Brindisi nel Tempo - Alberghiero Brindisi

Istituto Professionale di Stato per i
Servizi Alberghieri e della Ristorazione
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Brindisi nel Tempo
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TUTTE LE STRADE PORTANO A BRUNDISIUM
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ITINERARIO STORICO-CULTURALE
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FEDERICO II
A BRINDISI
… TRA CASTELLI
… CULTURA
…CUCINA
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MASSERIE TORRI CASTELLI
MONASTERI E CHIESE
vol.
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FEDERICO II A BRINDISI
Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
QUO VADIS ?
Lungo la direttrice della via Appia i pellegrini potevano imbarcarsi da Bari,
Brindisi e Otranto e… su di essi vegliava San Nicola, il Santo taumaturgico e
protettore del capoluogo pugliese.
Il tragitto della Via Appia-Traiana, percorsa da molti crociati, divenne così
la continuazione della via Francigena verso sud: una grande via europea che, da
Santiago di Compostella arrivava in Puglia attraverso Monte Sant’Angelo, Bari e
Brindisi e una sorta di collegamento tra le grandi “Peregrinationes medievali” .
Il porto di Brindisi divenne lo scalo d’imbarco preferito, non solo dai pellegrini,
ma anche dai crociati in partenza per Gerusalemme.
Da Brindisi partì l’abate islandese Nikulas di Munkathvera per San Giovanni
d’Acri, porta della Palestina, punto di arrivo anche dei crociati.
L’itinerario si snodava poi, attraverso i luoghi di fede, a partire dalla chiesa
di Santa Maria in Palmis, detta “Domine quo vadis?”, dove la leggenda colloca
l’apparizione di Gesù a San Pietro in fuga da Roma per evitare il martirio; secondo
la tradizione egli fu il primo viandante che volle percorrere la via consolare per
Gerusalemme.
Nel I secolo d.C., l’Imperatore Traiano fece congiungere la via Traiana con
l’antica Appia Beneventana prolungandola fino a Brindisi con un percorso più veloce
attraverso Foggia, Canosa e Bari.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
L’ETA’ DI FEDERICO II
DALLE INVASIONI BARBARICHE ALLE INVASIONI
LONGOBARDE E ARABE
Il Medioevo inizia con le grandi invasioni barbariche. La strategia difensiva adottata
con successo dall’Impero romano nei sec. III e IV divenne inefficace nel sec. V.
Nell’Impero le istituzioni politiche-economiche-sociali, militari e morali entrarono
in crisi per il travagliato sviluppo del cristianesimo.
Venuta meno la difesa, l’Impero d’Occidente fu interamente invaso da popolazioni
germaniche che alterarono profondamente le strutture politiche, economiche e sociali
e la vita spirituale. Sorsero così i regni romano-barbarici degli Angli e dei Sassoni, dei
Vandali, dei Visigoti, dei Franchi, dei Burgundi, degli Ostrogoti. Nel corso di questa
catastrofe si ebbe la deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano
d’ Occidente (476). Nel sec. VI Giustiniano I promosse la riconquista dell’Occidente
mediterraneo; nello stesso secolo, l’ Italia fu invasa dai Longobardi.
FINO ALLA FINE DEL SECOLO X
La fine dell’impero romano segna l’inizio del Medioevo. In Occidente, il regno dei
Franchi, grazie ad una stretta alleanza col papato tentò la ricostruzione dell’antico
Impero Romano rinnovato nel segno della croce.
Ma l’unità dell’Impero carolingio fu illusoria a causa dell’insorgere del feudalesimo
e di nuove invasioni (Ungari, Normanni, Saraceni).
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
DALLA RENOVATIO IMPERII FINO AL 1054
Tra la fine del sec. X e gli inizi dell’ XI l’impereatore Ottone III e papa Silvestro
II proposero le linee politiche del rinnovamento dell’Impero (renovatio imperii),
rimaste intatte sin quasi alla fine del M.: rinnovamento voleva dire riunione di tutto
il mondo cristiano (Occidente e Oriente) sotto il governo dell’ imperatore e del papa,
residenti entrambi a Roma. Ma questa affermazione portò a gravi conseguenze:
alla lotta per le investiture. In questo quadro l’Impero bizantino, che conduceva
una costante lotta contro l’Islam (particolarmente efficace nel sec. X), si staccò
definitivamente dalla Chiesa romana (1054).
DALLA LOTTA DELLE INVESTITURE ALLA FINE DEL
DUECENTO
Nel 1076 si accese tra Gregorio VII ed Enrico IV la cosiddetta lotta delle investiture,
per la supremazia, che sconvolse per quasi mezzo secolo l’Occidente; essa fu conclusa
nel 1122 da papa Callisto II ed Enrico V con un compromesso politico, ma con una
netta vittoria religiosa del papa, in quanto l’imperatore, rinunciando all’investitura
spirituale dei vescovi, perdeva il carattere carismatico a sostegno del suo potere. Ma
d’ora in poi i due mondi, quello ecclesiastico e quello laico, andranno sempre più
distinguendosi e separandosi.
In questo clima di evidente contrasto tra i due poteri furono organizzate le
crociate.
La I Crociata unì per la prima volta tutta la società occidentale, ecclesiastici,
cavalieri, mercanti, gente minuta, in un’impresa collettiva contro i Musulmani
(Turchi e Selgiuchidi) per la liberazione della Terra Santa, le cui conseguenze furono
essenziali per lo sviluppo economico-sociale e culturale dell’Europa.
In Italia, nel frattempo, cominciavano le fortune mediterranee di Pisa, Genova
e Venezia, si ebbe, così, un incremento della produzione agricola, artigianale e
mercantile. i cui responsabili misero in crisi l’ ordine sociale tradizionale: all’
aristocrazia feudale si affiancò un’ aristocrazia nuova quella della produzione,
del commercio, delle professioni e dei borghesi. Questi si stabilìrono nella città, si
imposero con i loro interessi e la loro mentalità.
Tutto ciò favorì la nascita dei Comuni.
I Comuni italiani furono i veri protagonisti delle grandi lotte di predominio tra i
pontefici e gli imperatori della casa di Svevia tra la metà del sec. XII e la metà del
XIII. Essi segnarono la decadenza politica del papato, dell’Impero e l’affermazione
di Federico II.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
FEDERICO II UN MITO NELLA STORIA
Nato a Iesi nel 1194 e morto a Castel-Fiorentino, presso Lucera
nel 1250, era figlio
dell’imperatore Enrico VI di Hohenstaufen e di Costanza
d’Altavilla, figlia di Ruggero II re di Sicilia.
Questa, già quarantenne (un fatto stupefacente per quei tempi),
lo partorì in una tenda eretta nella piazza principale della
città.
Dopo la morte dei genitori, nel 1198, “il bimbo di Jesi”
crebbe nei palazzi normanni di Palermo, tra oscuri intrighi
di corte, mentre gli altri si contendevano ciò che gli sarebbe
spettato di diritto.
Era troppo giovane per partecipare al gioco della politica
perciò fu affidato alla tutela di papa Innocenzo III.
Quello stesso anno fu eletto re di Sicilia e ciò suscitò le
rivendicazioni del nuovo
imperatore Ottone IV di Brunswick il quale,
appropriatosi del titolo imperiale, si apprestava ad
invadere la Sicilia. Invece che a Palermo, Federico
e Ottone finirono per incontrarsi a Costanza in
Germania.
Ottone si era fatto precedere dai suoi cuochi
perché gli preparassero un festino:sapeva che
Federico stava per giungere, ma era certo che quel
diciassettenne,con al seguito pochi cavalieri, non
avrebbe superato le difficoltà e le insidie di un
viaggio in territori ostili.
Giunto alle porte della città, le trovò
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
sbarrate:all’interno Federico si stava godendo lo spettacolo e il cibo di Ottone.
Era nata una stella:Federico aveva evitato le zone impervie ed era giunto in anticipo
sul rivale.
Il suo fu un atto temerario a cui fece seguito un’attività diplomatica abile facendo un
rinnovamento dei diritti dei principi tedeschi e promettendo al papa una crociata .
Questi avvenimenti spinsero Innocenzo III a togliere il proprio appoggio all’imperatore
tedesco e a scomunicarlo. A Ottone il papa contrappose Federico II, dopo averlo
impegnato a tenere distinte la corona di Sicilia e dell’Impero, riconoscendo la prima
come feudo della Chiesa.
Federico II fu proclamato re di Sicilia nel 1212 e re di Germania nel 1215.
Morto papa Innocenzo III gli successe Onorio III (1216). Il nuovo pontefice incoronò
Federico II imperatore (1220) dopo averlo impegnato ad organizzare una nuova
spedizione crociata in Terra Santa.
L’imperatore, però, preferì dedicarsi innanzi tutto al riordinamento del regno
di Sicilia e del regno normanno e a controllare i Comuni che avevano ripreso la
loro politica autonomistica
ed accresciuto grandemente
la propria forza politica ed
economica. Quando salì al
soglio pontificio (1227) anche
Gregorio IX chiese a Federico
II di organizzare la crociata
promessa.
Questa volta Federico II
non poté sottrarsi e decise di
partire.
Un ritardo nella partenza,
motivata da un’epidemia
scoppiata tra l’esercito che si stava preparando alla partenza nella città di Brindisi,
giustificò la scomunica papale nei suoi confronti (1227).
L’imperatore partì allora immediatamente, e negoziando con il sultano d’Egitto alKamil ottenne Gerusalemme ed altri territori.
Fu un avvenimento importante e significativo:Federico II, per via diplomatica, aveva
ottenuto più di quanto sarebbe stato possibile ottenere con una vittoria militare
anche se il papa Gregorio IX denunciò il trattato considerandolo un insulto alla
cristianità.
A Gerusalemme si fece incoronare re (marzo 1229); considerava infatti di averne
diritto in ragione del suo matrimonio con Iolanda di Brienne, avvenuto nella
cattedrale di Brindisi tra fiori ed acclamazioni della sua corte.
Ritornato in Italia, si volse quindi al consolidamento del proprio Stato ed emanò:
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
“La Costituzione di Melfi (1231)”, raccolta di leggi che sancivano il carattere
burocratico e accentratore del potere del sovrano. Le leggi melfitane prevedevano
una riorganizzazione dell’apparato fiscale e l’esercizio del potere esecutivo per mezzo
di funzionari stipendiati. Federico II di Svevia voleva fare della Sicilia, della quale
era stato incoronato re, la principale base economica e militare della sua potenza.
Il sovrano svevo si adoperò per un sistema statale del tutto dipendente dalla ferrea
volontà del sovrano che si vantava di essere la vivente personificazione della legge.
Nel 1231, aiutato dall’arcivescovo Giacobbe di Capua e da altri consiglieri, diede un
nuovo ordinamento al regno siciliano con le “Costitutiones Regni Siciliane” contenute
nel “Liber Augustalis”, pubblicate a Melfi nel 1237 (da qui il nome di Costituzioni
di Melfi). Questo documento normativo ha un’importanza straordinaria nelle storia
del diritto perchè costituisce il primo serio tentativo di stabilire, in mezzo alla società
feudale, uno Stato moderno.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
COSTITUTIONES MELPHI
Le Costituzioni sono divise in tre libri (255 titoli): il primo riguarda il diritto pubblico
(109 titoli), il secondo, la procedura giudiziaria (52 titoli), il terzo, diritto feudale,
penale e privato (94 titoli).
Secondo Federico, l’imperatore è il rappresentante di Dio sulla terra la cui funzione
è di dirimere e di reprimere le discordie utilizzando le leggi per portare l’uomo sulla
retta via.
Ecco il contenuto, a grandi linee, delle Costituzioni:
- Solo il re ha il diritto di fare le leggi e di abrogarle;
- Il potere regio viene ampliato per cui baroni e città sono privati dei diritti che
si erano attribuiti abusivamente;
- L a giustizia penale appartiene al re e ai suoi magistrati;
- Divieto di portare armi senza autorizzazione;
- Non è permessa la vendita di feudi in quanto appartengono allo Stato;
- Gli ecclesiastici sono soggetti ai tribunali comuni, non possono giudicare
gli eretici, non possono acquistare terre, se ne ricevono in eredità devono
venderle;
- Le città non possono costituirsi a Comuni, eleggere consoli o potestà;
- Tutti i sudditi devono pagare i tributi regi;
- Tutti i sudditi sono uguali davanti alla legge;
- E’ abolito il giudizio di Dio (il duello come prova nei giudizi).
In tutto ciò appare la modernità di Federico che afferma l’uguaglianza dei cittadini
di fronte alla legge. Federico elimina il potere dei baroni, del clero e delle città, tutte
le funzioni giuridiche e amministrative vengono esercitate dal re per mezzo di una
organizzazione burocratica centrale, posta alle sue dipendenze.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
LA CITTÀ DI BRINDISI NEL CONTESTO DELLA VICENDA
FEDERICIANA
Per Brindisi, l’età di Federico II non fu un’ età particolarmente felice, anche se nelle
fonti dell’epoca il nome di Brindisi ricorre con frequenza, offrendoci la misura della
sua importanza sotto i più svariati profili. Tra il 1227 e il 1228, da Brindisi furono
emanati numerosi editti imperiali, precisamente, durante la permanenza nella
città,dell’imperatore e della sua corte per i preparativi della quinta crociata.
