Luca Santini – Massimo Santini
defibrillatore
automatico
impiantabile
Edizioni Minerva Medica
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Prefazione
Se Sir Charles Darwin avesse potuto assistere all’incredibile evoluzione che i defibrillatori automatici
impiantabili (ICD) hanno compiuto in soli trent’anni di vita, con buona pace dei creazionisti più
irriducibili, avrebbe sicuramente evocato anche per loro la teoria dell’evoluzione della specie. Un’evoluzione, questa, basata non certo su una selezione naturale bensì tecnologica, ma così accelerata da
offrire a noi moderni cardiologi ogni anno dispositivi sempre più longevi ma sempre più piccoli, più
affidabili ma anche più sofisticati e soprattutto sempre più accessoriati con funzioni diagnostiche e
terapeutiche che vanno ormai ben al di là della semplice prevenzione della morte improvvisa aritmica
per cui erano nati. In questa feroce, ma sana competizione industriale tra le case costruttrici di device impiantabili, in fondo non poi così lontana dal concetto di selezione della specie di darwiniana
memoria, certamente in primis a guadagnarci sono i pazienti cardiopatici ma subito dopo veniamo
noi, i loro cardiologi, indiscutibilmente in grado oggi di curarli meglio, grazie a diagnosi sempre più
precoci e corrette e a terapie sempre più personalizzate ed efficaci.
Di quel primo ICD impiantato nel lontano febbraio del 1980 al John Hopkins Hospital, i dispositivi
di oggi conservano solo quella che è la caratteristica principale di un defibrillatore automatico, ovvero
la capacità di interrompere con uno shock elettrico un’aritmia potenzialmente fatale, esattamente
come la stazione eretta accomuna l’homo sapiens all’homo erectus.
I dispositivi originari offrivano un’unica opzione terapeutica: la defibrillazione, il generatore veniva
impiantato nell’addome e richiedeva toracotomia e anestesia generale. Oggi possiamo scegliere tra
terapie “antidolore” come l’anti-tachi-pacing (ATP), shock a bassa, media e alta energia, l’intervento
viene effettuato in anestesia locale e la tasca per il generatore è pre-pettorale. E non è tutto… in alcune categorie di pazienti oggi abbiamo a disposizione un’alternativa valida ed efficace al defibrillatore
transvenoso convenzionale: il defibrillatore sottocutaneo (S-ICD).
In tutti questi anni, dunque, gli ICD hanno dimostrato inconfutabilmente di poter migliorare la sopravvivenza dei pazienti a rischio di morte improvvisa, sia in prevenzione primaria che secondaria.
Le indicazioni all’impianto si sono progressivamente allargate, il numero di pazienti impiantati è in
costante aumento e gli ICD sono divenuti parte essenziale del trattamento dei pazienti potenzialmente a rischio di aritmie fatali. Contemporaneamente sono aumentate anche le capacità diagnostiche
dei dispositivi e quindi la quantità e la qualità delle informazioni cliniche che siamo oggi in grado
di gestire. Così, il defibrillatore automatico impiantabile, da semplice presidio terapeutico, è diventato un imprescindibile ausilio diagnostico, grazie a un dettagliato, preciso e costante monitoraggio
dell’attività cardiaca del paziente. Monitoraggio che oggi non è più solo utilizzabile nel momento
dell’interrogazione del dispositivo bensì in qualsiasi momento vogliamo, grazie al controllo remoto
dei device.
VI DEFIBRILLATORE AUTOMATICO IMPIANTABILE
È dunque evidente come la nuova generazione di ICD mostri un chiaro imprinting dell’innovazione
tecnologica. A soli trent’anni dalla loro nascita, i defibrillatori automatici impiantabili, non possono
essere definiti dei semplici discendenti di quei primi dispositivi impiantati bensì una vera e propria
nuova “specie” con capacità sempre più poliedriche e con prospettive incredibilmente affascinanti.
Per quanto gli ICD rappresentino un presidio diagnostico-terapeutico ampiamente consolidato nella pratica clinica è tuttavia assente nell’attuale panorama editoriale della bibliografia cardiologica
un’opera completa e aggiornata ad essi dedicata. Un testo, quindi, che ne dipani con chiarezza le
caratteristiche tecniche e le diverse modalità di funzionamento, dalle terapie agli algoritmi automatici
e diagnostici; che sviluppi una nomenclatura sistematica e aggiornata delle varie indicazioni all’impianto, che descriva nel dettaglio le tecniche chirurgiche, le relative possibili complicanze e le corrette
modalità di programmazione in base alle indicazioni e alla tipologia di pazienti; che affronti con un
approccio pragmatico quelle aree ancora grigie come le indicazioni alla disattivazione o all’espianto
del sistema o la corretta gestione dei recall su elettrodi e generatori; che affronti approfonditamente
temi complessi come i malfunzionamenti, la gestione delle tempeste elettriche, le indicazioni e le tecniche di estrazione, le interferenze elettromagnetiche e la compatibilità con la risonanza magnetica;
un’opera infine che sia rivolta anche alle più recenti innovazioni tecnologiche come i defibrillatori
sottocutanei e i sistemi di monitoraggio remoto.
