APPUNTI di ECONOMIA MONETARIA (CORSO PROGREDITO) Giancarlo Bertocco* Corso di Laurea Magistrale Anno Accademico 2010-11 *Questo testo è stato realizzato sulla base degli appunti presi durante le lezioni tenute nell‟anno accademico 2009-10, dalle studentesse Debora Diana e Federica Geranio che ringrazio. 1 Indice Presentazione del corso (Le due interpretazioni della crisi) 3 PARTE PRIMA: LA TEORIA MAINSTREAM (NEOCLASSICA) DELLA FINANZA 1. Moneta e credito secondo la teoria mainstream 31 2. Il ruolo degli intermediari finanziari 39 3. Finanza e crescita economica 44 4. La neutralità della finanza: l’analisi di Merton e Bodie 53 PARTE SECONDA: LA TEORIA KEYNESIANA DELLA FINANZA 59 1. La moneta bancaria e la natura del credito (Cannan/Schumpeter/Hicks) 62 2. Moneta bancaria e fluttuazioni del reddito e dell’occupazione 71 2.1 Teoria della preferenza per la liquidità e fluttuazioni del reddito 72 2.2 La teoria dei fondi mutuabili 85 2.3 La risposta di Keynes alla teoria dei fondi mutuabili 93 2.4 Decisioni di investimento, aspettative e incertezza 101 2.5 Moneta bancaria e decisioni di investimento 106 2.6 La spiegazione delle fluttuazioni del reddito e dell’occupazione 108 3. Speculazione e intraprendenza nell’analisi di Keynes. 111 2 Presentazione del corso (Le due interpretazioni della crisi) Un corso di economia monetaria si occupa, evidentemente, di moneta. Occuparsi di moneta significa spiegare qual è il ruolo della moneta nel sistema economico. Nel corso di Macroeconomia abbiamo descritto modelli macroeconomici in cui compare il mercato della moneta: Domanda e Offerta di moneta. I concetti di domanda e offerta di moneta sono importanti. Cosa significa domandare moneta? Non significa desiderare moneta. Moneta fondo di valore: componente della ricchezza, domandare moneta significa decidere di impiegare una parte della ricchezza in moneta. Offerta di moneta: creazione di moneta Quantità di moneta esistente vista da due prospettive diverse: chi crea moneta, chi possiede moneta. Nel corso di Macroeconomia abbiamo visto due diverse teoria della moneta, due diverse spiegazioni del ruolo della moneta. TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA, teoria neoclassica della moneta. TEORIA KEYNESIANA DELLA MONETA. TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA, Principio della neutralità della moneta. Cosa significa? Non significa che la moneta è irrilevante poiché essa riduce i costi dello scambio rispetto ad una economia di baratto. La quantità di moneta non conta; reddito e ricchezza di un paese non dipendono dalla quantità di moneta in circolazione. Y e N dipendono da fattori reali, non da fattori monetari. Economia di mercato, basata sul sistema dei prezzi, raggiunge spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione grazie a: i) flessibilità dei salari; ii) flessibilità del tasso di interesse. (vedere successivamente) Variazioni di M influenzano i prezzi; l‟inflazione è un fenomeno monetario. 3 TEORIA KEYNESIANA DELLA MONETA. Afferma il principio della non neutralità della moneta. Keynes critica la teoria neoclassica: afferma che una economia di mercato non è in grado di raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione. Una economia di mercato è caratterizzata da fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione che dipendono dalle fluttuazioni della domanda aggregata: D Y non vale la Legge di Say (vedere successivamente) La moneta non è neutrale perché è un elemento importante per spiegare le fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione. Per Keynes un‟economia monetaria non è semplicemente una economia in cui si usa moneta, ma è una economia in cui la presenza della moneta è un elemento importante per spiegare le fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione; per spiegare perché non c‟è piena occupazione Modello IS-LM: MrIY Questa è una sintesi di alcuni argomenti trattati nel corso di macroeconomia; in questo corso di occuperemo di un argomento strettamente collegato alla moneta: la FINANZA. In questo periodo storico esiste una ragione particolare che giustifica l‟attenzione per il tema della Finanza e della relazione tra Moneta e Finanza ed è costituito dalla profonda crisi economica che ha colpito l‟economia mondiale a partire dalla seconda metà del 2007. In questi anni sono stati pubblicati moltissimi lavori che analizzano le cause della crisi e tutti questi lavori sottolineano che all‟origine della crisi economica c‟è stata una crisi finanziaria; questo rende particolarmente importante studiare il fenomeno della finanza. L‟obiettivo di questo corso è studiare il ruolo macroeconomico della Finanza e quindi analizzare le cause della crisi. Cominciamo a dare una prima definizione di FINANZA. 4 Il fenomeno della Finanza si fonda sui concetti di Debito e di Credito. Un sistema finanziario è costituito dall‟insieme dei mercati, degli strumenti finanziari e delle istituzioni che rende possibile e che gestisce queste relazioni di debito e di credito. Quindi l‟importanza macroeconomica del sistema finanziario è legata al numero di creditori e debitori e all‟ammontare dei questi contratti di debito/credito. Esiste una stretta relazione tra MONETA e FINANZA perché la moneta è l‟oggetto tipico del rapporto tra creditori e debitori. Il tipico contratto che lega creditori e debitori è quello con il quale il creditore cede una certa quantità di moneta al debitore il quale si impegna a restituire al creditore, ad una certa scadenza futura, lo stesso ammontare di moneta aumentato di un premio costituito dal tasso di interesse. Questa semplice definizione di Finanza ci permette di dare una prima definizione del concetto di CRISI FINANZIARIA. Si ha una crisi finanziaria quando un numero significativo di debitori non è in grado di restituire il prestito ottenuto. La crisi finanziaria che ha dato origine alla crisi economica mondiale è stata provocata dalla insolvenza di una particolare categoria di debitori; si tratta di coloro che, soprattutto negli Stati Uniti, avevano sottoscritto una particolare tipo di mutui costituito dai MUTUI SUBPRIME. Per descrivere le caratteristiche di questi mutui subprime consideriamo, in primo luogo le caratteristiche di un mutuo. Un mutuo è un prestito garantito dal valore del bene che viene acquistato con questo finanziamento, ad esempio una abitazione. In caso di insolvenza del debitore, il creditore ha il diritto di vendere il bene che è oggetto della garanzia, la casa, ottenendo in questo modo il rimborso del prestito. Il mutuo è quindi, tipicamente, una operazione poco rischiosa per il creditore, tipicamente una banca, per due ragioni: i) la banca presta una somma che copre fino al 60-70 % del valore dell‟abitazione, quindi da un lato finanzia soggetti che possiedono un capitale sufficiente ad 5 acquistare una parte significativa dell‟immobile e dall‟altro ottiene in garanzia un bene il cui valore è significativamente superiore a quello del prestito. In questo modo si tutela dal rischio di una caduta del valore del bene che garantisce il prestito; ii) in secondo luogo la banca normalmente finanzia soggetti che dimostrano di possedere un reddito che consente loro di soddisfare gli impegni di restituzione del prestito. I mutui subprime sono una categoria di mutui particolarmente rischiosi perche non soddisfano queste due condizioni. Si tratta infatti di mutui che: i) venivano concessi per importi pari o addirittura superiori al valore dell‟immobile che doveva essere acquistato; ii) venivano concessi a soggetti che possedevano redditi molto bassi Nei primi anni del decennio passato, si è registrato, soprattutto negli Stati Uniti, un forte aumento di questa particolare categoria di mutui. Nei primi anni i mutuatari furono in grado di far fronte al loro impegno di restituzione del prestito e non si registrò un alto numero di insolvenze poiché da un lato prevedevano per i primi anni condizioni favorevoli di rimborso, cioè basse rate, ed inoltre questa basse rate erano favorite anche dai bassi tassi di interesse che si registravano in quel periodo. Ma a partire dal 2004-2005 i tassi di interesse cominciarono a salire e le rate di rimborso diventarono più onerose; questo provocò un forte aumento delle insolvenze, cioè del numero dei mutuatari che non furono in grado di rimborsare il prestito. Queste insolvenze legate alla forte incremento dell‟erogazione dei mutui subprime, provocarono la crisi finanziaria. L‟altro elemento che caratterizza questa esperienza è costituito dal fatto che la crisi finanziaria non ha colpito soltanto il sistema finanziario e quindi una parte del sistema economico, cioè non ha colpito soltanto le banche che hanno erogato i mutui e i clienti delle banche che avevano acquistato i titoli di credito emessi dalle banche, ma ha dato origine ad una profonda crisi economica. 6 L‟economia mondiale si trova infatti a partire dal 2008-2009 in una profonda recessione, la peggiore recessione dopo la crisi del ‟29. La crisi attuale è stata associata alla crisi del ‟29 e ad un altro evento di importanza storica: la STAGFLAZIONE degli anni ‟70 del secolo scorso. La crisi mondiale quindi non è un evento di secondaria importanza, ma un fenomeno di rilevanza storica, cioè un fenomeno che sarà ricordato nei libri di storia, come è ricordata la crisi del ‟29 e la stagflazione degli anni ‟70. Dobbiamo sottolineare che i primi due eventi hanno avuto un impatto enorme sulla teoria macroeconomica, in quanto hanno spinto gli economisti a modificare lo schema teorico utilizzato per interpretare il funzionamento del sistema economico. La crisi del ‟29 ha dato origine alla nascita della macroeconomica moderna. Come abbiamo visto nel corso di macroeconomia, la crisi del ‟29 è all‟origine della nascita della teoria Keynesiana. La Grande Depressione ridusse la fiducia degli economisti nei confronti della teoria classica che affermava che una economia di mercato è in grado di raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione e le crisi potevano essere soltanto fenomeni passeggeri che venivano superati spontaneamente dal sistema economico grazie alla flessibilità dei salari e del tasso di interesse. Nel 1936 Keynes pubblicò la sua opera fondamentale in cui sosteneva che una economia di mercato è soggetta a fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione e che la flessibilità dei prezzi e dei salari non è in grado di evitare significative e prolungate cadute del reddito e dell‟occupazione. La teoria Keynesiana sostituisce la teoria neoclassica e diventa la teoria dominante negli anni fino agli anni ‟70 quando si manifesta il fenomeno della Stagflazione. I primi decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, gli anni ‟50 e ‟60 furono caratterizzati da alti tassi di crescita del reddito, da alta occupazione e 7 da bassa inflazione e questi significativi risultati vennero considerati come un effetto dell‟efficacia delle politiche keynesiane. Negli anni settanta la situazione cambia significativamente: la crescita rallenta ed aumenta significativamente l‟inflazione, questa combinazione di stagnazione e di alta inflazione viene indicata con il temine di stagflazione. Questo nuovo fenomeno spinse gli economisti a mettere in dubbio l‟efficacia delle politiche Keynesiane. Inoltre a partire dagli anni sessanta l‟economista americano Milton Friedman elaborò una profonda critica nei confronti della teoria keynesiana che mostrava che le politiche keynesiane erano efficaci soltanto in condizioni particolari (in presenza di illusione monetaria). La critica di Friedman alla teoria keynesiana ebbe un effetto enorme sulla teoria macroeconomica; indusse gli economisti ad abbandonare la teoria keyneisiana e ad accettare una nuova teoria elaborata sulla base delle critiche di Friedman, che riproponeva le conclusioni fondamentali della teoria neoclassica, cioè della teoria che Keynes aveva criticato negli anni trenta. A partire dagli anni ‟70 la teoria dominante è costituita da una nuova versione della teoria neoclassica che afferma la validità di due fondamentali proposizioni di questa teoria: i) che un‟economia di mercato è in grado di raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione; ii) il principio della neutralità della moneta (teoria quantitativa della moneta) Ci possiamo quindi chiedere se anche questa crisi, come è avvenuto in conseguenza degli altri due fenomeni a cui essa è stata associata, indurrà gli economisti a modificare la teoria macroeconomica. Questa è una domanda che si sono posti molti economisti in questo periodo, dando risposte differenti. Un primo esempio che possiamo citare è costituito da un importante economista italiano, Guido Tabellini, rettore della Bocconi il quale ritiene che non sia necessario modificare il modello teorico: 8 Non c'è alcun dubbio che la crisi in corso sarà ricordata come un evento d'importanza storica, paragonabile alla Grande Depressione del '29 e alla spirale inflazionistica che è seguita al crollo di Bretton Woods e al primo shock petrolifero negli anni 70. Entrambi quegli eventi hanno avuto un profondo impatto, non solo sulla realtà economica e politica, ma anche sul mondo delle idee. La Grande Depressione ha portato alla rivoluzione keynesiana e ha trasformato il modo di pensare su ruolo e obiettivi della politica economica e sui confini tra stato e mercato. L'inflazione degli anni 70 è stata seguita dalla controrivoluzione monetarista guidata dalle idee di Milton Friedman E questa volta? Vi sarà un'altra rivoluzione nelle idee degli economisti circa i compiti della politica economica e il funzionamento di un'economia di mercato?Io penso di no. (Guido Tabellini, Il mondo ritorna a correre l’Italia non si fermi, Il Sole 24 ore, 24 giugno 2009). Economisti altrettanto autorevoli ritengono invece che la crisi attuali dimostri i limiti della teoria mainstream e ritengono quindi necessario abbandonare la teoria mainstream e recuperare l‟insegnamento di economisti come Keynes. Questa è la posizione di due premi Nobel dell‟economia come Joseph Stiglitz e Paul Krugman. Stigliz ad esempio afferma: “ Continua lo scambio di accuse su chi è responsabile della peggior recessione mondiale dai tempi della Grande Depressione: i finanzieri che sono stati incapaci di gestire il rischio o i regolatori che non sono riusciti a fermarli. Ma una parte non indifferente della colpa spetta agli economisti di professione. Hanno rassicurato i regolatori fornendo modelli di mercati che si auto-regolavano, si auto-correggevano ed erano efficienti. Regnava sovrana l’ipotesi del mercato efficiente. Oggi l’economia è andata a rotoli insieme, si può sperare, al paradigma economico che prevaleva negli anni prima della crisi.” (Stiglitz, 2108-2010) Prima di analizzare le ragioni su cui si basano queste due contrapposte proposizioni, conviene ricordare in maniera più precisa l‟impatto che i due precedenti fenomeni hanno avuto sulla macroeconomia, poiché in questo modo possiamo ricordare alcuni aspetti significativi della teoria mainstream. 9 La crisi del ‟29, come abbiamo già ricordato può essere considerata l‟evento che ha dato origine alla nascita della teoria Keynesiana. Come abbiamo visto nel corso di macroeconomia, la tesi fondamentale sostenuta da Keynes consiste nell‟affermare che un‟economia di mercato è soggetta a crisi, a fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione e non è in grado di raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione. Secondo Keynes le fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione sono provocate dalle fluttuazioni della domanda aggregata dovute soprattutto all‟instabilità delle decisioni di investimento. Possiamo ricordare gli aspetti più significativi della teoria di Keynes partendo dal modello neoclassico che Keynes critica. Il modello neoclassica viene descritto considerando due mercati: il mercato del lavoro e il mercato dei beni. Il mercato del lavoro è caratterizzato da: - funzione di domanda di servizi di lavoro da parte delle imprese, Nd → funzione decrescente rispetto al salario reale e coerente con il principio di massimizzazione dei profitti delle imprese: Nd = f - con f’ < 0 funzione di offerta di lavoro che riflette il comportamento delle famiglie, Ns → funzione crescente rispetto al salario reale: Ns = g con g’ > 0 In corrispondenza di Nd = NS avremo un livello occupazionale pari a NE, ossia l‟equilibrio di piena occupazione. 10 𝑊 𝑃 𝑾 𝑷 NsNd E Equilibrio di piena occupazione NNd s NE Nd ; Ns Figura 1 Affinché le imprese possano massimizzare i profitti occorre anche che esse riescano a vendere tutto ciò che producono. In altri termini secondo la Teoria Neoclassica condizione necessaria affinché si realizzi il reddito di piena occupazione è che esista una domanda aggregata capace di assorbire il reddito di piena occupazione: D = YPO Il reddito di piena occupazione è il livello di reddito che viene prodotto quando vengono impiegati NE lavoratori. Il reddito dipende dal livello occupazionale infatti Y = Y (N) e più precisamente si tratta di una relazione diretta in quanto all‟aumentare del livello di occupazione, il livello di reddito aumenta. Quando N = NE allora Y = YPO. Dunque secondo la Teoria Neoclassica condizione necessaria affinché si abbia una domanda aggregata capace di assorbire il reddito di piena occupazione è: D = YPO D= C (Y; r) + I ( attesi; r), 11 Se vogliamo specificare le condizioni necessarie affinchè: D = YPO poiché i consumi dipendono dal reddito dobbiamo inserire il valore di YPO nella funzione dei consumi, quindi otterremo: C (YPO; r) + I ( YPO attesi; r) = YPO C (YPO; r) = I ( attesi; r) Perché si realizzi l‟equilibrio di piena occupazione è risparmio S necessario che il tasso di interesse (r) assuma il valore in corrispondenza del quale gli investimenti sono uguali al S (YPO; r) = I ( attesi; r) risparmio di piena occupazione. Figura 2 Ns Equilibrio di piena occupazione Nd NE‟ Nd ; N s NE Y r Teoria Keynesiana S (YE’ ; r) S (YPO; r) r1 Teoria Neoclassica YPO rE E’ E Funzione di produzione aggregata YE’ I( Y = h ( ; N) NE r) N S; I N NE‟ attesi; S=I 12 Keynes critica la teoria neoclassica affermando che normalmente in una economia di mercato il livello degli investimenti assume un valore inferiore rispetto a quello dei risparmi di piena occupazione. Se I<S(YPO) allora il livello della domanda aggregata D<YPO; in questo caso le imprese non riusciranno a vendere tutto quello che producono quindi ridurranno il reddito e l‟occupazione. In altri termini, secondo Keynes vale il principio della domanda effettiva (e non la legge di Say come per la Teoria Neoclassica): le decisioni di produzione delle imprese dipendono dal livello della domanda aggregata e il sistema economico non è normalmente in grado di raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione. Keynes spiega in vari modi le ragioni per cui normalmente gli investimenti sono inferiori al flusso dei risparmi di piena occupazione; la spiegazione presentata nel modello IS-LM consiste nel sottolineare il fatto che il tasso di interesse non dipende dalle decisioni di risparmio e di investimento, ma è un fenomeno monetario dipende cioè dalla domanda e dall‟offerta di moneta e quindi può assumere un valore differente da quello coerente con l‟equilibrio di piena occupazione pari ad rE. Supponiamo infatti che assuma un valore pari a r1 > rE. Secondo la teoria neoclassica lo squilibrio tra S(YPO, r1) > I verrebbe eliminato dalla riduzione del tasso di interesse; secondo Keynes invece, questo squilibrio sarà eliminato dalla variazione del livello del reddito. Il reddito si abbasserà fino a quando non si raggiungerà YE < YPO a cui corrisponde un livello di occupazione pari a NE‟ < NE; e questa situazione di disoccupazione involontaria rimarrà anche in presenza di un salario reale pari a W/PE C‟è un secondo aspetto, oltre al primo che riguarda la spiegazione della crisi e delle fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione, della teoria keynesiana che abbiamo sottolineato nel corso di macroeconomia. Questo secondo aspetto riguarda il ruolo economico dello Stato. Keynes afferma infatti che esistono strumenti che possono essere usati dalle autorità di governo per incrementare il reddito e l‟occupazione; questi strumenti sono costituiti dalla politica fiscale e dalla politica monetaria. Come abbiamo ricordato la teoria keynesiana divenne la teoria dominante dopo la fine della secondo guerra mondiale e fino agli anni ‟70 quando si manifesta il fenomeno della stagflazione che la teoria keynesiana non sembra in grado di spiegare. Negli anni ‟60 13 infatti il modello keynesiano tradizionale costituito dal modello IS-LM aveva subito una importante innovazione costituita dall‟introduzione della curva di Phillips. La curva di Phillips è il risultato di uno studio empirico sulla relazione tra le seguenti due grandezze: tasso di variazione dei salari monetari: tasso di disoccupazione: u= = = In particolare: Curva di Phillips 0 u u0 Figura 3 La curva di Phillips è caratterizzata da: relazione inversa tra il tasso di variazione dei salari monetari e il tasso di disoccupazione: = f (u) con f‟<0 esiste un particolare valore del tasso di disoccupazione in corrispondenza del quale il tasso di variazione dei salari monetari è pari a 0: se u = u0 =0 Per spiegare questa relazione decrescente tra il tasso di variazione dei salari monetari e il tasso di disoccupazione si può assumere che la forza contrattuale dei lavoratori, cioè la capacità dei lavoratori di ottenere aumenti salariali, vari in funzione del livello di reddito e quindi del livello di occupazione: in corrispondenza di un alto tasso di disoccupazione la forza contrattuale dei lavoratori sarà bassa in quanto questi ultimi subiscono la concorrenza dei disoccupati; quando invece il tasso di disoccupazione è basso il tasso di 14 variazione dei salari monetari è elevato e quindi la forza contrattuale dei lavoratori è consistente. La curva di Phillips può essere rappresentata anche come relazione crescente tra tasso di inflazione e il reddito reale: Curva di Phillips: le due curve sono equivalenti 1 1 1 * * 0 0 u1 0 0 u0 u Y0 Y1 Figura 4 Per spiegare questa relazione assumiamo che le imprese domandino lavoro in maniera coerente con il principio di massimizzazione dei profitti le imprese assumono un numero di lavoratori N in corrispondenza del quale la produttività marginale del lavoro è pari al salario reale: N → PMaL (N) = da cui P= Esiste dunque una relazione diretta tra prezzi e salari monetari e quindi tra tasso di variazione dei salari monetari e tasso di inflazione. In corrispondenza della combinazione 0 si ha: u = u0 → N = N0 → Y = Y0 → = 0 (ossia Wt = Wt-1) → =0 In corrispondenza della combinazione 1 invece si ha: 15 Y u1 < u0 → N1 > N0 → Y1 >Y0 → 1 >0→ 1 >0 Il modello keynesiano degli anni sessanta, basato sulla curva di Phillips, portava a concludere, a differenza del semplice modello IS-LM con prezzi e salari dati, che livelli maggiori di reddito e quindi di occupazione possono essere ottenuti solo a fronte di tassi di inflazione più elevati. Tra Y e esiste quindi una relazione crescente. Il modello IS-LM con Curva di Phillips entrò in crisi negli anni „70 quando si sviluppò il fenomeno della stagflazione → la bassa crescita dei redditi e l‟elevata inflazione erano infatti incoerenti con questo modello. La stagflazione è incoerente con il modello IS-LM con curva di Phillips il quale prevede invece una relazione crescente tra inflazione e reddito. stagflazione stagflazione 0 0 u1 u0 u Y0 Y1 Figura 5 Alla fine degli anni sessanta una critica teorica nei confronti modello keynesiano IS-LM con curva di Phillips. Padre della controrivoluzione monetarista la quale determinò il declino della teoria keynesiana fu Milton Friedman. Friedman criticò la relazione della curva di Phillips affermando che il modello keynesiano basato su questa relazione assume che i lavoratori si comportano in 16 Y maniera irrazionale in quanto continuano ad aspettarsi un tasso di inflazione pari a zero anche quando l‟inflazione effettiva è maggiore di zero. L‟equazione della curva di Phillips è: Y=f( ) Quindi in corrispondenza di Y= Y0 si avrà = 0 e in corrispondenza di Yα > Y0 si avrà α> 0, ad esempio =5%. Friedman mostra che questa relazione è stabile solo se i lavoratori di fronte ad un tasso di inflazione del 5% continuano ad aspettarsi un tasso di inflazione pari a 0 ma questo è appunto, irrazionale. Possiamo illustrare l‟irrazionalità di questo comportamento ricordando il concetto di tasso naturale di disoccupazione. E‟ il tasso di disoccupazione coerente con l‟equilibrio di piena occupazione, cioè con una situazione in cui domanda e offerta di lavoro sono uguali e quindi il prezzo del lavoro, cioè il salario è stabile; quindi il tasso naturale di disoccupazione e il tasso di disoccupazione coerente con un tasso di variazione dei salari monetari e dei prezzi pari a zero. Il tasso naturale di discoccupazione corrisponde a u0. In particolare, secondo Friedman il tasso