A Brindisi avvennero incontri e avvenimenti che trascesero l’ambito locale; addirittura
le istituzioni civili e religiose furono oggetto di provvedimenti imperiali, per una
migliore disciplina e organizzazione e ciò avvenne, soprattutto, per la zecca e il
porto.
E sempre a Brindisi avvennero: il matrimonio di Federico II con Isabella di
Gerusalemme; la coniazione di alcune delle principali monete aventi corso nel
regno (come l’imperale di argento e l’agustale di oro); l’arrivo e la partenza di
innumerevoli pellegrini e illustri personaggi per l’Oriente; la stipulazione del trattato
tra la comunità cittadina e la Repubblica di Venezia; il primo incontro, nel 1222,
tra Federico II e Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme; la permanenza, a varie
riprese, dell’imperatore e della corte imperiale.
Comunque, due furono gli episodi che, per la loro importanza eccezionale, ebbero a
richiamare sulla nostra città, l’attenzione generale sì da porla al centro dell’Impero
con tutta la cristianità: il matrimonio, nel 1225, dell’imperatore con Isabella di
Brienne, che recava a lui la corona di Gerusalemme, e il concentramento, nel 122728, delle navi e delle truppe in partenza verso la Terra santa per la quinta crociata.
Ma l’alone romantico che sembrava circondare tale fase storica, finì per dissolversi
sotto l’urto della squallida realtà.
Per l’interesse dinastico Federico non si fece scrupolo di sacrificare una fanciulla di
appena quattordici anni, e di concentrare un grande spiegamento di uomini e mezzi
nella città di Brindisi che causò l’epidemia della peste contratta in Oriente.
Gli storici dell’epoca riferiscono le circostanze che precedettero e accompagnarono
il matrimonio del potente dinasta dell’Occidente con la giovanissima Principessa di
Oriente.
Pare che i due si fossero promessi senza conoscersi di persona, che l’anello nuziale
fosse stato recapitato alla sposa in San Giovanni d’Acri, da un vescovo appositamente
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
inviato e che la corona imperiale fosse stata imposta alla giovane sposa nella città di
Tiro dal Patriarca di Siria. La flottiglia e la scorta, venuta a rilevarla era formata
da nobilissimi cavalieri, i quali affrontarono una lunga traversata fino a Brindisi.
La cerimonia nuziale fu di grande suggestione per la quantità di fiori utilizzati
ad addobbare le vie e la cattedrale dove fu officiato il matrimonio; a ricordo
dell’avvenimento fu coniata dalla zecca brindisina, una moneta.
Ed ancora gli storici riportano nelle cronache dell’epoca che
questo “illustre e potente” matrimonio fu senza amore, almeno da
parte di Federico II dal momento che la giovane sposa, Isabella,
si trovò subito reclusa in condizioni di stretto isolamento sotto la
guardia dei fedeli eunuchi della corte imperiale, finché, appena
tre anni dopo, la poverina venne a morte. Tutto questo è, anche,
la riprova dei contrasti violentissimi insorti subito dopo le nozze, tra Federico e il
suocero Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme.
Federico II, infatti, aveva preteso subito il titolo di re di Gerusalemme. Questo fu
causa della inimicizia fierissima che portò Giovanni di Brienne a capeggiare le truppe
pontificie che invasero il regno nel 1229 durante l’assenza di Federico impegnato per
la crociata in Terra santa.
Un altro grande avvenimento a cui abbiamo fatto cenno e che vide Federico II
protagonista, fu costituito dalla partenza di Brindisi della quinta crociata. Tra il 122728 ci fu a Brindisi un grande concentramento di truppe e di pellegrini in attesa di
prendere il mare e trasferirsi in Terra santa. Il fatto fu, è vero, di grandissima risonanza
per tutta la cristianità, ma ben poco ebbe a lodarsene la città di Brindisi, perché quel
grande concentramento di truppe, reso ancor più pesante dall’afflusso di migliaia e
migliaia di pellegrini, finì per mettere in crisi l’intera organizzazione dell’impresa.
Le strutture cittadine cedettero rapidamente con la conseguente difficoltà dei
rifornimenti annonari. Ne seguì una grave carestia di cui furono, proprio i Brindisini
i primi a farne le spese. Nell’agosto del 1227 scoppiò, poi, una improvvisa pestilenza,
importata, come abbiamo precedentemente detto dai soldati e dai pellegrini.
Nella vita di Brindisi durante l’età Federiciana vanno ricordati il contrasto tra papa
e imperatore ed il trattato del 1199, tra il popolo brindisino e la Repubblica di
Venezia.
In conclusione, però, oltre al significato politico ci preme soffermarci sull’apertura
umana e sociale di Federico che si adoperò per superare, in tale ambiente, alcune tra
le più pesanti cause di discriminazione tra le persone, in funzione della religione.
Malgrado ciò, più volte prevalsero le esigenze autonomistiche dei brindisini che si
ribellarono allo Svevo. Questi, però, forte dell’appoggio dei Cavalieri Teutonici,
commise ogni sorta di abusi e illeciti finanziari contro i sudditi. Vere ribellioni
accaddero nel 1229 finché Manfredi nel 1257, riconquistò la città.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
I MONUMENTI
IL CASTELLO SVEVO
Nell’età di Federico II, Brindisi fu una tipica città medievale, operosa, con il suo
grande porto.
Sotto il profilo edilizio e urbanistico sembra che
l’imperatore non abbia abbellito la città, se si
esclude la costruzione del Castello Grande, oggi
sede del Comando Marina Militare.
Altrettanto sembra sotto il profilo economico.
Federico non si curò dell’espansione commerciale,
tanto che Brindisi fu esclusa dal novero delle
città abilitate ad ospitare le sette grandi fiere
(generales nundine) del regno.
Brindisi fu, comunque, scelta da Federico II
come sede imperiale e decise di costruire il
Castello Svevo, chiamato Castello di Terra o Castello Grande differenziandolo dal
Castello antico preesistente e situato tra la Fontana Salsa, il Castello dell’isola o Forte
a Mare.
Fu in origine fatto erigere da Federico II per fronteggiare le minacce dei nemici,
soprattutto interni, infatti, l’ostilità dei brindisini alla dinastia sveva è ampiamente
documentata e frequenti, furono, le ribellioni popolari contro l’autorità imperiale.
Il castello, completato nell’anno 1233, conserva il nucleo Svevo a forma quadrangolare,
con torri angolari e intermedie di tufo carparo, che rispondono ai criteri difensivi
dell’epoca: le alte torri e mura offrivano la possibilità di lanciare sul nemico pietre,
liquidi bollenti, frecce, ecc... rendendo più difficile l’assedio; mura e torri erano
ancora piatte, non essendoci il problema tecnico di schivare i colpi delle armi da fuoco
mediante superfici oblique o ricurve. Antichi storici riferiscono che, per la costruzione
del castello, sarebbero stati impiegati materiali di risulta di edifici romani.
IL CASTELLO SVEVO : DA FEDERICO AD OGGI
Poiché la posizione di questo castello era arretrata rispetto al mare aperto, intorno
al nucleo Svevo gli Aragonesi, in seguito, fecero costruire un antemurale con quattro
torri che rispondevano ai mutati canoni della architettura militare, per la comparsa
delle armi da fuoco. Intorno all’antemurale fu scavato un nuovo fossato, mentre il
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
vecchio, coperto con solide volte, fu utilizzato per vari usi.
Per potenziare la difesa della città furono eretti molte opere fortificate ed arricchimenti
al Castello Grande sul mare.
Ulteriori opere di fortificazione furono fatte ad opera dei veneziani. Queste opere
di fortificazione non furono ritenute evidentemente sufficienti da Ferdinando di
Alarçon, che si prese cura, per ordine dell’imperatore, di fortificarla “, facendo iniziare
nell’anno 1530 i lavori per la costruzione dei torrioni di S. Giorgio, S. Giacomo e del
torrione attiguo a Porta Mesagne. Il castello fu ulteriormente modificato e adibito a
penitenziario al tempo di Gioacchino Murat.
Visibile dalla strada, sul corpo di guardia è stato murato lo stemma di Brindisi con
l’iscrizione: Ad Herculis columna, forse trovato nel castello o nei pressi di esso. Lo
stemma “ presenta le due colonne con i loro alti piedistalli, capitelli corinzi riccamente
incisi e, sopra essi, le piattaforme, presumibili appoggi per le statue.
I TEMPLARI A BRINDISI
La città riuscì a mantenere la sua fama grazie alla presenza dei “Cavalieri Teutonici
o Templari” i quali influenzarono in modo determinante la vita brindisina.
Essi furono fedeli all’Imperatore dal quale ricevettero palazzi e fattorie come
ricompensa della loro fedeltà.
Nel 1214 Federico dichiarò di prendere l’ordine sotto la sua protezione facendolo
diventare una potenza di primo piano. Ai Templari , Federico riservò dei locali per
adibirli all’uso della “Zecca”, all’ufficio della dogana e delle gabelle.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
In questa zecca furono coniati tarì di oro, imperiali di argento, gli splendidi gustali
aurei e il primo tornese del regno.
I Templari costituirono a Brindisi una sorta di milizia civile dell’imperatore e per
questo motivo essi vennero scomunicati dal papa Innocenzo IV che con la bolla
“Extirpanda” ammise l’uso della tortura per ottenere la confessione degli imputati.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
CHI ERA FEDERICO II DI SVEVIA
Non c’è dubbio che Federico II sia uno dei protagonisti più controversi di tutto il
Medio Evo europeo, vittima della confusione che comunemente si fa tra gli elementi
storici e quelli leggendari. Federico II ha certo dominato la politica e la cultura
medievale in un secolo in cui l’Imperatore ed il Pontefice romano ritenevano entrambi
di essere investiti da Dio per gestire le cose dello Stato e della Fede. La conquista ed
il mantenimento del potere giustificava le peggiori atrocità e la chiesa sacrificava due
milioni di Cristiani alle Crociate promuovendo i processi dell’inquisizione, l’Imperatore
era secondo al Pontefice, infatti, le minoranze religiose erano perseguitate dalla
Chiesa ben coadiuvata dal “braccio secolare” che vedeva negli eretici soprattutto un
grave rischio sovversivo; le violenze coinvolgevano tutte le religioni e tutte le filosofie,
lo sviluppo culturale era condizionato da dogmatismi ed integralismi d’ogni colore;
la cultura non aveva ancora posto le premesse per la nascita della scienza, sia pure
nella forma embrionale che avverrà due secoli dopo. In questa situazione, Federico
II si inserì con alcune intuizioni che lo resero il gigante del suo tempo; ma che non
possono essere confuse con delle iniziative decisamente anticipatrici, che un uomo
medievale non poteva certo concepire. Egli infatti non fu un “laico” nel significato
attuale del termine, ma lottò per condurre il Papato alle sole competenze morali,
premessa per lo Stato di diritto e per sconfiggere ogni forma di integralismo, ma tentò
più di ogni altro contemporaneo di risolvere molte controversie con la diplomazia,
senza spargimento di sangue; punì le intolleranze dei Saraceni in Sicilia, ma li ospitò
a Lucera integrandoli nel proprio esercito e nell’amministrazione dell’Impero; anche
se mantenne la giovane moglie Jolanda di Brienne nell’asfittico harem palermitano,
ma nelle Costituzioni di Melfi dettò pagine importanti ed innovative per reprimere la
violenza contro le donne e difenderle dalle accuse e seguì i rituali magici dell’Oriente
e alla sua Corte ospitò dotti di tutte le terre senza distinzione di razza e di religione,
cui pose quesiti che saranno alla base delle prime ricerche degne di essere definite
scientifiche; si professò e fu sinceramente cattolico, pur accettando l’universalità dalla
cultura all’esclusivo servizio dell’uomo, superando i vincoli che nascevano dal fatto
di voler distinguere le culture cristiana, ebrea, musulmana. Crociato scomunicato, a
Gerusalemme trasformò una lotta di religione in un confronto tra diverse culture,
rendendo possibile un accordo da allora mai ripetuto. Federico II non fu certo il
pensatore medievale più illuminato ed innovativo in alcun campo della filosofia, della
religione, dello scibile umano di allora tanto da meritare l’appellativo di “Imperatore
delle meraviglie” Il suo fascino, consiste nell’avere contemporaneamente spaziato in
moltissimi campi della conoscenza, come tutti i grandissimi della storia.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
GIUDIZI SULL’IMPERATORE DELLE MERAVIGLIE
Fuori discussione è la posizione di spicco che Brindisi continuò a mantenere durante
l’età federiciana, infatti Lui stesso chiama la città con l’appellativo di”caput terrarum
marittimarum Apuliae”.
Alla luce degli avvenimenti brindisini durante la vita dell’imperatore, il giudizio da
esprimere verso la sua opera di sviluppo è ambiguo, anche se la città non potette
sottrarsi all’accentramento statale che caratterizzò il regno federiciano.
In realtà Federico, uomo colto e buon mediatore, attraverso abili negoziati ottenne
molti risultati segnando la storia europea del 1200 suscitando grandi entusiasmi e odi
altrettanto profondi.
“Alla sua corte dei miracoli” , Federico creò un paradiso dell’assolutismo medievale
da lui dominato ed assetato di sapere. Colto e a tratti illuminato fu conoscitore del
latino, del greco e dell’arabo e curioso di arti e scienze. Il regno di Federico non ebbe
mai una capitale perché l’unità veniva assicurata dagli spostamenti, attraverso le
regioni, dello stesso re, che li riuniva nei “Parlamenti”.