Nei 16 capitoli di quest’opera, redatti da illustri colleghi tutti massimi esperti della materia, abbiamo
voluto comprendere tutti questi argomenti, analizzandoli in modo dettagliato ma al tempo stesso
accessibile anche ai lettori meno rodati nella materia.
Particolarmente utili e innovative sono le due appendici al volume: una dedicata alla descrizione
completa di tutti i sistemi di defibrillazione (dispositivi ed elettrodi) disponibili nel mercato con
schede dettagliate comprensive di caratteristiche tecniche e bibliografia relativa; l’altra contenente
una sezione iconografica con numerosi tracciati endocavitari normali e patologici, da programmatore
o da controllo remoto, accompagnate da didascalie esplicative con la soluzione del problema.
Un’opera dunque complessa e poliedrica, che abbiamo concepito con l’intento di offrire a tutti coloro
che si approcceranno alla lettura non solo delle valide risposte ma, sfida ancora più ambiziosa, l’occasione preziosa di porsi ulteriori e nuove domande… perché solo così una proposta formativa può
diventare veramente completa e rappresentare per tutti uno stimolo straordinario alla ricerca costante
dell’innovazione tecnologica e della speculazione scientifica, con l’obiettivo comune di rendere l’elettrostimolazione una disciplina sempre più moderna e vitale.
Buona lettura!
Luca Santini – Massimo Santini
autori
carmen adduci
giampiero maglia
Unità di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione
Cardiaca, Cardiologia, Azienda Ospedaliera
Sant’Andrea, Dipartimento di Medicina Clinica
e Molecolare, “Sapienza” Università di Roma, Roma
Struttura Complessa di Cardiologia-UTIC,
Struttura di Aritmologia Interventistica,
Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
maria stella baccillieri
annibale alessandro montenero
IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni, Milano
Unità Operativa Complessa di Cardiologia,
Ospedale Civile “Pietro Cosma”, Camposampiero,
Padova
chiara montenero
francesco biscione
franca negrini
Unità Operativa Complessa di Cardiologia,
Ospedale “Santo Spirito in Saxia”, Roma
vito calabrese
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari,
Università Campus Bio-Medico, Roma
antonio creta
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari,
Università Campus Bio-Medico, Roma
domenico giovanni della rocca
Dipartimento di Cardiologia,
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma
giovanni battista forleo
Dipartimento di Cardiologia,
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma
pietro francia
Unità di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione
Cardiaca, Cardiologia, Azienda Ospedaliera
Sant’Andrea, Dipartimento di Medicina Clinica
e Molecolare, “Sapienza” Università di Roma, Roma
carlo lavalle
Unità Operativa Complessa di Cardiologia,
Ospedale “San Filippo Neri”, Roma
emanuela t. locati
Cardiologia 3 - Elettrofisiologia, Dipartimento
Cardiovascolare, Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano
maurizio lunati
Cardiologia 3 - Elettrofisiologia, Dipartimento
Cardiovascolare, Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano
Facoltà di Medicina e Psicologia, “Sapienza” Università
di Roma - Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma
Cardiologia 3 - Elettrofisiologia, Dipartimento
Cardiovascolare, Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano
luigi padeletti
Cattedra di Cardiologia dell’Università degli Studi
di Firenze, Firenze
francesco palano
Unità di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione
Cardiaca,Cardiologia, Azienda Ospedaliera
Sant’Andrea, Dipartimento di Medicina Clinica
e Molecolare, “Sapienza” Università di Roma, Roma
stefano pedretti
Cardiologia 3 - Elettrofisiologia, Dipartimento
Cardiovascolare, Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano
paolo pieragnoli
Aritmologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria
Careggi, Firenze
carlo pignalberi
Unità Operativa Complessa di Cardiologia,
Ospedale “San Filippo Neri”, Roma
agostino piro
Centro di Elettrostimolazione Cardiaca,
Policlinico Umberto I, Roma
alessandro proclemer
Struttura Operativa Complessa di Cardiologia,
Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Maria
Misericordia” e Fondazione IRCAB, Udine
luca rebellato
Struttura Operativa Complessa di Cardiologia,
Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Maria