naturale di disoccupazione è diverso da zero (u0 ≠ 0) nonostante sia coerente con l‟equilibrio di piena occupazione poiché: Ns = occupati + disoccupati Nd = occupati + posti vacanti Si tratta di posti di lavoro che le imprese intendono occupare, ma che non sono ancora stati occupati perché le imprese sono ancora in fase di selezione del personale. La presenza di posti vacanti ha senso solo se si elimina l‟ipotesi di l‟omogeneità dei lavoratori assunta dal modello IS-LM, ossia l‟ipotesi per cui essi hanno tutti le stesse caratteristiche e qualità. Sapendo che l‟equilibrio di piena occupazione si ottiene in corrispondenza di Nd = Ns, si avrà: OCCUPATI + POSTI VACANTI = OCCUPATI + DISOCCUPATI POSTI VACANTI = DISOCCUPATI 17 DISOCCUPAZIONE FRIZIONALE = disoccupazione temporanea legata al fatto che le imprese non hanno ancora terminato il processo di selezione del personale. il tasso naturale di disoccupazione ha due caratteristiche fondamentali: 1. è coerente con la stabilità dei salari monetari, ossia con = 0; 2. è coerente con la piena occupazione, ossia con Nd = Ns. Affinché si possa ottenere u1 < u0 è necessario un livello di occupazione N1 > N0 . Per ottenere N1 è a sua volta necessario che: Ns = N1 ossia che i lavoratori siano disposti a lavorare al salario reale Nd = N1 ossia che le imprese siano disposte ad occupare N1 lavoratori al salario reale S; D. Poiché il livello dei salari reali che spinge i lavoratori a offrire N1 unità di lavoro è diverso dal livello dei salari reali che spinge i datori di lavoro a dare occupazione a N 1 lavoratori, ossia poiché D < S, le condizioni per ottenere u1 sembrano irrealizzabili. Secondo Friedman invece il passaggio da N0 a N1 è realizzabile solo nel caso in cui i lavoratori soffrano di illusione monetaria, ossia confondano i salari monetari con i salari reali. Per definire il concetto di illusione monetaria occorre introdurre l‟ipotesi fondamentale secondo cui i salari monetari e i prezzi vengono fissati in tempi diversi: 0 t 1 18 Ns Nd Curva di Phillips N0 =0 u1 N1 u u0 Ns S Equilibrio di piena occupazione E Nd D N0 N1 Nd ; Ns Figura 6 Nel momento 0 vengono fissati i salari monetari sulla base della contrattazione tra imprese e lavoratori; i prezzi, invece, vengono fissati dalle imprese durante il periodo t cioè in un momento successivo a quello in cui avviene la contrattazione tra imprese e lavoratori. Per questi motivi, l‟equazione della funzione di offerta di lavoro Ns cambia nel modo seguente: 19 Nd; Ns Ns = f Ns = f Wt e Pt venivano fissati nello stesso momento. I prezzi vengono determinati dopo la contrattazione quindi al tempo 0 i lavoratori conoscono solo i salari monetari e non anche il livello dei prezzi per definire l‟offerta di lavoro i lavoratori devono elaborare una previsione circa il livello futuro dei prezzi ( ). Di conseguenza il salario reale atteso dai lavoratori sarà pari a . Per quel che riguarda, invece, la funzione di domanda di lavoro Nd, al tempo 0 le imprese conoscono Wt e saranno esse stesse a determinare il livello dei prezzi durante il periodo t, quindi la funzione di domanda di lavoro resta pari a Nd = g Una volta definite queste ipotesi ci chiediamo quali sono le condizioni necessarie affinché anche in questo caso si possa ottenere N1 > N0 : Ns = N1 se = S Nd = N1 se = D Avremo quindi: = S > > < S D= < 20 Sarà quindi possibile ottenere N1 > N0 a condizione che i lavoratori sbaglino le loro < previsioni sui prezzi al tempo t: . Lo squilibrio tra salario reale atteso e salario reale effettivo offerto dalle imprese si può realizzare solo se i lavoratori soffrono di illusione monetaria, ossia sbagliano a prevedere il livello futuro dei prezzi. Es. supponiamo di avere: W0 = 1, PMaL (N0) = 1 e quindi P0 = - =1 PMaL (N1) = 0,95 Per ottenere N1 > N0 occorre che: Ns = N1 se = S = 1,05 unità di lavoro se il salario reale atteso Nd = N1 se = D → i lavoratori sono disposti ad offrire N1 è pari a 1,05 = PMaL (N1) < PMaL (N0) 0,95 1 Ns S= 1,05 E 1 = 0,95 D Nd Figura 7 N0 = 1,05 da cui N1 Nd ; Ns = 1,05 * 21 Si supponga che i lavoratori si aspettino prezzi stabili e quindi pari a quelli del periodo precedente = P0 = 1 in questo caso avremo: Di conseguenza: = 1,05 * = 1,05 * 1 = 1,05 Per essere indotti ad espandere l’occupazione i lavoratori dovranno ricevere un aumento del 5% del salario monetario che, data la stabilità dei prezzi, viene dagli stessi interpretato come un aumento del 5% anche dei salari reali. Dall‟espressione dei salari effettivamente ottenuti = PMaL (N1) = 0,95 si ricava che il prezzo fissato dalle imprese per assumere N1 lavoratori è pari a Pt = < 1,1 = . È quindi possibile espandere l‟occupazione da N0 a N1 solo se i lavoratori sbagliano le proprie aspettative circa il livello futuro dei prezzi. Le aspettative dei lavoratori possono essere espresse anche in termini di tasso di inflazione: Tasso di inflazione atteso al tempo t: = = = 0 Dato che i prezzi attesi sono stabili, il tasso di inflazione atteso è pari a 0. Tasso di inflazione effettivo al tempo t: = = = 10% É possibile espandere il livello di occupazione da N0 a N1 solo se i lavoratori commettono un errore di previsione circa il livello del tasso di inflazione, ossia solo se < . In particolare, l’errore di previsione determina una discrepanza tra il salario reale atteso dai lavoratori e il salario reale effettivamente percepito dai lavoratori stessi. 22 Questo ha una conseguenza importante: il tasso di inflazione coerente con un determinato livello di reddito e quindi di occupazione non è costante, come afferma il modello keynesiano, ma dipende dal tasso di inflazione atteso dai lavoratori. Infatti è possibile ottenere Y>Yo solo se i lavoratori commettono un errore di previsione quindi la relazione stabile non è tra il livello del reddito e il tasso di inflazione, ma tra il livello del reddito e l‟errore di previsione. Per ottenere Y1 > Yo l‟errore di previsione deve essere pari a 10 punti percentuali: = 10% , questo implica che se il tasso di inflazione effettivo da associare a Y1 dipenderà dal tasso di inflazione atteso dai lavoratori. Chiediamoci quale dovrà essere il tasso di inflazione che si dovrà realizzare in t+1 per ottenere sempre un livello di reddito pari a Y1. La risposta è che questo valore dipenderà dal tasso di inflazione atteso dai lavoratori . Se i lavoratori si aspettano un tasso di inflazione pari a 0 allora il tasso di inflazione effettivo necessario a mantenere Y1 sarà sempre pari a 10%. Questa, osserva Friedman è l‟ipotesi implicita nella curva di Phillips che afferma che esiste una relazione stabile tra reddito e tasso di inflazione; questa ipotesi assume però che i lavoratori si comportino in modo irrazionale poiché in presenza di un tasso di inflazione pari al 10% continueranno a prevedere un tasso di inflazione pari a zero. Friedman ipotizza che i lavoratori elaborino le loro aspettative di inflazione mediante un meccanismo di aspettative adattive, cioè in base ai valori passati dell‟inflazione; in questo caso se osservano un tasso di inflazione pari al 10% non si aspetteranno un tasso di inflazione pari a zero, ma un tasso superiore a zero: >0. In questo caso il valore del tasso di inflazione coerente con Y1 non potrà rimanere pari al 10% ma dovrà raggiungere il livello in corrispondenza del quale l‟errore di previsione, da cui dipende la distanza tra il salario reale atteso dai lavoratori e il salario reale effettivamente pagato dalle imprese, sia sempre pari a 10 punti percentuali. 23 Quindi affinché in t+1 si mantenga un livello di occupazione pari a N1, l‟errore di previsione del periodo t+1 deve essere uguale all‟errore di previsione del periodo t: = 10% 0 Errore di previsione in t+1 Errore di previsione in t Friedman mostra quindi che esiste una relazione stabile non tra Y e e l‟errore di previsione dei lavoratori quindi si avrà Y = g ( originale curva di Phillips che presuppone che f( ). In termini lineari avremo: Y = Y0 + e bensì tra Y e ), invece della = 0 e quindi corrisponde a: Y = ( ); quando = 0 il reddito sarà al suo livello naturale, soltanto con un errore di previsione superiore a zero si potrà ottenere un valore del reddito reale superiore a Yo. Se assumiamo che i lavoratori elaborino le loro aspettative in base al meccanismo delle aspettative adattive, allora doppiamo concludere che è possibile espandere il livello dell‟occupazione e del reddito (Y1) solo se le autorità monetarie accettano un tasso di inflazione continuamente crescente. La figura 8 mostra che la posizione della curva di Phillips dipende dal valore di e Condizione necessaria affinchè il livello di reddito rimanga pari a Y1 è che le autorità monetarie siano disposte ad aumentare continuamente la quantità di moneta; questo però è una ipotesi irrealistica poiché nessuna autorità monetaria è disposta a accettare un tasso di inflazione crescente. Ci possiamo chiedere allora quali sono gli effetti di una variazione della quantità di moneta ad un tasso costante. Quali sono ad esempio, gli effetti della decisione delle autorità monetarie di aumentare la quantità di moneta al tasso annuo del 10%; Possiamo rispondere a questa domanda in termini logici: 24 l‟inflazione tende ad un valore finito, infatti abbiamo visto che l‟inflazione potrà crescere continuamente soltanto se la quantità di moneta cresce continuamente; l‟errore di previsione commesso dai lavoratori tende a 0, infatti l‟errore di previsione è costante solo se l‟inflazione è crescente; se l‟errore di previsione tende a zero, il reddito tende al livello naturale Y0 In conclusione, se il reddito tende a Yo, allora la variazione della quantità di moneta non avrà alcun effetto permanente sul reddito e provocherà soltanto un aumento del tasso di inflazione. Quindi nel lungo periodo, al di fuori del caso di inflazione crescente, la politica monetaria non è in grado di influenzare il livello del reddito; le autorità monetarie possono soltanto scegliere il tasso di inflazione da associare al livello naturale del reddito; se decidono di variare la quantità di moneta al 10% otterranno un tasso di inflazione del 10%; se scegliessero un tasso del 20% provocherebbero un tasso di inflazione del 20% ecc. nel lungo periodo quindi, la curva di Phillips diventa verticale (figura 8) = 20% Curva di Phillips nel lungo periodo = 10% (t+2) 3 = 30% =0 = 20% (t+1) Curve di Phillips nel breve periodo (t) = 10% Y0 Figura 8 Y1 Y Y0 è pari al reddito naturale YN, il quale corrisponde al tasso naturale di disoccupazione u0 coerente con l’equilibrio di piena occupazione. 25 In corrispondenza di Y0 si ha proprio il tasso naturale di disoccupazione u0, il quale, essendo coerente con un tasso di inflazione stabile, è definito NAIRU (Non Accelerating Inflation Rate Unemployment). In corrispondenza di Y1> Y0, invece, si ha u1< u0 e quindi un tasso di inflazione crescente. La conclusione di Friedman circa gli effetti della politica monetaria, cioè delle variazioni della quantità di moneta coincidono con quelle della teoria quantitativa della moneta. Friedman quindi propone di superare la teoria keynesiana e di accettare una nuova versione della teoria neoclassica basata sul concetto di tasso naturale di disoccupazione, sull‟introduzione delle aspettative adattive, che sarà definita monetarismo. L‟opera di Friedman ha avuto un impatto enorme sulla evoluzione della teoria macroeconomica; a partire dagli anni ‟70 diminuisce il consenso nei confronti della teoria keynesiana. Negli anni 80-90 il monetarismo subisce una significativa evoluzione grazie all‟introduzione del concetto di aspettative razionali; Robert Lucas è il principale artefice di questa nuova versione del monetarismo che è definita nuova macroeconomia classica e che diventa la teoria mainstream cioè la teoria generalmente accettata dagli economisti, mentre la teoria keynesiana diventa una teoria minoritaria. C‟è un aspetto paradossale in questa evoluzione della teoria macroeconomica: abbandono della teoria keynesiana e affermazione del monetarismo e della nuova macroeconomia classica. Dobbiamo ricordare infatti che la teoria di Keynes si basa su due punti fondamentali: i) una spiegazione delle ragioni per cui una economia di mercato è soggetta a crisi, a fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione; ii) la specificazione di strumenti, politica fiscale e monetaria, che possono essere usati per spingere il sistema verso la piena occupazione. La critica di Friedman si concentra sul secondo punto; egli ha dimostrato che le politiche keynesiane possono funzionare soltanto in certe condizioni; ha dimostrato che: 26 i) in un mondo in cui i lavoratori chiedono aumenti dei salari monetari proporzionali all‟incremento del reddito, cioè non sono disposti ad accettare incrementi di reddito e di occupazione a salari monetari costanti, ii) non è possibile attraverso politiche keynesiane espandere in modo permanente il livello di occupazione oltre a quello naturale che corrisponde alla situazione in cui l‟errore di previsione è pari a zero. L‟aspetto paradossale della reazione degli economisti alla critica di Friedman sta nel fatto che questa critica non affronta il primo punto della teoria di Keynes, cioè non mette in discussione la spiegazione della crisi e della instabilità del sistema economico. Infatti il problema che Keynes poneva non era quello di espandere il livello dell‟occupazione oltre la piena occupazione; Keynes affermava che anche nel caso in cui i salario reale desiderato dai lavoratori fosse pari a W/P E, fosse cioè coerente con la piena occupazione ciò non è sufficiente per garantire la piena occupazione poiché è necessario che si creino le condizioni affinchè le imprese riescano a vendere ciò che producono. Questo aspetto della teoria Keynesian, il primo punto, è stato completamente dimenticato. Si tratta di una reazione paradossale; sarebbe come se, facendo un esempio che riguarda la medicina, di fronte alla dimostrazione dell‟inefficacia di una certa medicina nel curare una determinata malattia, i ricercatori invece di concludere che è necessario trovare un farmaco più efficace concludessero che la malattia non esiste. Dopo aver ricordato schematicamente la reazione degli economisti di fronte alla crisi del ‟29, e alla stagflazione degli anni ‟70, ritorniamo o alla domanda che ci siamo posti: la crisi attuale indurrà gli economisti a modificare il modello teorico generalmente accettato prima della crisi come è successo nei due casi precedenti? Abbiamo visto che esistono opinioni nettamente diverse: i sostenitori della teoria mainstream sostengono che non è necessario abbandonare questa teoria; al contrario gli economisti Keynesiani ritengono che sia necessario abbandonare la teoria mainstream e ripartire da Keynes. 27 Queste due diverse risposte sono associate a due diverse spiegazioni delle caratteristiche della crisi finanziaria e della crisi economica. Il primo gruppo di economisti, che accetta la teoria mainstream e considera un‟economia di mercato come una economia intrinsecamente stabile, capace di raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione considera la crisi come un FENOMENO ACCIDENTALE, UN INCIDENTE TEMPORANEO, cioè come un fenomeno estraneo al normale funzionamento del sistema economico. La crisi viene considerata quindi, come la conseguenza del comportamento scorretto o fraudolento di alcuni soggetti o istituzioni finanziarie ed economiche. Il secondo gruppo considera la crisi come un FENOMENO STRUTTURALE, cioè come un fenomeno strettamente connesso al normale funzionamento del sistema economico, cioè come un fenomeno che può essere spiegato in base alle caratteristiche stesse di un sistema finanziario complesso. Possiamo spiegare la differenza tra queste due interpretazioni con un esempio molto banale. Paragoniamo la crisi ad un incidente aereo. La prima spiegazione che considera la crisi come un incidente temporaneo afferma che la crisi (l‟incidente) non può essere stato provocato da problemi al motore, cioè da problemi strutturali, poiché il motore (il sistema economico) è efficiente, ma deriva o dall‟imperizia del pilota o dal fatto che il pilota fosse ubriaco; in entrambi i casi la responsabilità ultima della crisi deve essere attribuita all‟istituzione che avrebbe dovuto valutare l‟abilità del pilota o impedire ad un pilota ubriaco di pilotare l‟aereo. La seconda spiegazione invece, pur non escludendo naturalmente che la crisi (l‟incidente) possa essere provocata da un pilota incapace o ubriaco, sottolinea che il motore non è strutturalmente sicuro e quindi che questo rende le crisi (gli incidenti) possibili. Quindi i sostenitori di questa seconda tesi ritengono necessario al fine di evitare le crisi non soltanto incentivare i controlli per evitare che piloti ubriachi o incapaci si mettano alla guida di un aereo, ma ripensare al modo di costruire gli aerei e quindi, mettono in discussione il modo tradizionale di costruire gli aerei. 28 Vediamo un esempio di queste due diverse interpretazioni. La prima è sempre di Tabellini, il quale ritiene che non si debba abbandonare lo schema teorico mainstream e quindi considera la crisi come un incidente temporaneo: Come sarà ricordata questa crisi nei libri di storia economica? Come una crisi sistemica e un punto di svolta, oppure come un incidente temporaneo e presto riassorbito dovuto ad una crescita troppo rapida dell’innovazione finanziaria? Se guardiamo alle cause delle crisi, e alle lezioni da trarne, la risposta è senz’altro la seconda. In estrema sintesi, la crisi è scoppiata per via di alcuni specifici problemi tecnici riguardanti il funzionamento e la regolamentazione dei mercati finanziari, ed è stata acuita da una serie di errori commessi durante la gestione della crisi. Sebbene si tratti di problemi complessi, essi possono essere affrontati e risolti con adeguate seppure profonde riforme della regolamentazione finanziaria. Se sapremo imparare da questi errori e gestire bene l’uscita dalla crisi, il mondo dell’economia tornerà a essere come prima, anzi meglio di prima, con meno eccessi e più stabilità. Parlare di crisi del capitalismo, di fine della globalizzazione, di crisi di un sistema e di un modo di pensare, sarebbe una solenne stupidaggine (Guido Tabellini, Idee e regole per il mondo dopo la tempesta, Il Sole 24 ore, 7 maggio 2009). Un sostenitore della seconda interpretazione è il premio Nobel Paul Krugman che accusa gli economisti mainstream di non aver saputo prevedere la crisi proprio perché il modello teorico da essi accettavano consideravano la crisi come un evento accidentale e quindi avevano in pratica cancellato l‟idea che una crisi potesse verificarsi: Pochi economisti avevano intuito che la crisi stava arrivando, ma l’aspetto più grave è un altro: la possibilità che nell’economia di mercato potessero verificarsi dei fallimenti catastrofici non rientrava nel loro orizzonte. Negli anni d’oro, gli economisti finanziari si erano convinti che i mercati fossero intrinsecamente stabili, che i titoli e le altre attività finanziarie avessero sempre un prezzo giusto. Nelle loro previsioni non c’era nulla che lasciasse immaginare un crollo come quello dell’anno scorso. … Cosa è successo agli economisti? E che strada prenderanno ora? Gli economisti sono andati fuori strada perché hanno confuso la bellezza, rivestita di calcoli matematici affascinanti, con la verità. Prima della grande depressione la maggior parte degli economisti pensava che il capitalismo fosse un sistema perfetto o quasi. Quell’idea 29 diventò insostenibile di fronte alla disoccupazione di massa, ma quando il ricordo della grande depressione è svanito, gli economisti sono tornati ad innamorarsi della vecchia visione idealizzata: un’economia in cui individui razionali interagiscono in mercati perfetti. … Tornare a Keynes, ecco cosa penso che debbano fare gli economisti. In primo luogo devono accettare la scomoda realtà che i mercati finanziari sono ben lontani dalla perfezione, che sono soggetti a incredibili abbagli e alla irrazionalità della folla. In secondo luogo, devono riconoscere che l’economia keynesiana resta la migliore struttura a nostra disposizione per spiegare recessioni e depressioni. In terzo luogo dovranno fare del loro meglio per inglobare nella macroeconomia le realtà della finanza (Paul Krugman, Gli errori degli economisti, 18 settembre 2009). In queste lezioni analizzeremo queste due interpretazioni della crisi. Per compiere questa analisi abbiamo bisogno di conoscere in che modo la teoria mainstream da un lato e quella keynesiana dall‟altro, analizzano il ruolo della finanza. Quindi nelle prossime lezioni descriveremo LA TEORIA NEOCLASSICA DELLA FINANZA e la TEORIA KEYNESIANA DELLA FINANZA. Nella seconda parte del corso analizzeremo le due interpretazioni della crisi. 30 LA TEORIA MAINSTREAM (NEOCLASSICA) DELLA FINANZA Possiamo specificare tre aspetti fondamentali della teoria mainstram della finanza che riguardano: 1. La definizione della relazione tra moneta e credito (finanza); 2. la teoria degli intermediari finanziari, cioè la spiegazione delle ragioni della presenza di intermediari finanziari; 3. la relazione tra sistema finanziario e crescita economica. 1. Moneta e credito secondo la teoria mainstream. Abbiamo osservato che esiste uno stretto legame tra moneta e credito poiché la moneta è l‟oggetto tipico di un contratto di credito. Riconosciuta questa ovvia relazione, dobbiamo osservare che il primo elemento che caratterizza la teoria mainstream della finanza consiste nel distinguere nettamente moneta e credito, cioè nel separare nettamente il fenomeno della moneta dal fenomeno del credito. Possiamo distinguere due ragioni che giustificano questa posizione della teoria mainstream. A) In primo luogo, la teoria mainstream afferma che la natura del fenomeno del credito è indipendente dalle caratteristiche dell‟oggetto del contratto di credito. Abbiamo detto che l‟oggetto tipico del contratto è costituito dalla moneta; questo però non esclude, che l‟oggetto del credito possa essere qualunque altro bene. La teoria mainstream afferma che le caratteristiche del fenomeno del credito non cambiano in relazione all‟oggetto del credito. Sia nel caso in cui l‟oggetto del credito sia un cavallo che nel caso in cui sia una somma di denaro, il creditore riceve dal debitore la promessa che egli restituirà l‟oggetto del credito ad una data scadenza impegnandosi a corrispondere, eventualmente, un premio al creditore. Quindi il fenomeno del credito non deve essere confuso con la moneta poiché questo fenomeno può esistere indipendentemente dalla moneta. 31 B) Concentriamoci ora sui contratti di credito che hanno per oggetto moneta Anche in questo caso, secondo la teoria mainstream, è necessario separare nettamente moneta e credito cioè è necessario distinguere nettamente il processo di creazione della moneta dal processo di creazione del credito e quindi distinguere nettamente il mercato della moneta dal mercato del credito e questo significa distinguere domanda e offerta di moneta rispetto a domanda e offerta di credito. I concetti di domanda e di offerta di moneta li conosciamo, li abbiamo descritti nei corsi di macroeconomia e di economia monetaria; vediamo di specificare le caratteristiche delle funzioni di domanda e di offerta di credito secondo la teoria mainstream. Questo ci permette di sottolineare un elemento fondamentale della teoria mainstream della finanza. La teoria mainstream della finanza sottolinea infatti che esiste una stretta relazione tra le funzioni di domanda e offerta di credito e le decisioni (le funzioni) di investimento e di risparmio. Ricordiamo le caratteristiche di queste due funzioni: a) le decisioni di investimento vengono associate alle imprese che per realizzare la produzione ricorrono a due fattori produttivi: lavoro e capitale. L‟impresa realizzerà quindi una decisione di investimento quando deciderà di aumentare lo stock di beni capitali. Le decisioni di investimento vengono prese confrontandone i costi (ossia il valore monetario dei beni capitali che dovranno essere acquistati) e i benefici (ossia i maggiori profitti che deriveranno dalla realizzazione dell‟investimento). b) le decisioni di risparmio vengono prese invece dalle famiglie che percepiscono redditi da lavoro e da capitali. La loro scelta riguarderà l‟utilizzazione di questi redditi: consumo o risparmio. La scelta di non consumare oggi parte del reddito è finalizzata ad un‟espansione dei consumi futuri. Tale scelta viene effettuata confrontandone costi (ossia i minori consumi presenti) e benefici (ossia i maggiori consumi futuri resi possibili dalla decisione di risparmiare) e dipenderà, in primo luogo, dal reddito corrente e dai redditi attesi. 