso insieme alla sorella Nannerl, ma esegue anche musiche composte da lui. A dodici anni ha già scritto musica per gruppi da camera, per orchestra e per la Chiesa. Inizia a quell’età anche la carriera di autore teatrale, con l’opera buffa La finta semplice: una carriera che culminerà con i capolavori Il ratto dal serraglio, Le nozze di Fìgaro, Don Giovanni, Così fan tutte, Flauto magico. Nella seconda metà del Settecento, i musicisti, per poter condurre una vita sicura, dovevano prestare la propria opera al servizio di un signore: e così fa Mozart, presso l’arcivescovo Colloredo. Ma il suo desiderio di libertà si scontra presto con le pretese tiranniche dell’arcivescovo, e allora Mozart decide di lavorare come “libero professionista”, diremmo oggi: è uno dei primi casi di professionismo autonomo, nella storia della musica. Autore di una quantità di musica da camera e da chiesa, Mozart ha lasciato numerosi concerti per pianoforte, per violino e per altri strumenti, e 52 sinfonie. La morte lo coglie a soli 35 anni, quando sta componendo il suo ultimo capolavoro, il Requiem. TRACCE 2–7 8 Concerto per flauto, arpa e orchestra: Andantino e Rondò Le ragioni per le quali un compositore può decidere di scrivere un concerto per un dato strumento possono essere le più varie. Mozart non amava particolarmente né il flauto né l’arpa. Si trovava a Parigi nel 1778 quando fu accolto nella casa del conte de Guines: il conte era un buon flautista e la figlia, a cui Mozart dava lezioni di composizione, suonava molto bene l’arpa. L’arpa era uno strumento che piaceva in quegli anni a Parigi. Erano ragioni sufficienti perché Mozart si decidesse a comporre un concerto per questi strumenti. Come compenso per tanta fatica il duca offrì una cifra così bassa (tre lire d’oro) che Mozart preferì non prendere niente. Andantino I solisti qui sono due, dunque. Nell’Andantino l’orchestra è formata solo di strumenti ad arco: violini, viole, violoncelli e contrabbassi. In quasi tutte le musiche di quest’epoca i violoncelli e i contrabbassi suonano la stessa parte, il contrabbasso un’ottava sotto il violoncello. TRACCIA 2 Sentiamo come “dialogano” fra loro i due solisti e l’orchestra. Sono i violini a presentare il tema principale: uno di quei temi sublimi che hanno contribuito a creare il mito leggendario di “Amadeus”, come spesso viene chiamato, familiarmente, Mozart. Comincia così: Flauto e arpa subentrano insieme a ripetere il tema. 218 Parte D TRACCIA 3 Louis Vigée (1715-1767), Ritratto di fanciulla con arpa. La storia Ed ecco ora una caratteristica sezione a dialogo: il flauto fa partire la continuazione del tema, l’arpa gli fa eco. Come continuano i due solisti? • Con un dialogo ravvicinato e affettuoso • Eseguendo il tema in simultaneità • Opponendosi drammaticamente L’orchestra si limita a brevi semifrasi, che segnano i passaggi tra una sezione e l’altra del brano. Per il resto, fa da umile servitrice ai due solisti. TRACCIA 4 Solo alla fine Mozart fa cantare il tema ai violini con il flauto, con un’ultima eco all’arpa. Rondò TRACCIA 5 Nell’orchestra, agli archi si aggiungono due oboi e due corni, che contribuiscono a rendere più intenso il clima di festa creato da Mozart. Chi esegue il tema del rondò? • I violini • Oboi e corni • Per meta i violini, per l’altra metà oboi e corni L’orchestra stavolta è la protagonista di tutta la prima parte del Rondò. Dei due solisti, quale si fa sentire per primo? TRACCIA 6 Sul silenzio di tutti gli altri strumenti, il solista ci presenta il tema della sezione successiva. L’altro lo ripete. Il dialogo tra i due solisti, e tra questi e l’orchestra, continua con una varietà sorprendente di soluzioni e di motivi nuovi. Durante l’ascolto, cerchiamo di scoprire questi due motivi: a b Ricorda come è fatto un rondò: una sezione A ritorna più volte, intervallata da episodi diversi. TRACCIA 7 Quando A ritorna, chi lo esegue qui? • L’orchestra • Il flauto • Flauto e arpa La varietà dei motivi e delle combinazioni fra gli strumenti ci fa apparire tutta la pagina di Mozart come una vivace conversazione tra personaggi ricchi di idee e di emozioni da scambiare vicendevolmente. 219 Unità 7 La musica nell’Età della ragione Sinfonia Jupiter, K 551: Finale TRACCE 8 – 18 8 TRACCIA 8 È l’ultima delle 41 sinfonie di Mozart e risale al 1788, quando il musicista attraversava un periodo di difficoltà economiche e di disgrazie quali la morte del suo piccolo Leopoldo. Ma niente di tutto ciò traspare dalla sua musica, che appare come una vittoriosa affermazione della vita, la consapevolezza che l’esistenza è comunque un dono grandioso che varca i confini del dolore, tristo compagno di ogni vicenda umana. È questo che intende esprimere il titolo che le diedero i primi ascoltatori: Jupiter, cioè Giove, la divinità greca che governa saggiamente l’intero universo. Il Finale è il momento culminante del messaggio mozartiano, animato da un’energia gioiosa e irresistibile. Lo ricaviamo dall’abbondanza dei temi usati dall’autore: quattro sono i temi principali, a cui ne aggiunge altri secondari; e poi dal fitto intreccio che li lega instancabilmente l’uno all’altro. La composizione è in forma-sonata, con ampie sezioni in cui i temi si sovrappongono: in un sapiente contrappunto. Il primo tema (a) dell’Esposizione è formato da quattro note lunghe seguite da un rapidissimo disegno discendente: a TRACCIA 9 Un ritmo martellante caratterizza l’attacco del secondo tema (b): b TRACCIA 10 Jean-AugusteDominique Ingres (1780-1867), Giove e Teti. 220 Ritorna il tema a: ben sei volte, alternato in imitazione fra gli strumenti ad arco. Scopri tu in quale ordine gli strumenti si susseguono nelle prime cinque imitazioni: • violini > viola > violoncello > contrabbasso • contrabbasso > violoncello > viola > violini Parte D TRACCIA 11 La storia In coda alla sesta ripetizione Mozart inserisce un nuovo tema (c), slanciato verso l’alto, e anch’esso ripetuto in imitazione fra violini e violoncelli: c TRACCIA 12 Ora è il tema b a essere eseguito in imitazione. Questa imitazione stretta fra le diverse voci che impressione crea? Scegli i termini che ti sembrano adatti: tensione TRACCIA 13 calma vitalità densità trasparenza concitazione relax Ecco infine il quarto tema principale (d): d Su questo tema la fantasia di Mozart si scatena: appena l’ha esposto, vi sovrappone il tema c al fagotto e il tema b al flauto. Il tutto continua con gli strumenti che si rimpallano il tema d con una foga esplosiva. TRACCIA 14 L’Esposizione si chiude con il tema b ancora una volta giocato in imitazione. TRACCIA 15 Inizia ora lo Sviluppo. Quale dei quattro temi adopera qui Mozart? • Il tema a • Il tema b • Il tema c • Il tema d TRACCIA 16 Lo Sviluppo è il momento in cui nel “racconto musicale” si arriva alla situazione di conflitto. E infatti il clima si fa drammatico, con gli archi e gli ottoni che si oppongono con forza ai legni. TRACCIA 17 Il conflitto si placa nel ritorno del tema iniziale: è la Ripresa. L’intera Esposizione è eseguita qui, con gli adattamenti propri di una forma-sonata. TRACCIA 18 Ma Mozart non conclude così, nel rispetto delle convenzioni. Introduce una lunga Coda, dove compie una specie di miracolo musicale: sovrappone prima due dei quattro temi, poi tre, poi tutti insieme. Te lo mostriamo in questo schema: 1 2 3 4 5 6 d a c c d a c c Violini primi Violini secondi Viole d a Violoncelli a c Contrabbassi b b d b d a d a c 221 Unità 7 La musica nell’Età della ragione Ludwig van Beethoven (Germania, 1770-1827) Beethoven ha un’infanzia difficile, guidato alla musica da un padre dedito all’alcool. Così matura un carattere scontroso e intemperante. Nutre grandi ambizioni, non soltanto per la sua vita personale ma anche per il progresso della società in cui vive. Il suo ideale è un’umanità che sa affrontare il male e le avversità della vita per conquistare la felicità, una felicità consistente nell’amore e nella fratellanza. Questo messaggio Beethoven lo trasmette soprattutto nelle sue composizioni sinfoniche e nell’unica opera lirica: il Fidelio. Quando sembra che Napoleone porti gli ideali di libertà in Europa, Beethoven gli dedica una sinfonia, la terza delle nove da lui composte, intitolata Eroica. Ma strappa la dedica quando sente che Napoleone si è fatto proclamare imperatore. Beethoven deve presto affrontare la prova più dura per un musicista, la sordità, che si fa sempre più grave con il passare degli anni: nell’ultimo periodo della sua vita può comunicare con gli altri solo per iscritto. Commovente testimonianza di questi profondi conflitti interiori, alternati a momenti di serenità e di contemplazione della natura, sono le 32 sonate per pianoforte, i 16 quartetti per archi, insieme a molta altra musica sinfonica e da camera. Per la chiesa compose, tra l’altro, un grande capolavoro, la Messa solenne. TRACCE 19 – 23 8 Osef Anton Koch, Paesaggio eroico con arcobaleno, 1805. Koch, artista importante nella pittura austriaca dei primi anni dell’Ottocento, fu contemporaneo di Beethoven. TRACCIA 19 222 Sinfonia no 6 Pastorale: Primo movimento Beethoven compose questa sua Sesta sinfonia tra il 1805 e il 1808, negli stessi anni in cui creò la Quinta sinfonia. Queste due opere rivelano la complessa personalità del loro autore: tanto è conflittuale e drammatica la Quinta sinfonia, tanto questa è pervasa da sentimenti di serenità e fiducia. Beethoven la presenta con queste parole: “Vi sono espresse le sensazioni che suscita nell’uomo il piacere della campagna; sono rappresentati alcuni sentimenti della vita dei campi.” Il primo movimento dell’Esposizione porta il sottotitolo Risveglio dei sentimenti all’arrivo in campagna. Il tema iniziale si affaccia subito, ai violini, senza alcun preambolo, e rimbalza poi da uno strumento all’altro, fino a sfociare eseguito a piena orchestra, carico di entusiasmo e vitalità: Parte D TRACCIA 20 La storia Appare il secondo tema, che non si oppone al primo, come avviene più spesso nelle musiche di Beethoven, ma appare piuttosto una sua serena continuazione. È formato di due frasi melodiche (a e b) sovrapposte in questo modo: a b TRACCIA 21 Quando il secondo tema è ripetuto, la frase a passa sopra, e b passa sotto. TRACCIA 22 L’Esposizione si conclude con una Coda, poi si passa allo Sviluppo. Sentiamo riapparire il primo tema: come? • Intero • Solo l’inizio • Solo la conclusione Ora sentiamo come un compositore possa svolgere un lungo discorso musicale anche partendo da poche note. Beethoven infatti sceglie la seconda battuta del suo tema, e la fa rimbalzare da uno strumento all’altro, dai registri più gravi a quelli più acuti. L’effetto è quello di un moto perpetuo, o di un incantamento, come se Beethoven volesse renderci partecipi del perenne rinascere della sorpresa gioiosa davanti al fascino della natura. TRACCIA 23 TRACCE 24 – 30 8 La Ripresa ripropone i temi partendo forte a piena orchestra. Nella Continuazione come appare il ritmo? • Uguale al ritmo dell’Esposizione • Rallentato • Ravvivato Sinfonia no 7: Secondo movimento Questa sinfonia appartiene a un momento relativamente felice della vita di Beethoven. Il musicista è reduce da cure termali che gli hanno procurato un notevole benessere, ed esprime la sua gioia di vivere in tutta la composizione: in tutta, tranne che nel secondo movimento, Allegretto (ricorda che il termine “Allegretto” non si riferisce allo stato d’animo, ma alla velocità del pezzo). Fin dalle prime esecuzioni, la sinfonia fu accolta con entusiasmo. Dell’Allegretto, il pubblico chiedeva spesso il bis. TRACCIA 24 Ci accorgiamo fin dall’inizio delle sonorità meste e scure del primo tema, eseguito da viole, violoncelli e contrabbassi su un ritmo che si ripete regolarissimo. TRACCIA 25 Mentre i violini lo ripetono, gli altri archi eseguono una seconda melodia, più aperta e patetica. Tre volte sentiamo l’abbinamento dei due temi. Come avvengono le ripetizioni? Segna le due risposte corrette: • Sempre più forte • Sempre più verso l’alto • Sempre più verso il basso L’impressione è quella di un passaggio da una dolorosa contemplazione a un’accesa, aspra commozione. 223 Unità 7 TRACCIA 26 Presto però si ritorna a una sonorità più contenuta, che lascia il posto a un sentimento sereno, come di consolazione, con il motivo eseguito da clarinetto e fagotto. Presta attenzione all’accompagnamento dei violini: si uniscono al clarinetto ma fioriscono il canto con un ritmo particolare, il ritmo della terzina (vedi nel volume B l’unità “La terzina”, pag. 50). È un ritmo ondeggiante, che si presta bene a suggerire l’impressione di rasserenamento. TRACCIA 27 La serenità non dura a lungo. Improvvisamente, una brusca caduta di terzine dall’acuto del flauto alle profondità del contrabbasso riporta un’impressione di ansia. E infatti ritornano i mesti motivi iniziali. Però non con la sofferta quiete di allora. Come ha fatto nella sezione precedente, Beethoven affida ai violini il compito di rendere ancora più mosso il tono del discorso. Lo fa sovrapponendo alle terzine un nuovo ritmo, le semicrome (vedi nel volume B l’unità “Figure con la semicroma”, pag. 40). TRACCIA 28 Gli archi, poi i legni, infine gli ottoni conducono un dialogo estremamente serrato, secondo quella tecnica musicale che prende il nome di fugato (vedi pag. 106): è come una meditazione severa sopra l’idea da cui è germogliata l’intera composizione. TRACCIA 29 Ancora una volta clarinetto e fagotto ci ricordano, sulle terzine dei violini, il momento di serenità espresso dal motivo c. TRACCIA 30 Ed eccoci alla fine, e all’ultima eco dei temi iniziali. Come ce li presenta Beethoven? • Eseguiti dagli archi • Eseguiti dai fiati • Spezzati fra archi e fiati Pagina manoscritta di una parte della Settima sinfonia di Beethoven. 224 La musica nell’Età della ragione Parte D Franz Joseph Haydn La storia (Austria, 1732-1809) Nei secoli passati era normale che uno studente di musica praticasse diversi strumenti musicali, il clavicembalo, il violino, il flauto. Così avviene per Haydn, fin da bambino. Haydn è anche un abile cantore nella prestigiosa cappella del duomo di Vienna: una volta cresciuto, ne diventerà il direttore, prima di passare nel 1761 al servizio del principe di Esterhazy. Gli Esterhazy sono una famiglia ungherese che si è costruita una magnifica reggia, chiamata “la seconda Versailles” (la vera Versailles era la reggia dei re di Francia). E qui la musica ha un posto d’onore. Per gli aristocratici che frequentano la corte Haydn scrive una quantità di musica da camera e sinfonica. Quando il principe muore, il figlio che gli succede scioglie l’orchestra e mette Haydn in pensione. Intanto però a Londra fiorisce una iniziativa nuova: i concerti a pagamento, organizzati da un impresario. Per l’impresario Salomon il musicista scrive alcune delle sue più celebrate sinfonie. Ma Haydn non chiude la sua carriera in Inghilterra: la cappella degli Esterhazy viene ricostituita e Haydn è naturalmente invitato a dirigerla ancora una volta, ammirato e venerato dai suoi concittadini. Il catalogo delle sue opere è ampio: 108 sinfonie; 83 quartetti per archi, che resteranno a modello per i compositori successivi; e una quantità di altra musica da camera e sacra. TRACCE 31 – 35 8 Quartetto Imperatore op. 76 no 3: Tema e Variazioni Nel 1797 l’Impero austriaco dovette affrontare uno dei primi assalti dell’armata napoleonica. Haydn operava in quei giorni a Vienna. Per la sua patria scrisse un inno che celebra l’imperatore Francesco II, e che diventerà presto un inno patriottico: ancora oggi è usato come inno nazionale dalla Germania. Poco tempo dopo, riprese l’inno e ci costruì intorno una serie di variazioni, per quartetto d’archi (primo e secondo violino, viola, violoncello). TRACCIA 31 Ascoltiamo prima il tema dell’inno eseguito dal primo violino, mentre gli altri strumenti accompagnano. E ora le variazioni: TRACCIA 32 Prima variazione Tocca ora al secondo violino eseguire il tema. Scopri cosa vi aggiunge il primo violino: • Un’altra melodia • Una nota lunga tenuta • Arpeggi staccati e fioriture TRACCIA 33 Seconda variazione Il primo violino esegue un disegno melodico sincopato; a quale strumento è affidato l’inno? • Al secondo violino • Alla viola • Al violoncello TRACCIA 34 Terza variazione La viola esegue il tema, mentre i due violini si alternano in deliziosi controcanti. E il violoncello cosa fa? • Tace • Aggiunge un controcanto • Esegue il tema insieme alla viola TRACCIA 35 Quarta variazione Il tema ritorna al primo violino: con quali differenze rispetto all’inizio? • È rallentato • È accelerato • È trasportato, dopo 4 battute, all’ottava alta Gli altri strumenti sviluppano ciascuno un proprio discorso: dalla loro fusione risulta un ricco impasto di armonie. 225 Unità 7 La musica nell’Età della ragione Esperienze La testimonianza dei musicisti della Rivoluzione francese ci ricorda l’importante capacità della musica di infiammare gli animi. Conduciamo una ricerca nel nostro ambiente. In quali situazioni la musica è usata con scopi simili? Pensiamo alle ricorrenze civili, o militari, o sportive. PORTFOLIO Recitiamo il “Testamento di Heiligenstadt” di Beethoven. Possiamo alternarci le frasi. Possiamo anche recitarlo coralmente. Pensiamo di farne uno spettacolo radiofonico, e allora aggiungiamo un sottofondo musicale. Quali delle musiche di questa lezione sceglieremo? Come la sovrapporremo alle parole? Possiamo anche pensare di lasciare qualche stacco solo musicale in certi punti della recitazione. E come concluderemo? Con le sole parole? Con la sola musica? Con tutte e due? PORTFOLIO L’Inno imperiale composto da Haydn è usato oggi come inno nazionale della Repubblica Tedesca. Ma prima è stato usato da altri regimi politici. Cerca su libri e su Internet le notizie per scrivere una piccola storia dell’inno. Eseguiamo anche noi Franz Joseph Haydn, L’Inno imperiale. Sulla nostra terra amata splenda sempre la libertà! Onoriam fraternamente la giustizia e l’unità! 226 La giustizia nella libertà ci darà la felicità. Vivi prospera, vivi placida, terra tedesca dei padri miei. Parte D La storia Ludwig van Beethoven, i due temi della Sinfonia no 7. Primo tema Secondo tema Wolfgang Amadeus Mozart, Concerto per flauto, arpa e orchestra: il tema del Rondò. ricapitoliamo La Rivoluzione francese incoraggia la creazione di musiche che sappiano infiammare gli animi agli ideali di libertà. La cultura dominante nel Settecento è quella dell’Illuminismo. È caratterizzata da una grande fiducia nella capacità della ragione di risolvere i problemi dell’umanità. Le musiche composte in questa epoca seguono rigorosi principi organizzativi, che rispecchiano il bisogno di razionalità e di ordine. Le forme musicali che si rifanno a tali principi sono: forma-sonata, rondò, formaromanza, minuetto, tema con variazioni. I generi strumentali più diffusi sono: sinfonia, concerto solistico, sonata. L’orchestra del Settecento si amplia, aggiungendo vari strumenti a fiato. Nella musica da camera si afferma il pianoforte, che prende il sopravvento sul clavicembalo. La musica si “drammatizza”: in una stessa composizione temi diversi arrivano a opporsi fra loro: un po’ come nel genere letterario del romanzo (che si afferma nel Settecento), lo scrittore ci presenta storie ricche di contrasti. Tra i compositori che iniziano questo stile sono i figli di Bach, e soprattutto Haydn, Mozart. Beethoven continua questa tradizione, a cui si dà il nome di classica. Ma al tempo stesso introduce toni molto accesi, tanto che questo musicista è considerato l’iniziatore di una età nuova, l’Età del Romanticismo. 227 8 Il Romanticismo 1804 Napoleone è incoronato imperatore 1815 Congresso di Vienna 1824 Muore Byron, simbolo del Romanticismo europeo La testimonianza Quando sento come dal vuoto silenzio a un tratto si snoda una bella fila di note e s’innalza come un fumo d’incenso, si libra nell’aria e di nuovo scende nel silenzio, allora sbocciano e fanno ressa nella mia anima tante nuove e belle immagini che io non posso più contenermi dalla gioia. L’arte dei suoni è per me proprio come il simbolo della nostra vita. Domandate a un musicista perché gode così intensamente dei suoi accordi. “Non è tutta la vita – vi risponderà – un bel sogno? Lo è anche la mia musica.” Per custodire i sentimenti sono state fatte diverse belle invenzioni, e così sono nate tutte le arti. Ma io ritengo la musica come la più meravigliosa di queste scoperte, poiché essa rappresenta i sentimenti umani in una maniera soprannaturale; ci mostra tutti i movimenti del nostro animo. La musica parla una lingua che non sentiamo nella vita ordinaria, l’abbiamo imparata non sappiamo dove e come, e soltanto si potrebbe credere che sia la lingua degli angeli. Wilhelm Heinrich Wackenroder, Fantasie sull’arte per amici dell’arte, 1799 (adattamento) Andrea Appiani (1754-1817), Ritratto di Carolina Pitrot-Angiolini. 1830 Si estende la Rivoluzione industriale 1848 Marx e Engels pubblicano “Il Manifesto del Partito Comunista” Il musicista esprime il proprio mondo interiore All’inizio dell’Ottocento la musica appare ai pensatori la più perfetta delle arti, perché sembra l’unico linguaggio che possa dare vita al mondo interiore degli affetti e delle emozioni; anzi, l’unico in grado di metterci in comunicazione con i misteri dell’universo. La musica è un linguaggio capace di raccontare cose che nessuna parola o immagine potrebbe fare: suggerisce l’intimo significato di una situazione o di un avvenimento, fa capire l’emozione che attraversa l’animo di un personaggio. Così il musicista si sente capace di raccontare storie semplicemente con i suoni degli strumenti: è la musica a programma. Il francese Hector Berlioz (1803-1869) scrive una sinfonia, la Sinfonia fantastica, che racconta una sofferta storia d’amore, e un’altra, Aroldo in Italia, ispirata a un poema, che narra i viaggi in Europa di uno spirito ribelle. Questa idea di comporre musiche orchestrali che raccontino una storia viene sviluppata soprattutto da Franz Liszt (18111886) in una serie di composizioni che chiamò poemi sinfonici: tra questi, I preludi, Faust, Tasso, Dante, Quello che si sente sulla montagna. Parte D La storia Dopo un’età che ha basato le proprie certezze sulla fiducia sulla ragione e sul progresso sociale, politico e culturale, l’Ottocento si apre valorizzando quella tradizione che la Rivoluzione francese voleva cancellare. Il congresso di Vienna progetta una Restaurazione che deve riportare l’Europa indietro di trent’anni, ma le basi del pensiero rivoluzionario francese hanno ormai raggiunto l’intera Europa. Scompare la parola “uguaglianza” ma rimane la parola libertà: libertà del popolo dai vincoli dei governi reazionari della Restaurazione, libertà delle nazioni sottomesse al dominio straniero, libertà personale dell’individuo. Contro gli schemi rigidi della Restaurazione politica, ma anche contro gli schemi della ragione illuminista nasce la cultura del Romanticismo. I romantici rivalutano il sentimento, la fantasia, il sogno e a un’immagine di uomo freddo e calcolatore contrappongono quella di un uomo sensibile e tormentato, passionale ed eroico. Francesco Hayez (1791-1882), Studio di guerriero seduto. Pagina a fronte, in basso, F. P. Tolstoj, Alla finestra in una notte di luna, 1822. L’elemento che i compositori del tempo considerano il più importante in una musica è la melodia: il più possibile cantabile, spesso vicina alle forme popolari. Schubert, Chopin, gli operisti italiani costruiscono melodie di lungo respiro, canzoni o arie di profondo lirismo. Mentre nell’Età classica prevaleva il modo maggiore (il minore era usato per lo più come breve diversivo), ora i due modi si usano con uguale frequenza: il maggiore per espressioni chiare e gioiose; il minore per quelle ombrose e melanconiche (vedi nel volume B, l’unità “I modi”, pag. 68). Ora si sfruttano i livelli estremi di velocità (molto adagio e molto veloce) e le sue variazioni (accelerando, ritardando, rubato). Si usano diffusamente ritmi di danza (scozzese, valzer, mazurka). Anche nella dinàmica si sfruttano i livelli estremi (pianissimo e fortissimo) e i cambiamenti graduali di intensità (crescendo, diminuendo) (vedi nel volume B, l’unità “L’andamento, o velocità. La dinamica”, pag. 22). Il bisogno di dinamismo, di movimento si realizza utilizzando più che mai l’arte della modulazione, ossia del passaggio da una tonalità all’altra. Il musicista del Settecento rispetta schemi precisi: le forme classiche della forma-sonata, del rondò e così via. Il musicista del secolo nuovo sente invece queste forme come catene. La musica deve seguire il libero fluire dei sentimenti; perciò prende “la forma” di questi sentimenti: i sentimenti sono ogni volta diversi, e ogni musica deve avere uno svolgimento diverso da quello di ogni altra. 229 Unità 8 Il Romanticismo Particolare di un dipinto incompiuto di Moritz von Schwind (18041871) che rievoca una delle famose serate musicali che Schubert organizzava spesso in casa di amici. Queste serate venivano chiamate “schubertiadi”. Annibale Gatti, Concerto di Niccolò Paganini. La voce dell’intimità: il pianoforte e la romanza Strumento ideale per i romantici è il pianoforte, sul quale si può produrre una massa di suoni impossibile al violino, al flauto, a ogni singolo strumento dell’orchestra: il pianoforte permette a un solo individuo di esprimere con i suoni le più segrete avventure del suo animo. Franz Schubert (1797-1828) scrive sonate, fantasie e molti pezzi per pianoforte, segnati da una sensibilità intimistica e affettuosa. Trasferisce lo stesso spirito nella musica da camera – nella quale primeggiano stupendi trii, quartetti e quintetti – e anche nelle nove sinfonie, tra cui la celebre Incompiuta. Un altro genere musicale prediletto dagli autori dei paesi tedeschi è il lied (plurale: lieder): romanze per canto e pianoforte, che usano come testi le poesie di autori famosi, come Goethe. Schubert ne scrive più di 600. La loro caratteristica, che spiega l’eccezionale successo nei paesi tedeschi, è di narrare spesso storie sentimentali su melodie chiare, ben riconoscibili, che anche un dilettante poteva cantare in casa sua, accompagnandosi al pianoforte. 1 I virtuosi dello strumento Da un artista che vuole esprimere i misteri dell’universo il pubblico si aspetta prestazioni eccezionali. È così che si afferma nell’Ottocento la figura del virtuoso: l’esecutore capace di autentiche acrobazie sul suo strumento. A dare 230 il via a questa moda è un violinista italiano, Niccolò Paganini (1782-1840). Le folle accorrono a sentire i suoi funambolismi con l’archetto: addirittura si diffonde la leggenda che abbia stretto un patto col diavolo! Paganini non è solo un esecutore: compone personalmente le musiche che suona. La passione del virtuosismo passa dal violino al pianoforte. Il primo e più famoso virtuoso è l’ungherese Franz Liszt. Il suo pianismo spettacolare fu definito “sinfonico” per la grandiosità orchestrale del risultato sonoro. Tutto nasce da una tecnica esecutiva al limite delle possibilità umane: celebri in questo senso sono i suoi Studi trascendentali. 2 Ancora il pianoforte è il grande protagonista della musica del polacco Fr yderyk Chopin (1810-1849). Chopin dà voce alle più intime e delicate emozioni dell’anima romantica, in pezzi per lo più brevi e condotti su ritmi di danza, come valzer e mazurke. Anche Robert Schumann (1810-1856) e Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) scrivono per il pianoforte numerosi pezzi che non si adeguano ai rigidi schemi della forma-sonata ma si svolgono più liberamente, guidati dalla fantasia del compositore. Schumann e Mendelssohn continuano anche la tradizione sinfonica di Beethoven e Schubert. Nel genere delle musiche di scena, realizzate per il teatro di prosa, Mendelssohn scrive il Sogno di una notte di mezza estate, per la commedia di Shakespeare. Parte D La storia 1 Il repertorio del dilettante Non tutta la musica che si scrive nell’Ottocento è pensata per i virtuosi dello strumento. A quel tempo, uno dei divertimenti delle famiglie consisteva nel trovarsi a suonare insieme i brani più attuali del momento. Questa Età è anche quella che vede fiorire una ricca pratica amatoriale, soprattutto per il canto e per il pianoforte. Si contano a migliaia e migliaia i pezzi composti per essere alla portata di ogni esecutore. Spesso questi pezzi si adattano per il pianoforte, a due o a quattro mani: le musiche orchestrali e operistiche allora in voga. Piccolo concerto in casa: protagonista è il pianoforte. 