Per migliorare il sistema delle entrate, curò l’organizzazione delle finanze e del fisco,
con una rete di uffici periferici coordinati da una “Corte dei conti centrale”.
Da padrone assoluto, Federico creò una legislazione che contemplava i diritti
delle donne. Il regno in Puglia divenne “il granaio” d’Europa e le esportazioni
incrementarono l’agricoltura per cui i contadini beneficiarono di condizioni agevolate
per la messa a coltura dei terreni.
Da grande appassionato del sapere ebbe iniziative culturali grandiose come la
fondazione dell’Università di Napoli(1224) e il rafforzamento della scuola di medicina
di Salerno. Nel meridione d’Italia, tra castelli e palazzi fortificati, tra cacce e letture
creò il suo stato ideale. Alla sua corte si aggirarono non solo saltimbanchi, ma anche
le migliori menti d’Europa e del Mediterraneo che gli attribuirono il titolo di “Stupor
mundi”. Federico II è, senza dubbio, uno dei protagonisti più controversi di tutta la
storia, non solo medievale. Federico II e’ considerato da molti critici storici del nostro
secolo come “lo statista, il condottiero, il legislatore che per primo ha applicato il
precetto della fratellanza e dell’integrazione razziale. Come uomo politico intravide la
possibilità di unificare l’Italia non solo dal punto di vista della legislazione, ma anche
culturale, linguistico, letterario; come uomo condusse l’Italia verso l’unione degli
Stati nazionali più progrediti. Nella lettera apostolica “Terzo Millennio Adveniente”
del 10 novembre 1994 il papa Giovanni Paolo II parla della intolleranza manifestata
in alcuni secoli dai figli della Chiesa. Forse queste parole del Pontefice potrebbero
rivalutare molti atteggiamenti di Federico II che potrebbe assumere come uomo del
suo tempo, un ruolo centrale nella moderna Europa.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
INTRIGHI ALLA CORTE DI FEDERICOII
Federico II ebbe quattro mogli: le prime tre gli furono imposte dalla ragion di Stato
ben rappresentata dai papi, mentre amò sinceramente l’ultima con la quale visse
un rapporto avvolto dal mistero, sotteso fra storia e leggenda. In realtà le mogli di
Federico furono utili solo per fornire qualche erede legittimo alla Casa di Svevia,
in aggiunta ai più numerosi figli illeggittimi; ma nessuna di loro riuscì a giocare un
ruolo politico apprezzabile, schiacciate dalla personalità del marito ed oltre tutto
sempre chiuse nei palazzi dorati della Corte.
Costanza d’Aragona
Federico sposò Costanza d’Aragona quando aveva
15 anni, nel 1209. Al matrimonio fu quasi costretto
da Innocenzo III che aveva esercitato su di lui la tutela
richiesta dalla madre, Costanza d’Altavilla, in punto
di morte. Con questa iniziativa il pontefice intendeva
affiancare al giovane e recalcitrante delfino della
Casa di Svevia una donna religiosissima, affidabile,
molto più anziana di lui, in grado di indirizzarlo
sulla via dell’obbedienza verso l’autorità romana: si
sbagliava di grosso.Federico accettò l’imposizione e
non modificò la sua vita. Dall’unione nacque Enrico
VII, un uomo che assunse nei confronti del padre
atteggiamenti di vivace competitività quindi di aperta
sfida; morì forse suicida mentre era prigioniero nelle
carceri imperiali. Costanza morì nel 1222.
Jolanda di Brienne 
Le nuove nozze di Federico con Jolanda (o
Isabella) di Brienne furono paternamente
sollecitate da Onorio III in vista della VI
Crociata in Terra Santa. La giovane infatti era
figlia del cattolicissimo Giovanni, un valoroso
crociato che le avrebbe lasciato in eredità la
Corona di Gerusalemme: un titolo di scarso
valore patrimoniale ma utile per il successo
della nuova spedizione. Anche Federico ambiva
fregiarsi del nuovo il titolo, ma per motivi un po’
diversi: egli considerava la corona un elemento
determinante per concludere l’impresa con un
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
accordo diplomatico, dimostrando che era possibile affermare la fede pacificamente,
senza spargimento di sangue. L’unione fu benedetta il 9 novembre 1225 nel duomo
di Brindisi, ed ebbe un avvio decisamente difficile.
Il matrimonio tra la giovane Jolanda di Brienne e Federico II, dalla cronica del
Villani. Jolanda aveva allora 13 anni; era immatura, bruttina, poco all’altezza di
figurare accanto ad un trentenne colto, avviato alla gloria. Giusto la prima notte
di matrimonio, Federico trovò il modo di consolarsi: e lo fece con la cugina della
moglie, Anais. Venuto a conoscenza dell’increscioso fatto, Giovanni di Brienne si
rivolse al pontefice che si guardò bene
dal disturbare Federico ed evitò lo
scandalo limitandosi ad indennizzare
il deluso padre con un remunerativo
incarico presso la Corte romana. Jolanda
diede al marito due figli Corrado IV e
Margherita e morì nel 1228, a soli 16
anni, per postumi da parto.
Isabella d’Inghilterra 
Isabella era la sorella di Enrico III
d’Inghilterra. Fu Gregorio IX a
caldeggiare le nozze nel 1235 per
consentire all’imperatore di avvicinarsi ai ricchi guelfi germanici che nemmeno lui
riusciva a controllare ed ai potentati d’oltre manica. In realtà l’obiettivo fu raggiunto
solo in parte; prima che Federico potesse complicare da par suo i rapporti familiari
con la corona inglese, il quadro delle operazioni diplomatiche e militari si spostò
in Italia, né si ridussero le pretese dei nobili tedeschi. Dolcissimo lo sguardo di
Isabella d’Inghilterra dagli occhi cerulei, terza moglie dell’Imperatore svevo. dal
dipinto, detto “Il trionfo della morte” esistente nella
chiesa rupestre di Santa Margherita, presso Melfi.
Isabella fu madre di Enrico detto Carlotto, morto in
giovanissima età; e calerà nella tomba nel 1241, in
pieno conflitto del marito con Gregorio IX.
Bianca Lancia
Bianca Lancia, della famiglia dei conti di Loreto, fu
l’unica donna che riuscì a conquistare veramente
il difficile cuore di Federico. I due si conobbero nel
1225, pochi mesi dopo lo sfortunato matrimonio
con Jolanda di Brienne: fu un reciproco colpo di
fulmine.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
CASTELLI, ROCCHE E FORTEZZE
Si chiamava Castellum, presso i romani, un’opera di fortificazione la cui differenza
dal Castrum non è ben chiara. Generalmente si identificava con questo nome
fortificazioni di minore entità lungo i confini dell’impero, disposte ad intervalli
regolari a sorveglianza di ponti e strade, al di qua e al di la delle frontiere. I castelli
erano temporanei o permanenti: i primi erano semplici ridotte, di forma circolare
o quadrata, spesso senza baraccamenti per le truppe; gli altri erano invece recinti
rettangolari saldamente fortificati, con argini e terrapieni dapprima, poi ( dopo
Adriano ) cinti di mura merlate, con torri per le macchine di lancio e quattro porte. 24
m. x 15 m. a 150 m. x 150 m. Nel Medioevo il nome di Castello passò ad identificare
una residenza fortificata che costituì la dimora del signore feudale. Dapprima fu un
fortilizio isolato nel quale l’abitazione del feudatario si riduceva a pochi vasti ambienti
ricavati all’interno delle torri e delle muraglie. Poi, quando la vita delle piccole corti
feudali si volse ad una maggiore ricerca di agi e di benessere, il castello divenne un
organismo complesso, del quale fecero parte l’apparato difensivo, costituito dalla
cinta muraria per la difesa esterna e dal mastio per la sorveglianza dell’intero edificio
e l’eventuale estrema difesa, il nucleo abitato, costituito dal palazzo del signore, le
abitazioni dei famigli e dei soldati, la cappella, magazzini e servizi comuni. Nel
sistema fortificato, le caratteristiche strutturali e tecniche delle varie parti seguirono i
progressi dell’arte militare : si passò così dalle nude muraglie merlate dei primi fortilizi
feudali, alle ben studiate disposizioni difensive dei castelli dal ‘200 al ‘400, dominati
dall’alta mole del mastio, coronati dalla serie delle merlature su caditoie del cammino
di ronda aggettante, protetti dalle robuste torri distribuite nei punti più salienti. In
questi già complessi e vasti organismi il palazzo del signore con i fabbricati annessi
prese importanza e aspetto di dimora principesca e , pur conservando all’esterno le
disposizioni necessarie per la difesa e la sicurezza degli abitanti, si arricchì, nell’interno,
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
di cortili e di sale dalle amene architetture e leggiadre decorazioni. Nel XVI° secolo
il castello perde il duplice carattere di fortezza e di dimora signorile. Il nome castello
rimane tuttavia in uso per indicare le grandi dimore di campagna che, specialmente
in Francia e nei paesi germanici, si sostituirono alle antiche residenze feudali, sotto
forma di fastosi palazzi circondati di vasti parchi.
ALCUNI TERMINI E TIPOLOGIE DI CASTELLO
Castello medievale ( XII° secolo)
Si chiamava Castellum, presso i romani, un’opera di fortificazione la cui differenza
dal Castrum non è ben chiara. Generalmente si identificava con questo nome
fortificazioni di minore entità lungo i confini dell’impero, disposte ad intervalli
regolari a sorveglianza di ponti e strade, al di qua e al di la delle frontiere.
I castelli erano temporanei o permanenti: i primi erano semplici ridotte, di forma
circolare o quadrata, spesso senza baraccamenti per le truppe; gli altri erano invece
recinti rettangolari saldamente fortificati, con argini e terrapieni dapprima, poi (
dopo Adriano ) cinti di mura merlate, con torri per le macchine di lancio e quattro
porte. 24 m. x 15 m. a 150 m. x 150 m. Nel Medioevo il nome di Castello passò
ad identificare una residenza fortificata che costituì la dimora del signore feudale.
Dapprima fu un fortilizio isolato nel quale l’abitazione del feudatario si riduceva a
pochi vasti ambienti ricavati all’interno delle torri e delle muraglie. Poi, quando la
vita delle piccole corti feudali si volse ad una maggiore ricerca di agi e di benessere, il
castello divenne un organismo complesso, del quale fecero parte l’apparato difensivo,
costituito dalla cinta muraria per la difesa esterna e dal mastio per la sorveglianza
dell’intero edificio e l’eventuale estrema difesa, il nucleo abitato, costituito dal palazzo
del signore, le abitazioni dei famigli e dei soldati, la cappella, magazzini e servizi
comuni. Nel sistema fortificato, le caratteristiche strutturali e tecniche delle varie
parti seguirono i progressi dell’arte militare : si passò così dalle nude muraglie merlate
dei primi fortilizi feudali, alle ben studiate disposizioni difensive dei castelli dal ‘200
al ‘400, dominati dall’alta mole del mastio, coronati dalla serie delle merlature su
caditoie del cammino di ronda aggettante, protetti dalle robuste torri distribuite nei
punti più salienti. In questi già complessi e vasti organismi il palazzo del signore
con i fabbricati annessi prese importanza e aspetto di dimora principesca e , pur
conservando all’esterno le disposizioni necessarie per la difesa e la sicurezza degli
abitanti, si arricchì, nell’interno, di cortili e di sale dalle amene architetture e leggiadre
decorazioni. Nel XVI° secolo il castello perde il duplice carattere di fortezza e di
dimora signorile. Il nome castello rimane tuttavia in uso per indicare le grandi dimore
di campagna che, specialmente in Francia e nei paesi germanici, si sostituirono alle
antiche residenze feudali, sotto forma di fastosi palazzi circondati di vasti parchi.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
ALCUNI TERMINI E TIPOLOGIE DI CASTELLO
Castello medievale ( XII° secolo)
Con il tempo il castello viene ampliato. Vicino alla torre maestra viene edificato il
mastio, residenza promiscua del feudatario e del personale di servizio. Alla prima
cinta di mura sovente ne viene affiancata una seconda per garantire una maggiore
difesa. Le porte d’ingresso alle varie cinte murarie sono ( quasi sempre ) ubicate
molto distanti fra loro per obbligare gli assedianti a percorrere un maggiore percorso
allo scoperto e quindi essere esposti maggiormente al tiro degli arcieri.
Castello medievale ( XIII-XIV° secolo)
Per garantire maggiore protezione ai contadini ed artigiani che lavorano all’interno
del feudo, viene edificata una ulteriore cerchia di mura, all’interno della quale
vengono costruite le diverse abitazioni. In tal modo si dà origine al borgo fortificato
che in alcuni casi darà origine a vere e proprie città murate ed in altre maestose
fortezze. Le maggiori esigenze abitative portarono poi all’ampliamento del mastio
che si ampliò seguendo il circuito murato.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
IL CASTELLO DI ORIA
Il nucleo più antico del castello, appartenente probabilmente al primo periodo della
dominazione sveva, è costituito da un massiccio torrione quadrangolare. L’edificio
occupa l’altura dell’acropoli messapica e domina la città in fortissima posizione
difensiva: l’immagine migliore del castello è quella romantica tramandataci dagli
storici, ai quali la sua forma ricordava quella di un vascello “nuotante nell’aria”, quasi
a sottolineare l’imponenza scenografica dissimulata dalle sue mura e dalle sue torri.