Misericordia” e Fondazione IRCAB, Udine
VIII DEFIBRILLATORE AUTOMATICO IMPIANTABILE
renato piero ricci
Unità Operativa Complessa di Cardiologia,
Ospedale “San Filippo Neri”, Roma
maurizio russo
Unità Operativa Complessa di Cardiologia,
Ospedale “San Filippo Neri”, Roma
stefania sacchi
Cattedra di Cardiologia dell’Università degli Studi
di Firenze, Firenze
Sant’Andrea, Dipartimento di Medicina Clinica
e Molecolare, “Sapienza” Università di Roma, Roma
elisa silvetti
Unità Operativa Complessa di Cardiologia,
Aurelia Hospital, Roma
filippo stazi
Unità Operativa Complessa di Cardiologia 2,
Ospedale “San Giovanni Addolorata”, Roma
adriano salvati
marco toniolo
Unità di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione
Cardiaca, Cardiologia, Azienda Ospedaliera
Sant’Andrea, Dipartimento di Medicina Clinica
e Molecolare, “Sapienza” Università di Roma, Roma
Struttura Operativa Complessa di Cardiologia,
Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Maria
Misericordia” e Fondazione IRCAB, Udine
luca santini
Unità Operativa Complessa di Cardiologia, Ospedale
Civile “Pietro Cosma”, Camposampiero, Padova
Unità Operativa Complessa di Cardiologia,
Ospedale G. B. Grassi, Ostia (RM)
massimo santini
Direttore del Centro Studi Regionale per la Diagnosi
e Cura delle Aritmie Cardiache, Ospedale
“San Filippo Neri”, Roma
lorenzo semprini
Unità di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione
Cardiaca, Cardiologia, Azienda Ospedaliera
pietro turrini
roberto verlato
Unità Operativa Complessa di Cardiologia, Ospedale
Civile “Pietro Cosma”, Camposampiero, Padova
antonio vincenti
Responsabile Servizio di Elettrofisiologia e
Cardiostimolazione, Ospedale Multimedica IRCCS,
Sesto San Giovanni (MI)
indice
Cap. 1 ……………………………………………………………………… 3
Cap. 9 …………………………………………………………………… 178
Problema clinico: aritmie ventricolari
maligne e morte improvvisa
Indicazioni e tecniche di espianto dei sistemi di defibrillazione
C. Lavalle, A. Piro, E. Silvetti
M. Russo
Cap. 2 ……………………………………………………………………… 17
Cap. 10 ………………………………………………………………… 189
Tecnologia
Interferenze elettromagnetiche e compatibilità
con la risonanza magnetica nucleare
C. Pignalberi, F. Biscione, V. Calabrese,
A. Creta, F. Stazi
L. Santini
Cap. 3 ……………………………………………………………………… 55
Cap. 11 ………………………………………………………………… 207
Indicazioni all’impianto
D.G. Della Rocca, G.B. Forleo
Longevità dimostrata degli elettrodi e dei generatori ad alto voltaggio e relativi “recall” negli ultimi 10 anni
Cap. 4 …………………………………………………………………… 101
A. Proclemer, L. Rebellato, M. Toniolo
Tecniche d’impianto di defibrillatore
automatico impiantabile
Cap. 12 ………………………………………………………………… 222
A.S. Montenero, C. Montenero
Cap. 5 …………………………………………………………………… 113
Complicanze precoci e tardive
P. Pieragnoli
Cap. 6 …………………………………………………………………… 126
Programmazione del sistema
R. Verlato, M.S. Baccillieri, P. Turrini
Cap. 7 …………………………………………………………………… 142
Malfunzionamenti e loro gestione
E.T. Locati, S. Pedretti, F. Negrini, M. Lunati
Cap. 13 ………………………………………………………………… 239
Tempesta elettrica
A. Vincenti
Cap. 14 ………………………………………………………………… 249
Disattivazione del defibrillatore
impiantabile nei pazienti a fine vita
S. Sacchi, L. Padeletti
Algoritmi automatici
Cap. 15 ………………………………………………………………… 256
G. Maglia
Defibrillatore sottocutaneo
Cap. 8 …………………………………………………………………… 163
P. Francia, F. Palano, C. Adduci, L. Semprini,
A. Salvati
Monitoraggio remoto per il follow-up dei pazienti con pacemaker e defibrillatore impiantabile
Cap. 16 ………………………………………………………………… 266
R.P. Ricci
M. Santini
Il defibrillatore del futuro
DEFIBRILLATORE AUTOMATICO IMPIANTABILE
Rassegna di casi clinici …
…………………………… 269
Caratteristiche tecniche dei defibrillatori automatici impiantabili 305
NayaMed …
………………………………………………………… 307
St. Jude Medical … …………………………………………… 319
Biotronik … ………………………………………………………… 339
Medtronic …………………………………………………………… 359
Sorin … ………………………………………………………………… 379
Boston Scientific … …………………………………………… 394
defibrillatore automatico
impiantabile
1
aritmie ventricolari
maligne
e morte improvvisa
C. Lavalle, A. Piro, E. Silvetti
Epidemiologia
Definizione
Con il termine “morte cardiaca improvvisa”
(MCI) s’intende una morte naturale per cause cardiache, inattesa sia in termini di tempo
sia per modalità, preceduta da improvvisa perdita di coscienza; che si verifica entro un’ora
dall’inizio dei sintomi, in soggetti con o senza
cardiopatia nota 1.
