La necessaria concordanza tra formanti

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La necessaria concordanza tra formanti: il livello di litigiosità giurisdizionale quale
parametro di valutazione dei diversi modelli di regolazione legislativa nel biodiritto?
Simone Penasa ∗ – Università di Trento
1. La premessa concettuale: il coinvolgimento plurale delle istanze sociali quale fattore di
evoluzione giuridica.
Il biodiritto sembra assumere una funzione tanto descrittiva quanto prescrittiva nei confronti della
ormai “classica” (quasi stereotipata e meccanicamente evocata)1 crisi del diritto, o meglio di ciò che
del diritto è la tradizionale emanazione moderna, la legge. Descrittiva, in quanto la regolazione per
mezzo della legge di ambiti della realtà socio-culturale connessi allo sviluppo tecnologico ed alla
sua applicazione alle scienze della vita emerge come esempio paradigmatico della inadeguatezza
del solo strumento legislativo (così come storicamente concepito, prodotto ed attuato) a garantire
ragionevoli, fisiologici ed adeguati livelli di efficacia e certezza normativa 2 ; ma allo stesso tempo,
paradossalmente, il biodiritto pare esprimere una forza ulteriore, intimamente creatrice di inediti
percorsi regolativi, già in atto – seppur in nuce – in alcuni ordinamenti giuridici stranieri (Regno
Unito, Canada, ma anche Spagna e Svizzera), nei quali non si assiste ad una rinuncia dello
strumento legislativo ma piuttosto ad una sua rimodulazione attraverso la contaminazione con
saperi e formanti extragiuridici, realizzando modelli normativi basati sul principio della
partecipazione plurale dei soggetti – individuali e collettivi – coinvolti.
Il punto di partenza consiste nel riconoscimento della pluralità tendenzialmente conflittuale che
connota l’ambito “biogiuridico” quale uno di quei fattori dell’evoluzione sociale che, se inclusi nel
circuito normativo prima costituzionale e quindi legislativo, possono divenire «fattori
dell’evoluzione giuridica» 3 da un lato e di stabilizzazione sociale dall’altro. La struttura teleologica
del sistema costituzionale italiano si dimostra compatibile con una siffatta interazione:
l’incorporazione della pluralità sociale a livello costituzionale non determina infatti un quadro
(pre)definito di priorità tra interessi e principi antagonisti (BIN 8) ma esprime una funzione di
neutrale inclusione, attraverso il duplice imperativo del mantenimento del pluralismo dei valori e
del loro confronto leale 4 , assegnando alla costituzione il compito di realizzare «la condizione di
possibilità della vita comune, non il compito di realizzare direttamente un progetto predeterminato
di vita comune» 5 . Del resto, il «valore centrale del pluralismo in un ordinamento democratico»
viene sancito dalla stessa Corte costituzionale (sent. 826/1988; 348/1990), che lo riconosce quale
«uno dei requisiti essenziali della vita democratica» (sent. 187/1990), attraverso il quale la
costituzione non assume la natura di punto d’approdo, solenne codificazione di rapporti tra interessi
consolidati ed immodificabili, ma di punto di partenza, in quanto struttura giuridica dalla quale è
possibile ricavare indicazioni procedurali attraverso le quali realizzare – e non meramente eseguire
– la costituzione medesima, in uno dei mutevoli equilibri in cui può rendersi effettiva 6 .
∗
Dottore di ricerca in “Studi Giuridici Comparati ed Europei” presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento.
Già TARELLO G., Sul problema della crisi del diritto, Giappichelli, 1957, pag. 9, si esprimeva in termini di «atmosfera
di crisi e ineluttabilità del relativo problema», affermando che «la crisi è d’attualità; forse si potrebbe dire di moda»
(pag. 10); secondo GALGANO F., La globalizzazione e le fonti del diritto, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1,
206, pag. 315, «la crisi era già conclamata negli anni ‘30».
2
Infatti, «la crisi legislativa (…) si risolve nella perdita di prestigio della legge, e così si favorisce la disobbedienza, che
è il bacillo della lite come del reato», secondo CARNELUTTI F., La morte del diritto, in AA. VV., La crisi del diritto,
Cedam, 1953, pag. 181, citato da TARELLO G., op. cit., pag. 17.
3
TARELLO G., op. cit., pag. 65.
4
ZAGREBELSKY G., Il diritto mite, Einaudi, 1992, pag. 11.
5
Ivi, pag. 9.
6
RUGGERI A., Neoregionalismo, dinamiche della normazione, diritti fondamentali, Relazione tenuta al Convegno su
“Regionalismo differenziato: il caso italiano e spagnolo” (Messina, 18-19 ottobre 2002), in
http://www.giurcost.org/studi/ruggeri2.htm.
1
Dal quadro appena delineato, sembra emergere – all’interno dell’ordinamento giuridico – una
differenziazione tra i livelli di approccio alla “pluralità sociale”, che sembrano corrispondere alla
tradizionale distinzione in formanti del fenomeno giuridico tipica del diritto comparato: una delle
tesi di questo paper consiste proprio nella possibilità di considerare il biodiritto – in termini di
comparazione giuridica – un “elemento determinante”, in grado di svolgere, esprimendo sul piano
giuridico il sistema dei valori sociali fondamentali, una funzione distintiva decisiva per la
riconduzione di un sistema ad un determinato modello giuridico. Tale ipotesi può essere espressa
dal seguente quesito: il fatto che sistemi giuridici sussumibili all’interno della medesima famiglia
esprimano, in ambito biogiuridico, discipline normative che sembrano rispondere a modelli
teleologici e funzionali distinti quando non contrapposti può rappresentare un elemento rilevante
anche a livello di macrocomparazione in vista di una ridefinizione delle tradizionali frontiere
interfamiliari? È possibile, da tale differenziazione, dedurre una ulteriore ipotesi classificatoria che,
in forza di un approccio metodologico volto ad analizzare tanto le finalità teoriche perseguite
quanto gli strumenti della loro realizzazione pratica 7 , si inserisca in modo trasversale all’interno
delle famiglie giuridiche classiche, in coerenza con le peculiari caratteristiche che i singoli formanti
(in particolare, il legislativo e quello giurisprudenziale) esprimono pur all’interno della medesima
famiglia giuridica?
2. La premessa metodologica: la concordanza tra formanti giuridici quale condizione
dell’evoluzione giuridica.
Preliminarmente, sembra opportuno insistere sulla coincidenza tra diversi livelli di approccio alla
pluralità sociale e corrispondenti formanti giuridici, individuando una tripartizione che assegna a
ciascun formante una determinata funzione nel rapporto tra esperienza sociale ed esperienza
giuridica. Ad un primo – superiore – livello, si situa la funzione di inclusione del conflitto sociale,
esercitata dalla costituzione pluralista, che individua la formula politica istituzionalizzata8 quale
fattore di integrazione e quale realtà connotativa della struttura ordinamentale 9 ; quindi, la funzione
di regolamentazione del conflitto, che si esprime a livello di legislazione ordinaria, attraverso
«disposizioni destinate a precisare (…) il comportamento dei membri della società al fine di
garantire la pace sociale» 10 , utilizzando gli strumenti costituzionali al fine di individuare
«contingenti e mutevoli assetti di equilibrio tra gli interessi sociali»11 , in vista di «prevenire i
conflitti e quindi assicurare preventivamente la pace sociale» 12 ; infine, la funzione di risoluzione dei
conflitti – o di controllo per utilizzare la terminologia di Constantinesco – che corrisponde
all’esercizio della giurisdizione ed interviene quando l’intervento di prevenzione del conflitto
sociale svolto dal legislatore si sia rivelato inefficace o insufficiente, ristabilendo successivamente
per via rimediale l’equilibrio tra gli interessi rilevanti al fine di ricomporre ad organicità i diversi
livelli del sistema giuridico.
Inclusione costituzionale, regolamentazione legislativa e risoluzione giurisdizionale rappresentano
pertanto distinte fasi necessarie nel rapporto tra esperienza sociale ed esperienza giuridica, ma
perché tale rapporto si traduca in certezza del diritto deve ricomporsi ad unità sistemica, attraverso
l’effettiva realizzazione da parte di ogni livello della rispettiva funzione. Riconosciutane
l’immedesimazione con i corrispondenti formanti giuridici, l’esigenza di ordine e di sistematicità
7
Come noto, SACCO R., Introduzione al diritto comparato, IV edizione, 1990, pag. 73, ha evidenziato come la
«distinzione (e la dissociazione) fondamentale in materia di formanti, corre fra le regole operazionali, da un canto, e le
formulazioni elaborate per recitare e illustrare le regole operazionali, dall’altro canto».
8
Utilizzando il concetto individuato da LOMBARDI G., Premesse al corso di diritto pubblico comparato, Giuffrè,
Milano, 1986.
9
Per un interessante riferimento, TONIATTI R. (a cura di), Il diritto pubblico comparato, in SACCO R., Che cos’è il
diritto comparato, Giuffrè, 1992, pag. 168.
10
CONSTANTINESCO L.-J., La scienza dei diritti comparati, Giappichelli, 2003, pag. 259.
11
BIN R., Che cos’è la Costituzione, in Quaderni costituzionali, 1, 2007, pag. 32.
12
CONSTANTINESCO L.-J., op. cit., pag. 259.
sembra coinvolgere direttamente i secondi, ed in particolare sembra emergere una necessità di
armonizzazione tra livello legislativo e livello giurisprudenziale: se il diritto può essere considerato
un «mezzo per l’ordine sociale» 13 , la funzione di regolazione dei casi generali e quella di
risoluzione dei casi concreti devono necessariamente coordinarsi al fine di garantire certezza ed
uguaglianza attraverso una reciproca armoniosità.