In realtà, più che un castello, quello di Oria ha tutta l’aria di un recinto fortificato,
che si adegua alla cima della collina su cui è situato assumendo una configurazione
planimetrica triangolare. Il nucleo più antico è individuabile nel massiccio torrione
quadrangolare a sud-ovest (detto anche “del Maschio” o “del Becco”), costruito in forma
di donjon e probabilmente appartenente alla fase sveva della costruzione (databile
tra 1227 e 1233), benché siano evidenti i segni di rimaneggiamento ed adattamento
alle nuove tecniche difensive operati in epoca rinascimentale mediante l’inserimento
di cannoniere e feritoie. Altre torri si trovano sul lato meridionale (le torri cilindriche
dette “del Salto” e “del Cavaliere”) e alla punta settentrionale (la torre quadrata detta
“dello Sperone”). All’interno del recinto, ove si trova una vastissima piazza d’armi che
poteva contenere fino a 5000 combattenti, gli unici ambienti coperti che si rilevano sono
caserme, magazzini e l’alloggio per il feudatario che, insieme ad una serie di capienti
cisterne, testimoniano la natura prettamente indirizzata alla difesa della costruzione,
che in moltissimi casi dovette resistere ad ostinati assedi garantendo nel contempo la
compieta autonomia. Restaurato più volte, sia prima che dopo la rovinosa tromba
d’aria del 1897, il castello è proprietà dal 1933 dei conti Martini Carissimo che ne
hanno curato la successiva ristrutturazione. Oggi le sue sale ospitano la collezione
Martini Carissimo, comprendente monete antiche, gemme incise, statue fittili, bronzi,
ceramiche e frammenti architettonici di età romana e medievale.Quando Federico
II nel 1222 si recò a Brindisi intraprese un giro ispettivo per verificare l’eventuale
potenziamento e fortificazione di alcuni punti strategici dei suoi possedimenti.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
Oria apparve subito come un centro di notevole interesse e per poter costruire il
castello sul colle che dominava la zona, Federico II chiese ed ottenne l’autorizzazione
a demolire la chiesa dei Santi Crisante e Daria, fatta erigere dal vescovo Teodosio
nell’880. Di quella chiesa esiste tuttora l’ipogeo nel cortile del castello. Il castello di
Oria fu spesso dimora di Federico. Il castello subì notevoli danni durante gli assedi di
Manfredi di Svevia, nel 1254,
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
CASTEL DEL MONTE
Universalmente noto per la sua inconfondibile forma ottagonale, per le suggestioni
simboliche e per essere – a detta di molti – il più misterioso tra gli edifici commissionati
da Federico II di Svevia, Castel del Monte costituisce una delle principali mete della
Puglia.
Oggi a questo castello viene restituito il suo ruolo all’interno del contesto storico e
territoriale, non dimenticando che esso è il simbolo legato al sapere ed al potere di
Federico II.
Le questioni aperte su cui gli storici ridiscutono, riguardano soprattutto il
momento storico e le ragioni della sua edificazione, che consentono di riconoscere
inequivocabilmente la funzione di castrum come primaria rispetto ad altre possibili.
Castel del Monte è dunque prima di tutto un castello medievale, dalle funzioni
polivalenti, da leggere all’interno dell’organico sistema castellare realizzato da
Federico II di Svevia per governare il territorio, e da analizzare nei suoi rapporti con
i principali castelli della zona, come quello di Barletta.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
Cenni storici
Il 29 gennaio 1240, da Gubbio, l’imperatore Federico II firma un decreto in cui
ordina di predisporre il materiale necessario alla costruzione di un castello situato
presso la chiesa (oggi scomparsa) di Sancta Maria de Monte.
IL maniero fu costruito dal 1240 al 1250 e dopo la caduta degli Svevi, gli Angioini
tennero rinchiusi i giovani figli di Re Manfredi, e nipoti di Federico II, Azzolino,
Federico ed Enrico. Isolati dal mondo, i tre prigionieri vissero una vita di stenti e in
queste stanze i tre fratelli sognavano la gloria di un tempo di Federico II.
Uno dei tre morì fra le mura di Castel del Monte e fù sepolto nel duomo di
Canosa, mentre il giovane Federico dopo trent’anni di carcere andò per le corti
europee per ricordare la stirpe
Sveva. Andò anche in Egitto e nei caldi deserti si perdono le sue tracce, mentre il
terzo fratello morì accecato nel tetro Castel dell’Ovo di Napoli.
In seguito il castello rimase per lo più adibito a carcere. Nel 1495 vi soggiornò
Ferdinando d’Aragona, prima di essere incoronato re delle due Sicilie a Barletta.
Il nome attuale del castello compare poco più tardi in un decreto dello stesso re,
emesso da Altamura.
Annesso al ducato di Andria, appartenne a Consalvo da Cordova e, dal 1552,
ai Carafa conti di Ruvo. Fu rifugio per molte nobili famiglie andriesi durante la
pestilenza del 1656. Fin dal secolo XVIII, rimasto incustodito, fu sistematicamente
devastato, spogliato dei marmi e degli arredi, e divenne ricovero per pastori,
briganti, profughi politici.
Nel 1876, prima che sopravvenisse la definitiva rovina, il castello venne acquistato
dallo Stato italiano per la cifra di £ 25.000.
Oggi il maniero, solenne nella sua solitudine,ricorda il sogno imperiale del grande
re tedesco e testimonia l’amore pugliese che gli Svevi nutrirono che riecheggia
anche nella canzone del il figlio di Manfredi, Enzo:”Va,canzonetta mia,e vanne in
Puglia piana la Magna Capitana, là dove lo mio core nott’è dia.”
Per le sue caratteristiche di unicità l’UNESCO l’ha inserito, nel 1996, nel
patrimonio mondiale dell’umanità.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
L’edificio
Come è noto, la struttura del castello consiste fondamentalmente in un monumentale
blocco di forma ottagonale, ai cui otto spigoli si appoggiano altrettante torri della stessa
forma. La distribuzione dello spazio interno si articola su due piani, ognuno dei quali
presenta otto stanze di forma trapezoidale raccolte intorno ad un cortile (ovviamente
ottagonale). Il prospetto principale, sul lato est, è dominato da un maestoso portale
cui si accede da due rampe di scale simmetriche. Il cortile, compatto e severo, che
ripete nella forma ottagonale l’impostazione di tutto l’edificio, alleggerisce la sua
massa muraria solo in corrispondenza dei tre portali di comunicazione con le sale
del piano terra, e delle tre porte finestre corrispondenti ad altrettante sale del piano
superiore.
Tre sono i materiali da costruzione utilizzati nel castello; la loro combinazione e la
loro distribuzione nell’edificio non sono casuali ed hanno un ruolo importante nella
nostra percezione cromatica. Prima di tutto la pietra calcarea locale, bianca o rosata
a seconda dei momenti del giorno e delle situazioni meteorologiche, preponderante
perché interessa le strutture architettoniche nel loro insieme ed alcuni particolari
decorativi; il marmo, bianco o leggermente venato, oggi superstite nelle preziose
finestre del primo piano e nella decorazione delle sale, ma che in origine doveva
costituire gran parte dell’arredo del castello; infine la breccia corallina, nota di colore
usata nella decorazione delle sale al piano terra e nelle rifiniture di porte e finestre,
interne ed esterne, oltre che nel portale principale; un effetto prezioso e vivace reso
da un conglomerato di terra rossa e calcare cementati con argilla ancora reperibile
in cave presenti nel territorio circostante.
In origine il ruolo giocato dal colore doveva essere ancora più deciso: tutti gli ambienti
dovevano essere rivestiti di lastre (in breccia rossa al piano terra, marmoree a quello
superiore); la breccia dava risalto cromatico ai camini, agli stipi, ai profili di porte
e finestre, il mosaico illuminava non solo la pavimentazione ma anche le volte delle
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
stanze. Forse una decorazione dipinta impreziosiva le pareti degli ambienti al primo
piano.
L’esterno
Una cornice marcapiano cinge l’intera costruzione segnando la presenza dei due
piani dell’edificio, divisi ognuno in otto sale corrispondenti agli otto lati dell’ottagono.
Ogni parete del castello compresa tra due torri presenta due finestre (non sempre
in asse tra loro): una monofora a tutto sesto in corrispondenza del piano inferiore
(tranne che nei due lati opposti est ed ovest, occupati rispettivamente dal portale
principale e dall’ingresso di servizio), ed una bifora al piano superiore (tranne che nel
lato nord, quello in direzione di Andria, aperto con una trifora). 
Sulle torri si aprono numerose strette feritoie, variamente disposte e profondamente
strombate, che danno luce alle scale a chiocciola interne, ai servizi ed ai vani delle
torri stesse.
Sul lato ovest, quello opposto all’ingresso principale, troviamo l’ingresso secondario,
costituito da un semplice profilo archiacuto, senza alcuna decorazione. Un particolare
degno di nota riguarda la bifora tra le torri 7 ed 8 che conserva – nell’oculo destro
– l’unica tessera di mosaico superstite (di colore verde) delle decorazioni policrome
delle finestre.
Sul fronte principale del castello due rampe di scale simmetriche ricostruite nel 1928
salgono verso il portale principale in breccia corallina, nel quale pilastri esili e scanalati,
con capitelli corinzi, sorreggono un finto architrave sagomato nella parte inferiore
da modiglioni, su cui si imposta un timpano cuspidato, tutti elementi costitutivi che
indubbiamente risentono di fonti di ispirazione classica. Tra la parte esterna e quella
interna del vano d’accesso si situa l’intercapedine funzionale allo scorrimento della
saracinesca che era manovrata dalla soprastante “sala del trono”.
L’interno
Ognuno dei due piani dell’edificio comprende otto sale trapezoidali tutte di
dimensioni simili, ma caratterizzate da una sottile gerarchia a seconda del modo in
cui comunicano tra loro o con il cortile interno. Generalmente si possono individuare
delle sale più “confortevoli”, dotate di alcuni accessori (come ad esempio alti camini,
o disimpegni e servizi igienici collocati nelle torri), e delle sale di passaggio, dotate di
percorsi autonomi rispetto ad esse.
Il problema della copertura delle stanze trapezoidali è risolto in modo impeccabile:
il trapezio è scomposto in un quadrato centrale, il cui lato corrisponde alla parete
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
della sala verso il cortile, e due triangoli laterali; la parte centrale quadrata è voltata
a crociera costolonata, i due triangoli da semibotti ad ogiva. L’uso dei costoloni, già
diffuso in Francia da molto tempo, è una novità in Puglia: ma qui, sia negli ambienti
del piano terra che in quelli del piano superiore, essi non hanno alcuna funzione
statica; il loro scopo decorativo è sottolineato invece dalla presenza di una chiave di
volta figurata, diversa in ogni sala, tra le quali spiccano per originalità quella della
settima sala al pianterreno (raffigurante una testa di fauno, con orecchie appuntite
e sporgenti, incorniciato da uva e pampini), e quelle della settima e dell’ottava sala
del piano superiore (rispettivamente animate da quattro testine umane e da quattro
ibridi annodati).
Sempre al piano superiore, nella cosiddetta “sala del trono”, la chiave di volta
raffigura volto umano barbuto, interpretato ora come fauno, ora come astrologo,
mago o anche filosofo
Al piano terra, la pianta del vano quadrato centrale viene messa ancor più in risalto
dalle quattro potenti semicolonne che la delimitano lateralmente, le quali, come i
rispettivi capitelli ornati da foglie ad apice ricurvo, le cornici delle finestre a tutto
sesto, gli oculi e le soglie tra una sala e l’altra, sono tutte in breccia corallina. L’abaco
dei capitelli corre su tutta la parete, riquadrando porte e finestre, e mettendo in risalto
la linea d’imposta della copertura; fino a questo livello, in origine, le pareti dovevano
essere anch’esse ricoperte di breccia. Della pavimentazione originaria delle sale, a
tarsie geometriche in marmo bianco e ardesia, restano scarsi frammenti nell’ottava
sala.
Sempre al piano terra, solo tre sale comunicano direttamente con il cortile interno,
determinando sin dall’inizio una serie di “percorsi obbligati” che aiutano a definire
una sorta di gerarchia tra i vari ambienti che noi percepiamo come tutti uguali.
Ogni parete del cortile (che è di forma ottagonale nel rispetto della pianta ottagona
dell’edificio) termina in alto con un’arcata cieca a sesto acuto impostata su paraste
angolari; l’alleggerimento delle masse murarie è dato dalle porte e dalle finestre che
vi si aprono, di varia forma e senza una precisa distribuzione, secondo le esigenze
dell’interno. Al livello superiore si aprono tre porte finestre in breccia corallina, con
architrave su mensole, incorniciate da due colonnine che reggono un archivolto
ornato a fogliami ed ovoli. Si può a buona ragione pensare che in origine queste porte
finestre – e dunque le relative sale – comunicassero tra loro mediante un percorso
pensile in legno che correva su tutto il perimetro del cortile.
