ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
Intervento del Presidente dell’Associazione
industrie ticinesi all’Assemblea generale ordinaria
AITI (II parte aperta al pubblico)
Mendrisio, Cinema Plaza, martedì 16 maggio 2017
“La politica la smetta di parlare alla pancia”
(Fa stato il testo pronunciato)
***
Egregio ingegnere Luigi Mazzola
Signor Presidente del Gran Consiglio Walter Gianora
Signor Consigliere di Stato Christian Vitta
Cari colleghi del Consiglio nazionale
Granconsiglieri
Rappresentanti dell’Autorità comunale
Presidenti e Direttori delle associazioni economiche
Rappresentanti del mondo sindacale
Gentili ospiti
Care e cari associati
È per me un piacere potervi dare il benvenuto a questa 55ma Assemblea AITI.
Filo conduttore della mia relazione è la tendenza sempre più marcata, sia del
mondo politico, sia sindacale e in alcuni casi anche economico, a voler far
credere che conta di più quello che la pancia della gente percepisce o le viene
comunicato, vero o falso poco importa, che spiegare le diverse sfaccettature di
un medesimo problema, che una pancia digerirebbe con difficoltà. È innegabile
che nella pancia dell’opinione pubblica si annidano umori e malumori, disagi e
insoddisfazioni, critiche e risentimenti che, molto spesso, hanno concrete
fondamenta e che non devono essere in nessun modo trascurati e snobbati.
Allora, senza necessariamente ignorare le pulsioni emotive che scuotono questo
cantone, ai politici come ai dirigenti di azienda, dobbiamo avere il coraggio di
chiedere di ascoltare soprattutto la ragione.
1
Con questo spirito percorrerò quattro temi che preoccupano, perché fanno leva
sulla pancia dei cittadini di questo cantone mentre noi presentandoli, cercheremo
di usare soprattutto la testa e di attenerci il più possibile ai fatti:
1.
2.
3.
4.
I fatti: un 2016 difficile, un 2017 probabilmente migliore,
La questione del rispetto della legalità,
Il temuto ritorno delle politiche neo-protezionistiche o “primanostriste”,
Il fascino dei falsi miti o delle fake news e il loro rovescio: il bisogno di una
truth economy.
1. I fatti: un 2016 difficile, un 2017 probabilmente migliore
Per evitare di attenersi alle sole percezioni, la miglior cosa è analizzare i dati.
Le conseguenze della decisione della Banca nazionale svizzera di eliminare la
soglia minima di cambio di 1.20 franchi per euro sono state immediate e i loro
effetti si fanno sentire ancora oggi. In pochi secondi la Svizzera è diventata più
cara del 15-20%. I clienti delle nostre imprese non hanno tardato a manifestarsi e
hanno richiesto sconti sui prezzi, anche sui contratti di fornitura già sottoscritti in
precedenza. Le imprese sono state costrette a mettere in campo tutte le forze
migliori per ridurre i costi, ottimizzare gli acquisti in euro, mantenere quelle parti
di vendite ancora possibili in franchi svizzeri, andare alla caccia di nuovi clienti e
mercati, investire ancor più in tecnologie di prodotto e di processo.
In pochi anni l’economia svizzera ha conosciuto una rivoluzione: da 1.50 franchi
per euro a circa 1.10 franchi per euro. Siamo sopravvissuti a questo cataclisma e
continuiamo a guardare al futuro con la speranza di rafforzare la nostra
competitività. Ma dove troviamo tutte le energie? In un misto di sentimenti che
sono l’espressione della nostra capacità imprenditoriale, degli sforzi attuati e da
attuare per fare crescere le nostre imprese, della convinzione che le nostre
collaboratrici e i nostri collaboratori meritano non solo un posto di lavoro, ma
soprattutto la consapevolezza di fare parte di una famiglia che costruisce il nostro
futuro e che si aiuta nei momenti critici.
Il 2016 è stato un anno difficile per l’industria ticinese, che si è mossa secondo
andamenti differenziati: più dinamicità per i rami votati all’esportazione, maggiori
difficoltà per le attività orientate al mercato interno.