Incidenza
Le morti improvvise da cause cardiache sono approssimativamente il 50% delle morti
cardiovascolari 2 con una stima di circa 4-5
milioni di casi l’anno nel mondo 3. L’incidenza stimata è di circa 1 caso su 1.000 persone
per anno; in Italia se ne stimano circa 50.000
l’anno, con 1 evento ogni 9 minuti. La MCI
è la conseguenza diretta di un arresto cardiaco, condizione che è potenzialmente reversibile se trattata immediatamente, anche se la
sopravvivenza è estremamente bassa (2-3%).
Esistono due picchi nell’incidenza: un primo
picco tra 0 e 6 mesi (morte improvvisa in culla)
e un secondo picco tra i 45 e i 75 anni. Tra
gli adolescenti e i giovani adulti, l’incidenza si
mantiene quindi bassa (1/1.000.000 l’anno).
Tra le giovani vittime le anomalie struttura-
Tabella 1.I Tasso d’incidenza della morte cardiaca improvvisa per età e sesso basata sul Rotterdam
Study (1990-2010) 6.
Età
Popolazione totale
Uomini
Donne
Casi/persone-anno
IR (95% CI)
Casi/persone-anno
IR (95% CI)
Casi/persone-anno
IR (95% CI)
45-54
3/4.398
0,7 (0,1-2,0)
1/1.887
0,5 (0,0-3,0)
2/2.512
0,8 (0,1-2,9)
55-59
8/8.948
0,9 (0,4-1,8)
6/3.871
1,6 (0,6-3,4)
2/5.077
0,4 (0,1-1,4)
60-64
28/20.885
1,3 (0,9-1,9)
20/8.968
2,2 (1,4-3,5)
8/11.917
0,7 (0,3-1,3)
65-69
38/24.508
1,6 (1,1-2,1)
25/10.618
2,4 (1,5-3,5)
13/13.890
0,9 (0,5-1,6)
70-74
76/25.031
3,0 (2,4-3,8)
45/10.716
4,2 (3,1-5,6)
31/14.315
2,2 (1,5-3,1)
75-79
105/22.326
4.7 (3,9-5,7)
67/8.902
7,5 (5,8-9,6)
38/13.424
2,8 (2,0-3,9)
80-84
139/16.736
8,3 (7,0-9,8)
57/5.754
9,9 (7,5-12,8)
82/10.982
7,5 (5,9-9,3)
85-89
109/9.943
11,0 (9,0-13,2)
40/2.630
15,2 (10,9-20,7)
69/7.312
9,4 (7,3-11,9)
>90
77/5.169
14,9 (11,8-18,6)
18/994
18,1 (10,7-28,6)
59/4.176
14,1 (10,8-18,2)
Totale
583/137.944
4,2 (3,9-4,6)
279/54.340
5,1 (4,6-5,8)
304/83.605
3,6 (3,2-4,1)
DEFIBRILLATORE AUTOMATICO IMPIANTABILE
li del cuore si riscontrano nel 90% dei casi e
i rilievi patologici di più frequente riscontro
sono: miocardite, cardiomiopatia ipertrofica,
anomalie coronariche congenite, malattia aterosclerotica coronarica, anomalie del sistema di
conduzione, canalopatie e dissezione aortica 4, 5.
Dati recenti sulla morte improvvisa in pazienti
di età superiore ai 45 anni stimano l’incidenza in 4,2 casi ogni 1.000 persone. L’incidenza
è maggiore negli uomini rispetto alle donne e
aumenta con l’età (Tab. 1.I) 6. Interessante è il
dato che, nonostante gli innumerevoli progressi
nel trattamento delle malattie cardiovascolari,
la prevalenza complessiva della MCI è rimasta
sostanzialmente immodificata nel tempo. Studi autoptici e clinici hanno mostrato che la presenza di una malattia cardiaca strutturale aumenta il rischio. In particolare, nei pazienti con
età superiore ai 50 anni, la malattia coronarica
è la causa principale di MCI essendo responsabile di circa il 75% dei casi. Le cardiomiopatie
e le canalopatie rappresentano invece circa il
60% dei casi in pazienti di età inferiore ai 50
anni (Tab. 1.II). In circa il 5% dei pazienti, la
causa della MCI può rimanere sconosciuta.
