trasposizione didattica: astronomia e matematica

TRASPOSIZIONE DIDATTICA: ASTRONOMIA E
MATEMATICA1
Sebastiana LAI2
INTRODUZIONE
Il titolo di questo articolo3 richiama di primo acchito una lettura della congiunzione “e”
di tipo interdisciplinare. Occorre quindi fare subito una precisazione. L’astronomia,
come le matematiche, e tutte le altre scienze sperimentali e/o osservative, si
caratterizzano per la loro intrinseca qualità di intrattenere connessioni strette con diversi
campi di sapere. La natura problematica della conoscenza scientifica mette in evidenza
la complementarità ma anche la specificità dello sguardo disciplinare con il quale si
osserva la realtà. Prima di essere inter-trans-multi una disciplina è un campo di sapere
con un proprio oggetto, metodi di analisi, strumenti di misura che in un insieme coerente
concorrono a fondare una disciplina e i suoi stessi fenomeni.
La chiave di lettura di questo accostamento è data invece dalla “Trasposizione
Didattica”, problematica relativa ai processi di insegnamento/apprendimento che
riguarda la natura del sapere da insegnare, in riferimento alle necessarie manipolazioni
e cambiamenti cui gli oggetti di sapere sono sottoposti per poter essere insegnati nelle
Istituzioni scolastiche. Ciò che ci proponiamo di analizzare sono, quindi, le condizioni di
insegnabilità dell’astronomia e dell’astrofisica in ambito scolastico, avanzando la tesi
della necessità di una più esplicita visione matematizzata dell’astronomia come
condizione epistemologica essenziale che fornisce il senso scientifico dello studio dei
fenomeni astronomici, nella scuola.
L’innovazione dei contenuti astronomici verso l’astrofisica4 determina, d’altra parte,
nuovi vincoli all’insegnabilità di questi argomenti, e, di conseguenza, si pone la
necessità di assumere dei criteri espliciti e rigorosi di valutazione del suo impatto nel
sistema didattico. Nel paragrafo1 si presentano le problematiche suscitate dalla Teoria
della Trasposizione didattica per l’astronomia. Nel paragrafo 2 si analizzano le
condizioni di insegnabilità dell’astronomia, attraverso lo studio (2.1) di un contenuto di
insegnamento, (la misura del raggio della Terra), sia dal punto di vista dell’insegnante
(2.2) che dell’alunno (2.3). Nel paragrafo 3 si prende in esame il Tempo didattico
rispetto al quale si evidenziano le ragioni epistemologiche (3.1) e quelle didattiche (3.2)
1
Lavoro eseguito nell’ambito del co-finanziamento MIUR –2001.
Osservatorio Astronomico – INAF Cagliari.
3
Questo articolo approfondisce il tema trattato in un seminario svolto nell’ambito dei cicli di incontri, rivolti
ad insegnanti in formazione o in servizio, organizzati annualmente dal CRSEM.
4
“Lo scopo dell’ astrofisica è quello di studiare la natura fisica e l’evoluzione di singoli oggetti cosmici
compreso tutto l’Universo.La suddivisione dell’astrofisica si fa di regola in base agli oggetti di ricerca: fisica
delle stelle, del Sole, delle nebulose, dei raggi cosmici, della cosmologia, ecc.”, da P. Bakulin, E. Kononovic,
V. Moroz. (1984), in Astronomia Generale, Editori Riuniti. Dalla Enciclopedia dell’Universo di E.Proverbio
(1982) leggiamo : « Si può…affermare che la ricerca astrofisica vera e propria si sviluppa agli inizi del XIX
secolo, dopo la scoperta (1814) da parte di J. Fraunhofer (1787-1826) delle linee scure nello spettro solare.”
(Teti editore, pag. 28). L’astrofisica è dunque datata.
2
1
che portano alla impossibilità di una identità del Tempo dell’insegnamento e del Tempo
dell’apprendimento. Nelle osservazioni conclusive, infine, si sintetizzano i risultati
raggiunti rispetto alla trasposizione didattica dell’astronomia e dell’astrofisica e i
problemi aperti.
1. L’ASTRONOMIA E LA SUA TRASPOSIZIONE DIDATTICA
L’innovazione dei contenuti di astronomia a favore dell’astrofisica, sostenuto dalla
comunità scientifica dei professionisti in Italia negli ultimi 10 anni, ha accentuato lo
scarto5 tra il sapere da insegnare e il sapere insegnato e reso vero l’approdo,
teoricamente prevedibile, dall’iniziale instabilità dei contenuti di astronomia, registrata
nel corso di questi anni nei programmi e libri di testo, alla messa in discussione della
stessa legittimità di questo insegnamento.
La teoria della Trasposizione didattica spiega la maggiore o minore legittimità dei saperi
da insegnare come il risultato di due distinti processi:
• L’invecchiamento (“biologico”) dei saperi insegnati rispetto all’evoluzione
della ricerca scientifica, che richiama una innovazione dei contenuti.
• L’incompatibitilità di questi saperi con la società in generale, per cui può essere
tacciato di obsolescenza un sapere che, pur mantenendo ancora un senso
scientifico e un accordo con l’ambiente di apprendimento pratico degli allievi,
non è più considerato importante, in quanto sapere “banale” e inutile, o
appartenente al senso comune, come è spesso considerata l’astronomia classica,
identificata con “i moti della Terra”: tutti sanno che la Terra gira intorno al
Sole, che bisogno c’è, allora, di insegnarla a scuola?
L’innovazione è quindi la risposta del sistema scolastico per ristabilire un nuovo
equilibrio scuola-scienza-società. In termini operativi questo equilibrio viene raggiunto
attraverso la realizzazione di un nuovo testo di sapere, ossia una nuova sequenza di
oggetti di sapere (i contenuti), che per essere “insegnati” devono rispettare tutti i vincoli
del sistema didattico6. Appare evidente che la valutazione dell’efficacia della nuova
trasposizione didattica va verificata nell’ambito della pratica effettiva
dell’insegnamento/apprendimento in classe, luogo in cui è possibile ricercare le
integrazioni con gli oggetti di sapere dei Programmi vecchi e creare le condizioni per
una reale vivibilità dei nuovi oggetti di sapere nel sistema di insegnamento.
Occorre ribadire qui un concetto importante sul carattere di “necessità” che accompagna
la trasposizione: questa non è in sé “buona o cattiva”, ma è inevitabile, in quanto esiste
la scuola con le sue leggi di compatibilità sociale e con le diverse filosofie di
insegnamento, dettate dalle teorie dell’apprendimento più accreditate.
Per quanto riguarda l’astronomia e l’astrofisica si può affermare, senza tema di smentita,
che, mentre l’astronomia classica scompare dai programmi istituzionali, l’astrofisica,
parte dei programmi di fisica, ma ancora presente nei libri di testo di Scienze della
scuola secondaria superiore, stenta a trovare spazio tra i saperi insegnati. Resta dunque
aperto, ancora oggi, il problema di come rispondere alla presunta obsolescenza
5
Uno studio della trasposizione didattica di contenuti di astronomia e astrofisica, secondo la teoria elaborata da
Chevallard (1985), è sviluppata in S. Lai, 2002a.
6
Una analisi dei vincoli per la scolarizzazione dei contenuti disciplinari è contenuta in Lai 2002a, pag. 19-20.
dell’astronomia e di conseguenza quali condizioni di insegnabilità si danno per
l’insegnamento/apprendimento di questi due rami affini e contigui della scienza:
l’astronomia, codificata saldamente in un sistema teorico abbastanza stabile e
“conosciuto”, e l’astrofisica, sapere di frontiera e in continua evoluzione, i cui modelli
teorici sono in costruzione, che fornisce i nuovi oggetti di sapere verso i quali si orienta
l’innovazione scolastica. In altri termini, la Scuola deve/può rinunciare ad insegnare
l’astronomia classica e deve/può concentrare i suoi sforzi nell’insegnamento
dell’astrofisica? L’astrofisica deve/può essere insegnata? Qual è il senso di un
curriculum di astrofisica?