Tale coordinamento tra formanti è condizione necessaria per l’evoluzione giuridica, rispetto alla
quale la funzione della giurisprudenza non può essere quella di una creatività normativa senza limiti
ma piuttosto di necessario completamento 14 del (preventivo) intervento legislativo, per garantire la
certezza e l’efficienza dell’ordinamento giuridico. L’esigenza di continuità fisiologica tra legge e
giurisdizione non è preordinata ad un ritorno all’automatismo giurisprudenziale ed alla negazione di
una fase interpretativa inscindibile all’applicazione della legge, in quanto «l’adeguamento del diritto
ai mutamenti della realtà non può essere rimesso solo ad uno strumento rigido, qual è la legge» ma
«richiede anche uno strumento flessibile, qual è la giurisprudenza» 15 , che diviene fattore
imprescindibile di chiusura del «gap tra la legge e la vita» 16 . L’attività interpretativa dei giudici
appare quindi necessaria, in particolare in un ambito fluido ed in costante evoluzione quale è quello
delle applicazioni tecnologiche alle scienze della vita, venendosi a porre come mediazione tra regola
giuridica e realtà sociale 17 . Ma proprio la natura di mediazione dell’intervento giurisdizionale
esprime una esigenza ulteriore: la mediazione presuppone la terzietà, condizione costitutiva (nonché
costituzionale) della figura del giudice, la quale è assunta come garanzia di certezza giuridica e di
uguaglianza dei cittadini davanti alla legge; se la funzione di mediazione presuppone la terzietà del
giudice e se la terzietà è finalizzata all’uguaglianza davanti alla legge, l’esercizio di creatività
discrezionale deve trovare nel formante legislativo criteri certi e stabili (anche se non immobili),
che lo legittimino attraverso una «autorizzazione a produrre diritto giurisprudenziale all’interno ed
attorno alla legge» 18 .
Un tale assetto tra formanti assume un rilievo ancor più stringente in ambito biogiuridico, nel quale
il raccordo tra legislatore e giudici appare necessario per evitare che il fisiologico ritardo della
risposta normativa all’evoluzione della realtà scientifica non degeneri ad una dimensione
patologica, nella quale verrebbe a perdere la propria capacità ordinatoria. Se quindi l’azione
concretamente normante della giurisprudenza appare indispensabile in funzione integrativa del
preventivo intervento legislativo, dal momento che «il legislatore è solo uno degli ingranaggi del
diritto» 19 e che «la pura legge non è tutto il diritto» 20 , tuttavia tale funzione non può risolversi in
una sostituzione della legge, perché verrebbero meno le necessarie garanzie di certezza giuridica.
Ma affinché tale complementarietà non degeneri in sostituzione, in supplenza, il prodotto legislativo
deve – come dichiarato in precedenza – assumere caratteri sostanziali e procedurali che ne
consentano una applicazione creativa e non una surrogazione creatrice (di creatività condizionata
parla Zaccaria R., op. cit.).
La necessaria preesistenza del formante legislativo sembra rappresentare un elemento di
armonizzazione tra le famiglie giuridiche, in particolare in ambito biogiuridico (PMA in UK, USA,
CANADA), con un generale riconoscimento di una sua tendenziale prevalenza rispetto al formante
giurisprudenziale, seppur in base a distinti livelli di pervasività nei diversi modelli giuridici. Ma il
dato costante sembra essere il riconoscimento del fatto che «la creatività del giudice non possa
13
BARAK A., La natura della discrezionalità giudiziaria e il suo significato per l’amministrazione della giustizia, in
Politica del diritto, 1, 2003, pag. 14.
14
ZACCARIA G., Il giudice e l’interpretazione, in Politica del diritto, 3, 2006, pag. 463.
15
GALGANO F., La globalizzazione e le fonti del diritto, op. cit., pag. 320.
16
BARAK A., La natura della discrezionalità giudiziaria e il suo significato per l’amministrazione della giustizia, op.
cit., pag. 14.
17
ZACCARIA G., Il giudice e l’interpretazione, in Politica del diritto, op. cit., pag. 463.
18
BARAK A., La natura della discrezionalità giudiziaria e il suo significato per l’amministrazione della giustizia, op.
cit., pag. 16.
19
MONATERI P. G., MATTEI U., Introduzione breve al diritto comparato, Cedam, 1997, pag. 34.
20
SACCO R., Introduzione al diritto comparato, op. cit., pag. 60.
essere considerata come assimilabile o alternativa rispetto a quella del legislatore», dal momento
che il primo «opera in ogni caso su un dato normativo preesistente» e la sua attività – nonostante un
ineliminabile margine di “apprezzamento” funzionale alla concretizzazione del dato legislativo –
viene comunque dal secondo «pre-indirizzata entro binari obbligati» 21 . Discrezionalità
giurisprudenziale e creazione legislativa possono e devono convivere, in un rapporto di reciproca
dipendenza, all’interno di una sequenza logica nella quale l’esercizio della necessaria funzione di
regolamentazione (legge) deve precedere la eventuale funzione di risoluzione dei conflitti concreti
da parte della giurisprudenza: un rapporto di derivazione della seconda rispetto alla prima, quindi,
che oltre ad esprimere l’idoneità della giurisprudenza ad inverare la creatività della legislazione a
livello normativo, potrebbe rivelarsi – secondo un andamento circolare di reciproca integrazione 22 –
un efficace criterio per valutare la qualità del prodotto legislativo. Tale ipotesi, può essere espressa
dalla seguente domanda: può il livello di “litigiosità giurisdizionale” di una legge rappresentare un
attendibile criterio sulla base del quale valutare la qualità della legislazione?
Perché la discrezionalità dei giudici possa seguire i binari indicati dalla legge senza disegnare
percorsi stravaganti che rischiano di mettere in crisi la certezza delle posizioni giuridiche
soggettive, è quindi necessario che tali “binari legislativi” siano fondati da regole chiare, precise e
facilmente conoscibili, alla portata del giudice che dovrà applicarle 23 . Non viene quindi discussa in
questa sede la necessità – l’an – dell’intervento legislativo quanto piuttosto il modello al quale
debba ispirarsi l’attività legislativa – il suo quomodo – esigenza che assume una centralità assoluta
in ambito biogiuridico, dove il “come” dell’intervento produce una immediata ricaduta
sull’effettività dell’intervento normativo. In tale contesto, il livello di conflittualità della legge,
espresso dall’attività di risoluzione dei conflitti da parte dei giudici, potrebbe rappresentare un
criterio indicativo sulla base del quale valutare la qualità di diversi modelli di regolazione
legislativa: per mettere alla prova tale ipotesi, è necessario condurre una comparazione sincronica
tra sistemi giuridici che assumono – in ambito biogiuridico – modelli di regolazione alternativi,
considerando successivamente la giurisprudenza “di risulta” che deriva dalla loro concreta
applicazione.
Complessivamente, sarebbe possibile concludere che «l’orientamento complessivamente adottato
nei sistemi giuridici appartenenti alla western legal tradition, sia di common law che di civil law, si
muove verso il modello (variamente) interventista» 24 , modello che può assumere dei connotati
talmente distinti da potere apparire confliggenti quando non contraddittori, come sembra essere il
caso delle discipline legislative oggetto di questo capitolo. In tal senso, appare condivisibile la
distinzione tra modelli interventisti a tendenza impositiva e modelli a tendenza permissiva 25 ,
essendo necessario rimarcare il fatto che di mera tendenza è possibile parlare, in quanto «a ben
vedere, nessuna legislazione, almeno fra quelle europee, assume un atteggiamento di completa
preclusione o di completa disponibilità» 26 : piuttosto, sarebbe riconoscibile una sorta di «gioco
21
ZACCARIA G., Il giudice e l’interpretazione, op. cit., pag. 467.
BRECCIA U., Immagini della giuridicità contemporanea tra disordine delle fonti e ritorno al diritto, in Politica del
diritto, 3, 2006, pag. 365.
23
SACCO R., Introduzione al diritto comparato, op. cit., pag. 80.
24
CASONATO C., Introduzione al biodiritto, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, 2006, pag. 117, il quale
riconosce come «oltre alle garanzie di (relativa) stabilità e certezza per i soggetti coinvolti nelle tematiche bioetiche, il
modello interventista è generalmente apprezzato a motivo delle possibilità di suscitare un dibattito aperto in sede di iter
di formazione legislativa i cui risultati possano poi sostenere la legittimazione dell’atto, e di favorire circuiti di
responsabilità politica e di democratic accountability» (Ibidem).
25
Per un’analisi estesa di tali modelli, che pure non vengono definiti in termini analoghi, il riferimento può andare a
BUSNELLI F. D. e PALMERINI E., Bioetica e diritto privato, in Enciclopedia del diritto, Agg., vol. V, Giuffrè, Milano,
2001.
26
ZAMBRANO V., La fecondazione assistita e il mito dell’apprendista stregone: l’esperienza comparatistica, op. cit.,
pag. 306.
22
combinato di permessi e divieti che incrociando regole e principi accomuna, con sfumature varie,
istanze di regolamentazione e libertà di autodeterminazione» 27 .
3. Il campo d’osservazione: i modelli italiano e spagnolo in materia di p.m.a., tra omogeneità
costituzionale e distinzioni legislative.
Per evidenziare una eventuale trasversalità dei modelli di regolamentazione in ambito biogiuridico
tra le tradizionali famiglie giuridiche, ipotizzando in tal senso canali di comunicazione tra identici
formanti di diverse famiglie, appare necessario optare per un’analisi comparata di sistemi giuridici
riconducibili alla medesima famiglia, una volta riconosciuta la natura determinante del ruolo
variabile dei diversi modelli all’interno di ciascun sistema giuridico 28 . La scelta si è rivolta a due
sistemi costituzionali omogenei ma caratterizzati, nella paradigmatica materia della procreazione
medicalmente assistita, da opzioni giuridiche dicotomiche a livello di legislazione ordinaria: il
riferimento è al sistema italiano e a quello spagnolo, ai quali verrà applicata la struttura tripartita
proposta in apertura che riproduce le diverse modalità di risposta dell’ordinamento all’esperienza
sociale. Ciò dovrebbe consentire di riconoscere la natura tendenziale di elemento determinante del
biodiritto (il riferimento corre agli elementi determinanti individuati da Constantinesco) rispetto alla
definzione di modelli comparati “trans-familiari”, in grado di superare (o riposizionare) le frontiere
tra civil e common law attraverso l’analisi dissociata dei formanti e delle concrete regole
operazionali espresse da ciascuno di essi.