Gli eventi aritmici coinvolti nelle MCI sono
da sempre di difficile identificazione poiché
la maggior parte dei decessi avviene al di fuori
dell’ambito ospedaliero, in assenza di documentazione del ritmo cardiaco al momento
dell’evento. Inoltre le aritmie maligne ventricolari degenerano rapidamente in asistolia che,
per tale motivo, rappresenta il quadro elettrico
di più comune riscontro al primo soccorso. Nei
casi di breve tempo trascorso tra il collasso e
la documentazione del ritmo, è stato riscontrato che l’aritmia ventricolare più comune è
la fibrillazione ventricolare, sia a genesi diretta
sia quale degenerazione di un episodio di tachicardia ventricolare monomorfa e polimorfa
(70-80% dei casi di arresto cardiaco). Per circa
il 20% dei casi l’eziologia è rappresentata da
bradiaritmie o dissociazione elettromeccanica.
Più raramente una MCI può verificarsi per una
tachicardia ventricolare prolungata con grave
compromissione emodinamica (Fig. 1.1) 7.
Tabella 1.II Cause di morte cardiaca improvvisa in pazienti sopra e sotto i 50 anni di età.
Pazienti ≥50 anni
Cardiomiopatia ischemica
– Ischemia acuta
– Ischemia cronica
– Tachicardie ventricolari SCAR-mediate
– Rimodellamento ventricolare
Cardiomiopatia dilatativa
Altri (cardiomiopatia ipertensiva, stenosi aortica, miocarditi, ecc.)
75-80%
15-20%
5-10%
Pazienti <50 anni
Cardiomiopatia ipertrofica
Displasia aritmogena del ventricolo destro
Miocarditi
Malattia coronarica
Anomalie coronariche (incluso ponte intramiocardico IVA)
Cardiopatia valvolare
Cardiomiopatia dilatativa
Canalopatie
Altri
5-30%
5-25%
6-10%
5-20%
2-20%
5-10%
2-4%
3-5%
3-20%
Modificata da: Israel CW. Mechanisms of sudden cardiac death. Indian Heart J 2014;66:10-17.
cap. 1 • aritmie ventricolari maligne e morte improvvisa Classificazione in base
alla morfologia del QRS
Torsione di Punta
13%
Bradicardia
16%
VT
63%
VF
primitiva
8%
Figura 1.1
Primo ritmo riscontrato nei casi di morte cardiaca improvvisa. VT=tachicardia ventricolare.
VF=fibrillazione ventricolare 7.
Classificazione
delle aritmie ventricolari
Le aritmie ventricolari sono definite come aritmie che hanno origine al di sotto della biforcazione del fascio di His. Possono originare nel
contesto del muscolo ventricolare, del sistema
di conduzione o possono coinvolgere entrambi. Possono essere classificate in diverso modo a
seconda se si considera la durata, la morfologia
del QRS o la presentazione clinica 8.
Classificazione
in base alla durata
• Complessi prematuri ventricolari o extrasistoli ventricolari: complessi isolati
che originano dal miocardio comune ventricolare o dal sistema di His-Purkinje;
• Tachicardia ventricolare (TV): 3 o più
complessi ventricolari a una frequenza superiore a 100 bpm:
–TV non sostenuta: TV che termina
spontaneamente entro 30 secondi;
–TV sostenuta: TV che dura più di 30
secondi o che richiede un intervento per
l’interruzione (ad es. cardioversione).
• TV monomorfa: TV che presenta un QRS
uguale da battito a battito;
• TV multiple monomorfe: più tachicardie
ventricolari che si manifestano con diverse
morfologie di TV monomorfe in differenti
episodi;
• TV polimorfa: TV che mostra continui
cambiamenti nella morfologia del QRS nel
contesto dello stesso episodio;
• TV pleomorfa: TV che presenta QRS con
più di una morfologia nel contesto di uno
stesso episodio, ma il QRS non cambia continuamente;
• flutter ventricolare: TV rapida che presenta
un QRS continuo sinusoidale, con assenza di
linea isoelettrica, che non permette di identificare la morfologia dello stesso;
• fibrillazione ventricolare: aritmia ventricolare che presenta una morfologia del
QRS totalmente caotica.
Classificazione in base alle
caratteristiche cliniche
• TV clinica: una TV che insorge spontaneamente identificabile in base all’analisi dell’ECG e della frequenza;
• TV emodinamicamente instabile: TV
che causa instabilità emodinamica e che richiede quindi una pronta interruzione;
• TV incessante: TV sostenuta che recidiva
immediatamente nonostante ripetute interruzioni spontanee o terapeutiche;
• TV monomorfa ripetitiva: episodi continuamente ripetitivi di TV non sostenuta
che si interrompono da soli;
• storm aritmico: tre o più episodi separati
di TV sostenuta nelle 24 ore che hanno richiesto un intervento per l’interruzione;
• TV non mappabile: TV di cui non è possibile definire la sequenza di attivazione al mappaggio elettro-anatomico. Questo può essere
DEFIBRILLATORE AUTOMATICO IMPIANTABILE
dovuto o alla instabilità emodinamica della
TV, che necessita quindi di una rapida interruzione, o a ripetute interruzioni spontanee o
indotte dal pacing, durante il mappaggio.
acuta dell’infarto miocardico, nonché in seguito
a rivascolarizzazione, in relazione alla tossicità
da farmaci o nel contesto di gravi disionie.