Dalla teoria della Trasposizione didattica sappiamo che un “oggetto di sapere”, che, lo
ricordiamo, costituisce il primo anello della catena della trasposizione, non si impone
come tale alla coscienza degli attori del sistema didattico, (quindi, nemmeno
all’insegnante). Non esiste cioè una istituzione stabile7 (del sistema scolastico o del
mondo della ricerca) da cui “prendere” degli oggetti già confezionati e pronti da
trasformare in oggetti da insegnare. Con le parole di Chevallard8 possiamo dire che se si
può affermare in generale che essi preesistono al passaggio che li identifica come tali,
più spesso di quanto si potrebbe credere «essi sono delle vere creazioni didattiche,
suscitati dai «bisogni dell’insegnamento» (Chevallard, 1985, pag. 39).
In altri termini, gli oggetti da insegnare (secondo anello della catena della trasposizione)
in virtù della loro origine didattica assumono, nella messa in testo, che li organizza per
l’insegnamento, uno statuto epistemologico che è specifico del loro funzionamento
didattico in classe, ossia in relazione a ciò che diventerà per l’insegnante e per gli alunni
sapere insegnato (ultimo anello della catena della Trasposizione didattica).
La distinzione, introdotta da Chevallard per le matematiche, di tre categorie, nozioni
matematiche, paramatematiche e protomatematiche, per descrivere il diverso
funzionamento dei saperi nel sistema didattico consente di prevedere, infatti, le modalità
di insegnamento/apprendimento caratterizzanti ognuna di queste categorie, e il tipo di
situazioni didattiche che si possono attivare in classe relativamente a ciascuna di queste
categorie di saperi. Le nozioni matematiche danno luogo a un insegnamento esplicito,
esse sono dunque costruite, e per questa ragione sono suscettibili di definizioni, se ne
conoscono o se ne possono dimostrare le proprietà principali, se ne conosce un certo
numero di occasioni di impiego. Solo le nozioni matematiche possono essere valutate
direttamente dall’insegnante. Invece le nozioni paramatematiche sono normalmente
precostruite, non costituiscono oggetto di insegnamento : sono delle nozioni strumento
(ausiliarie) dell’attività matematica (ad es. formula, parametro, equazione,
fattorizzazione,…) necessarie all’insegnamento (e all’apprendimento) degli oggetti
matematici propriamente detti. “Esse devono essere
« apprese” (o piuttosto
«conosciute»), ma non sono «insegnate». Ma questi oggetti si presentano in qualche
modo alla percezione didattica dell’insegnante e si dà loro un nome. Le nozioni
protomatematiche sono mobilitate solo implicitamente , esse non hanno nemmeno un
nome». (Chevallard, 1985, pag. 51).
Ciò che distingue fondamentalmente queste tre categorie è, dunque, la possibilità di
costruzione/non costruzione in classe dei saperi disciplinari che si presentano organizzati
7
8
L’Università ad esempio come luogo di produzione di Sapere.
La traduzione dal francese delle citazioni di Chevallard e di Brosseau sono ad opera dell’autrice.
3
(sequenzializzati) nel testo di sapere. In un curriculum di astronomia, ad esempio, la
presenza preponderante di “nozioni astronomiche”, piuttosto che “protoastronomiche” e
“parastronomiche9 implica per l’insegnante, se ci si sofferma a studiare il passaggio dal
sapere da insegnare al sapere insegnato, la necessità della ricerca di integrazione tra
programmi di discipline diverse (per esempio la matematica o la fisica) che forniscono
concetti e linguaggio appropriati a formulare “definizioni”, “dimostrazioni”, regole per
lo svolgimento di esercizi, strumenti per “modellizzare” i fenomeni astronomici, ed
inoltre l’esplicitazione delle competenze minime da valutare negli studenti. Non si può
capire senza la geometria, ad esempio, la definizione del concetto di latitudine come
equivalente alla altezza del polo sull’orizzonte. L’osservazione della stella polare non è
di per sé assimilabile a questa definizione. La modellizzazione della Terra come sfera, i
teoremi sulla eguaglianza degli angoli, l’assunzione del parallelismo dei raggi luminosi
provenienti dagli oggetti celesti lontani, sono invece alcuni dei concetti alla base di
questa definizione operativa. Tutto ciò determina una sequenzializzazione dei saperi da
apprendere molto rigorosa. E la conseguente verifica e valutazione dei concetti appresi è
funzione dei saperi introdotti.
L’analisi del Programma e della programmazione dell’insegnante consente dunque apriori di prevedere il ruolo dell’alunno nel processo di insegnamento/apprendimento
relativamente ai saperi da insegnare: la messa in testo è lo strumento di previsione di ciò
che è considerato insegnabile e pertinente nel sistema didattico.
Sappiamo, comunque, che il lavoro dell’insegnante non si esaurisce nella
programmazione dei saperi da insegnare. E’ infatti totalmente a suo carico il lavoro di
contestualizzazione di tali saperi nella classe. Le scelte che l’insegnante deve fare per
trasformare il sapere da insegnare in sapere insegnato devono tener conto sia delle
difficoltà abituali degli studenti nell’acquisire i concetti che gli si vuol far apprendere10
sia delle situazioni didattiche che l’insegnante deve mettere in campo per raggiungere gli
obiettivi prefissati.
La presa in conto dell’insegnamento in atto nella classe introduce una ulteriore variabile
nel sistema didattico, che è il tempo della didattica, non riducibile alla linearità del
tempo dell’insegnamento, deducibile dalla sequenzializzazione del testo di sapere. Il
tempo come variabile che modellizza la relazione didattica Insegnante-Allievo-Sapere
rappresenta la chiave di lettura dei fenomeni didattici osservabili in classe ed è
sull’analisi di questa variabile che appunteremo la nostra attenzione per identificare
meglio la posizione dell’alunno nella relazione didattica che si realizza quando si
costruiscono dei nuovi saperi. Seguiremo dunque il filo rosso del costruito/non
costruito nell’insegnamento/apprendimento dell’astronomia e astrofisica per distinguere
ciò che è insegnabile da ciò che non lo è.
La trasposizione didattica di un contenuto di astronomia che presentiamo nel prossimo
paragrafo, rappresenta un esempio di come si può costruire un curriculum innovativo
puntando sull’insegnamento/apprendimento dell’astronomia classica. La trasposizione
dell’astronomia che ne scaturisce ridisegna un profilo epistemologico di questa antica
9
Un esempio di trasposizione dell’astrofisica prevalentemente proto e para astrofisica è contenuta in Lai
2002a, pag. 20-21.
10
L’insegnante acquisisce queste conoscenze dalla letteratura della ricerca didattica o più realisticamente dalla
propria esperienza.
disciplina molto più vicino alle origini da cui si è sviluppata più di quanto i libri di testo
e le esperienze descrittive che circolano nella pratica della scuola non consentano di fare.
Essa funge da prototipo e da riferimento per riflettere sulla insegnabilità dell’astronomia
e dell’astrofisica nel sistema scolastico.
2. INSEGNABILITÀ DELL’ASTRONOMIA
Lo studio dell’origine degli oggetti di sapere nell’ambito della teoria della Trasposizione
didattica rivela la natura processuale della elaborazione delle conoscenze scientifiche, la
cui forma sintattica e logica sono il frutto di un laborioso lavoro di manipolazione sui
risultati di ricerca ad opera degli stessi ricercatori, finalizzato alla comunicazione
nell’ambito della comunità scientifica più vasta di quella nella quale nascono11. Ciò vuol
dire rendere ogni sapere funzionale all’istituzione nella quale esso deve vivere. Un
sapere non esiste, infatti, in vacuo, ogni sapere è il sapere di una istituzione.
Poiché l’intento di questo articolo è quello di mostrare la compatibilità dell’astronomia
classica con l’esigenza di innovazione che viene dal sistema scolastico occorre, allora,
esplicitare la genesi degli oggetti di sapere astronomici che devono essere trasformati in
oggetti da insegnare. Il processo di identificazione di questi oggetti richiede
l’assunzione di un punto di vista epistemologico sulla disciplina e sulle finalità educative
attribuite all’insegnamento scientifico in generale nella scuola. Il punto di vista
epistemologico mette in luce, infatti, la struttura logica della disciplina e determina il
senso con i quali i saperi da insegnare compaiono nel curriculum, i cui significati
devono essere rintracciabili operativamente nella messa in testo e nella
istituzionalizzazione12 del sapere insegnato in classe.