2 Nasce il recital La parola recital per indicare un concerto nasce poco prima del 1840 in Inghilterra. Recital vuol dire “recita”. Un pianista del tempo ci racconta il suo significato originario, il giorno che si reca ad ascoltare Liszt. Non ho potuto ascoltare di nuovo Liszt se non a Londra nel 1840, quando suscitò la perplessità del pubblico annunciando un “Recital di pianoforte”. Questo termine che ora si accetta normalmente non era mai sta- to usato prima, e la gente si chiedeva: “Cosa vuol dire? Come si può recitare sul pianoforte?” Lo spiego subito. Ai suoi recital Liszt, dopo aver suonato un brano in programma, aveva l’abitudine di lasciare il palco e, scendendo nella platea, dove le sedie erano disposte in modo da permettere di muoversi liberamente, camminava tra i suoi ascoltatori e conversava con gli amici, con la garbata condiscendenza di un principe, finché si sentiva pronto per tornare al pianoforte. Charles Salaman, Pianisti del passato, 1901 Una caricatura di Liszt in cui una platea entusiasta composta in prevalenza da donne lo applaude. 231 Unità 8 Il Romanticismo Scenografia per Anna Bolena di Gaetano Donizetti. L’opera lirica diventa popolare Puoi vedere e ascoltare qualche scena da opere di Verdi e Rossini nella videocassetta in dotazione con questo testo. Nell’Ottocento l’opera lirica diventa il genere di spettacolo più importante e popolare. 3 Due erano i tipi: l’opera seria e l’opera comica. Gli argomenti della prima erano coerenti con il nuovo spirito del Romanticismo: amori contrastati, drammi di sangue, tradimenti, passioni patriottiche, storie di innocenti perseguitati, tutti soggetti che permettevano al compositore di rendere in musica le più accese emozioni. Gaspare Spontini (1774-1851) nella sua opera La vestale canta un amore travagliato al tempo dei Romani; Luigi Cherubini (17601842) nella Medea mette in musica il mito greco della donna che, abbandonata da Giasone, per vendetta ne uccide i figli. Spontini riceve da Napoleone un premio di diecimila franchi per la sua opera; Cherubini verrà nominato, dopo la caduta di Napoleone, direttore del Conservatorio di Parigi. 4 In Francia, dove Cherubini e Spontini passano gran parte della loro vita, gli spettacoli operistici sono sontuosi, lunghi, arricchiti da balletti. È il genere del grand-opéra, caratterizzato da grandiose scene corali, dal fasto nelle scenografie e da un gusto speciale per le trame fosche e truci. Il maestro di questo genere è Giacomo Meyerbeer (1791-1864), con lavori come Gli Ugonotti e L’Africana. L’opera seria Scenografia per Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. 232 Il pubblico italiano preferisce un tipo di opera seria meno pomposo, dove i personaggi mettono in mostra in modo diretto i loro sentimenti. In questo genere si affermano Vincenzo Bellini (1801-1835) e Gaetano Donizetti (17971848). Anche loro si ispirano a grandi eventi storici: Bellini in Norma racconta il tragico destino di una sacerdotessa romana abbandonata dall’amante, Donizetti scrive opere sul triste destino della regina Maria Stuarda o di Anna Bolena. Ma quello che sta a cuore all’uno e all’altro sono le situazioni patetiche: per renderle più evidenti agli ascoltatori, entrambi fanno cantare i personaggi su ampie melodie, semplici ma profondamente espressive. Il vertice dell’opera seria italiana è tuttavia rappresentato da Giuseppe Verdi (1813-1901). Le sue opere di carattere storico, tra cui Nabucco, gli procurano subito una grande celebrità; a queste seguono numerose opere che sono ancora oggi le più eseguite nel mondo intero: Rigoletto, Il trovatore, La traviata, Un ballo in maschera, La forza del Destino, Aida, sino alla grande modernità degli ultimi lavori: Otello, eseguita nel 1887, quando Verdi aveva settantaquattro anni, e l’opera comica Falstaff, scritta a quasi ottant’anni. L’opera comica L’opera comica è l’altro importante genere di teatro musicale. Gli argomenti trattati sono il più delle volte storie di imbrogli a lieto fine. Donizetti è autore di capolavori spassosi, tra i quali L’elisir d’amore e Don Pasquale; quest’ultima ripropone uno degli argomenti prediletti fin dal Settecento: il vecchio spasimante di una bella ragazza è beffato dal rivale giovane, che alla fine se la sposa. Un argomento simile è messo in musica nel capolavoro di Gioachino Rossini (1792-1868), Il barbiere di Siviglia. Rossini è il principale compositore di melodrammi di inizio secolo: nelle sue opere dedica una cura particolare all’orchestra, mentre la voce guizza in effetti scoppiettanti di vocalizzi e di note ribattute a gran velocità. L’irresistibile effetto comico della sua musica è reso proprio dalla straordinaria carica ritmica. Rossini, con il Guglielmo Tell e altri lavori, si cimentò anche nel grand-opéra. Parte D La storia 3 Un’industria dello spettacolo Nell’Ottocento, la musica strumentale fiorisce soprattutto fuori dall’Italia. Nel nostro paese è il melodramma a conquistare il grande pubblico. Si costruisce una quantità di teatri, tanto che alla fine del secolo le sale che offrono spettacoli d’opera saranno più di mille! Intorno al melodramma fiorisce una vera e propria industria, gestita da abili impresari. Compositori, cantanti, strumentisti sono ricercatissimi, fin da giovani: proprio come oggi avviene per gli sportivi. Raramente un’opera viene rappresentata per due anni di seguito, e così i compositori lavorano ogni stagione, producendo incessantemente nuovi spartiti. E come oggi succede nello sport, anche i musicisti dell’Ottocen- to operano liberamente nei vari paesi europei: troviamo infatti musicisti italiani che lavorano in Russia, in Germania, e soprattutto in Francia. Rappresentazioni in due teatri europei frequentatissimi nell’Ottocento: a sinistra un balletto a Parigi, a destra una rappresentazione teatrale a Vienna. 4 Chi ha ragione? Mio caro Cherubini, sarete di sicuro un eccellente musicista; ma a dire il vero la vostra musica è così rumorosa e complicata che io non so che farmene. Napoleone Bonaparte I gusti degli ascoltatori sono sempre stati molto diversi fra loro. Ecco come due importanti personaggi giudicavano la musica di Luigi Cherubini. La vera arte non può perire. Il vero artista prova un intenso piacere nelle grandi creazioni del genio. È quello che mi incanta quando ascolto una vostra nuova composizione; in realtà provo un ben maggior interesse in essa che non nelle mie stesse opere. In breve, vi ho a cuore e vi onoro. Ludwig van Beethoven, Lettera a Cherubini, 1823 Mio caro generale, sarete di sicuro un eccellente soldato; ma per quanto riguarda la musica, dovete scusarmi se io non ritengo necessario adattare le mie composizioni alla vostra capacità di comprensione. Luigi Cherubini Luigi Cherubini. Da E. Bellasis, Cherubini, 1874 233 Unità 8 Il Romanticismo Un concerto diretto da Richard Wagner. L’opera tedesca Thomas Lawrence, Ritratto di Carl Maria von Weber, 1824. 234 Per tutto il XIX secolo, l’opera lirica costituì un genere tanto popolare che a volte un musicista allestiva una compagnia di cantanti e suonatori formata dai componenti della sua stessa famiglia. Carl Maria von Weber (1786-1826) comincia da bambino a cantare e suonare musiche operistiche. A soli diciotto anni gli viene affidata la direzione dell’orchestra di Breslavia. Si butta allora in imprese che gli procurano soltanto guai economici, dai quali si risolleva scrivendo i suoi capolavori teatrali: Il franco cacciatore, Euriante, Oberon. Sono storie fantastiche, popolate di fate, maghi, elfi; nel Franco cacciatore compare il diavolo in persona, con cui il protagonista stringe un patto. Caratteristiche di queste opere sono non solo un infallibile senso dell’effetto teatrale, ma anche un gusto originale per i colori orchestrali. Il suo senso del teatro è così forte che anche quando scrive per gli strumenti sembra pensare ai loro giri melodici come alle voci dei personaggi sulla scena. Lo si avverte in particolare nei concerti per clarinetto e orchestra, o per pianoforte e orchestra, come nel celebre Invito al valzer. Richard Wagner (1813-1883) raccoglie l’eredità di Weber nel valorizzare l’importanza dell’orchestra. Il suo ideale è un’opera d’arte totale: ossia uno spettacolo nel quale le parole, la musica, persino la scenografia, devono essere opera di una sola persona. Per questo scrive tutti i libretti delle sue opere, e arriva a farsi costruire un teatro pensato su misura per le sue creazioni. Nella sua intenzione gli orchestrali, con i loro abiti moderni, non devono più stare sul palcoscenico, vicini ai cantanti in costume, come è sempre avvenuto prima: così l’orchestra viene collocata al di sotto del palcoscenico. Il pubblico deve concentrarsi sui personaggi cantanti, in religioso silenzio! Assistere a un’opera per Richard Wagner è come assistere a un rito: un rito nel quale viene esaltata un’umanità speciale, di grandi eroi. Per questo il musicista trae i suoi argomenti dall’antica mitologia germanica, nella quale le divinità competono con esseri umani di straordinario valore. Anche le dimensioni delle sue opere si presentano eccezionali. Il suo Anello del Nibelungo è un’immensa epopea che dura più di quindici ore, formata da quattro opere (Tetralogia): L’oro del Reno, La walkiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei. 5 Parte D La storia 5 Come Wagner costruisce le sue opere Nelle sue opere Wagner associa un particolare motivo musicale a ogni personaggio, e anche a ogni oggetto o situazione particolare: per esempio, la spada di Sigfrido, o l’incantesimo del fuoco. Così, se vuole far capire allo spettatore che un personaggio in quel momento sta pensando alla scena dell’incantesimo del fuo- co, gli basta introdurre il motivo corrispondente: questa tecnica prende il nome di motivo conduttore (leitmotiv). Naturalmente il motivo introdotto non è sempre uguale: ogni volta è modificato in modo da adattarsi alla nuova situazione. Ecco allora come Wagner costruisce le sue opere: combina fra loro i diver- si motivi, ogni volta adattati. Pertanto, la musica che risulta non è più una successione di pezzi ben separati e conclusi; è come un unico, lunghissimo discorso portato avanti dalle voci e dall’orchestra, che si conclude veramente solo alla fine di ogni atto. Questo criterio prende il nome di melodia infinita. Il passato, la Storia, è per il Romanticismo un luogo in cui ci si rifugia per allontanarsi dal presente, da una realtà dura, che minaccia l’esistenza materiale e spirituale dell’individuo. Il romantico si rivolge al passato per trovare una risposta a quei sogni e desideri che il mondo in cui vive non vuole soddisfare. E questo accade nel quadro I vespri siciliani (sotto), dipinto nel 1822 da Francesco Hayez che, per sottolineare l’esigenza di una lot- ta per l’indipendenza dell’Italia, rappresenta un episodio della storia medievale italiana. Il fatto avviene nel 1282: siamo a Palermo, nella Sicilia che la dinastia francese degli Angiò ha conquistato nel 1266; un francese offende una donna italiana e questo gesto scatena una rivolta del popolo siciliano, la cosiddetta “guerra del Vespro”, che caccia lo straniero dall’isola. Notiamo che in Hayez prevale la rappresenta- zione delle emozioni e dei sentimenti dei personaggi. Sia per la teatralità dei gesti dei personaggi e di tutta la scena, sia per le emozioni rappresentate, il quadro può essere considerato un esempio del sentimentalismo tipico del melodramma italiano. A questo stesso fatto storico si ispirò Giuseppe Verdi per realizzare la sua opera I vespri siciliani, messa in scena per la prima volta all’Opéra di Parigi nel 1855. Unità 8 Il Romanticismo Franz Schubert (Austria, 1797-1828) A differenza della maggioranza dei compositori, Schubert trascorre quasi tutta la vita a Vienna, la città vicino a quella in cui è nato. Entra a undici anni come cantore della cappella imperiale e comincia a guadagnarsi da vivere facendo l’insegnante. Ma la musica è la sua irresistibile passione. A diciannove anni ha già composto cinque delle nove sinfonie che ci ha lasciato, quattro messe e tanta altra musica, comprese alcune opere teatrali. Ma il fanatismo del pubblico per la musica di Rossini lo spinge a trascurare il teatro e a dedicarsi soprattutto alla musica da camera. Quartetti, quintetti, musiche per pianoforte sgorgano fluenti dalla sua penna, con una rapidità sorprendente. Il suo nome è legato a un genere che durante l’Ottocento ebbe una straordinaria fioritura nei paesi tedeschi, il lied, la romanza per canto e pianoforte. Schubert ne compone circa 600, tra cui spiccano Il re degli elfi, La trota, Serenata e le raccolte La bella mugnaia, Viaggio d’inverno e Il canto del cigno. TRACCE 36 – 37 8 La canzone della trota È uno dei lieder più famosi di Schubert. Il musicista lo scrisse tanto velocemente, una sera, che l’inchiostro gli cadde sullo spartito, e per poco non cancellò l’intero lavoro. Il testo, del poeta Christian Schubart, racconta una storiella da niente, quella di una trota che finisce preda di un astuto pescatore. Trovi testo e musica alle pagine 244-245. TRACCIA 36 La musica del pianoforte descrive il rapido guizzare del pesce, mentre la voce canta una melodia di sapore popolare. TRACCIA 37 Com’è la musica quando la poesia descrive la cattura? Segna le due risposte corrette: • Il pianoforte ripete accordi secchi • Il modo diventa minore • La voce intona ancora una volta la melodia iniziale TRACCE 38 – 44 8 Quintetto della trota: Andantino Qualche tempo dopo aver composto La canzone della trota, Schubert ci costruì intorno sei variazioni, e le collocò a chiudere una composizione da camera, il Quintetto per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso. TRACCIA 38 All’inizio sentiamo la canzone eseguita solo dagli archi. Seguono le variazioni: TRACCIA 39 Prima variazione Il tema è affidato al pianoforte, mentre gli archi accompagnano con rapidi arpeggi. TRACCIA 40 Seconda variazione Tocca ora a viola e violoncello farci sentire il tema. Il violino sembra preso da una incontenibile frenesia. E il pianoforte cosa fa? • Fa eco al tema • Raddoppia il tema • Esegue rapidi arpeggi 236 Parte D TRACCIA 41 La storia Terza variazione Si scende al registro più grave: ora è il contrabbasso a canterellare il tema, mentre il pianoforte si libra in spericolate acrobazie. TRACCIA 42 Quarta variazione Qui il tema appare mimetizzato, grazie anche a una grossa novità: non è più in modo maggiore, ma alterna il maggiore al minore. Schubert fa anche un’altra cosa; quale? • Fa sentire prima solo gli archi, poi solo il pianoforte • Alterna momenti in fortissimo ad altri in pianissimo • Fa tacere violino e viola TRACCIA 43 Quinta variazione Il disegno del tema si confonde ancora di più. Mentre nelle prime variazioni risaltava chiaramente, ora bisogna “scoprirlo” nei giri degli strumenti: in particolare del violoncello. La musica si fa ora più complessa. Il pianoforte suona per moto contrario: ossia mentre la mano destra esegue accordi ascendenti, la mano sinistra vi si intromette con accordi discendenti. TRACCIA 44 Sesta variazione Se hai ascoltato attentamente la Canzone della trota, non farai fatica a scoprire cosa fa ora Schubert: ci ripropone tale e quale la canzone, con il violino che esegue la parte del canto e con il pianoforte che ci fa sentire per l’ultima volta i guizzi del povero pesciolino. Il castello di Zeliz, residenza di campagna degli Esterházy, in cui Schubert passò l’estate del 1818. Nella lunetta centrale, Schubert è raffigurato mentre impartisce una lezione di pianoforte. 237 Unità 8 Il Romanticismo Niccolò Paganini (Italia, Genova, 1782-1840) “Sulla ribalta abbagliante del Teatro di Vienna comparve l’uomo dal pallore spettrale, dai lineamenti devastati e con gli occhi fiammeggianti. Il suono del suo violino fu una scintilla elettrica che, all’improvviso, lo illuminò come un’apparizione miracolosa nel campo dell’arte. È una stregoneria: si rimane immobilizzati, incatenati alle sue corde.” Così un giornale tedesco dell’Ottocento commenta un concerto dato da Paganini. Paganini comincia a quindici anni la sua carriera di straordinario virtuoso del violino, tanto da far nascere la leggenda che abbia stretto un patto con il diavolo. Oltre al violino, padroneggia altrettanto abilmente la chitarra. E non è solo un esecutore, è anche compositore: ci ha lasciato una quantità di pezzi per violino, solo o accompagnato dalla chitarra o dal pianoforte, e sei concerti con l’orchestra. Il violino stesso è nelle sue mani un’intera orchestra. Ma il virtuosismo spiega solo il lato “diabolico” dello stile di Paganini. Ce n’è un altro: ed è quello di una grande cantabilità, una vena lirica che lo accomuna ai grandi melodisti del tempo, Rossini come Bellini. TRACCE 45 – 49 238 8 Variazioni su un’aria di Rossini Il gusto del canto viene a Paganini proprio dal melodramma. Il pubblico dei concerti strumentali chiedeva spesso agli esecutori delle paràfrasi di melodrammi, oppure variazioni sulle arie celebri. Paganini lo accontentava. Gioachino Rossini disse una volta che se Paganini si fosse cimentato con l’opera sarebbe stato per lui un concorrente ben pericoloso! Ogni sua musica ha i tratti musicali di una scena lirica. Una volta sorprese la principessa Elisa Buonaparte improvvisandole una Scena amorosa tutta speciale: la parte della fanciulla era “cantata” sulla terza corda, quella del focoso amante sulla quarta (la corda più grave, che Paganini prediligeva). Della scena non abbiamo traccia, ma la musica che ascoltiamo qui ci mostra a quale punto potesse arrivare il suo estro. Quando la eseguiva in concerto, Paganini toglieva davanti al pubblico le prime tre corde del violino, e suonava sulla sola ultima corda rimasta. L’aria di Rossini, da cui prende origine la composizione, è una preghiera tratta dall’opera Mosè. È Mosè stesso a cantarla insieme ai congiunti e all’intero popolo ebraico, alla fine dell’opera: e Dio lo asseconda, spalancandogli davanti le acque del Mar Rosso. TRACCIA 45 Paganini ci fa sentire prima l’intera aria, poi fa seguire quattro variazioni. Il tema si riconosce poco in queste variazioni. L’autore prende spunto dalla melodia rossiniana, ma poi la tratta molto liberamente, cambiando ogni volta il ritmo. TRACCIA 46 Nella prima variazione adotta un ritmo saltellante. TRACCIA 47 La seconda si svolge su un ritmo più scorrevole, con rapidi glissandi sulla corda. TRACCIA 48 Nella terza il passo si fa trotterellante. Riconosci in questa variazione un curioso passaggio ottenuto con l’archetto sul ponticello: qual è il risultato? • Note molto gravi • Note molto acute • Glissandi TRACCIA 49 L’ultima è la più rapida, e conduce a un presto palesemente destinato a strappare l’applauso. Parte D Fryderyk Chopin La storia (Polonia, 1810-1849) Nato a Varsavia da una famiglia di origine francese, è, come Mozart, un bambino prodigio, capace di improvvisare al pianoforte con notevole abilità e gusto. E per il pianoforte Chopin scrive quasi esclusivamente le proprie composizioni: ballate, mazurke, valzer, studi, sonate e tante altre. Il pianoforte è lo strumento che gli permette di esprimere tutte le sfumature emotive del suo spirito sensibile, e che accompagna le tormentate vicende della sua esistenza. Nel 1837 il padre della fidanzata Maria si oppone drasticamente alle nozze. Chopin si trova a Parigi, e cade in uno stato di forte depressione psicologica: compone allora la celebre Marcia funebre, che più tardi include nella sua seconda sonata per pianoforte. Si lega alla poetessa George Sand: ma la relazione è burrascosa e finisce malamente. Quando muore, a Parigi, dopo l’ultima tournée pianistica in Inghilterra, una folla immensa segue il suo funerale: il corpo è sepolto a Parigi, ma il cuore, racchiuso in un’urna, viene portato nella sua Varsavia. TRACCE 1–5 9 Cinque preludi op. 28 no 4, 3, 10, 11, 16 Ciò che fa di Chopin uno dei compositori romantici più amati e conosciuti dal grande pubblico è la capacità di raccontare se stesso attraverso la musica e di fare del pianoforte un tramite per aprire agli altri il proprio mondo interiore. L’intensità emotiva colpiva a tal punto i primi ascoltatori da generare nei critici musicali tradizionalisti l’idea che la musica di Chopin contenesse qualcosa di “malato”. “Quale potrebbe essere la particolare influenza della sua musica in chi ne facesse uno studio esclusivo?” si chiedeva un critico. “Non esitiamo a dire: sarebbe dannosa. Chopin è un malato, un malato che si compiace della sua sofferenza e non vuole essere guarito. È pericoloso abbandonarsi al fascino della musica di Chopin. Bisogna sottrarsi in tempo alla tristezza sterile ch’essa provoca.” TRACCIA 1 Preludio no 4 Questa tristezza traspare nel primo dei cinque Preludi che ascoltiamo. Proviene dalla raccolta di 24 Preludi che Chopin scrisse prendendo a modello la raccolta di 24 preludi di Bach. Ma lo spirito è ora completamente cambiato. È un canto doloroso, sostenuto dai pesanti accordi ripetuti dalla mano sinistra. Il canto si ripete in un crescendo d’intensità e di movimento, fino a un culmine drammatico: dopo di che torna a rinchiudersi nella mestizia con cui era iniziato. TRACCIA 2 Preludio no 3 Ma solo pochi Preludi di questa raccolta ci parlano di “tristezze”. Ognuno ha un suo carattere speciale. Il prossimo è più solare e scorrevole. Mentre nel preludio precedente la melodia si presentava chiaramente sopra l’accompagnamento degli accordi, qui la nuova melodia è avvolta in un pulviscolo di suoni: come una linea che si staglia sulle trine di un ricamo. TRACCIA 3 Preludio no 10 Questo preludio è come una festosa danza, formata da un semplice motivo eseguito due volte. Come si presenta la seconda volta? • Come la prima • Chiude in accelerando • Chiude in rallentando TRACCIA 4 Preludio no 11 È il più semplice: ha il carattere di una preziosa canzonetta. TRACCIA 5 Preludio no 16 Qui si rivela un aspetto della personalità di Chopin che esaltava il pubblico: l’accesa passionalità. Le mani percorrono in su e in giù la tastiera in una corsa vertiginosa. Non c’è più una melodia che si possa cantare: è come un fuoco che divampa senza sosta. 239 Unità 8 Il Romanticismo Robert Schumann Il primo numero della Nuova Rivista Musicale fondata da Schumann, uscito il 3 aprile 1834. TRACCE 6 – 13 9 Clara Wieck. 240 (Germania, 1810-1856) Nato in una famiglia di persone amanti della letteratura e della musica, Schumann è a lungo combattuto, incerto su quale delle due arti scegliere. Legge con grande foga le maggiori opere dei poeti tedeschi, e abbozza un romanzo e una tragedia. Ma quando a Francoforte sente suonare Paganini, rompe ogni incertezza e si dedica definitivamente alla musica: anche lui vuole diventare un grande virtuoso del pianoforte. Nella casa del suo maestro di pianoforte, Friedrich Wieck, conosce la giovane Clara, figlia del maestro, anche lei pianista e compositrice; fra i due nasce un amore intenso. Ma Wieck non vuole saperne di dare Clara in moglie a Robert: e questo procura al giovane grandi sofferenze. Solo dopo che si è affermato come pianista e compositore Schumann potrà sposare Clara. Ma la sua ambizione di ottenere sul pianoforte risultati acrobatici, gli procura un grave danno alla mano, tale da costringerlo a interrompere la carriera di interprete. Da allora si dedica alla composizione. Nasce una quantità di opere per il pianoforte, composizioni da camera, 4 sinfonie, il Concerto per pianoforte, e diverse appassionate raccolte di lieder: Amore e vita di donna, Amor di poeta, Mirti. Le sue musiche sono dominate da uno spirito acceso e visionario, che non sempre il pubblico apprezza. Scrivendo articoli di critica musicale e fondando una rivista, la Nuova Rivista Musicale, Schumann sostiene la causa della propria musica e di quella degli altri compositori che come lui aprono alla musica strade nuove. La sua dedizione alla musica è così intensa che finisce per condurlo alle soglie della pazzia: nel 1854 tenta il suicidio, e viene internato in una casa di cura, dove si spegne a quarantasei anni. Concerto per pianoforte e orchestra op. 54: Allegro affettuoso Schumann compose questo concerto fra il 1841 e il 1844, anni per lui fecondi e sereni. Il matrimonio con Clara Wieck si è finalmente celebrato, le sue musiche cominciano a essere apprezzate. Clara è tra le prime a eseguire questo concerto, come avviene in una memorabile esecuzione a Dresda, dove l’orchestra è diretta da Felix Mendelssohn. Nella sua struttura d’insieme, il Concerto di Schumann si attiene accuratamente alla logica architettonica della tradizione classica: due Allegri con in mezzo un Andantino. Ognuno dei due Allegri è nella rigorosa tripartizione della forma sonata: Esposizione – Sviluppo – Ripresa fedele dell’Esposizione: il tutto coronato da un’ampia Coda. Ma sentiamo come Schumann tratta in modo personale questo modello. Parte D La storia Esposizione TRACCIA 6 La composizione si apre con un’introduzione energica e serrata del pianoforte, su cui si staglia il primo tema (a), eseguito dai fiati, che il pianoforte ripete subito: TRACCIA 7 Il clima si riscalda, con la scorrevole melodia dei violini, sul fluente arpeggiare del pianoforte: TRACCIA 8 Cerchiamo ora il secondo tema. In un tradizionale Allegro di sonata impostato in modo minore, il secondo tema si trova di solito quando la musica passa al più aperto modo maggiore. Ebbene, nella zona di modo maggiore di questo Allegro noi non troviamo un tema nuovo, ma lo stesso tema a, con il modo cambiato. Schumann ci ripropone il tema perennemente trasformato: come un personaggio emotivamente acceso, che si ripresenti sulla scena ogni volta imprevedibilmente diverso da se stesso. Sviluppo TRACCIA 9 Quanto in là si spinga Schumann nella trasformazione del suo protagonista lo rivela il gesto inatteso di introdurre lo Sviluppo con un episodio a velocità andante. E anche qui è il nostro tema a figurare, mutato anche nella misura: non più binaria come prima, ma ternaria; giocata in un affettuoso scambio tra pianoforte e clarinetto, mentre i violini fanno eco a ogni frase: L’effetto è di pacificazione, di appagamento: giusto l’opposto di quell’aumento di tensione che caratterizza gli sviluppi degli Allegri classici. TRACCIA 10 Lo Sviluppo continua appassionato. La melodia principale è eseguita dai fiati, fusi con il pianoforte. Ripresa TRACCIA 11 Dopo la ripetizione della prima parte Schumann ci porta in un altro mondo espressivo. TRACCIA 12 Il pianoforte dialoga fra sé e sé, teneramente: la poesia e il vagabondare assorto hanno il sopravvento sul virtuosismo. TRACCIA 13 Giungiamo alla sezione conclusiva, la Coda. Solo il primo inciso del tema viene utilizzato, ripetuto con foga sempre crescente. L’andamento si fa marziale. Quali sonorità emergono qui maggiormente? • Pianoforte • Legni • Ottoni • Archi 241 Unità 8 Il Romanticismo Richard Wagner (Germania, 1813-1883) Molti musicisti hanno incominciato la loro carriera da bambini. Wagner invece studia regolarmente musica solo a partire dai diciassette anni, e matura in fretta il proprio talento. Anche in Germania la musica che va per la maggiore presso il grande pubblico è l’opera, in particolare l’opera italiana. Wagner comincia già a vent’anni a scrivere opere secondo il gusto italiano. Presto però le sue aspirazioni cambiano rotta: nella sua mente va vagheggiando un tipo nuovo di opera lirica, più vicina ai modi del teatro di prosa. Il primo tentativo in questo senso è l’opera Il vascello fantasma. Anche gli argomenti delle opere devono essere diversi da quelli della tradizione italiana: Wagner trova la sua grande fonte letteraria nelle leggende dell’antica epopea germanica. A questa si ispirano Tannhäuser e Lohengrin. Non è facile tuttavia far accettare al pubblico drammi così nuovi, nuovi nella musica e nel testo (Wagner è anche l’autore dei libretti). Il musicista si trova costretto a difendere le sue idee in numerosi libri tra i quali Opera e dramma. È solo nel 1864 che la sua vita cambia: Wagner incontra il re Luigi II di Baviera, che diventa un fanatico sostenitore dei suoi ideali, fino al punto da costruirgli, a Bayreuth, un teatro nel quale rappresentare esclusivamente le sue opere. Il teatro è attivo ancora oggi. Nascono in questi anni la grande epopea dell’Anello del Nibelungo, il dramma passionale Tristano e Isotta e l’opera satirica I maestri cantori di Norimberga. Nell’ultimo periodo della sua vita Wagner coltiva ideali mistici, di cui è documento l’ultima sua opera, Parsifal: la storia del cavaliere senza macchia, custode del sacro Graal. TRACCE 14 – 20 242 9 Il mormorio della foresta In questa opera che celebra le imprese sovrumane di Sigfrido, il leggendario eroe della Saga dei Nibelunghi, Wagner presenta il giovane guerriero alle prese con la magia stupefacente di un bosco a primavera, quando gli uccelli cantano e le brezze fanno dolcemente stormire le fronde degli alberi. Questa scena rappresenta in modo unico l’ideale tedesco che vede nella natura le risposte ai dubbi umani. Sigfrido, che ha appena ucciso il terribile Drago, interroga gli uccelli e questi gli rivelano le trame che i suoi nemici stanno ordendo contro di lui. Così saprà affrontarli e vincerli. TRACCIA 14 Per questa scena, Wagner ha scritto un brano orchestrale che inizia con il cupo mormorio dei violoncelli: il senso della natura che palpita, del vento che stormisce, dei ruscelli che scendono giù per la selva. Su questo mormorio si insinua un motivo sommesso del clarinetto, ripetuto dal corno; lo riprende il clarinetto. Ecco il motivo. È il tema del Fato, che incombe su tutta la vicenda: TRACCIA 15 Quale strumento lo continua, con un nuovo tema? • Il flauto • Il corno • I violoncelli TRACCIA 16 L’atmosfera si riscalda. Sigfrido sente il desiderio di parlare con gli uccelli, e il miracolo si compie. Trilla l’oboe; gli risponde il flauto: Wagner imita qui proprio il richiamo degli uccelli. Ma non è un canto privo di senso per un orecchio umano: Sigfrido capisce. Parte D La storia TRACCIA 17 Wagner realizza questo effetto trasformando il richiamo dell’uccello in un vero e proprio canto, un canto festoso e rassicurante. È il clarinetto a eseguirlo: TRACCIA 18 Ora anche l’oboe aggiunge un suo canto ancora più spensierato: TRACCIA 19 Il dialogo fra i tre strumenti (clarinetto, oboe, flauto) continua a lungo. Sono le voci che raccontano all’ignaro Sigfrido ciò che sta succedendo intorno a lui. Cresce l’emozione, crescono lo stupore di Sigfrido e la sua voglia di cimentarsi con i nemici. TRACCIA 20 Sul fondo dei mormorii della foresta echeggia un tema eroico: il tema stesso di Sigfrido guerriero: A poco a poco la scena si placa. Sigfrido può abbandonarsi al sereno incanto della natura. Herman Hendrich, Sigfrido lotta contro il drago. 