Attività triggerata
Meccanismi
elettrofisiologici
I meccanismi elettrofisiologici coinvolti nella
genesi delle aritmie ventricolari possono essere
riassunti in disturbi della formazione dell’impulso (esaltato automatismo e attività triggerata) e nei disturbi della conduzione dell’impulso
(circuiti di rientro).
Esaltato automatismo
Con il termine di “automatismo” s’intende la
capacità di una cellula di generare una depolarizzazione spontanea senza la necessità di uno
stimolo esterno. Questo è ciò che avviene nelle
normali depolarizzazioni diastoliche delle cellule segnapassi del nodo del seno (NS). Anche
tutte le altre zone del sistema di conduzione cardiaco hanno questa proprietà intrinseca, ma la
loro frequenza di depolarizzazione spontanea, in
condizioni normali, è sempre inferiore a quella delle cellule segnapassi del NS che prendono
il sopravvento e guidano il ritmo cardiaco. In
queste cellule il potenziale intracellulare diminuisce lentamente durante la fase 4 del potenziale d’azione, portandosi verso valori sempre
meno negativi, fino a raggiungere la soglia in
corrispondenza della quale si realizza la depolarizzazione rapida sodio-dipendente. Quando le
cellule del tessuto di conduzione sono soggette a
ischemia, all’azione di farmaci o altre cause che
ne modificano la fase 4 del potenziale d’azione, possono andare incontro a un automatismo
anormale (esaltato automatismo) che può interessare anche le cellule del miocardio comune. Generalmente questo meccanismo è coinvolto nella
genesi delle aritmie che si manifestano nella fase
L’attività triggerata è così chiamata perché dovuta a uno stimolo esterno (trigger) che provoca
un post-potenziale che a sua volta può produrre
una nuova depolarizzazione della cellula. Questi post-potenziali possono avvenire durante la
fase di ripolarizzazione (post-potenziali precoci) o dopo la completa ripolarizzazione della
cellula (post-potenziali tardivi) (Fig. 1.2).
Post-potenziali precoci
Avvengono durante le fasi 2 e 3 del potenziale
d’azione e si osservano solitamente durante bradicardia o ripolarizzazione prolungata. Possono
essere causati da numerose condizioni quali ipokaliemia, ipocalcemia, alterazioni catecolaminergiche, acidosi, ipossia e iatrogene. Esistono due
tipi di post-potenziali precoci definiti rispettivamente ad alto e a basso potenziale di membrana.
Questi ultimi si osservano a livelli di potenziale
più vicini allo zero e sono caratterizzati da intervalli di accoppiamento brevi. Possono causare
un allungamento della fase di ripolarizzazione,
ma non possono dare origine direttamente a un
nuovo potenziale d’azione. Al contrario i postpotenziali precoci che si osservano a livelli di potenziale più negativi hanno intervalli di accoppiamento più brevi e possono generare potenziali
triggerati e aritmie sostenute.
Post-potenziali tardivi
Avvengono durante la fase 4 del potenziale
d’azione e sono causati da una grande varietà
di condizioni che provocano un aumento della
concentrazione intracellulare di Ca2+ durante la
fase diastolica. Questa può triggerare un nuovo
potenziale d’azione se viene raggiunto il valore di
cap. 1 • aritmie ventricolari maligne e morte improvvisa soglia. Per tale motivo il fattore critico per lo sviluppo dei post-potenziali tardivi è la durata del
potenziale d’azione; più si allunga, più Ca2+ intracellulare sarà disponibile per facilitare i postpotenziali tardivi. Tra le cause principali ricordiamo l’intossicazione digitalica, le alterazioni
catecolaminergiche, l’ipossia e le mutazioni dei
recettori della rianodina che causano le tachicardie ventricolari polimorfe catecolaminergiche.
Circuito di rientro
Il circuito di rientro è il meccanismo elettrofisiologico più frequente nelle TV soprattutto in
presenza di cardiopatia. Elementi necessari per
la formazione di un rientro sono: presenza di un
circuito, blocco unidirezionale in una delle vie,
conduzione sufficientemente lenta nell’altra via,
tale da permettere il recupero della via bloccata
e renderla disponibile per la conduzione retrograda. La presenza di tali elementi permette a
un impulso che attraversa il circuito in una certa
direzione, di tornare indietro e ridepolarizzare
il tessuto da cui proveniva innescando così un
circolo vizioso che si autoalimenta (Fig. 1.3).