32 L‟elemento fondamentale che permette di spiegare la relazione tra domanda e offerta di credito e decisioni di investimento e di risparmio è costituito dal fenomeno della dissociazione tra decisioni di risparmio e di investimento, cioè è costituito dal fatto che decisioni di risparmio e decisioni di investimento vengono prese da soggetti diversi. Se infatti i soggetti che investono (le imprese) fossero anche i soggetti che risparmiano allora il fenomeno del credito e quindi della finanza, afferma la teoria mainstream, diventerebbe irrilevante (Gurley and Shaw). Il fenomeno del credito diventa importante e quindi importante il ruolo della finanza, quando esiste un forte grado di dissociazione tra decisione di risparmio e di investimento, quando cioè chi investe non risparmia e chi risparmia non investe. Possiamo distinguere i soggetti economici in due categorie: famiglie e imprese ed assumere che le famiglie che ricevono redditi da lavoro e da capitale in forma monetaria, prendano decisioni di consumo e di risparmio, mentre le imprese prendono decisioni di investimento. In questo caso le imprese potranno realizzare gli investimenti soltanto se ottengono moneta attraverso un contratto di credito, cioè se esprimono una domanda di credito. Domanda di credito a cui si contrappone l‟offerta di credito che coincide con i reddito monetari risparmiati dalle famiglie e che le famiglie sono disposte a prestare alle imprese. L‟offerta di credito è determinata dalle decisioni di risparmio → LS = S; la domanda di credito è determinata dalle decisioni di investimento → Ld = I. Un mercato è definito oltre che dalle funzioni di domanda e di offerta anche da un prezzo il quale, reagendo agli squilibri tra domanda ed offerta, dovrebbe fissarsi al livello che garantisce l‟equilibrio del mercato cioè al livello che assicura l‟equilibrio tra domanda ed offerta; cioè al livello che assicura: LS = Ld (mercato del credito) A cui corrisponde l‟equilibrio tra risparmi e investimenti: S=I (mercato dei beni) L‟equilibrio tra risparmi e investimenti è la condizione che garantisce l‟equilibrio sul mercato dei beni (condizione IS), quindi come ricordiamo dal corso di 33 Macroeconomia, quando c‟è equilibrio sul mercato dei beni si avrà equilibrio anche sul mercato del credito; i due mercati secondo la teoria neoclassica sono equivalenti, si sovrappongono perfettamente. A questo punto dobbiamo ricordare qual è il prezzo che mette in equilibrio il mercato dei beni e il mercato del credito. Questo prezzo è secondo la teoria neoclassica, il tasso di interesse; questo è il prezzo del credito; il tasso di interesse influenza, come sappiamo, le decisioni di investimento e le decisioni di risparmio; le fluttuazioni del tasso di interesse garantiscono l‟equilibrio tra S e I e tra domanda e offerta di credito. secondo la Teoria Neoclassica: il tasso di interesse è un fenomeno reale che dipende dalle decisioni di risparmio e di investimento: questa definizione del tasso di interesse e della relazione tra mercato del credito e dei beni compare in tutti i manuali di finanza; ad esempio Bodie, Kane, Marcus R Ls = S RE Eq. sul mercato dei beni Eq. sul mercato del credito Ld = I S=I credito Figura 1 La curva di offerta di credito è inclinata positivamente perché, al crescere del tasso di interesse reale, le famiglie sceglieranno di posticipare i consumi correnti, ossia di risparmiare di più. La curva di domanda di credito è invece inclinata negativamente perché, al ridursi del tasso di interesse reale, aumentano gli 34 investimenti delle imprese in beni capitali. La domanda di credito è quindi associata alle decisioni di investimento delle imprese. Le decisioni di risparmio non dipendono soltanto dal tasso di interesse ma anche dal reddito; quindi la posizione della funzione del risparmio dipende dal reddito; come ricorderete, la teoria neoclassica assume che il reddito sia sempre al livello di piena occupazione quindi l‟equilibrio sul mercato dei beni determina il livello del tasso di interesse coerente con l‟equilibrio di piena occupazione. La relazione tra mercato del credito e mercato dei beni, e tra domanda e offerta di credito e le decisioni di investimento e di risparmio ci consente di sottolineare che secondo la teoria neoclassica, la funzione fondamentale del sistema finanziario consiste nel rendere possibile, nel facilitare il trasferimento del risparmio dalle famiglie alle imprese. Il sistema finanziario è l‟insieme degli strumenti, dei mercati e dei soggetti che rende possibile il trasferimento del risparmio dalle famiglie alle imprese. La relazione tra mercato del credito e mercato dei beni ci consente anche di chiarire le ragioni per cui credito e moneta sono fenomeni nettamente separati secondo la teoria neoclassica. Il mercato del credito infatti è formato da grandezze flusso; domanda e offerta di credito infatti dipendono dalle decisioni di risparmio e di investimento che sono grandezze flusso, mentre domanda e offerta di moneta sono riferite a grandezze stock: l‟offerta di moneta specifica la quantità di moneta creata dalla Banca Centrale mentre la domanda di moneta definisce le condizioni che spingono i possessori di ricchezza ad accumulare la quantità di moneta creata dalle autorità monetarie. Se il mercato della moneta è distinto dal mercato dal credito allora il prezzo che caratterizza il mercato della moneta sarà diverso da quello che caratterizza il mercato del credito. Se il prezzo del credito è costituito dal tasso di interesse qual è il prezzo della moneta? Qual è la variabile che reagisce agli squilibri tra domanda ed offerta di moneta? La variabile che elimina questi squilibri? Questa variabile è costituita dal livello dei prezzi P; variazioni della quantità di moneta 35 che provocano squilibri tra domanda ed offerta di moneta producono variazioni del livello dei prezzi. Questo aspetto della teoria mainstream è messo ben in evidenza da Friedman. C‟è un testo in particolare, in cui Friedman affronta chiaramente questo punto; nel 1980 Friedman e Schwartz pubblicano una monumentale Storia Monetaria degli Stati Uniti e della Gran Bretagna; la loro analisi si basa su di una schema teorico ben preciso: la teoria quantitativa della moneta (p. 17, punto 1) Friedman e Schwartz espongono una versione della teoria quantitativa della moneta basata su due elementi: a) distinzione tra quantità nominale di moneta e quantità reale di moneta. (p.17, punto 2); b) i concetti di domanda e di offerta di moneta. F e S considerano le due funzioni come indipendenti poiché riflettono decisioni di soggetti diversi; da un lato i possessori di ricchezza che domandano moneta e sono interessati a detenere una certa quantità di moneta in termini reali; dall‟altro le autorità monetarie che controllano la quantità di moneta in termini nominali. Essendo le due funzioni indipendenti ci può essere una discrepanza tra domanda e offerta di moneta cioè la banca centrale può aver creato una quantità di moneta superiore a quella che, dati i prezzi, i tassi di rendimento e la quantità di ricchezza esistente, il pubblico desidera possedere. F e S descrivono le conseguenze di questo squilibrio; l‟eccesso di offerta di moneta darà origine ad un incremento della domanda di beni che farà aumentare i prezzi. E‟ la variazione dei prezzi ad eliminare lo squilibrio tra domanda ed offerta di moneta (p. 18, 3-4) F e S osservano che lo squilibrio tra domanda e offerta può essere provocato da una variazione della domanda di moneta o da una variazione dell‟offerta di moneta; essi concludono però, osservando l‟esperienza degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, che la variazioni nella domanda di moneta sono piuttosto lente, mentre sono state molto più frequenti le variazioni della quantità nominale di moneta creata dalle autorità monetarie (p. 19, 5) 36 Dopo aver ricordato gli elementi significativi della teoria quantitativa della moneta F e S rispondono ad una importante critica che è stata mossa ai sostenitori di questa teoria. Secondo questa critica la teoria quantitativa non specifica chiaramente il meccanismo attraverso il quale le variazioni della quantità nominale di moneta determinate dalle autorità monetarie influenzano il livello dei prezzi (p. 26, 1) F e S ritengono che questa critica sia ingiustificata poiché si basa sull‟ipotesi che il mercato della moneta funzioni in modo diverso rispetto ai mercati normali; invece il mercato della moneta funziona come tutti gli altri mercati, quindi uno squilibrio tra domanda e offerta di moneta farà variare il prezzo della moneta. (p.26, 2) F e S osservano che questa idea secondo cui il mercato della moneta ha caratteristiche analoghe a quelle di ogni altro mercato non è stata compresa a causa di due ragioni. In primo luogo la confusione tra grandezze flusso e grandezze stock (p. 26, 3) Il secondo elemento riguarda la tendenza a confondere la moneta con il credito e quindi il prezzo della moneta con il prezzo del credito. (p.26, 4) F e S sottolineano che il prezzo della moneta non è il tasso di interesse, che è il prezzo del credito, ma corrisponde alla quantità di beni e servizi che possono essere acquistati con una unità di moneta; corrisponde quindi al reciproco del livello dei prezzi. Questa definizione del prezzo della moneta è coerente con la specificazione della funzione fondamentale della moneta: quella di essere un mezzo di scambio. Secondo F e S un eccesso di offerta di moneta provoca una caduta del prezzo della moneta e quindi un aumento del livello dei prezzi e viceversa. Le ragioni della relazione tra moneta e prezzi possono essere comprese ricordando l‟esempio della costruzione della strada finanziata mediante la creazione di nuova moneta, utilizzato da Friedman e descritto nel corso di macroeconomia; questo esempio mostra che secondo la teoria quantitativa esiste 37 una relazione diretta tra quantità di moneta in circolazione livello della domanda aggregata. Nel caso del mercato del credito invece, uno squilibrio tra domanda e offerta di credito non ha alcun effetto sul livello dei prezzi. Questo significa che non esiste alcuna relazione tra ammontare del credito e livello della domanda aggregata; un eccesso di offerta di credito, ad esempio non ha alcun effetto sul livello della domanda aggregata. Infatti un eccesso di offerta di credito implica un eccesso di S rispetto agli I, questo provocherà una caduta del tasso di interesse che spingerà le imprese ad espandere gli investimenti assicurando in questo modo l‟equilibrio tra S e I e quindi tra domanda e offerta di credito. Il livello della domanda aggregata complessivamente non cambia, rimarrà quello coerente con l‟equilibrio di piena occupazione. C‟è un‟ultima osservazione a proposito della relazione tra moneta e credito definita dalla teoria mainstream da sottolineare. Il fatto che questa teoria consideri il mercato del credito come equivalente al mercato dei beni spiega perché nei modelli macroeconomici elaborati della teoria mainstream il mercato del credito non appaia e sia presente soltanto il mercato della moneta. Questo punto è ben descritto da McCallum. McC spiega nell‟introduzione del suo libro le ragioni per le quali egli si concentra sul mercato della moneta trascurando il mercato del credito. (p. 26, 1) Egli osserva il mercato del credito e in generale il sistema finanziario ha un ruolo molto importante nel sistema economico (p. 27, 2) e quindi sottolinea che il cattivo funzionamento del sistema finanziario avrà conseguenze molto pesanti sul funzionamento del sistema economico (p. 28, 3) E quindi si chiede per quali ragioni si può trascurare l‟analisi del mercato del credito e quindi del sistema finanziario. La risposta sta nel fatto che i rapporti di credito e di debito su cui si fonda il sistema finanziario sono espressione delle decisioni di risparmio e di investimento descritte quando si specifica il mercato 38 dei beni, quindi è sufficiente considerare queste relazioni una sola volta quando si specifica il mercato dei beni (p. 28, 4-5) McC conclude quindi, che è privo di significato distinguere tra il settore reale e il settore finanziario del sistema economico poiché sono la stessa cosa (p. 30, 5) 2. Il ruolo degli intermediari finanziari. Il secondo elemento che caratterizza la teoria mainstream della finanza è costituito dalla spiegazione della presenza degli intermediari finanziari. Il sistema finanziario non è costituito soltanto dai rapporti di credito e debito che caratterizzano il mercato del credito, ma all‟interno di questo mercato operano dei soggetti che vengono normalmente chiamati intermediari come le banche commerciali, le banche di investimento, le compagnie di assicurazione, ecc. Quindi un aspetto importante di una teoria della finanza consiste nello spiegare le ragioni che giustificano la presenza di intermediari finanziari. Spiegare le ragioni della presenza degli intermediari finanziari significa, secondo la teoria neoclassica, spiegare le ragioni per le quali le famiglie non trasferiscono direttamente i loro risparmi alle imprese, ma preferiscono cederli a degli intermediari che si occuperanno di trasferirli alle imprese. Dato che la presenza di questi intermediari costituisce un costo che deve essere sostenuto dai risparmiatori e/o dalle imprese, ci dobbiamo chiedere quali servizi vengono forniti dagli intermediari al fine di giustificare i costi associati alla loro presenza. La risposta elaborata dalla teoria neoclassica consiste nel sottolineare la presenza all‟interno del mercato del credito, di ostacoli, di imperfezioni, che rendono difficile il trasferimento diretto del risparmio dalle famiglie alle imprese. L‟ostacolo sul quale si è maggiormente concentrata la teoria economica negli ultimi quarant‟anni è costituito dalla presenza di imperfetta informazione o di asimmetrie informative. 39 Negli ultimi decenni, a partire da uno studio di Akerlof del 1970 si è sviluppata una importante branca della teoria economica definita economia dell‟informazione, la quale descrive il funzionamento di mercati caratterizzati dalla presenza di asimmetria informativa. In un generico mercato si ha AI quando le parti che devono realizzare lo scambio (compratore e venditore) non possiedono le stesse informazioni circa le caratteristiche del bene scambiato. Prima dello studio di Akerlof la teoria economica dava per scontato che ci fosse sempre perfetta informazione all‟interno di un mercato. Akerlof ha illustrato il funzionamento di un mercato caratterizzato dalla presenza di AI con un esempio molto efficace che riguarda il mercato delle auto usate. Su questo mercato è facile immaginare una situazione di AI, in cui compratore e venditore non hanno le stesse informazioni circa le caratteristiche del bene scambiato. Possiamo ipotizzare che il venditore, conosca bene la qualità dell‟auto che intende vendere poiché l‟ha utilizzata per qualche tempo, mentre per quanto riguarda il compratore, possiamo assumere che egli non conosca affatto le caratteristiche dell‟auto. Akerlof mostra che la presenza di AI ha importanti conseguenze sulle caratteristiche dell‟equilibrio che si determina sul mercato del credito. a) La prima conseguenza è costituita dal fatto che all‟interno dello stesso mercato delle auto usate vengono scambiate auto di qualità diversa. Supponiamo infatti che esistano, per semplicità, soltanto due categorie di auto: auto di buona qualità e auto di cattiva qualità. Naturalmente i compratori saranno disposti a pagare due prezzi diversi per queste categorie di auto: - auto di buona qualità → P1 = 1000 - auto di cattiva qualità → P2 = 500 P1 e P2 sono i prezzi che i compratori sono disposti a pagare per i due tipi di auto. Supponiamo inoltre che soltanto i venditori siano in grado di distinguere le auto buone dalle auto cattive, mentre i compratori non lo sono. In questo caso tutte le 40 auto usate verranno scambiate sullo stesso mercato; se al contrario, anche i compratori fossero in grado di riconoscere la qualità delle auto allora le due categorie di auto sarebbero scambiate su due mercati diversi e a prezzi differenti. b) La seconda conseguenza riguarda il prezzo che si forma all‟interno del nostro mercato di auto usate in presenza di AI. I due gruppi di auto vengono venduti sullo stesso mercato e quindi allo stesso prezzo. Possiamo facilmente concludere che questo prezzo sarà inferiore a 1000 poiché i compratori sanno che esiste il rischio di acquistare un‟auto di cattiva qualità, e sarà superiore a 500 poiché sanno che esiste la possibilità di acquistare auto di buona qualità. Possiamo quindi osservare che la presenza di asimmetrie informative avvantaggia quindi i proprietari di auto di cattiva qualità e penalizza invece i venditori migliori, ossia i proprietari di auto di buona qualità che sono costretti a vendere ad un prezzo inferiore rispetto a quello al quale riuscirebbero a vendere se il mercato fosse caratterizzato da perfetta informazione. L‟analisi di Akerlof è stata applicata al mercato del credito caratterizzato dalla presenza di debitori (ossia le imprese che devono realizzare l‟investimento) e creditori (ossia i risparmiatori). Anche in tal caso si può determinare una situazione di asimmetria informativa, si può ipotizzare cioè, che il debitore, l‟impresa, possegga maggior informazioni circa la redditività futura e il grado di rischio del progetto di investimento che intende realizzare rispetto al creditorerisparmiatore. Sul mercato del credito si può determinare una situazione analoga a quella che caratterizza il mercato delle auto usate di Akerlof. Supponiamo che sul mercato del credito esistano due tipologie di debitori, caratterizzate da differente rischiosità del prestito: debitori di buona qualità, i quali hanno un‟alta probabilità di rimborsare il prestito e di pagare gli interessi; debitori di cattiva qualità, i quali presentano un alto rischio di insolvenza. E supponiamo inoltre che i creditori-risparmiatori non siano in grado di distinguere le due categorie di debitori. Questo implica che tutte le imprese 41 verranno finanziate alle stesse condizioni ( nel mercato delle auto usate tutte le auto venivano vendute allo stesso prezzo) → i debitori di cattiva qualità risulteranno avvantaggiati, mentre i debitori di buona qualità risulteranno penalizzati rispetto a quanto succederebbe in un mondo con perfetta informazione in cui i buoni debitori sarebbero finanziati a condizioni migliori rispetto ai cattivi debitori. Le conseguenze della presenza di AI sugli operatori migliori (possessori di auto di buona qualità; debitori meno rischiosi) permettono di spiegare le ragioni della presenza di soggetti come gli intermediari finanziari. Continuiamo a descrivere l‟analisi di Akerlof il quale mostra che, nel caso del mercato delle auto usate, i costi che gravano sui proprietari di auto buone, che non riescono a vendere la loro auto al prezzo di 1000, ma sono costretti ad accettare un prezzo inferiore, costi che vengono definiti costi di informazione, stimolano la nascita di operatori, Akerlof li definisce mercanti, che si specializzano nel valutare la qualità delle auto usate. L Nel caso del mercato delle auto usate questi mercanti potrebbero essere a meccanici che si specializzano nel valutare la qualità dell‟auto e garantiscono la qualità dell‟auto acquistata. La presenza di questo soggetto consente ai proprietari di auto di buona qualità di vendere la propria auto ad un prezzo vicino a quello che si sarebbe determinato in caso di perfetta informazione (1000) al netto della ricompensa per il meccanico; mentre i proprietari di auto di cattiva qualità saranno costretti a vendere la loro auto al prezzo di 500. La presenza del meccanico all‟interno del mercato delle auto usate consente quindi di eliminare gli effetti della presenza di AI; grazie al meccanico si riproducono risultati analoghi a quelli p r e s e n z a che si sarebbero avuti in presenza di perfetta informazione: si creano due mercati distinti delle auto usate nei quali le due categorie di auto vengono vendute a prezzi d differenti. i La teoria mainstream degli intermediari finanziari trasferisce queste conclusioni al a mercato del credito. Gli intermediari finanziari svolgono all‟interno del mercato s del credito la stessa funzione che i meccanici svolgono nel mercato delle auto i m 42 m e t usate di Akerlof. La funzione fondamentale degli intermediari finanziari, e in particolare delle banche, che sono la tipica forma di intermediario, consiste nel valutare la qualità dei debitori e quindi di ridurre le AI tra creditori e debitori. La presenza degli intermediari consentirà ai debitori di buona qualità di finanziarsi a condizioni migliori rispetto a quelle che dovrebbero sopportare in un mondo senza intermediari; la riduzione dei costi di informazione giustifica quindi il pagamento dei costi di intermediazione corrispondenti ai salari e profitti degli intermediari finanziari. (Fama, Goodhart, Blinder, Stiglitz) Questa analisi delle ragioni della presenza degli intermediari finanziari ci permette di sottolineare due aspetti significativi della teoria mainstream. 1) Secondo questa teoria esiste un mondo ideale caratterizzato dalla presenza di perfetta informazione in cui: a) tutte le risorse risparmiate vengono impiegate negli investimenti più efficienti; b) i risparmiatori trasferiscono direttamente le risorse risparmiate alle imprese senza necessità dell‟intervento di intermediari finanziari; in questo mondo ideale gli IF non hanno alcun ruolo. 2) Questo mondo ideale non è una costruzione astratta che non ha alcun rapporto con i sistemi economici concreti, ma costituisce il punto di arrivo verso cui converge una economia caratterizzata dalla presenza di imperfezioni come le asimmetrie informative. La presenza di intermediari finanziari serve infatti ad eliminare gli effetti delle AI e a fare in modo che nel mondo reale si riproducano i risultati che si otterrebbero in un mondo ideale in cui i risparmiatori finanziano direttamente le imprese e non esistono intermediari finanziari. Possiamo quindi osservare che la teoria mainstream afferma il principio della neutralità della finanza; questo principio non significa che la finanza, intesa come mercato del credito e intermediari finanziari è irrilevante, ma significa affermare che la funzione del sistema finanziario consiste nel fare in modo che una economia caratterizzata da imperfezioni come le asimmetrie informative ottenga gli stessi risultati che caratterizzano il mondo ideale con perfetta informazione in cui il mercato del credito coincide con il mercato dei beni e gli intermediari 43 finanziari non hanno ragione di esistere. La finanza è neutrale poiché non influenza in alcun modo i risultati ottenuti dal mondo ideale. Queste conclusioni sono confermate dalle considerazioni circa la relazione tra finanza e sviluppo economico. 3. Finanza e crescita economica L‟ultimo punto della teoria mainstream riguarda l‟analisi della relazione tra finanza e sviluppo economico, cioè la specificazione delle ragioni per le quali la finanza, il sistema finanziario, può essere visto come un elemento importante nello spiegare il processo di sviluppo economico. Questa analisi, come vedremo, è coerente con il principio di neutralità della finanza descritto sopra. Pagano (1993) spiega questa relazione mediante un modello che deriva da un fondamentale modello teorico elaborato negli anni ‟50 dall‟economista americano Robert Solow. La prima equazione del modello di Pagano descrive relazione tra reddito e stock di beni capitali → eq. 1: dove: Yt = A * Kt A rappresenta la produttività del capitale; Kt è lo stock di beni capitali al tempo t ed è l‟unica grandezza variabile. Il reddito è una funzione lineare crescente dello stock di beni capitali. Il capitale è l‟unico fattore produttivo considerato in quanto si ipotizza che il numero di lavoratori impiegato (N) sia costante nel tempo; quindi N, in quanto costante, può essere trascurato (p.613, 0). La seconda equazione specifica: relazione tra investimenti e stock di beni capitali: 44 Indichiamo con K lo stock di beni capitali disponibili all‟inizio di ogni periodo; ipotizziamo inoltre, che si produca un unico bene (es. grano o pesce) che può essere consumato (al fine di garantire la sopravvivenza delle famiglie) o investito (impiegato quindi come mezzo di produzione). In ogni periodo possiamo individuare inoltre un certo flusso di investimenti che permette di aumentale lo stock di beni capitale. Ad esempio, gli investimenti saranno costituiti dalla quantità di grano (o di pesce) che serve a pagare i lavoratori che producono aratri (o barche). Per definire la relazione tra lo stock di beni capitale e il flusso degli investimenti possiamo considerare due casi: Quindi avremo: a) i beni capitali durano in eterno; in questo caso vale la relazione: eq. 2: b) i beni capitale sono deperibili;: eq. 2’: δ definisce la frazione di beni capitali deteriorata dall’uso. Le equazioni appena analizzate mettono in luce che lo stock di beni capitali varia di periodo in periodo in funzione dello stock di investimenti realizzato nel periodo precedente. La terza equazione definisce: relazione tra risparmi e investimenti Il modello di Solow segue l‟impostazione neoclassica secondo cui le decisioni di investimento sono determinate dalle decisioni di risparmio S → I (p.614, 1) Se Yt-1 è la produzione di grano realizzata in t-1: una parte sarà consumata Ct-1 = f (Yt-1) = c Yt-1 c = propensione marginale al consumo (0<c<1 es. c=0,8) una parte sarà risparmiata St-1 = f (Yt-1) = s Yt-1 45 s = (1-c) = propensione marginale al risparmio (s = 1-c = 1-0,8 = 0,2) Eq. 3: il livello degli investimenti dipende dalle decisioni di risparmio. Possiamo illustrare il significato di questa relazione ipotizzando che si produca un solo bene: grano (pesce); il grano si produce oltre che con lavoro e semente anche con un bene capitale che può essere un aratro oppure un trattore. L‟aratro/trattore verrà prodotto mediante lavoro. In questo caso l‟investimento consiste nel destinare una parte del grano prodotto a pagare e a permettere la sopravvivenza dei lavoratori che producono l‟aratro il 20% del grano prodotto che serve a pagare i lavoratori che producono aratri/trattori costituisce il risparmio. La produttività dello stock di capitale dipende dalla tecnologia produttiva: se la produzione avviene mediante lavoro, sementi e aratro la produttività del capitale impiegato sarà più bassa rispetto al caso in cui si produce con lavoro, sementi e trattore. Il modello definito dalla teoria mainstream specifica una relazione causale tra risparmi e reddito: → dato Yt-1 è determinato St-1 = s Yt-1 → dato St-1 l‟equazione 3 determina It-1, ossia l‟ammontare degli investimenti che vengono realizzati in t-1 → dato It-1 l‟equazione 2 determina Kt, ossia lo stock di beni capitali disponibile al tempo t → dato Kt l‟equazione 1 determina Yt. Yt dipende dal risparmio che si determina nel periodo precedente → tanto maggiore è il risparmio, tanto maggiori saranno gli investimenti, lo stock dei beni capitali e quindi il reddito. 