243 Unità 8 Il Romanticismo Esperienze Il mondo dell’opera lirica raccoglie intorno a sé una quantità di appassionati. Ancora oggi si allestiscono nei principali teatri del mondo spettacoli d’opera. Conduciamo un’inchiesta sul mondo dell’opera: chi organizza gli spettacoli? Chi sono i cantanti più apprezzati? Quali opere vengono più rappresentate oggi? PORTFOLIO Le opere italiane del teatro di prosa occupano uno spazio minimo nei cartelloni dei teatri stranieri. Non è così per l’opera lirica: le opere italiane sono le preferite, anche se vengono cantate in italiano. È grazie all’opera lirica che la nostra lingua è conosciuta all’estero. Facciamo una verifica, cercando su riviste e in Internet i cartelloni dei teatri d’opera stranieri (vedi anche “Viaggi musicali in Internet”, pag. 146). Eseguiamo anche noi Franz Schubert, La canzone della trota. 244 Parte D 1. Nell’acqua trasparente guizzava proprio a me vicin un pesciolin lucente, felice del suo destin. Mi siedo allora sulla sponda, lo guardo, e lui che cosa fa? Si lascia andare all’onda, poi salta qua e là. La storia 3. Ma perde la pazienza il pescator: intorbida il torrente e allor come ha fatto, chi lo sa? La trota presto abbocca. Oplà, ha finito di guizzar. 4. Con un limone in bocca nel desco finirà. 2. Ma un pescator la lenza s’accinse allora ad apprestar A tavola vieni che si mangia, la cena è pronta già. e con indifferenza lo stava ad osservar. “Se l’acqua resta sempre chiara, pensai, per lui non v’è timor: invano si prepara quell’amo traditor.” ricapitoliamo Nel primo Ottocento si afferma in Europa il bisogno di libertà, individuale e sociale. Gli artisti aspirano a sentirsi liberi dalle regole codificate e a esprimere la propria interiorità. Romanticismo è il nome che si dà a questo movimento culturale. Il pianoforte è lo strumento ideale che permette a un solo musicista di esprimere le sfumature degli stati d’animo. Il lied, canto accompagnato dal pianoforte, ha una straordinaria fioritura nei paesi tedeschi. Si afferma il gusto per il virtuosismo strumentale in tutti gli strumenti, ma specialmente nel violino e nel pianoforte. Si compongono numerose musiche a programma, in particolare poemi sinfonici, musiche che descrivono situazioni o raccontano storie. Il melodramma diventa in Italia il genere musicale più diffuso e popolare. Operisti italiani lavorano per i principali teatri europei. Mentre in Italia, soprattutto per merito di Giuseppe Verdi, si preferisce un melodramma che dà importanza ai sentimenti dei personaggi, in Francia si afferma il grand-opéra, uno spettacolo fastoso, ricco di scene corali e di danze. All’opera seria si affianca l’opera comica, che ha il suo insuperato protagonista in Gioachino Rossini. In Germania Richard Wagner crea complesse opere totali (ossia scrive lui stesso le parole, la musica, le indicazioni per le scenografie); il motivo conduttore e la melodia infinita sono caratteristiche del suo stile. 245 9 L’Età delle Scuole nazionali 1853 Il Giappone si avvia a diventare una grande potenza 1861 Proclamazione del Regno d’Italia 1861 Inizia la guerra di secessione americana La testimonianza Un importante aspetto caratterizza la nostra nuova scuola: la sua ricerca di un carattere nazionale. Non lo si può trovare in alcun’altra scuola europea: lì il canto popolare, l’espressione spontanea e diretta del popolo, va scomparendo. Una volta esisteva, ma ci è passata sopra la falce livellante della cultura europea, così nemica di tutto ciò che sta alle radici della musica popolare, tanto che ora occorrono gli sforzi di archeologi musicali per scovare i resti dei vecchi canti popolari in qualche remota provincia. Da noi in Russia la faccenda è tutta diversa. I canti popolari riempiono l’aria in ogni luogo. Ogni contadino, ogni carpentiere, ogni muratore, custode, cocchiere, ogni lavandaia, ogni cuoca, ogni balia: tutti portano i loro canti nativi nelle città. Quasi tutti i più significativi compositori russi, come Musorgskij e Rimskij-Korsakov, nati nelle campagne, hanno subito la profonda influenza di questi canti, e ora possono creare la musica a loro più congeniale e cara, cioè nello stile popolare russo. Per essere nazionale infatti, per esprimere l’anima e lo spirito di una nazione, la musica deve assorbire linfa dalle radici della vita di un popolo. Vladimir Stasov, Opere scelte, 1894 (adattamento) 1871 Guglielmo I imperatore di Germania 1909 Parte il primo Giro d’Italia Lo stile “universale” del Settecento lascia il posto a stili nazionali Fino alla metà dell’Ottocento, il tipo di linguaggio musicale era simile in tutti i paesi europei: in Italia come in Germania, in Francia come in Boemia i musicisti parlavano per così dire una medesima lingua. Lo stile musicale era “universale”. Per esempio la forma-sonata era un modello praticato dappertutto. Ciò era vero per i musicisti “classici”, quelli che proponevano le loro opere nelle corti e nelle sale da concerto. Fra le classi più umili in città, e soprattutto in campagna, non era così: ogni popolo aveva usanze, canzoni, danze, folklore diversi da quelli di ogni altro popolo. I compositori della seconda metà dell’Ottocento non accettano più di parlare tutti la medesima lingua musicale: eccoli impiegare certe forme tipiche del folklore. In questo modo sentono di valorizzare le tradizioni del proprio paese. La Scuola russa La Russia si era aperta nel Settecento alla cultura occidentale: il genere musicale che più conquistava i gusti del pubblico aristocratico era il melodramma, specialmente italiano. Numerosi musicisti italiani erano così invitati alla corte imperiale. È solo verso la metà dell’Ottocento che anche in Russia si creano scuole superiori di musica, con l’intenzione di promuovere una produzione musicale nazionale. Si scrivono i primi melodrammi in lingua russa e su argomenti tratti dalla storia russa. Intorno al 1860 un gruppo di musicisti, che si autoproclama L’invincibile banda (il cosiddetto Gruppo dei Cinque) si propone di contrastare il predominio della musica tradizionale occidentale, e di valorizzare invece l’originalità espressiva del popolo russo. Il gruppo era costituito da: Musorgskij, Rimskij-Korsakov, Balakirev, Cui e Borodin. Parte D Nella seconda metà dell’Ottocento lo sviluppo industriale iniziato in Inghilterra si estende a tutto il continente, favorito da una serie di grandi scoperte scientifiche e di novità tecniche. Mezzi di trasporto sempre più veloci facilitano i collegamenti, si formano le prime grandi metropoli abitate dal proletariato e da una borghesia che con lo sviluppo dell’industria diviene la classe dominante. Il benessere in cui la borghesia si adagia fa coniare per l’epoca tra Ottocento e Novecento l’espressione Belle époque. Italia e Germania, finalmente indipendenti, diventano anch’esse protagoniste della politica internazio- In piena Belle époque, al Teatro alla Scala di Milano va in scena il Ballo Excelsior che è un inno al progresso. A destra, il frontespizio di una raccolta di disegni che illustrano la rappresentazione. Molti compositori attingono largamente le loro melodie al repertorio dei canti popolari dei diversi paesi. Altri invece, come Johannes Brahms, rimangono più legati alla tradizione dei motivi brevi, da sviluppare sapientemente, che era tipica di Beethoven e dei suoi successori. Anche le danze popolari nazionali offrono molto materiale al rinnovamento dei ritmi. Troviamo ritmi instabili, che tendono a volte a evitare i regolari accenti della misura: soprattutto nei paesi emergenti dell’Est europeo. Mentre Wagner La storia nale, dominata dalla Francia e dall’Inghilterra. La seconda metà dell’Ottocento è quella in cui anche gli artisti e le persone di cultura esaltano le tradizioni del proprio paese: l’identità nazionale del popolo, la sua cultura, sono considerati l’unico antidoto contro una società industriale in cui conta solo il denaro. adoperava le modulazioni in forma esasperata per creare uno stato di continua tensione, i compositori dell’Est cercano bruschi contrasti di tonalità, mediante un uso drammatico delle dissonanze. Per quel che riguarda la forma: le costruzioni dell’età classica si basavano sulla tensione che si crea fra la tonica e la dominante: si partiva dalla tonica (stato di quiete), si passava alla dominante (tensione) per concludere acquietandosi sulla tonica. Ora si tende, anche nei pezzi in forma-sonata, a disporre l’uno dopo l’altro blocchi equivalenti e autonomi, costruiti su un confronto più libero di idee musicali diverse. Una riunione di musicisti russi tra i quali si riconoscono gli appartenenti alla “Invincibile banda”. Da sinistra: Musorgskij (di fronte alla cantante), Rimskij-Korsakov (con in mano uno spartito), Stasov e Cui (in piedi), Borodin (seduto con le gambe accavallate). 247 Unità 9 L’Età delle Scuole nazionali Scenografia realizzata da Konstantin Korovin (1861-1939), famoso pittore e scenografo russo, per il primo atto del Boris Godunov di Musorgskij. Gli ideali dei “Cinque” Smetana in una curiosa incisione che lo vede ritratto al centro di un gruppo di orchestrali. 248 Le opere dei compositori russi, scritte per il teatro ma anche per orchestra e complessi da camera, non solo si ispirano alla storia del loro paese, ma utilizzano anche motivi popolari russi. I più illustri sono Aleksandr Borodin (18331887), Nikolaj Rimskij-Korsakov (1844-1908), e il più originale e geniale, Modest Musorgskij (1839-1881). Il massimo capolavoro musicale scritto con quegli intenti è l’opera Boris Godunov di Musorgskij. Il loro stile influenzerà le successive generazioni di compositori, contribuendo a rinnovare profondamente il linguaggio musicale del Novecento. 1 Ma non tutti in Russia erano favorevoli a staccarsi dalla tradizione occidentale. Soprattutto Pëtr Il’ic Cajkovskij (1840-1893), da un lato riprende gli ideali dei “Cinque”, per esempio con l’Ouverture 1812, che esalta la vittoria dei Russi sull’armata di Napoleone nel 1812; dall’altro scrive sinfonie e concerti di impianto tradizionale, in cui inserisce momenti di intensa emotività, come avviene nella celebre Sinfonia patetica. Dall’Occidente assorbe anche la grazia dei ritmi di danza e il gusto per le melodie cantabili, che impiega con i suoi balletti (La bella addormentata, Il lago dei cigni, Schiaccianoci). 2 In Boemia e in Scandinavia, fra tradizione occidentale e spirito locale Anche negli altri paesi dell’Est europeo i musicisti tendono a fondere la tradizione operistica e sinfonica occidentale con gli elementi della loro civiltà. La scuola più stimata è quella boema. In Boemia un musicista come Bedrich Smetana (1824-1884) scrive la prima grande opera nazionale ceca, La sposa venduta, e un ciclo di poemi sinfonici che intitola La mia patria: tra questi emerge La Moldava, che descrive il corso del fiume, affluente del Danubio. Una generazione dopo, è Antonín Dvorák (18411904) a portare avanti l’insegnamento di Smetana. Alla sua patria dedica una brillante raccolta di pezzi sinfonici, le Danze slave. 3 Nei paesi nordici la sintesi fra tradizione e spirito locale è opera di compositori come il norvegese Edvard Grieg (1843-1907), che raggiunge la più alta fama quando il massimo scrittore norvegese, Henrik Ibsen, lo invita a scrivere le musiche di scena per la commedia Peer Gynt, basata su elementi delle leggende popolari scandinave. Parte D 1 Il musicista chirurgo La vita musicale nella Russia dell’Ottocento era così povera che un compositore non poteva vivere solo delle sue opere, ma doveva cercarsi un altro lavoro. Aleksandr Borodin era scienziato e chirurgo. Ma che la sua passione fosse molto più la musica che la chirurgia lo rivela un fatto che gli capitò in ospedale. Un giorno gli si presentò il cocchiere di un alto ufficiale a cui era rimasto per traverso un osso di pollo. Mentre Borodin lo operava, l’ar- 2 nese malandato che stava utilizzando si ruppe nella gola del paziente. E il musicista-chirurgo ci mise un po’ per liberarlo. Racconta Borodin: “Il cocchiere mi si buttò in ginocchio, e io durai fatica a non fare lo stesso. Pensate cosa mi sarebbe successo se la pinza gli si fosse conficcata in gola! Sarei passato per la corte marziale e spedito difilato in Siberia!” Aleksandr Porfirievic Borodin. La doppia vita dell’artista Nel momento della creazione, è indispensabile all’artista la massima tranquillità: si inganna chi crede che un artista sia in grado di esprimere le sensazioni che prova nel momento stesso dell’emozione. Tanto i sentimenti di gioia quanto quelli di tristezza non si possono rendere se non retrospettivamente. Io sono capace di lasciarmi prendere da un estro creativo pieno di serenità e di letizia senza avere una particolare ragione di gioia; come al contrario comporre un’opera dalle tinte fosche e malinconiche in un momento assolutamente pacifico. 3 La storia In altre parole, l’artista ha come due esistenze: quella dell’uomo comune e quella dell’artista; esistenze che non sempre si accordano. Comunque sia, la condizione essenziale per creare è questa: liberarsi da tutte le preoccupazioni della vita quotidiana e abbandonarsi totalmente all’altro tipo di vita, la vita dell’arte. Pëtr Il’ic Cajkovskij, Lettera a Nadesha von Meck, 1878 Pëtr Il’ic Cajkovskij. Lo spirito slavo Tutte le composizioni di Dvorák sono segnate da un particolare carattere: sono nostre, sono ceche, sono slave. Tuttavia il carattere slavo della musica di Dvorák emerge in un modo speciale, senza affettazione: la semplicità naturale della sua musica è la magia che cattura l’ascoltatore. Dvorák non è il primo a imprimere alla musica il carattere slavo, ma la sua originalità sta nell’incantevole inventiva melodica, mentre l’effetto d’insieme è elettrizzante. Dvorák è l’araldo della patria ceca, ché è stato capace di portare la nostra arte all’attenzione degli ambienti più ampi. Da un articolo pubblicato sulla rivista ceca La Lira, 1892 Antonín Dvorák. 249 Unità 9 L’Età delle Scuole nazionali In Francia alla tradizione teatrale si affianca una nuova scuola sinfonica Il costume di Plutone, cocchiere degli Inferi per l’operetta Orfeo all’Inferno di Offenbach. Il pubblico francese continua a prediligere gli spettacoli sontuosi del grand-opéra. Ma si fa strada anche il gusto per vicende ispirate alla realtà più quotidiana, alle storie di sentimenti e di passioni sul genere della Traviata di Verdi. Charles Gounod (1818-1893), con il suo Faust, ricorre alla storia grandiosa del pensatore che stringe il patto col diavolo: però quello che gli sta più a cuore sono i sentimenti anche più teneri dei suoi personaggi. Georges Bizet (1838-1875) con la sua Carmen, il capolavoro del teatro francese ottocentesco, non esita a mettere in scena la drammatica e realistica vicenda di un amore travolgente. Camille Saint-Saëns (1835-1921) è autore, oltre che dell’opera Sansone e Dalila, anche di una quantità di musiche strumentali rispettose della tradizione classica, e di pagine spiritose come il celebre Carnevale degli animali. Più intime e delicate sono le opere di Jules Massenet (18421912), come Manon e Werther. Un musicista che scrive poco per il teatro è invece Gabriel Fauré (1845-1924), che si dedica soprattutto alla musica da camera, per piccoli complessi, per pianoforte, per il canto; il suo Requiem è pervaso da una spiritualità serena e classicheggiante. In Francia e Austria fiorisce l’operetta Il can can. 250 Dopo il 1870, anno in cui la Francia è sconfitta dai Prussiani, inizia un felice periodo di pace. È la cosiddetta Belle époque. I popoli sono stanchi di guerre e amano divertirsi con spettacoli leggeri e divertenti. Da una ventina d’anni fiorisce un genere di teatro musicale che mette in burla i costumi e le abitudini del tempo: l’operetta. Ora questo genere raggiunge un successo strepitoso. Qui i dialoghi sono per metà parlati, per metà cantati su musiche facili e orecchiabili. Jacques Offenbach (1819-1880), il più famoso autore di operette, ne compone più di cento. A volte si diverte a prendere in giro i miti greci, come in Orfeo all’Inferno: Orfeo scende nell’Oltretomba a supplicare che gli restituiscano Euridice, morta da poco; ma le divinità infer- nali se ne guardano bene, e organizzano una grande festa nella quale Euridice ballerà insieme a tutti gli altri una danza scatenata, il celebre can can. L’operetta fiorisce anche in Austria, soprattutto per merito di Johann Strauss junior (1825-1899), famoso, tra l’altro, per i suoi innumerevoli, gioiosi valzer: operette ancora oggi rappresentate sono Il pipistrello e Sangue viennese. L’operetta continuerà a godere di una grande fortuna anche nei primi decenni del Novecento, in cui si afferma l’ungherese Franz Lehár (1870-1948), con la sua Vedova allegra. In Germania ai continuatori di Wagner si contrappongono musicisti legati al mondo classico In Germania, Richard Wagner domina le scene. Il suo linguaggio passionale e grandioso ispira i musicisti più giovani, in particolare Anton Bruckner (1824-1896), che lo riprende nelle sue sinfonie e nelle numerose composizioni sacre, permeate di una intensa spiritualità. Ma non tutti sono favorevoli a uno stile musicale così carico di emozioni. Nei paesi tedeschi ci sono musicisti che preferiscono uno stile più severo; e per realizzare il loro ideale riutilizzano le forme della tradizione classica, basate sulla forma-sonata. Il più importante compositore di questa tendenza è Johannes Brahms (1833-1897), autore di quattro sinfonie, di concerti e di una ricca collana di musiche da camera. Nella sua musica però non si sente solo la grande abilità costruttiva: si avverte un mondo di sentimenti, ora patetici, ora tragici, ora festanti, che Brahms lascia trapelare con discrezione, senza farli esplodere, come fa invece Bruckner. 4 5 Parte D 4 Foto con dedica no mandò la moglie a chiedergli una sua foto con tanto di autografo. Pochi giorni dopo Brahms le consegnò un ritratto sul quale aveva abbozzato le prime battute del valzer Sul bel Danubio blu; sotto c’era la sua firma, preceduta dall’esclamazione: “Ahimè, non sono di Johannes Brahms!” Bruckner aveva un carattere ingenuo come quello di un bambino, e credeva a tutto quello che gli dicevano. Approfittando della sua assenza per il pranzo, i suoi allievi decisero di organizzare uno scherzo. Bruckner aveva un cagnolino di nome Mops: gli allievi gli suonavano ogni giorno, in continuazione, un tema di Wagner, e a ogni ripetizione gli davano una pacca e lo cacciavano. Poi gli suonavano l’inizio del Te Deum di Bruckner, e nel frattempo lo coccolavano e gli davano un boccone dei loro panini. Inutile dire a quale delle due musiche andasse la preferenza di Mops. Quando fu addestrato per bene, scattò l’operazione. “Caro maestro, sappiamo quanto voi siate devoto a Wagner, ma noi crediamo che la vostra musica valga molto di più. Anche un cane è in grado di riconoscerlo!” Il maestro arrossì, ma li prese sul serio: li rimproverò, ripetendo che Wagner era il più grande musicista mai esistito. Ma fu anche incuriosito per come un cane potesse avere preferenze. Era il momento che gli allievi aspettavano. Suonarono il tema di Wagner, e si vide Mops precipitarsi fuori della stanza. Poi alle note del Te Deum il botolo rientrò di corsa scodinzolando, e si sollevò sulle zampe posteriori davanti al pianoforte. Bruckner ne fu commosso. A metà dell’Ottocento un gruppo di pittori francesi, fra i quali spicca Daumier, decide di farla finita con il modo di dipingere dominante: abbandonano i tradizionali temi mitologici e storici per cogliere la realtà presente. Nasce così il Realismo, un movimento che influenza tutta l’arte. Il popolo, colto nei suoi momenti di vita quotidiana, è il soggetto preferito dai rea- listi, che lo rappresentano in modo oggettivo, addirittura calcando la mano sulla sua “bruttezza”, che viene in questo modo valorizzata. Anche i pittori tradizionalisti, per esempio Bouguereau, si cimentano con lo stesso tema ma il risultato è ben diverso. Nelle loro opere il popolo è rappresentato in modo da non turbare i borghesi benpensanti; la loro pittura vuole comunicare che anche il povero ha una dignità umana, ma alla fine dimentica che la povertà è degradante. E i benpensanti furono ugualmente turbati quando il musicista Bizet mise in scena una popolana, Carmen, che non corrispondeva alla loro immagine di donna del popolo, perché si mostrava libera, indipendente e lottava per decidere da sé il proprio destino. Brahms non perdeva mai l’occasione di ascoltare i concerti pomeridiani di Johann Strauss. Strauss considerava Brahms un maestro, e un gior- 5 La storia Il cane di Bruckner Honoré Daumier, Partita a dama. William Adolphe Bouguereau, Famiglia povera, 1865. Unità 9 L’Età delle Scuole nazionali Pëtr Il’ic Cajkovskij (Russia, 1840-1893) A metà Ottocento la popolazione russa è formata nella stragrande maggioranza da contadini. Perciò la musica classica non può ancora contare su un ampio pubblico: e dunque uno non può mantenersi solo facendo il compositore. Cajkovskij sente fin da bambino una grande passione per la musica, ma è costretto allo studio del diritto, per diventare avvocato. Per sua fortuna ha un padre che lo capisce, e che con i suoi guadagni gli permette di dedicarsi solo alla musica. Le cose cambiano quando il padre subisce un rovescio finanziario, e l’adorata madre muore durante un’epidemia di colera: Pëtr comincia a sentirsi perseguitato da un maleficio, e questo sentimento lo accompagnerà per tutta la vita. Quando si sposa, anche la relazione coniugale si rivela disastrosa. Intanto ha ottenuto un posto di insegnante a Mosca, e può dedicarsi alla composizione: il poema sinfonico Romeo e Giulietta, l’Ouverture 1812 che celebra la ritirata di Napoleone dalla Russia, le opere liriche La dama di picche e Eugenio Onieghin. Nella sua vita entra la fortuna quando la ricca vedova Nadezda von Meck, senza averlo mai conosciuto di persona, gli elargisce una rendita fissa purché continui a comporre: tanto è entusiasta della sua musica. Cajkovskij si è già affermato come straordinario autore di musiche per balletto, con il suo Lago dei cigni; a queste si aggiungono ora le musiche per La bella addormentata e Schiaccianoci. Ma l’ossessione che lo perseguita fin da ragazzo prende il sopravvento: l’ultima, fra le sei sinfonie da lui composte, che porta il titolo di Patetica, rivela un tragico senso di desolazione. TRACCE 21 – 25 9 Una scena del balletto La bella addormentata. La bella addormentata: Suite dal balletto Cajkovskij compose queste musiche nel 1889, in mezzo alle sue due maggiori opere liriche, Eugenio Onieghin e La dama di picche. Sono pezzi che accompagnano le scene di un balletto. La vicenda narrata è quella della celebre fiaba di Perrault, dove la bella è colpita da un sortilegio che solo il bacio del principe potrà annullare. Più tardi le musiche più interessanti furono raccolte in una suite. Le parole che l’autore scrisse in una lettera indirizzata all’amica Nadezda von Meck ci fanno capire quanto Cajkovskij abbia sentito e amato questa composizione: “Sento profondamente che la musica per questo balletto è una delle mie opere migliori. La trama è così poetica e si presta così bene a essere musicata che ne sono stato fortemente emozionato mentre stavo componendo. Solo l’amore e l’entusiasmo con cui ho lavorato potevano generare un’opera di qualità così elevata.” Primo episodio TRACCIA 21 252 Nella reggia si sta festeggiando la nascita della principessina Aurora. Tutte le fate sfilano davanti alla culla, portando i loro doni. Ma la musica ci porta direttamente al momento in cui la fata cattiva Carabosse fa il suo inaspettato ingresso nel castello e in un lampo distrugge la gioia dell’evento. Il tema musicale che la accompagna è sinistro e carico di tensione. Parte D La storia Ma il rimedio sarà presto trovato: la Fata dei lillà riuscirà infatti a mitigare il tremendo maleficio di Carabosse: quando Aurora si pungerà, anziché morire si addormenterà per un secolo e sarà destata dal bacio di un principe. Il corno inglese intona una cullante melodia: Quali strumenti lo ripetono poi, sull’accompagnamento dell’arpa? • I flauti • I corni • Gli archi Secondo episodio TRACCIA 22 S’intitola l’Adagio della rosa, ed è tratto dal primo atto. L’Introduzione è affidata all’arpa, come avviene spesso in Cajkovskij; poi prende il via l’episodio vero e proprio, maestoso e altisonante, con il tema principale eseguito forte dagli archi: L’atmosfera diventa via via più concitata, fino a giungere all’apice dell’emozione quando l’orchestra esplode in un fortissimo; il tema passa ai fiati e gli archi sottolineano la tensione con un vibrato a cui si associano anche timpani e tamburo con un rullio ininterrotto. Terzo episodio TRACCIA 23 Il terzo brano ci presenta due personaggi singolari. L’autore del balletto infatti ha immaginato che alla festa della principessa partecipino anche i protagonisti delle fiabe più famose. Ecco allora davanti a noi il Gatto dagli stivali. Lo troviamo in una situazione delicata: sta facendo la corte alla Gatta bianca. Avranno successo le sue moine? Decidi tu, ascoltando come va a finire la musica. • Si • No Quarto episodio TRACCIA 24 Accompagna l’arrivo del principe al castello di Aurora, su questo tema: Come appare il principe, con questa musica? Sottolinea gli aggettivi che ti sembrano più adatti: irruente appassionato timido allegro sentimentale sorridente Quinto episodio TRACCIA 25 L’ultimo brano della suite è il Valzer che tutti gli invitati ballano nella reggia durante i festeggiamenti per la principessa Aurora. A una vorticosa Introduzione fa seguito il tema, che è uno dei più famosi valzer, in grado di competere con i più belli del “re del valzer”, Johann Strauss. 253 Unità 9 L’Età delle Scuole nazionali Bedrich Smetana (Boemia, 1824-1884) Nelle famiglie borghesi dell’Ottocento capita spesso che nei momenti liberi dal lavoro ci si trovi a fare musica insieme: così avviene nella famiglia di Smetana, che a sette anni già partecipa alle esecuzioni suonando il pianoforte. Quella che oggi è la Repubblica Ceca, allora era una regione dell’Impero Asburgico, come l’Ungheria o il Lombardo-Veneto. Una volta diventato musicista Smetana pensa di dedicare la sua opera musicale al riscatto della sua terra dal dominio asburgico. Durante le rivoluzioni che sconvolgono l’impero negli anni 1848-1849 (gli anni in cui anche il Piemonte entra in guerra contro l’Austria, nella Prima guerra d’indipendenza), Smetana fa parte della guardia nazionale ribelle al governo centrale. La rivolta viene domata e Smetana passa il periodo più triste della sua vita, reso drammatico dalla morte della sua bambina: questo evento gli ispira il doloroso Trio per violino, violoncello e pianoforte. Nel 1860 il popolo insorge ancora, e stavolta l’imperatore è costretto a concedere la costituzione. Smetana continua a sostenere la causa del suo paese proprio attraverso la musica: sceglie argomenti ispirati alla sua terra, e inserisce nelle composizioni motivi e ritmi tratti dal folklore boemo. Nascono così l’opera teatrale La sposa venduta e il ciclo La mia patria, al quale appartiene il poema sinfonico La Moldava. TRACCE 26 – 31 9 La Moldava a Praga. 