Si evidenzierà un reciproco andamento sinusoidale dei sistemi analizzati, che si andranno
progressivamente a differenziare in corrispondenza dei vari livelli ordinamentali (costituzionelegge-giurisprudenza), esprimendo – per ciascuno dei diversi formanti che a tali livelli
corrispondono – peculiari modalità regolative (livello legislativo) e divergenti esiti applicativi
(livello giurisdizionale), pur partendo da una tendenzialmente omogenea tensione all’inclusione
della pluralità sociale (livello costituzionale). L’elemento in grado di garantire a livello sostanziale
la sistematicità di un ordinamento giuridico, che rispecchia la necessità di coerenza e linearità tra i
diversi formanti, può essere riassunto nella concordanza tra norma giuridica e sistema di valori che
è posto alla base del medesimo, concordanza che ai fini della presente indagine rileverà a due
livelli 29 : concordanza nell’elaborazione della norma, attraverso un accordo implicito tra conditor
iuris e sistema costituzionale di valori (livello della regolamentazione legislativa); concordanza fra
giudice e sistema di valori, che si esprime nell’interpretazione ed applicazione della norma in
armonia con il sistema costituzionale (livello della risoluzione giurisdizionale).
La verifica della sussistenza di tale concordanza nel rapporto tra i diversi formanti analizzati
costituirà quindi uno degli obiettivi dell’analisi del case study: la disciplina delle tecniche di p.m.a.
e le concrete operazioni normative di bilanciamento dei diversi interessi soggettivi coinvolti. Verrà
quindi verificato: come i diversi sistemi hanno scelto di utilizzare i metodi (pluralismo dei valori e
confronto leale) di inclusione costituzionale dei diversi interessi coinvolti a livello di
regolamentazione legislativa; come tale scelta legislativa abbia inciso sulla successiva fase di
concreta risoluzione dei conflitti a livello giurisdizionale; infine, se la natura e la portata
dell’intervento giurisdizionale possa costituire un elemento attendibile di valutazione della qualità e
della coerenza delle scelte legislative operate dai diversi ordinamenti.
Tale analisi si svolgerà a diversi livelli della realtà giuridica: a livello costituzionale, nel quale i
sistemi analizzati sembrano assumere un approccio analogo – soprattutto a livello di giurisprudenza
27
Ivi, pag. 307. Per una esaustiva analisi critica delle diverse discipline nazionali, in ambito europeo ma anche
internazionale, in materia di procreazione medicalmente assistita, ALKORTA IDIAKEZ I., Regulación Jurídica de la
Medicina Reproductiva. Derecho Español y Comparado, Elcano, Navarra, 2003; inoltre CASONATO C. e FROSINI T. E.
(a cura di), La fecondazione assistita nel diritto comparato, Giappichelli, Torino, 2006; GENTILOMO A., PIGA A. e
NIGROTTI S. (a cura di), La procreazione medicalmente assistita nell’Europa dei quindici, Giuffrè, Milano, 2005.
28
MONATERI P. G., MATTEI U., Introduzione breve al diritto comparato, op. cit., pag. 52.
29
Mutuando la ricostruzione di CONSTANTINESCO L.-J., La scienza dei diritti comparati, op. cit.
costituzionale – nell’analisi del rilievo giuridico delle fasi iniziali del processo biologico vitale
(“contaminazioni giurisprudenziali”); a livello legislativo, rispetto al quale al contrario un
(tendenzialmente) comune “genotipo costituzionale” viene ad assumere in ciascun ordinamento, a
contatto con il “fenotipo” rappresentato dalla realtà sociale, politica e culturale, forme (nella fase
costitutiva del prodotto legislativo) e contenuti (nella fase di approvazione) diversi quando non
dicotomici; infine, a livello giurisprudenziale, che verrà utilizzato come contesto e criterio di
valutazione in termini di effettività e di certezza delle opzioni legislative adottate. L’obiettivo è di
verificare l’efficacia sostanziale e la compatibilità sistemica dei modelli di disciplina analizzati, in
particolare in termini di coerenza, interna ed esterna, di effetti sulla realtà regolata e della loro
applicazione concreta da parte della giurisprudenza, di merito e costituzionale. I criteri che devono
orientare una classificazione basata sui risultati operativi della disciplina legislativa devono quindi
essere identificati ex ante in termini di fattibilità e di compatibilità ed ex post corrispondono alla
valutazione della razionalità e non contraddittorietà degli esiti applicativi rispetto alle finalità attese
della legge. In tal senso, come in altra sede evidenziato, «se la finalità di una disciplina giuridica è
quella di garantire la protezione di determinate posizioni giuridiche soggettive, condizione
indefettibile consiste nel fatto che essa sia connotata nel senso di una concreta effettività di
tutela» 30 , essendo al contempo necessario condurre una ulteriore valutazione della corrispondenza
tra ratio legis e strumenti giuridici utilizzati 31 .
Il contesto legislativo che delimiterà il campo d’indagine sarà, per quanto riguarda l’ordinamento
italiano, alla ormai celeberrima legge n. 40 del 2004, mentre l’ordinamento spagnolo è stato
caratterizzato da una complessiva riforma in materia, dal momento che la Ley 14/2006, del 26
maggio, “sobre técnicas de reproducción humana asistida” ha integralmente sostituito,
abrogandole, le precedenti leggi in materia, la Ley 35/1988 e la successiva legge di riforma parziale,
Ley 45/2003 32 . L’opzione critica consiste – come accennato supra – nell’individuare il modello di
regolamentazione adottato da ciascun sistema, valutandone la coerenza tanto verso l’alto
(costituzione) quanto verso il basso (fatti), utilizzando come parametro valutativo la litigiosità
causata dall’applicazione dei rispettivi strumenti legislativi. Ciò, nella consapevolezza che
l’esperienza giuridica dai fatti deve partire, quali fattori di stimolo «del legislatore o degli attori
coinvolti nei singoli “cicli funzionali” da cui prendono corpo le fonti del diritto», per poi ritornarvi,
in quanto «saranno poi gli operatori a valutare il prodotto normativo che ne consegue, il suo
impatto, la sua razionalità» 33 .
4. La fase dell’inclusione costituzionale della pluralità sociale: tendenziale convergenza
omogeneità dei modelli costituzionali analizzati.
Per quanto riguarda i meccanismi costituzionali di inclusione della pluralità sociale (rectius, sociale
e scientifica), dalla comparazione tra i modelli considerati emerge prima facie una sostanziale
omogeneità rispetto alla consistenza costituzionale attribuita alle fasi iniziali della vita umana. La
Corte costituzionale italiana ha infatti riconosciuto, per un verso, «fondamento costituzionale» alla
30
Si consenta il riferimento a PENASA S., La procreazione medicalmente assistita: due modelli a confronto, in
CAMASSA E. e CASONATO C. (a cura di), La procreazione medicalmente assistita: ombre e luci, Quaderni del
Dipartimento, 2005, pag. 129.
31
Infatti, «non ha senso partire da una (astratta) qualificazione legislativa per interpretare i fatti della vita, ma è
necessario ritornare ad una corretta impostazione del rapporto tra sistema degli enunciati ed esperienza sociale senza
pensare che un artificioso modo di intendere la tecnica legislativa possa comprometterne l’equilibrio», secondo LIPARI
N., Legge sulla procreazione assistita e tecnica legislativa, in Rassegna parlamentare, n. 2, 2005, pag. 359.
32
In materia, nella dottrina italiana, IACOMETTI M., La procreazione medicalmente assistita nell’ordinamento spagnolo,
in CASONATO C. e FROSINI T. E. (a cura di), La fecondazione assistita nel diritto comparato, Giappichelli, 2006, pagg.
37 ss.; PENASA S., La procreazione medicalmente assistita: due modelli a confronto, in CAMASSA E. e CASONATO C. (a
cura di ), op. cit., pagg. 93 ss.;
33
VERONESI P., Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Giuffrè, 2007, pag. 16.
tutela del concepito34 , «sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie», interpretando in
senso estensivo l’articolo 2 della Costituzione; ma ha al contempo specificato che «questa
premessa», sulla base della quale verrà in successive sentenze dichiarata la natura
costituzionalmente vincolata di quelle leggi volte a garantire un livello minimo di tutela al
concepito, «va accompagnata dall’ulteriore considerazione che l’interesse costituzionalmente
protetto relativo al concepito può venire in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela
costituzionale e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo prevalenza totale ed assoluta,
negando ai secondi adeguata protezione» (sent. 27/1975). Quindi, prosegue la Corte nella sentenza
citata, «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è
già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare».
Anche quando la Corte, riconoscendo che il «diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia
da iscriversi tra i diritti inviolabili (…) che occupano nell’ordinamento una posizione privilegiata»,
ha affermato esplicitamente – innovando rispetto alla precedente qualificazione di «situazione
giuridica» contenuta nella sentenza del 1975 – il «diritto del concepito alla vita», ha comunque
altrettanto espressamente sancito che «tale diritto può essere sacrificato solo nel confronto con
quello, pure costituzionalmente tutelato e da iscriversi tra i diritti inviolabili, della madre alla salute
e alla vita» 35 .