Esistono due tipi principali di rientro a seconda
del tipo di circuito:
1) anatomico in cui le due vie sono separate
anatomicamente;
A
B
2) funzionale in cui il circuito gira intorno a
un nucleo centrale di tessuto refrattario.
Le differenze principali di questi due meccanismi
di rientro sono la presenza di un gap eccitabile e
la frequenza con cui si generano gli impulsi. Nel
circuito anatomicamente definito tra le due vie
c’è una buona quantità di tessuto eccitabile che
può essere attivato da un impulso esterno prima
che giunga il fronte d’onda circolante; questo
può sia interrompere l’aritmia che resettarla. Nel
circuito funzionale questo gap non esiste perché
appena un segmento recupera l’eccitabilità viene subito riattivato dal fronte d’onda successivo; questo fa si che tale rientro non può essere
interrotto o resettato da un impulso esterno.
La frequenza di scarica del circuito di rientro
anatomico dipende dalla lunghezza del circuito
e dalla velocità di conduzione mentre nel caso
del circuito di rientro funzionale dipende dalla
lunghezza del periodo refrattario (più sarà breve
più girerà veloce l’impulso).
Fisiopatologia
Cardiopatie strutturali
La cardiopatia ischemica rappresenta la principale causa di morte improvvisa. Quest’ultima
può intervenire con diversi meccanismi elet-
C
Figura 1.2
Rappresentazione dell’attività triggerata: A) post-potenziali precoci di fase 2; B) post-potenziali precoci di fase 3;
C) post-potenziali tardivi di fase 4.
DEFIBRILLATORE AUTOMATICO IMPIANTABILE
trofisiologici nelle differenti fasi della malattia.
Nella fase acuta, che intercorre tra l’occlusione
coronarica e le 72 ore successive: il mancato
apporto di ossigeno, di substrati e il mancato
allontanamento dei cataboliti porta la zona
interessata a ipossia, acidosi e alterazioni della
A
B
C
D
x - via a conduzione breve
y - via a conduzione rapida
Figura 1.3
Rappresentazione schematica di un circuito di
rientro. Le tre componenti necessarie sono: A) due
vie separate di cui una a conduzione lenta e una a
conduzione rapida; B) blocco unidirezionale in una
delle due vie; C, D) conduzione lenta nell’altra via
(Grauer K, Cavallaro D. ACLS: Comprehensive Review. Vol. 2. St. Louis: Mosby Lifeline; 1993).
concentrazione di potassio. Questi tre fattori
principali determinano diverse alterazioni elettrofisiologiche quali l’alternanza dei potenziali d’azione, post-potenziali precoci e tardivi e
la dispersione dei periodi refrattari, causando
l’instabilità elettrica alla base delle extrasistoli
ventricolari spontanee che possono degenerare
in tachicardie ventricolari rapide o fibrillazione
ventricolare. La degenerazione in fibrillazione
ventricolare diventa sempre meno probabile
con il passare delle ore dall’evento acuto. Nella
fase cronica (3 giorni dopo l’occlusione coronarica) la causa delle aritmie è generalmente legata alla formazione di circuiti di rientro a livello
delle aree di tessuto cicatriziale necrotico che
prendono il nome di scar. Tali aree di scar sono
caratterizzate da fibrosi, tessuto necrotico non
eccitabile e miociti ancora vitali parzialmente
depolarizzabili; si ha quindi la formazione di
aree di conduzione lenta e blocchi unidirezionali che rappresentano il presupposto del circuito di rientro (Fig. 1.4). La presenza di aree
di basso voltaggio, identificate come scar, sono
state dimostrate negli ultimi anni utilizzando
i sistemi di mappaggio elettro-anantomico,
che hanno permesso di correlare la presenza
delle aree di scar con i circuiti di rientro alla
base delle tachicardie ventricolari 9. Il concetto è stato ulteriormente confermato con studi
di risonanza magnetica cardiaca che hanno
messo in evidenza come le aree di late enhancement corrispondono alle aree di scar rilevate
al mappaggio elettro-anatomico e come la loro
eterogeneità sia un forte predittore di aritmie
ventricolari 10.