254 La Moldava La Moldava è il secondo poema sinfonico di un ciclo composto da Smetana in onore della sua terra. Gli altri sono: Vysehrad, dal nome del celebre castello carico di antiche leggende; Sárka, che narra la tremenda storia della regina che odiava gli uomini; Dai campi e dai prati di Boemia, un delicato idillio pastorale; Tábor, che rievoca l’eroismo di Jan Hus, il riformatore della chiesa slava, e infine Blaník, la montagna dell’epopea nazionale cèca. Moldava è il nome del fiume che attraversa la Repubblica Ceca. Smetana segue idealmente il suo percorso dalla sorgente alla confluenza nell’Elba; e commenta con la musica le situazioni che si affacciano via via. Così le descrive lo stesso compositore: Due sorgenti sgorgano all’ombra della foresta boema: l’una calda e gorgheggiante, l’altra fredda e tranquilla. Le allegre correnti, mormorando tra le fronde, si uniscono e brillano ai primi raggi del sole mattutino. Il rapido ruscello diviene così il fiume Moldava che, sempre più grande, scorre attraverso fitti boschi, ove si ode un lieto rumore di cacce in mezzo agli ubertosi pascoli e alle pianure. Là fra allegri suoni di canti e di danze, si celebra una festa nuziale. Nella notte le ninfe dei boschi e delle acque giocano al chiaro di luna, fra le onde luccicanti in cui si riflettono i gravi castelli e i palazzi testimoni della passata grandezza dei cavalieri e delle guerre gloriose. Nella gola di San Giovanni il fiume serpeggia rovesciandosi nelle cateratte, aprendosi a forza la strada attraverso le fratture delle rocce; poi torna a scorrere tranquillo nel suo letto fatto più ampio, dirigendosi con maestosa calma verso Praga, e, salutando al suo passaggio il vecchio e superbo castello di Vysehrad, si perde nella vasta lontananza, scomparendo alla vista del poeta. Parte D La storia La Moldava è una delle pagine “geografiche” più celebri, una delle più semplici per la sua immediatezza e per la cantabilità dei suoi motivi. Il primo, che ritornerà più volte nel corso della composizione, assomiglia da vicino a un’antica melodia napoletana, anch’essa in modo minore, Fenesta ca luciv’e: TRACCIA 26 La composizione non incomincia con questo tema. Sentiamo un agile motivo del flauto, a cui si aggiunge presto il clarinetto: sono le due sorgenti nominate da Smetana. TRACCIA 27 Poi il ruscello diventa fiume, acquista un volto: è il volto dolce e malinconico fissato dall’autore con la melodia dell’esempio precedente. TRACCIA 28 Corni e legni, sempre meno lontani, annunciano la Caccia nella foresta, che conduce direttamente alla terza sezione, Notte di contadini, scandita dal passo rapido di una rustica e gaia danza paesana: TRACCIA 29 Dopo un fortissimo, si apre la parte centrale del poema, Chiaro di luna – danza di ninfe: un’atmosfera di incantato notturno. Il musicista sembra osservare i tremolanti riflessi dell’acqua sotto i raggi della luna. Come ottiene questo effetto? • Con un tremolo sul piatto sospeso • Con le rapide note di due flauti • Con i trilli dei violini TRACCIA 30 Il tono emotivo della musica si fa più carico e gonfio all’approssimarsi delle Cascate di San Giovanni. Questa è la parte più movimentata dell’opera, con i suoi vorticosi glissandi degli archi. TRACCIA 31 La Moldava torna a scorrere ampiamente: passa davanti allo storico castello di Vysehrad, richiamato dallo squillo trionfale degli ottoni, e sfocia placida e meravigliosa nell’Elba. Come diventa ora il tema? • Diventa più lento • Diventa più agitato • Passa dal modo minore al maggiore Il castello di Vysehrad. 255 Unità 9 L’Età delle Scuole nazionali Nikolaj Rimskij-Korsakov (Russia, 1844-1908) Con il padre e un fratello maggiore ufficiali di marina, anche il giovane Nicolaj non sa sottrarsi al richiamo dell’avventura sugli oceani. Frequenta la Scuola navale ed entra come ufficiale nell’Imperial Marina. Ma c’è un’altra cosa che lo attrae quanto il mare: l’opera lirica. Quei personaggi che cantano sulla scena le loro gioie e i loro dolori lo affascinano a tal punto che sente il bisogno di partecipare di persona alla creazione di nuove opere. Dentro di sé sente echeggiare le melodie dell’opera italiana, di Rossini e Donizetti. Ma un altro patrimonio di melodie si mescola al primo: i canti popolari della sua terra. Per un po’ porta avanti insieme la carriera militare e gli studi musicali, che gli procurano presto un posto di insegnante nel Conservatorio di Pietroburgo. Poi, a trent’anni, la grande decisione: si dedicherà solo alla musica. Le vicende che vuole mettere sulle scene non sono quelle passionali dell’opera italiana, ma le storie fiabesche della tradizione popolare del suo paese. Nascono così i suoi capolavori teatrali, tra i quali Sadko, Zar Saltan, Il gallo d’oro. A Pietroburgo sviluppa un’abilità di orchestratore che farà scuola non solo nel suo paese. Conosce i segreti e le possibilità espressive di ogni singolo strumento dell’orchestra, e applica questa abilità non soltanto nelle opere teatrali ma anche in quelle sinfoniche, come il Capriccio spagnolo e il poema Shéhérazade. L’attenzione alla vita della sua patria è dimostrata anche dall’appoggio che, a più di sessant’anni, si sente di dare agli studenti che partecipano ai moti del 1905: moti stroncati nel sangue, che a Rimskij-Korsakov costano l’allontanamento dal posto. Ma è un maestro insostituibile, e le autorità non possono fare altro che riammetterlo. A Pietroburgo conclude la sua carriera, venerato dai numerosi allievi che creeranno la giovane Scuola musicale russa. TRACCIA 32 9 Il volo del calabrone Questa musica appartiene all’opera Zar Saltan, ispirata a una fiaba del poeta Aleksandr Puskin e rappresentata nell’anno 1900. Vi si narra di un re che sposa la più giovane e generosa di tre sorelle. Si scatena l’invidia delle altre due, che fanno credere al re che la sposa abbia partorito un orribile mostro. Il re fa chiudere in una botte e gettare in mare madre e bimbo. La botte approda su un’isola meravigliosa, dove il bimbo diventato adulto salva una principessa da un maligno incantesimo. Per riconoscenza, la principessa permette al suo eroe di trasformarsi, quando vuole, in un calabrone: così può volare fino alla reggia paterna per vendicarsi dell’ingiustizia subita. Detto fatto: arrivato in patria nelle sembianze di un calabrone, si avventa contro le due malvagie zie e le punge nell’occhio, facendole strillare: “Ah bestiaccia! Dalle, afferra, schiaccia, schiaccia!” Ma più svelto il calabrone via sen vola pel balcone e tranquillo al suo soggiorno su per l’onde fa ritorno. Segue naturalmente il lieto fine. Il ronzio ininterrotto dell’insetto è imitato magistralmente dal compositore, con le veloci note dei violini, ai quali si aggiungono poi i legni, il flauto e il clarinetto. Il pizzicato degli archi sembra quasi suggerire… un pericoloso pungiglione al lavoro. 256 Parte D Johannes Brahms La storia (Germania, 1833-1897) Brahms ha solo vent’anni quando Robert Schumann, musicista ormai affermato, lo saluta sulla sua rivista come il compositore che aprirà alla musica nuove vie. Brahms diventa amico di Schumann e della moglie Clara, che assisterà dopo la tragica morte del marito, e lo prende a modello per uno stile musicale severo, lontano da quello che va affermandosi a opera di Liszt e Wagner: a Brahms interessa comporre facendosi guidare da una logica esclusivamente musicale, e non da una storia da rivestire di suoni. Quattro sinfonie, diversi concerti per strumento solista e orchestra, molta musica da camera e per pianoforte incarnano questo ideale di purezza stilistica. Ma Brahms continua anche la grande tradizione del lied: ne scrive circa 200, a cui aggiunge molte composizioni per coro. Nato ad Amburgo, nel 1862 Brahms si trasferisce a Vienna, dove concluderà la sua esistenza: e qui viene a contatto con la cultura quanto mai varia di un impero, l’Impero Asburgico, che comprende popoli di tante nazionalità. Le sue famose Danze ungheresi sono un omaggio alla cultura di quella nazione, e in particolare alla sua componente zigana, allora molto forte: Brahms ne scrisse 21 per pianoforte a quattro mani, trascrivendone poi tre per orchestra, nel 1873. TRACCE 33 – 36 9 Concerto per violino e orchestra: Adagio Brahms aveva un caro amico di gioventù, che era diventato un grande violinista, Joseph Joachim. Nel 1878 pensò di dedicargli un concerto, un concerto su misura per lui. Cominciò a comporre, ma sentì subito il bisogno di chiedergli una quantità di suggerimenti sul modo migliore di fissare certi dettagli: tanto che, una volta conclusa l’opera, disse all’amico che la parte violinistica era una creazione “a quattro mani”. I violinisti venuti dopo non hanno sempre amato questo concerto, e il perché ce lo rivela proprio l’inizio dell’Adagio. TRACCIA 33 È una delle più delicate melodie scritte da Brahms. Che però non viene esposta dal violino, ma dall’oboe! TRACCIA 34 Il violino entra quando questa melodia si è conclusa. Ora tocca a lui ripeterla. Ma Brahms non si limita a fargliela eseguire tale e quale: tutto il canto è fiorito di arpeggi e giri melodici, come un’antica colonna di marmo su cui cresce una delicata edera. TRACCIA 35 Nella seconda parte dell’Adagio l’oboe tace. L’atmosfera si fa sempre più carica di emozione, nel girovagare appassionato del violino; che si fa affannoso su questo motivo: TRACCIA 36 Il violino raggiunge i suoni sovracuti, e qui tutta l’emozione precedente si placa. Ritorna l’oboe, con la sua indimenticabile melodia. E il violino? Scopriamo insieme cosa fa: • Tace • Raddoppia la parte dell’oboe • Aggiunge un ondeggiante controcanto 257 Unità 9 L’Età delle Scuole nazionali Esperienze Cajkovskij racconta qual è il suo atteggiamento davanti alla composizione musicale. Qual è l’atteggiamento dei compositori del nostro tempo? Cerchiamo di conoscerne uno, per esempio tra i docenti del Conservatorio o di una scuola di musica, e intervistiamolo. PORTFOLIO Nella “Testimonianza”, il russo Stasov dice che i canti popolari sono dimenticati da gran tempo. È proprio vero? Intervistiamo le persone che conosciamo: ricordano qualche vecchio canto popolare? Se possono cantarlo, registriamolo. Che tipo di musica è? Di cosa parlano i testi? Inventiamo un nostro spettacolo sulla musica della Bella addormentata. Decidiamo i personaggi; creiamo qualche semplice scenografia; reinventiamo la vicenda, facendoci guidare dalla musica. Possiamo farne una pantomima, usando solo i gesti e i movimenti; possiamo anche aggiungere qualche dialogo. Non dimentichiamo di collocare sul nostro palcoscenico alcuni oggetti interessanti, e di usarli. Confrontiamo il tema principale della Moldava di Smetana con la canzone Fenesta ca luciv’e. Cantiamola: 1. Finestra che lucevi e ora non luci, segno è che la mia cara sarà malata. S’affaccia la sorella e me lo dice: “Nennella tua è morta e sotterrata. Piangeva tanto che dormiva sola, ora con gli altri morti è accomunata. 258 2. Le han fatto una cassa proprio bella: tutta a ricami d’oro martellato. Se non mi credi va’ a Santa Maria, sulla sinistra alla prima svoltata. Piangeva tanto che dormiva sola, ora con gli altri morti è accomunata.” Parte D La storia Eseguiamo anche noi Pëtr Il’ic Cajkovskij, La bella addormentata: il Valzer. Johannes Brahms, il tema del Concerto per violino e orchestra. ricapitoliamo Nella seconda metà dell’Ottocento, l’aspirazione alla libertà porta i popoli ad affermare i valori particolari delle proprie nazioni. Mentre nel Settecento la musica era simile nei diversi paesi, ora i musicisti si ispirano alla musica popolare locale. Dalla tradizione classica si distaccano le nazioni slave, in particolare Russia e Boemia, e le nazioni scandinave. In Francia una nuova scuola sinfonica si affianca alla tradizione teatrale. Accanto all’opera fiorisce, in Francia e in Austria, il nuovo genere dell’operetta, più leggero e frivolo. In Germania ai continuatori di Wagner si contrappongono musicisti legati al mondo classico, come Brahms. 259 Tra Ottocento e Novecento 1907-1914 L’Italia raddoppia la produzione industriale 1914 Attentato di Sarajevo contro l’arciduca d’Austria 1914-1918 La testimonianza Tutto è così squallido intorno a me! I rami di una desolata e sterile esistenza stanno spezzandosi alle mie spalle. A volte sono pieno di fuoco e la vita mi sembra bellissima; subito dopo mi rode dentro un desiderio di annullamento. L’odioso potere dell’ipocrisia e della menzogna del nostro tempo mi ha condotto al punto di disprezzare me stesso; il legame che unisce la vita e l’arte, e che in noi non s’interrompe mai, mi fa provare disgusto per tutto ciò che mi è sacro, l’arte, l’amore, la religione: allora non mi resta altra scelta che morire. Mi ribello alle catene che mi legano mentre cammino in questa stagnante palude che è la mia vita, e con la forza della disperazione mi aggrappo alla mia sofferenza come al mio solo conforto. Gustav Mahler, Lettera a Steiner, 1879 Prima guerra mondiale 1919 Inizia la conferenza per la pace di Versailles 1921 Italia: viene fondato il Partito nazionale fascista Edvard Munch, Il grido, 1893 Mahler esprime in musica alti ideali Il poema sinfonico Il musicista Gustav Mahler (1860-1911) non ha ancora diciannove anni quando scrive questa lettera all’amico; ma già vi leggiamo il suo estremo disagio nei confronti del mondo in cui vive. La società gli appare dominata dall’ipocrisia. E allora si vota anima e corpo a un ideale a cui resterà fedele fino all’ultimo: denunciare nella sua musica lo spirito di ipocrisia e di violenza che agita la società del tempo. Nelle sue nove sinfonie ci fa sentire marce angosciose, che sembrano presagire il passo brutale di milizie spietate. A queste contrappone pagine musicali in cui mette idealmente in scena i poveri derelitti della società: come quando nella prima sinfonia deforma la canzoncina popolare Fra Martino e ne fa una marcia funebre, per il funerale dell’uomo comune, contrapposto al mito degli eroi superumani cantati da Wagner. Per esprimere questo straordinario mondo di pensieri ed emozioni, Mahler usa un’orchestra arricchita di ogni sorta di strumenti, e di voci umane: la sua Ottava sinfonia è detta “dei mille” perché tra strumenti e voci si arriva vicini a quel numero di esecutori! Anche Richard Strauss (1864-1949) usa un’orchestra di grandi dimensioni, ma il suo mondo espressivo è molto diverso. Strauss è più portato a descrivere le emozioni segrete del nostro mondo interiore. Lo sentiamo soprattutto nelle numerose opere scritte per il teatro musicale, spesso su temi sanguinari: come Salomè, ispirata a un episodio della Bibbia, in cui racconta la gioia crudele con cui la principessa fa decapitare san Giovanni; o Elettra, la protagonista di un’antica tragedia greca, che spinge il fratello Oreste a uccidere la madre, colpevole dell’assassinio del padre Agamennone. Strauss ricorre allo stesso fiammeggiante linguaggio musicale nei suoi poemi sinfonici, che continuano la tradizione di quelli di Franz Liszt, come I tiri burloni di Till Eulenspiegel, Morte e trasfigurazione, Così parlò Zarathustra. Il poema sinfonico è anche il genere di musica prediletto dal compositore finlandese Jean Sibelius (1865-1957), che si ispira alle leggende e ai miti della sua terra, con opere come Finlandia e Il cigno di Tuonela. Parte D La storia La Belle époque, l’epoca bella della spensieratezza al riparo dalle guerre, non dura molto. In realtà continua a covare nelle società europee lo spirito nazionalista, anzi cresce man mano che fra le nazioni si fa sempre più aspra la concorrenza economica, l’aspirazione a conquistare sempre nuovi territori e nuovi mercati. E la guerra è ancora una volta lo sbocco inevitabile: sarà la Prima guerra mondiale (1914-1918). Al tempo stesso il mondo è agitato da forze che vogliono cambiare il sistema economico e l’organizzazione della società. La maggioranza della popolazione è costituita da contadini e operai, che si sentono ingiustamente esclusi dal benessere di cui può godere la minoranza, e rivendicano sempre più i loro diritti, sia sul terreno politico sia su quello economico. Questa tensione genera violenti conflitti, che in Russia sfociano nella Rivoluzione sovietica del 1917, e in Germania, nel dopoguerra, portano al governo il Partito socialdemocratico. Mentre la maggior parte della borghesia si appassiona alle forme dell’arte più semplice, sentimentale e consolatoria (trionfa infatti in questo periodo l’operetta), gli uomini di cultura, gli scrittori, gli artisti sono in pri- Partenza per il fronte di soldati della Prima guerra mondiale. Le maggiori innovazioni dello stile musicale le troviamo nel timbro. La scelta degli strumenti e dei loro impasti diventa uno degli elementi più importanti dell’espressione. Mahler, Strauss, Skrjabin arrivano a usare un’orchestra gigantesca, che permette le più ricche combinazioni sonore. In generale si valorizza il timbro di ciascun singolo strumento: soprattutto i fiati e la percussione acquistano un’importanza pari a quella che nell’orchestra classica avevano gli archi. Nella scelta delle melodie invece i musicisti prendono strade diverse. Nel melodramma italiano prevale una cantabilità facile, popolaresca; mentre si diffonde sempre più, negli spagnoli e negli slavi, l’uso di temi e ritmi popolari, presi prevalentemente dal folklore. In Mahler questo uso, che arriva a includere ballabili e motivi per banda, ha un significato ironico e perfino allucinato. All’opposto, la melodia di Debussy è vaporosa, come sospesa: evita infatti di appoggiarsi ai gradi della scala tradizionale; spesso si svolge su una scala nuova, fatta di toni interi (Do, Re, Mi, Fa diesis, Sol diesis, La diesis, Do): la scala esatonale; il ritmo che anima queste melodie tende a liberarsi dal rigo- re della misura; mentre il senso tradizionale della tonalità comincia ad allentarsi. Infine, ci sono cambiamenti che riguardano la forma: mentre la costruzione classica di un pezzo assomiglia a quella di un romanzo (in cui dalla presentazione dei personaggi e delle situazioni si sviluppa gradatamente una trama fino ad arrivare un culmine, al quale segue la conclusione), nel Novecento i momenti culminanti tendono a essere disseminati lungo l’intero pezzo. Si avvia così una costruzione episodica, a mosaico, di parti dotate tutte di grande intensità espressiva. ma linea nel rappresentare nelle loro opere la crisi morale e politica di questi anni. 261 Unità 10 Tra Ottocento e Novecento Skrjabin fonde suoni e colori Nei suoi poemi sinfonici Strauss evoca immagini visive con la forza dei suoni. Il musicista russo Alexander Skrjabin (1872-1915) va ancora più in là, con un esperimento audace. Nell’orchestra, accanto agli strumenti, colloca una tastiera speciale: premendo i tasti non si sentono suoni, ma si proiettano luci colorate. L’esecuzione diventa così uno spettacolo di suoni e colori. Skrjabin si serve di questo singolare abbinamento per esprimere in forme esaltate un suo profondo misticismo, come nel Poema del fuoco dedicato a Prometeo, l’eroe della mitologia greca a cui si attribuisce il merito di aver donato all’uomo la conoscenza del fuoco. Il panorama europeo si allarga Il film Shine racconta la storia di un pianista alle prese con un’opera difficilissima: il secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov. 262 Il legame con la cultura musicale della propria terra continua a essere forte in tutti i paesi. In Cecoslovacchia Leós Janácek (1854-1928) è autore di alcune delle più suggestive opere teatrali del Primo Novecento, come Jenufa e La volpe astuta. Il russo Sergej Rachmaninov (1873-1943) continua la tradizione rappresentata da Cajkovskij. Grande pianista, scrive lavori per il suo strumento e per l’orchestra, tra i quali emergono i quattro Concerti. Anche paesi dove da tempo non emergevano compositori importanti arricchiscono il panorama della musica europea. Così è per l’Inghilterra, dove Edward Elgar (1857-1934) è autore di oratori e di musica sinfonica; e per la Spagna, dove Isaac Albéniz (1860-1909) e Enrique Granados (1867-1916) scrivono pagine scintillanti e vivaci, nelle quali sanno dare voce alle esuberanze dell’anima spagnola. In Italia continua la tradizione del melodramma Il pubblico italiano comincia ad apprezzare la musica strumentale creata negli altri paesi. Ma bisognerà aspettare ancora qualche decennio prima che si affermino anche in Italia musicisti che si dedicano a questo genere: qui si continua ad amare l’opera lirica, ed è perciò in questo campo che troviamo i maggiori compositori italiani. Dopo Amilcare Ponchielli, continuatore di Verdi (la sua opera più importante è la Gioconda), sorge un gruppo di autori che mettono in scena storie dal carattere aspramente realista: è la cosiddetta Scuola verista. Vi appartengono Pietro Mascagni (Cavalleria rusticana), Umberto Giordano (Andrea Chénier), Ruggero Leoncavallo (Pagliacci), Francesco Cilea (Adriana Lecouvreur), che nelle loro opere rappresentano tragiche storie d’amore. Da questi si stacca Giacomo Puccini (18581924), che esprime una vena più intimista e sentimentale. Protagonista delle sue opere (Bohème, Madama Butterfly, La fanciulla del West, Turandot) il più delle volte è un delicato personaggio femminile che patisce per situazioni avverse create dagli uomini. Debussy si collega ai poeti simbolisti e ai pittori impressionisti Nella Francia della fine del secolo XIX i poeti esprimono le sensazioni più segrete dell’animo ricorrendo a immagini simboliche: Simbolismo è il nome che si dà a questa corrente. Anche i musicisti partecipano a questo ambiente culturale. Il più illustre è Claude Debussy (1862-1918), che mette in musica il dramma Pelléas et Mélisande. Debussy rinnova profondamente il linguaggio musicale: le sue armonie sono delicate e sfuggenti, i ritmi raramente sono pulsanti, le melodie evitano la quadratura regolare. In questo modo crea climi di sogno, fluidi, evanescenti. Con gli strumenti crea sonorità rarefatte e “magiche”, spesso di sapore esotico, che paiono vivere fuori del tempo e dei luoghi. Per queste ragioni la sua musica è stata spesso accostata alla pittura degli impressionisti: l’I mpressionismo, avviato fin dal 1867, cerca di cogliere le “impressioni” create dalle cose su di noi, più che descrivere realisticamente le cose stesse. 1 Parte D La storia 1 La maestra del musicista è la natura Credo che fino ad ora la musica si sia basata su un principio errato. Cerchiamo le idee in noi, mentre dovremmo cercarle “attorno” a noi. Per un compositore è più utile veder sorgere il sole che udire la Sinfonia Pastorale di Beethoven. La saggezza sta nel non ascoltare i consigli di nessuno, se non del vento che passa e ci racconta la storia del mondo… La musica è come una misteriosa matematica che governa il moto delle acque e il gioco di curve descritto dalle mutevoli brezze… Nulla è più musicale di un tramonto. Per chi sa guardare attentamente è la più bella lezione di “sviluppo” (in senso musicale) scritta in questo libro: che non è abbastanza consultato dai musicisti, intendo dire: la natura… I nostri “pittori sinfonici” non concedono un’attenzione abbastanza fervida alla bellezza delle stagioni. Studiano la natura in opere nelle quali ella assume un aspetto assai sgradevolmente artificiale, con rocce di cartone e foglie di cartapesta. La musica invece è appunto l’arte più vicina alla natura, quella che le tende la trappola più sottile… Solo i musicisti hanno il privilegio di captare tutta la poesia della notte e del giorno, della terra e del cielo, di ricostruire l’atmosfera e ritmarne l’immenso palpito. Il più delle volte la loro passione si adatta a una vegetazione che la letteratura ha fatto seccare tra le foglie dei suoi libri. Gustav Mahler e Claude Debussy rappresentano i due poli opposti della musica del Primo Novecento: per Mahler la musica è un modo per denunciare le ipocrisie del mondo, la falsità e le finzioni degli uomini; per Debussy, è più un ritrarsi nel proprio mondo interiore. Una simile opposizione è presente nell’arte. Il belga James Ensor, nato nel 1860, come Mahler, nel suo Ingresso di Cristo a Bruxelles presenta un’atroce caricatura dei suoi concittadini. Il dipinto rievoca l’episodio della Bibbia in cui il popolo di Gerusalemme accoglie Gesù che entra in città, osan- nandolo e sventolando rami di palma. Ma questa festa assordante e carnevalesca, i volti grotteschi e inquietanti delle persone che popolano il quadro sono in realtà segno di una tragedia che incombe: Cristo è un pretesto, subito emarginato, per una festa in cui ognuno pensa solo a se stesso, a divertirsi. Cristo viene messo in croce nel bel mezzo della festa e proprio grazie alla festa, perché tutti si dimenticano di lui. La stessa ipocrisia umana che Ensor denuncia con la pittura è rappresentata nella musica di Mahler, che vuole mandare un messaggio di alto valore morale. Il pittore francese Claude Monet, invece, è incantato dai giochi di luce che lo stagno con le ninfee crea nelle diverse ore del giorno. Come per Debussy la musica è un modo per ascoltare e descrivere con le note le emozioni suscitate dalla realtà, così Monet è affascinato dalle emozioni generate dal mutare dei colori nell’osservazione di uno stagno con le ninfee. Claude Debussy, Il signor Croche antidilettante, 1921 A sinistra, James Ensor, Ingresso di Cristo a Bruxelles, 1888. A destra, Claude Monet, Il bacino delle ninfee, armonia in verde, 1899. 263 Unità 10 Tra Ottocento e Novecento Isaac Albéniz (Spagna, 1860-1909) Prima di dedicarsi esclusivamente alla composizione, Albéniz si afferma come grande pianista in tutta Europa e nelle due Americhe. Nei suoi viaggi ha modo di conoscere molti importanti compositori, a cominciare da Liszt, e di eseguire le loro musiche. Quando nel 1893 si stabilisce a Parigi, si rende conto che se vuole continuare a suonare da virtuoso, non può raffinare il suo talento di compositore. A Parigi operano musicisti che aprono strade nuove alla musica: Debussy, Dukas, Fauré. Albéniz si sente stimolato a competere con loro e abbandona la carriera concertistica. Non abbandona invece la sua vocazione a portare nella musica classica lo spirito del folklore spagnolo. Molte delle sue opere, scritte prevalentemente per il pianoforte, portano titoli legati al suo paese: Iberia, Suite spagnola, Catalogna, Ricordi di viaggio. TRACCE 1–7 10 TRACCIA 1 Siviglia I musicisti spagnoli sono sempre stati fieri delle loro tradizioni nazionali e dei caratteri della loro musica popolare, tanto che vi si sono spesso ispirati anche nelle loro creazioni più impegnative, come questa. Iberia è una raccolta di 12 impressioni musicali del mondo spagnolo: Albéniz le compose per pianoforte, ma è più facile sentirle nella trascrizione orchestrale che ne fece più tardi il musicista Enrique Fernández Arbós. Ascoltiamo una delle più caratteristiche, dedicata a Siviglia, il capoluogo dell’Andalusia. La musica descrive una giornata importante nella vita della città: la festa religiosa del Corpus Domini, il 19 giugno. I tamburi lontani annunciano l’arrivo della processione che si incammina verso la cattedrale. E subito si sente la banda che suona un allegro motivo popolare, La Tarara (a). Cominciano i flauti: Il motivo passa poi ad altri strumenti, ognuno dei quali aggiunge la propria piccola variazione, finché gli ottavini con il loro suono penetrante portano la processione proprio davanti a noi. TRACCIA 2 264 Albéniz ci fa sentire, con i suoni dell’orchestra, i rumori di folla, mescolati al suono delle campane. Gli ottoni proclamano la potenza e la gloria della Chiesa. Ascolta bene il motivo che i violini sovrappongono: lo riconosci? • È il motivo a • È l’inno nazionale spagnolo • È l’Inno alla Gioia Parte D TRACCIA 3 La storia La processione si allontana. Lo si capisce dal rarefarsi delle sonorità. Albéniz distoglie un momento lo sguardo dalla processione, e ci presenta una scena più intima, espressa da questa melodia del corno inglese: A cosa ti fa pensare questa melodia? Scegli tra queste risposte, oppure scrivine una tua: • I giardini di Siviglia • Una devota preghiera • Una canzone d’amore • La corrida TRACCIA 4 Il clarinetto, seguito dall’oboe e via via dagli altri strumenti, ripete questa melodia, variandola. TRACCIA 5 L’episodio appena ascoltato era come una parentesi, nella festa del Corpus Domini. Eccoci di nuovo in mezzo alla folla, con la ripresa del tema della marcia. Squillano le campane, tornano a suonare gli strumenti della banda. TRACCIA 6 La gente balla per le strade: Albéniz ce lo fa capire ripetendo il motivo a prima leggero e danzante, poi in una variazione che lo trasforma in un vivace tempo composto. TRACCIA 7 La processione è finita, e la festa sta per concludersi. Arriva la sera, e nella strada qualcuno intona una serenata alla sua bella. Albéniz affida a flauto e fagotto una canzone popolare spagnola. Il quadro si dissolve dolcemente. Quali di questi strumenti commentano, nella pace della sera, il termine del giorno del Corpus Domini a Siviglia? • Flauto • Tromba • Arpa • Fagotto • Pianoforte • Campane • Violino Tempo composto È l’articolarsi della pulsazione in tre unità invece che in due (vedi nel volume B l’unità “Il tempo composto”, pag. 56). Manuel Cabral Bejarano, Corpus Christi a Siviglia, 1857. 