46 Queste relazioni si basano sull‟ipotesi secondo i risparmi determinano gli investimenti e secondo cui tutte le risorse risparmiate vengono investite. In questo caso non c‟è alcun ruolo per il sistema finanziario; sono le decisioni di risparmio che influenzano il processo di accumulazione del capitale e quindi il livello del reddito; il sistema finanziario, la cui funzione è facilitare il trasferimento del risparmio dalle famiglie alle imprese può essere trascurato come diceva McCallum. Pagano introduce il sistema finanziario in questo modello modificando l‟equazione 3 e ipotizzando che in un sistema economico in cui esista un sistema finanziario sviluppato non tutto l‟ammontare di risparmio viene investito. In questo caso quindi avremo: con eq. 3.1: dove 0<Φ<1 = quota delle risorse risparmiate che non viene investita. Tale quantità corrisponde all‟insieme dei salari e dei profitti che viene assorbito dal sistema finanziario. Si tratta quindi del costo del sistema finanziario; la presenza del sistema finanziario sottrae risorse agli investimenti (615,1) Sulla base delle tre relazioni Pagano spiega come il sistema finanziario può influenzare la crescita economica; a questo scopo definiamo il tasso di crescita: tasso di crescita del reddito: sapendo che e avremo: 47 sapendo che avremo: e Poiché: dove avremo: frazione di bene capitale deteriorata dall‟uso (grandezza indipendente dal sistema finanziario) Sulla base di questa definizione del tasso di crescita Pagano conclude che il sistema finanziario può influenzare il tasso di crescita del sistema economico in tre diversi modi (614, 3). In particolare influenza: costo del sistema finanziario propensione al risparmio grandezze influenzate dal sistema finanziario produttività del capitale Il grado di sviluppo del sistema finanziario influenza Φ, s e A e attraverso queste grandezze influisce sul tasso di crescita del sistema economico. In primo luogo un sistema finanziario evoluto può incrementare il tasso di crescita aumentando Φ mediante la riduzione dei costi di intermediazione (615, 1,2) Il grado di sviluppo del sistema finanziario determina infatti il livello dei costi di intermediazione: - un sistema finanziario evoluto genera bassi costi di intermediazione; - un sistema finanziario arretrato genera alti costi di intermediazione. 48 Anche al sistema finanziario si può quindi applicare la nozione tipica del settore industriale secondo cui il progresso tecnologico tende a ridurre i costi → l‟innovazione finanziaria misura l‟evoluzione del sistema finanziario e tende a ridurre i costi di intermediazione. Il secondo canale attraverso il quale il sistema finanziario influenza il tasso di crescita consiste nell‟incrementare la produttività del capitale, e quindi il valore del parametro A, indirizzando le risorse risparmiate verso gli impieghi più produttivi (615, 3). Il terzo canale attraverso il quale il sistema finanziario influenza il tasso di crescita è costituito dal valore della propensione al risparmi –s-. Un aumento di –s- determina un incremento degli investimenti e quindi dello stock di capitale e infine del livello di reddito. Pagano osserva che gli effetti della presenza di un sistema finanziario evoluto sulla propensione al risparmio non sono facili da definire; si possono distinguere infatti due effetti che hanno segno opposto. In primo luogo se si assume che la propensione al risparmio sia influenzata positivamente dal livello del tasso di interesse allora si dovrebbe concludere che la presenza di un sistema finanziario evoluto consente di ottenere una maggiore propensione al risparmio poiché assicura ai risparmiatori rendimenti più elevati in quanto indirizza le risorse risparmiate verso gli impieghi più redditizi. Assicurando ai risparmiatori rendimenti più elevati, li spinge a risparmiare di più. con e quindi al crescere del tasso di interesse conviene risparmiare. Di conseguenza un sistema finanziario in grado di offrire tassi di interesse più alti è in grado di aumentare la propensione al risparmio. In secondo luogo Pagano ricorda che un aumento di-r- potrebbe ridurre la propensione al risparmio poiché si potrebbe ipotizzare che i risparmiatori si pongano un limite al flusso di risparmio che è determinato dal livello di reddito futuro che intendono ottenere; in questo caso al crescere del tasso di interesse diminuisce il flusso di risparmio necessario ad ottenere un dato livello di reddito futuro. Supponiamo che un operatore voglia ottenere un certo reddito futuro: 49 | | presente | futuro L‟individuo nel tempo presente percepisce redditi da lavoro, mentre nel periodo futuro va in pensione e il suo obiettivo è quindi mantenere lo stesso tenore di vita che aveva nel periodo presente → l‟obiettivo non è la massimizzazione del reddito futuro, ma ottenere lo stesso livello di reddito del presente. La decisione di risparmiare oggi dipende anche dal tasso di interesse: tanto maggiore è il tasso di interesse, tanto minore dovrà essere il risparmio necessario ad ottenere un dato livello di reddito futuro. . La conclusione è che il segno della relazione tra sviluppo del sistema finanziario e propensione marginale al risparmio può essere negativa. I In conclusione, osserva Pagano, la relazione tra la presenza di un sistema finanziario evoluto e la propensione al risparmio può avere segno positivo o Q negativo. Anche se l‟effetto della Finanza su –s- è ambiguo, non è ambiguo u l‟effetto complessivo; La relazione positiva tra sviluppo del sistema e finanziario e tasso di crescita del sistema economico passa quindi attraverso s Φ e A. t a Possiamo osservare che l‟analisi di Pagano è coerente con il principio di neutralità della finanza poiché essa sottolinea che la presenza di un sistema finanziario evoluto consente di avvicinare i risultati di una economia reale a quelli di una economia ideale in cui tutti i risparmi sono investiti e sono impiegati nel modo più produttivo. a n a l i Conclusioni analoghe a quelle di Pagano si trovano in un lavoro più recente s i (Chou) il cui obiettivo consiste nello spiegare in che modo la finanza può influenzare il tasso di crescita del sistema economico (78, 1) è p 50 e r f Partendo sempre dal modello di Solow, Chou sviluppa un modello che ha caratteristiche simili a quello di Pagano; in particolare anche Chou osserva che in una economia reale non tutti i risparmi vengono investiti; quindi anche in questo caso avremo: Chou giustifica in modo diverso le ragioni di questa relazione. Nel lavoro di Pagano dipende dai costi di intermediazione: non tutto il risparmio viene investito, una parte viene destinata a salari e profitti degli intermediari finanziari; nel lavoro di Chou rappresenta i risparmi impiegati in attività liquide, ma non produttive, ossia in moneta (p. 80, 1,2, 3) Chou, a differenza di Pagano, introduce nella sua analisi la moneta; l‟analisi di Pagano era sviluppata in termini di beni (grano o pesce), Chou invece, ipotizza che i redditi siano pagati in moneta e che i risparmi siano costituiti dalla quota reddito monetario che non viene usata per acquistare beni di consumo (cioè grano o pesce). E quindi può concludere che: i) tutti i risparmi vengono trasformati in investimenti solo se i risparmiatori cedono tutta la moneta alle imprese attraverso il mercato del credito; ii) questo risultato può essere ottenuto soltanto in presenza di un sistema finanziario evoluto che consente di offrire ai risparmiatori strumenti finanziari che hanno caratteristiche di rendimento e di rischio tali da indurli a cedere moneta in cambio di questi titoli. Se questi titoli non esistono, quindi se il sistema finanziario non è evoluto, allora i risparmiatori decideranno di accumulare moneta; in questo caso solo una parte dei risparmi servirà a finanziare gli investimenti. Quindi il valore di riflette il grado di efficienza dl sistema finanziario (80, 4). Ci possiamo chiedere a questo punto come si manifesta il grado di evoluzione del sistema finanziario? La risposta di Chou è che un sistema finanziario evoluto è un sistema capace di creare una ampia offerta di strumenti finanziari che sono in grado di soddisfare le preferenze dei risparmiatori e di indurli quindi a cedere moneta in cambio di questi strumenti finanziari (81, 5). Possiamo illustrare questo concetto ricordando le argomentazioni con le quali viene giustificata la presenza 51 degli intermediari finanziari. Un operatore avverso al rischio potrà essere indotto a sottoscrivere titoli di credito se esistono sul mercato titoli di credito poco rischiosi. In un mondo caratterizzato da asimmetrie informative buoni e cattivi debitori verranno finanziati allo stesso tasso di interesse. La rischiosità media però può essere così elevata da indurre l‟operatore avverso al rischio a non sottoscrivere titoli di credito. Ma se nel sistema finanziario viene introdotta la figura dell‟intermediario finanziario, i debitori verranno finanziati a condizioni differenti e il nostro operatore avverso al rischio potrà scegliere tra due categorie di titoli: titoli rischiosi con elevati tassi di rendimento; titoli meno rischiosi con più bassi tassi di rendimento e quindi l‟operatore potrà decidere di sottoscrivere titoli poco rischiosi. La presenza del sistema finanziario evoluto determina l’incremento del valore di Φ e consente di moltiplicare l’offerta di strumenti finanziari per consentire ai risparmiatori di ridurre la quota di risparmio impiegata moneta. Il valore di Φ rappresenta l‟efficienza del sistema finanziario, la quale dipende dal numero dei prodotti finanziari disponibili sul mercato. L‟analisi Chou e l‟esplicita considerazione della presenza della moneta ci permette di fare alcune osservazioni su cui torneremo nelle lezioni successive. La prima osservazione consiste nel domandarci a cosa serve la moneta in un mondo in cui si produce un solo bene quale il grano? Questa domanda nasce dal fatto che secondo la teoria mainstream la funzione fondamentale della moneta è quella di essere un mezzo di scambio, che riduce i costi dello scambio rispetto ad una economia di baratto. 52 In secondo luogo possiamo osservare che la presenza della moneta cambia la relazione tra risparmi ed investimenti rispetto a quanto accade in un mondo in cui si considera solo la presenza di grano (o pesce): in un mondo in cui si considera solo la presenza di grano i lavoratori vengono pagati in grano e quindi risparmiare significa non consumare il grano prodotto. Il grano è un bene deperibile quindi potrà essere consumato o investito (cioè servirà come salario per pagare i lavoratori che producono aratri) → la decisione di risparmio implica necessariamente la decisione di investimento. se introduciamo la moneta stiamo immaginando che tutti i lavoratori che producono grano vengano pagati in moneta e quindi questi risparmiatori possono decidere di non spendere tutto il loro reddito per acquistare grano e di tenere i loro risparmi in un cassetto o sotto il materasso per un certo periodo di tempo. Possiamo osservare, infine, che anche l‟analisi di Chou è coerente con il principio L di neutralità della finanza. Il contributo che il sistema finanziario può fornire al a processo di crescita consiste nell‟incrementare il valore di Φ, ossia la quota di risparmio impiegata in titoli ovverosia di fare in modo che Φ tenda a 1, ossia che m la quota di risparmio impiegata in moneta si riduca a 0. o n e t 4. La neutralità della Finanza: L’analisi di Merton e Bodie a Il concetto de neutralità della finanza, che caratterizza la teoria mainstream della r Finanza, può essere ben illustrato dal lavoro di Merton e Bodie. Questo articolo i descrive l‟evoluzione della teoria della finanza negli ultimi decenni; gli autori s osservano che si possono individuare diversi approcci. Il primo è costituito della p finanza neoclassica. e t t o a 53 l g Per quasi tre decadi la scienza della finanza largamente basata sulla finanza neoclassica ha avuto un impatto molto forte sulla finanza concreta. Secondo Merton e Bodie la FINANZA NEOCLASSICA studia il ruolo della finanza considerando un mondo senza imperfezioni in cui gli individui sono perfettamente razionali. In questo mondo la finanza coincide con il mercato del credito che a sua volta coincide con il mercato dei beni. I risparmi e gli investimenti determinano quindi il tasso di interesse che a sua volta determina i prezzi degli strumenti finanziari. (p.1, 1) Negli ultimi anni si sono sviluppati altri due approcci teorici che invece criticano le due ipotesi sulle quali si basa la finanza neoclassica: 1. NEW INSTITUTIONAL ECONOMICS si concentra su un mondo caratterizzato da imperfezioni e dalla presenza di costi di transazione, di tasse e altre frizioni che caratterizzano il mondo reale; 2. BEHAVIORAL ECONOMICS invece introduce l‟ipotesi di razionalità limitata di agenti che non sono completamente informati. (p.4, 2) La tesi che Merton e Bodie sostengono è che questi approcci non sono tra loro alternativi, ma complementari. Il mondo ideale descritto dalla finanza neoclassica, non è una costruzione puramente astratta, ma costituisce un punto di riferimento per il mondo reale analizzato dagli altri due approcci; costituisce cioè il modello a cui tende il sistema reale. Nel mondo ideale descritto dalla finanza neoclassica, il sistema finanziario coincide con il mercato del credito, le istituzioni non contano perché i risparmiatori finanziano direttamente le imprese (S → I): gli intermediari finanziari non influenzano i prezzi di equilibrio e l‟allocazione del rischio. (p.5, 3) La teoria neoclassica della finanza ha un limite importante in quanto trascurando la presenza di imperfezioni non è in grado di spiegare l‟esistenza di istituzioni che nascono con lo scopo di superare gli effetti di queste imperfezioni. La presenza di imperfezioni e di razionalità limitata degli operatori giustifica il sorgere di 54 istituzioni, gli intermediari, i quali fanno sì che i risultati prodotti da un‟economia caratterizzata da imperfezione e razionalità limitata convergano verso i risultati di un mondo ideale in cui gli operatori sono razionali e non vi sono imperfezioni. La funzione degli altri due approcci è quella di spiegare che lo scopo delle istituzioni finanziarie consiste nel‟annullare gli effetti della presenza di imperfezioni e dei limiti nel comportamento razionale degli individui. (p4, 4, 5) (p. 5, 6) Merton e Bodie definiscono il loro approccio Functional and Structural Finance – FSF; con questa espressione possiamo definire la teoria mainstream della finanza (p. 5, 7) (p.6, 8) che ha le seguenti caratteristiche: la finanza neoclassica serve a determinare i valori di equilibrio dei prezzi e la distribuzione di equilibrio delle risorse, ma non a spiegare la presenza delle istituzioni finanziarie. Nel mondo ideale i risparmiatori finanziano direttamente le imprese e le scelte dei risparmiatori e delle imprese determinano il tasso di interesse; si può anche assumere che risparmiatori e imprese siano in grado di creare una pluralità di strumenti finanziari (azioni, obbligazioni) che rappresentano le posizioni di debito e di credito i cui prezzi di equilibrio vengono fissati all‟interno di mercati caratterizzati da perfetta informazione e in cui operano soggetti perfettamente razionali. New istitutional economics e Behavioral economics invece servono a spiegare l‟evoluzione della struttura finanziaria e quindi a giustificare la presenza degli intermediari finanziari, i quali non hanno alcuna influenza nel determinare ma i prezzi e l‟allocazione delle risorse che caratterizzano il mondo ideale verso cui converge il mondo reale. Merton e Bodie presentano tre esempi per illustrare la loro tesi. 1. Il primo riguarda la giustificazione della presenza degli intermediari finanziari. (p.7, 9) L‟analisi di Merton e Bodie giustifica l‟esistenza degli intermediari con la presenza di imperfetta informazione; in un mondo senza imperfezioni e senza costi di transazione un risparmiatore sarebbe indifferente tra: - scegliere autonomamente un portafoglio 55 - scegliere un portafoglio tra quelli selezionati dagli operatori professionali la cui presenza non avrebbe alcun ruolo Al contrario, in presenza di asimmetrie informative e costi di transazione diventa rilevante la presenza di intermediari finanziari come i fondi di investimento, i quali raccolgono informazioni per definire i portafogli efficienti con le migliori combinazioni rendimento-rischio. In questo modo gli operatori saranno incentivati a ricorrere agli intermediari finanziari piuttosto che a scegliere autonomamente il portafoglio. 2. Il secondo esempio riguarda la descrizione degli effetti dell‟innovazione finanziaria. Possiamo definire l‟innovazione finanziaria come il processo di creazione di nuovi strumenti finanziari, di nuovi mercati e di nuove istituzioni finanziarie. Secondo Merton e Bodie negli ultimi 30 anni si è manifestato un intenso processo di innovazione finanziaria che ha avuto sostanzialmente due effetti molto positivi: - coerentemente con quanto affermato da Chou, l‟innovazione finanziaria avrebbe permesso di espandere l‟offerta di strumenti finanziari e quindi di ridurre la quota di risparmio impiegata in attività liquide non produttive (moneta) e dunque non impiegata per finanziare gli investimenti delle imprese; - l‟innovazione finanziaria ha favorito la mobilità dei capitali tra i vari Paesi, ossia il processo di globalizzazione del sistema finanziario. Essa ha quindi permesso di superare gli ostacoli che impedivano la circolazione del capitale tra i vari Paesi consentendo al sistema finanziario di raggiungere una maggiore efficienza. Per illustrare questo secondo punto Merton e Bodie presentano un esempio molto efficace. (p.2-3, 10-11) Il terzo esempio riguarda gli effetti della presenza di razionalità limitata. Gli autori riconoscono che i risparmiatori prendono le loro decisioni finanziarie in condizioni di razionalità limitata come dimostrano molti studi empirici (p.9, 13) Secondo Merton e Bodie, però, questo non implica che sui mercati finanziari si 56 determini un sistema dei prezzi sbagliato e quindi una allocazione delle risorse inefficace poiché la presenza delle istituzioni finanziarie permette di annullare gli effetti della razionalità limitata (p. 9, 13) Dal lavoro di Merton e Bodie emerge una visione molto ottimistica circa il funzionamento del sistema finanziario, il ruolo degli intermediari finanziari e gli effetti dell‟innovazione finanziaria; una visione coerente con il principio della neutralità della finanza. Questa visione ottimistica emerge anche dal modo in cui i due autori considerano il fenomeno delle crisi finanziarie (p. 3, 12) Essi considerano le crisi come conseguenze di „incidenti‟ provocati dal comportamento scorretto di qualche operatore, cioè come fenomeni che non derivano dalle caratteristiche strutturali del sistema finanziario. Possiamo riassumere i punti fondamentali della teoria mainstrem della finanza: 1. In primo luogo secondo la Teoria Neoclassica della finanza il fenomeno del credito deriva dalle decisioni di risparmio e di investimento. Il fondamentale obiettivo del sistema finanziario consiste nel facilitare il trasferimento di risorse dai risparmiatori alle imprese. Il mercato del credito coincide con il mercato dei beni quindi l‟offerta di credito coincide con le decisioni di risparmio. 2. Il secondo elemento significativo riguarda la separazione tra la moneta e il credito → il processo di creazione di moneta è indipendente dal processo di creazione del credito, infatti: l‟offerta di moneta è indipendente rispetto all‟offerta di credito e dipende dalle decisioni delle autorità monetarie; l‟offerta di credito è riconducile alle decisioni di risparmio. 3.Il terzo elemento riguarda la specificazione della funzione degli intermediari finanziari che è quella di ridurre gli effetti della presenza di imperfezioni, di asimmetrie informative e di razionalità limitata degli operatori. 4. L‟ultimo punto riguarda la specificazione della relazione tra finanza e sviluppo economico; la teoria mainstream sottolinea che nel mondo reale non tutto il risparmio si traduce in investimenti → con 0<Φ<1. Compito degli intermediari finanziari è spingere il valore di Φ verso l‟unità; nel mondo ideale infatti Φ = 1 e quindi S = I. 57 Su questi elementi si fonda il concetto di neutralità della finanza che caratterizza la teoria mainstream della finanza secondo cui esiste un mondo ideale all‟interno del quale il sistema finanziario coincide con il mercato del credito e i risparmiatori trasferiscono direttamente risorse alle imprese senza alcun bisogno degli intermediari. Il ruolo degli intermediari finanziari consiste nel fare in modo che il mondo reale produca gli stessi risultati che si otterrebbero in un mondo ideale caratterizzato da perfetta informazione. 58 LA TEORIA KEYNESIANA DELLA FINANZA Quella che viene definita come teoria keynesiana della finanza è in realtà il prodotto del lavoro di numerosi economisti come Wicksell, Keynes, Schumpeter. Dal loro lavoro emerge una teoria della finanza completamente diversa da quella mainstream; una teoria che non accetta i punti fondamentali della teoria mainstream descritta nelle pagine precedenti. Secondo la teoria keynesiana della finanza: 1. non vale l‟uguaglianza tra mercato del credito e mercato dei beni → l‟offerta di credito è indipendente dalle decisioni di risparmio, questo porta a considerare il tasso di interesse come un fenomeno monetario; 2. esiste uno stretto legame tra il processo di creazione di credito e il processo di creazione della moneta; 3. le banche non sono semplici intermediari che prestano ciò che raccolgono; 4. viene abbandonato il principio della neutralità della finanza secondo cui esiste un mondo ideale verso il quale converge il mondo reale grazie all‟azione del sistema finanziario. Per presentare la teoria keynesiana della finanza partiamo dal concetto di moneta e dalla distinzione, già analizzata nel corso di macroeconomia, tra moneta merce e moneta segno: moneta merce: - ha un valore intrinseco (es. sale, metalli preziosi,…); - è prodotta mediante lavoro; - ha dei costi di produzione; - può essere prodotta da chiunque mediante lavoro. moneta segno: - non ha alcun valore intrinseco → è la moneta cartacea; - non è prodotta mediante lavoro; - ha costi di produzione pari a 0; - non può essere prodotta da chiunque, ma solo da determinati soggetti. 