La domanda: che cosa insegnare? si riscrive, dunque, nel sistema scolastico, come: che
cosa è insegnabile? Cominciamo, dunque, col fornire brevemente il nostro punto di vista
epistemologico sull’astronomia, appoggiandoci sulla “psicanalisi” della scienza operata
da Bachelard ,1938, di cui citiamo un lungo brano.
“Rendere geometrica la rappresentazione, vale a dire descrivere i fenomeni e ordinare in
serie gli eventi decisivi di una esperienza: ecco il compito primario in cui si afferma lo
spirito scientifico. E’ in questo modo, infatti, che si giunge alla quantità figurata, a
mezza strada fra il concreto e l’astratto, in una zona intermedia dove lo spirito pretende
di conciliare la matematica con l’esperienza e le leggi con i fatti. Ma il compito di questa
geometrizzazione13, che si è creduto spesso di aver realizzato (…) finisce sempre col
rivelarsi insufficiente. Prima o poi, nella maggior parte dei domini scientifici, si è
costretti a constatare che quella prima rappresentazione geometrica, fondata su un
11
Una analisi di questo processo è contenuta in Lai 2002a.
Una presentazione della necessità e complessità di questo processo conclusivo nella costruzione di una
nuova conoscenza è contenuta in Polo 2002, pag. 10.
13
Bachelard individua tre stati per lo spirito scientifico: “Lo stato concreto, dove lo spirito si diverte con le
prime immagini del mondo; Lo stato concreto-astratto, dove lo spirito aggiunge degli schemi geometrici
all’esperienza fisica e si basa su una filosofia della semplicità. Lo spirito, però, si trova ancora in una
situazione paradossale: è tanto più sicuro della sua astrazione quanto più tale astrazione è chiaramente
rappresentata da un’intuizione sensibile. Lo stato astratto, dove lo spirito mette in atto informazioni
volontariamente sottratte all’intuizione dello spazio reale, volutamente separate dall’esperienza reale e persino
apertamente in polemica con la realtà primitiva, sempre impura e sempre informe.” (Bachelard, 1938-1999,
pag. 5)
12
5
realismo ingenuo delle proprietà spaziali, implica rapporti più nascosti, leggi
topologiche meno nettamente solidali con le relazioni metriche immediatamente
apparenti; insomma, legami più profondi di quelli offerti dalla familiare
rappresentazione geometrica. A poco a poco, si sente il bisogno di lavorare per così dire
sotto lo spazio, al livello delle relazioni essenziali che sostengono sia lo spazio che i
fenomeni (…). Il ruolo della matematica nella fisica contemporanea supera quindi
decisamente la semplice descrizione geometrica. Il matematismo non è più descrittivo,
ma formativo. La scienza della realtà non si accontenta più del come fenomenologico;
essa cerca il perché matematico. Dal momento che il concreto già accetta, dopotutto,
l’informazione geometrica ed è correttamente analizzato dall’astratto, perché non
ammettere allora di porre l’astrazione come la pratica normale e feconda dello spirito
scientifico?” (Bachelard, 1938-1999, pag.1-2, Discorso preliminare).
In questo passo viene esaltata la natura ipotetico-deduttiva della scienza, che ha bisogno
dei modelli per rappresentare e spiegare la realtà, per i quali lo strumento matematico
appare essenziale. In ciò consiste la formazione dello spirito scientifico. A questo
obiettivo deve dunque tendere un nuovo testo di sapere dell’astronomia. Ciò risponde
anche ad una esigenza più profonda della costruzione del pensiero scientifico che
riguarda il rapporto ontologico soggetto epistemico/realtà.
Sul rapporto ontologico più avanti nel capitolo 11 si legge: ”Una conoscenza oggettiva
immediata è necessariamente una conoscenza errata per il fatto stesso di essere
qualitativa (…) Una conoscenza immediata è soggettiva nel suo stesso principio (…).
D’altro canto, sarebbe sbagliato pensare che una conoscenza quantitativa sfugga in linea
di principio ai rischi della conoscenza qualitativa. La grandezza non è qualcosa di
automaticamente oggettivo (…). Visto che l’oggetto scientifico è sempre, per certi versi,
un oggetto nuovo, si capisce subito perché le determinazioni primitive riescano
fatalmente male (…) Queste osservazioni diventeranno più pertinenti se si caratterizzerà
l’influenza dell’ordine di grandezza umano su tutti i nostri giudizi di valore (...). Su
questo problema delle misure, tanto povero in apparenza, possiamo riconoscere anche il
divario fra il pensiero del realista e il pensiero dello scienziato. Il realista tocca subito
con mano l’oggetto particolare. Lo descrive e lo misura perché lo possiede (…). Lo
scienziato, al contrario, si avvicina a quest’oggetto inizialmente mal definito. E
innanzitutto si appresta a misurarlo. Egli ne discute le condizioni di studio determinando
la sensibilità e la portata dei suoi strumenti, quindi descrive piuttosto il suo sistema di
misura che l’oggetto della sua misurazione. L’oggetto misurato non è più che un grado
particolare dell’approssimazione del sistema di misura. Lo scienziato crede al realismo
della misura più che alla realtà dell’oggetto (…). L’oggettività viene allora affermata al
di qua, non al di là della misurazione, come metodo discorsivo e non come intuizione
diretta dell’oggetto. Occorre riflettere per misurare e non misurare per riflettere.”
(Bachelard, 1938-1999, pag. 249 –252).
E’ descritto e definito in questo passo in forma essenziale, e nello stesso tempo con una
portata generale, il processo della conoscenza scientifica. La scienza è inscindibile
dall’azione del separare, del ritagliare nel reale gli oggetti di studio per mezzo della
misura, ed ogni disciplina emerge con la propria specificità in relazione ai sistemi di
misurazione. Conoscere è pertanto misurare. Non occorre insistere oltre nel mettere in
risalto il modo in cui la matematica e in particolare la geometria diano forma ai
fenomeni astronomici, ne costituiscano la struttura fondante come scienza e ne
forniscano gli strumenti per la modellizzazione e spiegazione dei fenomeni studiati.
L’analisi del contenuto di astronomia e la progettazione della sua realizzazione in classe,
che proponiamo nel paragrafo seguente, raccoglie tutti gli spunti teorici fin qui esposti.
L’argomento scelto riguarda una attività sperimentale abbastanza conosciuta e diffusa
nella scuola italiana; si tratta dell’esperienza di Eratostene: la misura del raggio della
Terra. Perché proporla se è già così diffusa? 14 Perché riteniamo che essa rappresenti
bene in nuce che cosa si debba intendere con curriculum di astronomia, e possa mostrare
l’innovazione come effetto di un nuovo testo di sapere, non solo come una metodologia
dell’insegnante. I punti caratterizzanti questo segmento di curriculum di astronomia sono
i seguenti:
•
•
•
•
E’ indispensabile la misura: questa attività mostra l’importanza delle ipotesi
teoriche sottese alla osservazione del fenomeno astronomico (altezza del Sole
sull’orizzonte) e alla misura degli angoli, sui quali si basa il calcolo della
misura del raggio della Terra.
E’ presupposta una “modellizzazione” di tipo geometrico del fenomeno
osservato e misurato, che consenta di passare dalla pratica della misura nel
cortile della scuola alla rappresentazione sul modello Terra dello stesso
fenomeno.
L’ambiente di apprendimento consente l’emergere di “ostacoli epistemologici”,
di tipo spaziale soprattutto, il cui ruolo fondamentale nella costruzione di nuove
conoscenze è approfondito in questo lavoro nel paragrafo 3.
Risponde ai vincoli “tipici” del curriculum, imposti dalla scolarizzazione dei
saperi da insegnare:
o messa in testo, ossia possibilità di uno sviluppo cronologico dei
contenuti proposti (cronogenesi)
o Attività pratica ed esercizi per gli studenti (topogenesi). Esistono delle
tecniche di soluzione dei problemi posti. E’ presa in conto
l’evoluzione concettuale dei contenuti implicati, attraverso la
realizzazione di successive fasi di lavoro per gli studenti.
o Il sapere si presenta come un tutto strutturato; è, cioè, riconoscibile
una organizzazione del sapere più ampia di ciò che è insegnato.
Sussistono infatti le tutte le condizioni peculiari della scienza:
a) esistono delle teorie generali; b) dei piccoli teoremi ad esse
inerenti; c) degli esercizi o dei problemi, d) per i quali si
possono utilizzare i teoremi e delle tecniche per risolverli; ) e i
risultati sono controllabili.
