Fra le stelle - Cerchio Aperto

Fra le stelle
Astronomia e teorie del futuro
di ALBERTO CAPPI
"Nascentes morimur, finisque ab origine pendet". In questo verso degli
Astronomica, poema astrologico così lontano dalla nostra visione scientifica del
mondo, Manilio si riferiva al fato immutabile degli esseri viventi (aggiungendo,
sors est sua cuique ferenda): sarebbe rimasto sorpreso se avesse saputo che,
secondo la cosmologia moderna, anche il nostro universo è soggetto allo
stesso destino.
L'astronomia è invero una scienza che fin dall'inizio ha avuto una relazione
particolare con il passato e il futuro. L'universo delle antiche civiltà era
rappresentato da una terra piatta, sovrastata da una volta celeste popolata di
stelle fisse; su questo sfondo si muovevano, con moti regolari e periodici, i
pianeti, la Luna e il Sole, e quest'ultimo segnava l'alternanza delle stagioni.
Eppure un'eclissi di Luna o di Sole veniva talvolta a perturbare queste
regolarità, così come l'apparizione di una cometa o di una nuova stella. Tali
eventi erano interpretati come segni premonitori, annunci di eventi terrestri,
presagi di battaglie perdute o della fine di un regno.
E` grazie ai Greci che l'astronomia è divenuta una scienza ed il suo scopo
quello, secondo le parole di Platone, di salvare i fenomeni (ta phainomena
sozein), mentre l'astrologia, con alti e bassi, ha prosperato fino ad oggi,
arcaico retaggio di una superata visione del cosmo.
Lasciato il futuro agli astrologi, gli astronomi si sono dunque concentrati sullo
studio dell'universo quale esso è al presente e quale esso era nel passato:
aiutati, in questo, dal fatto che, avendo la luce una velocità finita (299,792
chilometri al secondo), quanto più un oggetto è lontano, tanto più indietro nel
tempo noi lo vediamo. Il cielo stellato è dunque un caleidoscopio di tempi
diversi e, grazie alla velocità finita della luce e alle grandi distanze dei corpi
celesti, ci offre un'immagine del passato, anche se non del nostro.
L'astronomia ha però dovuto fare i conti anche con il futuro, cambiandone
talvolta radicalmente e drammaticamente la nostra visione. Si pensi ad
esempio a come era rassicurante il cosmo chiuso e finito medievale, descritto
così mirabilmente da Dante nella Divina Commedia: l'uomo aveva una
posizione centrale, anche se in un mondo sublunare imperfetto, e anche se nel
suo futuro incombeva il pericolo dell'Inferno.
Nel 1543 fu pubblicato il De Revolutionibus di Copernico, che riprendeva
l'ipotesi di Aristarco e poneva il Sole al centro del nostro sistema planetario. Il
fatto che la Terra non si trovasse più al centro del cosmo rappresentò un duro
colpo per l'antropocentrismo, ma nei decenni successivi emerse un'altra
implicazione, non meno rivoluzionaria: il Sole è semplicemente una delle
innumerevoli stelle nell'universo (la prima rappresentazione del sistema solare
in cui la volta celeste scompare, sostituita da una distribuzione di stelle nello
spazio, fu pubblicata nel 1576: si veda la figura 1).
Prima rappresentazione di un sistema
copernicano: le stelle sono distribuite
nello spazio e non sulla volta celeste;
in A Perfit Description of the Caelestial
Orbes di Thomas Digges, 1576
Infinite stelle, infiniti mondi si aprivano allo sguardo di un Giordano Bruno,
suonando l'ora della rivincita degli antichi atomisti, di Democrito su Aristotele:
un nuovo universo del quale la Chiesa ebbe paura, e al quale vanamente si
oppose. Come per l'universo geocentrico, rimaneva comunque la confortante
immutabilità globale e la regolarità delle orbite planetarie, che Keplero scoprì
dopo anni di lunghi calcoli, seppure ispirato da una concezione mistica
dell'universo. Un universo periodico e regolare, che non ha di conseguenza
un'evoluzione e, in un certo senso, neppure un futuro, essendo sempre uguale
a se stesso.