59 La teoria neoclassica non dà particolare rilievo al passaggio dalla moneta merce alla moneta segno, ritiene cioè che l‟impiego della moneta segno non abbia cambiato in modo significativo né la natura e il ruolo della moneta né le caratteristiche del fenomeno del credito. La teoria keynesiana della finanza ritiene invece che l‟impiego di una moneta segno abbia profondamente cambiato la natura della moneta e la natura del credito. Per spiegare questo punto fondamentale della teoria keynesiana, è necessario sottolineare che la moneta segno a cui fa riferimento la teoria keynesiana della finanza è costituita dalla moneta bancaria. Nel corso di macroeconomia abbiamo identificato la moneta segno con le banconote create dalla banca centrale mediante le operazioni di mercato aperto. In realtà le banconote create dalla Banca Centrale Europea non sono l‟unica moneta segno usata nelle nostre economie; un‟altra moneta segno viene utilizzata ed è costituita dalla moneta bancaria, cioè dalle passività emesse dalle singole banche (es. assegni, carte di credito, bancomat,…). M = CIRC(moneta legale) + DEP Le passività delle banche (DEP) costituiscono la componente più rilevante della moneta(80-90%). La Teoria Neoclassica afferma che il passaggio dall‟uso della moneta merce alla moneta segno e in particolare all‟impiego della moneta bancaria non ha avuto alcun effetto sulla struttura del sistema economico. Secondo la Teoria Neoclassica anche in un sistema in cui si utilizza la moneta segno si continua ad applicare la teoria quantitativa della moneta e quindi il principio di neutralità della moneta. La Teoria Keynesiana ritiene invece che l‟impiego di una moneta segno come la moneta bancaria abbia cambiato la struttura del sistema economico; in particolare ha modificato il ruolo della moneta e la natura del credito. 60 Secondo Keynes l’introduzione della moneta bancaria ha cambiato la struttura del sistema economico. Keynes sottolinea l‟importanza di tale passaggio introducendo una distinzione tra due tipi di sistema economico: real exchange economy → si tratta di un‟economia di baratto che usa la moneta merce come semplice mezzo di scambio (Keynes 1933, 408, 1); monetary economy → si tratta di un‟economia in cui si usa moneta segno ed in particolar modo moneta bancaria (Keynes 1933, 408, 2). Ciò che distingue le due economie non è l‟impiego della moneta; in entrambe le economie viene usata moneta. Nel primo caso l‟uso della moneta non cambia la struttura del sistema economico che resta una economia di baratto; la moneta usata, una moneta merce, è un semplice mezzo di scambio che riduce i costi dello scambio ma non modifica le caratteristiche del sistema economico, vale il principio della neutralità della moneta. Una monetary economy invece, non è semplicemente una economia in cui si usa moneta, ma è un‟economia in cui l‟impiego di una moneta segno come la moneta bancaria cambia la struttura del sistema economico rispetto ad una economia di baratto. La moneta in questo caso non può essere considerata neutrale poiché non si possono spiegare gli aspetti significativi di una monetary economy senza considerare la presenza della moneta, mentre si possono descrivere le caratteristiche di una economia di baratto trascurando la moneta. In particolare ci concentreremo su due aspetti che differenziano una monetary economy rispetto ad una economia di baratto e la cui rilevanza è associata all‟impiego della moneta bancaria: 1- il primo riguarda la natura del fenomeno del credito e la specificazione della relazione tra moneta e credito e del ruolo delle banche; 2- il secondo riguarda il fenomeno delle fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione e quindi il fenomeno delle crisi. 61 1. La moneta bancaria e la natura del credito (Cannan/Schumpeter/Hicks) Secondo la teoria mainstream il fenomeno del credito è indipendente dalla presenza della moneta bancaria, cioè le caratteristiche di questo fenomeno non dipendono dalla presenza delle banche; come abbiamo detto la natura del fenomeno del credito è indipendente dall‟oggetto del credito: un bene reale o moneta. Secondo la teoria neoclassica il credito è il contratto mediante il quale il risparmiatore trasferisce risorse all‟impresa; introducendo le banche (che secondo la teoria neoclassica sono dei semplici intermediari che facilitano il trasferimento di risorse da risparmiatori a imprese) nel sistema economico non cambia la natura del credito poiché la sua origine continua ad essere costituita dalle decisioni di risparmio, ossia sono sempre i risparmiatori che finanziano le imprese. Keynes invece afferma che in un mondo in cui si usa la moneta bancaria le banche possono finanziare le imprese creando moneta. Le teoria keynesiana della finanza afferma invece che: a) con la diffusione della moneta bancaria si elimina il legame tra decisioni di risparmio e offerta di credito; le banche infatti possono finanziare le imprese creando nuova moneta quindi l‟offerta di credito diventa indipendente rispetto alle decisioni di risparmio; b) esiste uno stretto legame tra il processo di creazione della moneta e il processo di creazione del credito; in un mondo che utilizza una moneta bancaria le banche creano moneta offrendo credito alle imprese; in altri termini la moneta viene creata mediante un contratto di credito; c) le banche non sono semplici intermediari che prestano ciò che raccolgono. Secondo la Teoria Neoclassica le banche sono semplici intermediari finanziari che favoriscono il trasferimento di risorse tra i risparmiatori e gli investitori, ossia prestano ciò che raccolgono depositi = prestiti. Esiste dunque una relazione causale del tipo DEP → L, ossia l‟ammontare dei depositi determina le decisioni di credito. Secondo la Teoria Keynesiana, invece, la relazione causale sarà opposta in quanto sono le decisioni di credito che determinano l‟ammontare dei 62 depositi: L → DEP. Le banche non sono più semplici intermediari in quanto offrono credito creando moneta. Possiamo illustrare questi punti che caratterizzano la teoria keynesiana della finanza utilizzando le argomentazioni con le quali Schumpeter criticò la teoria neoclassica del credito e delle banche. Scumpeter elaborò la sua critica prendendo di mira l‟articolo di Edwin Cannan “The meaning of bank deposits” del 1921 che costituisce una presentazione molto efficace della teoria neoclassica del credito e delle banche, quindi prima di descrivere la critica di Schumpeter, dovremo presentare gli aspetti più significativi dell‟analisi di Cannan. Cannan inizia il suo saggio lamentandosi del fatto che la teoria tradizionale delle banche e dei depositi bancari fosse stata messa in discussione. (28, 1) La teoria tradizionale considera le banche come dei semplici intermediari che prestano ciò che ottengono in deposito; C. cita alcune definizioni di banca e di banchiere che ritiene perfettamente valide (28, 2-3) Egli sottolinea che il termine deposito usato per definire le passività delle banche è particolarmente appropriato in quanto permette di osservare che il deposito bancario ha le stesse caratteristiche di una generica operazione di deposito che ha per oggetto un bene qualsiasi, ad esempio il deposito bagagli (28, 4) In realtà C. osserva che esistono due differenze tra il deposito bancario e il deposito bagagli, ma aggiunge che queste differenze non sono tali da giustificare la conclusione che la natura dei depositi bancari sia diversa da quella dei depositi bagagli. In primo luogo, nel caso in cui si depositi un oggetto, il depositante si aspetta che colui che riceve l‟oggetto in deposito gli restituisca lo stesso oggetto e non un oggetto simile. (29, 5) In secondo luogo, il depositante si aspetta che l‟oggetto prestato non venga utilizzato da colui che lo riceve in deposito (29, 6) Queste due caratteristiche non valgono nel caso della moneta. Chi deposita moneta presso una banca non è interessato ad ottenere la restituzione delle stesse identiche monete o banconote depositate, ma dello stesso ammontare di moneta. Questa differenza si spiega con il fatto che le unità di moneta sono perfettamente 63 omogenee e quindi perfettamente sostituibili (29, 7). Inoltre, l‟omogeneità della moneta elimina le obiezioni dei depositanti circa il fatto che la moneta depositata possa essere prestata. (29, 8-9) C. conclude che queste differenze non giustificano la tesi secondo cui i depositi bancari hanno una natura diversa dai depositi di un oggetto; ciò che rende uguale la natura di questi depositi è costituito dal fatto che in entrambi i casi ciò che può essere prestato dipende dall‟ammontare dei depositi (30, 9) D(depositi)L(prestiti). C. aggiunge che questa conclusione circa la natura dei depositi non è messa in discussione da due fenomeni che vengono ricordati per criticare la teoria tradizionale. Il primo è costituito dal fatto che l‟ammontare dei depositi raccolti da una banca è un multiplo del circolante/moneta legale posseduto dalla banca. Una banca potrebbe, ad esempio, avere deposti per 1 miliardo di unità di moneta e circolante per 250 milioni e quindi avere un ammontare di depositi pari a quattro volte le riserve di circolante. Poiché anche i depositi possono essere definiti moneta, in quanto vengono utilizzati come mezzi di pagamento, si potrebbe concludere che la banca ha creato moneta per 750 milioni poiché a fronte di circolante per 250 milioni ha creato un ammontare di depositi di 1 miliardo. Questa conclusione, osserva Cannan, è completamente sbagliata poiché questo esempio ci dice molto semplicemente che la banca ha raccolto depositi per 1 miliardo e ha erogato prestiti per 750 milioni accumulando riserve per 250 milioni. Questa sequenza causale potrebbe essere applicata anche al deposito delle borse nel caso in cui il depositario decidesse di prestare il 75% delle borse depositate (31, 11) Il secondo fenomeno è costituito dal fatto che l‟ammontare dei depositi bancari in un certo paese è un multiplo dell‟ammontare della moneta legale di quel paese. Questo è un fenomeno che differenzia i depositi bancari dai depositi bagagli: il numero delle borse depositate presso i depositi bagagli di un paese non può superare quello delle borse esistenti nel paese. Questa differenza secondo Cannan, non mette in discussione la relazione causale tra depositi e prestiti, ed è giustificata dal fatto che l‟oggetto dei depositi bancari, a differenza delle borse, viene usato come moneta. Chi riceve in prestito la moneta deposita la utilizza, 64 allo stesso modo in cui chi riceve in prestito una borsa la usa. Ma l‟impiego dalla moneta ha conseguenze diverse rispetto all‟impiego della borsa; usare moneta non significa accumularla in un cassetto, ma spenderla per acquistare beni; chi ottiene la moneta in pagamento la depositerà nuovamente presso la banca la quale presterà il 75% di quanto depositato; in questo modo l‟ammontare dei depositi bancari, a differenza di quanto succede per le borse, sarà un multiplo del circolante come mostra la tabella 1 (31, 12) Tabella 1 CIRC = 1000 DEP = 1000 L = 750 RIS = 250 DEP = 750 L = 0,75 * 750 = 562,5 RIS = 0,25 * 750 = 187,5 DEP = … L=… RIS = … I prestiti danno origine a nuovi depositi. Il valore dei depositi converge quindi verso un multiplo dell‟ammontare iniziale del circolante. Più precisamente avremo: dove è il moltiplicatore dei depositi. 65 Sulla base di queste argomentazioni C. ribadisce la validità della teoria tradizionale delle banche e critica le nuove teorie che invece affermano che le banche creano moneta (32, 13) Schumpeter nella prima metà del „900 presenta una teoria del credito e delle banche completamente diversa da quella neoclassica e utilizza il lavoro di Cannan come bersaglio delle sue critiche. In primo luogo, S. per esporre la sua teoria, riassume gli aspetti più significativi della teoria del credito accettata dagli economisti agli inizi del „900. S. sottolinea che secondo la teoria tradizionale il credito nasce da una decisione di risparmio: la moneta (moneta metallica) che non viene spesa, viene risparmiata e questa decisione dà origine al fenomeno del credito. (1113, 1) S. osserva che secondo la teoria tradizionale il fenomeno del credito precede la presenza delle banche, è indipendente dalla presenza delle banche. Le banche possono essere introdotte in un momento successivo e la loro presenza non cambia la natura del credito; il vero creditore è il risparmiatore , le banche sono dei semplici intermediari (1113, 2) Questa analisi è ritenuta valida anche nel caso in cui i depositi bancari siano usati come mezzo di pagamento (1113, 3) S. cita Cannan come rappresentante più significativo dei sostenitori della teoria tradizionale che afferma che la natura dei depositi bancari è analoga quella dei deposti che hanno per oggetto un bene reale (1113, 4) S. critica questa tesi osservando che esiste una differenza fondamentale tra le due categorie di depositi. Sia nel caso del depositi bancario che nel caso del deposito bagagli, il depositante ottiene una ricevuta che attesta il deposito. Esiste però, afferma S., una differenza profonda tra la ricevuta emessa dalla banca e quella emessa dal titolare del deposito bagagli. Schumpeter critica la teoria neoclassica del credito e delle banche descritta da Cannan secondo cui il fenomeno del credito è indipendente dall’esistenza delle banche → Secondo Schumpeter la presenza delle banche modifica la natura del credito. 66 la ricevuta rilasciata dalla banca è un sostituto perfetto della moneta legale, ossia può essere usata come mezzo di pagamento proprio come la moneta legale. Colui che deposita moneta non rinuncia all‟ uso della moneta perché può utilizzare la relativa ricevuta bancaria come mezzo di pagamento; la ricevuta rilasciata dal titolare del deposito bagagli dà diritto alla restituzione della borsa, ma non sostituisce tale bene. Colui che deposita la borsa rinuncia quindi all‟uso della stessa fino al momento della restituzione. La banca quindi, afferma Schumpeter, crea moneta poiché il depositante non rinuncia ad impiegare moneta poiché può effettuare pagamenti utilizzando la ricevuta ottenuta dalla banca, cioè trasferendo il credito nei confronti della banca e allo stesso tempo, anche colui che è stato finanziato dalla banca può spendere moneta (1114, 5) Nel caso del deposito bancario cambia quindi la natura del credito: il depositante non rinuncia a usare la moneta che ha depositato, in quanto può pagare mediante assegno anziché mediante moneta. Questo fenomeno è peculiare della moneta e non ha alcun riscontro nel mondo delle merci (1114, 5) La conclusione di Schumpeter è che la presenza delle banche cambia la natura del credito → il fenomeno del credito è strettamente legato alla presenza delle banche, le quali creano moneta. S. sottolinea che la presenza delle banche cambia la natura dei depositi e del credito. In un mondo senza banche in cui l‟oggetto del credito è costituito da un bene reale o dalla moneta legale, la decisione di depositare questo oggetto o la moneta, comporta la rinuncia ad utilizzare l‟oggetto depositato, e prestare un oggetto o moneta significa rinunciare a questo oggetto o alla moneta. Questo non vale nel caso in cui esistano le banche e i depositi bancari siano utilizzati come mezzo di pagamento, e siano quindi sostituti praticamente perfetti della moneta. In questo caso il depositante non rinuncia ad utilizzare la moneta depositata poiché riceve un sostituto perfetto della moneta legale. Quindi la banca non può 67 essere considerata come un intermediario che trasferisce al debitore un oggetto o una quantità di moneta che il depositante rinuncia ad impiegare. S. sottolinea che la presenza delle banche e la diffusione dell‟impiego della moneta bancaria inducono a ridefinire il significato non solo del concetto di credito ma anche della relazione tra decisioni di risparmio e credito e quindi del concetto di risparmio (1114, 6) Secondo la teoria tradizionale, come abbiamo visto, c‟è una stretta relazione tra risparmi e offerta di credito; chi risparmia rinuncia a consumare risorse che vengono messe a disposizione di chi decide di investire. Questa sequenza può valere in un mondo in cui si produce un unico bene, come ipotizza la teoria tradizionale. L‟esempio tipico, come abbiamo visto è costituito dal grano; risparmiare grano significa rinunciare a consumarne una parte, la quale potrà essere investita o ceduta a qualcun altro perché venga impiegata come mezzo di produzione. In un mondo in cui esiste moneta bancaria, invece, il risparmiatore che deposita la propria moneta presso la banca: da un lato, consente ad un imprenditore di realizzare investimenti; dall‟altro, riceve dalla banca uno strumento che svolge le stesse funzioni della moneta depositata. A differenza del mondo in cui si produce solo grano, il risparmiatore non rinuncia quindi all‟utilizzo delle risorse risparmiate. S. conclude quindi che è necessario abbandonare l‟idea che le banche siano intermediari che prestano ciò che raccolgono e capovolgere la relazione causale tra depositi e prestiti. (1114, 6) La banca crea moneta nel momento in cui concede credito e da questa operazione di finanziamento scaturiscono i depositi cambia la relazione causale tra prestiti e depositi: sono i prestiti che determinano i depositi, ossia L → DEP Per illustrare questa relazione causale: L D possiamo osservare che le banche possono creare sostituti perfetti della moneta legale non soltanto non soltanto nel 68 momento in cui raccolgono depositi; infatti esse possono creare sostituti perfetti della moneta nel momento in cui decidono di finanziare un‟impresa. Questo punto è bel illustrato da John Hicks (uno dei primi economisti ad ottenere il premio Nobel per l‟economia e autore del modello macroeconomico IS-LM) in “Una teoria della storia economica” afferma che le banche moderne sono il risultato di un processo di evoluzione che si articola in tre fasi: 1^ FASE: nella prima fase la moneta utilizzata è fondamentalmente quella aurea e le banche sono dei semplici intermediari finanziari → prestano ciò che raccolgono Depositante → banca → debitore Lo stato patrimoniale di una banca era quindi così caratterizzato: Banca attività Crediti 1000 passività Depositi 1000 Le caratteristiche dell’attivo e del passivo delle banche sono perfettamente omogenee anche per quanto riguarda la scadenza (ad esempio sia prestiti che depositi scadono tra un anno . La ricevuta che il depositante otteneva dalla banca non poteva essere utilizzata come mezzo di pagamento, ma semplicemente dava diritto al depositante stesso a ricevere quanto depositato ad una certa scadenza. (108, 1) In tale fase la banca agisce come un puro intermediario; il depositante rinuncia all’utilizzo della moneta fino alla scadenza. 2^ FASE: nella seconda fase le banche modificano le caratteristiche delle loro passività (depositi) rispetto a quelle delle attività → le banche rendono liquidi i depositi, ossia si rendono conto di poter assicurare ai depositanti la conversione a vista (cioè immediata) dei depositi in moneta aurea. Questo è possibile in considerazione del fatto che: non tutti i depositanti chiederanno il rimborso del loro deposito nello stesso momento; 69 a fronte dei depositi le banche tengono una riserva che corrisponde ad una frazione dei depositi. In questa fase le banche emettono quindi delle ricevute che garantiscono la convertibilità a vista in moneta aurea. (109, 2) In altri termini, le passività delle banche diventano liquide e possono essere utilizzate come mezzo di pagamento equivalente alla moneta. In questa fase, dunque, le banche non sono più semplici intermediari come nella prima fase, ma creano perfetti sostituti della moneta e i depositanti ora non dovranno rinunciare all‟impiego della moneta fino alla scadenza. Inoltre, a questo punto i prestiti bancari si differenziano profondamente dai prestiti aventi ad oggetto beni reali: mentre le ricevute rilasciate dalla banca svolgono la stessa funzione della moneta legale depositata presso la banca stessa, nel caso dei prestiti aventi ad oggetto beni reali la relativa ricevuta non può essere riutilizzata come mezzo di pagamento. Il fatto che le passività delle banche vengano utilizzate come mezzo di pagamento permette di passare alla terza fase. 3^ FASE: In questa fase le banche finanziano direttamente le imprese cedendo ad esse titoli di credito che contengono la promessa della banca a convertire quel titolo in moneta legale (banconote), oppure autorizzando le imprese ad emettere ordini di pagamento che esse si impegnano a soddisfare a vista; si entra così nella terza fase (110, 3) Secondo la Teoria Keynesiana le banche non sono semplici intermediari finanziari bensì soggetti che finanziano le imprese creando moneta quindi l’offerta di credito risulta essere indipendente dalle decisioni di risparmio. Gli investimenti vengono infatti finanziati tramite credito bancario, ossia mediante la creazione di moneta bancaria. Le argomentazioni di Schumpeter e Hicks coincidono con quelle che si trovano nei lavori di Keynes e ci consentono di illustrare il primo elemento che distingue una monetary economy rispetto ad una real exchange economy. Questo primo 70 elemento riguarda la natura del credito, la relazione tra moneta e credito e la specificazione del ruolo delle banche. In un mondo che impiega moneta bancaria: a) si elimina il legame tra decisioni di risparmio e offerta di credito; b) si mette in rilievo lo stretto legame tra il processo di creazione di moneta e il processo di offerta di credito poiché la moneta viene creata mediante un‟operazione di credito; c) le banche non possono essere considerate come semplici intermediari. 2. Moneta bancaria e le fluttuazioni del reddito e dell’occupazione Il secondo elemento che caratterizza un‟economia monetaria è costituito dalle fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione, causate dalle fluttuazioni della domanda aggregata. Keynes definisce le fluttuazioni della domanda aggregata come un fenomeno monetario cioè come un fenomeno che può essere spiegato dalla presenza della moneta Di conseguenza un‟economia monetaria non si trova sempre in una situazione di equilibrio di piena occupazione e ciò è dovuto, in ultima analisi, alla presenza della moneta bancaria. Keynes fornisce tre spiegazioni della ragione per cui la presenza di moneta segno genera fluttuazioni della domanda aggregata e quindi del reddito e dell‟occupazione: 1. la prima spiegazione è rintracciabile nei lavori preparatori del 1933 alla Teoria Generale; 2. la seconda spiegazione è rintracciabile nella Teoria Generale del 1936; 3. la terza spiegazione è rintracciabile nei lavori pubblicati tra il 1937 e il 1939 in cui Keynes risponde ad alcune critiche rivolte alla Teoria Generale. Noi concentreremo la nostra analisi soprattutto sulle ultime due spiegazioni; c‟è una differenza significativa tra queste due spiegazioni. Quella presentata nella Teoria generale, basata sulla teoria della preferenza per la liquidità e sul concetto di domanda speculativa di moneta considera la presenza di una moneta segno controllata direttamente dalle autorità monetarie e che possiamo far coincidere 71 con la moneta legale che la banca centrale modifica mediante le operazioni di mercato aperto. La terza spiegazione invece, considera esplicitamente la presenza di una moneta bancaria. 2.1 Teoria della preferenza della liquidità e fluttuazioni del reddito. Nella Teoria Generale Keynes critica la teoria classica secondo cui il tasso di interesse dipende dalle decisioni di risparmio e di investimento ed assume il livello che asicura un flusso di domanda aggregata capace di assorbire il reddito di piena occupazione. (Legge di Say). Egli presenta una teoria alternativa che considera il tasso di interesse come un fenomeno monetario determinato dalla domanda e offerta di moneta. Keynes infatti sostiene che la presenza di moneta segno elimina il legame tra risparmio, offerta di credito e tasso di interesse: in un mondo in cui si usa moneta segno il risparmiatore può decidere di accumulare una somma crescente di moneta nel tempo annullando così il legame che secondo la teoria neoclassica intercorre tra il risparmio e l‟offerta di credito. La moneta segno, infatti a differenza del grano non è deperibile quindi può essere accumulata per un periodo indefinito di tempo; quindi un soggetto che riceve un reddito in moneta, può decidere di non spendere parte di questo reddito e di impiegare il suo risparmio accumulando moneta. In questo caso, afferma Keynes, egli risparmia ma la sua decisione di risparmio non influenza il tasso di interesse poiché non si traduce in una offerta di credito come succederebbe nel caso in cui il nostro soggetto fosse pagato in termini di grano. In questo caso infatti, se decidesse di non consumare una parte del suo reddito non potrebbe conservarla per un periodo indefinito di tempo, poiché il grano è deperibile, quindi dovrebbe prestarla a qualcuno che la impiegherà in modo produttivo. Keynes quindi sottolinea che la decisione che influenza il tasso di interesse non è la decisione di risparmiare ma la decisione relativa al modo di impiegare il risparmio, e corrispondentemente al modo di impiegare la ricchezza. Queste due decisioni sono collegate in quanto esiste una stretta relazione tra risparmi e ricchezza poiché la ricchezza corrisponde alla somma dei flussi di risparmi realizzati nel tempo. 