2.1 Analisi a-priori del sapere
Quali saperi sono implicati e come sono tra loro collegati nella procedura ideata da
Eratostene per misurare la circonferenza della Terra, senza quasi muoversi da casa?
14
Esiste anche un sito internet, Rete di Eratostene, a cura della Fondazione IDIS, Città della Scienza che ha
sede a Napoli.
7
Eratostene ha sfruttato le proprietà matematiche contenute in figura 1, conoscendo la
distanza fra Siene ed Alessandria. Ne mettiamo in evidenza gli elementi portanti.
Prima modellizzazione dell’esperienza
La modellizzazione matematica permette di prevedere che se conosciamo la
distanza SA (arco di circonferenza) allora poiché archi uguali sottendono angoli
uguali, conoscendo l’angolo α si può con una proporzione ricavare la misura della
circonferenza. I saperi matematici presupposti nella soluzione di questo problema
sono i seguenti:
• E’ supposta la Terra sferica
• E’ rappresentata una intersezione delle sfera con un piano
• Rapporto archi e angoli di un cerchio
• Proporzioni
A
α
d
S
O
Figura 1
La modellizzazione matematica riduce il problema alla ricerca di un modo per misurare
l’angolo al centro α. A questo punto entra in gioco l’astronomia, i suoi fenomeni e in
particolare i suoi metodi di misura , identificabili con gli strumenti di misura di angoli.
Posizione, distanze, movimenti degli oggetti celesti sono, infatti, riconducibili a
relazioni angolari. Quali fenomeni astronomici sono prevedibili supponendo la Terra
sferica, posta al centro di una grande sfera che contiene tutti gli astri visibili? La 1°
modellizzazione suggerisce il percorso della ricerca della misura dell’angolo α e
conduce alla previsione ad esempio della diversa altezza del Sole in meridiano in
rapporto alla diversa latitudine dei punti della Terra. Ciò implica la possibilità di
misurare e confrontare angoli nei medesimi istanti di osservazione del Sole, utilizzando
un semplicissimo strumento quale è lo gnomone, ben conosciuto dai greci.
La relazione che lega l’altezza sull’orizzonte di un astro (h) o meglio la sua distanza
zenitale (z = 90 - h), alla declinazione δ (altezza dell’astro rispetto all’equatore)
nell’istante della sua culminazione superiore in meridiano è data dalla semplice formula:
z = ϕ – δ (o da z = δ – ϕ, se δ ≥ ϕ). Se si considera lo stesso oggetto, in questo caso il
Sole, nel medesimo istante (a mezzogiorno vero) sullo stesso meridiano di due località
differenti, situate per semplicità a latitudini medie del nostro emisfero (cioè ϕ ≥ δ),
avremo che:
z1 = ϕ 1 – δ
z2 = ϕ 2 – δ
da cui per differenza si ottiene: z2 – z1 = φ 2 – φ 1.
Ovvero nella località di latitudine maggiore il Sole è visto ad una distanza zenitale
maggiore (e quindi a una altezza minore sull’orizzonte). Misurando simultaneamente la
distanza zenitale del Sole in meridiano in due località diverse è possibile ottenere la
differenza delle latitudini in gradi e di conseguenza la misura in gradi dell’angolo al
centro a, come si può vedere dalla fig. 2, coincidendo la latitudine con l’angolo formato
dalla verticale con il piano equatoriale. Due osservatori posti sullo stesso meridiano che
osservino simultaneamente il Sole (o qualsiasi altro oggetto) sono perciò in grado di
determinare la distanza in gradi tra le due località e, se questa è nota anche in unità
lineari (per es. in Km), si ha immediatamente una misura del raggio della Terra.
Eratostene sapeva che a Siene (che Eratostene assume essere a Sud di Alessandria), il
Sole è circa allo zenit a mezzogiorno del solstizio d’estate. Nello stesso momento ad
Alessandria il Sole forma un angolo con la verticale del luogo, che è misurabile con lo
gnomone. In questo caso la distanza zenitale z1= 0 (a Siene). Bastava quindi ad
Eratostene, dal punto di vista sperimentale, effettuare solo la misura z2 (ad Alessandria).
La misura dell’angolo tra le verticali delle due città permette la seconda modellizzazione
dell’esperienza, riportando nel modello precedente i dati provenienti dall’osservazione,
come in fig. 2.
α
α
A
φ2
φ1
S
O
Figura 2
Seconda modellizzazione dell’esperienza.
Si riportano sul modello i dati dell’esperienza: lo gnomone, l’orizzonte, i raggi paralleli
del Sole, il Sole; l’angolo di altezza del Sole ad Alessandria.
φ1 è la latitudine di Siene ed è z1 = 0; φ2 è la latitudine di Alessandria ed è z2 (misurato
con lo gnomone) = φ2 – φ1 = α
La matematica modellizza l’esperienza fenomenica: si sfruttano teoremi matematici per
inferire conoscenze relative alla realtà fenomenica astronomica. In particolare per
misurare l’angolo al centro si sfrutta il teorema di Talete. L’angolo al centro, infatti,
risulta:
α = z2 (essendo questi angoli alterni interni).
9
L’esperienza di Eratostene può essere ripetuta adattandola a luoghi e a tempi di
osservazione diversi dal solstizio d’estate.15. La situazione realizzata a Cagliari è relativa
al solstizio d’inverno, e il confronto è quindi con un punto sul Tropico del Capricorno.
L’analisi a priori dei saperi in gioco nell’esperienza di Eratostene mettono ben in
evidenza il legame tra conoscenze matematiche, astronomiche e storiche (ma non solo).
Capire l’astronomia è capire la geometria “intrinseca” degli “eventi” astronomici. Cosa
si può fare nella scuola dipende, quindi, dalla costruzione di un percorso
interdisciplinare che sfrutti tutte le conoscenze presenti nei Programmi. Realizzare
questa esperienza porta all’esigenza di andare, probabilmente, contro la sequenza dei
libri di testo, spesso omologati ai Saperi provenienti dai luoghi dove essi vengono
prodotti. E’questo un compito dell’insegnante. Egli ha, infatti, il ruolo, la funzione, il
potere di modificare le sequenze dei libri di testo e/o, in qualche misura, dei Programmi,
in funzione dei processi reali di apprendimento degli alunni.
2.2 Il punto di vista della posizione docente: analisi a-priori di un sapere da
insegnare
L’analisi a priori del sapere da insegnare produce una sequenza di contenuti legati tra
loro da una logica interna alla disciplina, ma che appaiono nello specifico riorganizzati
in funzione del problema da risolvere (misura del raggio della Terra). Ciò fa assumere
alla sequenza una necessità rispetto alla cronologia del loro insegnamento e nello stesso
tempo una linearità che deve essere messa a confronto con il contesto reale
dell’apprendimento di questi stessi concetti. È dunque ora necessario identificare i punti
nodali sui quali si deve far leva in classe per creare “il problema” e farlo diventare il
“problema di tutta la classe”.
2.2.1 Da un oggetto da insegnare ad un oggetto insegnato.
L’organizzazione di una sequenza operativa equivale a indicare la previsione di un
percorso possibile in classe. Nelle scelte dell’insegnante devono dunque essere chiari
non solo gli snodi concettuali previsti nella sequenza lineare, ma anche le domande e le
risposte attese/non attese degli studenti su tutti questi punti nodali. La scelta di fondo
che guida tale previsione è strettamente dipendente dall’idea che l’insegnante si fa
rispetto a ciò che può essere costruito dagli studenti e ciò che, invece, può solo essere
dato (più o meno “interattivamente” a seconda del loro ruolo nell’esperienza). Se si
vuole “rifare” l’esperienza di Eratostene, si tratta di decidere che cosa dire e non dire agli
alunni, rispetto all’esperienza originale realizzata dall’astronomo greco. Si tratta anche di
accertarsi del “che cosa sanno” gli alunni sui concetti “dati” come pre-costruiti, e
“come” essi li “sanno”. Ed infine su ciò che gli alunni dimostrano di sapere occorre
valutare se essi sono consapevoli delle implicazioni pratiche di ciò che dimostrano di
conoscere in termini “scolastici”. Un possibile cammino per rispondere a queste
domande è rappresentato dalla ulteriore analisi a priori del sapere da insegnare vista in
funzione del sapere insegnato.