Nel necessario bilanciamento tra fondamentale diritto alla salute (e non solo alla vita) della madre e
diritto del concepito alla vita, sembra quindi destinata a prevalere la protezione del primo, a
condizione che vengano prese le «cautele necessarie per impedire che l’aborto venga procurato
senza serii accertamenti sulla realtà e la gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla
madre» (sent. 27/1975, ripresa da sent. 26/1981). Come ogni intervento medico, anche
l’interruzione volontaria di gravidanza, per risultare lecita, deve quindi essere «ancorata ad una
previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla» (sent. 27/1975): ma
verificatasi tale condizione, il bilanciamento tra salute della donna e vita del concepito dovrà
orientativamente risolversi a favore della prima. Per un verso, quindi, «la lettura combinata delle
sentenze n. 27/1975 e n. 35/1997, non consente di affermare, in ogni caso, la prevalenza degli
interessi del concepito su quelli della potenziale madre» 36 ; per altro verso, la ragionevolezza del
bilanciamento deve esprimersi a livello legislativo non conculcando una serie di principi astratti in
cui costringere ad ogni costo la realtà, ma coinvolgendo la donna gestante in una procedura intesa
quale «metodo di assunzione di responsabilità» 37 (in termini di traduzione discorsiva del
bilanciamento messo in piedi dalla sentenza n. 27/1975 (e irrigidito dalla n. 35/1997) si esprime
Veronesi P., op. cit., pag. 135). Un metodo – quello procedurale di natura discorsiva – che non
sembra essere stato ritenuto efficace, quale elemento di armonizzazione tra principi costituzionali di
inclusione dell’esperienza sociale e regole legislative di regolamentazione concreta degli interessi in
essa coinvolti, dal legislatore che ha redatto la legge 40/2004, nella quale – come vedremo – l’unico
riferimento ad una sua applicazione procedurale si può trovare nelle disposizioni che prevedono
sanzioni penali nel caso di violazione dei divieti legislativi.
34
Nella sentenza 27 del 1975 la Corte ha affermato che «l’art. 31, secondo comma, della Costituzione impone
espressamente la protezione della maternità e, più in generale, l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione
giuridica del concepito». Per alcuni commenti della sentenza, D’ALESSIO R., L’aborto nella prospettiva della Corte
costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1975, pagg. 528 ss.; BARTOLE S., Scelte di valore più o meno implicite
in una laconica sentenza sull’aborto, in Giurisprudenza costituzionale, 1975, pagg. 2099 ss.
35
Corte costituzionale, sentenza 35/1997, del 10 febbraio, in Giurisprudenza costituzionale, I, 1997, pag. 281, con le
osservazioni di CASINI C., Verso il riconoscimento della soggettività giuridica del concepito? e di OLIVETTI M., La
Corte e l’aborto, fra conferme e spunti innovativi; inoltre, RUOTOLO M., Aborto e bilanciamento tra valori: giudizio
sull’ammissibilità del referendum o giudizio (anticipato) di legittimità costituzionale?, in Giurisprudenza italiana, I, cc.
347 ss.
36
VERONESI P., Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, op. cit., pag. 133.
37
FERRANDO G., Procreazione medicalmente assistita e malattie genetiche: i coniugi possono rifiutare l’impianto di
embrioni ammalati?, in Famiglia e diritto, 2004, 381, nota 4.
In tal senso, non sembra – anticipando alcune delle conclusioni – che all’ambito della p.m.a. sia
stato applicato il medesimo metodo basato su una consequenzialità teleologica tra giurisprudenza
costituzionale e prodotto legislativo che ha contraddistinto il processo di regolamentazione
dell’interruzione volontaria di gravidanza. Al “monito” della Corte costituzionale contenuto nella
sentenza n. 347/1998, che sollecitava il legislatore ad intervenire in materia al fine di individuare
«un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della
dignità della persona umana», esprimendo allo stesso tempo la necessità di «tutelare anche la
persona nata a seguito di fecondazione assistita», il legislatore sembra avere fornito una risposta
insoddisfacente, in termini tanto di ragionevolezza del bilanciamento enunciato quanto di efficacia
delle concrete soluzioni operative predisposte.
La Corte costituzionale pare avere “sospeso il giudizio” rispetto alle scelte operate dal legislatore,
assumendo un atteggiamento prima ambiguo (plurireferendum) e poi reticente (sent. 369/2006),
permanendo attualmente in una fase di sospensione, essendo pendente davanti ad essa una nuova
questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 14, secondo e terzo comma, della
legge 40. Rispetto alla prima fase della giurisprudenza costituzionale in materia (sentenze nn. 4549/2005), nel dichiarare l’inammissibilità del quesito di abrogazione totale della legge 40, la Corte
ha riconosciuto al legislatore di avere colmato una lacuna attraverso «la prima legislazione organica
relativa ad un delicato settore (…) che indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi
costituzionali i quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi che
assicuri un livello minimo di tutela legislativa», in tal modo dando seguito all’esortazione a colmare
una situazione di palese «carenza legislativa» (sent. 347/1998). In ragione di ciò, un referendum
totale deve escludersi, assumendo la legge in esame la natura di legge a contenuto
costituzionalmente vincolato, «la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela
minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione» (sent. 35/1997). Tuttavia,
oltre a tale decisiva (ma – come vedremo – non assoluta) qualificazione, la Corte evidenzia
altrettanto chiaramente che in sede di ammissibilità referendaria il bilanciamento realizzato
attraverso la legge 40 assume una rilevanza meramente descrittiva (un bilanciamento è stato
compiuto) e non valutativa, non potendo venire «in discussione la valutazione di eventuali profili di
illegittimità costituzionale»: pertanto, prosegue la Corte, «dalla presente decisione non è certo lecito
trarre conseguenze circa la conformità o meno a Costituzione della menzionata normativa». Se l’an
dell’intervento legislativo non appare quindi in discussione, ma anzi necessario, il giudizio sul
quomodo della regolamentazione viene lasciato aperto ad eventuali successive valutazioni in sede di
giudizio di legittimità costituzionale. La Corte, inoltre, al termine di un percorso argomentativo
ondivago, riconduce la normativa alla categoria delle “leggi costituzionalmente necessarie”, le quali
non esprimono – a differenza delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato – «l’unica
necessaria disciplina, consentita in sede attuativa della norma costituzionale» 38 , indirettamente
riconoscendo la possibilità di individuare a livello legislativo configurazioni alternative di
bilanciamento in grado di garantire ugualmente un livello minimo di tutela ai rilevanti interessi
costituzionali coinvolti. Appare in tal senso significativo il fatto che la Corte, nell’ammettere i
quesiti parziali aventi ad oggetto proprio il nucleo duro della normativa, abbia espressamente
«escluso che le disposizioni di legge oggetto del quesito possano ritenersi a contenuto
costituzionalmente vincolato o necessario» (sent. n. 46-49/2005).
Successivamente la Corte non è giunta a valutare nel merito la compatibilità costituzionale delle
scelte operate dal legislatore, dichiarando la manifesta inammissibilità – «così come prospettata» –
della questione avente ad oggetto il divieto di c.d. “diagnosi preimpianto”, in forza di una presunta
evidente contraddizione in cui era incorso il giudice a quo nel sollevare una questione volta alla
dichiarazione di illegittimità costituzionale di una specifica disposizione nella parte relativa ad una
norma che, secondo l’impostazione della stessa ordinanza di rimessione, sarebbe stata però
38
ZAGREBELSKY G., Relazione al secondo convegno giuridico Il dettato costituzionale in tema di referendum. Funzioni
e poteri della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. Le otto richieste radicali di referendum, Roma, 1978,
pag. 28
desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché dall’interpretazione
dell’intero testo legislativo alla luce dei suoi criteri ispiratori (ord. 369/2006). Il dialogo tra la Corte
e la legge 40 sembra in ogni caso lungi dal considerarsi terminato, giacendo piuttosto in uno stato di
“crioconservazione giurisprudenziale”, anche in considerazione del fatto che è tuttora pendente una
nuova questione avente significativamente ad oggetto (obbligo di unico e contemporaneo impianto
ed il numero massimo di embrioni producibili) alcune delle disposizioni dichiarate dalla sentenza n.
48 del 2005 a contenuto costituzionalmente non vincolato o necessario.
Per quanto riguarda l’ordinamento spagnolo, il Tribunal Constitucional ha reiteratamente
riconosciuto che «la vida humana es un divenir, un proceso que comienza con la gestación, en el
curso de la cual una realidad biológica va tomando corpórea y sensitivamente configuración
humana» 39 , individuando in tal modo nella fase dell’impianto dell’embrione una fase di necessario
rilievo biologico, a partire dal quale – sempre nelle parole del Tribunal – viene generato un tertium
esistenzialmente distinto dalla madre suscettibile di vita indipendente. Prima di tale fase di sviluppo
biologico, e quindi in riferimento al (pre)embrione in vitro, «ni los preembriones no implantados ni,
con mayor razón, los simple gametos son, a estos efectos, persona humana» (STC 116/1999),
delineandosi conseguentemente un assetto garantista a livello crescente, all’interno del quale il
requisito dell’impianto in utero assume una essenziale rilevanza giuridica, dal momento che, «como
queda afirmado con reiteración, los preembriones in vitro no gozan de una protección equiparable
a la de los ya transferidos al útero materno» (Ibidem).
Appare quindi evidente che «el ordenamiento español matiza la consideración jurídica de las
formas de vida humana prenatales atendiendo a los diversos estadios de desarrollo» 40 , riservando
una protezione giuridica di diversa intensità agli embrioni in vitro rispetto a quelli già impiantati
(trasferiti) in utero. Nonostante tale progressività di tutela giuridica, il (pre)embrione in vitro deve
essere considerato «una realidad a la que no debe ser ajena el Derecho» 41 , il quale dovrebbe
garantire «mecanismos apropiados de protección» 42 : meccanismi che però non dipendono dal
riconoscimento della titolarità del diritto alla vita, eventualità peraltro esplicitamente esclusa dal
Tribunal Constitucional, secondo il quale il nascituro viene protetto dall’art. 15 della Costituzione
anche se ciò non consente di affermare che sia titolare del corrispondente diritto fondamentale alla
vita (STC 53/1985).