Abbiamo dimostrato di saper fare fronte alla forza del franco e alla debolezza dei
nostri mercati di riferimento, ma il prezzo da pagare è stato alto e rischia di
minare alle fondamenta la nostra capacità competitiva. Difficile ad esempio
trovare ulteriori margini di manovra in futuro sul fronte della razionalizzazione dei
costi. Difficile poter contare su margini di guadagno migliori quest’anno e nel
2018. Difficile immaginare molte nuove assunzioni nelle nostre imprese. Come
dimostrano tutti gli indicatori le aziende più in difficoltà sono proprio le piccole e
medie imprese, cioè la gran parte dell’economia ticinese.
Pur persistendo numerose ombre sulla congiuntura, cogliamo però anche segnali
positivi, che si sono manifestati già a partire dal quarto trimestre 2016. I principali
indicatori economici testimoniano una ripresa complessiva degli affari soprattutto
per l’industria d’esportazione. Gli ordinativi sempre globalmente – e dunque con
2
sfumature anche ampie da un ramo d’attività all’altro – sono in crescita, lo
sfruttamento degli impianti aumenta.
Pur restando prudenti il 2017 dovrebbe comunque essere migliore dell’anno
precedente. Ma la Svizzera, le istituzioni e la politica devono lavorare ancora
molto sul consolidamento delle condizioni quadro. È fondamentale creare un
clima di collaborazione tra governo e il settore privato perché – come ha
dichiarato Dani Rodrik, professore di economia politica internazionale
all’Università di Harvard – la politica industriale è un atteggiamento mentale più
che un elenco di politiche specifiche”, precisando anche che una politica
industriale deve essere attuata in modo trasparente e responsabile, ed entro i
limiti della legalità mi permetto di aggiungere. Questo aspetto mi consente di
passare al secondo punto della mia relazione.
2. Il rispetto della legalità
Negli scorsi mesi, e ancora di recente lo ha spiegato forte e chiaro Michele Rossi
in un intervento sul Giornale del Popolo (del 9.5.2017), il mondo economico ha
avuto più occasioni per esprimere perplessità, se non addirittura sconcerto, di
fronte a decisioni politiche che sono in contrasto con le leggi, il diritto superiore e
gli accordi internazionali sottoscritti dalla Svizzera e sostenuti dal popolo svizzero
in votazione a diverse riprese.
Da queste decisioni emerge che la legalità non è più considerata un pilastro
imprescindibile della nostra democrazia e della convivenza civile. Oggi bisogna
prima di tutto parlare alla “pancia” delle elettrici e degli elettori di cui dicevo in
entrata, e fare politica cogliendo le percezioni dell’elettorato. Lo scollamento fra le
regole stabilite dalle leggi e le soluzioni ai problemi che i cittadini si attendono è
sempre più netto. Diventa vieppiù difficile comprendere come sia possibile
sanare questa distanza senza dover prendere decisioni drastiche e gravide di
conseguenze negative, come ad esempio anche solo pensare di disdire l’accordo
sulla libera circolazione delle persone e dunque gli accordi bilaterali fra Svizzera
e Unione europea.
Che messaggio diamo ai cittadini, ma anche ai giovani, agli imprenditori e agli
investitori svizzeri ed esteri quando maltrattiamo le nostre leggi, persino la nostra
carta costituzionale, per piegarle al presunto volere popolare? E sono davvero
sicuri, i politici, che la traduzione della paura e dello smarrimento dei cittadini in
proposte populiste e leggi raffazzonate sia la risposta migliore?
Il non rispetto della legalità va – purtroppo – di pari passo con l’accentuarsi della
burocrazia; allo stesso modo dei cittadini che hanno paura di perdere il posto di
lavoro, anche l’amministrazione ha paura di fare errori e così si barrica dietro la
costruzione di leggi e regolamenti che applica pedissequamente con un rigore
quasi maniacale.
Il risultato è che il buon senso – che nelle passate generazioni ha guidato l’agire
di chi ci ha preceduto – è diventato merce rara. Il nostro invito d’imprenditori al
Consiglio di Stato e al Gran Consiglio, dunque alla politica, è di tornare ad usare
maggiormente la testa per riappropriarsi di questo buon senso, e di smettere di
rincorrere un effimero consenso politico di breve termine che non aiuta le
cittadine e i cittadini ad avere fiducia nel futuro del nostro paese. L’economia di
3
questo Cantone è sempre stata disponibile a dialogare con le istituzioni e la
politica; vorremmo che ciò sia una costante dei prossimi difficili anni.