Nell’esperienza di Eratostene da noi proposta, l’attività di misurazione ed osservazione è
preceduta dalla visione storica dell’esperienza, dall’acquisizione critica della forma della
15
Una analisi dei casi possibili è contenuta in ESCP- Scienze della Terra, volume A, Zanichelli, 1974, pag. 3740.
Terra, dalla esplicitazione di tutte le conseguenze osservabili o prevedibili di questa
assunzione, dalla modellizzazione in termini geometrici dei fenomeni astronomici da
cui è possibile trarre indicazioni di altri eventi, fenomeni prevedibili la cui esistenza
diventa “prova”, o al contrario “confutazione” del modello proposto. L’esperienza è
articolata nelle seguenti fasi:
1. Prima fase - Introduzione all’esperienza – (1 ora)
2. Seconda fase - Attività di misurazione con lo gnomone – (1 ora)
3. Terza fase - Lavoro di gruppo in classe (2 ore) – ricostruzione della misura
della circonferenza terreste (esperienza di Eratostene)
4. Quarta fase - Sintesi del lavoro di gruppo mediante una discussione collettiva
gestita dall’insegnante di classe (1 ora)
Analisi a-priori delle prime tre fasi: la posizione insegnante
Verificare se gli studenti sanno chi era Eratostene e quando è vissuto. Far risaltare il
contesto sociale e culturale del periodo ellenistico: l’importanza delle misure della Terra
e della geografia che ridisegnava con l’unificazione dell’impero di Alessandro Magno
nuovi e più ampi confini. E’ in questo ambiente di interazioni e confronto che nasce e si
sviluppa la scienza greca, culla del pensiero scientifico occidentale. Eratostene ne
rappresenta un autorevole esempio. Egli ha misurato la circonferenza della Terra: come?
Che cosa sapeva?
• La forma della Terra e tutte le implicazioni fenomeniche. Le proprietà
geometriche legate a questa forma.
angolo α
• La proporzione
= distanza d
360°
circonferenzaC
Angolo α : 360° = distanza d : circonferenza C
Distanza d tra Alessandria e Siene = 5000 stadi – 1 stadio = 157, 5 m
Misura dell’angolo α = 1/50 di 360°
Dai dati precedenti Eratostene ricavò Circonferenza C = 5.000 x 50 = 250.000
stadi che equivalgono a Circonferenza C = 39.375 Km
Desumere da questa presentazione i due punti cruciali dell’ipotesi di Eratostene e
sottoporli a verifica critica tra gli studenti.
Punto a) La forma della Terra. Quali fenomeni osservati suggeriscono l’idea che la
Terra è necessariamente sferica e non è piatta come sembrerebbe suggerire la nostra
percezione locale? Proponiamo alcune domande per la discussione in classe.
• Se la Terra fosse piatta, come apparirebbe un animale e un essere umano sul
nostro orizzonte? E se invece un essere umano emerge dal picco di una collina
rotondeggiante?
• E una stella come appare? Orientarli verso la posizione della stella polare: la
sua altezza sull’orizzonte equivale alla latitudine del luogo; quindi a latitudini
diverse corrisponde una altezza diversa.
• Se la Terra è rotonda (in prima approssimazione ciò può essere considerato
vero), allora possiamo sfruttare le sue proprietà geometriche e prevedere tutte le
implicazioni fenomeniche dovute alla sua “rotondità”.
•
•
•
11
Punto b). Proprietà geometriche della sfera. Mostrare tutte le implicazioni: angoli e
archi, e la proporzione angoli e circonferenza. Il primo problema da risolvere è quindi:
Come misurare questo angolo α?
E’ prevedibile che gli studenti non abbiano nessuna idea di come si misura questo
angolo. E’ dunque necessario mettere in relazione il punto a) ed il punto b), attraverso
la “mostrazione” dei fenomeni legati alla forma della Terra, e far emergere la necessità
di concentrarsi sugli “angoli” misurati in Astronomia.
Problematizzare per creare il “problema in classe”. Questi gli snodi fondamentali.
•
•
Soffermiamoci sugli oggetti celesti: Il Sole, le stelle, La Luna. E’ esperienza
comune constatare che l’altezza di questi oggetti varia, nel corso di una giornata
per esempio. Ma che cosa è l’altezza (h) di una stella? Dare la definizione di
altezza come misura angolare, di zenit, di meridiano e di orizzonte astronomico.
Materializzazione dello zenit con il filo a piombo.
Se la Terra è rotonda cambia l’altezza di uno stesso oggetto sull’orizzonte in
funzione del luogo di osservazione.
Per focalizzare il” problema della classe” occorre fare ancora un ulteriore passo nella
contestualizzazione dei fenomeni evocati assumendo il Sole, che è una stella, quale
oggetto da osservare nella ricerca di una strada che porti verso l’individuazione degli
angoli significativi per la soluzione del problema di Eratostene .
•
•
•
•
•
Constatazione del comportamento del Sole durante l’anno, nel nostro orizzonte
locale (sorgere e tramontare in punti diversi, cambia la max. h).
Comportamento del Sole nello stesso giorno nei diversi punti della Terra, alle
diverse latitudini. Le fasce astronomiche. Mostrare una immagine.
Confrontabilità dell’altezza del Sole in Meridiano tra due luoghi differenti.
Come misurare l’altezza del Sole? Misura con lo gnomone: il triangolo:
gnomone, ombra, direzione (raggio) del Sole.
Al solstizio d’inverno quali paesi hanno il Sole allo zenit? E a Cagliari quanto
misura l’altezza? Che relazione hanno queste misure con l’esperienza di
Eratostene? Come possiamo sfruttare questa circostanza di raffronto tra angoli
(h diverse del Sole in meridiano a diverse latitudini) per trovare l’angolo α?
Questo è il nostro problema.
Si assume finalmente il problema da risolvere e si indica un percorso per risolverlo.
2° Fase
In cortile: Tre gruppi di studenti.
Sistemazione dello gnomone sul terreno per ciascun gruppo.
Verifica della sua verticalità.
Misura delle ombre 1/2 ora prima e dopo il mezzogiorno vero.
Modalità di lavoro: Ogni gruppo di studenti è suddiviso in sottogruppi: chi
cronometra; chi misura; chi segna le ore e le misure corrispondenti alle ore
segnate.
In classe: Si disegna il triangolo ombra-gnomone-raggio del Sole in scala;
Si discute dell’errore di misura delle ombre e degli angoli. Si misurano gli
angoli con il goniometro e si assume come misura della h (o della distanza
zenitale) la media delle misure dei tre gruppi.
3° Fase
In classe: calcolo della misura del raggio della Terra. Nel seguito sono descritte
le condizioni della situazione didattica, rispetto alla quale sono specificati anche
i compiti dell’insegnante e la consegna per gli alunni.
4° Fase: riepilogo e discussione del lavoro fatto.
2.3 Il punto di vista della posizione studente: analisi a-priori del sapere in atto
Prima del lavoro di gruppo, l’insegnante richiama il lavoro da fare e consegna il
materiale16. Durante il lavoro di gruppo:
1. Può ricordare la definizione dello zenit–misura della distanza del sole dallo
zenit: (da 0°, a 90°)-senza la rappresentazione dei raggi del sole; che
l’angolo al vertice misurato sull’orizzonte locale tra lo gnomone e il raggio
del sole può essere definito come distanza dallo zenit.
2. Non deve suggerire che si può identificare l’orizzonte locale con la
tangente al punto di osservazione (Alessandria-Cagliari e SieneWalsvibaai).
3. Non deve suggerire che i lati dell’angolo al centro sono la prosecuzione
degli gnomoni situati sulla superficie della Terra nei punti di osservazione.
4. Non deve suggerire che l’angolo al centro è corrispondente all’angolo al
vertice del triangolo realizzato (gnomone, raggio, ombra).
5. Se nessuno trova la soluzione, può suggerire in ordine le risposte ai punti
precedenti da 1 a 3
Il Teorema di Talete e in particolare l’uguaglianza degli angoli alterni interni, può essere
suggerita nel momento in cui è stata ben impostata la soluzione del problema, ossia i
punti precedenti da 1 a 2 .