265 Unità 10 Tra Ottocento e Novecento Claude Debussy (Francia, 1862-1918) La più importante esperienza educativa del giovane Debussy avviene nel salotto di un poeta, Stéphane Mallarmé. Qui si danno appuntamento, ogni martedì, illustri poeti, artisti e personalità della cultura francese. Mallarmé stesso è uno dei grandi maestri della nuova corrente letteraria che va sotto il nome di Simbolismo. Debussy è affascinato da questa poesia, che nomina le cose non per descriverle nella loro concretezza, ma per esprimere le sensazioni che le cose materiali evocano in noi. Questo è l’obiettivo che Debussy pone alle sue creazioni musicali. Nel suo primo successo, Preludio al pomeriggio di un fauno, sceglie proprio un poema di Mallarmé per descrivere con i suoni dell’orchestra la sognante atmosfera di un pomeriggio estivo. Intanto, anche in Francia si diffonde un vero e proprio culto per la musica di Wagner. Debussy si sente lontanissimo dal mondo di supereroi cantato nei drammi del compositore tedesco. Il suo ideale è una musica raffinata, che dia voce alle emozioni più delicate e sottili dell’animo. Uno scrittore simbolista, Maurice Maeterlinck, ha espresso questo stesso mondo nel suo dramma Pelléas et Mélisande: Debussy prende tale e quale il testo di Maeterlinck e lo riveste di musica. Nasce così la prima opera lirica che rompe audacemente con la tradizione del passato. Qui infatti Debussy usa un linguaggio musicale fluttuante, libero dai vincoli della musica classica tradizionale. La stessa sensibilità dà origine ai grandi capolavori orchestrali come La mer (Il mare), Notturni, Iberia; e alle numerose opere per pianoforte: Studi, Stampe, Immagini, Preludi. TRACCE 8 – 15 10 La copertina dell’edizione originale della partitura di La mer (1905) riproduce un particolare di questa celebre stampa del pittore giapponese Katsushika Hokusai, che fa parte della serie “Trentasei vedute del Fuji” (1826-1833). 266 La mer: Il dialogo del vento e del mare La mer (il mare) è una composizione formata da tre schizzi sinfonici composti tra il 1903 e il 1905. Il musicista guarda il mare, su cui soffia il vento, a volte leggero, a volte impetuoso. Le onde si alzano e si accavallano, spruzzi d’acqua si levano al cielo, una miriade di luci scintilla sui frangenti. Osservando la distesa marina, Debussy “vede” i suoni salire e scendere sulla sua partitura: a volte come masse di tanti strumenti, che si gonfiano e ricadono; a volte come linee che si intrecciano, o come guizzi che sprizzano e rapidamente svaniscono… Per Debussy, la natura è come un immenso spartito, che richiede solo di essere tradotto in suoni. Parte D La storia TRACCIA 8 Debussy immagina che il mare e il vento dialoghino fra loro. Ma l’idea non va presa alla lettera. Debussy non “copia” i suoni della natura; crea un accostamento di atmosfere e di emozioni. Il tremolo di grancassa e timpani, il disegno minaccioso di violoncelli e contrabbassi, il gong: fanno pensare al turbinare lontano del vento, o a un’onda che si gonfia. A questa pennellata cupa subentra il canto nostalgico e dilatato di oboi e clarinetti… Debussy ripete poi il frammento, caricandolo di più intense vibrazioni. TRACCIA 9 Nei movimenti delle onde Debussy “legge” un tema cantabile, che traduce con il suono della tromba con sordina, il tema a: TRACCIA 10 Un crescendo degli strumenti ad arco porta a un secondo motivo, b, eseguito da oboe, corno inglese e fagotto, che comincia così: Due volte viene ripetuto, ogni volta con una combinazione diversa di strumenti, che creano magici effetti di colore. TRACCIA 11 L’occhio si spinge a scrutare le profondità dei flutti. Ecco di nuovo il tema a eseguito nella regione grave dell’orchestra. Quante volte lo senti eseguire? •4 •6 •7 La sonorità è andata crescendo, e ora discende rapidamente, con i suoni degli strumenti a fiato: proprio come fanno i cavalloni marini. TRACCIA 12 Debussy immagina ora il mare in un momento di quiete, con i corni che intonano un inno solenne, che a poco a poco si smorza: TRACCIA 13 E ora il vento, il cielo. Un lungo suono sovracuto dei violini crea un’impressione di spazio immenso, sul quale si leva il canto di flauto e oboe. Cosa suonano, due volte di seguito? • Il motivo a • Il motivo b • Un motivo nuovo Ed eccolo ora, questo motivo, esplodere possente, affidato a tutta l’orchestra. TRACCIA 14 A differenza di quanto si faceva nell’Età classica, quando si alternavano ordinatamente pochi temi ben riconoscibili e cantabili, Debussy alterna pennellate di colori strumentali che creano ogni volta atmosfere completamente nuove. Qui sembra quasi che Debussy veda danzare i due protagonisti, il vento e il mare (ricorda che mer, il mare, in francese è femminile), sul ritmo eccitante delle trombe. È una danza in cui senti affiorare frammenti di tutti e due i motivi. TRACCIA 15 Si avvicina la conclusione. L’orchestra è impegnata al gran completo. Qual è l’immagine ultima che Debussy ci consegna, di questa sua visione marina? • Il trionfo della natura • La furia del vento • Il placarsi sereno del mare 267 Unità 10 Tra Ottocento e Novecento Jean Sibelius (Finlandia, 1865-1957) All’inizio del Novecento la Finlandia è un paese scarsamente abitato, che vive ai margini delle manifestazioni culturali europee. Non ha nemmeno l’indipendenza politica: fa parte infatti dell’Impero russo. I giovani vanno a completare gli studi superiori soprattutto in Germania: ed è qui che Sibelius perfeziona gli studi di composizione e di violino. Come tutti i più sensibili artisti finlandesi, Sibelius contribuisce con la sua musica a tenere viva l’aspirazione a una patria libera dal dominio straniero. Alle origini della cultura finlandese sta un’antica saga, ripresa da un poeta del Primo Ottocento: il poema epico Kalevala. Sibelius si ispira a questa saga in numerose composizioni: i poemi sinfonici Kullervo, Una saga, Finlandia, Tapiola, e le musiche di scena Lemminkäinen, Kuolema. Nel linguaggio musicale, che è quello della tradizione tardoromantica, Sibelius si distacca dai principali compositori del Primo Novecento, che sono invece interessati ad aprire alla musica vie nuove. Questo gusto tradizionalista Sibelius lo conserverà fino alla fine della sua lunga esistenza, in particolare nelle 7 sinfonie, nel Concerto per violino, nei pezzi pianistici e nei numerosi affascinanti lieder per canto e pianoforte. TRACCE 16 – 20 268 10 Finlandia Quando un compositore scrive una musica ispirata al proprio paese, si serve spesso dei canti popolari del popolo che lo abita. Nel caso di Jean Sibelius avviene il contrario. Alla sua patria dedicò, nel 1899, questo poema sinfonico intitolato semplicemente Finlandia. Non utilizzò canti finlandesi, ma all’opposto avvenne che il popolo fece sue le melodie inventate da Sibelius, e queste diventarono così canti popolari. La Finlandia era allora dominata dalla Russia degli zar, che cercava di soffocare ogni aspirazione nazionalista, a cominciare dal diritto di stampa. I patrioti promossero una campagna per raccogliere fondi a beneficio della stampa. Sibelius si incaricò di scrivere le musiche per la serata di gala di questa campagna: l’ultima musica fu appunto Finlandia. Fu un successo trionfale, tanto che le autorità ne vietarono qualsiasi altra esecuzione su terra finlandese: in altre parti dell’Impero russo avrebbe potuto essere suonata, ma cambiando il titolo. Così nel 1904 il popolo della città di Riga, nella vicina Lettonia, la ascoltò come Improvviso. Nel 1918 il trattato di Versailles diede finalmente l’indipendenza alla Finlandia, e con l’indipendenza la musica di Sibelius divenne addirittura il simbolo della nazione. Il corale che sentiamo è un vero e proprio inno nazionale. TRACCIA 16 Questo poema sinfonico è un acquarello dell’animo finlandese. Un aspro accordo iniziale e una Introduzione solenne evocano una terra di antiche lotte fra l’uomo e una durissima natura, fatta di foreste impenetrabili, di laghi che sbarrano la comunicazione a ogni passo, di nevi, di ghiacci, di gelo. TRACCIA 17 L’animo è assorto in una meditazione dolorosa, quasi una preghiera, sul tragico destino della patria. TRACCIA 18 Il ritmo scattante delle trombe lancia il segnale della riscossa: Parte D La storia Il popolo marcia coraggiosamente per vincere secoli di avversità, ed ecco nella musica un tema epico, che assomiglia non poco all’Inno alla Gioia di Beethoven: TRACCIA 19 Ma Sibelius vuole ricordarci che il progresso di una nazione non si attua solo con la forza fisica, ma anche con quella morale: il motivo energico di prima è interrotto da un corale affidato ai legni, con una sonorità che sembra imitare quella dell’organo. È questo corale che diventerà tanto popolare in Finlandia. TRACCIA 20 Riprende il tema epico di prima, con il segnale delle trombe. Come si conclude il brano? • Con la meditazione iniziale • Con il tema epico • Con il corale I colori orchestrali di questa musica, che sfrutta soprattutto le sonorità gravi e melanconiche, traducono mirabilmente lo spirito intimista e riflessivo del popolo finlandese, e i colori della sua terra. Lo racconta Sibelius stesso: a un amico che descriveva la Finlandia come una terra di “rocce basse, di granito rossiccio, emergenti da un mare azzurro pallido”, Sibelius rispose: “Certo, e solo quando vediamo quelle rocce di granito sappiamo perché un musicista finlandese mescola i suoni dell’orchestra in questo modo.” Ascar Keineh, L’isola di Hanasaari, 1873. 269 Unità 10 Tra Ottocento e Novecento Esperienze Particolare di un dipinto impressionista dedicato al mare: Edouard Manet, Sulla spiaggia, 1873. Cerchiamo riproduzioni di quadri dei pittori impressionisti. Riusciamo a trovarne qualcuna dedicata al mare? Un compito impegnativo: trovarne una per ogni episodio del Dialogo del vento e del mare di Debussy. Pratichiamo sui nostri strumenti la scala esatonale che spesso adopera Debussy. I suoni sono questi: Suoniamoli su flauto, tastiera, xilofono. Mettiamoci in coppie: uno suona i primi tre, l’altro i successivi quattro. Improvvisiamo liberamente, uno dopo l’altro, ma anche in simultaneità, uno insieme all’altro. PORTFOLIO L’amore che i musicisti dell’Ottocento portano alla musica popolare del proprio paese è documentato nella biografia dei compositori conosciuti in questa Unità e nella precedente. E in Italia? In Italia domina l’opera lirica. Le melodie dell’opera hanno spesso il carattere della canzone italiana del tempo: diventeranno presto popolari, e saranno cantate fin nei piccoli villaggi delle campagne. Conduciamo una ricerca sulle canzoni italiane dell’Ottocento e del Primo Novecento, anche quelle dialettali (per esempio, la canzone napoletana). Raccogliamole da canzonieri, da rifacimenti incisi su disco. Confrontiamole con le romanze operistiche dei compositori italiani. Eseguiamo anche noi Jean Sibelius: il tema di Finlandia. 270 Parte D 1. Finlandia mia, sei sempre nel mio cuor. Oh, terra cara, unico mio amor, sono i tuoi figli prodi e coraggiosi, difenderanno la tua integrità. Sanno che al mondo non vi è ugual valore che conti più di pace e libertà. La storia 2. Le nevi eterne, i ghiacci e il bianco mar, le rocce dure e i boschi senza fin sono un tesoro di grande valore, sono l’emblema della tua beltà. Patria felice, prospera e serena pel mondo intero esempio tu sarai. ricapitoliamo L’età fra Ottocento e Novecento è caratterizzata da uno spirito di dominio nazionalista, che porterà alla Prima guerra mondiale. A questo si oppongono le classi sociali subalterne, che rivendicano i propri diritti in forme anche violente. Gustav Mahler è il musicista che più di ogni altro dà voce ai forti contrasti dell’epoca; Richard Strauss invece esplora nelle sue opere le passioni anche morbose degli individui. In tutte le nazioni europee i musicisti riprendono a valorizzare il patrimonio musicale nazionale: accanto a russi, slavi e scandinavi, si affermano i musicisti spagnoli e inglesi. Il russo Skrjabin crea composizioni in cui unisce i suoni ai colori. In Italia continua la tradizione del melodramma, che si ispira ora anche ai drammi più cruenti: questa tendenza prende il nome di Verismo. Giacomo Puccini se ne distacca con una musica più intimista. In Francia Claude Debussy rinnova profondamente il linguaggio musicale. In modo simile operano i poeti del Simbolismo con il linguaggio verbale e i pittori dell’Impressionismo con il linguaggio visuale. 271 Il XX secolo 1939-1945 Seconda guerra mondiale 1946 Referendum in Italia: la repubblica vince sulla monarchia 1989 Cade il muro di Berlino La testimonianza Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia… Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere, o dalla sommossa; canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne, canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche, e stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi, i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli, piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio, imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. Filippo Tommaso Marinetti, Il Manifesto dei Futuristi, 1913 1991 A Maastricht nasce l’Unione Europea 2001 Attentato alle Torri Gemelle: mobilitazione contro il terrorismo Giacomo Balla, Automobile + velocità + luce, 1913. A destra, il drammatico crollo delle Twin Towers l’11 settembre 2001. Il Futurismo Stravinskij Nei primi decenni del Novecento nasce in Italia un movimento di artisti, poeti e musicisti, che esalta la potenza delle macchine, arrivando a celebrarle fanaticamente: è il Futurismo, fondato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti. Vi partecipano i compositori Luigi Russolo e Balilla Pratella. Alle belle melodie, i futuristi contrappongono le sonorità aspre e i rumori, al sentimento sostituiscono l’oggettività fredda, indifferente, anche brutale. Russolo inventa uno strumento speciale, l’intonarumori: una macchina che produce fischi, scoppi, gorgoglii, per la quale scrive composizioni in cui i diversi tipi di rumori si alternano e si sovrappongono. Oggi le musiche dei futuristi sono dimenticate. Ma le loro idee hanno dato frutti interessanti altrove: il compositore svizzero Arthur Honegger nel suo Pacific 231 descrive la corsa di una locomotiva, facendoci ascoltare anche i sibili del vapore e il lento avviarsi delle bielle. Questo spirito concreto, contrario a ogni forma di sentimentalismo, pulsa anche nella musica di Igor Stravinskij (1882-1971). Nei primi anni di attività musicale, Stravinskij scrive musiche ispirate alla tradizione russa. Sono pagine vivacissime, in cui si rifà a personaggi e a leggende del folklore: L’uccello di fuoco, Petruska, La sagra della primavera. Dopo la Rivoluzione sovietica si trasferisce in Occidente. Qui è ancora viva la tradizione romantica, che da Beethoven a Mahler, da Wagner a Puccini, dà voce all’intensità dei sentimenti. Il gusto di Stravinskij è opposto, e perciò si dedica a riportare in vita il gusto musicale del Settecento, più razionale e geometrico. Così, per esempio, nel suo balletto Pulcinella usa musiche di Pergolesi, caricandole però con una strumentazione e un’armonia pungenti. A questo orientamento si dà il nome di Neoclassicismo. Nel corso del Novecento la scienza e la tecnica compiono progressi senza precedenti e rivoluzionano il mondo del lavoro, migliorando il tenore di vita di molti. Spesso, però, i ritrovati tecnici sono stati impiegati non per migliorare la qualità della vita ma per soddisfare una insaziabile sete di denaro e di conquista. E così questo formidabile progresso tecnico ed economico si è rivelato un meccanismo incontrollabile che ha travolto l’umanità di guerra in guerra. La fine della Seconda guerra mondiale vede l’Europa divisa in due blocchi, che rimangono minacciosamente contrapposti fino alla fine degli anni Ottanta: quello dei paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, e quello dei paesi orientali, guidati dall’Unione Sovietica. Con la dissoluzione di quest’ultima inizia un’era nuova. Gli sviluppi della tecnologia informatica creano aspettative entusiasmanti. Ma al tempo stesso si acuisce il contrasto fra i paesi benestanti e quelli sottosviluppati, che genera reazioni di stampo terroristico: il crollo del- le Twin Towers (le Torri gemelle) di New York, l’11 settembre 2001, è l’esempio più clamoroso. Del resto, il secolo XX è a sua volta iniziato con una catastrofe: la distruzione nucleare di Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, che ha gettato un’ombra angosciosa sulla pace che è seguita. Si afferma una cultura di massa, favorita dai mezzi di comunicazione: prima il cinema e la radio, poi la televisione e infine i mezzi informatici. È così che la musica folk tradizionale è andata scomparendo, sostituita da nuovi generi popolari: dalla musica leggera alle varie forme di rock. Gli artisti impegnati prendono le distanze dai generi popolari, visti come forme di divertimento e di evasione e non espressione di valori e di messaggi. In questo modo aumenta la distanza tra il pubblico e i compositori, che operano appartati, in un isolamento sempre più sofferto. Mentre molti compositori continuano a usare il linguaggio musicale ereditato dall’Ottocento, altri cercano nuove forme espressive, che rivoluzionano completamente il linguaggio. La melodia si restringe a formule brevi e ripetitive, come nelle opere di Stravinskij; oppure si apre in un gioco imprevedibile, frammentario, di intervalli dilatati, come in quelle di Schönberg e di Berg. Nel ritmo si perde il senso della misura. Nella scuola espressionista anche la pulsazione sparisce, sostituita dallo scorrere fluido e senza tempo dei suoni, con un effetto come di sogno; all’opposto, negli autori russi e francesi la pulsazione è una presenza a volte ossessiva, tesa a sottolineare il bisogno di concretezza. In tutti è frequente la sovrapposizione di ritmi diversi, anche fortemente contrastanti fra loro. Si abbandona la grande orchestra compatta, che Mahler e Richard Strauss avevano portato a dimensioni gigantesche, e si preferisce scrivere per piccoli complessi di strumenti diversi. Anche quando un brano è orchestrale, ogni strumento tende a essere valorizzato in sé, quasi come solista. Il principio su cui si basava la musica tradizionale – la tonalità – è ormai apertamente sotto accusa. Una delle tecniche usate è la politonalità, ossia la sovrapposizione di melodie ciascuna in una tonalità diversa; Schönberg e gli altri viennesi la rifiutano, sostituendola con un nuovo sistema: la dodecafonìa. Nel costruire un pezzo musicale si abbandona il criterio di un punto culminante, secondo il quale ciò che precede fa da preparazione, e ciò che segue fa da conclusione logica; piuttosto le singole parti sono aggiunte l’una all’altra, e ciascuna ha la stessa importanza. 273 Unità 11 Il XX secolo In Russia Petrovic Koncalovskij, Ritratto di Sergej Prokofiev, 1934. Il “Gruppo dei sei”, costituito dai giovani musicisti Auric, Durey, Honegger, Milhaud, Poulenc e Germaine Tailleferre, ammiratori e seguaci del compositore Erik Satie e del poeta Jean Cocteau. 274 L’Espressionismo Sulla scia di Stravinskij opera in Russia un altro importante compositore, Sergej Prokofiev (1891-1953). Ritmi energici e aspre dissonanze caratterizzano la sua musica per pianoforte, le opere teatrali (L’amore delle tre melarance, L’angelo di fuoco), i balletti (Romeo e Giulietta), le musiche da film (Alexander Nevski). Infine Dmitrij Sciostakovic (1906-1975) scrive quindici sinfonie e altre pagine sinfoniche, nelle quali celebra il nuovo corso politico della Russia nel XX secolo: una sinfonia è dedicata alla Rivoluzione dell’ottobre 1917, un’altra al terribile assedio che Leningrado subì nel 1943 a opera dei nazisti. I musicisti sono in prima fila, insieme a scrittori e artisti, anche nell’esprimere il malessere della società. Espressionismo è il nome che si dà questa tendenza, che si sviluppa soprattutto nei paesi di lingua tedesca. Qui già si era fatta sentire la musica “contestatrice” di Gustav Mahler; il suo diretto continuatore è Arnold Schönberg (1874-1951). Come si poteva esprimere con la musica l’opposizione al mondo circostante? Quel mondo adoperava un suo linguaggio musicale, il linguaggio della “tonalità”: era il linguaggio della chiarezza, della razionalità. Però quella razionalità non impedisce le catastrofi delle guerre mondiali. Ecco allora che Schönberg rifiuta quello stesso linguaggio, con tutta la sua grammatica. Scrive una musica che si svolge imprevedibile, a balzi improvvisi, con voci che si intrecciano fra loro come in preda a un delirio. È la musica atonale, che sta alla base di opere come il suo Pierrot lunaire. In Francia La dodecafonìa Quando la Sagra della primavera di Stravinskij è rappresentata la prima volta, a Parigi nel 1913, il pubblico reagisce con fischi e grida, scandalizzato dall’audacia della composizione. 1 I Francesi infatti cominciavano allora ad apprezzare pienamente la musica più riservata ed elegante di Debussy. Il musicista che più di ogni altro subisce il fascino di Debussy e ne continua la tradizione è Maurice Ravel (1875-1937). I suoi pregi maggiori stanno nella vivacità con cui dispone i colori sonori, ossia la scelta accuratissima degli strumenti, nella precisione dei disegni melodici, e nei ritmi ben scanditi. Ravel è un appassionato di meccanismi a orologeria, e trasferisce questa passione nelle sue musiche, come possiamo sentire nel ritmo ostinato del celebre Bolero. Pochi anni dopo Ravel, operano in Francia compositori che si raccolgono nel cosiddetto Gruppo dei sei, tra i quali emergono Francis Poulenc e Darius Milhaud. Infine uno spirito graffiante, ironico e antiaccademico, è quello che anima l’opera singolare di Erik Satie. Da questa posizione nasce il bisogno di costruire una nuova grammatica musicale: la dodecafonìa, cioè l’arte di comporre con dodici suoni. 2 La denuncia più cruda, nel linguaggio dodecafonico, Schönberg ce la trasmette con il suo Sopravvissuto da Varsavia: qui la voce di un uomo sopravvissuto al lager nazista descrive le atrocità del campo con una voce a metà fra parlato e cantato, mentre gli strumenti dell’orchestra vagano in un drammatico, allucinato intreccio. L’opera di Schönberg è continuata dai suoi due allievi Alban Berg (1885-1935) e Anton von Webern (1883-1945). Il primo fonde il metodo dodecafonico con un’espressività intensa. Nel suo capolavoro, l’opera Wozzeck, mette in scena il povero soldato vittima dei soprusi dei superiori. Webern invece piega la tecnica dodecafonica per costruire un mondo magico di vibrazioni interiori: le sue opere sono tutte estremamente brevi; alcune durano meno di un minuto. L’altro importante musicista tedesco di questo periodo, Paul Hindemith (1895-1963), compone in uno stile severo, che recupera modi propri della tradizione barocca, in particolare di Bach. Parte D La storia 1 La “prima” della Sagra Mi asterrò dal descrivere lo scandalo che provocò la prima rappresentazione della Sagra della primavera, il 28 maggio 1913. Se n’è parlato troppo. La complessità della mia partitura aveva richiesto un grande numero di prove che il direttore d’orchestra Monteux diresse con la cura e l’attenzione che gli sono proprie. Quale sia stata l’esecuzione durante lo spettacolo, non posso giudicare, avendo abbandonato la sala dopo le prime battute del preludio, che sollevarono subito risa e canzonature. Ne fui indignato. Queste manifestazioni... produssero in breve un chiasso infernale. Durante tutta la rappresentazione rimasi tra le quinte, a fianco di Nijinsky [il ballerino-coreografo]. Questi stava in piedi su una sedia e gridava a squarciagola ai ballerini: “Sedici, diciassette, diciotto…” [un conteggio convenzionale per segnare le battute]. Naturalmente i poveri ballerini non sentivano niente a causa del Bozzetto per la scenografia della Sagra della primavera di Igor Stravinskij. tumulto della sala e del calpestìo... Diaghilev, il coreografo, per far cessare il fracasso, dava ordine agli elettricisti, ora di accendere, ora di spegnere la luce nella sala. È tutto ciò che ricordo di quella “prima”. Fatto strano, alla prova generale a cui assistevano, come sempre, artisti, pittori, musicisti, letterati e i rappresentanti più colti della società, tutto si era svolto in modo calmo ed io ero lontano mille miglia dal prevedere... quella gazzarra. un “punto di riferimento”. Inoltre, tutti i dodici suoni della scala cromatica devono potersi sentire in un arco di tempo il più ridotto possibile. Anzi, una delle regole della dodecafonia vuole che un suono della scala non si risenta prima che siano stati eseguiti gli altri undici. Ogni composizione è basata su una particolare successione dei dodici suoni della scala cromatica: questa successione si chiama serie dodecafonica. Nell’esempio qui sotto, la serie usata da Schönberg per il suo Quintetto opera 26. All’interno di una composizione, la stessa serie può presentarsi in diversi modi, tra cui: • successione diretta (come nell’esempio in basso, a sinistra); • successione retrograda o cancrizzante, che corrisponde a una successione contraria, cioè eseguita dalla fine all’inizio. Una serie può anche farsi sentire con alcuni dei suoni eseguiti simultaneamente, ad accordo. L’esempio precedente potrebbe perciò presentarsi anche così: Igor Stravinskij, Cronache della mia vita, 1935 2 La dodecafonìa La musica composta secondo le regole in uso prima del XVII secolo è detta musica modale. A partire dal XVII secolo la musica è guidata dal sistema tonale, dove i suoni della scala musicale si legano l’uno all’altro secondo una serie di regole ben precise. Nella musica tonale le note gravitano intorno a un “centro”: la tonica. Nel metodo compositivo di Schönberg, la successione di note che formano una melodia dev’essere tale che nessun suono possa apparire al nostro orecchio come un “centro”, 275 Unità 11 Bozzetto per Il cappello a tricorno di Manuel de Falla. Béla Bartók e Zoltán Kodály. Il XX secolo Nell’Europa dell’Est Il clima aspro e contestatore dell’Espressionismo anima anche le prime musiche dell’ungherese Béla Bartók (1881-1945). Nella sua opera Il castello del principe Barbablù racconta una storia truce: Barbablù apre alla moglie tutte le stanze del castello tranne una, che le è severamente vietata; ma la donna non resiste alla tentazione, e Barbablù la uccide. Questo è in realtà un modo un po’ crudo per esprimere il bisogno che ognuno di noi ha di conservare uno spazio privato e protetto. Nello stesso tempo però Bartók si interessa al folklore musicale dell’Est europeo. Gira per le campagne e registra sui primi rudimentali apparecchi canti e danze popolari, che gli serviranno a volte come spunti per composizioni da camera e sinfoniche. Insieme a lui lavora, alla ricerca dei documenti popolari, Zoltán Kodály (1882-1967). Meno schivo di Bartók, più aperto e ottimista, Kodály riceve dal governo ungherese l’incarico di riorganizzare l’educazione musicale dei giovani; e lui scrive una ricca raccolta di canti: infatti per Kodály il canto corale è la pratica indispensabile per formare la propria sensibilità musicale. Neofolklore Come Kodály in Ungheria, così in Inghilterra Benjamin Britten (1913-1976) scrive musiche concepite per l’educazione musicale dei ragazzi, tra cui l’operina Il piccolo spazzacamino. I musicisti continuano a valorizzare le tradizioni popolari. In Spagna l’artista più originale è Manuel de Falla (1876-1946). Nelle sue opere sinfoniche e da camera usa i modi tipici del folklore spagnolo per evocare coloriti paesaggi, come in Notti nei giardini di Spagna. Anche nei lavori teatrali si ispira ai racconti del suo paese, come nella vivacissima Il cappello a tricorno e nel balletto L’amore stregone. Si ispirano al folklore i musicisti delle due Americhe, un continente che fino ai primi anni del 276 Novecento è rimasto ai margini della vita musicale “colta”. In Brasile Heitor Villa-Lobos (18871959) cerca una sintesi tra la musica degli indios e dei coloni portoghesi da una parte, e la tradizione barocca europea dall’altra: non a caso ai suoi lavori più famosi ha dato il nome di Bachianas brasileiras, ossia “musiche brasiliane che si rifanno a Bach”. Negli Stati Uniti la musica popolare più caratteristica è il jazz, al quale si rifà il compositore nordamericano George Gershwin (18981937). Nell’opera teatrale Porgy and Bess le voci intonano deliziosi “song”, sull’accompagnamento di un’orchestra sinfonica; e per l’orchestra scrive pezzi divenuti celebri: Un americano a Parigi e Rapsodia in blu. Singolare è anche la figura di Charles Ives (1874-1954): la sua formazione musicale avviene fuori dallo stretto contatto con gli autori europei, eppure nella sua musica compaiono le stesse soluzioni audaci che si praticavano allora in Europa. In Central Park di notte e Tre pezzi del New England Ives si fa portavoce dei valori spirituali che caratterizzano la civiltà nordamericana. In Italia rinasce l’interesse per la musica strumentale Nell’Ottocento, i musicisti italiani componevano quasi esclusivamente musica per il teatro d’opera. Soltanto verso la fine del secolo rinasce l’interesse per la musica solo strumentale, da parte di autori come Giuseppe Martucci. Con lui studia Ottorino Respighi (18791936) che ne riceve il gusto per la musica sinfonica. Quando va a lavorare in Russia, prende lezioni anche da Rimskij-Korsakov, che gli rivela i segreti dell’orchestrazione: Respighi diventa così il compositore italiano più abile nel maneggiare la tavolozza dei colori strumentali. Lo sentiamo nei lavori più noti, i poemi sinfonici I pini di Roma, Le fontane di Roma, Trittico botticelliano, e il balletto La bottega fantastica, in cui rielabora per orchestra brani scritti da Rossini per pianoforte. 