Si può affermare che il problema scientifico del futuro dell'universo nacque in
seguito alla scoperta da parte di Isaac Newton della legge di gravitazione
universale (descritta nei Naturalis Philosophiae Principia Mathematica,
pubblicati nel 1687), che unificò i fenomeni celesti e terrestri (la celebre e
leggendaria mela che cade segue la stessa legge della Luna che si muove
lungo la sua orbita). Il problema è discusso in uno scambio epistolare fra
Newton stesso e il canonico Richard Bentley: se tutto si attrae, come fa
l'universo a non crollare su se stesso? Le stelle, Sole incluso, non sono
destinate a scontrarsi, un giorno o l'altro? Il sistema solare stesso appare in
pericolo: che cosa ne garantisce la stabilità, potranno i pianeti seguire per
sempre le loro orbite? Newton si sentì costretto ad invocare l'intervento di Dio:
il grande orologiaio doveva ogni tanto rimettere a punto la propria creazione.
Una tale risposta, naturalmente, non costituisce una spiegazione scientifica,
che fu trovata invece dal grande matematico e fisico francese Pierre Simon de
Laplace, il quale concluse il sistema solare poteva essere effettivamente
considerato stabile. Non a caso, secondo un celebre aneddoto, a Napoleone
che gli domandava perché non avesse mai menzionato Dio nella sua Mécanique
Celeste, Laplace avrebbe risposto: "Sire, je n'avais pas besoin de cette
hypothèse". In realtà, i calcoli di Laplace si basavano su alcune, cruciali
approssimazioni. Oggi sappiamo che il Sistema Solare ha le caratteristiche di
un sistema che matematicamente viene definito "caotico": ciò implica che non
possiamo escludere con certezza se un pianeta abbandonerà la propria orbita
in un futuro più o meno lontano.
Ad ogni modo, vi è un'ombra assai più inquietante che si proietta sul futuro
della Terra e, in particolar modo, su quello dell'umanità. Nel Sistema Solare,
oltre ai pianeti, circolano oggetti di dimensioni più piccole, le comete e gli
asteroidi, alcuni dei quali, periodicamente, incrociano l'orbita terrestre. I più
grandi fra questi cosiddetti Near Earth Objects (NEO) costituiscono un
potenziale pericolo per l'umanità.
Sappiamo che, nel corso della storia della Terra, la caduta di alcuni di questi
oggetti ha avuto come conseguenza l'estinzione di numerose specie: l'esempio
più noto riguarda l'estinzione dei dinosauri avvenuta 65 milioni di anni fa
(figura 2).
Rappresentazione artistica della caduta di un
asteroide su un oceano
L'estinzione ha luogo non come conseguenza diretta dell'impatto (che pure
risulta enormemente distruttivo), ma a causa delle polveri che si diffondono
nell'atmosfera e oscurano per un lungo periodo di tempo la luce solare. Il
fenomeno è paragonabile agli effetti di una guerra nucleare (radiazione a
parte). Di qui l'inquietante domanda: la stessa sorte dei dinosauri non attende
forse l'umanità? Non dobbiamo preoccuparci soltanto delle collisioni
catastrofiche su scala planetaria, ma anche di quelle, più frequenti, che
potrebbero comunque devastare città o intere regioni: come avrebbe potuto
avvenire meno un secolo fa, il 30 giugno 1908, nei pressi del fiume Tunguska,
in Siberia, dove cadde un asteroide di 60 metri di diametro che si disintegrò ad
alcuni chilometri di altezza e che devastò la foresta in un'area (fortunatamente
disabitata) di 2000 chilometri quadrati. Sessanta metri non sembrano tanti, ma
si consideri che l'energia liberata nell'evento di Tunguska fu pari a quella di un
migliaio di bombe atomiche come quella di Hiroshima.
Foto di alberi abbattuti nella regione di Tunguska
Oggetti più grandi sono più rari: ma si stima comunque che siano circa 2000
quelli che intersecano l'orbita terrestre e hanno un diametro superiore al
chilometro.
Non deve dunque sorprendere che negli ultimi anni gli astronomi abbiano
cominciato a studiare i NEO con attenzione, cercando di identificarli e
determinarne le orbite con una rete di telescopi. Allo scopo di coordinare le
iniziative è stata costituita una apposita fondazione, la Spaceguard Foundation.