Presentiamo un esempio di strategia di soluzione del problema da parte degli studenti:
traccia di una arco di circonferenza sotto il disegno riportato in carta millimetrata dello
gnomone/ombra/angoli. Ciò ha permesso di schematizzare l’orizzonte come piano
tangente alla superficie della Terra e quindi di risolvere il problema e di validare il
risultato confrontando la misura ottenuta con quella di Eratostene.
16
Si veda la scheda data agli studenti in allegato 1.
13
Nella Tabella seguente sono riassunte le fasi del lavoro, gli obiettivi e i fenomeni
didattici ad esse associate:
Fasi-costruito/non
costruito -
Obiettivi generali
Obiettivi
specifici
1° Fase
Non costruito
Presa
di
coscienza delle
basi
storiche
della
cultura
scientifica
occidentale
2° Fase
Costruito
Acquisire
mentalità
scientifica:
dall’ipotesi
misura
Passaggio
da
uno statuto di
“azione” ad uno
di
“formulazione”
per
i
prerequisiti
di
carattere
astronomico
Misurare
in
Astronomia
(altezza
di
oggetti
in
Meridiano;
Ombre;
Orizzonte
astronomico)
con
la
Matematica:
(Angoli,
triangoli simili,
proporzioni…)
Calcolo della
misura
del
raggio
della
Terra.
3° Fase
Costruito
una
alla
Acquisire
una
mentalità
scientifica: dalla
misura,
al
modello
In Matematica
utilizzazione
del Teorema di
Talete
Non costruito
4° Fase
Consapevolezza
dell’acquisizione
di una mentalità
scientifica
Gli errori di
misura e la
pratica
della
scienza
CompetenzeAbilitàAtteggiamenti
Acquisizione
di procedure
operative nel
sapere
astronomico e
matematico
Fenomeni del
sistema
didattico
origine
del
processo
di
devoluzione
Utilizzare
procedure
operative nella
osservazione
diretta di un
fenomeno;
schematizzare
e analizzare
situazioni reali
Processo
di
Devoluzione
Saper
analizzare e
schematizzare
situazioni
reali.
Saper
esaminare
i
fatti
e
ricercare
riscontri
obiettivi delle
proprie ipotesi
Il “fare” come
veicolo
del
progettare,
eseguire,
interpretare i
dati acquisiti
Situazione
a-didattica.
Validazione
Istituzionalizzazione
del
sapere da parte
dell’Insegnante
15
3. TEMPI DELL’INSEGNAMENTO E TEMPI DELL’APPRENDIMENTO
La distanza che esiste tra il progetto dell’insegnante (ossia costruzione della sequenza di
insegnamento/apprendimento di un sapere dato) e la sua realizzazione in classe è
spiegata sia nell’ambito della Teoria della Trasposizione didattica che nella Teoria delle
Situazioni come conseguenza della natura non lineare dell’apprendimento di nuove
conoscenze da parte degli alunni. Nell’ambito del paradigma delle teorie
dell’apprendimento interazioniste l’assunzione del soggetto epistemico che costruisce in
interazione con l’ambiente le proprie conoscenze è ciò che conduce a concepire la
complessità dell’atto conoscitivo. Si ripresenta nel processo di apprendimento lo stesso
rapporto ontologico che si pone nella più vasta costruzione della scienza.
3.1 Testo di sapere e ragioni epistemologiche
Il richiamo a Bachelard e alla sua elaborazione del concetto di ostacolo epistemologico17
per spiegare il progresso della scienza poggia sull’assunzione dell’esistenza di questo
stesso processo conflittuale come fondativo del rapporto uomo/realtà, che si può
estendere ad ogni singolo soggetto che si appresta ad apprendere conoscenze nuove. In
La Formazione dello spirito scientifico è per dar conto di questo rapporto che Bachelard
introduce questo concetto, di cui riportiamo il brano seguente:
“Quando si ricercano le condizioni psicologiche dei progressi della scienza, ci si
convince ben presto che è in termini di ostacoli che bisogna porre il problema della
conoscenza scientifica. E non si tratta di considerare ostacoli esterni, come la
complessità e fugacità dei fenomeni, oppure di incolpare la debolezza dei sensi e dello
spirito umano, perché è all’interno dell’atto stesso del conoscere che, per una specie di
necessità funzionale, appaiono lentezze e confusioni. (…) Si conosce, infatti, contro una
conoscenza anteriore, distruggendo conoscenze mal fatte…(Bachelard, 1938, ed. 1999,
pag. 11)
Ritroviamo in questa elaborazione le radici del conflitto vecchio/nuovo che Chevallard
considera alla base dell’apprendimento in classe, che giudica affatto assimilabile alle
modalità della ricerca scientifica."Una ricerca appare così come una successione di
rimbalzi dove un problema risolto (o provvisoriamente scartato) porta altri problemi,
posti, da risolvere. Il processo di insegnamento, differisce fondamentalmente, rispetto a
questo riguardo, dal processo di ricerca : i problemi non sono la molla
dell’avanzamento; questa è costituita da una certa contraddizione vecchio/nuovo.»
(Chevallard, 1985, pag, 65)
Alla stessa teoria attinge Brousseau quando ricerca le condizioni didattiche negli
apprendimenti per adattamento. «L’ostacolo è costituito come una conoscenza, con degli
oggetti, delle relazioni, dei metodi di apprendimento, delle previsioni, con delle
evidenze, delle conseguenze dimenticate, delle diramazioni impreviste. (…) Egli oppone
resistenza al rigetto, tenterà, come può, di adattarsi localmente, di modificarsi con il
minimo costo, di ottimizzarsi su un campo ridotto (riducendo il campo, seguendo un
processo di accomodazione ben conosciuto. (…) Così, il superamento di un ostacolo
esige un lavoro della stessa natura della costruzione di una conoscenza, ossia delle
17
Una analisi degli ostacoli epistemologici in Astronomia è contenuta in S.Lai, 2002 b.
interazioni ripetute, dialettiche dell’allievo con l’oggetto della sua conoscenza.»
(Brousseau, 1978, pag.123)
La concezione costruttivista della conoscenza implica la necessità della messa in campo
di situazioni didattiche che consentano l’evoluzione delle conoscenze/ostacolo verso le
conoscenze accreditate della scienza che si vuol far apprendere. L’ambiente di
apprendimento (le milieu) si struttura, in questo caso, come sistema antagonista per
l’alunno nel quale egli ha la possibilità di effettuare azioni/reazioni e questo conflitto
scatena la dialettica “vecchio/nuovo”, attraverso il quale prende corpo la conoscenza
nuova che si vuole costruire18. Sono queste situazioni a-didattiche.
Si configura, in queste situazioni, una progressione dell’acquisizione dei saperi non
lineare, in quanto frutto dei processi di assimilazione/accomodamento personalizzati e
individuali, che danno vita in classe, a conoscenze “provvisorie” sulle quali è non solo
possibile ma necessario ritornare per ridefinire senso e significati nuovi alla luce di
nuove esperienze. Di questo processo non si trova traccia nella messa in testo del sapere
sui cui si basa la cronogenesi dell’insegnamento. Si delineano dunque due modelli
temporali differenti: lineare, cumulativo e in quanto tale irreversibile nel testo di sapere,
non lineare, con ritorni indietro, e quindi reversibile, nella topogenesi. Chevallard
propone di riferirsi al concetto freudiano di après-coup per descrivere e comprendere
meglio questo processo.
Occorre precisare che non è il “vissuto” in generale che è rimaneggiato après-coup “ma
selettivamente ciò che, nel momento in cui lo si è vissuto, non ha potuto integrarsi
pienamente in un contesto significativo (…)“. (Laplanche e Pontalis, 1973, p. 34
citazione di Chevallard, 1985, pag. 87).
L’esistenza di après-coup rivela, in ultima analisi, l'impossibilità di una identità dei
tempi di insegnamento/tempi dell’apprendimento e crea come fenomeno didattico la
topogenesi didattica. Il fatto che essa esiste impedisce che l’insegnante possa ignorarla
nella cronogenesi del suo insegnamento perché essa crea il posto dell’allievo (con i suoi
apprendimenti) e solo ciò che è dichiarato acquisito può entrare nella
istituzionalizzazione da parte dell’insegnante, creando il sapere della classe. Tale identità
è, dunque, una finzione didattica, necessaria per organizzare la programmazione
dell’insegnante, ma assolutamente non coincidente con la pratica del lavoro in classe.
