DON GABRIELE AMORTH NON AVEVA PAURA DEL DEMONIO: «È LUI CHE DEVE AVERE, PAURA», DICEVA, «NON IO!» di Marco Tosatti “Ma va là! Non senti che puzzo di salame!?”. Così, mi raccontava don Gabriele Amorth, era solito rispondere a quelli che nell’empito della riconoscenza lo ringraziavano in maniera eccessiva, esaltandone l’opera, o le doti, per una liberazione o guarigione particolarmente difficile. Perché don Gabriele, a cui mi legava un amicizia ventennale, fatta di lunghi periodi di silenzio, oltre a essere una persona buona, un ottimo prete, un grande comunicatore e un lottatore instancabile contro il maligno, era dotato di un grande senso dell’umorismo. Uno che fa quello che lui faceva tutti i giorni, qualche volta anche a Pasqua e Natale, otto o più ore al giorno, può veramente correre il rischio di perdere il contatto con la realtà, propria ed esterna. Ma don Gabriele teneva i piedi saldamente per terra, anche quando sotto i suoi occhi accadevano cose che avrebbero terrorizzato qualsiasi altra persona. “È lui che deve avere, paura, non io!” diceva riferendosi al suo eterno nemico, anche quando le manifestazioni erano veramente impressionanti. Da un punto di vista storico don Gabriele ha il merito indiscusso di avere riportato all’attenzione di una Chiesa spesso troppo affascinata dalle sirene del positivismo e del razionalismo un fatto: che accadono cose inspiegabili, secondo i parametri della scienza; e che questi fatti, spesso dolorosi per chi ne è vittima trovano una soluzione, o almeno un sollievo, grazie a un lavoro pastorale specifico. Il suo motto avrebbe veramente potuto essere quel verso di Shakespeare: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Ha cominciato ad occuparsi di esorcismi a un’età avanzata, su richiesta e mandato del Vicario per la città di Roma, il cardinale Poletti. E ha avuto la soddisfazione di vedere che dopo anni e anni di richiami e insistenza molti vescovi hanno ricominciato a delegare esorcisti, e a chiedere a sacerdoti di occuparsi di questo ministero pastorale. Anche in Paesi dove la Chiesa sembrava aver dimenticato, relegandole nell’area della psicologia, che appare nella vita di alcuni, talvolta, in maniera evidente il lavoro di una presenza oscura. Come, e perché, è anch’esso un mistero; perché, come diceva don Gabriele, il suo avversario preferisce lavorare di nascosto per compiere i suoi abituali misfatti. L’esperienza acquisita in un lungo periodi di attività pubblicistica – era il suo vero, primo lavoro, prima della chiamata di Poletti, come per molti suoi confratelli Paolini – lo ha aiutato a diffondere il suo messaggio. Innumerevoli le interviste, sempre con quel tocco che le rendeva interessanti e appetibili giornalisticamente. Numerosi i libri, a suo nome o con altri. Chi scrive gli è profondamente riconoscente per l’aiuto che gli ha dato non solo in alcune opere collegabili direttamente a don Gabriele, ma anche per gli spunti suggeriti per un’esplorazione in aree limitrofe; per esempio quella della possessione diabolica temporaneamente vissuta da alcuni santi. Tutto quello che faceva era orientato a ostacolare e sconfiggere l’avversario di tutta la sua vita, in un duello che è durato fino a quando ha avuto la forza fisica di portarlo avanti. Di lui si può dire che certamente ha combattuto la buona battaglia. Sorridendo, e senza prendersi troppo sul serio. da «Vatican Insider»