3 Parte D Le inquietudini delle generazioni che hanno vissuto l’età delle due guerre mondiali sono espresse bene dalle parole dello scrittore tedesco Hermann Bahr in Espressionismo (1916): Noi non viviamo più, siamo vissuti. Non abbiamo più libertà, non sappiamo più deciderci, l’uomo è privato dell’anima, la natura è privata dell’uomo... Mai vi fu epoca più sconvolta dalla disperazione, dall’orrore della morte. Mai più sepolcrale silenzio ha regnato sul mondo. Mai l’uomo è stato più piccolo. Mai è stato più La storia inquieto. Mai la gioia è stata più assente, e la libertà più morta. Ed ecco urlare la disperazione: l’uomo chiede urlando la sua anima, un solo grido d’angoscia sale dal nostro tempo. Anche l’arte urla nelle tenebre, chiama a soccorso, invoca lo spirito. L’arte che manifesta questa angoscia è soprattutto quella dei pittori espressionisti. In uno dei suoi autoritratti Egon Schiele sembra scrutare il tragico destino umano nello sguardo allucinato, nella mano tesa in modo innaturale, nel vuoto che sta dietro la A sinistra, Georges Braque, Il tavolo del musicista, 1913. Sotto, Egon Schiele (1890-1918), Autoritratto, particolare. Respighi, Franco Alfano, Alfredo Casella, Gian Francesco Malipiero, Ildebrando Pizzetti. Franco Alfano (1875-1954) compone musica orchestrale e da camera. Alfredo Casella (1883-1947) fa conoscere l’opera di Stravinskij e degli altri autori contemporanei più innovativi, e compone lui stesso musiche vicine al gusto neoclassico, come Scarlattiana e Paganiniana. In quegli anni rinasce l’interesse per la musica antica, e nelle loro musiche Gian Francesco Malipiero (1882-1973) e Ildebrando Pizzetti (1880-1968) utilizzano spesso modi antichi. Tutti scrivono anche per il teatro, che continua a essere il genere musicale più amato dagli italiani: qui si distingue in particolare Pizzetti, che mette in musica drammi di Gabriele d’Annunzio, come La figlia di Jorio. figura. Come la fuga dalla tradizione conduce i compositori alla atonalità, così in pittura la rinuncia a “copiare” gli oggetti porta al cubismo e all’astrattismo: il mondo visibile nei quadri di Braque, Picasso, Kandinskij, Mondrian appare deformato e trasfigurato da una capacità di vedere le cose con “gli occhi della mente”. 3 Il “gruppo dell’Ottanta” Agli inizi del Novecento l’attenzione dell’ambiente musicale italiano si rivolge a un gruppo di musicisti ventenni (nati appunto intorno al 1880). Questi musicisti vengono a contatto con il grande rivolgimento musicale e artistico che domina l’Europa e tentano di dare un’impronta “italiana” alle innovazioni del linguaggio musicale. I maggiori esponenti della “generazione dell’Ottanta” sono Ottorino 277 Unità 11 Il XX secolo Negli anni Cinquanta si afferma una musica di impegno sociale Una pagina della partitura di Circles, opera per voce e alcuni strumenti composta da Luciano Berio nel 1960. 278 Il capovolgimento che avviene nella civiltà del Novecento si esprime in una rivoluzione del modo di concepire la musica. La musica popolare, pop, rock e derivati, punta sul rafforzamento delle sonorità e della ritmica pulsante, ma al tempo stesso adotta alcuni procedimenti della musica “impegnata”. A partire da Schönberg il sistema tonale è stato contestato dai compositori più innovativi: negli anni Cinquanta la dodecafonìa continua a essere usata come sistema alternativo alla tonalità, soprattutto dai compositori che sentono il bisogno di esprimere il disagio della civiltà contemporanea. In Italia il rinnovamento si deve soprattutto a Luigi Dallapiccola (1904-1975) e Goffredo Petrassi (1904-2003). Fin dagli anni della Seconda guerra mondiale, entrambi portano una testimonianza di impegno civile al progresso democratico del paese: il primo con opere come i Canti di prigionia e l’oratorio Job; il secondo con il Magnificat e i numerosi Concerti per orchestra. Sulla loro scia si muove la generazione dei compositori nata negli anni Venti: Bruno Maderna (1920-1973) con opere come Notturno e Continuo, Luigi Nono (1924-1990) con La fabbrica illuminata, Canto sospeso, A floresta è jovem, e Luciano Berio (1925-2003), che ha esplorato tutte le possibilità espressive dei suoni della voce umana nelle Sequenze, ognuna dedicata a uno strumento o alla voce. Fuori dall’Italia numerosi musicisti si impegnano per realizzare musiche di alto valore morale: il polacco Krzysztof Penderecki (1933) dedica un’importante composizione Alle vittime di Hiroshima; l’estone Arvo Pärt (1935) recupera forme dell’antico canto gregoriano; l’ungherese György Ligeti (1923) scrive musiche formate da fluide fasce sonore che si intrecciano e si sovrappongono, come Atmosphères. Darmstadt diventa un centro per la produzione della nuova musica Negli anni Cinquanta, il centro più fertile per la musica è la cittadina tedesca di Darmstadt. Qui si svolgono corsi e rassegne di concerti di musiche nuove, che diventano un punto di riferimento per tutti i musicisti del mondo. Caposcuola è il francese Olivier Messiaen (19081992) che elabora una tecnica compositiva sofisticata nella quale, accanto a una precisione e a un rigore matematici, trovano curiosamente spazio anche concetti musicali e filosofici orientali, e spunti melodici e ritmici presi dal canto degli uccelli. Gli insegnamenti di Messiaen hanno influenzato compositori più giovani come il francese Pierre Boulez (1925) e il tedesco Karlheinz Stockhausen (1928), suoi allievi. Un nuovo universo sonoro La ricerca di nuove forme e di nuove tecniche di espressione anima l’arte contemporanea. Già all’inizio del XX secolo i futuristi hanno mostrato come si possa usare il rumore per costruire discorsi musicali. Questa intuizione viene ripresa da un compositore americano, Edgar Varèse (1883-1965), che in opere come Ionisation usa gli strumenti a percussione tradizionali, superando la distinzione tra suono e rumore. Varèse è un grande compositore, anche se ha scritto pochissime opere: sempre teso alla produzione di nuovi suoni, è stato tra i primi a usare in modo magistrale la composizione con suoni e mezzi solo elettronici. Nascono così opere, come Deserti e Poema elettronico, che utilizzano fonti sonore fino a quel momento sconosciute. Per la prima volta i suoni, anziché nascere da corde, legno, metallo, pelle, vengono generati da macchine elettroniche: sono suoni inediti, gelidi e astratti, misteriosi e affascinanti, che sembrano arrivare da altri mondi. Il suono elettronico entra così stabilmente sia nella musica colta sia in quella popolare. In Italia sono soprattutto Maderna, Berio e Nono a servirsene, fondando il Centro di fonologia di Milano; in Francia questa tecnica è sviluppata nella musica concreta di Pierre Schaeffer (1910-1995). 4 Parte D La storia 4 Musica elettronica e musica concreta Così si presenta, sul monitor del computer, uno dei più diffusi software per generare suoni elettronici. Questo tipo di software viene definito “strumento virtuale”. Musica elettronica e musica concreta: con questi termini si indicano due modi diversi di produrre suoni con strumenti musicali non tradizionali: nella musica elettronica il suono è generato direttamente da strumenti elettronici, nella musica concreta prima si registra un suono naturale, per esempio uno scroscio, o un clacson di automobile, poi lo si trasforma elettronicamente. La musica elettronica si serve solo di suoni prodotti attraverso apparecchiature elettroniche chiamate solitamente generatori. Vi sono generatori d’onde sonore, di rumori, di fre- quenza, di impulsi ecc. Oggi, per generare suoni elettronici, ci si serve anche di sintetizzatori, computer, software specializzati e linguaggi di programmazione. I suoni prodotti in questo modo sono spesso totalmente nuovi e quindi non riproducibili con i normali strumenti musicali. Caratteristica essenziale della musica elettronica è quella di creare suoni con mezzi che non implicano l’abilità manuale di chi suona; nel caso degli strumenti elettronici la difficoltà è che il compositore deve avere contemporaneamente conoscenze musicali, matematiche e informatiche. I musicisti del XX secolo si mostrano interessati più alla materia sonora, alle sfumature e alle combinazioni di colore che non alla forma della composizione, alla melodia o al ritmo tradizionali. Allo stesso modo i pittori e gli scultori studiano l’impasto dei colori, la superficie, la plasticità dei materiali. L’italiano Alberto Burri, ad esempio, lavora deformando sacchi di iuta o teloni di plastica mentre altri, come lo spagnolo Antoni Tápies, applicano segno e colore su tele preparate con una spesso strato di materia plasmabile. Le combustioni con cui Burri modifica i materiali plastici che ha fissato sulla tela lasciano spazio all’azione del caso così come nella musica aleatoria il caso determina almeno in parte la composizione. Altri danno importanza all’azione fisica del creare opere d’arte: in questi casi conta più il gesto che non il risultato, come avviene nelle creazioni di Jackson Pollock (vedi pag. 299), ottenute spargendo strati di colore sulla tela distesa sul pavimento. Questo modo di fare arte si avvicina ai modi della musica aleatoria. All’opposto, altri artisti accostano semplici oggetti di uso comune, come negli Interni di Tom Wesselmann. Nella musica concreta, invece, il materiale sonoro è sempre precostituito, tratto dalla vita quotidiana o da registrazioni di strumenti musicali reali ed etnici; i suoni e i rumori provengono da qualunque situazione: un mercato, una fabbrica, un ristorante, uno stadio, un’automobile, un esecutore d’orchestra. Dopo essere stati registrati con raffinati registratori, oppure campionati, i suoni vengono montati con effetti di sovrapposizione e variazione. Spesso il suono finale è talmente alterato rispetto a quello originale da non essere nemmeno riconoscibile. Tom Wesselmann, Interior, 1964. 279 Unità 11 Il XX secolo L’era del computer Schermata di un software in uso presso l’IRCAM, utilizzato per esecuzioni dal vivo, ricerca e insegnamento. I suoni vengono generati da formule matematiche. Una scena della versione cinematografica di My Fair Lady, il musical che ha riscosso il maggiore successo negli anni Sessanta. 280 L’avvento del computer amplia ancora di più le possibilità della creazione musicale. Per realizzare musica con il computer sorgono nel mondo importanti centri di ricerca e produzione come l’IRCAM di Parigi (Istituto per la ricerca acustica e musicale), l’Istituto di fonologia dell’Università di Utrecht in Olanda, i laboratori del MIT di Boston e quelli dell’Università di Stanford negli Stati Uniti. La sintesi sonora è una elaborazione del suono tramite computer, che si avvale di calcoli matematici complessi e che viene applicata a una serie di forme d’onda generate da un elaboratore o da un oscillatore. In questo campo ha lavorato il compositore greco naturalizzato francese Iannis Xenakis (1922-2001), realizzando varie opere fra le quali Orient e Occident (1960). La grande varietà di mezzi elettronici consente oggi al compositore un controllo totale e precisissimo di ogni parametro del suono: durata, altezza, intensità, timbro. È quindi possibile lavorare con una serie di suoni sempre nuovissimi che possono essere associati a quelli prodotti dai normali strumenti musicali o a suoni registrati, in combinazioni infinite. 5 L’alea, il minimalismo, il musical Negli Stati Uniti, John Cage (1912-1992) propone una musica anticonformista, a volte provocatoria, nella quale grande parte ha l’alea, la casualità: il compositore rinuncia spesso a scrivere tutte le note lasciando che sia il caso a determinare parte della sua composizione. L’alea è sfruttata ancora di più dal compositore argentino Mauricio Kagel (1931). Tra le correnti più recenti infine va segnalato un certo ritorno alle origini: una musica molto semplice, basata sulla ripetizione continua di piccoli elementi, per esempio una melodia di poche note. Questa corrente prende il nome di minimalismo: Morton Feldman, Terry Riley, Philip Glass e Steve Reich ne sono i rappresentanti più significativi. Ma il genere musicale che ha più successo nell’America del Novecento è il musical, o commedia musicale; tra i suoi autori troviamo Irving Berlin, Cole Porter, Richard Rodgers, Leonard Bernstein. Si sono dedicati al musical anche cantanti come Bing Crosby, Frank Sinatra, Sarah Vaughan, che hanno generalmente interpretato canzoni a metà strada tra il jazz e la musica leggera. La musica oggi Oggi i compositori di talento sono molti, in tutte le parti del mondo, dal Giappone all’Australia, dal Canada al Medio Oriente, tanto che sarebbe impossibile elencare anche soltanto i più significativi. Sono compositori che scrivono per le sale da concerto o da teatro, o direttamente per le case discografiche o anche solo per la diffusione via Internet o radio. Tra i nomi più illustri operanti in Italia ricordiamo quelli di Franco Donatoni, Sylvano Bussotti, Salvatore Sciarrino. Tuttavia ai compositori si sono anche aperte numerose strade nuove. Già da tempo, infatti, si compone musica per la televisione e per il cinema, dove la colonna sonora è un ingrediente insostituibile (un solo esempio: le musiche di Ennio Morricone), e infine, recentemente, anche musica inserita nelle reti informatiche, che può essere ascoltata direttamente navigando in Internet, oppure ordinando, sempre in Internet, un CD. Sono tutte occasioni che dilatano straordinariamente le opportunità sia di ascoltare sia di creare nuova musica. 6 Parte D La storia 5 Tape music e computer music Data la grandissima varietà di mezzi con cui si possono produrre suoni, i compositori hanno creato nuovi generi musicali. La tape music si compone elaborando un suono con tagli, accelerazioni e diminuzioni di velocità di un nastro registrato. Un altro genere molto praticato è la computer music: ossia la musica composta solo con il computer. Questo “pensa e lavora” grazie a un codice binario composto da sole due cifre: zero e uno; una volta tradotto il suono in questo codice, è possibile manipolarlo con l’ausilio di tecniche matematiche molto complesse. In questo caso comporre una musica vuole dire inserire nel computer una specie di “messaggio cifrato” composto da parole costruite utilizzando il codice binario. Per eseguire la musica si ordina al computer di leggere il messaggio cifrato che viene così decodificato e trasformato in un impulso elettrico che, adeguatamente amplificato, restituisce una serie di suoni. tava normalmente composizioni scritte da musicisti del tempo. All’inizio del Novecento, invece, si verifica un cambiamento: i gusti e le conoscenze del grande pubblico comprendono infatti un repertorio che parte dalla fine del Seicento. Oggi, grazie alla diffusione della musica registrata, tutte le età della storia della musica – dal canto gregoriano fino alle ultime creazioni – sono disponibili su dischi, CD o altri supporti. Questa immagine rappresenta un brano di musica elettronica composto con un apposito software. I suoni sono rappresentati da codici, composti da lettere e numeri; il computer legge una riga per volta e invia i codici agli strumenti elettronici. A questo punto il codice è diventato musica. Ogni colonna corrisponde a uno strumento musicale elettronico. Tutti i comandi che stanno in alto, in basso e a destra servono per variare i parametri del suono e della composizione. 6 Una memoria su disco Fino al Settecento era raro l’ascolto di musiche “vecchie” anche di soli venti o trent’anni, che risultavano essere fuori moda: un po’ come capita oggi con le canzoni di vent’anni fa. Anche nell’Ottocento il pubblico ascol- 281 Unità 11 Il XX secolo George Gershwin Copertina del disco di Rapsodia in blu e Un americano a Parigi disegnata da Guido Crepax. TRACCE 21 – 26 10 (Stati Uniti, 1898-1937) I suoi familiari, di origine russa, abitano a New York, in uno dei quartieri più popolari di Brooklyn. È qui che Gershwin trascorre la sua infanzia, ed è qui che la sua immaginazione si nutre delle musiche di strada, il blues, il ragtime, le vecchie canzoni folkloristiche: la musica diventa la sua grande passione. Per sbarcare il lunario lavora prima come strimpellatore di canzoni nuove per una casa editrice, poi come pianista nei musical. Rivela presto un grande talento per la melodia, componendo canzoni che lo rendono famoso: Swanee, Lady be Good, The Man I love, Fascinating Rhythms. Ma Gershwin ha un’ambizione più alta: quella di creare una sintesi fra il linguaggio musicale nordamericano e la musica classica europea. In questo è incoraggiato e assistito dal musicista e direttore d’orchestra Paul Whiteman. Nascono così la Rapsodia in blu, il Concerto in Fa per pianoforte, Un americano a Parigi, che tratteggia la passeggiata di un newyorkese per le vie di Parigi, dove la gioia si alterna alla nostalgia di casa. Non contento, si cimenta con l’opera lirica, componendo il suo ultimo capolavoro, Porgy and Bess, un’opera drammatica ambientata nei luoghi in cui ha trascorso l’infanzia e che contiene alcune delle sue più belle pagine, come il celebre spiritual Summertime. Concerto in Fa: Allegro agitato Gershwin era già famoso in patria per le sue bellissime canzoni, quando nel 1925 il direttore della Società sinfonica di New York lo sollecitò a scrivere un’opera ambiziosa: un concerto nello stile classico. Gershwin però non poteva dimenticare le sue redici, legate al ragtime e al blues. Ed ecco nascere questo Concerto in Fa, nei tre movimenti classici: Allegro, Adagio, Allegro. Ascoltiamo l’Allegro finale. 282 TRACCIA 21 L’inizio sfolgorante ci presenta il motivo che tornerà più volte nel corso della composizione: un motivo a note ribattute, martellato dall’orchestra intera e ripreso dal pianoforte. I due protagonisti, orchestra e pianoforte, si scambiano poche battute di dialogo. TRACCIA 22 Ora procedono insieme, con un caratteristico motivo in contrattempo, che si era già fatto sentire nel primo movimento del concerto: Parte D TRACCIA 23 La storia Riprende il motivo martellante: prima nel pianoforte, poi in tutti i gruppi orchestrali, dal grave all’acuto. Qui Gershwin introduce il tema principale del secondo movimento, nel suono inconfondibile della tromba con sordina: Quale strumento lo ripete? • Il pianoforte • I violini • Il flauto Il ribattuto dello xilofono, e un improvviso rallentamento, concludono l’episodio. TRACCIA 24 Si riparte con l’orchestra, con il ritmo martellante del pianoforte, e con un nuovo motivo, un “song” già presentato nel secondo movimento: Quando il pianoforte resta solo, che cosa esegue? • Il song • Il motivo della tromba con sordina • Un motivo completamente nuovo TRACCIA 25 Lo xilofono riprende il motivo in contrattempo che abbiamo sentito all’inizio, e che ora prepara la conclusione. TRACCIA 26 Il pubblico che applaudì entusiasta la prima di questo concerto era rimasto colpito dall’inventiva melodica di Gershwin. E come resistere all’applauso, quando l’intera orchestra si precipita nel fragoroso, entusiasmante finale? Scena dalla prima rappresentazione dell’opera Porgy and Bess, nel 1935. 283 Unità 11 Il XX secolo Anton von Webern A destra, Anton von Webern in un dipinto del pittore Valerio Adami, 1971. TRACCE 27 – 29 10 (Austria, 1883-1945) Gli studi severi compiuti nell’Università di Vienna lo orientano a una carriera di compositore fedele alla tradizione. A fargli cambiare completamente rotta è, nel 1904, l’incontro con Schönberg, di cui diventa allievo. Schönberg sta maturando il suo allontanamento dalla tonalità, che lo porterà a elaborare il metodo dodecafònico. Webern segue il maestro nel suo percorso artistico, ma in modo del tutto speciale: invece di comporre lunghe melodie, con ritmi più o meno regolari, seleziona pochi suoni e li accosta, variando con estrema cura l’altezza, la durata, il timbro e l’intensità di ciascuno. Risultato: le sue composizioni sono cortissime, come un “distillato di musica”. L’effetto d’insieme è una geometria sonora, dove i pieni e i vuoti sono disposti con grande equilibrio, a creare un’atmosfera rarefatta, di sognante purezza. Si possono paragonare ai lavori più geometrici dell’arte astratta, dove il pittore sceglie con grande rigore quadrati e rettangoli, da alternare sulla tela agli spazi vuoti. Con questo modo di pensare la musica, Webern si trova perfettamente a suo agio con il metodo dodecafònico del maestro. Quando Hitler sale al potere in Germania, Schönberg è costretto a fuggire all’estero; la musica sua e quella di Webern vengono messe al bando come “arte degenerata”. Webern deve limitarsi a dare lezioni private. Scoppia la guerra, si arriva al crollo del nazismo, Vienna viene occupata dagli Alleati. È il 1945: un giorno, mentre Webern passeggia nei dintorni di Vienna, un soldato americano gli intima l’alt. Per un tragico malinteso, il soldato lascia partire una raffica: Webern muore così. Variazioni op. 27 Questa composizione risale al 1936, e usa il metodo dodecafònico, su questa serie di dodici suoni: TRACCIA 27 Sono tre brevi momenti. Il primo serve da Introduzione. TRACCIA 28 Il secondo, ancora più corto, è come un antico “scherzo”, miniaturizzato. TRACCIA 29 La variazione vera e propria della serie occupa il terzo frammento. La spiegazione più acuta di questa musica ci viene dal maestro di Webern, Arnold Schönberg: “Pensate quanto senso di rinuncia è necessario per essere così succinti. Su ogni sguardo si può ben costruire un poema, su ogni sospiro un romanzo. Ma esprimere un romanzo con un solo gesto, una felicità in un sospiro: tanta concentrazione è possibile solo se non si ha troppa indulgenza verso se stessi. Questi pezzi saranno capiti solo da chi condivide la fede che la musica può dirci cose che solo la musica è in grado di esprimere.” 284 Parte D Luciano Berio La storia (Italia, Imperia, 1925-2003) Luciano Berio è uno dei musicisti italiani più importanti del XX secolo. Studia al Conservatorio di Milano, poi negli Stati Uniti, dove insegna in varie università. Insieme a Bruno Maderna fonda a Milano nel 1954 lo Studio di fonologia musicale, dedicato all’elaborazione elettronica del suono. Nascono così le prime opere italiane di musica elettronica, come Visage (1961), nella quale una voce femminile è sottoposta a trattamenti elettronici: il risultato è una storia fantastica, che sembra dare consistenza ai nostri sentimenti più nascosti, ai nostri incubi. Il suono si lega spesso in Berio al movimento fisico, all’azione scenica: la musica si trasforma in musica/azione, o action music, come viene chiamato tale modo di comporre. Da questa ricerca nascono diversi lavori destinati espressamente al teatro, come Opera, La vera storia, Un re in ascolto. TRACCIA 30 10 Sequenza IV per pianoforte Lo spirito di ricerca di mondi sonori nuovi porta Luciano Berio a realizzare numerose composizioni strumentali. Le 13 Sequenze composte fino al 1996 sono dedicate ciascuna a uno strumento. Nella quarta sequenza Berio costruisce un’ampia composizione a partire da certe possibilità tipiche del pianoforte. Inizia da semplici accordi seguiti da silenzi e poi il gioco si infittisce sempre più. Ma la cosa che gli interessa particolarmente è la possibilità di lasciar vibrare alcuni suoni, mentre se ne sovrappongono altri che svaniscono: questo è possibile grazie al pedale centrale dello strumento. Il risultato è un esempio di musica/azione: è come se un bizzarro folletto si fosse intrufolato nel pianoforte; anzi è come se la voce del folletto si identificasse con le corde del pianoforte, ed è una voce che fa ascoltare i più capricciosi moti d’animo del nostro inconscio. Particolare della partitura di Mutazioni, di Luciano Berio. 285 Unità 11 Il XX secolo Cathy Berberian (Stati Uniti, 1925-1983) A lungo, le attività artistiche sono state una prerogativa degli uomini. Solo in casi eccezionali potevano accedervi le donne. Oggi le cose sono cambiate, almeno in molti paesi, e anche una musicista può vedere riconosciuto il suo talento. L’americana Cathy Berberian è autrice di musiche vocali e strumentali ed è riconosciuta per la sua versatilità: era bravissima come cantante, come mimo, come interprete dei generi di danza più diversi. Negli anni Cinquanta del XX secolo si trasferì in Italia, e qui, oltre a comporre le proprie musiche, come la scherzosa Stripsodia, divenne l’interprete prediletta di numerosi compositori, che scrissero musiche apposta per lei, da Luciano Berio a Igor Stravinskij. TRACCE 31 – 36 10 TRACCIA 31 Stripsodia Si può capire una storia raccontata solo con le onomatopèe? Cathy Berberian ci ha provato. Ascoltiamola. Il disegnatore Roberto Zamarin l’ha trascritta con i seguenti disegni. Prima scenetta La protagonista è in casa, sola. Tic-toc, tic-toc: il pendolo batte i secondi. La signora sospira, accende la radio (ts-tsk): gira inquieta da una stazione all’altra. Sospira. Qualcuno bussa: chi sarà? Apre la porta: è una visita affettuosa (smack, smack). TRACCIA 32 Seconda scenetta Ora si passa in cucina, si mangia. Poi va alla fattoria, dove vengono incontro un’oca (honk, honk), un maialino (oink, oink), un moscone seguito da una mucca: zzzzzzzz...muuuuu... 286 Parte D TRACCIA 33 La storia Terza scenetta Arrivano gli indiani; cavalcata. Cow-boy rispondono sparando. Ritorna la quiete: un topolino esce allo scoperto (squeek, squeek). Alla fattoria la vita riprende: slam slap smash smack snap snap splash… TRACCIA 34 Quarta scenetta Ma ora arriva un bandito, a passi pesanti (stomp, stomp, stomp). Apre, spara, stende a terra qualcuno, se ne riparte. Sirena della polizia. 287 Unità 11 TRACCIA 35 Il XX secolo Quinta scenetta Un missile parte. Poi ricade: swiiiii…tak. Accorrere di gente. Sorpresa (yowee!): chi arriva? Un uccello? No! Un aereo? No! È Superman! TRACCIA 36 Sesta scenetta Si ritorna nella fattoria. Il cow-boy si rimette al lavoro. Poi stanco s’addormenta (zzzzzzfiiii). Un’implacabile zanzara lo disturba. Il cow-boy estrae la pistola: bang. Tutto è finito. 288 Parte D Leonard Bernstein La storia (Stati Uniti, 1918-1990) È stato uno dei più grandi e amati direttori d’orchestra del XX secolo. Tutte le maggiori orchestre del mondo lo hanno ospitato. Ma è stato anche un importante compositore di musica d’ogni genere: sinfonie, musiche da camera, da film, di scena. Per il teatro musicale scrive l’opera A quiet place e il suo capolavoro, il musical intitolato West Side Story. Negli anni Sessanta si dedica all’educazione musicale dei giovani, realizzando per la TV una serie di trasmissioni durante le quali spiega le musiche che poi esegue. Queste registrazioni si possono vedere ancora oggi. TRACCE 37 – 46 10 Sopra, a destra, la locandina del film West Side Story (1961), tratto dal musical di Bernstein. West Side Story: Scene dal musical West Side Story è uno dei musical – o commedie musicali – più acclamati. Rappresentato per la prima volta nel 1957, narra una storia ispirata a quella di Giulietta e Romeo, la celebre tragedia di Shakespeare, ambientata però a New York: invece delle due famiglie rivali dei Capuleti e dei Montecchi, qui si affrontano due fra le bande di giovani che popolano il quartiere; invece di Giulietta e Romeo, qui ci sono Maria e Tony. Nel corso di una rissa Tony uccide il rivale Bernardo. Un omicidio che Tony pagherà con la morte. Ouverture Bernstein introduce la rappresentazione con una pagina solo strumentale, proprio come facevano i compositori dei melodrammi, e anticipa in questa pagina alcuni dei più bei temi della commedia. TRACCIA 37 L’inizio è tumultuoso: si apre davanti a noi lo spettacolo di una metropoli convulsa, percorsa da gente di ogni tipo e tormentata dalle violenze delle bande rivali. Un ritmo martellante prepara le smorfie espresse da tromboni e trombe. TRACCIA 38 Improvvisamente dalla confusione si stacca una figura amabile. Bernstein introduce una canzone del primo atto, Tonight, che tra poco sentiremo cantare dai due innamorati. È suonata su questo accompagnamento sincopato: TRACCIA 39 La mischia riprende solo per permettere al musicista di staccare un’altra scena sentimentale, quella legata alla figura di Maria, sempre dal primo atto: il bel tema è eseguito dal corno. TRACCIA 40 Il finale è sempre più precipitoso. A dipingere la vita frenetica che continua nella città partecipa tutta l’orchestra, con i campanacci che aggiungono un tocco popolare. 