La giurisprudenza costante del TC sembra quindi porsi in una linea di omogeneità argomentativa
rispetto a quella della Corte costituzionale: pur riconoscendo che il nascituro costituisca un «bien
jurídico constitucionalmente protegido», afferma tuttavia che la sua protezione non può assumere
carattere assoluto, in un certo senso richiamando il concetto di legge costituzionalmente necessaria
a garantire un livello minimo di tutela, ma deve necessariamente armonizzarsi con la protezione
degli altri nteressi eventualmente rilevanti. Infatti, «como sucede en relación con todos los bienes y
derechos constitucionalmente reconocidos, en determinados supuestos puede y aun debe estar
sujeta a limitaciones» (f.j. 7): in caso di conflitto tra diversi beni e diritti costituzionali, l’opzione
legislativa non può quindi concretizzarsi in modo da privilegiare in senso assoluto la prospettiva di
uno solo dei cntri di imputazione coinvolti. Quindi, nel caso «de los supuestos en los cuales la vida
del nasciturus, como bien constitucionalmente protegido, entra en colisión con derechos relativos a
valores constitucionales de muy relevante significación, como la vida y la dignidad de la mujer»,
dovendosi escludere l’automatica ed assoluta prevalenza di una prospettiva (i diritti della donna)
sull’altra (la vita del nascituro) e viceversa, «el intérprete constitucional se ve obligado a ponderar
los bienes y derechos en función del supuesto planteado, tratando de armonizarlos si ello es posible
o, en caso contrario, precisando las condiciones y requisitos en que podría admitirse la prevalencia
de uno de ellos» (f.j. 9).
39
STC, n. 53 del 1985, 18 maggio, in Boletín Oficial del Estado, n. 119, 1985.
LARIOS RISCO D., Terapia génica e investigación con células madre en la legisalción española, in Derecho y Salud,
v. 14, n. 1, enero-julio, 2006, pag. 56.
41
CASABONA ROMEO C. M., Los genes y sus leyes, pag. 184.
42
Ivi, pag. 185.
40
Il metodo di regolamentazione dei conflitti è quindi – analogamente a quanto indicato dalla Corte
costituzionale – il ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti, che non può essere compiuto
in astratto una volta per tutte ma deve essere di volta in volta ricostruito nelle molteplici ma
concrete interazioni espresse dai casi concreti 43 . In caso di grave pericolo per la vita o la salute della
donna, secondo il TC «si la vida del «nasciturus» se protegiera incondicionalmente, se protegería
más a la vida del no nacido que a la vida del nacido, y se penalizaría a la mujer por defender su
derecho a la vida», in tal modo riproducendo quasi letteralmente il criterio generale di prevalenza
della tutela della posizione giuridica della donna espresso dalla sentenza n. 27/1975 della Corte
costituzionale.
Significativamente, proprio in quanto il metodo del bilanciamento rinviene la misura della propria
ragionevolezza nel fatto di non causare il sacrificio totale del bene giuridico soccombente, anche il
TC, al fine di evitare che «la desprotección del “nasciturus” no se produzca fuera de las
situaciones previstas ni se desprotejan los derechos a la vida y a la integridad física de la mujer»,
rinviene nell’elemento procedurale il ciriterio sulla base del quale valutare la ragionevolezza
dell’intervento. Si specifica infatti che «el legislador debería prever que la comprobación del
supuesto de hecho en los casos de aborto terapéutico y eugenésico, así como la realización del
aborto, se lleve a cabo en centros sanitarios públicos o privados, autorizados al efecto, o adoptar
cualquier otra solución que estime oportuna dentro del marco constitucional». In applicazione di
tale principio orientativo, il TC ha sancito – con la sentenza 116/1999 – la legittimità costituzionale
della legge 35/1988 “de técnicas de reproducción humana asistida” (ora abrogata dalla Ley
14/2006), riprendendo quanto affermato nella sentenza 53/1985 (la protezione del nascituro
«implica, con carácter general, para el Estado el cumplimiento de una doble obligación: “la de
abstenerse de interrumpir o de obstaculizar el proceso natural de gestación, y la de establecer un
sistema legal de defensa de la vida que suponga una protección efectiva de la misma y que, dado el
carácter fundamental de la vida, incluya también, como garantía última, las normas penales”»),
fino a specificare ulteriormente il meccanismo di crescente gradualità nella protezione del nascituro
nel senso che «los preembriones en vitro no gozan de una protección equiparable a la de los ya
transferidos al útero materno» (f.j. 12), riconoscendo di conseguenza l’adeguatezza del livello di
tutela garantito ad essi dalla disciplina legislativa.
Alla luce dell’analisi comparata della giurisprudenza costituzionale dei due sistemi considerati,
appare evidente una sostanziale coincidenza tra le prospettive della Corte costituzionale italiana e
del Tribunal Constitucional spagnolo nel valutare i metodi e le condizioni che – a livello di jus
costituzionale – caratterizzano le modalità di inclusione del conflitto tra beni ed interessi coinvolti
in ambito di “inizio vita”. Non resta ora che accedere al secondo livello del rapporto tra esperienza
giuridica ed esperienza sociale, corrispondente alla fase di concreta regolamentazione legislativa, al
fine di verificare come gli indirizzi costituzionali siano applicati dal legislatore ordinario nella
continua opera di individuazione del punto di necessario equilibrio tra diversi interessi coinvolti.
5. La fase della regolamentazione legislativa della pluralità sociale: sostanziale divergenza dei
modelli legislativi.
Il comune terreno costituzionale trova – nei due sistemi – concretizzazione in modelli di
regolamentazione legislativa che non pare eccessivo definire dicotomici, in tal modo dimostrando
l’apertura e l’elasticità dei principi costituzionali in materia, che ammettono scelte operative
nettamente distinte. In termini generali, quindi, il fatto che il modello di disciplina adottato derivi da
una precisa scelta di natura ideologica, non appare di per sè incompatibile con un legittimo esercizio
di potere politico discrezionale da parte del legislatore, «non essendo ricavabili dal suo [della
Costituzione] testo indicazioni univoche e vincolanti sul punto, fatta eccezione per la doverosità
43
VERONESI P., op. cit., pag. 44.
della tutela del nato»44 : appare quindi necessario valutare in concreto se tale discrezionalità sia
espressione di un «ragionevole bilanciamento della pluralità confliggente di diritti e interessi
costituzionali coinvolti» 45 , anche in considerazione del fatto che l’opzione di fondo prescelta dal
legislatore «deve inquadrarsi – e quindi tener conto – nella tavola di valori enunciata dalla
costituzione e che rappresenta il minimum etico della nostra comunità» 46 .
Nella valutazione della tenuta non solo costituzionale ma anche sistematica dell’opzione legislativa
adottata, l’analisi del terzo livello normativo proposto – la risoluzione giurisprudenziale dei conflitti
sorti dall’applicazione della disciplina legislativa – può assumere la natura di elemento
determinante, sia in termini di efficacia ed effettività dei mezzi di tutela sia in termini di
rimodulazione della distribuzione dei modelli di regolazione all’interno delle tradizionali famiglie
giuridiche.
Rispetto al primo aspetto, la tesi qui proposta è – come anticipato – che il livello di litigiosità di una
legge possa rappresentare un criterio attendibile al fine di valutare la qualità del prodotto legislativo,
attraverso l’analisi dell’impatto della scelta normativa sulla realtà, dei fatti, da regolare. Rispetto al
secondo aspetto, assunta la centralità del “come” una legge viene approvata e del “natura” dei
meccanismi previsti per la protezione dei beni giuridici coinvolti, il sistema spagnolo sembra
avvicinarsi significativamente a modelli che appartengono agli ordinamenti di common law (UK,
ma anche Canada e USA), partendo dalle modalità di formazione della disciplina legislativa fino a
giungere agli strumenti di protezione previsti. L’elemento di tendenziale omogeneità, che abbiamo
già visto riconducibile alla giurisprudenza costituzionale analizzata, consiste nella dimensione
procedurale che caratterizza tanto il sistema spagnolo quanto – ad esempio – il sistema
anglosassone.
La dimensione procedurale permette di ricondurre ad un comune modello di regolazione tanto la
disciplina spagnola che quella inglese (ma anche, ad esempio, canadese), che può essere definito a
tendenza permissiva. In tal senso, pur accettando la relatività di rigide sussunzioni all’interno di
categorie normative definite, tanto la legislazione italiana quanto la disciplina spagnola possono
essere ricondotte a precisi modelli normativi, volendo applicare la tipologia cui si è fatto riferimento
appena supra, rispettivamente al modello (a tendenza) impositiva e a quello (a tendenza)
permissiva 47 .
Da tale sussunzione a modelli alternativi di regolazione giuridica, emerge l’importanza della scelta
metodologica preliminare di assumere come oggetto di analisi sistemi appartenenti alla medesima
famiglia giuridica tradizionale, quella di civil law: proprio in ambito biogiuridico, sembra trovare
conferma il dato in base al quale «la dicotomia fondamentale fra common law e civil law risulta
inadeguata e priva di potenzialità esplicative in numerosi ambiti disciplinari48 . Tale classificazione
assume un ruolo fondamentale come punto di partenza, ma deve essere concepita come mezzo e
non come fine: uno strumento che, attraverso la descrizione dei costanti e progressivi movimenti di
assestamento e mutuo avvicinamento dei due macro-sistemi (civil-common), garantisca la
circolazione e la competizione trans-familiare tra diversi modelli di regolazione giuridica, in vista di
una feconda circolazione dei medesimi, la quale sembra “correre” secondo linee evolutive sempre
più svincolate da una “staticizzante” categorizzazione in famiglie giuridiche, verso una crescente
trasversalità “inter-familiare”. Tale tendenza alla trasversalità rinviene nel modo stesso di
concepire il diritto e nella verifica del processo concreto di realizzazione del medesimo i criteri
essenziali di inediti apparentamenti giuridici, come sembrerebbe dimostrare il fatto che l’esperienza
44
Secondo TRIPODINA C., Studio sui possibili profili di incostituzionalità della legge n. 40 del 2004 recante «norme in
materia di procreazione medicalmente assistita», in Diritto Pubblico, n. 2, 2004, pag. 506.
