IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI MAOMETTO E ISLAMISMO La penisola araba prima di Maometto Intorno al VII secolo dopo Cristo la penisola arabica era abitata da popolazioni molto diverse tra loro, che avevano però alcuni caratteri in comune ­­­­­> la lingua, l'ordinamento sociale (erano divisi in tribù) la religione politeista e il culto della Pietra Nera (che si trovava a La Mecca). Lo stato di cose fu completamente cambiato da Maometto che riuscì ad eliminare i culti pagani e a riunire tutte le tribù sotto una nuova religione monoteista: l'Islam. Maometto fino all'età di 20 anni era stato un mercante e aveva viaggiato molto in Siria e in Palestina. Secondo la tradizione, una notte, l'Arcangelo Gabriele gli rivelò che era stato scelto dal cielo e che d'ora in avanti avrebbe dovuto diffondere la nuova fede caratterizzata dalla sottomissione assoluta dell'uomo a Dio L'Islamismo, religione in cui non ci sono sacerdoti ne' sacramenti, è basata su 5 principi fondamentali: ● la professione di fede ● la preghiera quotidiana ● l'elemosina per i poveri ● il digiuno nel mese del ramadan ● l'obbligo di andare almeno una volta nella vita a La Mecca E' inoltre proibito consumare carne di maiale e bevande alcoliche. Maometto seppe trasformare completamente la comunità araba­­­> l'Arabia pre islamica, debole e frammentata, divenne con lui un'unica e grande comunità regolata dal Corano, le cui norme toccavano qualunque aspetto della vita umana, sociale e politica. Maometto, che aveva dovuto lasciare La Mecca il 16 Luglio 622 (data di partenza per il calcolo del tempo nei calendari musulmani) a causa dell'opposizione dei mercanti (che vedevano minacciati i loro commerci e la fede tradizionale), vi fa ritorno solo nel 630, ormai acclamato da tutta la comunità come "Il Profeta". IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI Muore nel 632, senza lasciare eredi e senza designare chi avrebbe dovuto essere il suo successore. Ciò fu causa di una divisione della comunità in due fazioni: da una parte i sunniti che volevano scegliere il capo della comunità per elezione in base al merito e dall'altra gli sciiti che volevano come capo della comunità un discendente del profeta. Questi contrasti durarono alcuni anni (ci fu un periodo di califfato) finché prevalse la posizione sunnita e la guida della società islamica passò sotto agli Omayyadi che trasferirono la capitale a Damasco. Contemporaneamente a questi eventi gli Arabi avevano iniziato una politica di espansione che li portò, in meno di un secolo, a formare un impero che andava dall'Oceano Atlantico (a Ovest) fino al bacino del Gange (ad Est). Come riuscirono in questa impresa? Sicuramente furono favoriti dalla debolezza dell'impero persiano e di quello bizantino, impegnati a farsi la guerra fra loro, e anche dal fatto che le popolazioni che vivevano sotto il controllo persiano e bizantino si arresero facilmente agli arabi che si dimostrarono tolleranti sotto molti aspetti: i sudditi non musulmani erano liberi di professare la propria fede (naturalmente se erano in regola con il pagamento delle tasse!). La fede islamica non venne mai imposta con la forza, ma fu progressivamente adottata dalle persone sia per il significato religioso, sia per il fatto che i convertiti non dovevano più pagare le tasse. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI EBRAISMO Religione ebraica, complesso delle credenze e della cultura degli Ebrei. È una delle più antiche religioni monoteistiche, dalla quale è derivato anche il cristianesimo e il cui nucleo originario risale alla credenza in un Dio nazionale, Yahweh, che stringe con il suo popolo un patto speciale. Probabilmente gli Ebrei avevano in origine una religione simile a quella dei popoli vicini; il monoteismo sorse gradualmente tra i gruppi che facevano capo ai profeti e si affermò definitivamente dopo l'esilio in Babilonia. Dal periodo del Secondo Tempio in poi (cioè a partire dal 6° sec. a.C.), la religione degli israeliti è detta più propriamente giudaismo. Il viaggio di Abramo Il primo uomo a essere chiamato "ebreo", in ebraico ivri, fu Abramo, il capostipite delle tre grandi religioni monoteistiche, patriarca della Bibbia. Ivri è un appellativo di origine incerta, ma che probabilmente va ricondotto al significato della parola ever, che in ebraico indica "altra parte", "sponda opposta" (del Giordano o dell'Eufrate). Così, il verbo avar significa "attraversare". Abramo è dunque simbolicamente colui che "sta dalla parte opposta". Questa connotazione in fondo racchiude l'essenza originaria dell'ebraismo. Abramo varcò infatti un confine geografico e materiale, abbandonando la terra in cui era nato per eseguire l'ordine divino che gli ingiungeva di recarsi lontano. Ma egli si lasciò alle spalle anche e soprattutto il paganesimo, il culto degli idoli, scegliendo di obbedire all'unico Dio, alla sua voce nascosta che non ha volto. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI 1. Una lunga storia L'ebraismo è la civiltà millenaria che prende le mosse dal cammino umano e spirituale di Abramo. Ha per suo codice di fede, ma anche di storia, la Bibbia ebraica, cioè l'Antico Testamento. L'ebraismo concepisce questo libro come dettato da Dio secondo diversi livelli di ispirazione. La Torah, cioè il Pentateuco, è il testo più vicino alla voce divina; seguono i Profeti e gli Scritti (o Agiografi). La Bibbia ha costituito per lunghi secoli il vero e proprio terreno di vita dell'ebraismo: non solo un libro di riferimento e nemmeno un codice di leggi da rispettare, bensì un autentico cosmo entro il quale situare l'esistenza. Gli Ebrei non sono una nazione, né soltanto gli adepti di una fede religiosa, né tanto meno una razza (come hanno creduto i persecutori dell'epoca moderna). Gli Ebrei sono un popolo, anche se dal destino molto particolare. Innanzitutto perché sono e sono sempre stati un popolo molto piccolo. All'inizio del 21° sec. non si contano più di dodici milioni di Ebrei in tutto il mondo, sparsi fra lo Stato d'Israele, l'America e gli altri continenti. Inoltre, questo popolo ha vissuto per circa duemila anni - dal 70 d.C., anno della distruzione del tempio a Gerusalemme da parte dell'Impero romano, fino al 1948, anno in cui rinacque lo Stato ebraico disperso fra le altre genti, in mezzo a culture, lingue e regimi diversi. Questo lungo fenomeno storico si chiama diaspora, che in greco significa "esilio" e "dispersione" al tempo stesso. La particolare circostanza storica, che segna così profondamente l'ebraismo, è determinata da due fattori. Il primo è di carattere strettamente militare e riguarda i metodi espansionisti dell'Impero romano, deciso a estirpare la presenza del riottoso popolo autoctono da una sperduta regione, la Palestina, conquistata con impreviste difficoltà. In questa regione, detta originariamente terra d'Israele o di Canaan, gli Ebrei, o Israeliti, vivevano da tempo immemorabile, secondo il racconto della Bibbia. L'altro fattore è, naturalmente, l'emergere in quegli stessi anni di una nuova fede, innestata sull'ebraismo: il cristianesimo. Se infatti i primi convertiti alla nuova fede furono proprio gli Ebrei, il popolo cui Gesù apparteneva, l'ebraismo non ha però accolto in massa questa rivoluzione religiosa, rimanendo invece fedele alla propria identità. Queste due ragioni stanno alla base di una storia millenaria fatta di emarginazione e di disprezzo nei confronti dell'ebraismo. Fra i suoi momenti salienti si annoverano i massacri delle comunità ebraiche in Germania sotto il pretesto della lotta agli infedeli propugnata dalla prima crociata del 1096; vi è poi la fondazione a Venezia nel 1516 del primo ghetto, che di fatto ufficializza una realtà secolare, quella cioè che vedeva l'ebraismo vivere in forma di piccole comunità all'interno dei nuclei urbani, spesso con molte restrizioni. Le comunità si configurano ben presto come nuclei autosufficienti, piccoli quartieri nei quali si trovano le strutture necessarie alla vita dell'ebraismo: sinagoga, bagno rituale, forno per cuocere le azzime, scuole. Un altro evento cruciale nella lunga storia della diaspora fu certo il 1492, anno della cacciata dalla Spagna. E l'ultimo si chiama con il nome di Shoah, che definisce lo sterminio nazista. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI 2. Una cultura in esilio Una visione in negativo della diaspora non racchiude certo tutta la complessità dell'esperienza ebraica. L'ebraismo si è formato, prima e durante questo lunghissimo periodo storico, come una cultura e una fede. Per meglio dire, costituisce una civiltà vera e propria. La frequentazione con il testo sacro ha sviluppato una coscienza dell'umanità in cui il libero arbitrio e l'onniscienza divina convivono senza cadere in contraddizione. Centrale, nel pensiero dell'ebraismo, è l'idea della responsabilità individuale: nel rispetto della legge, ma anche nel concetto di una compassione reciproca che è principio sociale. Ogni individuo è coinvolto nel destino altrui e in qualche modo lo determina. Altrettanto centrale è, nell'ebraismo, la legge che Dio ha consegnato a Mosè sul Sinai e che guida la vita individuale e collettiva negli eventi grandi e in quelli quotidiani. La legge biblica è il terreno sul quale si cimenta l'arte del commento, dell'esegesi, dell'illustrazione, laddove essa sembra oscura. L'ebraismo si configura pertanto come una tradizione di testi e una successione di generazioni in cui ogni passo è un piccolo ma imprescindibile anello capace di garantire la continuità. Questa continuità traspare, per es., lungo il Talmud, il grande codice di narrazioni e commenti che costituisce la cd. Torah orale di fronte alla Torah scritta, cioè la Bibbia vera e propria. Il Talmud risale all'epoca tardoantica, ma ha accompagnato l'ebraismo sino a oggi senza mai perdere la propria misura di attualità. Lo Stato d'Israele, nato nel 1948 a seguito del risorgimento ebraico, detto sionismo, e sulle ceneri dell'ebraismo europeo sterminato dai nazisti, ha posto una sfida vecchia e nuova all'ebraismo: il confronto per un verso con una normalità nazionale da cui per millenni era stato escluso, e per l'altro con quella cultura della diaspora che la rinascita non ha affatto azzerato, dandole al contrario nuove energie e occasioni. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI Buddha e il buddismo Un giovane principe che influenzò tutto il mondo orientale Fra il 6° e il 5° secolo a.C. visse in India settentrionale un giovane di nobile casata, Siddharta Gautama. Fu dal suo 'risveglio' (da cui l'epiteto di Buddha, ossia "il Risvegliato") che ebbe inizio la tradizione spirituale nota come buddismo. Il punto di partenza della dottrina buddista consisteva nella presa di coscienza della sofferenza diffusa nel mondo e soprattutto delle cause che la producono; Buddha intese fornire la cura spirituale per sfuggire alla catena senza fine del dolore. Dopo la sua morte, il buddismo diede luogo a numerose e differenti scuole di pensiero e si diffuse in tutta l'Asia orientale. Ancora oggi, esso è seguito da centinaia di milioni di persone Una religione o una filosofia? Il buddismo può essere considerato una tradizione spirituale che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia dell'umanità. Nel corso dei secoli, esso ha assunto varie forme, producendo una raffinata letteratura filosofica, ma anche un profondo culto popolare, di tipo religioso. Il buddismo è al tempo stesso una religione e una filosofia. Del resto, a pensarci bene, il cristianesimo stesso è certo una religione, ma ha anche dato luogo a opere filosofiche di altissimo livello: basti ricordare i testi di s. Agostino o di s. Tommaso d'Aquino. Inoltre, nel paese dove il buddismo è sorto (l'India), la religione e la filosofia non si sono mai affermate separatamente. Nel caso del buddismo, come per altre forme tradizionali dell'Asia orientale, è dunque meglio parlare di un insegnamento, che di volta in volta, a seconda delle epoche o di chi lo diffuse, assunse aspetti filosofici o religiosi. Il Buddha è un personaggio storico? Buddha in sanscrito significa "il Risvegliato": oggi, gli studiosi hanno ormai riconosciuto che questo nome si riferisce a un personaggio realmente esistito, Siddharta Gautama, vissuto tra il 560 e il 480 a.C. circa. Siddharta era il giovane figlio della famiglia nobiliare dei Sakya; è per questo che egli è chiamato nei testi buddisti anche Sakyamuni, "l'asceta dei Sakya". Nacque a Kapilavastu, nei pressi dell'attuale confine fra India e Nepal. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI Dunque è indubbio che questo giovane principe sia esistito; possediamo però scarsi dati sulla sua vita. Le fonti che la descrivono sono infatti piene di particolari leggendari. Sappiamo che il padre si chiamava Suddhodana e la madre Maya e che in giovane età egli si sposò ed ebbe un figlio. Secondo una profezia nota a suo padre, la vita dorata e priva di affanni di Siddharta avrebbe avuto fine quando egli si fosse trovato di fronte alla sofferenza e alla morte. Nonostante gli ostacoli posti da Suddhodana, un giorno il principe riuscì a uscire dal palazzo e incontrò un vecchio, un malato, un cadavere e un monaco. Da quel momento, egli fu consapevole dell'esistenza della vecchiaia, della malattia e della morte, ma anche della serenità di chi si è staccato dal mondo, come il monaco da lui veduto. Come Siddharta divenne il Buddha Dopo il suo incontro con la sofferenza, Siddharta lasciò di notte il suo palazzo e la sua famiglia, e si liberò (come s. Francesco) dei suoi abiti nobiliari per vestirsi poveramente. Egli intraprese una serie di esperienze per giungere a comprendere il significato dell'esistenza: seguì l'insegnamento dei bramini, i sacerdoti indù, ma ne fu insoddisfatto; si ritirò poi nella foresta come un asceta (ascetismo), un uomo che vive solitario e lontano dal mondo. Infine, ai piedi di un grande albero di ficus, dopo aver superato le tentazioni di Mara, il sovrano infernale della Morte, Siddharta ebbe il 'Risveglio': la consapevolezza della causa del male, della sofferenza e della morte che sono presenti nel mondo. Secondo la tradizione, dopo un primo momento di esitazione il Buddha decise di trasmettere questa conoscenza al mondo. Si recò a Benares, dove nel Parco delle Gazzelle pronunciò il suo famoso primo discorso: era l'inizio di una vita di insegnamento, che vide numerosi discepoli riunirsi attorno a lui per formare le prime comunità di monaci e di monache. Alla fine, superati gli ottanta anni di età, il Buddha si spense a Kushinagara. Ma la dottrina buddista continuò a vivere e a diffondersi. La dottrina del Buddha: la presenza della sofferenza I discorsi del Buddha sono stati trasmessi oralmente per alcuni secoli dopo la sua morte; solo verso il 1° secolo a.C. sono stati trascritti in lingua pali. Ma qual è lo scopo della dottrina buddista? Liberare l'essere vivente dalla sofferenza. La vita umana non può evitare la presenza del dolore e della morte, per un motivo molto semplice: tutto ciò che ha un principio deve avere una fine. Ogni esistenza è passeggera; l'uomo e la sua vita sono composti da una serie di fenomeni in continuo mutamento: nulla è permanente. Questa situazione riguarda non solo l'individuo, ma tutto ciò che è nell'Universo. Perfino gli dei un giorno cesseranno di esistere. La sofferenza è dunque connaturata all'essere umano, cioè fa parte della sua vita sin dal primo giorno. La non consapevolezza di questa verità da parte dell'uomo è definita 'ignoranza' (in sanscrito avidya): dunque, l'ignoranza non consiste semplicemente nel non essere colti, ma nel non rendersi IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI conto del significato del mondo e della nostra stessa esistenza. È qui la radice del dolore e della sofferenza che spesso proviamo. La cura per vincere la sofferenza Nella dottrina del Buddha, l'Universo è visto come il frutto di una catena ininterrotta di fenomeni, ognuno legato all'altro: è il concetto di karma. Giungendo al Risveglio, il Buddha ha per primo spezzato questa catena, che rende prigionieri tutti gli esseri. Per il Buddha l'ignoranza, cioè la non conoscenza della vera natura transitoria (passeggera) di tutte le cose, fa vivere l'uomo in una 'illusione'. Le passioni umane, i vizi e i desideri (anche quelli che sembrano buoni) sono altrettante catene che rendono l'uomo prigioniero di questa illusione. Anche il dolore, la sofferenza sono il prodotto di tale illusione. Ma come vincerla? Il Buddha ricorre alle 'Quattro nobili verità' per definire le cause della sofferenza e la cura per superarla. La prima è la constatazione che ogni esistenza, poiché non è eterna, è dolorosa; la seconda è che la causa del dolore è la 'sete', cioè il desiderio, l'attaccamento per qualcosa: una persona, un oggetto, un'idea. Anche odiare una persona, un oggetto, un'idea è una forma di attaccamento, perché chi odia non è distaccato dall'oggetto del suo odio. La terza verità propone la soluzione: sopprimendo questa 'sete', si sopprimerà il dolore. La quarta verità, infine, fornisce il metodo, la strada per annullare l'ignoranza, e quindi il dolore. Si tratta degli 'Otto sentieri', otto virtù da praticare: la retta opinione, il retto proposito, la retta parola, la retta azione, il retto comportamento di vita, la retta aspirazione, la retta meditazione concentrazione e la retta mentale. Dunque, una vita virtuosa, oltre alla meditazione, è un valido aiuto per superare l'ignoranza. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI Ma esiste qualcosa che non abbia fine? Dunque per il Buddha ogni essere al mondo è destinato a estinguersi. Persino la nostra coscienza ‒ quella che ci fa dire "Io penso", "Io sono" ‒ esiste solo momentaneamente. In un certo senso, quindi, tutto ciò che è al mondo è illusorio, cioè è privo di verità profonda: l'Universo è considerato il 'regno di maya', parola che significa "illusione". La consapevolezza di ciò porta a squarciare il 'velo di maya', mettendo fine all'ignoranza: l'essere così 'liberato' può raggiungere quello che il buddismo chiama nirvana: uno stato paragonato a una fiamma che si spegne. Potremmo allora domandarci: a che serve raggiungere l'obiettivo della 'Liberazione' dal ciclo dell'esistenza, quello che il Buddha chiama nirvana, se dopo la vita non c'è nulla? Se di noi non resta nulla, allora a che serve la meditazione, la pratica delle virtù? Solo a vivere più serenamente questa vita? In realtà, non siamo sicuri se il Buddha ammettesse o meno l'esistenza di un principio eterno come fondamento di tutte le cose; sembra che egli non considerasse il parlare di ciò necessario ai fini del suo insegnamento. Il disaccordo su questo punto fu uno degli elementi che portarono alla nascita di diverse scuole buddiste. Il Piccolo veicolo e il Grande veicolo Dopo la morte del Buddha, ci furono diversi 'concili' (riunioni dei discepoli) che raccolsero gli insegnamenti del Maestro. Nacque così il 'Canone buddista' (in sanscrito Tripitaka, le "Tre ceste"): l'insieme delle opere buddiste, che riportano le parole del Buddha, le regole monastiche e i trattati e i commentari sulla dottrina. Il buddismo ebbe grande diffusione sotto il regno dell'imperatore Ashoka (3° secolo a.C.), quando esistevano già varie scuole che interpretavano diversamente il messaggio del Buddha. Una delle più importanti fu quella dei Theravadin. Il buddismo da essi predicato, noto come Hinayana ("Piccolo veicolo"), si diffuse ed è ancora oggi popolare a Ceylon e nel Sud-Est asiatico. Secondo la maggioranza degli studiosi, questa forma di buddismo, essenzialmente di tipo monastico, rappresenta ciò che c'è di più vicino alla dottrina dei primi tempi. Secondo gli esponenti dell'altra corrente buddista, il Mahayana ("Grande veicolo"), formatasi forse nel 1° secolo, l'Hinayana è invece una forma minore, riservata a chi ha un intelletto limitato e vuole ottenere la Liberazione soltanto per sé stesso, senza interessarsi alla sorte degli altri esseri. La dottrina del Grande veicolo Punto fondamentale della dottrina del Grande veicolo è la 'vacuità' (in sanscrito sunyata) di tutte le cose. Questo concetto indica che in nessuna cosa di questo mondo possiamo trovare la Realtà suprema: l'Universo è infatti il regno di maya, l'illusione. Ma, secondo il Grande veicolo, la 'buddità', cioè il perfetto stato del Buddha, è in ognuno di noi come un embrione, un germe: bisogna squarciare il 'velo di maya' per ritrovare dentro di noi l'eternità. Siddharta, il Buddha storico, fu visto come una manifestazione di questa 'buddità' eterna. Nella dottrina del Grande veicolo, così, apparve tutta una serie di Buddha del passato e del futuro, e IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI si diffusero i jataka, i racconti che descrivevano le passate incarnazioni del Buddha, di solito nella forma di un animale. Proprio sulla base dell'uguaglianza profonda tra gli esseri, l'insegnamento del Mahayana diede grande importanza alla compassione; su di essa si fondava il concetto del bodhisattva ("essere del risveglio"): un essere che rinuncia al nirvana per ridiscendere nel mondo e aiutare gli altri a percorrere la sua stessa via. Il culto dei bodhisattva ebbe una enorme diffusione in Estremo Oriente, perfino superiore a quello per i Buddha. I più famosi furono: Avalokitesvara, il salvatore per eccellenza (in Cina e Giappone rappresentato a partire da una certa epoca in forma femminile); Manjusri, protettore della conoscenza sacra; Maitreya, considerato anche come il prossimo Buddha che apparirà sulla Terra. In epoca più tarda (8° secolo), il Grande veicolo giunse in Tibet: la fusione con gli elementi della religione locale portò alla nascita di una forma particolare, detta Vajrayana ("Veicolo di diamante"), che è ancora oggi tipica del buddismo in Tibet e in