72 Keynes osserva che in un mondo in cui esiste moneta e i redditi sono pagati in moneta un soggetto economico che percepisce un reddito deve prendere due decisioni: 1. in primo luogo dovrà decidere quanta parte del suo reddito egli consumerà e quanta invece egli accantonerà in qualche forma disponibile per il consumo futuro; 2. una volta fatta questa scelta, dovrà prendere un‟altra decisione: in quale forma egli conserverà le disponibilità per il consumo futuro che ha accantonate, provengano esse dal suo reddito corrente o dal risparmio precedente? Vorrà mantenerle nella forma di disponibilità liquide immediate (ossia in moneta) o è disposto ad abbandonare la disponibilità immediata per un periodo determinato o indefinito, lasciando alle condizioni future del mercato di determinare a quali condizioni egli potrà convertire, ove necessario, la disponibilità di attività patrimoniali in potere d‟acquisto immediato su beni in generale? In altri termini, qual è il grado della sua preferenza per la liquidità? Il risparmiatore, oltre a porsi il problema di quanto risparmiare, deve quindi chiedersi come impiegare la ricchezza costruita continuando a risparmiare nel tempo (moneta o titoli?): C Y Moneta S I decisione W Titoli II decisione è legata alla presenza di moneta bancaria non deperibile, la quale può dare origine ad un contratto di credito. La ricchezza è costituita da moneta e da titoli. I titoli sono un‟attività finanziaria che dà diritto a ricevere somme future. Il nostro individuo può scegliere di impiegare la propria ricchezza tenendo moneta oppure può cedere moneta in cambio di titoli. 73 Il tasso di interesse non influenza la decisione di risparmio (I decisione), bensì la scelta relativa alla composizione della ricchezza (II decisione). r Mdspeculativa L’individuo potrà al massimo esprimere una domanda di moneta pari alla sua ricchezza W. La domanda di moneta per le transazioni non dipende dal tasso di interesse. W’ MdT (Y0) W Md A livello aggregato si avrà: r Md S W aggregata Md, Ms Figura 1 74 Il tasso di interesse è la ricompensa riconosciuta a chi rinuncia alla liquidità per un periodo determinato. Esso quindi mette in equilibrio la domanda e l‟offerta di moneta: l‟offerta di moneta MS è determinata dalle decisioni delle autorità monetarie; la domanda di moneta Md si compone della domanda di moneta transazionale e della domanda di moneta speculativa: = f (Y;r) = Md transazioni (Y) + Md speculativa (r) f‟ (Y) >0 e f‟ (r) < 0 Questa presentazione della teoria keynesiana del tasso di interesse presenta un importante limite che riguarda il modo in cui è specificata la domanda speculativa di moneta: Md MdT (Y) MdS (r) riguarda la composizione della ricchezza al netto della domanda di moneta per le transazioni, ossia: MdS → W – MdT (Y) = W’ Moneta → rM = 0 Titoli → rB = r > 0 Mentre la moneta ha un rendimento nullo, i titoli garantiscono un rendimento positivo nel tempo. La domanda di moneta Mdspeculativa è alta quando il tasso di interesse r è basso, ossia se r è basso allora la quantità di ricchezza impiegata in moneta è alta e quella in titoli è bassa. Viceversa la domanda di moneta Mdspeculativa è bassa quando il tasso di interesse r è alto, ossia se r è alto allora la quantità di ricchezza impiegata in moneta è bassa e quella in titoli è alta. Per renderci conto di questo limite supponiamo che i i titoli abbiano una durata annuale, un rendimento positivo e un grado di rischio pari a zero, ossia assicurino 75 con certezza il pagamento dell‟interesse e la restituzione del prestito. In questo caso l‟operatore sceglierà certamente di investire in titoli piuttosto che in moneta poiché, a parità di rischio, assicurano un rendimento maggiore. rM è infatti sempre pari a 0. Il rendimento atteso è massimo quando B = W‟. Di conseguenza, se escludiamo la possibilità che i titoli siano a rischio insolvenza, possiamo considerare il tasso di interesse come un tasso di rendimento certo. In particolare, se il tasso di interesse è maggiore di 0 l‟individuo sceglierà certamente di investire tutta la ricchezza in titoli qualunque sia il valore di r poiché si avrà che rB > rM=0. ↓ Per ogni rB > 0 la domanda di moneta (MdS) sarà sempre pari a 0. Condizione necessaria per poter costruire la relazione inversa tra tasso di interesse e domanda di moneta speculativa è l‟esistenza di incertezza circa il valore futuro del tasso di interesse. Possiamo introdurre l‟incertezza se consideriamo titoli a lungo termine; ad esempio: 0 1 VN = 1 r=5% r1 = 5 % 2 r2 = 5 % 3 n r3 = 5 % VN = Valore nominale del titolo, corrisponde al valore di rimborso. r = tasso corrente al tempo 0 r1, r2, r3, … = cedole del titolo a reddito fisso L‟ammontare degli interessi che viene pagato di anno in anno prende il nome di cedola e nel nostro esempio ipotizziamo che sia sempre pari al 5 %. 76 Il possessore del titolo può decidere di cederlo in qualunque momento prima della sua naturale scadenza, vedendolo a un determinato prezzo P. P1 sarà il prezzo del titolo dopo un anno dall‟emissione, P2 il prezzo cui il titolo potrà essere ceduto dopo 2 anni dall‟emissione, e cosi via. P1 = VA (r1; t; r) r1 = tasso di interesse corrente in t1 t = tempo r = flusso degli interessi pagato ad ogni anno (cedola) Se n = → si avrà un titolo irredimibile il cui prezzo sarà: se r1 = r = 5% allora P1 = 1 quindi non ci sarà alcuna variazione del valore di mercato del titolo se r1 > r → P1 < P0 = VN = 1 se r1 < r → P1 > P0 = VN = 1 In caso di titoli a lungo termine, il rendimento del titolo dipenderà quindi dalle seguenti due componenti: 1. dal flusso degli interessi; 2. dai guadagni/perdite in conto capitale legati alle variazioni del prezzo del titolo, ossia alla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto del titolo. Possiamo quindi definire con maggior precisione la figura dello speculatore → si tratta di un soggetto che prende decisioni circa la composizione della ricchezza non solo in base al flusso di interessi generati dal titolo (rendimento e cedola), ma anche considerando i guadagni/perdite in conto capitale. 77 Lo speculatore dovrà quindi elaborare delle aspettative circa il valore futuro del titolo, ossia delle aspettative circa il valore futuro del tasso di interesse. Per semplicità, ipotizziamo che le aspettative dello speculatore vengano elaborate prendendo come riferimento il periodo di un anno, cioè lo speculatore elabora una previsione circa il valore che il titolo assumerà tra un anno. Il rendimento complessivo del titolo (R) sarà pari a: R=r+g dove r = tasso di interesse fissato al momento dell‟emissione del titolo, è una grandezza certa nel nostro esempio=5%; g = guadagno/perdita in conto capitale, calcolato sulla base dell‟aspettativa circa il valore che il titolo assumerà tra un anno Sapendo che il prezzo del titolo al momento dell‟acquisto è pari a P 0 = 1 e che il prezzo atteso del titolo è Pe = P1 avremo: Secondo Keynes le aspettative vengono elaborate in condizioni di incertezza, ossia non esistono criteri oggettivi che consentano allo speculatore di prevedere in termini probabilistici il valore futuro dei titoli e quindi il valore futuro del tasso di interesse. Dal momento che lo speculatore ha una conoscenza incerta circa il valore futuro del tasso di interesse, elaborerà le sue aspettative in modo soggettivo: ogni speculatore ha i propri criteri per formulare le aspettative circa il valore futuro del tasso di interesse. Supponiamo che lo speculatore attribuisca probabilità pari a 1 a un determinato valore futuro del tasso di interesse re egli si comporta come se conoscesse con 78 certezza tale valore; questo equivale ad attribuire probabilità pari ad 1 al fatto che il valore futuro dei titolo sarà: P1 = r/re. In questo caso il rendimento complessivo del titolo sarà pari a: re è il tasso di interesse che lo speculatore si aspetta si realizzerà tra un anno; r è un valore certo; dal momento che lo speculatore si comporta come se conoscesse il valore futuro del tasso di interesse, anche re è una grandezza certa. Di conseguenza anche è un valore certo. Per il singolo speculatore il rendimento complessivo di un titolo (R) è quindi una grandezza certa. L’incertezza deriva dal fatto che ogni speculatore esprime una diversa aspettativa. W’ può essere investito in Moneta: rM = 0 Titoli: A questo punto il criterio di decisione circa la scelta tra moneta e titoli a lungo termine consiste nel confrontare due rendimenti che sono entrambi certi per lo speculatore: se R > 0 allora la sua ricchezza W‟ sarà completamente impiegata in titoli → W‟ = B; se R = 0 lo speculatore sarà indifferente tra investire in moneta o in titoli; se R < 0 allora lo speculatore investirà tutta la sua ricchezza in moneta → W‟ = M. Dal momento che r è sicuramente maggiore di 0, R < 0 se ossia se re = r1 > r 79 Di conseguenza se il nostro speculatore prevedesse un aumento del tasso di interesse tra un anno tale da provocare un rendimento complessivo negativo, egli impiegherebbe tutta la sua ricchezza in moneta. La negatività del tasso di interesse complessivo R dipende dalla variabilità del tasso di interesse. Dato il valore del tasso di interesse atteso (re = r1) il rendimento complessivo del titolo dipenderà dal tasso di interesse corrente (r) → dato re, R cresce al crescere di r. Dato re, tra tutti i valori del tasso di interesse corrente, possiamo individuare quel particolare valore del tasso di interesse corrente r* che rende il rendimento complessivo del titolo R pari a 0 → r* viene definito tasso critico. R = 0 se Esempio: se re = 5% allora r* = 5%/(1+5%) = 4,76% R=0 Se lo speculatore si aspetta tra un anno un tasso di interesse del 5% e il tasso corrente è del 4,76% allora il tasso di rendimento complessivo del titolo sarà pari a: perdita in conto capitale che compensa perfettamente il guadagno in conto interessi. Se r = r* allora R = 0 Se r > r* allora R > 0 Se r < r* allora R < 0 80 Il comportamento dello speculatore dipenderà dal tasso di interesse atteso: r Al diminuire di r cambia il valore della domanda speculativa di moneta Figura 2 0 Mdspeculativa W’ W‟ = B Se r > r* R>0 MdS = 0 Se r = r* R = 0 e lo speculatore sarà indifferente tra moneta e titoli Se r < r* R<0 W‟ = M Possiamo ottenere una funzione di domanda speculativa aggregata sommando ogni funzione di domanda dei singoli speculatori → ciò che cambia per ogni speculatore è il tasso critico, il quale dipende dal tasso di interesse atteso. Supponiamo che ci siano 3 speculatori A, B e C i cui tassi di interesse attesi tra un anno sono rispettivamente: 81 reA = 30% reB = 25% reC = 5% Possiamo a tal punto trovare il tasso di interesse critico per ogni speculatore, ossia quel tasso di interesse che rende indifferente la scelta tra investire in moneta o in titoli: Figura 3 rA* = 23% rA* = 23% rB* = 20% rB* = 20% rC* = 4,76% W’A W’B rC* = 4,76% W’C A: r > rA* = 23% W’A = B B: r > rB* = 20% W’B = B C: r > rC* = 4,76% W’C = B r < rA* = 23% W’A = M r < rB* = 20% W’B = M r < rC* = 4,76% W’C = M W’A W’A+W’B 82 W’A+W’B+W’C Possiamo ora costruire la curva di domanda di moneta aggregata: la domanda di moneta in corrispondenza di rA*= 23% è pari a 0 se il tasso di interesse è compreso tra il 20% e il 23%, l‟individuo A domanda moneta, mentre B e C continuano a domandare titoli la domanda aggregata di moneta corrisponderà alla domanda di moneta espressa da A, ossia W‟A se il tasso di interesse è compreso tra il 4,76% e il 20%, A e B domandano moneta, mentre C continua a domandare titoli moneta corrisponderà a la domanda aggregata di W‟A + W‟B se il tasso di interesse è inferiore al 4,76%, tutti e tre i soggetti domandano moneta, mentre la domanda di titoli è nulla moneta sarà data da la domanda aggregata di W‟A + W‟B + W‟C Se vi fosse un numero infinito di speculatori, la curva di domanda aggregata non sarebbe a gradini, ma potrebbe essere approssimata con una curva continua inclinata negativamente rispetto al tasso di interesse: r rA* Md SPECULATIVA AGGREGATA rC* Figura 4 W COMPLESSIVA A parità di offerta di moneta, il valore del tasso di interesse dipenderà dalla funzione di domanda di moneta, la quale è data da Md = MdT (Y) + MdS (r; re). La posizione della funzione di domanda di moneta dipende: 83 dal reddito (se varia il reddito la curva di domanda per transazioni si sposta); dalle aspettative degli speculatori circa il valore futuro del tasso di interesse. Nel grafico seguente possiamo vedere ciò che accade nel momento in cui aumentano i tassi di interesse attesi dagli speculatori: i tassi di interesse critici aumentano e conseguentemente la funzione di domanda di moneta si sposta verso l‟alto. rA* r1 r0 rC* MdT (Y) W COMPLESSIVA Figura 5 In corrispondenza di r0 sul mercato della moneta viene quindi a determinarsi una situazione di eccesso di domanda di moneta (il pubblico desidera più moneta di quella che possiede); al tempo stesso, sul mercato dei titoli si presenta una situazione di eccesso di offerta di titoli. A tal punto il pubblico cercherà di vendere titoli per ottenere più moneta e quindi avremo: PB ↓ → r↑ → r1 > r 0 Le aspettative degli speculatori possono quindi spingere il tasso di interesse verso valori in corrispondenza dei quali non si avrà un equilibrio di piena occupazione, ossia in corrispondenza dei quali la domanda aggregata è insufficiente ad assorbire il reddito di piena occupazione. Keynes considera il tasso di interesse 84 un fenomeno convenzionale in quanto dipende fondamentalmente dalle aspettative degli operatori circa il valore futuro del tasso di interesse stesso, le quali sono definite su fondamenta non oggettive. Keynes nella Teoria Generale non considera esplicitamente la moneta bancaria; la moneta è costituita dalle passività della banca centrale che è in grado di variarne l‟offerta mediante le operazioni di mercato aperto. Keynes, invece, considera esplicitamente la presenza di moneta bancaria nei lavori del 1937-39 rispondendo alle critiche mosse alla Teoria Generale da due economisti, Ohlin e Robertson. 2.2 La teoria dei fondi mutuabili Ohlin e Robertson criticano la Teoria Keynesiana del tasso di interesse presentando una nuova versione della Teoria Neoclassica del tasso di interesse che viene chiamata teoria dei fondi mutuabili, la cui origine può essere fatta risalire al grande economista svedese Wicksell. Questa teoria introduce due importanti cambiamenti nella Teoria Neoclassica del credito e del tasso di interesse → mentre la caratteristica fondamentale della teoria neoclassica consisteva nell‟identificare l‟offerta di credito con le decisioni di risparmio, i sostenitori della teoria dei fondi mutuabili: 1. affermano che in un‟economia in cui si utilizza moneta i risparmiatori possono scegliere di impiegare una parte dei loro risparmi in moneta, ma questo non cambia la natura del credito → Ls = S – ∆H dove ∆H = incremento delle scorte monetarie accumulate dai risparmiatori; 2. riconoscono che le banche non sono semplici intermediari, ma possono offrire credito creando moneta. Si tratta di un punto che Wicksell sottolinea in un suo lavoro del 1898 ancor prima del lavoro del 1911 di Schumpeter. Quindi l‟offerta di fondi mutuabili sarà pari a Ls = S- ΔH + ΔM, ΔH= incremento delle scorte monetarie accumulate dai risparmiatori e ΔM = nuova moneta bancaria. La domanda di moneta invece continua a coincidere con le decisioni di investimento: Ld = I. 85 Sapendo che la condizione di equilibrio sul mercato del credito è definita da Ls = Ld avremo: S – ∆H + ∆M = I S + ∆M = I + ∆H Offerta di fondi mutuabili Domanda di fondi mutuabili La conclusione di Ohlin e Robertson è che il tasso di interesse è la grandezza che mette in equilibrio domanda e offerta di fondi mutuabili. Possiamo confrontare la condizione di equilibrio definita dalla teoria dei fondi mutuabili con quella definita dalla teoria neoclassica: La condizione di equilibrio nella Teoria Neoclassica assume H = 0 e M = 0, ed è data da S (YPO; r) = I (лA; r); La condizione di equilibrio nella Teoria dei fondi mutuabili, assume H ≠ 0 e M ≠ 0, ed è data da S + ∆M = I + ∆H. Qualora ∆H = 0 e ∆M = 0 allora il valore del tasso di interesse di equilibrio definito dalla Teoria dei fondi mutuabili risulta essere pari a quello di equilibrio della Teoria Neoclassica. Per passare dalla Teoria Neoclassica alla Teoria dei fondi mutuabili dobbiamo spiegare come si determinano ∆H e ∆M. Supponiamo che: ∆M sia il risultato delle scelte discrezionali delle banche e sia dato e maggiore di 0; ∆H sia espressione del fatto che i risparmiatori scelgono di tenere una parte dei loro risparmi in moneta e sia anch‟essa una grandezza data e maggiore di 0. Vi sono due casi da considerare: 86 1. ∆H = ∆M → il valore del tasso di interesse di equilibrio non varia rispetto a quello definito dalla teoria neoclassica; 2. ∆H ≠ ∆M → il valore del tasso di interesse di equilibrio sarà diverso da quello definito dalla teoria neoclassica. CASO 1: H = M r S (YPO; r) Ls = S (YPO; r) + ∆M 0 r0 ∆M=∆H 1 Ld = I (лA; r) + ∆H I = I (лA; r) Figura 1 S (YPO,r) = I (лA; r0) S, I La combinazione 0 corrisponde all‟equilibrio neoclassico ( H= M=0), mentre la combinazione 1 all‟equilibrio secondo la teoria dei fondi mutuabili. ∆M>0 determina lo spostamento verso il basso della funzione di offerta di fondi mutuabili (la quale mantiene la stessa inclinazione) proprio in misura pari a M. ∆H>0 determina lo spostamento verso l‟alto della funzione di domanda di fondi mutuabili (la quale mantiene anch‟essa la stessa inclinazione poiché H è indipendente dal tasso di interesse r) proprio in misura pari a H. Poiché M = H, si viene a determinare lo stesso tasso di interesse definito dalla Teoria Neoclassica. CASO 2: H ≠ M, in particolare supponiamo M > 0 e H = 0 87 In corrispondenza della combinazione 0 si ha piena occupazione e i prezzi sono stabili. M > 0 determina lo spostamento verso il basso della funzione di offerta di fondi mutuabili; la funzione di domanda di fondi mutuabili, invece, rimane invariata poiché H = 0. In corrispondenza di r0 si determina quindi un eccesso di offerta di fondi sulla domanda, il quale comporta la caduta del tasso di interesse. La nuova posizione di equilibrio sarà in corrispondenza della combinazione 1. r S (YPO; r) Ls = S (YPO; r) + ∆M 0 r0 r1 1 I = I (лA; r) S (YPO,r) = I (лA; r0) S, I Figura 2 Dato che M ≠ H, il tasso di interesse che mette in equilibrio il mercato dei fondi mutuabili è diverso da quello definito dalla Teoria Neoclassica. Secondo la Teoria Neoclassica il tasso di interesse è sempre pari a r0. Secondo la Teoria dei fondi mutuabili, invece, il tasso di interesse può essere diverso da r0. Wicksell e i sostenitori della teoria dei fondi mutuabili distinguono due tipologie di tasso di interesse: 88 1. tasso di interesse naturale r0 definito dalla Teoria Neoclassica in corrispondenza del quale S (YPO) = I. Si tratta del tasso di interesse che si determina in un sistema economico in cui le risorse risparmiate vengono direttamente scambiate tra risparmiatori e imprese e quindi le banche non hanno ragione d‟esistere; 2. tasso di interesse monetario rM è il tasso di interesse influenzato dalle decisioni del sistema bancario: esso è infatti determinato dal processo di creazione di moneta seguito dalle banche per offrire credito. Si tratta quindi del tasso di interesse che si determina in un mondo in cui si fa uso di moneta bancaria. La diversità del tasso di interesse monetario rispetto al tasso di interesse naturale (r0 ≠ rM) genera inflazione o deflazione. Infatti: in corrispondenza della combinazione 0 si ha piena occupazione e i prezzi sono stabili; in corrispondenza di r1 < r0 la domanda aggregata è maggiore rispetto al reddito di piena occupazione e, dal momento che questa espansione non determina un incremento permanente del reddito e dell‟occupazione, l‟eccesso di domanda aggregata non può che generare inflazione. L’inflazione è causata dalla presenza di un tasso di interesse monetario (fissato dalle banche) inferiore rispetto al tasso di interesse naturale. Di fronte alla presenza di inflazione la Banca Centrale e di conseguenza le singole banche aumenteranno il tasso di interesse monetario portandolo al livello del tasso di interesse naturale. Nel lungo termine, dunque, il tasso di interesse tende al livello naturale. Poiché non è possibile mantenere costantemente il tasso monetario ad un valore differente rispetto al tasso naturale ci possiamo chiedere perché le banche non fissano direttamente r = r0, ossia non fissano fin da subito il tasso di interesse monetario al livello naturale? Questo non avviene poiché le banche non 89 conoscono il valore del tasso di interesse naturale r0 cioè il valore che si sarebbe determinato in un mondo in cui le banche non hanno ragione d‟esistere e non si fa uso di moneta bancaria. Di conseguenza il tasso di interesse naturale r0 è solo una grandezza teorica che si determina in un mondo in cui non si usa moneta bancaria. Il tasso di interesse naturale può variare in funzione del comportamento delle imprese e dei risparmiatori, e sono proprio queste variazioni che determinano la differenza tra r0 e rM. Se r0 = rM piena occupazione e prezzi stabili. La domanda aggregata uguaglia l‟offerta aggregata: r S (YPO; r) 0 r0 = r M I = I (лA; r) S (YPO,r0) = I (лA; r0) S, I Figura 3 Se aumenta la propensione ad investire allora a parità di tasso di interesse cambiano le aspettative di profitto degli imprenditori, i quali decideranno di investire di più. Poiché sul mercato del credito le banche non adeguano immediatamente il tasso di interesse, si determinerà un eccesso di domanda di fondi mutuabili rispetto all‟offerta, il quale comporterà un incremento del tasso di interesse fino al nuovo livello del tasso di interesse naturale r1 (figura 4, punto 2). Rispetto alle combinazioni 0 e 1, in corrispondenza della combinazione 2 si ha inflazione poiché, a fronte di un aumento degli investimenti, i risparmi restano 90 inalterati e il tasso di interesse monetario risulta diverso dal nuovo tasso di interesse naturale r1 (punto 1). Questo processo di inflazione continua fintanto che il sistema bancario non porta il tasso di interesse monetario al nuovo livello del tasso di interesse naturale r1. Figura 4 r S (YPO; r) Ls = S (YPO; r) + ∆M 1 r1 0 r0 = rM 2 ∆M I’ (лA’; r) + H I = I (лA; r) S (YPO,r0) = I (лA; r0) S, I La Teoria dei fondi mutuabili ci permette di comprendere le ragioni per le quali la teoria del credito di Schumpeter e di Hicks e come vedremo di Keynes, non è stata accettata. Infatti la teoria dei fondi mutuabili consente di conciliare una teoria che considera le banche come soggetti capaci di creare moneta (e non come semplici intermediari finanziari) con le conclusioni della Teoria Neoclassica secondo cui un‟economia di mercato tende sempre a raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione e la finanza e il mercato del credito sono grandezze neutrali che non influenzano l‟equilibrio. Secondo la Teoria dei fondi mutuabili, infatti, l‟unico effetto della presenza del sistema bancario è quello di determinare situazioni in cui il livello del tasso di interesse monetario può essere inferiore al livello del tasso di interesse naturale. Questa discrepanza determina una situazione di inflazione eliminabile riportando rM al livello r0. La Teoria dei fondi mutuabili, nonostante riconosca che le banche non sono semplici intermediari finanziari, afferma che la presenza delle banche non cambia 91 le caratteristiche del sistema economico rispetto a quelle definite dalla Teoria Neoclassica, quindi afferma il principio della neutralità della finanza. Esiste un mondo ideale in cui il tasso di interesse è al suo livello naturale; nel mondo reale la presenza delle banche può solo influenzare il tasso di inflazione quando rM è diverso da r0. Dagli anni ‟70 gli economisti sono quindi tornati ad accettare la Teoria Neoclassica grazie all‟affermazione: della controrivoluzione monetarista ad opera di Milton Friedman; della Teoria dei fondi mutuabili, la quale, pur riconoscendo che le banche non sono semplici intermediari e che queste sono in grado di creare moneta, riafferma le conclusioni della Teoria Neoclassica. La Teoria dei fondi mutuabili ha influenzato e continua ad influenzare la strategia di politica monetaria delle autorità monetarie contemporanee, le quali sono quindi consapevoli che l‟inflazione è provocata da un tasso di interesse monetario inferiore rispetto al tasso di interesse naturale e del fatto che per frenare tale inflazione occorre controllare i tassi di interesse. Attraverso la manovra del tasso di interesse le autorità monetarie sono in grado di frenare l’inflazione l’inflation targeting è quindi coerente con l’impostazione teorica della Teoria dei fondi mutuabili. L‟inflation targeting è infatti la regola di decisione adottata dalle autorità monetarie per frenare l‟inflazione attraverso la manovra del tasso di interesse, in particolare attraverso la manovra del tasso di sconto con cui la Banca Centrale finanzia le banche ordinarie. Per controllare l‟inflazione le autorità monetarie non manovrano quindi la quantità di moneta in circolazione poiché quest‟ultima, essendo costituita soprattutto dalle passività a vista emesse dalle singole banche (essenzialmente depositi), è al di fuori del controllo delle autorità monetarie. 