289 Unità 11 Il XX secolo Maria TRACCIA 41 Quando Tony vede Maria se ne innamora subito, e lo dice al suo amico. Ascoltiamolo leggendo la sua confessione qui sotto: The most beautiful sound I ever heard: Maria, Maria, Maria… Il più bel suono che ho mai udito: Maria, Maria, Maria… All the beautiful sounds of the world Tutti i bei suoni del mondo in a single world: Maria, Maria, Maria… in una sola parola: Maria, Maria, Maria… Maria! I’ve just met a girl named Maria, and suddenly that name will never be the same, will never be the same to me. Maria! Ho incontrato una ragazza di nome Maria e subito quel nome non sarà più lo stesso, non sarà più lo stesso per me. Maria! I’ve just kissed a girl named Maria, and suddenly I’ve found how wonderful a sound can be! Maria! Ho baciato una ragazza di nome Maria, e subito ho scoperto quanto un suono possa essere meraviglioso! Maria! Say it loud and there’s music playing. Say it soft and it’s almost like praying. Maria, I’ll never stop saying Maria, Maria, Maria, Maria… Maria! Dillo forte, ed è una musica che suona. Dillo piano, ed è quasi una preghiera. Maria, non smetterò di dire Maria, Maria, Maria, Maria… Maria! Say it loud and there’s music playing. Say it soft and it’s almost like praying. Maria, I’ll never stop saying Maria, Maria, Maria, Maria… Maria! Dillo forte, ed è una musica che suona. Dillo piano ed è come una preghiera. Maria, non smetterò di dire Maria, Maria, Maria, Maria… The most beautiful sound I ever heard: Maria! Il più bel suono che ho mai udito: Maria! West Side Story. 290 Parte D La storia Scena del balcone TRACCIA 42 Come Giulietta nella tragedia di Shakespeare, anche Maria parla dal balcone al suo innamorato: Maria: Only you, you’re the only thing I’ll see forever. In my eyes, in my words and in ev’rything I do, nothing else but you, ever! Maria: Solo tu, tu sei la sola cosa che vedrò per sempre. Nei miei occhi, nelle mie parole e in tutto ciò che faccio, nient’altro che te, sempre! Tony: And there’s nothing for me but Maria, ev’ry sight that I see is Maria. Tony: E non c’è niente per me se non Maria, ogni immagine che vedo è Maria. Maria: Tony, Tony… Maria: Tony, Tony… Tony: Always you, ev’ry thought I’ll ever know, ev’rywhere I go, you’ll be, you and me! Tony: Sempre tu, ogni pensiero che penserò, dovunque andrò, tu sarai, tu con me! Maria: All the world is only you and me! Tonight, tonight, it all began tonight, I saw you and the world went away. Tonight, tonight, there’s only you tonight, what you are, what you do, what you say. Today, all day I had the feeling a miracle would happen. I know now I was right. For here you are, and what was just a world is a star—tonight. Maria: Tutto il mondo è solo te con me! Stanotte, stanotte, tutto è cominciato stanotte, ti ho vista e il mondo è scomparso. Stanotte, stanotte, ci sei solo tu stanotte, ciò che sei, ciò che fai, ciò che dici. Oggi, tutto oggi ho avuto la sensazione che un miracolo sarebbe avvenuto. Ora so che avevo ragione. Perché tu sei qui, e quello che era solo un mondo è una stella—stanotte. Insieme: Tonight, tonight, the world is full of light, with suns and moons all over the place. Insieme: Stanotte, stanotte, il mondo è pieno di luce, con soli e lune su tutti i luoghi. Tony: Tonight, tonight, the world is wild and bright, going mad, shooting sparks into space. Tony: Stanotte, stanotte, il mondo è selvaggio e luminoso, impazzisce, spara scintille nello spazio. Insieme: Tonight, tonight, the world was just an address, a place for me to live in, no better than all right, but here you are, and what was just a world is a star—tonight. Good night, good night, sleep well and when you dream, dream of me, tonight. Insieme: Stanotte, stanotte, il mondo era solo un indirizzo, un posto dove vivere, non meglio di ogni cosa che va, ma tu sei qui, e quello che era solo un mondo è una stella—stanotte. Buona notte, buona notte, dormi bene e quando sogni, sogna me, stanotte. La rissa TRACCIA 43 Riff, l’amico di Tony, viene sfidato da Bernardo. Lottano con i coltelli. Le trombe con sordina sembrano dare voce ai ghigni dei contendenti. I due si bloccano a vicenda, faticano a liberarsi: la musica si fa nervosa. Senti lo xilofono scandire i gesti convulsi. TRACCIA 44 La lotta riprende furiosa, fino a che Bernardo uccide Riff. TRACCIA 45 Momento di silenzio. Tony prende il coltello dalla mano dell’amico e si avventa su Bernardo, uccidendolo. Davanti al duplice delitto le due bande si disperdono. TRACCIA 46 I tamburi ci fanno capire che la scena è rimasta vuota. L’ultimo ad andarsene è Tony, disperato. Il suo pensiero è per Maria. 291 Unità 11 Il XX secolo Esperienze I futuristi e gli autori di musica concreta ci insegnano che i rumori ambientali possono essere utilizzati per costruire “messaggi sonori”. Inventiamo anche noi una musica di rumori. Scegliamo oggetti che producano effetti sonori diversi. Ricordiamoci che ogni oggetto può produrre una quantità di effetti, a seconda di come lo si tratta: anche un semplice pezzo di carta può essere stropicciato, agitato, lacerato, percosso, sfregato… Decidiamo un segno per ogni effetto sonoro. Facciamo un’esperienza diretta e molto semplice di dodecafonìa. Procediamo così: • scriviamo alla lavagna una serie di dodici suoni, disposti in modo che il risultato non sia “tonale”; • mettiamoci in gruppi di quattro ragazzi; • comincia il primo gruppo: ogni ragazzo si prende tre note; • eseguiamo tutte le dodici note in successione: ogni ragazzo decide se suonarle rapidamente o lentamente, con pause o senza; può anche decidere di suonarle a una a una oppure simultaneamente; • si passa al secondo gruppo, poi ai successivi. La dodecafonìa impiega anche le tecniche escogitate nel Quattrocento dai Fiamminghi. Una medesima melodia può allora essere eseguita nei seguenti modi: • retrogrado, leggendola al contrario, da destra a sinistra; • inverso, un intervallo che sale è sostituito da uno che scende, e così via; • retrogrado e inverso, si applicano insieme i due modi precedenti. Proviamo a eseguire le note della serie in modo retrogrado. Con l’aiuto dell’insegnante, possiamo riscrivere la melodia in modo inverso e retrogrado/inverso, ed eseguirla così. Inventiamo una musica fatta di clusters: grappoli di suoni vicini, come quelli che si ottengono premendo insieme con il palmo della mano aperta tutti i tasti possibili di un pianoforte. Usiamo tutti gli strumenti melodici che abbiamo. Decidiamo prima la forma complessiva del pezzo: alterniamo sonorità dense (tanti suoni, intensità forte) e sonorità rarefatte (pochi suoni, intensità piano); creiamo anche passaggi graduali dall’una all’altra. PORTFOLIO PORTFOLIO Inventiamo una musica concreta elementare. Registriamo i rumori ambientali. Ogni ragazzo registra un rumore: per esempio, il rombo di un motore, la goccia d’acqua del lavandino… Costruiamo un pezzo alternando e sovrapponendo i suoni. Pratichiamo qualcuna delle proposte per il computer suggerite nel CD che accompagna questo corso. Inventiamo una “stripsodia”, come ha fatto Cathy Berberian. Disegniamo il fumetto di una storia; riempiamolo di onomatopee, e sonorizziamole. PORTFOLIO Mettiamoci in gruppi e organizziamo una ricerca sulla vita musicale, gli usi e le caratteristiche della musica. Ogni gruppo sceglie un periodo storico da approfondire. Aspetti da mettere in luce: • funzioni della musica: cerimonie, divertimento, culto religioso; • ambienti in cui la musica era eseguita, e tipo di pubblico; • committenti: signori, amministratori pubblici, impresari; • estrazione sociale del musicista; 292 Parte D La storia • caratteristiche della musica; • strumenti utilizzati; • affinità con le altre arti. Ogni gruppo può realizzare alcuni tabelloni, da esporre in classe e da illustrare ai compagni in una “conferenza” finale. PORTFOLIO Visitiamo un museo dedicato a un musicista. Spesso il museo è allestito nella casa natale del musicista stesso. Qualche suggerimento per prepararci alla visita: • conduciamo prima un’indagine sulla figura del musicista: l’epoca in cui è vissuto, il suo ambiente, la sua estrazione sociale e così via; • se sono state stampate le sue lettere o le sue memorie, leggiamone insieme qualcuna; • ascoltiamo qualche sua musica significativa; • procuriamoci la documentazione di quello che il museo contiene; • durante la visita, diamoci compiti diversi: un gruppo si concentra sulle abitudini del musicista e i suoi gusti; un altro sulle sue amicizie; un altro sull’ambiente in cui è vissuto; un altro sui suoi modi di comporre; e così via. E non dimentichiamo di informarci per tempo sugli orari di apertura del museo. Eseguiamo anche noi George Gershwin, Concerto in Fa: l’ultimo tema. Cathy Berberian, Stripsodia: la terza scenetta. ricapitoliamo La prima metà del XX secolo è caratterizzata dal contrasto fra i progressi della tecnica e dell’economia, e la barbarie delle guerre e degli stermini. Anche le arti rivelano questo doppio volto: per esempio, il Futurismo celebra le macchine ma anche le guerre. Nella prima metà del XX secolo, il legame con la musica popolare è alla base delle opere dei compositori ungheresi, inglesi, slavi, spagnoli, e anche americani. In seguito, la musica “impegnata” si allontana sempre più dal gusto popolare. I compositori russi si ispirano alle leggende della propria terra, come fa Igor Stravinskij, o alla sua storia e alla sua vita politica, come fa Dmitrij Sciostakovic. Negli anni Cinquanta si affermano le avanguardie colte, che riprendono la lezione della dodecafonìa e si ispirano a temi di grande impatto sociale e politico. Mentre in Italia rinasce l’interesse per la musica strumentale, in Francia si affermano nuove importanti scuole di compositori. In Germania la critica verso i valori sociali che hanno condotto alle guerre è espressa soprattutto dagli artisti dell’Espressionismo: in musica, questa corrente ha un protagonista in Arnold Schönberg, che elabora una nuova grammatica musicale, la dodecafonìa. Nuove sonorità si affermano grazie all’elettronica: la musica elettronica, la musica concreta e la computer music usano le nuove tecnologie per esplorare mondi espressivi impensati prima. Soprattutto negli Stati Uniti, accanto al genere popolare del musical si affermano le correnti più antitradizionali, ispirate all’alea (cioè alla composizione “casuale”) e al minimalismo. 293 Il jazz 1861 Stati Uniti: abolizione della schiavitù e inizio della guerra di secessione 1887 Invenzione del grammofono La testimonianza Laggiù nel Sud dove sono nato raccoglievo il cotone e zappavo il granturco —tanto tempo fa. Oh, drizzate la schiena e tirate, accostate e prendete la vostra paga. Cinque dollari al giorno è la paga di un bianco, e un dollaro è quella di un nero. Potessi avere un po’ di rum, vi canterei una canzone, se ne avessi una. Anonimo, A long time ago Raccolta del cotone. 1919-1933 Proibizionismo negli Stati Uniti 1968 Assassinio di Martin Luther King Le origini Così canta uno schiavo d’America appena liberato. Ma è cambiata veramente la sua vita? Il canto era l’unico sollievo per i diseredati: un canto così espressivo da avere inciso profondamente sulla storia della canzone. L’origine di molta della musica che ascoltiamo oggi, infatti, è afroamericana: affonda le sue radici nella cultura multietnica della popolazione degli Stati Uniti e in particolare in quella delle popolazioni africane deportate in America secoli fa in schiavitù. È da questa fusione di culture (negli USA viene chiamata melting pot) che nascono jazz, twist, rock e così via. 1 Le prime forme di jazz: blues e ragtime 1994 Fine dell’apartheid in Sudafrica Il jazz ha origine e si evolve a partire dalle melodie e dai ritmi che gli schiavi neri hanno portato con sé dall’Africa; queste espressioni native si trasformano a contatto con quelle dei coloni americani di origine europea. Le prime forme musicali originali sono i canti di lavoro, e soprattutto il blues, un genere musicale popolare che nasce negli Stati Uniti, nella comunità degli schiavi neri, e comprende canzoni accompagnate da chitarra o pianoforte. I temi delle canzoni riguardano aspetti spiacevoli e dolorosi della vita: un amore deluso, la fame, la fatica del lavoro. Il termine blue, infatti, significa tristezza. Padre del jazz è anche il ragtime creato dall’afroamericano Scott Joplin, una musica brillante e allegra in genere suonata sugli striduli pianoforti dei locali notturni americani. Un’orchestrina di solisti Le orchestre jazz, le band, si esibivano anche su traballanti carri per le vie di New Orleans, o sulle zattere del Mississippi, in occasione di feste, parate e funerali. La formazione strumentale tipica della musica di matrice afroamericana comprende generalmente una sezione ritmica composta da una batteria e da un contrabbasso, a cui si aggiungono un pianoforte e talvolta una chitarra, e strumenti a percussione. Questa sezione serve come base ritmica e armonica alle improvvisazioni melodiche del solista o di più solisti che si alternano al sassofono, al clarinetto, alla tromba, eccetera. Parte D Negli anni Venti del XX secolo, gli Stati Uniti attraversano un periodo di intenso sviluppo economico. È in questo clima che la musica jazz conquista il pubblico americano, tanto che questi anni vengono definiti la Jazz Age, l’Età del jazz. Ma nel 1929 il sistema economico manifesta la sua debolezza con il crollo della borsa di Wall Street. L’ideologia della totale libertà economica deve essere corretta e il presidente Roosevelt apre l’era del New Deal: gli Stati Uniti diventano la maggiore potenza nel mondo. Dopo la Seconda guerra mondiale la loro forza economica genera anche una forza culturale. Si impone lo stile di vita americano e con questo anche le tipiche musiche di questo paese: il jazz e il rock. Nel jazz ogni componente della band è protagonista. Una volta fissati il giro armonico e un motivo musicale, ognuno si ricava uno spazio per svolgere creativamente la sua parte: non solo nelle note che suona, ma anche nel modo di produrle, con determinati attacchi del suono, con vibrati e 1 La storia Folla davanti alla borsa di Wall Street nel 1929. glissandi, con l’uso di sordine. Le melodie sono spesso costruite con intervalli ampi e, all’opposto, con frequenti intervalli cromatici. Soprattutto nei pezzi lenti si predilige la scala di blues. Mentre la misura è quasi sempre binaria, al suo interno i ritmi sono estremamente vari: è normale che mentre un esecutore pratica un certo ritmo, un altro ne sovrapponga uno completamente diverso. E tutti praticano lo swing: il tipico dondolare, fatto di anticipi e ritardi, a cui concorre un altro elemento costante del jazz: il sincopato. L’origine della parola “jazz” Il termine jazz viene introdotto fra il 1910 e il 1915 a New Orleans, città che si trova nello stato della Louisiana (Stati Uniti) e che può essere considerata la madre del jazz. La parola deriva dai termini dialettali gism, e poi jasm e jass che indica la forza, la vitalità e l’energia con cui una persona si dedicava allo sport o a qualunque altra attività. Agli inizi del Novecento, New Orleans è una città multietnica, abitata da Francesi, Spagno- li e Anglosassoni perché la Louisiana, prima di fare parte degli Stati Uniti, è stata una colonia spagnola e poi francese. Ai bianchi di origine europea si sono aggiunti i figli degli schiavi e i creoli, ossia i neri africani che hanno raggiunto il continente con i coloni francesi: molti creoli furono liberati nei primi anni dell’Ottocento. Mercato degli schiavi nella Louisiana agli inizi dell’Ottocento. 295 Unità 12 Il jazz Le prime jazz band Il primo documento sonoro della storia del jazz risale al 1917: è un disco inciso dalla Original Dixieland Jazz Band, una formazione composta da musicisti bianchi. Ma è fra i neri che emergono i primi straordinari solisti del jazz: i trombettisti King Oliver e Louis Armstrong. Con Louis Armstrong e il clarinettista e sassofonista Sidney Bechet il jazz passa dall’improvvisazione collettiva, caratteristica delle band, a quella solistica: a ogni strumentista vengono riservate alcune battute per la sua personale improvvisazione, i solisti si alternano secondo schemi prestabiliti, in un gioco sempre più fitto e stringente di botta e risposta. Col tempo, acquista sempre più importanza il pianoforte che, a causa delle dimensioni ingombranti, non poteva comparire nelle prime band itineranti di New Orleans. Un pianoforte, anche se stridulo e scordato, è presente in quasi tutti i locali di divertimento, nei ristoranti e nei bar, nei locali spesso di infimo rango che non possono permettersi un gruppo strumentale. I primi rappresentanti del pianismo jazz sono Jelly Roll Morton e Fats Waller che, pur con stili diversi, inventano un linguaggio musicale e una tecnica strumentale che saranno alla base di tutto il pianismo jazz. Le big band Duke Ellington e la sua band. Negli anni Venti del XX secolo si costituiscono le big band, grandi orchestre formate da sezioni di fiati (gruppi di tre o quattro strumenti a fiato simili, come sassofoni, trombe, trombo- ni) e da una sezione ritmica composta da batteria, basso, pianoforte e talvolta una chitarra. Le big band hanno bisogno di un direttore e di arrangiamenti per i brani da eseguire, cioè di partiture musicali nelle quali siano esattamente notate le parti di ogni strumento: non era infatti pensabile un’improvvisazione collettiva di dodici o quindici strumenti, che si sarebbe risolta in un grande caos. 2 Il momento dell’improvvisazione solistica esiste però anche in queste grandi formazioni, affidato di volta in volta a rappresentanti delle varie sezioni che si producono in un assolo, nei punti previsti dall’arrangiamento, creando un dialogo con l’orchestra: un po’ come nel “concerto grosso” della tradizione classica barocca. È in questo modo che dalla big band di Duke Ellington, pianista, compositore e arrangiatore tra i più geniali del jazz, emergono solisti famosi. 3 Swing e boogie-woogie Negli anni Quaranta è ancora un’orchestra, quella di Count Basie, a lanciare lo swing, uno stile caratterizzato da una grande incisività ritmica che ben si presta al ballo. È infatti destinata al ballo la musica di molte orchestre swing di quegli anni, proposta da musicisti bianchi per scopi essenzialmente commerciali. Tra le tante vale la pena di ricordare l’orchestra di Glenn Miller: i suoi famosissimi boogie-woogie, come In the Mood, Moonlight Serenade, American Patrol, Pennsylvania 65000, accompagnano l’ingresso in Europa delle truppe americane durante la Seconda guerra mondiale, fra il 1943 e il 1944. L’antagonismo tra bianchi e neri In risposta alla musica leggera e commerciale creata dalle grandi orchestre bianche, nell’immediato dopoguerra nasce il be-bop, espressione del disagio sociale e della presa di coscienza politica dei neri d’America. In contrasto con gli arrangiamenti accattivanti delle grandi orchestre, il be-bop viene suonato da piccole formazioni e punta sull’improvvisazione totale, in un veloce e spigoloso fraseggio ritmico, e in un tessuto armonico complesso e aspro che recupera, aggiornandola, la tradizione del blues. Gli esponenti più importanti del be-bop sono Charlie Parker, con il suo sax contralto, e il trombettista Dizzy Gillespie. 296 Parte D La storia 2 Il jazz è improvvisazione Diversamente dalla musica classica, dove di solito tutte le note sono pensate e scritte dal compositore, nel jazz ogni esecuzione è anche invenzione. Non esistono due versioni uguali dello stesso brano, anche se suonato dallo stesso musicista. Gli esecutori normalmente si basano su una traccia melodica o armonica (una successione di note o di accordi) che subisce continue variazioni e trasformazioni per tutta la durata dell’esecuzione. Le tracce più note e di maggiore successo sono chiamate standards; ogni jazzista si esercita e si esibisce con queste basi, impara un linguaggio musicale comune a tanti altri musicisti: ciò gli consente di associarsi nei concerti con relativa facilità a colleghi sempre diversi. John Coltrane (con il sax) e Lee Morgan improvvisano durante la preparazione del mitico disco Blue Train (1957). 3 Il compito del batterista Il famoso batterista Max Roach. sione. Per questo non tutti quelli che suonano la batteria sono batteristi. So che parrà strano sentirmi parlare di spirito. Ma suonare la batteria è un fatto di spirito: devi sentirtela nel corpo, nell’anima. Può anche essere uno spirito cattivo: se sei cattivo suonerai la batteria da cattivo, e se suoni da cattivo metterai la tua cattiveria nella mente di qualcun altro. Che razza di band riusciresti a fare? Solo una band dallo spirito cattivo. Se un batterista si limita a suonare la batteria, non conta nulla. Il suo compito è di aiutare gli altri e non di scatenarsi e suonare per se stesso. Se un batterista non sa come aiutare gli altri, non esiste la band. Sento di essere l’uomo chiave della band. Dalla percussione devi badare a tutti. Devi sentire quel suonatore con chiarezza, sentire quello che vuole; e fare di tutto per darglielo. Devi studiare la natura umana di quel tipo, studiare dove vuole arrivare, capire cosa cerca. E tutto questo con la percus- Da un’intervista a Baby Dodds (1898-1959), uno tra i più grandi batteristi di New Orleans 297 Unità 12 Il jazz Il jazz prosegue il suo cammino di libera sperimentazione Miles Davis suona con il sassofonista Kenny Garrett. Franco Cerri, esponente di punta del jazz europeo. 298 Cool jazz e free jazz Nel corso degli anni Cinquanta, alla musica inquieta e nervosa del be-bop se ne sostituisce una più fredda, distaccata, razionale ed equilibrata, che si manifesta per la prima volta con il suono della tromba di Miles Davis. Il cool jazz (“jazz freddo”) è sviluppato dal pianista Lennie Tristano e dai sassofonisti Stan Getz e Gerry Mulligan, nonché dal piano del nero John Lewis che, con il suo gruppo Modern Jazz Quartet, propone un’originale fusione tra jazz e musica classica. Il problema razziale e l’emancipazione dei negri sono il tema di fondo del free jazz, che si inserisce come un manifesto per la libertà nella vita delle popolazioni di colore. Iniziato da Max Roach con la sua Freedom Now Suite (“Libertà adesso”) e dal contrabbassista e compositore Charlie Mingus, il jazz degli anni Sessanta trova una delle sue voci più intense nel sax di John Coltrane e negli strumenti (sax, violino, tromba) di Ornette Coleman. L’elegante compostezza del cool jazz viene qui rovesciata in uno stile esecutivo arrabbiato e aggressivo: il solista si esprime con la massima libertà, recuperando le radici della cultura africana. Come già era accaduto nella musica classica con Schönberg, con il free jazz si comincia ad abbandonare la tradizionale armonia tonale. 4 Il free jazz ha rappresentato un processo di liberazione totale dagli schemi tradizionali che, pure nelle varie evoluzioni degli stili, si erano mantenuti. Perciò tutto il jazz prodotto dagli anni Settanta del XX secolo può essere ricondotto al free jazz. Ritmi, melodie e armonia vengono smontati e rimontati in mille modi; la musica folk africana comincia lentamente a riportare linfa vitale al jazz quando i musicisti inseriscono sempre più spesso nelle composizioni melodie e ritmi tradizionali dei popoli dell’Africa. Un suono con nuovi timbri viene ottenuto grazie a un massiccio inserimento di strumentazione elettrica ed elettronica. Lo sviluppo del free jazz continua negli anni Ottanta e Novanta, ma la carica di aggressività e la volontà di rottura con il passato vanno progressivamente estinguendosi per lasciare posto a una musica sofisticata che abbandona, almeno in parte, la vitalità “fisica” della musica africana. Fra le tante esperienze, interessante è quella di Miles Davis che nei primi anni Settanta inizia una fusione tra jazz e rock, creando un genere denominato appunto fusion. Il jazz in Europa Nato negli Stati Uniti, il jazz è stato sempre più praticato anche da musicisti europei. Il più significativo è probabilmente il chitarrista belga Jean Baptiste Reinhardt, detto Django, che fonde i modi del jazz con la tradizione musicale zigana. Questo modo di procedere è una costante del jazz europeo: raramente ripete le forme originali d’oltreoceano, ma più spesso le contamina con maniere tipiche della tradizione leggera e anche colta propria dell’Europa. In questo senso si sono mossi il pianista francese Michel Petrucciani, e i jazzmen italiani, come il chitarrista Franco Cerri e il pianista Enrico Intra. In Sudamerica invece il jazz si è collegato con la tradizione del folklore locale: il caso più significativo è quello del sassofonista argentino Gato Barbieri, emulo di John Coltrane. Ma il jazz ha avuto anche un’altra conseguenza sulla musica colta europea: diversi compositori “classici” lo hanno utilizzato all’interno del proprio linguaggio musicale. L’esempio più interessante è quello di Igor Stravinskij, autore fra l’altro di un Ragtime per undici strumenti. Parte D La storia 4 Le regine del jazz Il jazz non è una manifestazione esclusivamente maschile. Molte sono le protagoniste femminili che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia di questo genere, recando soprattutto il contributo di una vocalità intensamente espressiva. Tra le voci celebri del jazz meritano di essere ascoltate ancora oggi Bessie Smith, Mahalia Jackson, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Sarah Vaughan, Aretha Franklin. Ella Fitzgerald. Sarah Vaughan. Il ritmo e la vitalità della musica jazz e il ruolo che in essa ha l’improvvisazione avvicinano questo genere di musica alle forme d’arte di alcuni gruppi di avanguardia americani e in particolare all’action painting. Per i pittori di questo gruppo l’azione fisica del creare un’opera d’arte è estremamente importante: esprime un impulso vitale creativo che ha come protagonista l’uomo, ma lascia anche aperta la porta al caso, a un disegno imprevedibile che vive fuori da qualsiasi progetto umano, a un inconscio a cui si attribuisce più saggezza artistica che non ai calcoli della ragione. L’artista non è più il genio che “fa” un’opera d’arte, piuttosto la lascia accadere, è un mediatore aperto a un’opera che si fa da sé. Le creazioni di Jackson Pollock, per esempio, sono ottenute impugnando un pennello e facendo gocciolare il colore su una tela distesa sul pavimento, con un movimento spontaneo e imprevedibile del braccio. Jackson Pollock, Sentieri ondulati, 1947. 299 Unità 12 Il jazz William Christopher Handy TRACCIA 47 10 St. Louis Blues (canta Bessy Smith) È il maggiore successo di questo compositore, reso immortale dalla voce di Bessy Smith, la più straordinaria cantante di blues. Nata in un ghetto nero di Chattanooga, Bessy Smith si fa notare all’età di nove anni per la sua musicalità e per l’intensità espressiva della sua voce. Inizia la carriera aggregandosi a compagnie ambulanti di suonatori, con i quali canta per pochi centesimi, ma in pochi anni arriva a vendere milioni di copie dei suoi dischi. Scott Joplin TRACCIA 48 10 (1868-1917) Maple leaf rag (suona l’autore) Mentre il blues rappresenta l’anima sentimentale del jazz, il rag rappresenta quella giocosa. Un ritmo costante viene martellato sul pianoforte dalla mano sinistra, mentre la destra ci fa sentire motivi spiritosi, basati sul continuo spostamento di accenti: il ritmo sincopato. Al tempo di Joplin le registrazioni venivano effettuate su rulli meccanici, che possono essere utilizzati ancora oggi applicando un apposito dispositivo a qualsiasi pianoforte. Louis Armstrong TRACCIA 49 10 10 Una rara immagine del clarinettista Buddy De Franco durante un concerto al Teatro Manzoni di Milano. 