45
Ibidem.
46
STANZIONE P., Introduzione, op. cit., pag. XIV.
47
Per una teoria dei modelli astratti di disciplina in materia di procreazione medicalmente assistita, il riferimento può
andare, oltre agli Autori già citati, a FERRANDO G., Diritti, libertà e responsabilità nella procreazione, in ISTITUTO
VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI (a cura di), Dignità del vivere, Venezia, 2001, pag. 246, nota 2.
48
MONATERI P. G., MATTEI U., Introduzione breve al diritto comparato, op. cit., pag. 52.
spagnola in materia di p.m.a. appare molto più simile a quella del Regno Unito rispetto a quella
italiana, in apparente contrasto con le affinità storico-costituzionale con quest’ultima.
Il modello spagnolo dimostra infatti una tendenziale convergenza rispetto a quello anglosassone:
convergenza che si esprime fin dalle caratteristiche – ancora una volta, dal quomodo – del processo
di formazione legislativa, in tale fase esprimendosi il primo livello di applicazione del metodo
procedimentale. Emerge infatti la precisa ed espressa volontà del legislatore di innescare un
processo di coinvolgimento e partecipazione tanto dei soggetti coinvolti nella materia quanto della
componente tecnico-scientifica (expertise), all’interno di meccanismi istituzionalizzati che vengono
ad affiancare – a completare – il tradizionale procedimento legislativo.
Fin dall’esperienza della Commissione Palacios, i cui risultati hanno rappresentato la base della
successiva legge del 1988, il legislatore spagnolo – in tal modo esprimendo una tendenza alla mutua
contaminazione con diverse esperienze nazionali – dimostra di considerare l’integrazione di
elementi esterni al circuito di legittimazione politico-democratica, come un elemento in grado di
aumentare tanto l’efficacia dello strumento legislativo quanto la stessa legittimazione dell’organo
legislativo. Lo strumento di regolamentazione legislativa del conflitto adottato dall’ordinamento
spagnolo in materia di p.m.a. – tanto rispetto al (precedente) processo di formazione quanto alla
(successiva) fase di applicazione – è dunque quello procedurale, che si dimostra tutt’altro che vuoto
di precisi contenuti normativi. La disciplina spagnola contiene infatti precisi limiti nell’applicazione
delle tecniche di p.m.a. e soprattutto rispetto all’utilizzo per finalità di ricerca degli embrioni
sovrannumerari crioconservati, che sembrano porsi in un rapporto di continuità e coerenza rispetto
al modello di inclusione del conflitto sociale tracciato dalla propria giurisprudenza costituzionale.
Ma una volta individuati a livello legislativo, l’applicazione concreta di tali limiti viene attuata
attraverso meccanismi procedurali di coinvolgimento della expertise (Comisión Nacional de
Reproducción Humana Asistida) e di assunzione diretta di responsabilità da parte dei soggetti
direttamente coinvolti (compromiso de responsabilidad della madre o dei progenitori).
A titolo esemplificativo, il criterio del ‘compromiso de responsabilidad’ per determinare il destino
dei preembrioni sovrannumerari («sobrantes»), rappresenta una concretizzazione a livello
legislativo della regola di progressività crescente del livello di protezione delle varie fasi di sviluppo
embrionale. La soluzione di attribuire alla donna il diritto di decidere il destino dei preembrioni
sembra essere ragionevolmente compatibile con l’obiettivo di una protezione effettiva della
possibilità di sviluppo biologico dei medesimi; tutto ciò, attraverso un sistema uniforme, stabile ma
non immobile, «siempre supeditados a la voluntad de los progenitores y, en el caso de la
investigación, a condiciones estrictas de autorización, seguimiento y control por parte de las
autoridades sanitarias correspondientes», all’interno del quale l’utilizzo con finalità di ricerca
scientifica viene a porsi – nell’art. 11 della Ley 14/2006 – dopo l’utilizzo o la donazione a scopo
riproduttivo e prima «cese de su conservación sin otra utilización».
Il modello italiano, al contrario, sembra dare seguito alle indicazioni metodologiche individuate a
livello costituzionale attraverso una disciplina legislativa sussumibile ad un tipo di regolazione
basato sul «contenuto», nel quale rientrano gli ordinamenti «che puntano a fissare un contenuto
preciso per le singole materie individuando principi e regole per la disciplina dei casi specifici» 49 .
L’inversione della prospettiva normativa rispetto al modello spagnolo appare evidente, delineandosi
un modello basato sui contenuti avente come finalità esclusiva la tutela del “concepito-nascituroembrione”, del quale devono essere assicurati i diritti, attraverso un rigido schema di divieti,
obblighi e sanzioni penali che si dimostra immobile piuttosto che stabile 50 rispetto alla essenziale
finalità di garantire una protezione effettiva ai beni giuridici tutelati.
Tale “inidoneità garantistica” è dovuta – a parere di chi scrive – proprio all’assenza di meccanismi
procedurali di coinvolgimento e di adattabilità ai casi concreti dell’impianto legislativo: la
compressione della tutela dei diritti costituzionali cedevoli all’interno del bilanciamento operato
dalla legge 40 – il diritto ad una procreazione responsabile della donna ed il correlato diritto al
49
50
Ibidem.
Sulla distinzione tra stabilità ed immobilità della legge, BARAK A., op. cit., pag. 15.
rispetto della sua salute nell’applicazione di pratiche mediche – si rivela, oltre che
costituzionalmente irragionevole in quanto sproporzionata, inutilmente punitiva sul piano pratico, in
quanto ad essa non corrisponde una effettiva protezione dell’interesse alla vita degli embrioni
prodotti in vitro, proprio a causa della non coercibilità e sostanziale relatività degli obblighi e dei
divieti imposti. Gli assetti tra interessi e diritti costituzionali potenzialmente confliggenti
individuato in fase di regolamentazione legislativa non sembra porsi secondo una linea armonica
con i principi di fondo enunciati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, evidenziandosi una
sorta di “salto metodologico” rispetto agli indirizzi costituzionali, nei quali – come per la
interruzione volontaria di gravidanza – lo strumento procedurale assume il ruolo di condizione di
garanzia sostanziale anche della posizione giuridica recessiva (in quel caso, il nascituro, la cui
soppressione è condizionata all’esperimento di una procedura di verifica della sussistenza dei
requisiti normativi e della consapevole volontà della gestante).
In effetti, se la finalità principale della legge è la garanzia della massima aspettativa di vita
dell’embrione, la legge 40 non sembra esprimere strumenti giuridici e procedurali adeguati a tale
obiettivo, contraddicendo in tal modo la propria ratio attraverso una serie di involontarie aperture
che sembrano derivare più da una eccessiva rigidità formale che da una precisa volontà
armonizzatrice del legislatore: basti pensare alla dichiarata non coercibilità sostanziale del
trasferimento nell’utero della donna, in caso di volontà contraria di quest’ultima espressa anche
dopo il limite legislativo della fecondazione; al potere del medico di non iniziare l’applicazione
delle tecniche di p.m.a. e di sospenderla per motivi di forza maggiore relativi alla salute della donna
non prevedibili al momento della fecondazione; al diritto della coppia ad essere informata «sul
numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero»
(art. 14, quinto comma); alla deroga al divieto di criconservazione «in attesa dell’impianto che
dovrà avvenire prima possibile».
La legge 40, pertanto, si rivela sostanzialmente meno rigida, in termini garantistici, di ciò che
potrebbe apparire a livello formale, potendosi legittimamente parlare di legge immobile più che di
legge stabile; e tale dato pratico, che verrà subito verificato nell’ultimo livello di analisi
(corrispondente al livello della risoluzione dei conflitti per via giurisdizionale), pare confermare che
«il principio posto a fondamento di tutta la legge (la tutela pressochè assoluta dell’embrione) sia o
solamente retorico o talmente rigido da non poter essere concretamente realizzato» 51 . In ogni caso,
un sistema inadeguato a tradurre in pratica l’indirizzo della Corte costituzionale, secondo cui non
esiste equivalenza tra la protezione del diritto alla vita ed alla salute della madre e la salvaguardia
dell’embrione, che persona deve ancora diventare.
L’ordine di priorità costituzionale viene infatti invertito, assumendo la protezione dell’embrione una
centralità quasi esclusiva nella “law in the book” ma non trovando effettiva corrispondenza nella
“law in actions”. Obbligo di impianto e divieto di crioconservazione – elementi che esprimono la
maggiore carica di simbolismo garantista nei confronti dell’embrione – giungono pertanto ad essere
accomunati dalla fragile rigidità (inidoneità garantista) che li caratterizza a livello sostanziale,
legittimando una preliminare conclusione: la (rigida) flessibilità di un modello basato su
meccanismi procedurali di regolazione legislativa (sistema spagnolo) sembra risultare più efficace
di un modello basato sull’imposizione di una generalizzata (anche se fragile) proibizione (sistema
italiano), se valutata sulla base della coerenza interna e sistematica del testo legislativo, esaminata
sia alla luce della proporzionalità degli strumenti normativi rispetto alle finalità della disciplina sia
della sua compatibilità con il sistema giuridico nel suo insieme.
