mostre – eugenio di savoia a vienna

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MOSTRE – Italiani all’estero: Eugenio di Savoia
Generale, filosofo, mecenate
Il più grande condottiero italiano dell’Era moderna – Eugenio di Savoia – è al centro di una mostra a Vienna,
proprio nella sua sontuosa reggia del Belvedere. E nella capitale di quell’Austria che anche grazie a lui è
diventata una potenza militare, rivive un genio che non fu sono un invincibile generale, ma anche un pensatore,
un amministratore onesto ed efficiente, un protettore delle arti e delle scienze
di Emanuele Mastrangelo
I francesi non sono famosi per la loro sportività. E infatti è probabilmente uno dei maggiori rimpianti della
storia d’Oltralpe quello d’essersi fatti scappare il più grande genio militare del XVIII secolo, finito dritto filato
a contribuire al decollo della concorrente Austria, con grande scorno e rammarico del Re Sole. Vienna
dominerà la scena europea per i successivi duecento anni anche e soprattutto grazie alla sfolgorante sequenza
di vittorie messa nel carniere dal generale sabaudo. E così, non riuscendo a batterlo sul campo di battaglia né a
farlo tornare alla natia Versailles (da cui era praticamente scappato), i francesi dovettero accontentarsi di
diffondere maldicenze sul Nobil Cavaliere (der Edle Ritter) Eugenio di Savoia, in particolar modo su certe sue
presunte attività omosessuali. Bugie dalle gambe corte, giacchè è veramente impossibile trovare macchie nella
vita di questo eccezionale personaggio settecentesco, eroe nazionale per piemontesi, austriaci, tedeschi ed
ungheresi. In questi giorni è proprio l’Austria che dedica al Principe una mostra degna della sua grandezza, in
quella reggia del Belvedere dove Eugenio aveva passato le sue poche estati lontane dai campi di battaglia. Una
vita spesa al servizio della Corona d’Asburgo, come generale vittorioso ma anche come amministratore
oculato, onestissimo ed amato dal popolo e rispettato dai nemici (perfino Luigi XIV – al contrario di alcuni
suoi nobili pettegoli – avrà parole di altissima ammirazione per Eugenio e rimpianto per averlo respinto),
mecenate, collezionista d’arte, naturalista curioso e aperto ai Lumi. E proprio dalle sue sterminate raccolte di
quadri, libri, oggetti preziosi, stampe e progetti nasce l’esposizione che fino al 6 giugno prossimo ricorderà
all’Austria (e all’Europa) la figura del Nobil Cavaliere.
Eugenio è il prototipo di europeo perfetto: giustamente l’Italia ne rivendica i natali e la genealogia, ma egli era
nato in Francia e per tutta la vita fu un fedelissimo servitore del Sacro Romano Impero e della casa d’Austria.
La sua firma era la summa delle diverse nazionalità che ne facevano un cosmopolita: Eugenio von Savoy, col
nome in italiano, la casata in francese e il “von” nobiliare alla tedesca. E’ l’unica persona al mondo alla quale è
stata intitolata una nave da guerra in quattro Marine diverse: la corazzata austroungarica “SMS Prinz Eugen”
(varata nel 1912), il monitore britannico “HMS Prince Eugene” (varato nel 1915), l’italiana “Regia Nave
Eugenio di Savoia” (classe “Condottieri”, 1936) e infine l’incrociatore pesante “Prinz Eugen” del Terzo Reich
(1938), considerata fra l’altro una delle navi più fortunate della storia (non affondò nemmeno in seguito a un
bombardamento atomico sperimentale nel 1946).
Eugenio nacque – quinto di otto figli – a Parigi il 16 ottobre 1663 dal principe Eugenio Maurizio di SavoiaCarignano-Soissons (1635-1673) e Olimpia Mancini (1638-1708), nobildonna romana nipote del potente
cardinal Mazarino. Il padre era un generale e governatore al servizio della Francia, la madre – ben introdotta a
Corte – una compagna di giochi del piccolo Re Sole e, in seguito, forse amante del sovrano. Il giovane Eugenio
sembrava dovesse essere indirizzato alla carriera ecclesiastica (fu soprannominato “il piccolo abate” dai
malevoli nobili di Versailles), ma il suo carattere ben poco si conciliava con le rinunce e i voti della tonsura,
che pure aveva ricevuto quindicenne: adolescente dal comportamento piuttosto scabroso, fu invece attratto –
come diversi suoi fratelli – dal mestiere delle armi. Mestiere – tuttavia – che il Re Sole gli rifiutò nel suo
esercito, presumibilmente per la bassa statura che lo affliggeva e per lo scandalo in cui la sua famiglia venne
trascinata dalla madre, coinvolta nel cosiddetto “Affare dei Veleni” (una serie di morti misteriose con contorni
di fatture, stregoneria e congiure che scosse la corte di Versailles negli ultimi anni del Seicento). In ogni caso,
il rifiuto di Eugenio sarà una delle scelte più infelici del sovrano francese, che si pentì quasi subito: Eugenio
nemmeno ventenne infatti abbandonò Versailles assieme al cugino, principe Luigi-Armando I di BorboneConti, restando sordo ad ogni preghiera ed ambasceria di Luigi XIV. La sua meta sarebbe stata Vienna
assediata dagli ottomani, dove già combatteva il fratello Luigi Giulio, uno dei primi nobili a cadere durante
l’offensiva nemica. La perdita del valoroso colonnello sabaudo aveva colpito l’Imperatore Leopoldo I, che
decise di nominare subito Eugenio aiutante di campo di Carlo di Lorena, comandante dell’esercito imperiale.