3. Il temuto ritorno delle politiche neo-protezionistiche e
“primanostriste”
Il successo delle forze politiche populiste e nazionaliste nel mondo e in Europa
raccoglie la rabbia di molti cittadini e degli esclusi, tramutata in disprezzo per le
élites economiche e politiche rispetto a quella parte della popolazione sempre più
ampia che si sente tagliata fuori dal benessere e dal progresso. L’ultimo numero
di Fare Impresa che trovate in sala tratta proprio di questo tema.
Rivolgendomi alla testa dei cittadini li invito a diffidare delle ricette che si
propongono di ergere muri e barriere alle frontiere e a riconoscere che
protezionismo e dazi non hanno mai sortito, sul medio e lungo termine, alcun
vantaggio economico per le nazioni e i loro cittadini. A maggior ragione in un
paese come il nostro, povero di materie prime, che deve fare leva
necessariamente sull’intelligenza e il sapere delle persone, sulla propria grande
capacità competitiva, sullo spirito imprenditoriale e l’innovazione tecnologica. Il
nostro è un paese che vive d’esportazione, non possiamo dunque permetterci di
sigillare i nostri confini.
Dobbiamo però avere il coraggio di ammettere che la globalizzazione, di cui
hanno beneficiato in molti, provoca disagi e perdenti anche tra le stesse aziende.
Una piccola e media impresa, ancor più dopo il rafforzamento del franco svizzero
intervenuto all’inizio del 2015, soprattutto se fornitrice di multinazionali e grandi
gruppi industriali, è in balia delle loro decisioni e dei repentini mutamenti dei
mercati. Pensiamo ad esempio alla difficoltà di reperire le necessarie materie
prime quando una potenza economica come la Cina determina con le sue
decisioni la disponibilità di determinati metalli o il prezzo mondiale dell’acciaio.
Qual è la risposta dell’impresa a queste sfide? Sicuramente l’innovazione,
certamente la produzione personalizzata, ovviamente il servizio di qualità alla
clientela. Ma tutto questo, per quanto sia utile e importante, non basta.
Un altro fattore è diventato fondamentale: la flessibilità. Essere sul mercato,
produrre, servire il cliente soddisfare le sue sempre più accresciute esigenze, è
oramai il paradigma più importante che caratterizza l’impresa moderna. Essere
flessibili è un fattore decisivo di competitività ma anche una condizione che mette
a dura prova le relazioni dell’impresa, al suo interno come al di fuori di essa.
E’ chiaro che un’azienda sopravvive e cresce economicamente se sa andare al di
là delle sue normali capacità di funzionamento. Flessibilità significa anche
produrre quando serve, reagire a breve termine alle mutate condizioni dal punto
di vista dei mercati e dei fattori di produzione. Inevitabilmente la moderna
flessibilità rischia fortemente di scontrarsi con le regole contrattuali e del mercato
del lavoro. A scanso di equivoci con flessibilità non intendo che il lavoratore
debba essere sempre a disposizione dell’impresa: si tratta di trovare un
ragionevole compromesso fra le reciproche esigenze.
Non si tratta quindi di trasformare l’uomo in una macchina che risponde al volere
4
dell’azienda; si tratta piuttosto di saper rispondere in termini di dedizione, di
disponibilità ed efficienza alle molteplici sfide aziendali. Purtroppo per una parte
del sindacato, flessibilità suona ancora solo come una parola blasfema. Su
questo fronte mi aspetterei maggiore apertura da parte dei rappresentanti
sindacali: un irrigidimento eccessivo nuocerebbe alle aziende e di riflesso agli
stessi lavoratori che dichiarano di voler difendere.
Oggi credo che uno dei temi di confronto principali fra le parti sociali sia diventato
proprio quello della flessibilità. I rappresentanti dei lavoratori, ma certamente
anche lo Stato e i suoi cittadini, dovrebbero riconoscere che oggi fare impresa
comporta una disciplina maggiore rispetto al passato, una capacità forte di
contribuire tutti insieme al bene dell’azienda. Occorre in altre parole riconoscere
quel bisogno oramai assurto a conditio sine qua non per la sopravvivenza
dell’azienda, di dover sempre più fare leva sulla flessibilità di dirigenti e
collaboratori.