L’accesso al piano superiore avviene attraverso due delle otto torri, dotate di scala
a chiocciola. Una è la torre 3, detta anche Torre del Falconiere, comunicante con
la quarta sala e coperta da una volta tripartita sorretta da mensole antropomorfe
raffiguranti l’una una testa di fauno, l’altra un volto femminile; l’altra è la torre 7,
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
accessibile dall’ottava sala, coperta da una volta esapartita sostenuta da telamoni
in curiosi e provocatori atteggiamenti. La torre 5, invece, possiede l’unica scala
praticabile fino al terrazzo senza interruzione: la sua funzione “di servizio” è suggerita
tanto dall’essere accessibile dalla quinta sala (quella situata sul fronte opposto a
quello principale, comunicante con l’esterno grazie ad un portone secondario, oggi
murato), quanto dalla singolarità del fatto che, all’altezza del piano superiore, oltre
al passaggio diretto verso la quinta sala, esista un altro passaggio spostato verso
sinistra che permette di proseguire fino al tetto senza passare per la sala. Il terrazzo
costituisce un punto di osservazione privilegiato: la vista può spaziare dalle Murge al
Tavoliere fino al Gargano ed al Vulture, lasciando spazio, nelle giornate più limpide,
anche alle città della Terra di Bari. La copertura del terrazzo è stata rifatta durante
gli ultimi lavori di restauro: essa consta di doppio spiovente, di cui quello interno, per
mezzo di tubi di piombo incassati nella muratura, finalizzato a convogliare le acque
alla cisterna della corte, e quello esterno alle condutture dei servizi delle torri.
La struttura e la distribuzione degli ambienti del piano superiore ricalcano quella
del piano terra, ma esprimono maggiore raffinatezza nei particolari decorativi e
nell’architettura d’insieme. I costoloni che sorreggono le volte sono più sottili e slanciati,
e si dipartono da colonnine tristili in marmo riunite a fascio da un unico capitello
decorato elegantemente a motivi vegetali. Sul versante che dà all’esterno, ogni sala è
vivacemente illuminata da una bifora di chiaro sapore gotico (unica eccezione, una
trifora seconda sala, sul versante settentrionale del castello); caratteristica di queste
grandi finestre è il fatto di essere rialzate da gradini e fiancheggiate da sedili. Sul
versante del cortile si alternano, a seconda delle sale, porte finestre e monofore a
tutto sesto. Lungo le pareti di ogni sala corre un sedile in marmo sotto la base delle
colonne, e una cornice marcapiano all’imposta delle volte. In origine le pareti di
queste sale dovevano essere rivestite interamente da grandi lastre di marmo.
Una menzione particolare va fatta per quella che tradizionalmente viene
indicata come “sala del trono”, situata sul lato orientale dell’edificio in
corrispondenza del prospetto principale, dalla quale è tra l’altro possibile
manovrare lo scorrimento della saracinesca del portone d’accesso. Grazie alla
sua collocazione ed alla suggestione incrementata da una vasta letteratura
sull’argomento, è qui che l’immaginario collettivo colloca il Federico “mitico”,
assorto, contemplativo, impegnato in dotti consulti con gli esperti della sua corte.
Ed è qui, nella sala “orientata” di un castello che molti vogliono intenzionalmente
rivolto al sole e al Cristo come l’abside di una cattedrale, che il legame con i fenomeni
celesti e divini”, pur al di fuori del dato storico e documentabile, si fa stringente e
palpabile.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
CASTELLO DI BARLETTA
Questo poderoso edificio, possiede una storia millenaria che si intreccia con quella
della città di Barletta : posto ai margini del comune di Barletta , originariamente
lambito dalle acque dell’Adriatico fu probabilmente fondato dai normanni nell’XI
secolo. Ancora oggi è visibile nel cortile, una traccia della torre più antica. Divenne
castello e dimora sveva come testimoniano le aquile imperiali scolpite nelle lunette
di due finestre nello stesso cortile.
L’imperatore vi risiedette più volte, e ai suoi ingegneri risalirebbe la prima costruzione
di una struttura quadrilatera. Fu riedificato da Carlo I d’Angiò che lo elesse a sua
residenza pugliese privilegiata, intervenendovi sia negli aspetti militari che in quelli
residenziali: vi si costruì un palatium, una torre, le nuove mura, e una cappella.
L’architetto fu il celebre Pietro
d’Angicourt, cui si dovette una struttura
probabilmente
trapezoidale,
una
torre rotonda come quella di Lucera.
I lavori terminarono con Carlo II
nel 1291. Testimonianza evidente
di questa fase sono le basi delle torri
angolari ancora visibili nei sotterranei
perché successivamente inglobate nelle
poderose strutture cinquecentesche.
Carlo V, infatti, a partire dal 1532, lo
reso fortezza inespugnabile, adattandolo
alle nuove armi da fuoco tanto che non
fu mai attaccato.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
LA CUCINA NEL MEDIOEVO
Nel Medioevo l’alimentazione dei più nobili era ricca di selvaggina condita spesso con
spezie molto costose poiché provenivano dall’ Oriente. L’alimentazione dei contadini era
più povera e comprendeva alimenti che potevano sostituire la carne, come i legumi.
I contadini mangiavano una zuppa a metà mattina, del pane (cotto ogni 15 giorni in
pesanti pagnotte), del formaggio e castagne bollite durante il giorno, la sera - quando
tornavano dai campi - mangiavano altri cibi molto poveri. Anche per i ricchi, il pane
restava comunque l’alimento principale ma lo volevano bianco, di frumento. Nei tempi di
grande carestia, poi, si cercava di fare il pane con qualsiasi cosa, persino con la paglia e le
cortecce macinate, e si ricorreva al cibo dei maiali: le ghiande. Il vino era bevuto sia dai
nobili che dai monaci ma i poveri inizialmente erano esclusi da questo “privilegio”. Nel
Medioevo si amavano profumi e sapori che per noi non sono usuali, come quello delle
rose, e gli accostamenti un po’ particolari come agro-dolce, dolce-salato, dolce-piccante.
Una delle testimonianze più interessanti dell’ epoca medievale è rappresentata dagli
“erbari”. Questi codici, riccamente miniati, raffiguravano le varie erbe e le piante allora
conosciute, elencandone anche i vantaggi che se ne potevano trarre per la salute. Citiamo
dal Tacuinum Sanitatis alcuni dei consigli terapeutici:
Frumento: indicato per guarire le ulcere.
Segale: indicato come calmante e sedativo.
Uovo: nutre, depura e ingrassa.
Miglio: per coloro che desiderano rinfrescarsi.
Bietole: il loro succo toglie la forfora.
Zucche: mitigano la sete e fanno bene ai collerici.
Cocomeri e cetrioli: abbassano la febbre.
Finocchio: giova alla vista.
Cosa erano e a che cosa servivano le spezie che l’occidente importava dall’oriente a
carissimo prezzo? Le spezie (o droghe) sono in realtà bacche, gemme o semi di piante. Le
più conosciute sono: cannella, noce moscata, zénzero, zafferano, cumino che oltre a rendere
più stuzzicanti i cibi contribuivano a conservarli meglio.Le spezie erano anche gli essenziali
componenti di molte medicine: con il ginepro, il cumino e l’anice da cui si facevano liquori,
tonici ed elisir. Il pepe era invece un ottimo disinfettante intestinale. Esse erano fonte di
grandi guadagni per i mercanti perchè erano poco ingombranti, perciò costava poco
caricarne e trasportarne qualche migliaio di chili ed i compratori erano disposti a pagarle
care. Anche il sale era usato nella cucina e nelle farmacie. Nel medioevo era molto raro e
caro, tanto che i governi ne tassavano spietatamente il consumo. Il sale esaltava il sapore
degli alimenti e permetteva di conservare la carne ed il pesce essiccandoli. Il valore del
sale era legato anche ad antiche tradizioni magiche e religiose, tanto che il carattere sacro
e magico del sale è all’origine di molte credenze popolari vive ancora oggi, come quella di
considerare un segno di sventura spargere e sprecare il sale.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
L’OLIO P UGLIESE
Collina di Brindisi.
Nella parte settentrionale della
provincia brindisina si realizza
quest’olio di eccellente qualità, che
raccoglie l’eredità dell’esperienza
olivicola millenaria, sviluppatasi qui
dal tempo di Greci e Romani.
Lo compongono diverse varietà:
Ogliarola (l’antichissima Olea Iapygia)
min. 70%, Cellina di Nardò, Coratina,
Frantoio, Leccino, Picholine e altre, da
sole o congiunte, fino al 30%. Colore:
dal verde al giallo; profumo: fruttato medio; sapore: fruttato, con leggera percezione
di piccante e di amaro.
Dauno.
La provincia di Foggia era detta Daunia dagli antichi Romani (dal nome d’una
popolazione illirica qui stan-ziatasi), i quali furono i primi ad impiantare l’olivicoltura
in queste terre. La Dop è accompagnata obbligatoriamente da una delle seguenti
menzioni geografiche: “Alto Tavoliere” (varietà: Peranzana o Provenzale, min. 80%;
colore: dal verde al giallo; profumo: di fruttato medio con sensazione di frutta fresca e
mandorlato dolce; sapore: fruttato); “Basso Tavoliere” (varietà: Coratina, min. 70%;
colore: dal verde al giallo; profumo: fruttato; sapore: fruttato con sensazione leggera
di piccante e amaro); “Gargano” (varietà: Ogliarola Garganica, min. 70%; colore: dal
verde al giallo; profumo: fruttato medio con sensazione erbacea; sapore: fruttato con
retrogusto sensazione mandorlato); “Sub-Appennino” (varietà: Ogliarola, Coratina
e Rotondella, da sole o con-giunte, min. 70%; colore: dal verde al giallo; profumo: di
fruttato medio con sentori di frutta fresca; sapore: fruttato).
Terra di Bari.
È la pianta tipica dell’intera area, ma per riassumere l’importanza dell’olivo
nella provincia barese, basta dire che la sua coltura risale al neolitico (5000
a.C.). Nel Medioevo quest’olio era molto richiesto dai mercanti veneziani,
che l’esportavano in tutto il continente, e ancora oggi rappresenta un
patrimonio per la storia, la tradizione culturale e commerciale della zona.
La Dop è accompagnata dalle seguenti menzioni geografiche aggiuntive: “Castel
del Monte” (varietà: Coratina, min. 80%; colore: verde con riflessi gialli; profumo:
fruttato intenso; sapore: fruttato con sensazione media di amaro e piccante); “Bitonto”
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
(da sole o congiunte, Cima di Bitonto o Ogliarola Barese , min. 80%; colore: verdegiallo; profumo: fruttato medio; sapore: fruttato con sensazione di erbe fresche e
sentore leggero di amaro e piccante); “Murgia dei Trulli e delle Grotte” (varietà:
Cima di Mola, min. 50%; colore: giallo oro con riflessi verdi; profumo: fruttato
leggero; sapore: fruttato con sensazione di mandorle fresche e leggero sentore di
amaro e piccante).
Terra d’Otranto.
Così fu chiamato il Salento nel Medioevo, e l’olio qui prodotto, che prende quel
nome, ha una lunghissima tradizione alle spalle: infatti, già 8000 anni fa i primi
abitanti di queste terre coltivavano l’olivo, per non parlare delle copiose produzioni
di Messapi e Fenici, Greci e Romani.
L’area interessata comprende l’intera provincia di Lecce, e parte di quelle di Taranto
e Brindisi; le varietà presenti, da sole o congiunte, sono Cellina di Nardò e Ogliarola
(localmente denominata Ogliarola Leccese o Salentina), per un min. del 60%; colore:
verde o giallo con riflessi verdi; profumo: fruttato medio con leggera sensazione di
foglia; sapore: fruttato con leggera sensazione di piccante e di amaro.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
IL GALATEO
A tavola la sedia del signore era la più elevata, gli altri erano seduti su sgabelli. Si usavano
vassoi d’ argento e coppe d’ oro, arrivavano in tavola interi cinghiali arrostiti, frittate di
centinaia di uova, enormi brocche di vino, fruttiere ricolme. In pieno Medioevo apparve
la prima forchetta, ma soltanto a due denti. Per molto tempo, però, fu usata soltanto
dalle dame più nobili poiché per gli uomini era un segno di debolezza. Per pulirsi le mani
c’erano diversi metodi, a seconda della raffinatezza, dell’ambiente e dell’epoca: si potevano
strofinare con noncuranza sul mantello dei cani che girovagavano numerosi attendendo gli
ossi, o si potevano lavare con acqua di rose, o tergere su tovaglie di lino. Dimenticare di
offrire l’acqua di rose era considerato un’offesa, come del resto rifiutarla. C’era tutta una
serie di regole da seguire, nei banchetti, tra cui “non sputare sulla tovaglia, tenere le unghie
sempre “pulite”, e infine - dopo essersi soffiati il naso - pulirsi le dita non sulla tovaglia
ma nella propria veste. Sempre per pulirsi le mani, c’era anche un’altra soluzione, molto
diffusa e graditissima ai poveri: si mangiava su... tovaglie di pane, cioè sopra uno strato di
pasta sottile, rettangolare, una specie di “pizza”, sulla quale ogni convitato tagliava la carne,
lasciava colare il sugo, pulendosi poi le mani con un po’ di mollica intatta; quel che restava
di queste “tovaglie” veniva dato ai poveri che aspettavano alla porta.
PRANZO E CENA
Per tutto il Medioevo sulle mense il pane aveva il primo posto; al pane si accompagnava un
alquanto ridotto seguito di companatici, il che contribuiva ad accrescere ulteriormente
l’importanza del principale alimento. La nostra civiltà ha attribuito al pane il ruolo
di principale garante della sopravvivenza, di provvidenziale scudo contro la fame.