La disciplina italiana si rivela, paradossalmente, meno rigida – a livello di diritto effettivamente
applicabile – di ciò che potrebbe risultare da una interpretazione letterale e non sistematica delle
singole disposizioni, in quanto il suo tessuto normativo contiene potenziali clausole di apertura e di
(involontarie e frutto di un inadeguato esercizio delle tecniche legislative) flessibilità che potrebbero
permettere, mediante una interpretazione costituzionalmente conforme, una applicazione
51
CASONATO C., Legge 40 e principio di non contraddizione: una valutazione d’impatto normativo, cit., pag. 25.
ragionevole di un modello di regolamentazione del conflitto in ambito di p.m.a. che rappresenta
comunque «il risultato di una scelta fortemente ed unilateralmente orientata (…) incompatibile
rispetto ad altri principi dell’ordinamento e di per sé inapplicabile»52 : l’espressione di un modello
che, per affermare simbolicamente principi astratti e pregiuridici, sacrifica l’obiettivo della propria
effettività, esprimendo un sistema di garanzie ridotto ad un livello meramente enunciativo e
declamatorio.
In tale prospettiva, emerge in modo incontrovertibile un andamento di diametrale opposizione
rispetto al modello italiano e di apparente avvicinamento a sistemi tradizionalmente eccentrici del
sistema spagnolo, in tal modo potendosi ipotizzare – ai confini tra civil e common law – un contesto
nel quale realizzare «un quadro a legittimazione pluralistica, in senso sia sostanziale sia
procedurale», in grado di garantire «un sistema di contrappesi e di rappresentanza attraverso la
partecipazione» 53 .
6. La fase della risoluzione giurisdizionale dei conflitti: la litigiosità “di risulta” come criterio
attendibile della qualità del prodotto legislativo?
L’obiettivo dell’analisi di tale terzo livello appare ormai espresso chiaramente: analizzare la
giurisprudenza derivata dall’applicazione del modello di regolamentazione legislativa quale criterio
attendibile di valutazione della “qualità” di quest’ultima. Rimane ora – prima diventare nella “vita
giurisdizionale”delle discipline oggetto di comparazione – da dichiarare i criteri sulla base dei quali
avverrà tale valutazione di idoneità. Da un lato, si considererà la dimensione quantitativa
dell’intervento della giurisdizione derivante dall’applicazione della disciplina legislativa, per
coglierne il livello di litigiosità in termini assoluti; per altro verso, in particolare rispetto al sistema
italiano, verrà valutata anche la dimensione qualitativa dell’intervento, al fine di verificare se e
quanto il modello legislativo consente un’applicazione omogenea e sistematicamente coerente.
La dimensione quantitativa può evidenziare il grado di accettazione della disciplina legislativa da
parte dei soggetti coinvolti nella materia regolata, oltre che la sua fisiologica adattabilità alla
pluralità dei casi concreti che la caratterizzano: in tal senso, il coinvolgimento nel processo di
formazione della legge potrebbe costituire un elemento di circolare riconduzione della realtà
normata allo strumento normante ed un efficace meccanismo di passaggio dalla mera obbedienza ad
una legge calata dall’alto alla sua osservanza, in quanto condivisa in termini procedurali ed
accettata in termini sostanziali 54 . La dimensione qualitativa viene a completare la valutazione non
tanto in termini sostanziali quanto in termini metodologici, in quanto un eccessivo “particolarismo
giurisprudenziale” può rappresentare un indicatore di una “oscurità legislativa” (Ainis M., La legge
oscura) che non ne consente un’applicazione uniforme e costante, non consentendo – ad esempio –
la formazione di un diritto vivente in materia e vanificando la eventuale funzione nomofilattica
della Corte di cassazione.
Un siffatto esito applicativo, se dilatato eccessivamente, sembra rompere con una fisiologica
elasticità interpretativa per aprire ad una situazione di incertezza giuridica e disuguaglianza
sostanziale derivante da una applicazione difficilmente riconducibile ad uniformità: la risposta
dell’ordinamento alla prescrizione metodologica contenuta a livello costituzionale di uguaglianza,
coerenza e ragionevolezza delle scelte legislative non sarebbe più in tal caso una virtuosa diluizione
della Costituzione in ogni luogo del diritto 55 – e quindi anche e soprattutto nella giurisprudenza –
ma una potenziale vanificazione dei principi espressi a livello costituzionale.
Pur nella consapevolezza che il risultato dell’interpretazione giuridica non possa mai essere
predeterminato, si passerebbe quindi da una condizione di fisiologica tendenziale prevedibilità 56 ad
52
CASONATO C., Introduzione al biodiritto, cit., pag. 267.
Ivi, pag. 241.
54
Per tutti, GROSSI P., Prima lezione di diritto, Laterza, 2003.
55
VERONESI P., op. cit., pag. 41.
56
CAPPELLETTI M., Giudici legislatori?, Giuffrè, 1984, pag. 14.
53
una patologica imprevedibilità degli esiti giurisdizionali. Proprio tale imprevedibilità potrebbe
costituire un indicatore di una carenza normativa del prodotto legislativo rispetto alla propria
funzione di regolamentazione dell’esperienza sociale, passando dalla vaghezza che caratterizza la
legislazione promozionale di uno stato sociale ad una sua sostanziale inadeguatezza.
Il rischio è quello di dare luogo ad un circolo vizioso, passando dal riconoscimento che «un’efficace
attività legislativa (…) non è affatto incompatibile con un intelligente controllo giudiziario
dell’attività medesima» ma che al contrario «una equilibrata coesistenza di tale attività e del suo
controllo rappresenta l’essenza stessa di un regime costituzionale», al dato di realtà per il quale se
«da una parte la norma, la legge come formulazione preesistente, in pratica non impegna (…) il
giudizio» 57 , al contempo «dai giudizii che effettivamente si danno non si ricava praticamente (…)
altro che l’ideologia di un individuo che giudica» 58 . È necessario quindi recuperare una equilibrata
coesistenza tra attività legislativa ed il suo controllo giurisdizionale, in vista del consolidamento
della funzione di adeguamento e costante riavvicinamento tra esperienza sociale ed esperienza
giuridica svolta dalla giurisprudenza. Ma ciò deve avvenire in modo da garantire la tenuta
dell’ordinamento in termini di certezza del diritto e dei diritti coinvolti, coerenza ed organicità; la
caratteristica natura del diritto giurisprudenziale di non essere «mai interamente e definitivamente
fatto», in quanto «opera con casi concreti e generalizza soltanto dopo un lungo periodo di tentativi
sperimentali (…) nello sforzo di giungere all’elaborazione di un principio praticabile» 59 deve essere
condizione di stabilità e di garanzia per le posizioni giuridiche coinvolte e non punto di incertezza
garantista, essendo a tal fine indispensabile un raccordo tra legislatore e giudici che permetta lo
svolgimento della funzione giurisdizionale in vista della riduzione del gap tra la legge ed i bisogni
della comunità.
Se analizzate sulla base dei parametri enunciati, le due discipline legislative sembrano esprimere –
anche rispetto alla loro applicazione giurisdizionale – esiti operativi contrapposti, tanto a livello
quantitativo quanto a livello qualitativo. Il criterio quantitativo sembra fornire la prima rilevante
indicazione in termini valutativi. Da un lato, infatti, il modello spagnolo, caratterizzato da un
processo normativo di costante adeguamento del prodotto legislativo, nei due decenni di vigenza è
stato contraddistinto da una sostanziale assenza di litigiosità giurisdizionale, esito che sembra
derivare direttamente dall’opzione procedurale adottata, che ha trovato applicazione in un processo
inclusivo di formazione legislativa e nella predisposizione di modalità alternative e preventive di
risoluzione delle controversie, attraverso il riconoscimento di funzioni di regolazione e controllo a
favore di organismi ad hoc e della centralità della volontà dei soggetti coinvolti. Per altro verso, il
modello italiano, espressione di una volontà legislativa di imposizione di rigidi contenuti attraverso
una fitta trama di divieti, obblighi e sanzioni, ha espresso – pur nella sua breve esperienza
applicativa – un elevato tasso di litigiosità, che sembra riconducibile ad una sostanziale
inapplicabilità pratica da parte dei soggetti coinvolti e ad una conseguente incertezza applicativa a
livello giurisdizionale riconducibile ad una eccessiva oscurità e contraddittorietà delle scelte
legislative.
Anche una superficiale analisi del “case law” derivante dall’applicazione (o sostanziale
inapplicabilità) della legge 40/2004 (si rinvia a PENASA S., Tanto tuonò che piovve?, in Nuova
Giurisprudenza Civile Commentata, 4, 2008) dimostra un eccessivo livello di litigiosità del modello
basato sull’imposizione generalizzata di rigidi contenuti alle scelte concrete dei soggetti coinvolti
(basti pensare al divieto di diagnosi preimpianto od ai limiti all’applicazione delle tecniche); tale
significativo dato quantitativo viene ulteriormente confermato dall’ulteriore parametro – qualitativo
– richiamato, che sembra potere qualificare la litigiosità di risulta quale elemento non solo rilevante
ma determinante per la valutazione di un sistema giuridico. Da un punto di vista qualitativo, infatti,
lo scollamento tra tensione alla uniforme applicazione ed alla certezza giuridica e concreti esiti
57
PEKELIS A., The Case for a Jurisprudence of Welfare, in KONVITZ M. (ed.), Law and Social Action. Selected Essays
of Alexander H. Pekelis; Cornell University Press, 1970, pag. 13, citato da CAPPELLETTI M., op. cit, pag. 42.
58
TARELLO G., op. cit., pag. 101.