Non stupisce neppure che, oltre al pubblico, anche i governi, indispensabile
fonte di finanziamento, siano stati sensibilizzati al problema. Al tempo stesso,
non si deve avere un eccessivo timore che "il cielo ci cada sulla testa": accanto
ad una tale eventualità, reale ma remota, pericoli ben più gravi e imminenti
incombono sul nostro futuro, come l'impatto delle attività umane sul clima; un
problema ben più difficile da risolvere a livello economico e politico (si veda il
rifiuto statunitense di firmare il trattato di Kyoto) e che potrebbe porre un
termine alla nostra civiltà molto prima della caduta del prossimo grande
asteroide. Il futuro della Terra è comunque segnato: un termine certo è dato
dall'esaurimento dell'idrogeno nelle regioni centrali del Sole, che diverrà una
gigante rossa, fra cinque miliardi di anni. Ma già fra un paio di miliardi di anni
l'aumento progressivo della luminosità solare porterà alla completa
evaporazione degli oceani. I nostri eventuali discendenti non avranno scelta:
dovranno affrontare il viaggio interstellare e colonizzare pianeti extrasolari.
Come ha scritto nel 1911 il russo Konstantin Tsiolkovsky, pioniere
dell'astronautica: "Un pianeta è la culla della mente, ma non si può rimanere
per sempre nella culla". Saranno viaggi molto lunghi, dato che la stella più
vicina si trova a 4,3 anni-luce di distanza: ma nel 1905, Einstein mostrava
come il tempo fosse una quantità relativa, non assoluta: ad esempio, se
viaggiassimo alla velocità della luce, il nostro tempo scorrerebbe rallentato
rispetto al tempo segnato dagli orologi terrestri. Ciò rende possibile, in linea di
principio, un viaggio fino a una stella lontana nell'arco di una vita umana,
anche se in pratica avvicinarsi alla velocità della luce appare un'impresa
praticamente irrealizzabile.
L'astronomo Edwin Hubble al telescopio
di Mount Wilson
Se incerto è il futuro dell'umanità, ancora ignoto è per noi il futuro
dell'universo. Nel 1929, l'astronomo americano Edwin Hubble pubblicava una
sintesi dei dati allora disponibili, nella quale appariva che quanto più una
galassia è lontana da noi, tanto più velocemente essa si allontana. Questo
fenomeno, interpretato nel contesto della relatività generale, implica che
l'universo non è statico, ma in espansione. Gli studi successivi hanno mostrato
che l'espansione è cominciata 14 miliardi di anni fa, quando l'universo si
trovava in condizioni di elevatissima densità e temperatura: il Big Bang. Si è
trattato di una rivoluzione, di impatto sociale meno forte che non quella
copernicana (nessuno ha pagato con la vita l'adesione al Big Bang), ma con
importanti implicazioni scientifiche e filosofiche, vero è che molti scienziati,
inizialmente, si rifiutarono di accettarla e vi si opposero energicamente,
ritenendo probabilmente che fosse troppo simile al Fiat lux della Genesi e non
avesse dignità scientifica. Poteva anche insospettire il fatto che l'idea
precorritrice del Big Bang, quella di un atome primitif, fosse stata proposta nel
1931 dall'abate e cosmologo belga Georges Lemaître, uno dei padri della
cosmologia moderna (risalendo indietro nel tempo, ne ritroviamo una
sorprendente versione newtoniana, la Primordial Particle, nel poema in prosa
Eureka di Edgar Allan Poe, pubblicato nel 1848). In effetti, appariva naturale
ed era un'ipotesi implicita per gli astronomi, prima della scoperta di Hubble,
che l'universo fosse statico e rimanesse uguale a se stesso nel corso del
tempo: Einstein stesso, costruendo il primo modello cosmologico relativistico
nel 1917, aveva imposto la staticità, introducendo una costante nelle sue
equazioni. Come si è detto, un universo statico, in un certo senso, non ha né
passato né futuro: è un succedersi continuo ed eterno di generazioni, di stelle,
di civiltà, di esseri umani. Sembra evitarci l'imbarazzante domanda del perché
debba essere nato (ma non evita la domanda del perché è!). Così, pur
accettando l'espansione dell'universo, gli astrofisici Bondi, Hoyle e Gold
ipotizzarono la creazione continua di materia, per sostituire quella diluita
dall'espansione, in base a quello che definirono il Principio Cosmologico
Perfetto: l'universo conserva le stesse proprietà non solo nello spazio (ipotesi
alla base della teoria del Big Bang) ma anche nel tempo. Questo modello non
ha però resistito alla prova dei fatti: le osservazioni mostrano
inequivocabilmente che l'universo nel passato era ben diverso da come è oggi.