I “buoni uomini” dei Ceppi elargivano farina e pane agli indigenti, per prima cosa
garantivano ai beneficiati qualche giorno di minor preoccupazione: era così che si
assicurava la tranquillità in occasione delle ricorrenze e negli altri frangenti in cui
la fame di molti poteva rappresentare una fonte di grave turbamento. In questo
Medioevo, quando si parla di carestia si deve intendere carestia di cereali: di tutto
il resto si poteva anche fare a meno. Ma torniamo per ora al quotidiano; accanto
al pane gli altri alimenti consueti per l’uomo comune sono gli ortaggi (prodotti
spesso nell’orticello di proprietà, situato accanto
all’abitazione o subito fuori le mura di Prato,
piccoli fazzoletti di terra dai quali comunque si
cavavano insalate, cavoli, zucche, legumi, agli,
cipolle, porri e qualche frutto), il formaggio,
le uova ed anche la carne, piatto non certo
quotidiano per tutti ma neanche agognata rarità
per buona parte della popolazione.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
COSA SI BEVEVA A TAVOLA
Un notevole consumo di vino, diffuso in tutti gli strati della popolazione esso
costituiva “il modo di procurarsi calorie ad un prezzo spesso più conveniente
rispetto ad altri generi” particolarmente per i meno abbienti. Questi si
accontentavano del vino locale, di bassa gradazione e bevuto spesso annacquato.
Il vino nel Medioevo
In Italia l’arte della viticoltura giunse inizialmente in Sicilia con i colonizzatori
Egeo-Micenei, quasi quattromila anni fa e da lì si diffuse alle coste meridionali della
Penisola. In seguito, intorno al 1000 a.C., la viticoltura fu portata al centro e al
nord, in particolare nell’attuale regione Toscana, grazie al forte impulso dato dagli
Etruschi. Le popolazioni italiche comunque coltivavano la vite e facevano il vino
già prima del 2000 a.C., sia pure in maniera molto rudimentale, dal momento che
il terreno e il clima erano i più adatti per questo genere di coltivazioni: non a caso
‘Enotria’ (Oenotria tellus) è l’antico nome della Penisola.Furono gli Enotri, stirpe che
occupava la parte meridionale dell’Italia, in particolare le attuali regioni di Basilicata
e Calabria, a creare le basi tecniche della nostra viti-enologia.
Molti dei vitigni diventati famosi in Italia furono importati dalla Grecia, come la
Malvasia, ottenuto specialmente dalle uve bianche, il Greco, anch’esso ricavato dalle
uve bianche dal caratteristico colore grigio-ambrato e l’Aglianico, dal caratteristico
profumo di fragola. In epoca successiva ai romani, forse più di ogni altro popolo
precedente, fu riconosciuto il merito di aver diffuso la viticoltura e soprattutto di aver
affinato i metodi enologici, al punto tale che alcuni loro risultati non furono eguagliati
fino al XVII-XVIII secolo. Con l’espansione dell’Impero romano, infatti, nacquero i
vini del Reno, della Mosella, della Gallia, ovvero gli antenati degli attuali Bordeaux,
Bourgogne, e Champagne. Il legionario romano aveva come ordine quello, al termine
della conquista, di impiantare vigneti e di insegnare alle popolazioni indigene la
tecnica della viti-enologia. In questo modo col tempo la coltivazione della vite si
diffuse in Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e nord Africa.Tra i più famosi
vini del Medioevo si possono citare quelli del nord Italia, dell’Istria, i triestini Ribolla
(dal latino rubeolus, rossastro, anche se è diffusa, soprattutto nella zona di Udine, una
varietà gialla che dà un vino bianco, leggero e fresco), Terrano (di color rosso carico,
con profumo di lampone, frizzante e asprigno) e Malvasia; i vini veronesi, la Vernazza
bresciana ed i vini della Valtellina. In Liguria era già conosciuto il vino delle Cinque
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
terre ed erano molto stimati anche i vini del bolognese, del modenese e dell’attuale
Romagna in genere. In Toscana vi erano il Trebbiano (le cui denominazione risale al
XIV secolo e indicava un vitigno che dava, com’è ancora oggi, un’uva bianca di color
giallo-verdastro, usata per la preparazione di numerosi vini), la Malvasia, l’Aleatico,
originario della Toscana ma oggi diffuso anche nel Lazio e in Puglia, il Sangiovese,
vitigno famoso per la produzione di celebri vini come il Chianti o il Brunello di
Montalcino, la Vernaccia (da Vernaccia, forma antica di Vernazza da dove proviene,
coltivato anche in Sardegna: da questo vitigno si ricavano sia vini bianchi secchi,
specialmente in Toscana, sia vini liquorosi e dolci soprattutto in Sardegna) di San
Gimignano ed i vini di Montepulciano. Particolarmente apprezzati anche i Moscati,
dolci e piacevoli, e le Malvasie di Lipari, per quanto riguarda le isole tirreniche
dell’arcipelago delle Eolie.
Naturalmente è facile ora comprendere come sia stato possibile che in breve la fama
dei vini toscani sia arrivata all’Inghilterra, alla Francia - dove da sempre lottano per
un primato incontrastato dei vini- e alla Spagna. Dalla Spagna in particolare la vite
fu portata nel nuovo mondo, dove solo da pochi anni si cerca di darne un carattere e
una sua dignità. Del resto il vino è una bevanda propria dell’Europa e in particolare
dell’Italia dove molti documenti riportano quanto fosse richiesto e apprezzato da
tempo immemorabile il vino italiano. Molti sono stati infatti anche i poeti che hanno
lasciato la loro testimonianza, scrivendo sonetti “d’amore” per il vino, in epoca
medievale, moderna e contemporanea, in Italia come in Europa.
 
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
Per fare zanzarelli
Note
 In questa minestra, che ricorda i passatelli romagnoli
quanto ad ingredienti, le proporzioni non sono
fondamentali. The Medieval kitchen suggerisce,
per 2 litri di brodo, 8 uova, 200 g parmigiano, 80 g
di pangrattato e alcuni pistilli di zafferano. Queste
proporzioni danno una minestra eccellente.
 Lasciare lo zafferano in infusione nel brodo caldo
per almeno 10 minuti. Riportare il brodo a bollore.
aggiungere il composto di uova e formaggio e mescolare
energicamente. Servire le spezie a parte.
 Spezie: 1/2 cucchiaino ciascuno di noce moscata e
cardamomo, 1/8 di cucchiaino ciascuno di pepe nero
e cannella (si intende spezie in polvere). Queste spezie
sono anche eccellenti su una pasta al burro.
Per fare pollastro arrosto
Per fare pollastro arrosto si vuole cocere arrosto; et
quando è cotto togli [aggiungi] sucho di pomaranci
[arance], overo di bono agresto con acqua rosata,
zuccharo et cannella, et mitti il pollastro in un piattello;
et dapoi gettavi tal mescolanza di sopra et mandalo ad
tavola.
Note
 Arrostite il pollo secondo la vostra ricetta abituale,
l’unica accortezza è di bagnarlo frequentemente
durante la cottura con i grassi rilasciati dalla carne.
 Per la salsa: agresto è il succo di uva acerba che si può
sostituire con del succo di limone o con dell’aceto delicato,
entrambi allungati con dell’acqua, oppure con del succo di mela verde. Se si usano le arance, la
preferenza è per quelle amare (altrimenti aggiungere del succo di limone a del succo di arance
dolci). Questa salsa rimane ovviamente “liquida” perché non prevede alcun addensante.
 Qualora aveste difficoltà a trovare l’acqua di petali di rose , provate a chiedere al vostro pasticcere.
 Le proporzioni di agro e di dolce sono soggettive; io suggerisco di andarci veramente piano
sia con lo zucchero sia con la cannella: un pizzico di zucchero e una puntina di cannella
potrebbero bastare, per iniziare.
 La ricetta di Martino non prevede grassi. Tuttavia, allontanandosi dal testo letterale, si
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
potrebbe anche arrostire il pollo con del burro (sollevare la pelle dal collo e ungere con
abbondante burro), a cottura ultima aggiungete dell’agresto al fondo di cottura, bollite il
sughetto per ridurlo un po’ ed aggiungete la cannella e l’essenza di rose.
Capretto arrosto in sapore
Piglia un quarto di capretto et concialo molto bene como vole essere arrosto, et inlardalo
et ponevi per dentro assai aglio in spichi mondate a modo se volesci impilottare o irlandare
[come se volessi lardellare la carne del capretto con spicchi d’aglio]. Dapoi togli [aggiungi]
de bono agresto, doi [due] rosci d’ova, doi spichi d’aglio ben piste, un pocho di zafrano, un
pocho di pepe, et un pocho di brodo grasso, et mescola tutte queste cose inseme et ponile
in un baso [vaso] sotto il capretto quando s’arroste, et bagnalo qualche volta con questo
tal sapore. Et quando è cotto poni il quarto del
capretto in un piatto et ponivi di sopra il ditto
sapore et un pocho di petrosillo [prezzemolo]
battuto menuto. Et questo quarto di capretto
vole essere ben cotto e magnato caldo caldo.
Note
 Io ho usato un cosciotto di agnello (con l’osso)
di circa 2.5 kg (basta per 6 persone).
 Lardellatelo e inseriteci abbondante aglio.
Spennelatelo d’olio, pepate abbondantemente
e salate. Arrostitelo per 15 minuti a 230° C,
diminuite poi a 190° C e continuate la cottura
calcolando 12 minuti per ogni 500 grammi
per una carne al sangue (60° C temperatura
interna) oppure 15 minuti per una carne media
(65° C temperatura interna). Bagnatelo con il suo fondo dopo i primi 30 minuti e poi ogni
15 minuti. Un consiglio: l’agnello è come il roast beef: cuocetelo troppo e lo rovinate.
Quando è cotto, lasciatelo riposare per circa 30 minuti (coperto da alluminio, non in forno).
Il riposo è essenziale perché la carne si rilassi: questo facilita poi l’affettarla e migliora la
consistenza.
 Preparate nel frattempo la salsa: riscaldate 200 ml circa di brodo, aggiungete pochi pistilli
(o mezza bustina) di zafferano e lasciate riposare per 10 minuti, a fuoco spento. Sbattete 4
tuorli con 100 ml di agresto, sale, pepe e 2 spicchi d’aglio tritato. Gradatamente versate il
brodo sul composto di tuorli ed agresto, mescolando. Fate cuocere la salsa a bagno maria
fino a che si sia addensata un po’, mescolando spesso. Incorporate del prezzemolo tritato. Si
può anche aggiungete 1 cucchiaino di farina alla salsa per renderla più densa, stemperandola
bene affinchè non si formino grumi.
 Affettate il cosciotto e passare la salsa a parte
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
Torta bianca
Piglia una librat meza di bono cascio frescho, et taglialo
menuto, et pistalo molto bene, et piglia dodici o quindici
albume o bianchi d’ova, et macinali [mischiali] molto bene
con questo cascio, agiongendovi meza libra di zuccharo,
et meza oncia di zenzevero del più biancho che possi
havere, similemente meza libra di strutto di porcho bello
et biancho, o in loco di strutto altretanto botiro bono et
frescho, item [similmente] de lo lacte competentemente,
quanto basti, che serà assai un terzo di bocchale. Poi farrai
la pasta overo crosta in la padella, sottile come vole essere,
et mectiraila a cocere dandoli il focho a bell’agio di sotto
et di sopra; et farai che sia di sopra un pocho colorita per el caldo del focho; et quando ti
pare cotta, cacciala fore de la padella, et di sopra vi metterai del zuccharo fino et di bona
acqua rosata.
Note
Questa dolce è di fatto una “cheesecake” ma non ha nulla a che fare con quelle
pesantissime torte a base di Philadelphia, alte 10 cm e servire gelate da frigo. La versione
di Maestro Martino, delicatamente speziata allo zenzero e leggera, è veramente da
provare.
Questa è la mia interpretazione: preparate una pasta brisè dolce con la quale possiate
foderare una tortiera di 25 cm. Io ho usato: 200 g di farina, 160 g di burro, 30 g
di zucchero a velo, 1 pizzico di sale, acqua fredda q.b. Cuocetela in bianco e fatela
raffreddare.
Ripieno: montate 125 g di burro con 125 g di zucchero, 1 cucchiaino scarso di zenzero
in polvere e un pizzico di sale. Aggiungete 300 g di formaggio cremoso e mescolate
– io ho usato del fromage fraise, un formaggio francese leggermente acidulo e non
eccessivamente grasso. Un’alternativa potrebbe essere quella di usare dei fiocchi di
latte passati al mixer (aggiungere della panna acida o del succo di limone). Sbattete
delicatamente 6 albumi, giusto per romperli, ed aggiungeteli alla crema bianca. Il latte
menzionato da Martino potrebbe non essere necessario: il composto deve infatti risultare
cremoso ma non liquido. Mescolate il tutto delicatamente e versatelo nel guscio. Cuocete
a 170° per circa 30-40 minuti, coprendo la torta a metà cottura con della carta oleata
se rischia di scurirsi eccessivamente. Probabilmente la torta si gonfierà in forno per poi
sgonfiarsi raffreddandosi. Tiratela fuori dal forno, spruzzatela con 1 cucchiaio di essenza
di rosa (in mancanza usate l’acqua di fiori d’arancio) e spolveratela con zucchero.