300 (1900-1971) I’m in the mood for love Nato nella patria del jazz, New Orleans, Armstrong, soprannominato “Satchmo”, può essere considerato il simbolo del jazz, per la sua lunga carriera di straordinario trombettista e cantante. La sua voce, dal timbro roco ma espressivo, e il suo modo di suonare sono inconfondibili: con lui lo strumento sembra “parlare”. Armstrong eccelle sia nel genere sentimentale sia nel più indiavolato scat. Qui lo sentiamo eseguire il motivo con la tromba, e poi riprenderlo al canto, variandolo liberamente. George Gershwin TRACCIA 50 (1873-1958) (1898-1937) But not for me (suona Buddy De Franco) Le canzoni di Gershwin hanno avuto innumerevoli interpreti nella storia del jazz. Caratterizzate da melodie accattivanti e facilmente memorizzabili, si prestano a essere trasformate in modo originale. L’interprete in questo caso è Buddy De Franco, uno dei pochi clarinettisti ad avere aderito allo stile be-bop. But not for me, composta nel 1930, è di tono sentimentale (le parole raccontano di una delusione d’amore), basato, nella versione originale, su un tempo lento. De Franco la imposta invece su un tempo veloce. Dopo l’introduzione tranquilla del pianoforte, che sembra introdurre un’esecuzione tradizionale, l’esposizione del tema è scattante. Segue l’assolo di clarinetto, che si snoda attraverso frasi lunghe e rapide, accompagnato da pianoforte, contrabbasso e batteria. Parte D Duke Ellington TRACCIA 51 10 La storia (1899-1974) I don’t mean a thing (if it ain’t got that swing) Il titolo del brano significa “non vuol dire nulla, se non ha quel certo swing”. Scritta da Duke Ellington nel 1932, questa canzone celebra il requisito ritmico più importante nel jazz, lo swing appunto. Le parole originali dicono infatti: “Non importa se il brano è dolce (sweet) o intenso (hot): mantieni quel ritmo con tutta l’energia che hai.” Da sempre nella storia del jazz si distinguono musicisti dallo stile hot – cioè caldo, vigoroso, estroverso – e sweet – dolce, lirico, introverso: Lester Young, che interpreta il brano con il suo sax tenore, rientra in quest’ultima categoria. Il suo fraseggio è fluido e rilassato, ma la sensazione di una continua spinta ritmica è mantenuta per tutto l’assolo. Esperienze Conduciamo una ricerca su come vivevano gli schiavi nelle piantagioni americane, e su quale spazio aveva la musica: quando cantavano, in quali occasioni, di cosa parlano i loro canti, com’era la musica… PORTFOLIO “Dubbudù budù dudduddù…”: pratichiamo anche noi lo scat. Si prende una canzone, la si canta prima con le parole originali, poi si sostituiscono le parole con sillabe senza senso, che imitino il suono di uno strumento. Scriviamole prima sotto il pentagramma, in modo di poter cantare tutti insieme con le stesse sillabe. Proviamo con Head and shoulders: la trovi nel Canzoniere, sezione “Per la festa di Carnevale” (volume B). Eseguiamo anche noi Qualcuno degli spiritual del Canzoniere, sezione “Il senso della vita” (volume B): per esempio, Oh! Fammi sognar. ricapitoliamo Il jazz rappresenta il contributo più originale della civiltà americana alla storia della musica: deriva dalla cultura delle popolazioni africane deportate in schiavitù. Tra le prime forme di jazz, eseguite dai gruppi strumentali originali chiamati band, ci sono il blues e il ragtime. Nel jazz prevale l’improvvisazione. Quando il jazz conquista i musicisti bianchi, che scrivono per vere e proprie orchestre, le big band, l’improvvisazione resta confinata agli interventi solistici. I generi che si affermano, dagli anni Quaranta del XX secolo, sono lo swing e il boogie-woogie, destinati al ballo. Si innesca una competizione fra i musicisti bianchi, che lanciano il cool jazz, e i neri, con il be-bop e il free jazz. Negli ultimi decenni del XX secolo il jazz tende a fondersi con il rock. Il jazz ha avuto importanti cultori anche in Europa; e ha ispirato musicisti dell’area colta. 301 La canzone 1963 Prime truppe americane nel Vietnam 1968 In Europa inizia la contestazione giovanile 1982 Vengono messi in commercio i primi Compact Disc 1989 Gli studenti cinesi in piazza Tien-an-Men 2004 La TV italiana celebra 50 anni di trasmissioni; la radio, 80 anni La testimonianza C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones girava il mondo, veniva da gli Stati Uniti d’America. Non era bello ma accanto a sé aveva mille donne se cantava “Help” e “Ticket to ride” o “Lady Jane” o “Yesterday”. Cantava “Viva la libertà” ma ricevette una lettera, la sua chitarra mi regalò fu richiamato in America. Stop! coi Rolling Stones! Stop! coi Beatles. Stop! Gli han detto vai nel Vietnam e spara ai Vietcong… Ta ta ta ta ta… Canzone di F. Migliacci e M. Lusini cantata da Gianni Morandi (1966) Soldati americani in Vietnam nel 1968. Piccoli drammi C’era una volta… La canzone, con le sue parole e i suoi motivi musicali, è oggi una delle forme espressive più popolari, più vicine al gusto della gente, ai pensieri e alle emozioni di tutti i giorni. Ogni canzone riuscita è come un piccolo spettacolo, i cui ingredienti sono testi evocativi, melodie orecchiabili, pochi accordi di accompagnamento suonati da un numero limitato di strumenti. Dietro ogni canzone possiamo immaginare il palcoscenico di un teatrino. Il fondale e le quinte ci presentano l’ambiente in cui si svolge la scena: l’interno di una casa, il bosco, la riva del mare… Sentiamo un personaggio raccontare la sua storia, lo sentiamo ridere e scherzare, oppure soffrire e piangere, o pregare, o ballare, o cullare un bimbo. Oppure vediamo due personaggi dialogare, amarsi, litigare… L’argomento più ricorrente è l’amore. Ma spesso la canzone parla di attualità, di interesse sociale o politico, come C’era un ragazzo, un brano che, descrivendo il tragico destino di un giovane soldato nella guerra del Vietnam, è diventato un inno alla pace. 1 Un secolo fa le canzoni erano molto diverse da quelle di oggi. In Italia continuava la tradizione gloriosa della canzone napoletana. Le sue melodie assomigliavano piuttosto a quelle dell’opera lirica: tant’è vero che alcune celebri canzoni napoletane come Fenesta ca luciv’e (che trovi a pag. 258) o Te voglio bene assaje, sono attribuite a compositori di melodrammi come Bellini e Donizetti. In Francia la canzone nasce invece nei caféschantants (i caffè concerto), dove alla musica e al canto si unisce un’azione teatrale. Il “caféchantant” era un punto di incontro di poeti, musicisti, attori, raccogliendo in sé diversi stimoli intellettuali. Da qui la musica leggera francese ha tratto ispirazione fino ai nostri giorni. Ancora più teatrale e coreografico è stato il cabaret francese che si è sviluppato nel primo dopoguerra a opera di personaggi come Maurice Chevalier e Josephine Baker. Il cabaret è uno spettacolo di varietà, con balletti, recitazioni e canzoni di argomento soprattutto satirico. Parte D Nel corso del XX secolo l’umanità conosce un progresso superiore a quello raggiunto in tutto il millennio precedente. Nei paesi industrializzati si impone un nuovo stile di vita. Per secoli l’uomo ha vissuto in un mondo in cui dominavano la scarsità e, a volte, la fame; ora nei paesi economicamente più forti la maggior parte della popolazione vive nell’abbon- La storia danza. Anzi, il consumo di ogni genere di beni è il motore fondamentale del sistema economico e della vita sociale. Fame e povertà, sebbene compaiano a volte anche nei paesi ricchi, sono confinate nel cosiddetto Terzo Mondo, cioè in quelle regioni che, pur avendo sconfitto il colonialismo e raggiunto l’indipendenza politica, dipen- dono ancora economicamente dai paesi ricchi. La grande sfida sociale e politica del nostro tempo è quella di consentire anche ai paesi sottosviluppati di raggiungere un dignitoso livello di vita. Il meccanismo del consumo cattura e trasforma anche la musica, raggiungendo nella canzone un’espressione compiuta. testo cantato nelle musiche da discoteca, generalmente in inglese, non serve tanto a trasmettere un messag- gio verbale ma ha un puro valore sonoro: la voce diventa uno strumento musicale solista. con questo brano cantato in un inglese un po’ maccheronico. Franco Migliacci, nel giro di dieci minuti… scrisse questo testo. Eravamo in piena guerra del Vietnam e lui la scrisse così come gli venne, non cambiò, credo, nemmeno una parola. Poi me la fecero sentire… Io mi innamorai disperatamente della canzone e decisi, io per la prima volta, che volevo farla (fino ad allora era Franco che decideva). Lottai moltissimo e un po’ anche contro la discografia, che non voleva sentirmi cantare canzoni di protesta, e poi contro la censura della RAI, perché la canzone diceva “…adesso è morto nel Vietnam”. La canzone andò in onda un po’ di volte alla radio ma, per le esibizioni alla televisione, fummo costretti a sostituire il Vietnam con rattattatta. La canzone è del 1966 ed è straordinaria. All’inizio la gente non l’accettò molto bene, ma poi finì per diventare molto importante per me e anche per quell’epoca, perché divenne un inno di pace per i giovani del 1968. Joan Baez la cantò nei suoi concerti e perfino all’isola di Wight. Musica in discoteca La musica che si ascolta nelle discoteche è in prevalenza creata da musicisti americani e inglesi che hanno imposto un proprio stile “internazionale”. I suoi caratteri sono un’ostinata e incisiva ripetitività ritmica, sonorità standard prodotte con mezzi elettronici, e un volume di suono costantemente tenuto a livelli massimi, vicini alla soglia del dolore. Una musica così, la discomusic, serve a guidare i movimenti elementari del ballo di discoteca, e ha un valore incantatorio e ipnotico insieme, soprattutto nella sua forma estrema, la techno. Il 1 La nascita di una canzone In una intervista rilasciata al critico televisivo Vincenzo Mollica, Gianni Morandi ricorda la nascita di un suo grande successo. Mollica: Cosa accadde quando cantasti “C’era un ragazzo che, come me, amava i Beatles e i Rolling Stones”? Morandi: In quel periodo io cantavo delle canzoni molto melodiche e tradizionali, come La fisarmonica, In ginocchio da te, Non son degno di te, Se non avessi più te… Arrivò questo ragazzo da Siena, Mauro Lusini, 303 Unità 13 La canzone In Italia prima e dopo la guerra Elvis Presley nel 1957, al culmine della sua popolarità. Nel ventennio fascista la canzone rifiuta le nuove mode musicali straniere per recuperare materiali musicali e letterari di origine popolaresca. Nascono allora molte canzoni che si ispirano alle vicende politiche del Ventennio, come Faccetta nera, dedicata all’impresa coloniale italiana in Etiopia. 2 Il principale veicolo di diffusione della musica leggera, prima dell’arrivo dei dischi e della televisione, era la radio, dove si potevano ascoltare le grandi orchestre radiofoniche, che portavano al successo le canzoni cantate dai divi di allora. Nel secondo dopoguerra l’orchestra di Gorni Kramer, con i cantanti Alberto Rabagliati e Natalino Otto, e con il Quartetto Cetra, introduce un modo nuovo di fare musica che si rifà apertamente al senso ritmico e alle atmosfere armoniche e melodiche del jazz commerciale americano. Il pubblico fedele alla tradizione continua però a essere numeroso, e la canzone italiana tradizionale convive con le proposte americaneggianti. Negli anni Cinquanta, all’orchestra di Gorni Kramer si affiancano quelle di Cinico Angelini e di Pippo Barzizza, con cantanti come Nilla Pizzi, Luciano Tajoli, Achille Togliani, Carla Boni, Gino Latilla. La voce che meglio rappresenta la canzone all’italiana di quegli anni è Claudio Villa, soprannominato il “reuccio” della canzone melodica. Roccaforte della canzone italiana diventa il Festival di Sanremo, nato nel 1951 proprio per proteggere gli interessi e i valori della canzone nostrana contro l’invasione della musica leggera nordamericana. 3 Influssi americani in Europa La risposta che la musica italiana sa dare a questa invasione è rappresentata da gruppi e cantanti che emulano, a volte in modo dilettantesco, i modelli stranieri o che cercano di fonderli alla tradizione italiana in uno stile ibrido: 304 sono i cosiddetti “urlatori”, Tony Dallara, Betty Curtis, Rita Pavone, Adriano Celentano, che si contrappongono ai “melodici”, fedeli alla tradizione nazionale. Nel secondo dopoguerra anche in Francia si fa sentire l’influsso della musica americana in alcuni autori-interpreti come Gilbert Bécaud e Charles Aznavour. Più radicati alla tradizione popolare sono Edith Piaf e Yves Montand, mentre uno stile schiettamente francese caratterizza gli chansonniers come Georges Brassens, Jacques Brel, Juliette Gréco. Nei paesi anglosassoni Ma cosa sta succedendo in quella cultura musicale anglosassone che oggi ha conquistato il mondo? Bisogna pensare alle sue radici: da una parte, quelle afroamericane vicine al jazz; dall’altra quella bianca del country, musica di tradizione popolare statunitense che ha origine nella musica scozzese, inglese e irlandese. Nei primi decenni del XX secolo non si è ancora definito chiaramente un confine tra jazz e musica leggera. È negli anni Cinquanta, con il fenomeno del rock’n roll, che si delinea un modo di fare musica prepotentemente innovativo. Il rock’n roll, al di là dei contenuti musicali, si impone come fatto di costume e modello di vita; è un fenomeno dirompente che coinvolge la cultura e la vitalità delle generazioni più giovani, grazie a un meccanismo industriale che non si lascia sfuggire una popolazione di consumatori numerosa e disponibile come quella degli adolescenti. Il primo divo del rock, con la sua chitarra acustica tipica dei cantanti country, è Elvis Presley. Presley e altri musicisti combinano stili musicali differenti, creando una musica fortemente ritmata, provocatoria per le orecchie abituate alla musica tradizionale. Le giovani generazioni hanno la “loro” musica per cantare ed esprimere i “loro” sentimenti: amore, rabbia, felicità, disperazione… Nel 1956 i dischi delle canzoni di Presley vendono milioni di copie in tutto il mondo: un fenomeno mai visto. Parte D La storia 2 Faccetta nera Nel 1935 l’Italia invade l’Etiopia, la occupa e ne fa una colonia. Nasce così l’Impero. Ma i soldati, più che le glorie imperiali, vedono in quella guerra un diverso genere di conquista. Lo rivela la canzone più famosa di quei giorni, scritta da Giuseppe Micheli e Mario Ruccione in dialetto romanesco: La copertina di un quaderno celebra l’Impero e la conquista dell’Etiopia. Si mo’ dall’Altipiano guardi er mare, moretta che sei schiava tra le schiave, vedrai come in un giorno tante nave e un tricolore sventolà pe’ te! Faccetta nera, bell’Abissina, aspetta e spera che già l’ora s’avvicina: quando saremo vicino a te noi ti daremo un’antra legge e ’n altro re! La legge nostra è schiavitù d’amore… 3 Vola colomba Al Festival di Sanremo del 1952 vince la canzone Vola colomba, composta da Carlo Concina e Bruno Cherubini. La voce è la più amata dagli italiani di quegli anni: Nilla Pizzi. È una canzone d’amore naturalmente. Ma dietro la storia d’amore, quel mese di febbraio, tutti leggevano un’altra storia. San Giusto, nominato nella canzone, è la chiesa di Trieste: e la ragazza inginocchiata, separata dal suo “amore”, era allora identificata con la città stessa. Infatti, dal giorno in cui la guerra era finita, nel 1945, Trieste era stata separata dall’Italia e riconosciuta come “città libera”. Solo nell’ottobre 1954 tornerà italiana. Anche queste parole erano servite a tenere desta la coscienza patriottica degli Italiani: Dio del ciel, se fossi una colomba, vorrei volar laggiù dov’è il mio amor che, inginocchiata, a San Giusto prega con l’animo mesto: “Fa’ che il mio amore torni, ma torni presto!” Vola, colomba bianca, vola… diglielo tu che tornerò… Dille che non sarà più sola e che mai più la lascerò! Fummo felici, uniti, e ci han divisi… Ci sorrideva il sole, il cielo e il mar… Noi lasciavamo il cantiere, lieti del nostro lavoro, e il “Campanon”, din don, ci faceva il coro. Vola, colomba bianca, vola… Nilla Pizzi, prima “diva” di Sanremo. 305 Unità 13 La canzone Dal rock al beat La famosissima copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, uno tra i dischi più geniali del repertorio dei Beatles. Dagli Stati Uniti il rock sbarca in Europa e trova in Inghilterra un terreno fertile. Conquista rapidamente il pubblico e i musicisti che cominciano a imitare questa musica d’oltreoceano: nasce il beat. Negli anni Sessanta si diffonde in tutto il mondo occidentale. La musica beat si esprime, più che con il divo solista, con i complessi: quattro o cinque musicisti (una o due chitarre elettriche, un basso elettrico, un organo elettronico, una batteria, una o più voci soliste e tutti come voci corali), che si uniscono in gruppi dai nomi fantasiosi e provocatori. Già nel fatto di riunirsi in formazioni stabili per fare una musica autonoma, pensata, composta, arrangiata ed eseguita all’interno del gruppo stesso, possiamo vedere un simbolo dell’aggregazione giovanile di quegli anni, della voglia di condividere ed esprimere pensieri e idee. scela di rock, blues, folk e musica classica, unita a testi di valore. I Rolling Stones, che rappresentano invece il lato più duro della musica rock, mettono in scena la trasgressione con gli atteggiamenti aggressivi e provocatori del loro leader, il cantante Mick Jagger, con una musica fatta di sonorità aspre e violente tratte direttamente dal blues e dal rock’n roll. La matrice che più influenzò la musica beat fu quella folklorica di Gran Bretagna e Irlanda, alla quale si sono mescolati, addolciti, alcuni caratteri della musica nera americana. 4 I cantautori Dagli anni Sessanta del XX secolo anche la canzone italiana si fa più impegnata. Una svolta storica si ebbe al Festival di Sanremo del 1958 con la canzone Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno. In quegli anni nasce la generazione dei cantautori, che costituisce l’aspetto più interessante della musica leggera italiana e che negli anni Novanta continua con figure di alto livello. Gino Paoli, Giorgio Gaber, Fabrizio De André, Lucio Battisti, Sergio Endrigo, Enzo Jannacci sono tra i primi cantautori che negli anni Sessanta inventano un modo di fare canzoni che non è semplice evasione ma unisce una musica di qualità a testi interessanti: socialmente impegnati, come in De André e Jannacci, oppure ispirati al mondo quotidiano, come Lucio Battisti. Accanto a loro, Mina, Milva, Ornella Vanoni interpretano canzoni di alta qualità artistica. Le espressioni della musica anglosassone Sono proprio due complessi inglesi i grandi protagonisti della musica beat degli anni Sessanta: i Beatles e i Rolling Stones, si impongono come fenomeni di massa che interpretano due lati profondamente diversi della nuova cultura. I Beatles rappresentano l’aspetto più moderato dell’innovazione. Il loro stile musicale, dovuto ai due veri talenti del gruppo, John Lennon e Paul McCartney, è una geniale mi- 306 Per il rock e il pop, gli anni Settanta sono un’epoca di grande evoluzione e di sviluppo planetario. Le platee di tutto il mondo applaudono le grandi stelle della musica leggera, che si esibiscono negli stadi in concerti affollatissimi. Le grandi case discografiche promuovono la carriera e i dischi di alcuni gruppi fondati nel decennio precedente. Tra i tanti complessi di quegli anni vanno ricordati i Pink Floyd, esponenti di musica psichedelica e visionaria, che usa in modo spettacolare le nuove sonorità degli strumenti elettronici. Altrettanto seguiti sono i gruppi di rock duro come i Deep Purple, i Led Zeppelin, gli AC/DC. La grezza energia del beat confluisce nella rabbia distruttiva del punk dei Sex Pistols. Parte D La storia 4 Le musiche dell’America Latina Un’altra culla della musica neopopolare del nostro tempo è l’America Latina, il continente compreso tra il Messico a nord e l’Argentina a sud. La sua storia è legata alla colonizzazione dei conquistatori europei che distrussero quasi interamente il patrimonio culturale, anche musicale, delle popolazioni locali. Sui resti delle tradizioni popolari dei nativi si inserirono elementi della cultura degli schiavi africani deportati qui da Spagnoli, Portoghesi e Francesi. L’espressione musicale risultante è una miscela originalissima che unisce elementi diversi (ritmi, danze, armonie, strumenti, melodie e tecniche vocali) tratti da culture americane, africane ed europee. Nella prima metà degli anni Sessanta si afferma negli Stati Uniti la pop art. L’artista pop utilizza materiali della vita quotidiana, spesso scegliendo oggetti che fanno esplicito riferimento al mondo dei mass media e della pubblicità: questi oggetti vengono montati sulla tela con la tecnica del collage o riprodotti con dipinti più o meno realisti. Lo scopo è creare nuove forme di rappresentazione artistica usando segni facilmente riconoscibili, in opposizione alle astrazioni di una certa pittura colta. Un percorso analogo è quello seguito dalla musica pop, che partendo da motivi e ritmi orecchiabili costruisce brani musicali originali. Ma non sempre riesce il tentativo di creare opere nuove, belle e che parlino al grande pubblico in modo semplice ma anche intenso: il pop, sia nelle arti figurative sia in quelle musicali, si trasforma spesso in un fenomeno di consumo, che asseconda solo le leggi del mercato. Generalmente la musica latino-americana si esprime in forme musicali derivate dalla danza, che, al di là delle formule ritmiche legate all’uso funzionale del ballo, diventano generi musicali con precise caratteristiche: in Argentina il tango, il cui rappresentante più famoso è Astor Piazzolla, a Cuba la rumba e il mambo, in Brasile il samba e la bossanova con i cantanti-strumentisti-autori João Gilberto e Antonio Carlos Jobim. Più recentemente si sono imposti la salsa e il reggae che, nato in Giamaica dal calypso, ha avuto un’ampia diffusione, soprattutto con Bob Marley, acquistando, al di là dei contenuti musicali, un carattere mistico con risvolti di impegno politico. Bob Marley sulla copertina del disco Rastaman Vibration, 1976. Andy Warhol, copertina di un disco dei Velvet Underground, gruppo pop statunitense. 307 Unità 13 La canzone Dalla new wave al grunge Michael Jackson in una famosa immagine del video della canzone Smooth Criminal, 1987. Jovanotti. 308 Negli anni Ottanta il rock sembra scindersi in due correnti. Da una parte, la new wave prosegue il discorso iniziato da Sex Pistols e soci, ma in forme più meditate; dall’altra, prende piede una musica di puro intrattenimento, molto legata al culto dell’immagine e del successo: trovano grande seguito di pubblico solisti come Michael Jackson, Bruce Springsteen, Prince, Sting e Madonna. Ciascuno, secondo il suo stile individuale, esprime una moda, una tendenza che influenza folle di spettatori in tutto il mondo. Il pop e il rock diventano così una chiara espressione della globalizzazione culturale, intesa come tendenza ad abbattere le barriere che dividono popoli di tradizioni diverse, ma anche come svolta epocale che uniforma i gusti di tutti gli abitanti della Terra. Alcuni tra gli artisti più consapevoli, come il gruppo degli U2, conoscono il potere della musica leggera e le sue contraddizioni: cercano di staccarsi dalle espressioni convenzionali scrivendo brani di impegno sociale e politico. Gli anni Novanta portano alla ribalta la musica delle minoranze: è quasi una ribellione contro l’appiattimento e il conformismo. Da New York a Los Angeles si levano le parole sferzanti del rap e dell’hip-hop, i nuovi generi che esaltano la ritmica delle parole e portano in primo piano la voce dei neri e degli ispanici che abitano i ghetti delle metropoli americane. I bianchi sono contagiati dalla nuova moda, e si affermano le provocazioni del “rapper” americano Eminem. A Seattle, intanto, si scatena la pioggia acida del grunge, che con il complesso dei Nirvana sconvolge l’universo del rock più commerciale e banale. I gruppi di maggiore successo fanno tesoro delle esperienze musicali della new wave e del grunge: i R.E.M. e i Red Hot Chili Peppers, veri fenomeni di vendita negli Stati Uniti e in tutto il mondo, tengono conto delle esperienze della musica d’avanguardia e delle rivolte contro la società di cui il rock si fa portavoce, ma traducono questi stili in brani gradevoli, adatti a un vasto pubblico. 5 L’influsso della canzone anglosassone in Italia Dagli anni Settanta, accanto a numerosi rappresentanti della generazione precedente che hanno saputo rinnovare il proprio repertorio, si impongono i nomi di Francesco De Gregor i, Roberto Vecchioni, Francesco Guccini, Lucio Dalla, Eugenio Bennato, Antonello Venditti, Paolo Conte, Riccardo Cocciante, che sviluppano i temi e i modi della canzone d’autore utilizzando contenuti musicali di varia provenienza, dal jazz al rock, dal folklore anglosassone alla canzone francese. In quegli stessi anni la cultura musicale giovanile prevalente è quella di matrice anglosassone: da quel momento è difficile parlare di “canzone italiana” senza rifarsi alle novità emergenti in quei paesi. Le canzoni “di consumo”, quelle che sopravvivono una sola estate o un mese o una settimana sono passate attraverso le mode e gli influssi che si sono susseguiti nell’ultimo trentennio del XX secolo. Il rock, il rock duro, l’heavy metal, l’etnomusic, il rave, il reggae, il rap, sono stati assimiliati e reinterpretati da autori come Battiato, Vasco Rossi, Ligabue, Renato Zero, J ovanotti, Pino Daniele, Zucchero: le idee straniere circolano con le persone che si spostano, viaggiano, assimilano, ma al tempo stesso reinventano un proprio linguaggio musicale. Così Alexia è un talento squisitamente italiano arrivato in testa alle classifiche cantando… in inglese. Per creare un successo ci vogliono le voci, anche splendide come quelle di Giorgia e Laura Pausini. Ma ci vogliono anche un compositore, un arrangiatore e un paroliere che sappiano creare un mix di emozioni: queste prenderanno poi vita attraverso l’interprete. Uno dei limiti della canzone italiana è di avere pochi compositori impegnati a creare i piccoli capolavori per voci dotate. Un paroliere di valore, Mogol, ha fondato a questo scopo una scuola. Un singolare ritorno alla tradizione lirica italiana è rappresentato dalla voce tenorile di Andrea Bocelli e da quella sopranile di Antonella Ruggero. Nel panorama della canzone italiana si possono anche distinguere vere e proprie “scuole regionali”, e centri nei quali è più vivo l’ambiente musicale. Le città più rappresentative sono sempre Roma, Milano, Napoli e Bologna. Milano è anche la sede delle principali case discografiche italiane. Parte D La storia 5 Il nuovo millennio. La musica nell’era di Internet Oggi la musica trova nuovi canali di diffusione. Il personal computer, un apparecchio alla portata di gran parte delle famiglie del mondo occidentale, rende possibile la duplicazione e l’elaborazione di tracce musicali. La rivoluzione attraverso la rete è ormai una realtà e rovescia il mercato discografico tradizionale. Si affermano vari software che permettono lo scambio di file musicali tramite Internet. I cibernauti si passano i brani attraverso un data base centrale o scambiandosi direttamente dati attraverso la rete. E lo fanno pagando solo la spesa della connessione telefonica. Agli artisti vengono così a mancare i proventi dei diritti d’autore; le case discografiche sono enormemente danneggiate; i fan hanno a loro disposizione un immenso patrimonio di pezzi: alcuni popolarissimi, altri difficilmente reperibili nei circuiti convenzionali. I produttori di dischi hanno dichiarato guerra alla Napster, la società americana che alla fine degli anni Novanta ha ideato e diffuso questo meccanismo di trasmissione. E così hanno fatto alcuni dei maggiori artisti, allarmati dal calo delle vendite. La guerra è stata breve: nel 2001, Napster è stata costretta ad ammainare la sua bandiera di dispensatrice di musica gratuita. Tuttavia è ormai sempre più evidente che si aprono nuovi orizzonti per la diffusione dei prodotti discografici. La rete è indubbiamente un ottimo mezzo per la distribuzione, e la musica può raggiungere il pubblico in un tempo brevissimo. L’inaugurazione di alcuni portali che vendono al pubblico brani musicali a prezzi ragionevoli costituisce forse un avvio verso la soluzione al problema della pirateria, che procura a molti appassionati vantaggi momentanei, ma rischia di lasciare senza introiti molti artisti che hanno tutto il diritto di essere pagati per il loro lavoro e per le loro creazioni originali. ricapitoliamo Nel mondo della canzone distinguiamo le musiche scritte per ragioni esclusivamente commerciali, come la discomusic delle discoteche, e le canzoni d’autore, nelle quali musica e testo sono particolarmente curati. La canzone italiana del XX secolo deriva soprattutto dalla canzone napoletana ottocentesca e dal melodramma. In Francia si sviluppa una canzone raffinata, che nasce nei caffè concerto e nei cabaret; i contributi più originali sono offerti dagli chansonniers. All’inizio del XX secolo la canzone italiana è influenzata dai modi della canzone francese dei caffè concerto; più tardi dalle formule del jazz commerciale nordamericano. La musica più diffusa oggi nel mondo è quella di origine anglosassone, che ha due radici: il folklore locale e il jazz. Un genere che utilizza anche elementi della musica classica è il musical. Le maggiori innovazioni nel mondo dei generi neopopolari si manifestano negli anni Cinquanta, con il rock’n roll e il beat. I Beatles e i Rolling Stones sono i gruppi che hanno dato i contributi più significativi. A partire dagli anni Cinquanta l’influsso nordamericano si fa sempre più sentire anche in Italia, in particolare attraverso gli urlatori. Per tutelare la canzone italiana viene creato il Festival di Sanremo. Dagli anni Sessanta la canzone italiana si fa più impegnata: nasce la generazione dei cantautori. Nell’ultimo trentennio del XX secolo il mondo della canzone italiana è dominato dalle mode anglosassoni, sostenute dalle grandi case discografiche. Le espressioni della musica anglosassone dominano gli anni Settanta con il punk, gli Ottanta con la new wave, i Novanta con il rap, l’hip-hop e il grunge. Si impongono le musiche vivaci dell’America Latina, che invitano alla danza: dopo il tango argentino e il calypso giamaicano, i musicisti centro e sudamericani creano rumba, mambo, samba, bossa nova, salsa e reggae. 309