Eugenio ebbe dunque subito la possibilità di mettersi in mostra, e con successo: al termine dell’assedio di
Vienna, il reggimento di dragoni comandato da Luigi Giulio venne affidato dall’Imperatore ad Eugenio, che il
14 dicembre 1683 – cinque mesi dopo la morte del fratello – si trovò alla testa del suo primo reparto, per
l’occasione ribattezzato Dragoni di Savoia.
E’ l’inizio di una carriera sfolgorante fra i fuochi della Guerra austro-turca. Promosso colonnello alla fine del
1683, in pochi anni guadagna il grado di maggior generale e il diritto di sedere allo Stato Maggiore imperiale.
Si distingue immediatamente come condottiero dotato di coraggio, slancio, fermezza: il 12 agosto 1687 a
Mohacs – in Ungheria – ottiene di passare a tenente generale, dopo che la sua cavalleria ha travolto il campo
ottomano. E’ il Principe in persona a recare all’Imperatore la notizia della vittoria sul medesimo campo di
battaglia dove 161 anni prima era finita l’indipendenza dell’Ungheria. Un anno dopo è al fianco del Principe
Elettore di Baviera – Massimiliano II Emanuele di Wittelsbach – nell’assedio di Belgrado contro gli ottomani.
Ancora una volta è lo slancio della sua cavalleria a imprimere una svolta decisiva alla battaglia. A Belgrado
Eugenio è ferito ad una gamba, cosa che tuttavia non gli impedisce d’essere inviato contro i francesi: la
cristianissima Francia è infatti alleata della Sublime Porta, e con la scusa della successione al trono del
Palatinato, Luigi XIV apre le ostilità nel cuore del Sacro Romano Impero. L’esercito austriaco è costretto ad
abbandonare la Serbia appena liberata per spostarsi sul Reno e in Piemonte. Stretta fra i due fuochi di ottomani
e francesi (ai quali s’erano uniti anche i sabaudi, assieme ai quali Eugenio aveva combattuto, e che a partire dal
1696 ritrova invece dall’altra parte della trincea) l’Austria ha la sua carta vincente proprio nel generale italiano
ora promosso feldmaresciallo. Ad Eugenio viene affidato un raccogliticcio esercito col quale Vienna spera di
tamponare la nuova invasione turca dell’Ungheria. Ma Eugenio non si limita a tamponare gli attacchi degli
aggressori: arma a sue spese gli uomini, li rinfranca e trasforma un’accozzaglia di coscritti e delinquenti
arruolati a forza in un’armata efficiente. Poi inizia a sorvegliare le mosse dell’esercito ottomano,
sorprendendolo l’11 settembre 1697 a Zenta, in Ungheria, durante il guado del fiume Tibisco. E’ una
situazione da manuale, che Eugenio sfrutta fino in fondo nonostante l’ordine superiore di non attaccare:
l’armata turca viene annientata, perdendo oltre trentamila uomini a fronte di soli 28 ufficiali e 401 soldati
caduti fra le fila imperiali. E’ l’inizio della fine dell’Impero Ottomano: la successiva pace di Carlowitz (26
gennaio 1699) rende definitivamente gli Asburgo una potenza balcanica, assegnando alla loro Casa la corona
d’Ungheria.