92 2.3 La risposta di Keynes alla teoria dei fondi mutuabili Nei lavori del 1937-39 in cui replica ad Ohlin e Robertson, Keynes considera esplicitamente la presenza della moneta bancaria; fino ad allora egli aveva invece considerato l‟offerta di moneta come una grandezza esogena controllata dalle autorità monetarie. L‟esplicita considerazione dell‟esistenza delle banche e della moneta bancaria permette a Keynes di spiegare un aspetto significativo del principio della domanda effettiva e cioè la relazione causale D → Y alla quale può essere associata un‟altra importante relazione, ossia I → S (le decisioni di risparmio sono una conseguenza delle decisioni di investimento). dI → → dS = dI Di fronte a tale relazione causale I → S sorge un problema: le imprese non possono finanziare le loro decisioni di investimento attraverso i risparmi, poiché questi ultimi sono una conseguenza delle decisioni di investimento. Attraverso quale meccanismo quindi le imprese finanziano le loro decisioni di investimento, ossia ottengono il potere d‟acquisto necessario a realizzare le loro decisioni di investimento? Attraverso la concessione di credito da parte delle banche. Keynes sostiene che le decisioni di investimento delle imprese vengono finanziate attraverso il credito bancario e quindi esse potranno risultare influenzate dal comportamento delle banche che offrono credito e creano moneta, ma non dal comportamento dei risparmiatori poiché i risparmi sono una conseguenza degli investimenti. Le imprese riusciranno quindi ad espandere gli investimenti attraverso l‟incremento della domanda di credito, la quale genererà un aumento del tasso di interesse a meno che le banche non siano pronte a prestare più liquidità (espandere l‟offerta di credito). 93 Le banche rivestono dunque un ruolo fondamentale nel consentire l‟incremento del reddito e dell‟occupazione: condizione necessaria per realizzare investimenti non è la disponibilità di risparmi, ma l‟espansione dell‟offerta di credito da parte delle banche. Possiamo quindi descrivere il processo di creazione della moneta distinguendo due fasi: 1. Nella prima le banche creano moneta offrendo credito che serve a finanziare gli investimenti. 2. Nella seconda fase si devono specificare le condizioni che spingono i possessori di ricchezza ad accumulare moneta bancaria, ossia a domandare moneta. Per spiegare queste due fasi costruiamo un modello teorico che considera da un lato il mercato del credito, dall‟altro il mercato della moneta. Consideriamo quindi una nuova versione del modello IS-LM all‟interno del quale vengono considerati: mercato del credito; consente di descrivere la prima fase del processo di creazione della moneta mercato dei beni; mercato della moneta; consente di descrivere la seconda fase. Mercato del credito è caratterizzato dalle seguenti funzioni: 1. ∆Ld = I → la funzione di domanda di credito indica il flusso di credito domandato dalle imprese in un certo periodo per finanziare le decisioni di investimento; 2. I = I (Π; rL) la seconda equazione descrive la funzione degli investimenti 3. il tasso di interesse sui prestiti bancari per finanziare gli investimenti viene fissato dalle banche in funzione del tasso ufficiale di sconto rS, ossia del tasso al quale le banche possono ottenere finanziamenti dalla BC: rL = S* (1 + q ) con q > 0 94 4. le banche adeguano l‟offerta di credito alla domanda di credito che proviene dalle imprese quindi la condizione di equilibrio del mercato del credito sarà: Ld = Ls Queste equazioni determinano 4 incognite con il seguente ordine di soluzione: l‟eq. 3, dato l‟eq. 2, dato rL e dato пA, determina il livello degli investimenti I; l‟eq. 1, dato I, determina la domanda di credito da parte delle imprese; l‟eq. 4, dato ∆Ld, determina ∆Ls ossia l‟offerta di credito necessaria a S e dato q, determina rL; soddisfare la domanda di credito espressa dalle imprese al fine di realizzare le loro decisioni di investimento. Mercato dei beni Il reddito è determinato dal livello della domanda aggregata ed in particolar modo dall‟ammontare degli investimenti, della spesa pubblica e dalla propensione al risparmio. 5. la spesa pubblica e la propensione al risparmio sono grandezze esogene. Y = f (I; ; ) Dato il livello degli investimenti I, l‟eq. 5 determina quindi il reddito Y. La specificazione del Mercato della moneta ci consente di spiegare le condizioni che si devono realizzare affinché i possessori di ricchezza siano disposti ad accumulare la moneta creata dalla banche. Consideriamo il vincolo di bilancio del sistema bancario: 6. ∆D + ∆FINBC = Le passività delle banche sono date dal flusso dei depositiΔD e dall’indebitamento delle banche nei confronti della ΔFINBC. 95 ∆L + ∆RIS Le attività delle banche sono date dall’ammontare dei prestitiΔL e dalle riserve ΔRIS. 7. Le riserve sono costituite da passività della BC, ossia da moneta legale emessa dalla BC detta anche base monetaria. L‟ammontare delle riserve è proporzionale all‟ammontare dei depositi: ∆RIS = qK ∆D con 0 < qK < 1 coefficiente di riserva: 8. Le banche si procurano la moneta legale necessaria per costituire le riserve indebitandosi presso la Banca Centrale quindi si avrà: ∆RIS = ∆FINBC 9. ∆FINBC = ∆BM → tale equazione specifica l‟operazione attraverso la quale la Banca Centrale crea base monetaria. Tale operazione consiste nel finanziamento delle aziende di credito. Poiché dall‟eq. 8 risulta ∆FINBC = ∆RIS e dall‟eq. 6 ∆D + ∆FINBC = ∆L + ∆RIS allora si avrà ∆D = ∆L, dove ∆L è determinato dalle equazioni 1-4 e, conseguentemente, l‟eq. 6 determina ∆D. L‟eq. 7, dato ∆D, determina l‟ammontare delle riserve ∆RIS. L‟eq. 8, dato ∆RIS, determina ∆FINBC. L‟eq. 9, dato ∆FINBC, determina ∆BM. É ora possibile descrivere il mercato della moneta caratterizzato da: 10. offerta di moneta: Ms = quantità di moneta esistente all’inizio del periodo. st-1 + ∆D nuova moneta creata dal sistema bancario per offrire credito alle imprese al fine di finanziare le loro decisioni di investimento. 11. la domanda di moneta dipende dal reddito, dal tasso di interesse sui titoli, dal tasso di interesse atteso (che è una grandezza data) e dall‟ammontare della ricchezza: 96 Md = f (Y; rB; 12. la ricchezza è pari a: W= t-1 + E; W) St (Y) 13. la condizione di equilibrio sul mercato della moneta è data da: Md = Ms L‟eq. 12, dato Y, determina il livello della ricchezza W. L‟eq. 10, dato ∆D, determina l‟offerta di moneta Ms. L‟eq. 13, data Ms, determina la domanda di moneta Md. L‟eq. 11, dati Md, Y, W e E, determina il tasso di interesse sui titoli rB che mette in equilibrio la domanda e l‟offerta di moneta. Il modello macroeconomico keynesiano che considera esplicitamente la presenza della moneta bancaria presenta dunque le seguenti tre caratteristiche: 1. tale modello mette in evidenza la relazione tra moneta bancaria, offerta di credito bancario e decisioni di investimento delle imprese analizzando le due fasi del processo di creazione di moneta: → fase I descritta mediante il mercato del credito: le banche creano moneta per finanziare le decisioni di investimento delle imprese; → fase II descritta mediante il mercato della moneta: si specificano le condizioni che spingono i possessori di ricchezza ad accumulare moneta bancaria. 2. questo modello è coerente con il principio della domanda effettiva secondo cui le decisioni di investimento determinano quelle di risparmio. In particolare, le decisioni di investimento sono determinate sul mercato del credito dalle eq. 1 4, l‟eq. 5 determina il livello di reddito ed infine l‟eq. 12 determina i risparmi. 3. La terza caratteristica riguarda la spiegazione della presenza di disoccupazione involontaria. Il principio della domanda effettiva ci porta ad osservare che le fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione dipendono, in 97 particolare, dalle fluttuazioni degli investimenti. Nel modello descritto abbiamo ipotizzato: a) che le banche fissino il tasso di interesse in funzione del tasso di sconto determinato dalle autorità monetarie, quindi le autorità monetarie determinano il tasso di interesse che influenza le decisioni di investimento delle imprese. Si tratta di un‟ipotesi diversa da quella della Teoria Generale secondo cui le autorità monetarie possono influenzare il tasso di interesse mediante le operazioni di mercato aperto; b) inoltre abbiamo ipotizzato che le banche soddisfino completamente la domanda di credito che le imprese esprimono al tasso di interesse fissato dalle banche stesse. Queste due ipotesi ci portano a concludere che, in questo sistema, che non è quello descritto dalla teoria neoclassica, poiché l‟offerta di credito è indipendente dalle decisioni di risparmio, sembra piuttosto facile ottenere la piena occupazione. Infatti se si assume che le autorità monetarie controllino il tasso di interesse monetario rl e che esista un certo livello del tasso di interesse in corrispondenza del quale gli investimenti desiderati dalle imprese sono coerenti con il reddito di piena occupazione (definiamolo tasso naturale rNAT) , allora si deve concludere che affinchè il sistema raggiunga la piena occupazione è sufficiente che le autorità monetarie spingano il tasso di interesse al livello rl al livello del tasso naturale. (figura 1) Figura 1 r In corrispondenza del tasso rL di interesse naturale il 2 livello degli investimenti desiderati dalle imprese uguaglia i risparmi di piena rNAT occupazione. 1 I (лA; r) I (лA; rL > rNAT) I (лA; rNAT) = S (YPO) 98 I (лA; r) Se rL = rNAT I (лA; rNAT) Se rL > r PIENA OCCUPAZIONE: → NAT YPO → S (YPO) = I (лA; rNAT) DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA: I (лA; rL > rNAT) < I (лA; rL = rNAT) → Y1 < YPO Per spingere il sistema verso la piena occupazione le autorità monetarie dovranno abbassare il tasso di interesse monetario e portarlo al livello del tasso di interesse naturale. Il modello keynesiano sembra quindi essere sostanzialmente simile al modello dei fondi mutuabili. Entrambi i modelli assumono che possa esistere una differenza tra il tasso di interesse monetario e il tasso di interesse coerente con la piena occupAZIONE e che le autorità possano eliminare tale discrepanza spingendo il sistema verso una situazione di equilibrio caratterizzata da piena occupazione e prezzi stabili. Anche il modello keynesiano sembra quindi accettare il principio di neutralità della finanza secondo cui esiste un mondo ideale all‟interno del quale i risparmiatori finanziano direttamente le imprese e il tasso di interesse monetario è uguale a quello naturale. A questo punto la tesi secondo la quale la presenza delle banche e della moneta bancaria cambia le caratteristiche del sistema bancario non sembra quindi essere giustificata. In realtà tale conclusione trascura un elemento fondamentale della teoria keynesiana, cioè trascura il fatto che le decisioni di Investimento non dipendono soltanto dal tasso di interesse ma anche dalle aspettative di profitto. Se le aspettative sono molto pessimistiche allora, come abbiamo visto nel corso di 99 macroeconomia, gli investimenti possono essere inferiori a quelli necessari per ottenere la piena occupazione anche con un tasso di interesse pari a zero. L‟elemento trascurato consiste nel fatto che secondo Keynes non necessariamente esiste un valore positivo del tasso di interesse r > 0 in corrispondenza del quale gli investimenti delle imprese sono pari al risparmio di piena occupazione, ovvero in corrispondenza del quale D = YPO. Secondo Keynes, infatti, I e S dipendono anche dalle aspettative di profitto delle imprese e dalle aspettative di reddito futuro dei risparmiatori: a parità di tasso di interesse, gli investimenti variano in relazione alle aspettative di profitto delle imprese: - se le aspettative di profitto aumentano allora anche gli investimenti aumentano; - se le aspettative di profitto diminuiscono allora anche gli investimenti diminuiscono. a parità di reddito corrente e di tasso di interesse: - se le aspettative di reddito futuro sono alte allora i risparmi diminuiscono; - se le aspettative di reddito futuro sono basse allora i risparmi aumentano. Nel caso in cui gli investimenti si riducano (le aspettative di profitto delle imprese peggiorano) e i risparmi aumentino (le aspettative di reddito futuro dei risparmiatori diminuiscono) si avrà: Figura 2 r S (YPO; r) rNAT E I( I’ attesi; r) S’ r=0 S, I r<0 100 Un‟economia monetaria, ossia un‟economia in cui si usa moneta bancaria, sarà quindi caratterizzata da: 1. cambiamento della natura del credito: il credito non coincide più con le decisioni di risparmio; 2. fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione con conseguente manifestazione di crisi e disoccupazione involontaria; 3. presenza di aspettative che possono far sì che non esista alcun tasso di interesse naturale in corrispondenza del quale si abbia piena occupazione. Le aspettative di profitto degli imprenditori, così come quelle degli speculatori, vengono elaborate in condizioni di incertezza. Secondo Keynes esiste una relazione tra la presenza della moneta bancaria e l’importanza delle aspettative e dell’incertezza → aspettative e incertezza sono fenomeni che caratterizzano un sistema all’interno del quale si usa moneta bancaria. Possiamo definire questa relazione tra moneta bancaria e aspettative/incertezza che caratterizza la teoria keynesiana considerando due punti: 1. relazione tra investimenti e aspettative/incertezza; 2. relazione tra moneta bancaria e investimenti. 2.4 Decisioni di investimento, Aspettative e Incertezza Per spiegare la relazione tra decisioni di investimento, aspettative e incertezza prendiamo come riferimento il cap. 12 della Teoria Generale in cui Keynes analizza il fenomeno dell‟investimento e specifica i fattori che influenzano le decisioni di investimento. 101 Keynes inizia il capitolo specificando che le decisioni di investimento dipendono dal confronto tra il tasso di interesse e l‟efficienza marginale del capitale che a sua volta è determinata in funzione del costo monetario dell‟investimento (il prezzo di offerta di un capitale) e delle aspettative di profitto (il rendimento prospettico del capitale) (p. 333, 1) Tra tutti i valori del tasso di interesse esisterà un particolare valore (che definiamo r*) in corrispondenza del quale il valore attuale dei profitti futuri è pari al costo dell‟investimento: VA (лA; r*) = I dove r* = efficienza marginale del capitale Se r = r* Se r < r* → VA (лA; r < r*) > VA (лA; r*) = I l‟impresa è indifferente; l‟impresa effettua l‟investimento; Se r > r* → VA (лA; r > r*) < VA (лA; r*) = I l‟impresa non effettua l‟investimento. In questo capitolo Keynes si concentra sul rendimento prospettico degli investimenti (le aspettative di profitto) ed associa il concetto di aspettative al concetto di incertezza: le aspettative di profitto vengono elaborate in condizioni di incertezza. Keynes definisce in modo efficace il significato di incertezza in un articolo pubblicato nel 1937 in cui riassume i punti fondamentali della Teoria Generale. (1937, p.661, 1) Secondo Keynes le aspettative di profitto vengono elaborate in condizioni di incertezza, ossia non esistono metodi oggettivi che consentano all’imprenditore di prevedere in termini probabilistici i profitti futuri. Keynes osserva che non è possibile prevedere i risultati futuri di un investimento allo stesso modo in cui si prevedono i risultati di una puntata alla roulette; non esistono elementi che consentono di prevedere in termini probabilistici i risultati futuri di un investimento. Nel capitolo 12 della Teoria Generale Keynes sottolinea con forza la relazione tra aspettative e incertezza (p.335, 3) Nel caso della ferrovia, della miniera di rame, ecc. non esistono elementi che consentono di specificare le aspettative in termini probabilistici. 102 Il fatto che le decisioni di investimento vengano prese in condizioni di incertezza ha una conseguenza fondamentale; secondo Keynes queste decisioni possono essere realizzate soltanto da persone speciali, capaci di prendere decisioni che non sono fondate su di un preciso calcolo dei costi e dei benefici, cioè da persone dotate di animal spirits. (pp. 347-8, 5; p. 336, 4) Keynes critica la teoria classica (neoclassica) per aver trascurato la dimensione dell‟incertezza; egli considera la teoria classica capace di descrivere soltanto un mondo senza incertezza, cioè un mondo basato soltanto sulle decisioni di consumo, in cui le decisioni di investimento non sono rilevanti. (1937, p.661, 2) Secondo Keynes è necessario elaborare una nuova teoria per descrivere un mondo in cui le decisioni di investimento assumono un peso rilevante. E‟ probabilmente eccessivo affermare che la teoria classica descrive un mondo senza investimenti; ciò che distingue le due teorie riguarda le caratteristiche degli investimenti: la teoria classica considera decisioni di investimento che vengono prese in assenza di incertezza, mentre Keynes considera decisioni di investimento prese in condizioni di incertezza. Gli investimenti descritti dalla teoria classica sono quelli che caratterizzano un mondo in cui si produce un solo bene, come la corn economy descritta da Smith o la fishermen economy descritta da Böhm-Bawerk. In queste economia, come abbiamo visto descrivendo la teoria neoclassica della finanza, le decisioni di investimento dipendono dalle decisioni di risparmio; gli investimenti corrispondono cioè al grano (pesce) non consumato ed utilizzato per incrementare la produzione futura. Possiamo pensare al grano usato come semente o al grano (pesce) usato per pagare lavoratori impiegati nella produzione di beni capitale come l‟aratro o il trattore (barca). Possiamo osservare che queste decisioni di investimento vengono prese in assenza di incertezza per due ragioni: a) in un mondo in cui si produce un unico bene i risultati dell‟investimento possono essere definiti in termini fisici poiché questi risultati coincidono con la produzione di grano (pesce) ottenuta mediante l‟investimento, coincidono cioè con la produttività marginale, misurata in termini 103 di unità di prodotto, dell‟investimento; b) anche in questo caso ci può essere naturalmente, una variabilità dei rendimenti dell‟investimento, ma questa variabilità è dovuta a quelli che Schumpeter definisce, fattori extraeconomici, ad esempio alle condizioni climatiche che modificano il raccolto, oppure a fenomeni socio-politici come lo scoppio di una guerra. Nel caso degli investimenti considerati da Keynes invece la variabilità dei rendimenti, che non è prevedibile in termini probabilistici, deriva da fattori economici. Ci possiamo rendere conto di questo fatto osservando che Keynes descrive una economia (una monetary economy) in cui non si produce un solo bene, ma più beni che Keynes elenca, come abbiamo visto (335,3) quando descrive gli investimenti. Le decisioni di investimento sono lo strumento attraverso il quale si introducono nuovi beni: la ferrovia, il rame, il transatlantico, un nuovo farmaco, ecc. Gli investimenti considerati da Keynes hanno le stesse caratteristiche delle innovazioni descritte da Schumpeter. Il fenomeno delle innovazioni può consistere nella realizzazione di un nuovo prodotto, o di un nuovo processo produttivo con il quale si realizzano i beni esistenti, o ancora, nell‟apertura di nuovi mercati. Possiamo quindi considerare gli investimenti descritti da Keynes come lo strumento attraverso il quale si realizzano le innovazioni. Il legame tra decisioni di investimenti e innovazioni ci permette di spiegare la rilevanza della dimensione dell‟incertezza. Possiamo distinguere almeno due tipi di innovazioni: le innovazioni che modificano il processo produttivo con cui si realizza un bene esistente e le innovazioni con le quali si producono nuovi beni. Il primo tipo di innovazioni può essere introdotto anche in un mondo in cui si produce un unico bene, come la corn economy; esempio di innovazione possono essere l‟aratro o il trattore. In questo caso l‟investimento corrisponde alla quantità di grano che serve a pagare i lavoratori impiegati nella costruzione dell‟aratro o del trattore. Queste innovazioni aumentano la produttività del lavoro impiegato per produrre grano, ma non producono incertezza perché si rimane all‟interno di un sistema economico in cui si produce un unico bene e il profitto dell‟imprenditore corrisponde alla differenza tra la produzione realizzata e quella 104 utilizzata per pagare i lavoratori (l‟imprenditore, come dice la teoria classica, e come ci ricorda Keynes, assumerà un nuovo lavoratore se la produttività marginale in termini di prodotto e superiore al costo marginale che corrisponde al salario reale). La relazione tra decisioni di investimento, innovazioni e incertezza diventa significativa se si considera il secondo tipo di innovazioni che porta all‟introduzione di nuovi beni. Queste decisioni di investimento caratterizzano un mondo in cui si producono più beni, e un mondo in cui si producono più beni è un mondo in cui vale una legge di produzione diversa da quella che caratterizza una corn economy. In un mondo in cui si producono più beni i profitti attesi da un imprenditore non vengono definiti in termini di quantità di beni prodotti, ma in termini di entrate monetarie ottenute grazie alla vendita dei beni prodotti. In altri termini nella monetary economy descritta da Keynes l‟obiettivo di un imprenditore che produce, ad esempio, automobili non è quello di ottenere un profitto in termini di automobili ma è quello di ottenere un profitto monetario grazie alla vendita delle automobili. In questa economia il fine del nostro imprenditore non è produrre automobili ma vendere automobili in cambio di moneta; la fase della vendita non coincide necessariamente con quella della produzione. Questa mancata coincidenza dà rilievo alla dimensione dell‟incertezza e rende l‟incertezza un fenomeno economico in quanto la variabilità dei profitti futuri misurati in termini monetari non è legata a fenomeni extraeconomici che possono influenzare la produzione di automobili, ma deriva dai fattori, di natura economica che influenzano la domanda di automobili. Le caratteristiche dell‟incertezza che caratterizza la monetary economy descritta da Keynes possono essere illustrate considerando il seguente esempio. Supponiamo di essere in una economia in cui si produce soltanto grano e che un imprenditore decida di impiegare lavoratori non per costruire aratri o trattori che permettano di ottenere una maggior quantità di grano in futuro, ma decida di impiegare lavoratori per costruire un nuovo bene, ad esempio una ferrovia. Questa decisione, a differenza di quella di costruire aratri o trattori, è presa in condizioni di incertezza poiché non esiste alcuna legge fisica che ci permette di calcolare quanto grano il nostro imprenditore sulla base del grano impiegato a 105 produrre la ferrovia come succede invece, nel caso dell‟aratro o del trattore. Nel caso della ferrovia infatti, il grano che otterrà dipende dalla quantità di biglietti che riuscirà a vendere. 