Un altro segnale dell’ agonia del matrimonio legale
L’ indebolimento di questo crea alla società grandi difficoltà
Divorzio breve sì. Divorzio breve no. È il dibattito in corso in queste settimane in
Italia per ridurre il tempo della separazione prima del divorzio da tre anni a un
anno e permettere di risolvere la questione con un accordo extragiudiziale alla
presenza dei soli avvocati. È un dibattito che si svolge proprio in coincidenza dei
40 anni dal referendum che il 12 maggio del ‘ 74 bocciò la richiesta di
abrogazione della legge Fortuna-Baslini sul divorzio.
I No allora vinsero con il 59,3% (con l’ affluenza che sfiorò il 90 per cento) e la
legge restò in vigore. Fu uno dei primi segnali di una profonda trasformazione
che stava attraversando la società italiana. Da allora molte cose sono cambiate e
l’ idea di famiglia e matrimonio si è modificata. In realtà per capire cosa sta
accadendo non bisogna fermarsi alla proposta di divorzio breve, ma fare
un’ analisi complessiva di cosa sia oggi il matrimonio nel nostro Paese.
Ci si accorge allora che non s’ investe (non lo si è mai fatto) sulla famiglia
fondata sull’ istituto matrimoniale e che si tende, sempre più, a considerare tale
scelta un fatto privato. Impressiona dunque solo fino ad un certo punto se, di
fronte a questa situazione, il prof. Francesco D’ Agostino, ordinario di filosofia
del diritto all’ Università Tor Vergata di Roma, ci dice senza giri di parole che
«siamo tutti testimoni dell’ agonia del matrimonio legale, un’ agonia che può
durare molto a lungo».
La proposta di divorzio breve in discussione in Parlamento è solo «una delle
tante piccole questioni di un problema immenso» e, per capire cosa sta
accadendo, bisogna andare alla radice. È quello che il prof. D’ Agostino ci ha
aiutato a fare. Il problema vero non è la durata del tempo della separazione.
«Oggi - ci dice D’ Agostino - la domanda vera che bisogna porsi è se la società
crede ancora nel matrimonio come istituto giuridico».
Molti segnali portano a dire - che «il sistema sociale non crede più al
matrimonio, considerato da molti un relitto che viene dal passato lontano, che ha
un’ utilità più simbolica che reale, come i titoli nobiliari che hanno continuato a
esistere anche se cancellati e senza più alcun senso sociale». Quello che viene
messo in discussione è il significato stesso di questo istituto: «Il matrimonio o
esiste per dare stabilità e garanzie giuridiche ai coniugi o non ha senso che ci sia.
La previsione che esso possa essere breve o brevissimo è in contraddizione con il
principio giuridico che sta alla base del matrimonio stesso». In questi anni si è
assistito a uno svuotamento progressivo del suo significato giuridico. «Alle
coppie di fatto sono stati progressivamente estesi i diritti e, in molti punti, il
trattamento è identico al matrimonio ». Non stupisce, quindi, che chi si sposa
«percepisca di contrarre un vincolo molto debole».
D’ Agostino è convinto che «chi crede che il matrimonio sia la base della
famiglia, cellula primaria del società, deve tornare a proporlo come istituto forte,
con una propria chiara identità e una distinzione netta da tutte quelle forme
paraconiugali che raggruppiamo nel termine convivenza». La debolezza giuridica
e sociale del matrimonio è documentata dal fatto che «se chiediamo perché i
giovani non si sposano, questi ci chiedono, a loro volta, per quale ragione sociale
dovrebbero sposarsi.
Il matrimonio si regge per i credenti perché c’ è una dimensione religiosa, ma
che, evidentemente è valida solo per chi crede». Tali discussioni, evidentemente,
interpellano anche i credenti per i quali il sacramento del matrimonio ha ancora
(a differenza dei protestanti che hanno desacramentalizzato il matrimonio) un
valore teologico fondamentale.
Tale significato trova la sua forza nel fatto che esso «corrisponde prima di tutto a
un bisogno umano prima che religioso». E qui, secondo D’ Agostino c’ è la
sfida per i laici e per la Chiesa: «La secolarizzazione vuole dimostrare il
contrario e affermare che esso (il matrimonio) risponde a un bisogno religioso.
Ma se la chiesa abbandona il matrimonio civile al suo destino, va contro un suo
insegnamento antico e restringe l’ esperienza umana a quella confessionale».
L’ indebolimento dell’ istituto matrimoniale ha degli effetti molto gravi, dei
quali la società si renderà conto, anche se «la presa di coscienza è molto lenta». I
due fattori per i quali si arriverà ad accorgersi che la società non può rinunciare
all’ istituto del matrimonio sono il crollo della natalità e il crescente bisogno di
assistenza da parte della popolazione anziana sempre più numerosa.
«L’ educazione delle nuove generazioni e la cura delle generazioni anziane nota D’ Agostino - non potranno essere assicurate in modo adeguato da nessun
Stato e senza famiglie fondate sul matrimonio». Al di fuori dell’ istituto
matrimoniale non ci sono legami stabili, c’ è la buona volontà, ma i vincoli
anche tra generazioni si allentano. Oggi sottolinea il prof. D’ Agostino - è «più
vincolante un contratto di lavoro che il matrimonio ».
Alla base di tutto questo c’ è «una tendenza culturale che va di pari passo con la
secolarizzazione e che porta a privatizzare qualsiasi vincolo etico». La promessa
di matrimonio è un vincolo e con queste scelte viene ulteriormente privatizzata,
mentre lo Stato se ne disinteressa totalmente. La necessità vitale per la società di
vincoli solidi, stabili e duraturi porterà a riscoprire il valore del matrimonio, ma
prima ci sarà da attraversare l’ inverno (demografico) e, c’ è da scommetterci,
sarà molto duro per tutti.
Lauro Paoletto
(articolo tratto da La Voce dei Berici, settimanale della Diocesi di
Vicenza)
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