Il trionfo di Zenta trasforma il giovane generale (ha solo 26 anni) in un eroe europeo (fra i mugugni e le
maldicenze parigine), ma la pace è di breve durata: stavolta è la successione di Spagna la pietra dello scandalo
e di nuovo Francia ed Austria sono su fronti opposti. Eugenio sottomette la Baviera con pugno di ferro e
combatte fianco a fianco con l’inglese Duca di Marlborough (John Churchill, antenato di Winston, col che si
spiega perché la Royal Navy abbia dedicato una sua nave al condottiero italiano). Asceso nel 1703 alla
presidenza del “Consilio Aulico” (cioè di corte) dell’Imperatore, Eugenio – quando suo cugino Vittorio
Amedeo II di Savoia (1666-1732) nel 1703 ribalta di nuovo le alleanze liberandosi dell’ingombrante presenza
francese – si mostra nuovamente un fulmine di guerra in Piemonte, e dopo un primo rovescio a Cassano
d’Adda (dove verrà sconfitto da un altro cugino, Luigi di Vendome), piomba su Torino assediata, liberandola e
cacciando i francesi dall’Italia. Tale è la fiducia che Vienna ripone nel condottiero che poco dopo nomina
Eugenio governatore di Milano (carica che rivestirà per otto anni lasciando un buon ricordo di sé in
Lombardia), ma il Principe è oramai impegnato nell’invasione della Francia. Assedia Tolone – dove distrugge
la flotta francese alla fonda – poi passa nelle Fiandre, dove espugna Lille. La guerra di Successione Spagnola è
un teatro dove Eugenio accumula vittorie su vittorie. Ma proprio quando questa sequenza di successi sembra
aprirgli la strada per Parigi, la morte dell’Imperatore Giuseppe I d’Asburgo e l’ascesa al trono di suo fratello
Carlo – pretendente al trono di Spagna – spinge l’Inghilterra a ritirarsi dalla lotta: nel 1712 – sostituito
Marlborough col Duca di Ormonde – l’esercito britannico si ferma arma al piede, mentre le avanguardie di
Eugenio vengono sopraffatte a Denain dai francesi del Duca di Vilars (col quale peraltro dopo la guerra avrà
una lunga amicizia, complice la passione di entrambi per la botanica). Una sola sconfitta era bastata a rimettere
in discussione le sorti di una guerra in cui Eugenio di Savoia aveva dominato tutti i campi di battaglia. Ad
Utrecht e Rastadt – dopo mesi di lunghe trattative condotte per la parte imperiale proprio da Eugenio –
l’Europa ritrova una breve pace mentre l’Austria viene definitivamente consacrata come grande potenza
continentale alla pari con la Francia, i cui progetti di egemonia erano per il momento eclissati.
Nella breve pace che seguì la fine della guerra di Successione Spagnola Eugenio viene nominato governatore
dei Paesi Bassi ex spagnoli, ma non ci andrà mai. Eserciterà l’incarico da Vienna - dove nel frattempo aveva
dato il via alla costruzione della sua sontuosa residenza del Belvedere - e soprattutto dai campi di battaglia dei
Balcani, dove gli ottomani erano di nuovo in armi. Una pessima decisione quella di sfidare nuovamente gli
austriaci al comando di Eugenio di Savoia: a Petervaradino prima, a Temesvar poi e quindi di nuovo a
Belgrado, “Prinz Eugen” infligge ai turchi una serie di devastanti sconfitte che li costringono in soli due anni
alla pace. A Belgrado soprattutto Eugenio dà prova di qualità fuori dalla norma: in inferiorità numerica di
cinque contro uno, con i suoi soldati tormentati dalle epidemie, il Principe riesce a ribaltare una situazione
disperata spezzando il contro assedio turco e riconquistando la città. Ora non sono solo i suoi superiori ad
ammirarlo, ma anche i soldati, che ne tramandano le gesta. In breve Eugenio è una leggenda, e il “nobil
cavaliere” viene esaltato nelle canzoni militari [vedi box]. Con il trattato di Passarowitz, nel 1718, l’Austria
raggiunge la sua massima espansione territoriale ottenendo dagli ottomani la cessione della Serbia, del Banato
e della Valacchia e la rinuncia definitiva all’Ungheria – che viene riunita in un solo regno sotto la corona
asburgica.
Celebrato in Europa come uno dei massimi condottieri di tutti i tempi, Eugenio può dedicarsi ora anche ad altro
che non solo alla guerra: grazie alle ingenti ricchezze accumulate (fra bottini di guerra, stipendi, esenzioni e
privilegi imperiali per le innumerevoli cariche ricoperte e rendite delle sue proprietà in Savoia) il Principe
acquista e si fa edificare residenze degne del suo rango, iniziando a raccogliere opere d’arte, libri, animali e
piante esotiche, con le quali abbellisce meravigliosi e insoliti giardini all’italiana. Le sue passioni sono
sterminate così come la sua cultura, anche se Eugenio non avrà mai pretese d’essere una buona penna, e infatti
non ha lasciato alcuna memoria delle sue innumerevoli imprese. Invece intrattiene relazioni culturali e di
mecenatismo: nemmeno le campagne sul Reno e in Ungheria sono riuscite ad interrompere la corrispondenza
epistolare con alcune fra le menti più brillanti del suo tempo. Primo fra tutti col filosofo e matematico Gottfried
Leibniz (1646-1716), poi col poeta Jean-Baptiste Rousseau (1671–1741) e col filosofo Montesquieu (16891755). Anche Voltaire scrive al Principe, cercando di ottenerne le grazie. Inoltre, Eugenio inizia ad accumulare
un’immensa biblioteca che giunge a comprendere oltre 15 mila volumi e 237 manoscritti che – dopo la morte
del condottiero – andranno a costituire il primo nucleo di quella che oggi è la Biblioteca Nazionale di Vienna.