Va gustata tiepida.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
IL GIOCO NEL MEDIOEVO
I bambini nel Medioevo si accontentavano di giocare con
ciottoli e conchiglie, che utilizzavano alla pari delle nostre
biglie, oppure con ciuffi di lino o di canapa con i quali
le bambine costruivano semplici bambole. Gli artigiani
realizzavano fischietti di terracotta a forma d’uccello e
uccelli animati in metallo, fabbricavano trottole e bambole con argilla o legno. A proposito
di bambole …  ne esistevano di differenti tipi, ognuna adatta ad una età diversa. Quelle
destinate ai neonati erano modellate con l’argilla, riempite di biglie di terracotta ed usate
come sonagli. In Italia inoltre si hanno notizie di bambole di legno a grandezza naturale,
più manichini che balocchi, destinate a comparire nelle fiere. Probabilmente il regalo più
apprezzato dai bambini era l’animale da compagnia; alle bambine, venivano generalmente
regalati scoiattoli addomesticati o uccelli in gabbia mentre i maschietti sognavano di
possedere un falco, i più fortunati ( ad esempio i figli dei castellani ) addirittura giocavano
con le scimmie. Il giocattolo veniva comunque sempre utilizzato per indirizzare chi li usava
alla futura professione o mestiere. A bambini si regalavano piccole lance, archi in miniatura,
spade in legno e sempre il cavallo-bastone che si cavalcava correndo. Al contrario, alle
bambine erano considerati come classici regali la canocchia in miniatura ed il secchio per
attingere l’acqua. A chi viveva nelle campagne venivano invece regalati trampoli o carretti
in legno.
GLI HOBBIES
Nel Medioevo nell’ Europa settentrionale, oltre alle zone coltivate, si trovavano molte foreste
ampie che costituivano una fonte di risorse quasi inesauribile, prima fra tutte la legna. La
foresta era anche piena di animali veloci che venivano cacciati come selvaggina più o meno
pregiata, d’altronde l’ approvvigionamento di carne era ottenuto soprattutto dalla caccia
Così la caccia si trasformò progressivamente in uno sport per pochi riservato a quanti
potevano affrontarne le spese, quindi cessò di rappresentare il naturale sistema di procurarsi
il cibo da parte degli abitanti delle campagne. Ricordiamo che Federico II amava andare a
caccia con il falcone. Anche la pesca era molto importante per la popolazione medioevale,
la preparazione di pesci salati e affumicati costituivano un ottimo guadagno per pescatori e
commercianti. Sulla terra ferma si pescava in fiumi e vivai appositamente realizzati. Il pesce
è sempre stato una sorpresa perchè, anche se le città facevano molti sforzi per organizzare il
mercato, la pesca restava pur sempre incerta, la freschezza precaria e i trasporti difficili. Alla
chiusura del mercato del Venerdì, i poveri recuperavano i pesci invenduti che gli venivano
lanciati dai proprietari dei banchi che per legge glielo dovevano dare per evitare che al
prossimo mercato potesse essere rivenduto il pesce avanzato al mercato precedente.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
NEL MEDIOEVO LE ATTIVITÀ GINNICHE RIPRENDONO
DOPO UN LUNGO ESILIO.NEL XIII SECOLO NASCE IL
TERMINE “SPORT”
Nei confronti della civiltà romana e pagana, non é che il cristianesimo potesse
esaltare l’ideale sportivo. Ciò sembra abbastanza naturale considerato che i cristiani
ai trionfi corporali preferivano le riunioni di carattere mistico all’ombra e al chiuso
delle catacombe. Tutto questo benché nel verbo di Cristo e nelle parole dei suoi
apostoli non siano contenute espressioni di condanna per Olimpia e i suoi Giochi. 
LE GIOSTRE DEI CAVALIERI
Se questo avveniva in un periodo di ascetismo imperante, c’è peraltro da rivedere e da
rivalutare il Medio Evo, interpretato dal Rinascimento e dall’Illuminismo come il secolo
buio. Viceversa, proprio nel Medio Evo assistiamo alla rinascita dello spirito sportivo,
proprio così. Difatti, attraverso le invasioni dei popoli germanici il sangue romano trovò
nuova linfa. Ne trassero giovamento un po’ tutte le attività, dall’agricoltura alla letteratura e
all’arte. Per l’appunto attorno al Mille, in epoca carolingia, da Carlo Magno, re dei Franchi,
sorse una nuova civiltà dalla fusione tra il vecchio e il nuovo: anche il Cristianesimo della
prima ora uscì dalle tenebre. Si diffusero le saghe dei popoli nordici che proponevano
immagini di storia e sport. Del resto cosa rappresentavano le giostre dei cavalieri se non un
momento di autentico agonismo sportivo? E poi i duelli che catalizzarono l’interesse di tutti
per tutto il Medio Evo? E’ vero che non riapparvero gli spettacoli atletici e la ginnastica
educativa, é però accertato che l’istituzione cavalleresca riuscì in una forma completa a far
prosperare nell’età di mezzo l’idea olimpica e a trasmetterla ai posteri. Difatti la cavalleria,
nata proprio negli anni attorno al Mille e consolidatasi in un lungo periodo che coincise con
le Crociate, mantenne intatti i caratteri peculiari dell’olimpismo greco. 
Come per gli antichi Giochi d’Olimpia, anche la vita cavalleresca non era certamente
aperta a ogni uomo; cosi come gli Elleni escludevano dallo stadio e dall’ippodromo
chi non poteva vantare purezza di sangue e sicura patente di nobiltà, allo stesso modo
l’educazione e la pratica cavalleresca comprendevano soltanto le alte sfere della società
medievale. L’adolescente greco si preparava nel ginnasio ai Giochi atletici e alle future
attività politiche, il cavaliere del Medio Evo, insieme a un’educazione preminentemente
sportiva (va ricordato a questo riguardo che delle sette perfezioni cavalleresche, cinque si
riferivano all’abilità nell’equitazione, nel nuoto, nel pugilato, nel tiro e nella caccia) senza
trascurare gli studi tecnici, scientifici e letterari.
Il cavaliere, infatti, voleva mostrare il proprio valore e la propria forza non solo in battaglia
ma anche nel torneo, il “grande sport del Medio Evo”, in cui - ispirato sempre dal sentimento
dell’onore - si cimentava con rivali degni di lui. Senz’altro minor rilievo hanno avuto invece
la quintana, gioco di origine cavalleresca che costituì il maggior divertimento del vassallo
nel giorno del proprio matrimonio, la lotta, il salto in lungo e in alto, il lancio della pietra,
uno sport praticato ancora al giorno d’oggi nel sud della Spagna.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
GIOSTRE E TORNEI
Le prime fonti riguardanti tornei cavallereschi risalgono alla Francia settentrionale, ma
ben presto questi giochi si diffusero in Europa. All’ inizio si trattava di combattimenti
per addestrarsi alla guerra. Infatti più che a uccidere l’avversario si mirava a farlo
prigioniero.
Gli scontri si svolgevano su grandi spazi, in aperta campagna, ed erano combattimenti
con scudi, lance, spade, pugnali e per fino a mani nude. La violenza degli scontri
erano vietati dalla chiesa, che nel 1130 proibì i tornei perché erano troppo cruenti.
Ma non durò molto perché nel 1316 i tornei si erano affermati come forma di
spettacolo e di intrattenimento, che anche la chiesa ne prese atto e ritirò il divieto. I
tornei erano scontri che mettevano l’una contro l’altra due squadre, che tra loro ci
poteva essere un legame politico, etnico o regionale. Il risultato erano mischie i risse
furibonde. Con il passare del tempo, le regole divennero più rigide e lo scontro passò
dalle campagne alla città, dove furono creati appositi recinti. Accanto ai tornei di
mischia, crebbe il successo delle giostre, che erano sfide tra soli due contendenti. I
cavalieri galoppavano uno contro l’altro in corsie parallele, con le lance saldamente
fissate sotto l’ascella destra e in un apposito appendice dell’armatura, tentando di
colpirsi per disarcionarsi. Chi cadeva da cavallo perdeva e il vincitore passava il turno.
Non erano validi i colpi all’elmo, e le lance erano realizzate in modo da spezzarsi
nell’impatto. I premi erano le armi e il cavallo del vinto, ma anche oggetti preziosi e
talvolta il cuore di una bella principessa.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
MISTERI E LEGGENDE MEDIEVALI
Il Medioevo è un crocevia di miti, leggende, tradizioni sacre e profane. In questa sezione
affronteremo alcuni tra i principali enigmi che ancora oggi suscitano in noi notevole
interesse e curiosità. Parleremo della Sacra Sindone, il sudario che la tradizione vuole
utilizzato per avvolgere il corpo di Gesù; del Sacro Graal, la coppa in cui Giuseppe
d’Arimatea avrebbe raccolto il Sangue di Cristo dopo la crocifissione; dell’Ordine
dei poveri cavalieri di Cristo, i Templari; di San Galgano e la leggenda della spada
della Roccia; ma anche di leggende e tradizioni più o meno note. Passiamo insieme
in rassegna le persone, i luoghi, i fatti, le grandi imprese pronti a farci trasportare in
un mondo affascinante e misterioso.
“LU LAURU”
Le persone anziane del mio paese raccontano
che un tempo esisteva un folletto chiamato
“Lauru” molto dispettoso. La notte si divertiva
a saltare sulle persone mentre dormivano e
non le faceva respirare, oppure nascondeva
delle cose per farle impazzire il giorno dopo
e quando si insediava in una casa ogni notte
era un tormento per i dispetti che faceva.
Le nonne raccontavano che una famiglia
per la disperazione decise di cambiare casa
e quartiere. Trasportarono tutto nella casa nuova, la padrona si accorse che alla
vecchia aveva dimenticato la scopa. Tutto ad un tratto sentì una voce soffocata che
sussurrò “Te la vado a
prendere io” era il Lauru che gli aveva seguiti. Mio nonno da giovane aveva un
cavallo bellissimo, alto e snello e quasi tutte le notti alla criniera venivano fatte tante
piccole trecce. Quando il nonno per ragioni di salute dovette vendere il cavallo nella
stalla vennero depositati dei vasi di terra cotta, per dispetto forse, perché al Lauru
era simpatico il cavallo , trovarono tutti i vasi rotti. Io non so quanto ci sia di vero in
queste storielle ma qualcuna, mia nonna dice di averla vissuta.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
Le origini del teatro medievale italiano
Vanno da ricondurre alle rappresentazioni sacre
esclusivamente nelle chiese fino alle rappresentazioni
profane nelle piazze delle maggiori città d’Europa.
In questi ultimi decenni le idee sulla natura del teatro
si sono modificate, passando da una concezione
che dava la massima importanza al testo letterario,
ad una molto più larga ed organica che tiene di
tutti gli elementi di cui si compone lo spettacolo.
Da qui le ricerche si sono indirizzate verso forme
spettacolari come cortei, processioni e feste popolari in
genere. Pertanto le basi di questo nuovo orientamento
prendono le mosse dalle feste e usanze popolari,
legando l’etnografia alla storia del teatro.
La nuova concezione si può ricondurre ad alcuni
principi fondamentali:
- tutte le forme drammatiche da cui si sviluppa il nostro teatro riconoscono la loro prima e
unitaria origine dal rito: nascono come momenti essenziali e più significativi di cerimonie
religiose; . Anche se questa frenesia gioiosa può avere la funzione psicologica, etica e
sociale di un momentaneo allentamento nei vincoli di una rigida morale, il suo carattere
fondamentale è puramente e sacralmente propiziatorio.
I riti nei quali viene a configurarsi ed atteggi- Anche la commedia ha avuto all’origine
carattere sacro, anche se è avvenuta nel mondo ritualistico della religione pagana;
- Questo “teatro profano” antecedente al teatro cristiano, continua a vivere parallelamente
ad esso e si prolunga fino al giorno d’oggi: nel suo grembo nasce e prospera la stagione
teatrale in tutte le sue forme, e non solo per le classi popolari.
Il nostro teatro ha la sua culla nella vita tradizionale del nostro popolo, e particolarmente nelle
grandi feste annuali e stagionali di rinnovamento e di propiziazione a cui partecipa l’intera
società, dagli strati più umili agli aristocratici, anche se con forme sempre più differenziate.
Nelle feste come il Capodanno, il Carnevale, il Calendimaggio è chiara che si è conservata
la derivazione dagli antichi riti pagani; altre come il Natale, l’Epifania, la Pasqua, dove è
altrettanto palese l’origine cristiana, hanno avuto e tuttora conservano un carattere comune
universale: sono feste di rinnovamento, di propiziazione per il nuovo ciclo temporale (anno
o stagione) a cui danno inizio.
La società ha bisogno di rinnovarsi ad ogni ritorno naturale del ciclo delle stagioni: rinnovarsi
- eliminando tutto il grave cumulo di dolori, malattie, disgrazie, peccati addensatosi durante
l’anno che muore - per poi assicurarsi, con tutti i mezzi che ogni diversa concezione magica
e religiosa suggerisce, un felice svolgimento del tempo nuovo che arriva.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
IL Carnevale
Nella nostra società attuale la più grande di tali feste
è stata il Carnevale, anche se ora questo suo significato
sfugge alla coscienza dei più.
Questa festa, è il principio magico secondo il quale
l’intensa manifestazione di gioia da parte di tutta la
comunità provoca e assicura il prospero svolgersi degli avvenimenti, l’abbondanza
dei prodotti e maggior benessere arsi questo principio magico sono dunque ispirati
al tripudio.