Mongolia. La diffusione del Grande veicolo in Cina Il Grande veicolo dall'India passò in Cina attraverso due strade. Una terrestre, dal Pakistan settentrionale alla Cina attraverso il deserto del Taklamakan; e una marittima, dal Golfo del Bengala fino alle coste della Cina meridionale. Il buddismo sarebbe giunto in Cina nel 1° secolo; inizialmente, ci fu qualche difficoltà da parte dei Cinesi nell'accettare il buddismo, una tradizione straniera che imponeva a chi voleva seguire la via del Risveglio il monachesimo, cioè la rinuncia a sposarsi e formare una famiglia. In Cina nacquero nuove scuole buddiste: così, quando il buddismo cessò di esistere in India nel 13° secolo, esso continuò a fiorire fuori dai confini. Fra le scuole buddiste di origine cinese, vanno ricordate il buddismo della Terra pura e il Chan. Il primo fu molto popolare presso il popolo cinese, poiché bastava la semplice invocazione del Buddha Amithaba per garantirsi il trasferimento dopo la morte nel suo paradiso; il secondo predicava la possibilità di un Risveglio immediato, senza passare attraverso lo studio dei testi sacri. Il Chan fu molto importante per lo sviluppo del pensiero buddista fuori dall'India, poiché si diffuse e fiorì anche in Giappone, dove fu chiamato Zen, e influenzò la società, l'arte e la cultura. Il buddismo visse in Cina un'epoca d'oro fra il 7° e il 9° secolo; poi, nell'842, fu colpito da una persecuzione, ordinata da un imperatore e dovuta anche all'eccessivo potere economico raggiunto dai centri buddisti, che danneggiava lo Stato. Tuttavia, il buddismo rimase nei secoli successivi molto diffuso e ancora oggi in Asia orientale esso è oggetto di un ampio culto popolare, con numerosi monasteri in attività. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI Una delle vite passate di Buddha: l'elefante a sei zanne "Una volta il Buddha predestinato nacque come figlio di un elefante che era a capo di una mandria di ottomila elefanti reali […]. Un giorno […] si recò in un boschetto […], e mentre si trovava là, colpì con la testa uno degli alberi; così facendo, una pioggia di foglie secche, rametti e formiche rosse cadde dal lato sopravvento, dove si trovava per caso sua moglie Chullasubhadda […]. Chullasubhadda si sentì offesa e provò rancore nei confronti del Grande Essere. Così […], pregò di rinascere come figlia di un sovrano, per diventare la consorte del re di Benares, e avere il potere di indurre il re a mandare un cacciatore a ferire e uccidere questo elefante con una freccia avvelenata. Quindi essa si consumò dal dolore e morì. A tempo debito i suoi perfidi desideri vennero esauditi, ed essa divenne la sposa prediletta del re di Benares […]. Si mise a letto fingendo di essere molto malata. Quando il re lo venne a sapere, si recò nella sua stanza, si sedette sul letto e le domandò: "Perché languisci, come una ghirlanda di fiori appassiti e calpestati ?". La regina rispose: "È per via di un desiderio che non può essere esaudito"; al che, il re le promise qualunque cosa desiderasse. Così essa fece chiamare a raccolta tutti i cacciatori del regno […], e disse loro che aveva sognato un magnifico elefante bianco a sei zanne, e che se il suo desiderio di possedere queste ultime non poteva venire soddisfatto, sarebbe morta. Scelse per l'impresa uno dei cacciatori […]. Egli […] dopo un viaggio estenuante durato sette anni, sette mesi, e sette giorni […], si trovò […] dove il Buddha predestinato e gli altri elefanti vivevano in pace e senza alcun sospetto […]. Quando il Grande Essere passò di lì, l'uomo lo colpì con una freccia avvelenata […]. L'elefante […] chiese al cacciatore che motivo avesse di ucciderlo. Il cacciatore gli raccontò la storia del sogno della regina di Benares. Il Grande Essere comprese appieno l'intera vicenda […]. Prese la sega nella proboscide, tagliò le zanne e le diede al cacciatore […]. Poi morì e venne bruciato su un rogo dagli altri elefanti. Il cacciatore riportò le zanne alla regina […]. Tenendo in grembo le splendide zanne […], fu pervasa da inconsolabile dolore, il suo cuore si spezzò ed essa morì quello stesso giorno. Molte epoche più tardi, essa nacque a Savatthi e si fece monaca. Un giorno si recò con altre sorelle a sentire la dottrina di Buddha. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI Contemplandolo […] si rammentò che un tempo era stata sua sposa, quand'egli era a capo di un branco di elefanti, e si rallegrò. Ma poi si ricordò anche della propria malvagità, e di come ne avesse provocato la morte […]; il suo cuore si gonfiò ed essa scoppiò in lacrime […]. La monaca stessa arrivò in seguito alla santità". I Mandala sono espressione del cammino e dell’equilibrio che ciascuno deve trovare. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI INDUISMO La religione di Brahma, Vishnu e Shiva L'induismo è la religione più diffusa in India. La sua base fondamentale è il dharma, cioè la legge morale, che serve soprattutto a mantenere l'ordine sociale. I suoi testi sacri sono quasi tutti in sanscrito classico, una lingua molto antica, ma anche in vedico (una forma ancora più antica). Particolarmente importanti per la cultura induista sono i due poemi sacri Mahabharata e Ramayana, scritti in sanscrito ma tradotti anche nei vari dialetti indiani. Ogni regione ha proprie tradizioni e cerimonie, ma rimangono in comune le idee della distinzione fra puro e impuro e della divisione in caste. Vi sono divinità inferiori, legate alle culture religiose locali, e divinità superiori (Brahma, Vishnu e Shiva, ossia la sacra trimurti"trinità") riconosciute quasi da tutti Origini e caratteristiche Il termine. Induismo è una parola inventata verso la fine del 18° secolo dai Britannici ‒ colonizzatori dell'India ‒ per indicare la religione praticata, a partire da molti secoli prima della nascita di Cristo, dagli Indiani (parola la cui origine è a sua volta legata al fiume Indo). L'induismo non ha un fondatore, non ha un unico testo sacro ‒ come la Bibbia per i cristiani o il Corano per i musulmani ‒ e non ha neppure un'organizzazione religiosa (non ha infatti le caratteristiche di una Chiesa istituzionale, come nella religione cristiana). IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI L'evoluzione della dottrina. L'induismo non va considerato come un'unica religione, omogenea e compatta. Le sue caratteristiche ne fanno piuttosto una 'famiglia' composta da religioni diverse, tipiche di alcuni territori dell'India, anche se poi vi sono principi ispiratori in comune e alcune pratiche abbastanza simili fra loro. Nel corso dei secoli si sono registrati cambiamenti significativi, soprattutto in relazione alla dottrina della reincarnazione e della salvezza, come pure nell'ambito della ritualità e delle devozioni in onore delle divinità. Il periodo più antico è da collegare alla civiltà nata nella valle del fiume Indo, a nord dell'India, nell'attuale Pakistan. Le fasi successive sono quelle dette vediche, che iniziarono quasi duemila anni prima di Cristo e si fondavano sullo studio dei testi sacri chiamati Veda (in sanscrito "conoscenza"). Circa duecento anni prima dell'era cristiana si sviluppò l'induismo cosiddetto classico, con l'elaborazione delle leggi di Manu che fornivano indicazioni per una giusta condotta. In tale contesto risultava operante il sistema delle caste che stabiliva l'impurità di un contatto fra appartenenti a caste diverse, cioè a gruppi sociali differenti per ruolo, prestigio e beni posseduti. Successivo fu l'affermarsi sia del poema epico Ramayana ("La storia di Rama") sia soprattutto della Bhagavadgita ("Il canto del Beato"), una sezione del sesto libro dell'altro grande poema epico, il Mahabharata (il poema dei discendenti del re Bharata). Più tardi, nella cosiddetta fase postclassica, diventarono rilevanti i testi detti Purana, dedicati a Brahma (il creatore), Vishnu (il preservatore) e Shiva (il distruttore). Tuttavia va precisato che Shiva non era solo la divinità della distruzione ma anche della rigenerazione. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI Le pratiche religiose Gran parte della pratica religiosa degli induisti tiene conto del karma, cioè della legge che governa tutte le azioni degli uomini in relazione alla vita presente e a quella futura: il frutto delle azioni compiute da ogni vivente determina una diversa rinascita sulla scala degli esseri, e particolari gioie e dolori durante il corso della vita seguente. All'idea del karma è dunque legata quella della reincarnazione, che consente ‒ in una vita successiva ‒ di nascere in una condizione migliore se la vita precedente è stata condotta nel rispetto del dharma (ossia della legge morale) e nella devozione verso le divinità, in primo luogo Brahma, l'essere