Rispetto alla complessità dei processi reali di apprendimento, P. Guidoni e S. Caravita
(2002) sottolineano opportunamente il “ruolo cruciale della percezione e dell’azione
come modello implicito primario nei confronti di ogni organizzazione cognitiva. (Questo
avviene a partire dal sistematico aggiustamento e integrazione risonante fra i dati dei
canali sensoriali primari, punto di snodo nel definire ogni senso e ogni significato:
coinvolgendo, sempre, sia tutto quello con cui si inter-agisce nel mondo esterno, sia tutto
quello che si trova schematicamente “duplicato” nel mondo cognitivo interno
all’individuo, e nell’ambiente culturale). Alla percezione/azione, e alla loro sofisticata
dinamica, ci si deve perciò sistematicamente ed esplicitamente riferire: non solo
nell’avviare concretamente un percorso didattico, ma anche per indirizzarlo attraverso
tutti i vari livelli del pensiero astratto.“
18
Si tratta della situazione a-didattica, definita da G. Brouseau. Si veda in Bessot A., 1994, Panorama del
quadro teorico della didattica della Matematica in Francia, L'educazione matematica, n°1 Febbraio, pag.37/74,
ED. C.R.S.E.M.. Cagliari.
17
Ma se è auspicabile che nella scuola si estendano sempre di più le situazioni a-didattiche,
nelle quali il sapere, posta in gioco della situazione, sia costruito, non si può nemmeno
ipotizzare la possibilità di eliminare tutto il precostruito dall’atto
dell’insegnamento/apprendimento in ambito scolastico. Nella pratica didattica si impone
la necessità anche di fare con il precostruito. Come scrive Chevallard esso è
ineliminabile dalla esperienza cognitiva dell’individuo, costituisce «la componente di
base della nostra ontologia e della nostra rappresentazione spontanea del mondo; ma
questa componente esiste nella costruzione scientifica del reale, ed esiste anche... nella
costruzione didattica del sapere e gioca un ruolo essenziale e specifico, nell’economia
del sistema didattico.” (Chevallard, 1985, pag. 89).
Come si integra il precostruito nel soggetto epistemico? Cosa si deve necessariamente
costruire (nozioni) e cosa si può dare come precostruito (para e proto concetti) nella
scuola? Come si caratterizzano le posizioni insegnante/alunno nel sistema didattico nelle
due differenti situazioni? Sono queste le domande alle quali si vuole rispondere nel
paragrafo seguente.
3.2 Testo di sapere e didattica: cronogenesi e topogenesi
La trasformazione del sapere da insegnare in sapere insegnato richiede da parte
dell’insegnante una attenta analisi del testo di sapere, per verificare ciò che può solo
essere pre-costruito, e che esige après-coup, al fine di produrre in classe ciò che invece è
da realizzare del curriculum. Ma come entra nella relazione didattica il precostruito?
L’esistenza e la permanenza di questa precostruzione è consentita dalla disponibilità nel
linguaggio di parole per nominare questi oggetti. Si tratta, come dice Chevallard, di un
tipo di linguaggio assertivo: “L’oggetto non è costruito ma presentato, attraverso un
deixis che è un appello alla complicità nel riconoscimento ontologico” (Chevallard,
1985, pag. 91).
Il riconoscimento di questi oggetti è costruito su una sorta di narrazione dove l’apertura
semantica delle parole non ha bisogno di essere “interrogata”, se la narrazione si snoda
come una storia. Come in un romanzo. Ne La Tavola fiamminga di Perez Reverte
(1999), non è necessario essere dei profondi conoscitori del gioco degli scacchi per
capire la vicenda che è al centro dell’intreccio tra la partita giocata sulla scacchiera e
l’analoga partita giocata sulla vita dei protagonisti. I rapporti causa-effetto sono
esplicitati dalle regole utilizzate nel romanzo e spiegate ai fini della previsione degli
accadimenti della storia narrata (quindi, certamente limitate nel senso, per chi non
conosce tutte le regole del gioco degli scacchi…).
La narrazione è un tipo di trasposizione didattica, ma evidentemente essa non permette
un “apprendimento operatorio”, non si possono fare degli esercizi, non dà all’alunno se
non lo spazio dell’empatia nel racconto. In altre parole non esiste topogenesi, perché non
è previsto un posto per l’alunno, egli non deve produrre, in quanto soggetto didattico,
nessun nuovo sapere.
Nell’insegnamento, la manipolazione dei pre-costruiti è sottomessa ad una logica pratica,
definita da un codice di condotta non esplicitabile. Il sapere che l’alunno apprende,
come dice Chevallard “(…) è dunque un sapere fragile, senza robustezza poiché è
dipendente dal contesto della situazione: non regge la variazione. Per accedere a uno
statuto che lo faccia entrare in una attività teorica, dove sia sottoposto a critica , esso
dovrà dunque essere ripreso, rifondato, costruito.” (Chevallard, 1985, pag. 93-94).
La nostra analisi sulla trasposizione didattica dell’astrofisica in alcuni testi di scienze
(Lai 2002a, pagg. 20-21), ha messo in evidenza lo statuto di para e protoastronomia, la
cui struttura narrativa è consentita dall’uso di “parole”, associate a concetti non definiti
nel testo (quali ad es. magnitudine, luminosità, classe spettrale, equivalenza,
evoluzione….), recuperati dal linguaggio comune, o dalla divulgazione, o anche dalla
fisica, ma che tuttavia non sono oggetto di insegnamento nei Programmi svolti a scuola.
La didattica che il testo di sapere autorizza, è una illusione, è come la narrazione. La
narrazione può proseguire perché il narratore ha sempre l’illusione che il suo uditorio lo
segua, che egli sia comprensibile. Altrettanto la messa in testo del sapere permette al
professore di avere l’illusione che gli allievi lo seguano.
Ma, come abbiamo già avuto modo di dire, la pratica reale si sviluppa sulla topogenesi.
E’ la topogenesi che mette in evidenza ciò che funziona e ciò che non funziona più in
classe: se gli allievi non seguono più le spiegazioni del professore non può sussistere la
topogenesi; il professore, in questo caso, non può più assegnare compiti da svolgere agli
alunni, perché questo sarebbe qualcosa di incomprensibile per loro (al limite del
ridicolo). E, d’altra parte, se non c’è un posto per l’allievo, se egli non ha “nulla da fare”,
il professore non può far altro che una narrazione! Ma questa narrazione non può durare
che un certo tempo, sarebbe a dire che una narrazione nel mondo della didattica non è
possibile.
Nella didattica è condizione necessaria che l’alunno si possa separare, staccare da ciò
che il professore racconta. L’estinzione del sistema didattico che lega
Insegnante/Alunno/Sapere in fase di costruzione è insito in una teoria
dell’insegnamento/apprendimento dove è prevista l’istituzionalizzazione dei saperi
costruiti, che segna una nuova fase della relazione al sapere, per l’insegnante che non ha
più il compito di insegnarlo, ma anche per l’alunno, che deve rendere conto di ciò che ha
imparato riutilizzando le conoscenze apprese. Questo vuol dire quindi, in altri termini,
che una topogenesi esiste, deve esistere, e che l’alunno diventa responsabile del proprio
sapere grazie alla topogenesi: essa marca la progressione dell’allievo nella costruzione
(per sé) di un testo di sapere di cui egli ha la padronanza, che fa proprio, e che sarà
capace di ricostruire con ciò che ha appreso. E’ su questo terreno che si situa la
problematica didattica, che la teoria della trasposizione ci mostra.
La finzione del tempo didattico è però funzionale e necessaria al processo didattico:
l’insegnante deve credere, in un certo modo, alla finzione della durata didattica di cui è
l’ordinatore. Esiste necessariamente un tempo legale, progressivo, cumulativo e
irreversibile, ma dentro questo tempo il soggetto didattico deve potersi porre con la
propria soggettività, con la dialettica vecchio/nuovo, dunque con la propria storia
personale, quindi interpellato in quanto soggetto didattico, senza per questo pensare di
identificare il tempo didattico con l’alunno.