2.5 Moneta bancaria e investimenti Il secondo anello della sequenza causale tra moneta bancaria e incertezza è costituito dalla relazione tra moneta bancaria e decisioni di investimento. Per spiegare questo legame dobbiamo ricordare che la realizzazione degli investimenti che hanno le caratteristiche appena descritte, richiede la presenza di imprenditori dotati di animal spirits, cioè di imprenditori capaci di prendere decisioni in condizioni di incertezza. Per realizzare i loro investimenti questi soggetti hanno bisogno di potere d‟acquisto: la moneta bancaria costituisce lo strumento che consente agli imprenditori dotati di animal spirits di realizzare le decisioni di investimento in condizioni di incertezza. La presenza della moneta bancaria è la condizione necessaria affinché si possano realizzare investimenti in condizioni di incertezza. L‟importanza della presenza della moneta bancaria può essere spiegata con un esempio; supponiamo che in una corn economy emerga un imprenditore che, seguendo i suoi animal spirits, progetti di costruire una ferrovia e questo richieda l‟impiego di un certo numero di lavoratori per dieci anni. Supponiamo inoltre che che la tecnologia esistente renda possibile produrre una quantità di grano sufficiente a garantire il mantenimento dei lavoratori impiegati nella produzione di grano e di quelli che potrebbero essere utilizzati per realizzare la ferrovia. In questo caso possiamo osservare che la ferrovia potrebbe essere realizzata anche in una corn economy senza l‟impiego di una moneta bancaria. Infatti la costruzione della ferrovia potrebbe essere finanziata dai produttori di grano che prestano all‟imprenditore-innovatore il grano necessario a pagare i lavoratori impiegati nella produzione della ferrovia. Essi otterranno in cambio dal debitore, 106 il diritto di ottenere, quando la ferrovia sarà costruita, una quantità di grano pari a quella prestata aumentata di un premio in conto interessi. Possiamo osservare che ci sono almeno due elementi che rendono difficile questa operazione. Il primo è costituito dal fatto che è molto difficile per il produttore di grano valutare se l‟imprenditore che intende realizzare la ferrovia sarà in grado di restituire il capitale prestato poiché il contratto di credito che si deve realizzare per costruire la ferrovia è molto diverso da quello che si realizza normalmente in una corn economy mediante il quale i produttori che hanno un eccesso di grano lo prestano ad altri imprenditori che utilizzeranno il grano per produrre altro grano. In questo caso, data la tecnologia produttiva, è facile per il creditore calcolare il rendimento del grano prestato e quindi calcolare il tasso di interesse da applicare al contratto di credito. Nel caso della ferrovia questa valutazione è molto più difficile perché non esiste alcuna legge fisica che permetta di calcolare quanto grano verrà ottenuto dalla vendita dei biglietti della ferrovia partendo dalla quantità di grano impiegata per costruire la ferrovia. La seconda difficoltà riguarda la durata del prestito; il nostro imprenditore dovrà trovare produttori di grano disposti ad aspettare dieci anni prima di ottenere la restituzione del prestito. La realizzazione della ferrovia diventa più semplice in un mondo in cui si utilizza una moneta bancaria. In questo caso il nostro imprenditore-innovatore dovrà convincere le banche, non i produttori di grano, della bontà dell‟investimento. Le banche finanzieranno la costruzione della ferrovia creando nuova moneta che l‟imprenditore utilizzerà per pagare i lavoratori che a loro volta la utilizzeranno per acquistare il grano. I produttori di grano non avranno difficoltà a cedere il grano in cambio di moneta bancaria, che è perfettamente liquida, non deperibile e può quindi essere usata come mezzo di pagamento in qualsiasi momento futuro. E sebbene essi vendano il grano ai lavoratori impiegati nella realizzazione della ferrovia, i produttori di grano non sono i creditori dell‟imprenditore che realizza la ferrovia che è indebitato invece nei confronti delle banche che, a loro volta saranno indebitate nei confronti di chi accumula la moneta bancaria. I soggetti che accumulano moneta bancaria possono essere i produttori di grano se assumiamo che essi decidano di accumulare la moneta ottenuta vendendo grano, oppure altri 107 soggetti che decidono di accumulare la moneta ottenuta in cambio della vendita di beni o servizi. Le banche svolgono quindi un ruolo fondamentale in una monetary economy; esse valutano le richieste di finanziamento degli imprenditori-innovatori e quindi condividono con essi la responsabilità di decidere quale investimenti devono essere realizzati; con le loro decisioni influenzano il processo di sviluppo del sistema economico. Si tratta di un ruolo molto diverso da quello di puri intermediari che esse possono svolgere all‟interno di una corn economy che consiste nel facilitare il trasferimento del grano dai produttori agli imprenditori che intendono espandere la produzione di grano futura. Le banche svolgono inoltre una funzione differente rispetto a quella definita da Wicksell e dai sostenitori della loanable funds theory. Sebbene essi riconoscano che le banche non sono semplici intermediari poiché offrono credito creando nuova moneta, essi affermano che l‟impiego della moneta bancaria non cambia la struttura del sistema economico rispetto a quella che caratterizza una corn economy in cui i beni capitale sono scambiati in natura, senza l‟impiego della moneta, il mercato del credito coincide con il mercato dei capitali e il tasso di interesse è pari al tasso naturale di interesse. 2.6 La spiegazione delle fluttuazioni del reddito La presenza di moneta bancaria, di aspettative e di incertezza ci consente di spiegare perché una monetary economy è soggetta a fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione. Abbiamo visto (par. 2.2.2, fig. 1) che in un mondo in cui le autorità monetarie sono in grado di controllare il tasso di interesse sembra piuttosto facile realizzare l‟equilibrio di piena occupazione: è sufficiente che il tasso di interesse sia fissato al livello in corrispondenza del quale le imprese desiderano realizzare un flusso di investimenti pari al risparmio di piena occupazione, cioè al livello del tasso naturale di interesse. Questa conclusione si basa sull‟ipotesi che una volta fissato il tasso di interesse al suo livello naturale (rNAT = 2%, fig. 1) le banche decidano di creare un flusso di 108 moneta che consenta alle imprese di realizzare un flusso di investimenti coerente con il reddito di piena occupazione. Questa ipotesi sarebbe corretta se, seguendo Wicksell e i sostenitori della LFT si assumesse che quando r=rNAT le banche si comportano da intermediari; in questo caso, in corrispondenza di rNAT = 2% si avrebbe un‟offerta di risparmio e quindi di credito che permette di finanziare un flusso di investimenti coerente con la realizzazione della piena occupazione. r r NAT Ls1 Ls0 = 2% RAZIONAMENTO DEL CREDITO O Figura 1 A I (лA; r) B I1 I0 (лA; r NAT) = S (YPO) I (лA; r) Questa ipotesi non si applica necessariamente in una monetary economy caratterizzata dalla presenza di incertezza. Infatti dobbiamo sottolineare che la presenza di incertezza collegata alla presenza di una moneta bancaria influenza le decisioni delle banche. Anche le banche agiscono in condizioni di incertezza poiché neppure loro possono prevedere in termini probabilistici i redditi futuri connessi alla realizzazione della ferrovia. Quindi di fronte alla richiesta di finanziamento presentata dal nostro imprenditore che desidera costruire la ferrovia le banche decideranno sulla base delle loro discrezionali valutazioni che dipendono dai loro animal spirits. Potrebbero quindi decidere di non finanziare la ferrovia se giudicassero l‟investimento troppo rischioso e le previsioni dell‟imprenditore troppo ottimistiche. Le banche quindi non si limitano a fissare il 109 tasso di interesse e a soddisfare tutta la domanda di credito che le imprese esprimono a quel tasso, ma selezionano i progetti di investimento e possono decidere di razionare il credito , cioè di non soddisfare parte della domanda di credito (fig. 1) Secondo la Teoria dei fondi mutuabili, se il tasso di interesse è pari a rNAT = 2%, a fronte di una domanda di credito pari a I0 , ci sarà un‟offerta di credito equivalente alla domanda stessa: Ls0 = I0= S (YPO) Invece secondo la Teoria Keynesiana l‟offerta di credito è indipendente dalle decisioni di risparmio e le banche, in corrispondenza del tasso di interesse naturale, potranno offrire credito in misura inferiore alla domanda di credito. se Ls1 < Ls0 I1 < I0 Y1 < YPO. Quando le banche non soddisfano una parte della domanda di credito si parla di razionamento del credito. Possiamo descrivere una situazione di razionamento del credito modificando le equazioni che descrivono il mercato del credito esplicitate nel par. 2.2.2. Avremo quindi: 1. ∆Ld = I = OB → la domanda di credito indica il flusso di credito domandato dalle imprese in un certo periodo per finanziare le decisioni di investimento; 2. I = I (п; rL) funzione degli investimenti; 3. il tasso di interesse sui prestiti bancari viene fissato dalle banche in funzione del tasso ufficiale di sconto rS, ossia del tasso al quale le banche possono ottenere finanziamenti dalla BC: rL = 4. Ls = S* (1 + q ) con q > 0 = OA l‟offerta di credito viene autonomamente determinata dalle banche sulla base della valutazione dei progetti di investimento. 110 = OA < Ld = OB quindi si ha razionamento del credito. 3. Speculazione e intraprendenza nell’analisi di Keynes. La presenza di moneta bancaria e il legame tra moneta bancaria, decisioni di investimento e incertezza ci consentono di spiegare un altro importante fenomeno che caratterizza una monetary economy: la speculazione. Questo fenomeno può essere definito sulla base di due concetti la cui rilevanza deriva dalla presenza di una moneta come la moneta bancaria. Il primo è costituito dal concetto di ricchezza. Il fenomeno della speculazione è associato infatti al problema della scelta di un soggetto economico relativa alla composizione della ricchezza. Questo problema è ben evidenziato da Keynes quando osserva che ogni individuo che riceve un reddito monetario deve prendere una doppia decisione: deve decidere in primo luogo quanta parte del reddito destinare all‟acquisto di beni di consumo e quanta parte risparmiare. Il reddito risparmiato si somma alle attività patrimoniali possedute dal nostro soggetto il quale dovrà quindi prendere una seconda decisione relativamente alla composizione della propria ricchezza; deve decidere cioè, se accumulare moneta o se cedere moneta in cambio di altre attività patrimoniali, titoli di credito o beni durevoli. Il fenomeno della speculazione diventa rilevante in un mondo in cui i soggetti economici accumulano ricchezza e l‟accumulazione della ricchezza assume significato in una monetary economy caratterizzata da moneta bancaria, decisioni di investimento e incertezza, cioè come abbiamo visto, in una economia caratterizzata dalla produzione di più beni. In un mondo in cui si produce un solo bene infatti, è difficile definire il concetto di ricchezza; la relazione tra decisioni di risparmio e ricchezza che Keynes descrive presuppone che la ricchezza possa crescere all‟infinito, che non esistano limiti alle dimensioni della ricchezza. Questa ipotesi non si applica ad un mondo in cui si produce un solo bene; infatti in un mondo che produce grano è difficile pensare ad individui che accumulano una ricchezza senza limiti fatta di grano, e questo per due ragioni. In primo luogo il grano è deperibile, non è quindi possibile accumulare grano per un futuro 111 lontano, e in secondo luogo possiamo ipotizzare che esista un limite fisico alla quantità di grano che un individuo desideri accumulare (ed è questo limite che spiega le ragioni per cui i consumi non crescono in misura pari al reddito); è difficile quindi introdurre il concetto di ricchezza in un mondo basato sulle decisioni di consumo, in quella che Keynes definisce una real exchange economy. In una monetary economy invece, il concetto di ricchezza diventa significativo perché la moneta non è deperibile e quindi può essere accumulata per essere utilizzata (spesa) in un periodo futuro indefinito. Naturalmente questa possibilità presuppone che esistano numerosi beni che possono essere acquistati; beni che possono essere divisi in due categorie. Beni che servono a soddisfare i bisogni assoluti, che corrispondono al grano o al pesce, e beni che servono a soddisfare i bisogni relativi per i quali come osserva Keynes, non esistono necessariamente dei limiti: “… occorre tener presente che (i bisogni degli essere umani) si suddividono in due categorie –quelli assoluti, che emergono in qualunque situazione i nostri simili si trovino a vivere, e quelli relativi, che si manifestano solo se la loro soddisfazione ci pone, o ci fa sentire, al di sopra dei nostri simili. I bisogni del secondo tipo, quelli generati dal desiderio di superiorità, crescono insieme al tenore di vita, e possono in effetti diventare insaziabili. Ma per i bisogni assoluti le cose vanno diversamente…” (Keynes, Possibilità economiche per i nostri nipoti, 1931, p. 20) Attraverso le innovazioni finanziate mediante la creazione di moneta, in una monetary si moltiplica l‟offerta di beni che servono a soddisfare i bisogni relativi; questo giustifica il desiderio degli individui di accumulare ricchezza in forma monetaria. La presenza della moneta bancaria, come abbiamo visto usando l‟esempio della ferrovia realizzata all‟interno di una economia che produceva solo grano, consente da un lato all‟imprenditore di realizzare l‟investimento poiché il produttore di grano non sarebbe disposto a finanziare direttamente l‟imprenditoreinnovatore e dall‟altro consente al risparmiatore, che ha ottenuto un reddito grazie proprio alla costruzione della ferrovia, di accumulare ricchezza accumulando moneta. L‟impiego della moneta bancaria permette quindi, di spiegare da un lato la presenza di una quota rilevante di investimenti e dall‟altro il fenomeno del risparmio e dell‟accumulazione di ricchezza. La presenza della moneta bancaria 112 serve a giustificare la relazione causale tra decisioni di investimento e decisioni di risparmio che caratterizza il principio keynesiano della domanda effettiva e permette di sottolineare che il fenomeno del risparmio ha natura diversa rispetto a quello definito considerando la corn economy di Smith. Infatti nel caso della corn economy possiamo affermare che gli investimenti derivano dalla decisione di alcuni individui di non consumare il grano prodotto; da questa decisione scaturiscono gli investimenti. Questo è evidente nel caso in cui il risparmiatore sia anche colui che utilizza il grano per aumentare la produzione futura, ma rimane valida anche nel caso in cui il grano risparmiato venga prestato ad un imprenditore. Questa non vale nel caso della ferrovia; l‟investimento della ferrovia non scaturisce dalla decisione di risparmiare grano, e dei produttori di grano di prestare grano all‟imprenditore che intende costruire la ferrovia ma dalle decisioni dell‟imprenditore-innovatore e della banca che lo finanzia creando nuova moneta. E‟ la domanda di grano finanziata dalla nuova moneta che spinge i produttori a produrre grano: essi infatti sono disposti a cedere grano in cambio di moneta: sono disposti cioè ad accumulare risparmio in forma di moneta mentre non sono disposti ad accumulare grano. Le decisioni di risparmio sono quindi una conseguenza delle decisioni di investimento finanziate dalle banche; questa relazione causale che caratterizza il principio keynesiano della domanda effettiva, è descritta nel modello macroeconomico presentato nei paragrafi precedenti; il mercato del credito permette di definire il livello degli investimenti, quindi si determina il livello del reddito e la specificazione del mercato della moneta permette di definire le condizioni che inducono i possessori di ricchezza ad accumulare la moneta creata dalle banche. Veniamo ora al secondo elemento che permette di definire il fenomeno della speculazione; questo secondo elemento è costituito dalla presenza di strumenti finanziari a lungo termine il cui valore futuro è incerto, in senso keynesiano, poiché è legato ai profitti futuri generati dagli investimenti (la costruzione della ferrovia) oppure al valore fluttuazioni del tasso di interesse. 113 Possiamo considerare due categorie di questi strumenti: i titoli a lungo termine e le azioni. Keynes considera i titoli a lungo termine quando definisce la domanda speculativa di moneta e osserva che per giustificare la relazione tra domanda di moneta e tasso di interesse è necessario introdurre l‟incertezza sul valore futuro del tasso di interesse. Le fluttuazioni del tasso di interesse influenzano in modo significativo il valore di mercato dei titoli e quindi il rendimento dei titoli se si considerano titoli a lungo termine, e la presenza di titoli a lungo termine è giustificata se si esce dal mondo grano di Smith e si considerano investimento che producono risultati in un futuro lontano come nel caso della costruzione della ferrovia. La presenza di titoli a lungo termine può essere spiegata dal fatto che, come osserva Keynes distinguendo tra finance e funding, le imprese che realizzano investimenti a lungo termine possono decidere di sostituire i prestiti bancari con l‟emissione di titoli. L‟altro strumento finanziario è costituito dalle azioni. Keynes osserva che la diffusione delle azioni e l‟importanza della presenza di mercati in cui si scambiano continuamente azioni caratterizza una fase in cui la proprietà e la gestione delle imprese sono separate. La proprietà dell‟impresa è frazionata tra un grande numero di proprietari ognuno dei quali possiede soltanto una quota molto piccola dell‟impresa. Anche il passaggio da una fase in cui proprietà e controllo di una impresa erano concentrate in una sola persona, alla fase in cui queste due dimensioni sono separate può essere collegato alla crescita dell‟importanza delle decisioni di investimento che portano alla produzione di nuovi beni e quindi alla presenza di incertezza. Questi elementi consentono di definire il fenomeno della speculazione. Nella Teoria Generale Keynes definisce il significato di questo fenomeno distinguendo tra intraprendenza e speculazione; egli infatti propone di: “… applicare il sostantivo speculazione all‟attività di prevedere la psicologia del mercato, e il sostantivo intraprendenza all‟attività di prevedere il rendimento prospettico dei beni capitali per tutta la durata della loro vita…”(Keynes 1936, 345, 8) Esiste un elemento che accomuna l‟attività dello speculatore a quella dell‟imprenditore ed è costituita dal fatto che entrambe si basano su previsioni, su aspettative anche se si tratta di aspettative diverse. L‟imprenditore prende le sue 114 decisioni sulla base delle aspettative circa i profitti futuri degli investimenti “per tutta la durata della loro vita” e ricordiamo che secondo Keynes questo richiede attitudini particolari, gli imprenditori sono individui dotati di animal spirits, mentre lo speculatore deve: “prevedere la psicologia del mercato”. Per comprendere il significato di questa espressione è necessario sottolineare gli effetti derivanti dalla presenza di strumenti finanziari come i termine e le azioni, e di titoli a lungo mercati sui quali questi strumenti vengono scambiati continuamente; Keynes li descrive in modo efficace (Keynes 1936, 336, 7) Lo speculatore e colui che vende o acquista titoli o azioni con l‟obiettivo di ottenere un guadagno in conto capitale; le aspettative che influenzano le sue scelte riguardano il valore futuro delle attività finanziarie. Anche queste aspettative vengono elaborate in condizioni di incertezza; questo però non impedisce a Keynes di fare alcune interessanti considerazioni sul processo che porta alla elaborazione di queste aspettative. Keynes distingue due categorie di speculatori: speculatori professionali → coloro che prendono le loro decisioni raccogliendo informazioni sulla situazione economica delle varie imprese, elaborando valutazioni circa il valore futuro delle stesse. Si tratta di decisioni prese sulla base dei cosiddetti fondamentali. individui ignoranti → coloro che acquistano e rivendono titoli di un‟impresa senza avere una cognizione sulle informazioni relative all‟impresa o al sistema economico. (Keynes 1936, 340, 9, 11.1) Keynes osserva inoltre, che nei mercati finanziari, a differenza di quanto potrebbe sembrare logico, prevalgono gli effetti delle scelte del secondo gruppo di speculatori (Keynes 1936, 340-1, 11.1-12). E questo condiziona il comportamento degli speculatori professionali per i quali sarà più redditizio non tanto elaborare previsioni sulla base della loro capacità di analizzare i dati disponibili, ma piuttosto cercare di prevedere come il mercato valuterà i titoli e le azioni. (Keynes 1936, 341, 12) Keynes definisce le valutazioni del mercato, valutazioni convenzionali, valutazioni che sono basate su: “… fattori che in realtà non esercitano una grande 115 influenza sul rendimento prospettico” (Keynes 1936, p. 340, 11) e quindi aggiunge che si tratta di valutazioni soggette a: “… variazioni violente”. Per descrive il comportamento degli speculatori professionali Keynes usa la metafora del concorso di bellezza (Keynes 1936, p. 342, 13) Infine Keynes si chiede in che modo la speculazione possa influenzare le decisioni di investimento. Egli distingue due tipi di investimento; il primo consiste nell‟ampliare lo stock produttivo esistente, cioè nel realizzare ad esempio, nuove imprese simili a quelle esistente. La speculazione, modificando continuamente le valutazioni delle imprese esistenti, influenzerà la scelta di costruire nuove imprese simili: “…le rivalutazioni giornaliere alla borsa dei titoli, pur essendo destinate principalmente ad agevolare il trasferimento di investimenti vecchi da un individuo all‟altro, esercitano inevitabilmente un‟influenza decisiva sull‟ammontare degli investimenti correnti. Non avrebbe senso, infatti, creare una impresa nuova ad un costo superiore a quello al quale può acquistarsi un‟impresa simile già esistente; mentre vi è un incentivo a spendere per un progetto nuovo una somma che può sembrare stravagante, se il progetto può venire collocato nella borsa dei titoli realizzando un profitto immediato. Quindi certe categorie di investimenti sono governate dalle aspettative medie di coloro che operano nella borsa dei titoli, quali si rivelano nel prezzo delle azioni, piuttosto che dalle aspettative genuine dell‟imprenditore professionale.” (Keynes 1936, p. 337, 14) Il secondo tipo di investimenti è quello al quale Keynes associa i concetti di aspettative a lungo termine, di incertezza, di intraprendenza e di animal spirits. Esempi di questi investimenti sono, come si è visto: la costruzione di una ferrovia, di un transatlantico, di un nuovo medicinale. Poiché da queste decisioni dipende il benessere della collettività1, Keynes si chiede in che modo la speculazione possa influenzare questo tipo di investimenti. Egli osserva che la presenza di mercati finanziari molto liquidi e di una intensa attività speculativa può ostacolare la realizzazione di questi investimenti poiché la speculazione può offrire più facili occasioni di guadagno: “L‟investimento basato su genuine aspettative a lungo termine è oggi così difficile da essere scarsamente praticabile. Chi cerca di realizzarlo deve certamente condurre giornate più laboriose e incorrere in rischi maggiori di chi si ingegna di indovinare meglio della folla come la folla stessa si comporterà; e, a parità di intelligenza, potrà compiere errori più disastrosi. … Occorre un‟intelligenza maggiore per sconfiggere le forze del tempo e 1 “E‟ pacifico che l‟intraprendenza fondata su speranze che si estendono nel futuro torna a beneficio della collettività in complesso” (Keynes 1936, p. 348, 20 ) 116 la nostra ignoranza che per gabbare il prossimo. Per di più, la vita non è lunga abbastanza: la natura umana desidera risultati solleciti, vi è un gusto particolare nel far denaro alla svelta, e i guadagni futuri sono scontati dall‟uomo medio ad un tasso molto alto.” (Keynes 1936, p. 343, 15-16)) Keynes quindi vede il rischio che la speculazione possa comprimere l‟intraprendenza: “Gli speculatori possono non causare alcun male, come bolle d‟aria in un flusso continuo di intraprendenza; ma la situazione è seria quando l‟intraprendenza diviene la bolla d‟aria in un vortice di speculazione. Quando lo sviluppo del capitale di un paese diventa un sottoprodotto delle attività di una casa da gioco, è probabile che vi sia qualcosa che non va bene. I successi conseguiti da Wall Street, come organo rispondente alla specifica funzione sociale di instradare l‟investimento nuovo nelle direzioni più redditizie in termini di rendimento futuro, non si possono certo ritenere uno dei più clamorosi successi del capitalismo del laissez-faire; né vi è da stupirsene, se è corretto il mio coinvincimento che le menti migliori di Wall Street sono state di fatto rivolte verso scopi diversi” (Keynes 1936, p. 345, 18) La prevalenza della speculazione sull‟intraprendenza avrebbe costi sociali molto rilevanti: “Lo scopo sociale dell‟investimento consapevole dovrebb‟essere di sconfiggere le oscure forze del tempo e dell‟ignoranza che avviluppano il nostro futuro. Invece, lo scopo privato dei più esperti investitori di oggi è to beat the gun come dicono gli americani (scattare prima del segnale di partenza), mettere nel sacco la gente, riuscire a passare al prossimo la moneta cattiva o svalutata.” (Keynes 1936, p. 341, 19) Per questa ragione Keynes conclude il capitolo chiedendosi quali misure potrebbero essere adottate per frenare il fenomeno della speculazione. Egli considera favorevolmente l‟introduzione di una imposta sulle negoziazioni che potrebbe ridurre la liquidità dei mercati. Keynes accenna inoltre all‟introduzione di misure più drastiche che limitino fortemente la liquidità del mercato, anche se riconosce che queste misure potrebbero avere effetti negativi sugli investimenti: “Lo spettacolo dei moderni mercati di investimento mi ha talvolta portato alla conclusione che un rimedio utile per i nostri mali contemporanei potrebbe essere quello di rendere un investimento permanente e indissolubile come il matrimonio, salvo che per causa di morte o altro grave motivo. In tal modo, infatti, si obbligherebbe l‟investitore ad orientare la sua mente verso le prospettive di lungo termine e verso queste soltanto. Ma se si riflette un momento su questo espediente, si vede come si urti contro un dilemma, e ci si rende conto come la liquidità del mercato spesso faciliti – benché talvolta ostacoli – l‟attuazione di nuovi investimenti. Giacché il fatto che ciascun investitore singolo si compiace di considerare “liquido” il suo investimento (benché questo non possa valere per tutto l‟insieme degli investitori) tiene calmi i suoi nervi o lo rende assai più disposto ad assumersi un rischio.” (Keynes 1936, p. 346-7) 117 118