Pertanto, se l'universo evolve, quale sarà il suo futuro?
Se la gravità della materia e dell'energia contenute nell'Universo stesso fossero
le sole a determinare l'evoluzione dinamica dell'universo e se inoltre
superassero una ben definita soglia critica, l'espansione avrebbe prima o poi
un termine, e comincerebbe una contrazione che finirebbe in un Big Crunch.
Ma le osservazioni degli ultimi anni suggeriscono che questo non avverrà. Gli
astronomi hanno infatti scoperto che l'espansione sta addirittura accelerando,
una conseguenza della costante a suo tempo introdotta da Einstein, che
avendo un valore positivo agisce come una forza repulsiva. In futuro,
l'espansione accelerata non permetterà più alla luce degli oggetti lontani di
raggiungerci, restringerà anzi progressivamente il nostro orizzonte, finché i
nostri eventuali discendenti non potranno osservare altro che le galassie più
vicine: queste galassie si fonderanno in un unico sistema, con un gigantesco
buco nero centrale che divorerà inesorabilmente le stelle rimaste. Ricordiamo
che con il nome di buco nero, dovuto all'ironia del fisico americano John
Wheeler e divenuto popolare ben oltre le frontiere dell'astronomia, si indica
l'ultimo stadio dell'evoluzione di una stella massiccia la quale, esaurito il
combustibile nucleare, crolla sotto il proprio peso. Attorno a un buco nero si
forma un orizzonte degli eventi: chiunque lo oltrepassi, compresa la luce
stessa, non può più uscirne (anche se i buchi neri non sono del tutto neri, ed
emettono radiazione fino a quando non evaporano).
La visione del futuro del nostro universo non è pertanto esaltante. Significativo
è il commento di Steven Weinberg, fisico premio Nobel e autore del celebre
libro divulgativo I Primi Tre Minuti: "Quanto più conosciamo l'universo, tanto
più esso ci appare senza scopo". La conoscenza ci porta dunque il frutto
avvelenato di un cosmo con un grigio futuro e privo di senso? Forse no, e se
una fine è pur sempre inevitabile, potrebbe trattarsi soltanto della fine del
nostro universo. La nostra esistenza dipende in ultima analisi dal fatto che
nelle leggi della fisica le costanti fondamentali assumono valori ben precisi: se
tali valori fossero anche leggermente diversi, la vita intelligente, anzi la vita
tout court, non sarebbe possibile. Ciò è sorprendente, a meno che, secondo la
convinzione attuale di molti cosmologi, non vi sia una nascita continua di nuovi
universi e in ciascuno di essi le costanti assumano valori diversi: naturalmente,
soltanto in quegli universi nei quali le costanti hanno i valori "giusti" la vita
risulta possibile (figura 5).
Rappresentazione dell'ipotesi di molti
universi (Jean-Pierre Luminet)
Si tratta di una linea di pensiero nota col nome (probabilmente infelice) di
Principio Antropico. Vi è poi chi ha riproposto l'idea di un universo ciclico. Il
nostro universo, come l'Araba Fenice, potrebbe rinascere dalle proprie ceneri
(gli autori hanno battezzato questo modello "ecpirotico", dal termine greco
ekpyrosis, conflagrazione, che nella filosofia stoica indica la distruzione e
rigenerazione del cosmo nel fuoco).
Non dobbiamo dunque disperarci. La fervida mente umana è indubbiamente in
grado di creare universi immaginari che si infrangono spesso contro il muro
delle osservazioni. Eppure, per quanto grande sia la nostra immaginazione,
l'universo è ancora più grande e profondo. La cosmologia ci ha negato
l'Empireo, che ha dovuto abbandonare lo spazio-tempo della fisica, e le
certezze dell'uomo medioevale, ma ci restituisce molti futuri possibili. Di fronte
a tali prospettive, come antidoto al fatalismo di Manilio preferiamo il più antico
faber est suae quisque fortunae, e facciamo nostra la convinzione di Popper
che die Zukunft ist offen: il futuro è aperto. Sta a noi far sì che sia un futuro
migliore.
Alberto Cappi si è laureato di Astronomia a Bologna ed ha conseguito il Dottorato in Astrofisica
presso l'Università di Paris-VII. È attualmente astronomo associato presso l'Osservatorio
Astronomico di Bologna (INAF). La sua attività di ricerca è centrata sullo studio della struttura
a grande scala dell'Universo