59
CAPPELLETTI M., op. cit, pag. 42.
giurisdizionali appare in tutta la sua paradigmatica evidenza, andando oltre una inevitabile
diversificazione interpretativa per sfociare in una vera e propria incertezza applicativa che mette in
crisi lo stesso dovere del giudice comune di riferirsi direttamente ai principi costituzionali al fine di
chiarire il significato delle disposizioni (calibrare e mettere a fuoco le norme utili nelle diverse
circostanze). Davanti ad una legge sistematicamente inintelligibile, irragionevole nel rapporto tra
mezzi e fini, appare inevitabile che vengano prospettate soluzioni e scelte ermeneutiche diverse e
financo contrapposte, come è accaduto rispetto alla configurabilità di un divieto di diagnosi
preimpianto.
In tale paradigmatico caso, ad una prima pronuncia che ha recisamente escluso che dalla lettera e
dalla volontà del legislatore si potesse ricavare l’ammissibilità di tale pratica medica predittiva,
affermando allo stesso tempo la piena compatibilità costituzionale di tale opzione legislativa
(Tribunale di Catania, 2004), si è contrapposta una successiva decisione (Cagliari, 2005) che, pur
riconoscendo l’esistenza di un diritto vivente che esclude l’ammissibilità di tale pratica, ha
comunque ipotizzato l’illegittimità costituzionale del divieto, rimettendo la questione alla Corte
costituzionale. Quindi, la Corte ha assunto un atteggiamento “pilatesco”, rifugiandosi in una
dichiarazione di inammissibilità per manifesta contraddittorietà del quesito, rinviando in tal modo
alla libertà ermeneutica del giudice di merito (Corte costituzionale, ord. 369/2006). Tale pronuncia
della Corte ha permesso ad un secondo embrione di diritto vivente di svilupparsi, sulla base di
un’interpretazione costituzionalmente conforme della normativa, che ha riconosciuto
l’ammissibilità legislativa della diagnosi – sulla base di una articolata ma coerente struttura
argomentativa (seconda sentenza di Cagliari, settembre 2007) – quando questa sia richiesta dalla
coppia per essere informati sullo stato di salute degli embrioni prodotti, abbia ad oggetto gli
embrioni destinati all’impianto, sia strumentale all’accertamento di eventuali malattie dell’embrione
e finalizzata a garantire una adeguata informazione sullo stato di salute degli embrioni da
impiantare. In ogni caso, la solidità di tale interpretazione sembra non essere definitiva, tanto da non
consentire di esprimersi in termini di un diritto vivente consolidato, anche in forza delle indicazioni
provenienti dalla citata giurisprudenza costituzionale, la quale ha comunque affermato che il
divieto di diagnosi preimpianto rappresenta una diretta emanazione delle finalità della legge, in
quanto norma desumibile dall’interpretazione dell’intero testo legislativo alla luce dei suoi criteri
ispiratori.
Appare evidente quanto lo sforzo di adeguamento dei contenuti legislativi agli indirizzi
costituzionali possa condurre l’interprete ad una forzatura ermeneutica rispetto alla struttura
teleologica della legge (enunciata dall’art. 1), oltre che alla sua formulazione testuale (art. 13,
secondo comma); tale atteggiamento, se per un verso dimostra la volontà di adempiere alla funzione
di neutralizzare la distanza tra realtà normata e strumento normativo, per altro verso può condurre a
conclusioni argomentative che sembrano rivelare la natura “predeterminata” della volontà
dell’interprete, con un ribaltamento logico e giuridico della sequenza tradizionale “interpretazioneapplicazione”. Sembra esprimere in modo paradigmatico tale rischio la struttura argomentativa
costruita dal giudice di Firenze (sentenza 17 dicembre 2007), il quale, per sostenere l’ammissibilità
della diagnosi preimpianto, giunge ad affermare come «non solo la legge non preveda un divieto
preimpianto, ma addirittura la sottintenda», sulla base di una disposizione che chiaramente afferma
che «la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si
perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela
della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso» (art. 13, secondo comma della legge 40). Il recente
intervento parzialmente ablativo del TAR rispetto ai limiti alla diagnosi introdotti dalle Linee Guida
sembra avere lasciata comunque impregiudicata la questione dell’ammissibilità della diagnosi
preimpianto alla luce di quanto previsto dall’articolo 13 della legge. Sul punto, infatti, si possono
individuare successive fasi di interpretazione giurisprudenziale, rispetto alle quali non sembra
riscontrabile un atteggiamento costante ed univoco tale da potersi configurare un “diritto vivente” in
materia.
Anche la prospettiva qualitativa non pare garantire una adeguata uniformità almeno tendenziale in
termini applicativi: la causa di ciò sembra potersi ricondurre ad una mancata armonizzazione tra i
livelli costituzionale, legislativo e giurisprudenziale, che costringe l’interprete a forzare il dato
legislativo al fine di tentare una ricomposizione equilibrata tra esigenze del caso ed esigenze della
legge. L’applicazione del modello spagnolo, al contrario, si è rivelata – almeno rispetto al suo grado
di litigiosità – meno problematica, lasciando supporre una maggiore compatibilità reciproca tra i
diversi livelli di interazione tra esperienza sociale ed esperienza giuridica. Ciò viene ad incidere
sull’efficacia sostanziale dell’intervento legislativo ma anche sul necessario intervento
riequilibrante del giudice. Considerando l’intervento giurisdizionale come extrema ratio tra i
possibili strumenti di risoluzione dei conflitti, il legislatore spagnolo sembra cogliere la peculiarità
della natura della protezione dei diritti derivante dall’intervento giurisdizionale: una protezione
rimediale ex post, attraverso la quale l’ordinamento reagisce per ripristinare l’ordine violato, che
viene a situarsi nel livello “patologico” del sistema giuridico, in conseguenza di un inefficace
funzionamento delle garanzie di godimento ex ante previste dalla legge.
Una protezione – quella rimediale – che deve in ogni caso avere natura causale (tendenzialmente
prevedibile) e non casuale, affidata agli strumenti argomentativi ed all’impostazione morale del
singolo giudice. La differenza tra una protezione causale e quindi prevedibile ed una casuale e
pertanto giuridicamente incerta sta tutta nelle caratteristiche concrete ed operazionali dello
strumento legislativo che sta prima ed attorno all’intervento giurisdizionale: una legge che sia in
grado di regolare i conflitti espressi dalla realtà – in questo caso medico-scientifica – e di anticipare
l’effettività della protezione attraverso meccanismi preventivi di armonizzazione dei contrasti e la
previsione di spazi di regolamentazione riservati all’autonomia dei soggetti direttamente coinvolti
(Corte cost., sent. 282/2002) che agiscano prima dell’intervento eventuale del giudice. Nel caso in
cui i meccanismi di protezione ex ante finalizzati al godimento dei diritti si rivelino insufficienti,
l’intervento rimediale del giudice dovrà basarsi su strumenti legislativi non così rigidi da essere
incerti, tanto da trasformare l’indipendenza in solitudine davanti ad una legge sterile – immobile e
non stabile – incapace di esprimere riferimenti certi ed uniformi in grado di orientare la decisione
del singolo caso concreto.
7. Una prima conclusione: una legge proceduralmente mutua quale condizione del godimento dei
diritti.
Da tale seppur sommaria indagine comparata sembra quindi emergere la necessità di un
ripensamento non tanto dell’opportunità dell’intervento legislativo, che abbiamo visto accomunare
sia sistemi di common che sistemi di civil law, quanto piuttosto della sua concreta configurazione.
Sembra emergere un modello “trans-familiare” di regolamentazione legislativa, contraddistinto da
una concezione in senso procedurale dello strumento legislativo, che non comporta una rinuncia ad
esercitare la funzione di regolamentazione e di indirizzo della realtà normata ma che al contrario
consente un innalzamento della forza ordinante del medesimo: non una legge muta, vuota di
contenuti, ma piuttosto una legge mutua, applicata in quanto condivisa nei contenuti di indirizzo che
esprime al termine di un processo graduale di coinvolgimento e di acquisizione di competenze 60 .
L’obiettivo sembra essere – al fine di declinare nel senso dell’effettività la protezione dei diritti
riconosciuta a livello costituzionale e garantita a livello legislativo – quello di esprimere un
processo unitario di tutela dei diritti delle persone che, trovando la propria base di legittimazione nel
contesto costituzionale, parta dalla fase di approvazione della disciplina legislativa fino a
coinvolgere l’intervento (eventuale e residuale) del giudice. Un andamento circolare, dal quale
sembra però emergere l’opportunità di individuare meccanismi procedurali attraverso i quali
anticipare alla fase fisiologica della uniforme e conforme applicazione degli strumenti legislativi di
60
VERONESI P., op, cit., pag. 45, riconosce come «il procedere delle conoscenze o il mutare della percezione di un
fenomeno o di un problema – e così pure le innovazioni legislative – costituiscono infatti i principali motori dei
progressivi assestamenti della Carta».
garanzia quella protezione rimediale che avviene solo ex post in caso di mancato funzionamento dei
medesimi, in vista dell’affermazione di un diritto “goduto” piuttosto che di un diritto “risarcito”.
Nella consapevolezza che «la prescrittività del diritto, tendendo a spostare i momenti della garanzia
dalla giustiziabilità ex post al coinvolgimento ex ante, appare prima facie non vincolante, ma in
definitiva risulta, alla prova dei fatti, forse più vincolante (…) perché basata sulla combinazione di
persuasione e (coinvolgimento di) interessi piuttosto che sulla coercizione» 61 .
61
PALERMO F., La forma di stato dell’Unione Europea, Cedam, 2005, pag. 236. Ciò sembra valere in maniera
particolare in ambito biomedico, in quanto «in a state of ethical pluralism such as this where consensus upon
substantive principles is likely to remain elusive, the adoption of proceduralist strategies which are designed to develop
deliberation and enable participation might appear to be the solution to a regulatory problem» (SYRETT K.,
Deconstructing Deliberation in the Appraisal of Medical Technologies: NICEly Does it?, op. cit., pag. 863).
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