4. Il costo dei falsi miti e il bisogno di una truth economy
“Alcune persone vedono un’impresa privata come una tigre feroce da uccidere
subito, altri come una mucca da mungere, pochissimi la vedono com’è in realtà:
un robusto cavallo che traina un carro molto pesante”. Questa frase celebre
presa a prestito dal primo ministro inglese Winston Churchill colui che aveva
avuto il coraggio di dire ai suoi concittadini, “Non ho nulla da offrire se non
sangue, fatica, lacrime e sudore”, mi dà la possibilità di introdurre il tema dei falsi
miti nel mondo economico.
Il falso mito della responsabilità oramai diffusa dei frontalieri riguardo a un
andamento economico che si vuole solo leggere come negativo. Quello di un
“primanostrismo” assurto a mantra per giustificare il falso mito che solo con la
priorità data agli indigeni risolveremo il problema della disoccupazione. Un
dibattito che ha fatto scorrere fiumi di inchiostro e generato importanti costi a
carico dei contribuenti per produrre il nulla o quasi (come ad esempio una
proposta per una norma di legge, che vuole impedire a Banca Stato o all’AET di
assumere frontalieri…). O quello della tassa sui parcheggi, spacciata come
misura anti-traffico e quindi ecologica, quando in realtà era ed è soltanto un
modo per fare cassetta, come sembrano nel frattempo essersene accorti anche i
sindacati degli impiegati dello Stato.
Quanto alla LIA, dobbiamo constatare che, a parte aver aumentato il carico
burocratico alle aziende, essa è oggetto di parecchi ricorsi, fra i quali anche da
parte della Commissione della concorrenza (COMCO) perché violerebbe la legge
federale sul mercato interno (LMI).
Se la verità ha un valore che non si può quantificare, anche la falsità non
scherza: ore di lavoro, incontri, riunioni, analisi, note nel tentativo – non sempre
riuscito – di contrastare alcuni dei falsi miti elencati, e le loro conseguenze
negative.
Il risvolto positivo della "fake economy" è forse una "truth economy"? Una
recente ricerca di un centro di studio del giornalismo di Oxford constata che la
5
consapevolezza e la preoccupazione in tema di false notizie "rafforzerà" i media
della notizia verificata, perché così torneremo ad avere ancora sete di notizie di
qualità. Vogliamo quindi credere che il business della falsità, una volta
scoperchiato, alimenterà la domanda di verità? Mi piace pensare che sarà così,
ma staremo a vedere.
Anche la tesi che vorrebbe un rapporto di fiducia incrinato tra imprenditori e
cittadini ticinesi sembra non reggere davanti ai dati. Una recente ricerca
dell’Osservatorio della vita politica regionale di Losanna (sulle votazioni ticinesi
del 25 settembre 2016: “prima i nostri” e “basta con il dumping salariale in
Ticino”) rivela che in generale una percentuale di ca. il 70% degli intervistati
esprime una fiducia media o elevata nei confronti degli imprenditori e delle
associazioni padronali. Addirittura la fiducia è più elevata per gli imprenditori che
per le associazioni.
Le condizioni di partenza per il dialogo mondo economico e cittadinanza sono
tutto sommato favorevoli e costituiscono una buona base per rivolgerci con
credibilità alla testa dei cittadini, spiegando il nostro impegno nei confronti di
partner istituzionali, fornitori, clienti e collaboratori anche su temi sociali. Se non
possiamo mai dimenticare che lo scopo di fare impresa è quello di generare
profitto, con il quale finanziare gli investimenti e assicurare la continuità, diventa
sempre più importante coniugare questa esigenza con l’essere azienda in quanto
attore socialmente responsabile sul territorio.
Ed è proprio con questo spirito che AITI, unitamente alla Camera di commercio, è
stata favorevole all’inserimento di misure sociali nel pacchetto della Riforma
fiscale III delle imprese presentato per il Ticino dal Dipartimento finanze ed
economia, che il popolo ticinese ha poi approvato lo scorso 12 febbraio in
controtendenza con il resto della Svizzera. Il responso anomalo di questo
scrutinio – che ha posto il Ticino un po’ a sorpresa con altri due cantoni favorevoli
all’introduzione di sgravi fiscali alle imprese – non può lasciarci indifferenti.
Quando le aziende e le associazioni dimostrano responsabilità e impegno
concreto nel sostenere misure sociali a vantaggio dell’intera società – come ad
esempio misure di reinserimento professionale, di conciliabilità famiglia e lavoro –
le nostre richieste a sostegno di una minore pressione fiscale vengono meglio
percepite dalla popolazione.