Le cardiomiopatie dilatative rappresentano un
gruppo eterogeneo di cardiopatie non ischemiche accumunate da una riduzione della funzione sistolica sinistra e dalla dilatazione di uno o
di entrambi i ventricoli. Più del 50% dei casi
sembra essere di tipo idiopatico 11. La caratteristica principale di questo gruppo di cardiomiopatie è la formazione, progressiva e multipla, di
cap. 1 • aritmie ventricolari maligne e morte improvvisa aree di fibrosi interstiziale che porta a un disarray dei miociti. Queste zone di fibrosi sono
nella maggior parte dei casi molto irregolari e
“immerse” in aree di tessuto sano; proprio questa irregolarità, che genera importanti rallentamenti della conduzione elettrica, facilita lo
sviluppo di circuiti di rientro. In aggiunta alla
fibrosi, molti altri fattori, come la dispersione
della refrattarietà e l’aumento del tono adrenergico, rendono questi pazienti molto più vulnerabili allo sviluppo di aritmie ventricolari 12.
Base
Normale
≥1,50 mV
Setto
Apice
≤0,50 mV
Zone discar
A
Infarto
RV
B
LV
Setto
Parete
laterale
Figura 1.4
Meccanismo del rientro in una tachicardia ventricolare post-infarto: A) mappaggio elettroanatomico
del ventricolo sinistro con zone di miocardio vitale
(viola), zone di scar (rosso) e zone borderline (altri
colori). La linea gialla mostra un potenziale istmo tra
le zone di scar che potrebbe innescare un rientro;
B) esemplare autoptico di un cuore con pregresso
infarto e zona di scar settale. Si può notare come
l’area di scar è eterogenea con zone di tessuto vitale
(freccia nera) che possono fungere da istmo per un
rientro. RV=ventricolo destro, LV=ventricolo sinistro (Nazer B, Gerstenfeld EP. Catheter ablation of
ventricular tachycardia in patients with post-infarction cardiomyopathy. Korean Circ J 2014:210-7).
La cardiomiopatia ipertrofica è una malattia ereditaria ed è la causa primaria di morte cardiaca
improvvisa nei pazienti giovani. È un disordine
genetico che colpisce i sarcomeri dei miociti.
È caratterizzata clinicamente da un’ipertrofia patologica del ventricolo sinistro che può
portare a una varietà di ostruzioni dinamiche,
soprattutto nel tratto di efflusso. A livello istologico, oltre alla presenza di miociti ipertrofici,
si riscontrano aree di disarray, di fibrosi e di
malattia del microcircolo. Queste alterazioni
strutturali sono di difficile riscontro all’ecocardiografia, ma sono stati meglio studiati con la
risonanza magnetica (RM) cardiaca 13. Nella
storia naturale di questi pazienti, la perdita di
orientamento delle miofibre e il conseguente
disarray, oltre a provocare una severa disfunzione ventricolare sinistra, rappresentano il substrato pro-aritmico a causa della formazione
di circuiti di rientro. Le tachicardie ventricolari non sostenute sono le aritmie ventricolari
di più frequente riscontro; le tachicardie ventricolari sostenute sono più spesso associate ai
casi in cui l’ipertrofia colpisce maggiormente
l’apice 14 (Fig. 1.5).
La displasia aritmogena del ventricolo destro
(ARVC) è un disordine genetico caratterizzato
dalla diffusa o segmentaria perdita di miociti
sostituiti da tessuto fibro-adiposo prevalentemente a livello della parete libera, del tratto di
efflusso e dell’apice del ventricolo destro. In
10 DEFIBRILLATORE AUTOMATICO IMPIANTABILE
rari casi può essere interessato anche il ventricolo sinistro. Questi cambiamenti strutturali
portano a dilatazione del ventricolo destro,
formazione di microaneurismi e riduzione di
spessore delle pareti. Nei casi di forte sospetto
clinico è la RM cardiaca a evidenziare il quadro
patognomonico. La genesi delle aritmie ventricolari in questo contesto è secondaria alla formazione di circuiti di rientro anatomicamente
determinati intorno a isole di tessuto adiposo
(scar) che infiltrano il miocardio dall’epicar-
Scar
apicale
A
A
B
Figura 1.5
A) Area di scar apicale in paziente con cardiomiopatia ipertrofica alla RM cardiaca e B) al mappaggio
elettroanatomico del ventricolo sinistro che mostra
proprio in corrispondenza dell’apice un’area di basso voltaggio (area di colore rosso), il resto del miocardio appare sano (colore viola) (Dukkipati SR, Avila
A, Soejima K, Bala R, Inada K, Singh S et al. Long-term
outcomes of combined epicardial and endocardial
ablation of monomorphic ventricular tachycardia related to hypertrophic cardiomyopathy. Circ Arrhythmia Electrophysiol 2011;4:185-94).
B
Figura 1.6
Mappaggio elettroanatomico in paziente con ARVC.
La scar epicardica (A) è di gran lunga maggiore rispetto all’equivalente endocardico (B). In viola è
rappresentato il tessuto sano (voltaggi >0,5 mV) e in
rosso le aree di scar (voltaggi <0,5 mV) 15.