Lo stesso Rousseau si stupiva di come “un uomo che ha portato sulle spalle il peso di quasi tutti gli affari
politici d’Europa riuscisse a trovare il tempo per leggere così tanti libri come se non avesse altro da fare”. E se
di libri riempiva la sua residenza invernale dello Stadtpalais (Palazzo cittadino), di opere d’arte arricchiva la
residenza estiva, il Belvedere di Vienna. Questa reggia – una delle più belle del mondo – venne commissionata
all’architetto Johann Lucas von Hildebrandt (1668-1745), che riuscì a creare un mirabile connubio fra il
barocco tedesco e quello italiano. Oggi il Belvedere è una delle principali attrazioni turistiche della capitale
austriaca e – come detto – ospita in queste settimane la mostra celebrativa del grande condottiero in occasione
della quale la pinacoteca del Principe – acquistata dopo la sua morte nel 1736 da Carlo Emanuele III di
Sardegna – torna nelle maestose aule di rappresentanza dall’attuale sede piemontese.
La personalità di Eugenio di Savoia ha incuriosito biografi ed apologeti. Considerato il più grande condottiero
austriaco ha praticamente diretto la politica europea dei primi trent’anni del Settecento, fondando la potenza
asburgica e impedendo l’egemonia francese sognata da Luigi XIV. Di carattere freddo, non risulta abbia mai
avuto importanti avventure amorose oltre quelle militari, tanto che venne soprannominato “Marte senza
Venere” e rinunciò a sposarsi e ad avere eredi. Una condizione insolita che permise alle accuse lanciate
dall’invidiosa Duchessa d’Orleans di attecchire, facendo nascere il mito – del tutto infondato – di una
inclinazione all’omosessualità del Principe. Al contrario egli ebbe una vita sessuale del tutto normale – anche
se non pirotecnica – e i pettegolezzi della cugina di Re Sole sono presumibilmente da ascriversi all’unica
vendetta possibile per una nobile che stava vedendo i sogni di gloria del proprio sovrano infrangersi contro
l’abilità strategica di un condottiero cui proprio lo stesso Luigi XIV aveva rifiutato l’arruolamento. Napoleone
lo considerava uno dei sette più grandi strateghi di tutti i tempi (assieme ad Alessandro, Annibale, Cesare,
Gustavo Adolfo, Turenne e Federico il Grande): tuttavia Eugenio non fu un innovatore come furono Gustavo
Adolfo di Svezia o – pochi anni dopo – Federico II di Prussia (che era un suo ammiratore), piuttosto egli ebbe
capacità amministrative e slancio con le quali – rispettivamente – era in grado di rovesciare situazioni disperate
rimettendo in sesto eserciti disastrati e restituendo coraggio alle truppe demoralizzate, e contemporaneamente
riuscendo a cogliere d’istinto il punto critico dello schieramento nemico sul quale infliggere un colpo decisivo
con l’urto della propria cavalleria (non a caso la marcia austriaca intitolata al suo nome è anche l’inno
dell’Arma di Cavalleria italiana). Fu un uomo dotato di volontà e polso d’acciaio: applicava il suo rigore in
egual misura a sé stesso e ai suoi uomini, imponendosi una disciplina durissima per fortificare un corpo esile e
apparentemente inadatto al campo di battaglia, e mostrandosi spietato nei confronti di insubordinati e ribelli,
che non esitava a passare per le armi di persona. D’altro canto si mostrava invece prodigo di premure per i
soldati feriti, e raccomandò all’Imperatore di creare speciali compagnie per assistere i mutilati di guerra
impedendo che finissero ad elemosinare. Il suo coraggio e la sua onestà furono le carte vincenti che gli
consentirono una sfolgorante carriera: quando – nobile spiantato esule da Parigi – si presentò alla corte
asburgica a Passau (Vienna era sotto assedio turco), scrisse all’Imperatore nell’agosto del 1683: “non ho fatto
nulla per meritare un posto d’onore al vostro servizio in guerra (…) Posso solo affermare una continua e
costante lealtà alla Casa d’Austria e in ogni pericolo della guerra di dedicare tutte le mie forze e sacrificare fino
all’ultima goccia di sangue alla prosperità e all’ingrandimento di questa Casa con intrepido coraggio”.
Nemmeno per un istante nei successivi 53 anni, i tre Imperatori sotto cui servì ebbero a pentirsi d’aver dato
fiducia a quelle parole.
Emanuele Mastrangelo
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