Non bisogna dimenticare, infatti, che il tempo legale si impone come una norma
all’insegnante, che gli impone sia una accelerazione ma anche un freno, nel proprio
lavoro in classe. Occorre riflettere sul fatto che la possibilità per l’insegnante di fare o no
certi argomenti viene anche dalla trasposizione didattica e cioè da come gli argomenti
sono collocati nel programma. Ciò impone il rispetto di certe sequenze didattiche, che
non sono, come sappiamo, decise solo dall’insegnante.
La costruzione di una teoria delle situazioni didattiche adeguate al processo di
insegnamento/apprendimento presuppone, dunque, un cambiamento di temporalità, o
19
piuttosto la presa in conto del problema dell’articolazione tra molte temporalità non
isomorfe. Su queste argomentazioni si valuta l’insegnabilità dei saperi, su questi vincoli
si costruisce la risposta sull’insegnabilità dell’astronomia e dell’astrofisica.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
L’innovazione deve misurarsi con i vincoli del sistema didattico fuori e dentro la classe.
L’innovazione richiede uno studio di fattibilità delle proposte avanzate. “(…) in questo
lavoro intervengono delle condizioni dette ecologiche da Chevallard: un sapere da
insegnare deve trovarsi la nicchia opportuna, non può destabilizzare troppo le relazioni
fra oggetti di sapere già insegnati”( R. Floris, 2002). C’è dunque tutto un lavoro da fare
per legittimare l’insegnamento dell’astronomia, e ancor di più per individuare la nicchia
dove collocare alcuni temi di astrofisica.
A nostro parere, l’obsolescenza che caratterizza l’astronomia classica si può superare
recuperando sul piano epistemologico la connotazione di scienza osservativa,
matematizzata, originaria, che ne fa una “disciplina”, problematicamente interrelata ad
altri saperi, e questa interrelazione assume una pregnanza culturale e formativa in
relazione agli aspetti cognitivi e metacognitivi della persona/soggetto epistemico, che
sono gli alunni nel sistema didattico. Le competenze matematiche che servono per
questo rilancio esistono già come saperi da insegnare nei programmi di matematica, che
possono finalmente mostrare il valore conoscitivo più profondo nella soluzione di
problemi “quotidiani”, come sono molti fenomeni astronomici. La topogenesi esiste,
come dimostra il nostro esempio sulla misura del raggio della Terra, gli esercizi danno
risultati validabili, i saperi coinvolti identificano un sistema organico di conoscenze. Si
può costruire un curriculum. La risposta all’insegnabilità dell’astrofisica è invece ancora
tutta da verificare in una trasposizione dentro la fisica, che sola può fornire “parole” e
concetti sui quali costruire conoscenze nuove.
Ci sono argomenti, a nostro parere, sui quali si può lavorare per creare un testo di sapere
dove è possibile anche costruire concetti, agganciando l’astronomia classica per andare
oltre: Le distanze, scale di grandezza, i modelli, che richiedono paradigmi nuovi
attraverso i quali scoprire il senso dell’affermazione del “primato della teoria nella
creazione dei suoi oggetti “osservativi”. Si potrebbero rompere schemi geocentrici, che
aiuterebbero a guardare “lontano”.
Si darebbe seguito al progetto di formare una mentalità moderna che già Bachelard
vedeva necessaria a metà del secolo scorso: “Ciò che intralcia il pensiero scientifico
contemporaneo (…) è l’attaccamento alle intuizioni abituali, l’esperienza comune presa
secondo il nostro ordine di grandezza. Occorre allora rompere con le abitudini (...)
L’abbandono delle conoscenze del senso comune è un sacrificio difficile. Non dobbiamo
stupirci allora delle ingenuità accumulate nelle descrizioni iniziali di un mondo
sconosciuto.” (Bachelard, 1939- 1999, pag. 267)
Tutto questo richiede naturalmente una maggiore consapevolezza da parte degli
insegnanti del proprio ruolo e della propria responsabilità nella sequenzializzazione
dell’attività didattica; richiede anche che si attivino di più nelle sedi della Formazione i
corsi di didattica disciplinare se si vuole restituire alla scuola la funzione formativa ed
educativa specifica di questa istituzione, e ultimo che si sviluppi ed estenda la ricerca
didattica, linfa di ogni cambiamento e sperimentazione nella scuola.
BIBLIOGRAFIA
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Brousseau, G.: 1998, Théorie des situations didactiques, La Pensée Sauvage, Grenoble
Chevallard, Y.: 1985, La Transposition Didactique, La Pensée Sauvage, Grenoble
Floris, R:2002, ‘Dalla trasposizione didattica alla valutazione delle singole proposte di
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l’Astrophysique’, Mémoire de l'Université de Provence, UFR de Psychologie, Science
de l’Education.
P. Guidoni e S. Carovita: 2002, in Fare scuola - che scuola fare - a livello di base,
Università e Scuola, 2.
Perez Reverte, A.: 1999, La Tavola fiamminga, Tropea, MI.
Polo, M.: 2002, ‘La Didattica disciplinare: modello teorico e campo di indagine’, in Lai,
S-Calledda, P. (a cura di) Supplemento n° 3, Giornale di Astronomia, Vol.28, n°1,
I.E.P.I., Pisa-Roma, 5-12.
21
ALLEGATO 1
Incentrato sul tema “L’esperienza di Eratostene: un approccio sperimentale”, dal punto
di vista del percorso formativo degli studenti coinvolti, l’intervento fa propri gli obiettivi
generali e specifici del Progetto19. “Acquisire una mentalità scientifica per conoscere il
mondo complesso della nostra società, acquisire alcuni passaggi fondamentali della
storia della scienza”. Dal punto di vista metodologico, la scelta degli esperti prevede
un’attività di ricerca-azione che vede coinvolti studenti-insegnanti ed esperti nella messa
in opera dei seguenti elementi di qualificazione interni al Progetto: esperienze di
laboratorio, elemento indispensabile per rendere l’alunno protagonista attivo che,
insieme agli altri, impara ad osservare i problemi concreti e a risolverli, formulando
ipotesi, progettando e attuando strategie risolutive; integrazione con le attività
curricolari della scuola.
MATERIALE CONSEGNATO AGLI STUDENTI NELLA FASE DI LAVORO IN CLASSE
Avete due ore di tempo per risolvere il problema e scrivere una sintesi del lavoro fatto. Un
rappresentante del gruppo si deve incaricare di esporla alla classe
*************************
Il problema da risolvere: calcolare la misura della circonferenza della Terra
Modalità di lavoro
Riportare in scala le misure del triangolo trovate sperimentalmente e determinare la misura degli
angoli.
Mettere in relazione le misure degli angoli del triangolo con l’angolo α (angolo al centro nella
schematizzazione dell’esperienza di Eratostene – come in figura 1.)
Determinare la misura della circonferenza sapendo che la distanza tra Cagliari ( C ) e un punto sul
tropico del Capricorno, al largo di Walsvibaai nell’Africa del Sud Ovest - località che in questo
periodo (solstizio d’inverno, al Tropico del Capricorno) “riceve i raggi allo Zenit“ - è di Km. 6889.
Domande guida:
1.
Che relazione esiste tra l’angolo α e la misura degli angoli del vostro triangolo ?
2.
Quale dei due angoli misurati nel vostro triangolo corrisponde all’angolo α ?
3.
Argomentate (anche per iscritto) la vostra risposta aiutandovi anche con un disegno.
Materiale a disposizione
1.
Le ipotesi di Eratostene : terra sferica e sue proprietà geometriche – la luce proveniente
dalle stelle (stella polare, sole,…) giunge sulla terra secondo fasci di raggi paralleli - distanza di
una stella - Zenit – piano dell’orizzonte – meridiano terrestre.
2.
Le misure trovate sperimentalmente degli elementi del triangolo (Ombra-Gnomonedirezione dei raggi) riportate su un foglio di carta millimetrata.
19
L’intervento, realizzato nel dicembre 2002 presso l’Istituto Magistrale “De Sanctis” di Cagliari nell’ambito
del Progetto Sguardo concreto alla realtà con un approccio fisico matematico, ha visto coinvolte due quarte,
una quinta. Si ringraziano, insieme alle studentesse e agli studenti che hanno partecipato all’esperienza, le
insegnanti di matematica delle classi coinvolte Emma Calabresu, Giuliana Demurtas, Carla Naitza