Il mio invito alle nostre imprese è dunque quello, con tutte le attenuanti e
giustificazioni del caso, di non prendere immediatamente la scorciatoia dei tagli
finanziari e sociali senza un’adeguata ponderazione di tutti i fattori in gioco. Vi
invito anche ad essere trasparenti verso i collaboratori, di superare pregiudizi e
false notizie, per motivare l’origine delle decisioni difficili che devono a volte
essere prese, di coinvolgere le maestranze nei sacrifici ma pure nei successi
dell’azienda: in definitiva, come amo ripetere, siamo tutti sulla stessa barca. La
cura profonda della relazione fra l’azienda e i suoi collaboratori deve giocarsi
anche sul piano della trasparenza nelle relazioni e della verità, per essere a suo
modo un fattore di competitività dell’impresa. Come AITI proprio quest’anno
abbiamo iniziato a proporre momenti di formazione e condivisione con le imprese
che concernono ad esempio la cura della relazione fra l’azienda e i
rappresentanti dei lavoratori; oppure la gestione delle situazioni di crisi a seguito
6
di difficoltà congiunturali. Riteniamo che una gestione attiva dei diversi fenomeni
da parte dell’azienda sia un atto di responsabilità verso se stessa ma anche
verso i propri collaboratori e clienti.
Mi avvio alle conclusioni: in definitiva cosa chiediamo noi imprenditori?
Chiediamo solo una cosa: maggiore riconoscimento da parte delle istituzioni di
questo Cantone, dell’opinione pubblica per tutto ciò che l’impresa fa in quanto
creatrice di lavoro, di benessere per le persone e il territorio, per la crescita
economica, sociale e civile del nostro paese.
Cosa chiediamo invece allo Stato? Niente di più che tornare a svolgere il suo
ruolo naturale: garante delle regole, sanzionatore delle infrazioni stabilite dalle
leggi, promotore dello sviluppo economico attraverso la messa a disposizione di
condizioni-quadro certe, solide e lungimiranti. Chiediamo a Governo e
Parlamento di usare la ragione dimostrando maggiore coraggio: per spiegare,
argomentare, valutare, e a volte magari anche per cambiare idea e suggerire
soluzioni diverse. Parlare alla testa dei suoi concittadini, elettori e oppositori, è
l’unica vera ricetta democratica. Non funzionerà sempre, ma sempre contribuirà a
un dibattito civile e a fare crescere culturalmente la cittadinanza.
Il tempo dei giudizi sommari e ingiustificati verso l’economia è davvero finito.
Deve tornare a prevalere la conoscenza reciproca e il dialogo costruttivo. In
questo senso, il ciclo di visite regolari nelle aziende industriali presenti in Ticino,
che abbiamo iniziato circa due anni fa come AITI insieme al Dipartimento delle
finanze e dell’economia e al suo Direttore onorevole Christian Vitta, visite alle
quali partecipano parlamentari cantonali e a volte anche studenti, è l’esempio
lampante che la conoscenza delle rispettive esigenze, la verifica, dati alla mano,
delle condizioni in cui le aziende operano, permettono di meglio capirne e
condividerne i problemi e bisogni.
Abbiamo dimostrato come imprenditori, ma anche come cittadini, di saper
superare molte difficoltà. Non deve quindi mai mancare il nostro esempio di
essere imprenditori e la nostra voglia di diffondere la cultura del fare impresa
parlando alla testa e non alla pancia. Da parte nostra continueremo a combattere
con determinazione e coerenza per difendere la libertà economica e
imprenditoriale: ne va del nostro sistema-paese, che abbiamo costruito con fatica
ottenendo risultati eccellenti e che tutti ci invidiano. Pur presi da mille
incombenze, noi non ci sottrarremo al dovere morale di contribuire, con gli altri
attori della società, alla guida di questo nostro amato paese.
Buon lavoro a tutti e grazie dell’attenzione.
Fabio Regazzi, Presidente AITI
7
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA Martedì 16 maggio 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio 1
ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA Martedì 16 maggio 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio 2
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA Martedì 16 maggio 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio 3
1.
2.
Il ruolo dell’industria
nell’economia ticinese
Evoluzione della congiuntura
2016
3.
4.