divino, il potere sacro, presente sia nell'atto del sacrificio compiuto dai sacerdoti sia nel Cosmo, nella natura. Ma anche Vishnu e Shiva vanno onorati come membri della trinità induista (o trimurti), insieme con Brahma. Elementi centrali della religiosità induista sono: il tempio, il culto dei grandi fiumi (il Gange, il cui nome in hindi è femminile e che viene considerato come una grande madre, lo Jamuna e il mitico Sarasvati, detto anche fiume della conoscenza, che scorrerebbe sotterraneo e invisibile), la celebrazione ogni dodici anni del Maha Kumbha Mela ("Festa della brocca", con la quale si raccoglie l'acqua del Gange), le parate degli dei, la recitazione degli inni sacri, le meditazioni di coloro che praticano lo yoga, le prove cui si sottopongono i fachiri, i sacrifici in onore dei nobili, gli usi domestici, i matrimoni solenni, il rispetto per le mucche sacre, i riti di cremazione dei morti. Un riformatore dell'induismo fu Shankara, filosofo indiano vissuto forse tra il 788 e l'820 d.C. Pensatore intelligente e dedito all'ascesi (ascetismo), fu un vero guru (guida spirituale), capace di raccogliere molti discepoli e fondare monasteri. Shankara fu anche un attento commentatore del Bhagavadgita. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI I testi sacri I testi considerati sacri dagli induisti sono in sanscrito, una lingua letteraria in uso nell'antica India già alcuni secoli prima di Cristo e successivamente conosciuta quasi solo dalle persone più istruite, appartenenti di solito alla casta dei bramini o brahmani, sacerdoti cioè del dio Brahma. Il Mahabharata è forse il testo più importante ed è noto specialmente per il Canto del Beato. Risalirebbe a tre secoli prima della nascita di Cristo e si pensa che contenga il nucleo essenziale della dottrina dei Veda, cioè dei testi indo-ariani più antichi, che erano quattro e precisamente Rgveda ("Veda degli inni"), Yajurveda ("Veda delle formule per i sacrifici"), Samaveda ("Veda delle melodie") e Atharvaveda ("Veda delle formule magiche"). La produzione dei testi vedici abbraccia un periodo molto ampio che va dal 2000 al 500 a.C. e contiene molti riferimenti alla natura e alla vita dopo la morte, soprattutto nelle Upanishad ("Dottrine segrete"), in cui si parla della salvezza che libera dalla successione delle reincarnazioni e che consiste nella identificazione fra l'Anima individuale (Atman) e l'Anima universale (Brahman). Secondo tale dottrina non basta una vita interamente religiosa e pura per interrompere il continuo ciclo delle rinascite in altre vite, ma occorre giungere a riconoscere ciò che rappresenta il Brahman (inteso come principio fondamentale dell'Universo) e a immedesimarsi in esso, realizzando una stretta unione fra essere umano ed essere divino. Il Ramayana, poi, è una raccolta di migliaia di strofe che risalgono al 2° secolo d.C. e narrano le imprese di Rama, un'incarnazione di Vishnu. Bhagavadgita Attualmente a però riscuotere è il maggiore attenzione, più degli inni e dei formulari contenuti nei Veda. Caratteristiche sociali della religione induista La maggior parte dei seguaci dell'induismo vive in India, che è uno Stato laico, la cui struttura democratica è orientata verso il rispetto di ogni forma religiosa, senza privilegiare la religione della maggioranza dei cittadini. Va tuttavia rilevato che nell'India contemporanea permane un forte contrasto tra induisti e musulmani, che ha dato luogo a scontri anche violenti. Un altro problema chiave è quello delle distinzioni di casta, strettamente connesse con le concezioni religiose induiste. A ben considerare, il concetto stesso di karma, posto alla base di ogni attività dell'induista, è di fatto un ostacolo a ogni tentativo di abolizione o di superamento di quelle differenze e ingiustizie, che hanno come origine proprio l'ordinamento in caste. IRC as. 2014­2015 LE RELIGIONI In alcuni casi, persone particolarmente sensibili al rispetto dei diritti umani preferiscono lasciare la religione induista per evitare di rafforzare e consolidare le discriminazioni in atto. Al contrario, gli induisti più tradizionalisti vorrebbero mantenere la situazione esistente per resistere alle influenze esterne del mondo occidentale. Altri ancora preferiscono conservare i principi generali dell'induismo, ma uniti a una maggiore attenzione e al rispetto per tutti gli esseri umani.