Essi si compongono e si svolgono secondo una sequenza che regola i seguenti elementi:
- la processione
- il canto lirico corale
- la musica
- la danza
- la forma drammatica vera e propria
Lo scherzo, la satira la burla sono d’obbligo: e tanto più gli scherzi sono arditi e sguaiati,
e le satire pungenti, tanto più hanno valore e riescono a far ridere la collettività.
Non si tratta quindi di semplici passatempi, burle e scenette di gente frivola, ma di
una cosa profondamente seria, da cui dipende la fortuna, l’abbondanza, la felicità
dell’intero gruppo sociale.
I PERSONAGGI CHE AGISCONO NEL Carnevale
Il primo posto spetta naturalmente alla figura centrale che personifica
la festa: il Carnevale.
Con il suo sguardo fisso e brillo, col suo volto paffuto, col suo sorriso
ambiguo egli sembra voler nascondere l’antica origine e la sua vera
natura. Nelle sue diverse sembianze di uomo, più o meno ridicolmente
mascherato, o di fantoccio gigantesco il Carnevale è il protagonista della
lunga sequenza comica in cui si atteggia la cerimonia propiziatrice del
nuovo anno. Né ci meraviglieremo di trovare in sostituzione o insieme
un orso o un asino, o “l’omo selvatico” o il “vecchio”. Accanto a lui,
anzi di fronte a lui, e comunque facente coppia con lui prende
posto il personaggio femminile: la Quaresima. Dall’accoppiata
nasce la forma più elementare del dramma: il contrasto tra
Carnevale e Quaresima. Insieme a loro troviamo sempre il corteo
delle Maschere che sono diavoli o anime sotterranee.
La prima funzione a cui e chiamato il complesso rituale
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Federico II a Brindisi
della festa, come abbiamo accennato, è
l’eliminazione del male. Tale parte del rito
assume forma drammatica con una serie
di episodi che si conclude con la morte di
Carnevale. Dalle compagnie mascherate viene
infatti rappresentato il trasporto funebre del
Carnevale, mentre si canta una parodia di
pianto funebre e si imita in tutti i particolari
una vera e propria cerimonia di esequie: al
trasporto segue la morte per bruciamento,
annegamento, fucilazione, insomma per uccisione; Carnevale é il capro espiatorio
che deve essere soppresso perché il male venga eliminato: la scena rappresenta
dunque il punto centrale del rito purificatorio.
Ma prima di morire Carnevale fa testamento, e anche questa fase del rito dà luogo
ad una specifica forma drammatica conosciuta appunto col nome di “testamento”.
In tale forma di drammaturgia il Carnevale denuncia i vizi e i mali dei concittadini
depurando la collettività dei suoi peccati (funzione
catartica delle manifestazioni collettive).
Tuttavia non basta eliminare il male vecchio: é
necessario assicurarsi il bene nuovo. Tra le forme
drammatiche originate dai riti di propiziazione, le
più importanti sono quelle che più specificatamente si
riconnettono coi riti di fecondità. Uno degli elementi
essenziali di tali feste è costituito dall’annuncio
pubblico dei fidanzamenti poiché una coppia che si
unisce produrrà per analogia la fertilità del suolo e
l’abbondanza delle messi.
LE FORME
RITO
SPETTACOLARI
DEL
Quando il rito assume forme spettacolari si compone di vari elementi che si ritrovano
ben riconoscibili nelle diverse feste da cui il teatro si è generato.
Questi elementi sono:
- Processione
- Danza
- Musica
- Dramma
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Federico II a Brindisi
LA PROCESSIONE
Evidenti sono i valori ritualistici del corteo processionale. Il giro che la processione
compie ha la precisa funzione di delimitare lo spazio sacro, il circolo magico. I
partecipanti vi diventano attori, ciascuno vestito in un modo particolare. Di regola
lungo il percorso i partecipanti al corteo cantano e talora danzano. Ritmico è il
procedere scandito dai tamburi, da altri strumenti o dal passo di danza o di marcia.
Altre componenti sono il trasporto dell’ immagine della divinità, a volte accompagnata
o sostituita da bare, macchine, statue simboliche, trionfi: intorno a queste sta il centro
ideale della processione. Il corteo delle compagnie mascherate è uno degli elementi
principali delle feste di Carnevale. In particolare la processione che l’ultimo giorno
di baldoria simula il corteo funebre culminante nella scena di morte del Carnevale.
Significativo è il getto delle arance o dei confetti, seguito dai carri dei gruppi mascherati.
L’arancio coi suoi numerosi semi e dal colore di fuoco è frutto simbolico di fecondità;
spesso sono i maschi che lanciano arance alle femmine a sottolineare una simbolica
inseminazione, altre volte sono battaglie in ricordo di quelle gare e lotte che
caratterizzano la scelta nei riti di fertilità. Le relazioni tra processione e dramma
sono molteplici, cosicché talvolta il corteo introduce direttamente all’azione scenica.
Le modalità attraverso le quali si attua la processione drammatica possono essere:
- processioni con trasporto di gruppi statuari che rappresentano determinati
episodi;
- processioni con gruppi di uomini che formano insieme quadri plastici;
- processioni con gruppi che intonano canti lirici in coro;
- processioni con gruppi che eseguono brevi scene sia lungo il percorso stando sui
carri, sia nelle soste in luoghi predisposti.
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La danza
Occorre anzitutto insistere sul valore propiziatorio della danza nei riti di Capodanno
e di Primavera. La danza, nelle feste in cui compare, ha il preciso scopo simbolico
di propiziare la fertilità del suolo, di favorire l’abbondanza delle messi: più alti sono
i salti di danza e più alto crescerà il grano. Oltre a quelle di corteggiamento eseguite
in coppia, si hanno anche le danze in tondo che possono costituire il motivo della
gara proprio, come già detto, delle feste di maggio.
Il più caratteristico ballo di maggio o dei riti primaverili è la danza delle Spade
o dei Bastoni, seppur compaia anche in certi riti a carattere più agricolo.
La descrizione più precisa del ballo tondo o ruota - quale si eseguiva nell’Italia del
XIV secolo - si riferisce alla festa di San Giovanni per la quale si eseguivano anche
Tarantelle e alle tarantate.
Frequenti e stretti sono anche i legami tra danza e corteo. Nelle processioni
carnevalesche la tradizione dei gruppi mascherati che si fermano regolarmente e
danzano è il residuo di un costume antico che va sparendo.
Nelle feste di maggio italiane non c’è la forma così tipicamente francese del
Trimazos, il camminar ballando, ma che i balli integrassero i giri di questua e i cortei
è testimoniato dalla tradizione tuttora vivente in molti luoghi.
Nelle feste di Carnevale quanto nei Maggi drammatici la danza conclude la
rappresentazione e un personaggio la preannuncia.
Il fatto che, insieme con gli attori, ballano anche gli spettatori è una riprova della
partecipazione unitaria del popolo allo spettacolo.
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Federico II a Brindisi
La musica La musica è unita alla processione col suono di tamburi, flauti, trombe ed altri strumenti
che servono a scandire il ritmo o ravvivare il passo; la musica si accompagna sia al canto
lirico sia a quello narrativo, alla danza e al dramma.
Particolarmente va messa in luce la relazione tra musica e dramma: il teatro italiano
medievale e rinascimentale, sia sacro che profano, fu sempre unito alla musica. Quando
ad un certo punto la sacra rappresentazione e poi la commedia colto lasciarono il
canto per la recitazione e poi il verso per la prosa, la musica si rifugiò negli intermezzi,
precedendo e concludendo la rappresentazione ma senza abbandonare del tutto lo
spettacolo. Il canto e la musica legano tra loro i personaggi, i racconti, gli avvenimenti e
le danze.
Il dramma
Un’azione eseguita da più personalità, da attori che interpretano diversi personaggi è
il tema dell’azione drammatica, sempre in più o meno stretto rapporto col rito di cui è
parte integrante. Il rito è anche culla del teatro in tutte le sue forme; ciò vuol dire che
ogni rito di qualche importanza - i contrasti tra Carnevale e Quaresima, le Befanate,
i Testamenti, processo e condanna del Carnevale, la Giudiata, i Bruscelli, i Maggi, le
danze armate e le moresche, le zingaresche - ha condotto al vero e proprio dramma.
PAOLINO E POLLA
Una commedia per la corte di Federico II
Paolino e Polla, questo è il titolo di una commedia che Riccardo da Venosa scrisse in latino,
per la corte di Federico.
La vicenda, apparentemente semplice nella sua trama si complica di scena in scena in
parossismo di situazioni grottesche.
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Federico II a Brindisi
La farsa comincia con la visita della vecchi Polla all’avvocato Fulcone, al quale vuole affidare
l’ incarico di portare a conclusione le sue nozze con Paolino. Ma le è impossibile entrare
subito in argomenti.
Sono necessari trecento versi prima che Polla inviti l’ avvocato a farle da intermediario con
Paolino.
Ma Fulcone che ha il vago sospetto d’essere preso in giro, vuol vederci chiaro. Qual è la
dote della sposa? Pollo enumera: sei conocchie di filato, cento braccia di panno, sette galline
con un gallo. Ma a sua volta polla pretende una controdote di sandali, borse e cinghie di
cuoio.
Fulcone accetta l’incarico e decide di parlarne con Paolino.
Anche in questo caso il discorso ha un avvio evasivo e finiscono per parlare di tutto fuorché
dell’ argomento principale: le nozze.
Fulcone, per dimostrare se stesso che è sveglio lo prende a schiaffi.
Ma il vecchio reagisce bastonandolo.
Paolino decide per il si.
Fulcone allora lo accompagna a casa, ma al ritorno è aggredito alcuni cani, finisce in una
fossa, vicino la casa di un contadino, che era stato derubato durante la notte, così lo trascina
in tribunale accusandolo di furto.
Fulcone si appella al principe è viene assolto, e conduce a buon fine le nozze dei due
vecchietti.
GLI SPETTACOLI
I “contrasti” delle figlie in cerca di marito
Tra le opere rappresentate nel tredicesimo secolo figurano
acrobati, prestigiatori, saltimbanchi, ciarlatani che vendono
intrugli contro le malattie, canta storie e giullari: questi i
protagonisti degli spettacoli medioevali che si tenevano sulle
piazze e nelle corti su palcoscenici improvvisati.
Il “Contrasto delle due cognate”.
La diceria delle due comari ubriache e i contrasti della
figlia che vuole marito, un tema giunto fino ai giorni nostri
con le canzonette. In genere si trattava di spettacoli sboccati,
adatti ai palati per niente raffinati di quel tempo. Anche certe
ricorrenze di tipo militare diventavano spesso occasione di pubblici spettacoli. È il caso della
manifestazione che si svolgeva ogni anno a Venezia in piazza San Marco il mercoledì grasso
per ricordare la sconfitta che Andrea Dandolo, nel 1162, inflisse al patriarca di Aquileia
Ulderico, imprigionato con alcuni suoi uomini durante una scorreria nel territorio della
Repubblica. Ulderico ottenne la libertà, ma dovette impegnarsi a consegnare ogni anno al
doge di Venezia un grande toro, dodici maiali grassi e dodici enormi pani. In Inghilterra,
Francia e in Germania erano molto apprezzati gli spettacoli tenuti una volta l’ anno del
clero minuto, che col permesso della chiesa si burlava di vescovi e sacerdoti indossando abiti
da donna o paramenti sacri messi alla rovescia. Ad ogni buon conto i veri mattatori degli
spettacoli medioevali restano i giullari e i cantastorie.
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Brindisi nel Tempo
Federico II a Brindisi
LA VITA STUDENTESCA
In caso di bocciatura, vietato vendicarsi dei professori…..
Tremila a Oxford, seimila a Bologna,settemila a Parigi, questa la consistenza
numerica media degli studenti che frequentavano le più note università d’ Europa.
In quei tempi chiunque conoscesse il latino poteva andare all’ università o chi era in
grado di pagare lo stipendio dei professori.
Gli studi erano abbastanza severi e impegnativi e non sempre facili gli esami.
A Parigi all’ inizio dell’ anno scolastico, gli studenti dovevano giurare che non si
sarebbero dovuti vendicare dei professori in caso di bocciatura. Non si può dire che
la categoria studentesca godesse, nel medioevo di largo credito fra le popolazioni
delle città, universitarie: la sua turbolenza era fonte di continue preoccupazioni, le
risse all’ ordine del giorno. Generalmente i ragazzi vivevano in piccole comunità di
cinque, sei, dieci persone.
Gli svaghi preferiti erano: la corte alle ragazze all’ ora del passeggio o in chiesa, il
gioco a carte o a dadi. Sembra che le università più effervescenti fossero quelle di
Oxford e Parigi.
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Istituto Professionale di Stato per i
Servizi Alberghieri e della Ristorazione
BRINDISI
Alla realizzazione di questo lavoro molto ha contribuito sia la
collaborazione del consiglio di classe 1I, sia la determinazione, l’impegno
e la volontà degli alunni del corso.
Guidati dalla docente Giuseppina Lucia Sardelli e dall’esperto arch. Paolo
Capoccia gli studenti hanno stilato una ricerca storica sul Medioevo e
Federico II, attingendo tutta la relativa documentazione storica da testi e
da ricerche telematiche.
Il Dirigente Scolastico
Vladimiro Caliolo
Progetto relativo alle aree a rischio art. 9 CCNL comparto scuola 2002-2005
Progetto grafico Francesco Zarcone