Franco forte e
impatto sulle aziende:
due anni dopo
16/05/17
Prospettive economiche
2017
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
4
1. Il ruolo dell’industria nell’economia ticinese.
•
•
•
•
∼ 21 % del PIL cantonale (28,7 miliardi
CHF/2015) = oltre 6 miliardi CHF
30’000 addetti / ∼ 14’000 residenti
203 imprese AITI / 20’000 addetti
fatturato annuo 16,5 miliardi CHF
80% di esportazioni delle imprese AITI
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
5
1. Il ruolo dell’industria nell’economia ticinese.
•
Un cantone con un’economia solida, anche
grazie all’industria: PIL/ab. supera 80’000 CHF
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
6
2. Evoluzione della congiuntura nel 2016.
•
Andamento altalenante degli affari nelle attività
manifatturiere
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
7
2. Evoluzione della congiuntura nel 2016.
FLASH
•
•
•
2016: più dinamicità per l’esportazione, maggiori
difficoltà nel mercato interno
Scendono gli ordini, la cifra d’affari e la redditività;
inversione di tendenza nel 4. trimestre
Contenuti contraccolpi sull’occupazione
(6’000 disoccupati a marzo 2017, 3.6%, -0.4% risp. febbraio)
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
8
3. Franco forte e impatto sulle aziende: 2 anni dopo.
A 2 ANNI DAL RAFFORZAMENTO DEL FRANCO
SVIZZERO
•
•
•
•
Colpite le PMI con mercato in zona euro
EBIT negativi / tra i positivi diversi non superano il
5%
1.10 CHF ancora insufficiente / rischio
delocalizzazione e riduzione investimenti
La pressione sui prezzi rimane costante in tutti i
rami industriali
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
9
4. Prospettive economiche 2017.
FLASH
Andamento degli affari: Ticino in lieve crescita.
Trend generale positivo.
•
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
10
4. Prospettive economiche 2017.
•
•
•
Rafforzamento della congiuntura, iniziato già nel
4. trimestre del 2016, trainato anche da una
leggera ripresa economica dei paesi della zona
euro e dagli Stati Uniti
Il settore chimico-farmaceutico e la meccanica di
precisione trascinano le esportazioni / dinamica
positiva per gli altri settori
Riserve di lavoro tra 3-6 mesi / ordini in aumento
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
11
4. Prospettive economiche 2017.
•
•
Farmaceutico investe in Ticino 500 milioni di
franchi nei prossimi 3 anni. Altri rami industriali
prevedono investimenti, anche se più contenuti
L’onda lunga del franco forte causerà nuove
difficoltà: alcune aziende devono ricorrere
all’orario di lavoro ridotto, altre sono confrontate
alla chiusura o a profonde ristrutturazioni
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
12
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA Martedì 16 maggio 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio 13
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA Martedì 16 maggio 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio 14
•
Grazie per l’attenzione.
16/05/17
INCONTRO CON I MEDIA , 2017 Cinema Teatro Plaza -­‐ Mendrisio ASSOCIAZIONE INDUSTRIE TICINESI
15
Assemblea generale ordinaria AITI 2017
“10 anni di vittorie: persone e motivazioni”
Luigi Mazzola, è nato a Ferrara.
Si è laureato al Politecnico di Torino in ingegneria
meccanica, con specializzazione nella tecnica
dell’autoveicolo. Oggi vive a Lugano.
La sua avventura nella gestione sportiva della Ferrari per
la Formula 1, inizia nel 1988 nel ruolo d’ingegnere di corsa,
per terminare nel 2009 da dirigente coordinatore dello
sviluppo della performance. Nel frattempo vince 8
campionati mondiali costruttori di Formula 1 con la
Scuderia Ferrari in qualità di responsabile tecnico delle
attività di test e 6 campionati di Formula 1 piloti come test
team manager. Ha lavorato a stretto contatto con piloti
prestigiosi quali Alain Prost, Nigel Mansell, Michael
Schumacher, Kimi Raikkonen, Felipe Massa e altri e
personaggi eccellenti come Ross Brawn e Valentino Rossi.
Grazie a questa esperienza e agli studi specializzati
effettuati ha creato un modello di eccellenza della
performance e del cambiamento, combinando
competenze tecnico-aziendali e soft skills.
Luigi Mazzola è oggi anche docente universitario e quale
consulente specializzato aiuta le aziende a crescere nella
performance e nel cambiamento per fare fronte a nuovi
obiettivi.