Il rischio da interferenti endocrini nel fiume Po

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Nuovi contaminanti ambientali
ARPA Rivista N. 6 novembre-dicembre 2009
Il rischio da interferenti endocrini nel fiume Po
La letteratura scientifica sta descrivendo una casistica sempre più ampia di inquinanti che possono interferire
con il normale funzionamento del sistema endocrino di numerose specie di organismi viventi, uomo compreso.
Tra queste sostanze, molte delle quali di uso quotidiano, figurano anche pesticidi e loro metaboliti. È in
corso uno studio per approfondire gli aspetti collegati al problema degli interferenti endocrini nella porzione
terminale del bacino del Po.
luppo gonadico, la riproduzione e
così via.
Normalmente il controllo si
esplica mediante la sintesi e il rilascio di ormoni che attraverso il circolo sanguigno raggiungono i
recettori delle cellule bersaglio. È
stato quindi di grande impatto
verificare che sostanze estranee al
sistema endocrino, in questo caso
dei pesci, potessero imitare l’azione degli ormoni naturali,
andando a interagire con il recettore corrispondente e attivando i
meccanismi cellulari che normalmente sono controllati solo dagli
ormoni prodotti dall’organismo
(es. Metcalfe et al., 2001). A questo proposito, è importante precisare che gran parte dei vertebrati
condivide alcuni ormoni e alcuni
dei meccanismi che essi controllano. Pertanto, è stato dimostrato
che quegli stessi ormoni che quotidianamente sono escreti dagli
esseri umani e dagli animali
domestici mantenuti negli allevamenti, sono ancora in grado di
esercitare i loro effetti sui vertebrati che vivono negli ambienti
acquatici.
La
straordinaria
potenza degli ormoni naturali e il
fatto che essi raggiungono in vari
modi l’ambiente acquatico fa sì
che essi siano spesso una delle più
importanti fonti di rischio per la
comunità ittica (Viganò et al.,
2008).
A parte gli ormoni naturali, i vari
inquinanti xenobiotici studiati per
le possibili interazioni col sistema
endocrino hanno dimostrato affinità e potenze molto eterogenee,
talvolta modeste ma anche molto
elevate com’è il caso di un
ormone sintetico quale l’etinilestradiolo che, utilizzato nei farmaci contraccettivi, si è dimostrato capace di causare alterazioni nei pesci a concentrazioni
inferiori al ng/l o l’estinzione di un
ciprinide in un bacino sperimentale in cui erano stati immessi
pochi ng/l di questo farmaco
(Kidd et al., 2007).
La capacità di legarsi al recettore
estrogenico o comunque di
indurre meccanismi ormonosimili è stata verificata per molti
tipi di inquinanti aventi sia usi
industriali che domestici. Ricordiamo, ad esempio, gli alchilfenoli
etossilati, usati come detergenti
nell’industria, e in particolare
Campionamento della comunità ittica con elettrostorditore in un tratto guadabile del
fiume Po
FOTO ARCH. CNR
nessi agli interferenti endocrini.
Tra le iniziative comunitarie si
ricorda ad esempio, la Community
Strategy for Endocrine Disrupters,
volta all’identificazione di questi
inquinanti, o il Credo cluster (Cluster of Research into Endocrine
Disruption in Europe) che fu attivato nel 2003 per finanziare progetti di ricerca su questo tema.
I primi studi indirizzarono i maggiori sospetti di causalità sui pesticidi clorurati e sui potenziali
effetti estrogenici dei composti
parentali (es. o,p’- DDT) o dei
loro metaboliti. Nel seguito, tuttavia, i numerosi studi effettuati
hanno dimostrato che le sostanze
chimiche che possono agire come
interferenti endocrini sono ben
più numerose, e alcune sono
molto più potenti di quelle inizialmente identificate. Anche la
natura degli effetti osservabili si è
rivelata certamente più ampia e
articolata, come peraltro è intuibile considerando che il sistema
endocrino, con le ghiandole e i
tessuti che lo compongono, controlla processi delicati e complessi
come l’accrescimento, il metabolismo, la differenziazione e lo sviFOTO ARCH. CNR
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È scientificamente documentato
e concordemente riconosciuto
che diversi tipi di inquinanti possono interferire con il normale
funzionamento del sistema endocrino in numerose specie di organismi viventi, uomo compreso.
Negli anni 80 e 90 alcuni studi
avevano già documentato i primi
danni alla fauna selvatica che
peraltro apparivano solo come casi
isolati, imputabili cioè ad
ambienti con livelli di inquinamento particolarmente critici e
dunque meno preoccupanti (Fry
1995). La letteratura scientifica
più recente, al contrario, sta
descrivendo una casistica sempre
più ampia, con molti esempi
anche vicini al nostro quotidiano.
Per tale motivo, non è improprio
parlare di attenzione se non addirittura di allarme per la presenza
nell’ambiente di inquinanti che
danneggiano il sistema endocrino.
Molti dei maggiori enti e organizzazioni nazionali e internazionali,
tra cui l’Ocse e la stessa Commissione europea, hanno necessariamente, ma anche meritevolmente,
attivato
molteplici
approfondimenti sui temi con-
Tratto medio del Po, una delle aree dove più spesso sono stati studiati gli effetti degli
interferenti endocrini
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alcuni loro metaboliti; il bisfenolo
A, usato nella produzione di
materie plastiche e capace di
effetti sui pesci anche a concentrazioni relativamente modeste
(Mandich et al. 2007); alcuni ftalati ampiamente utilizzati come
plastificanti; alcuni cosiddetti filtri UV (es. benzofenone-2; octilmetossicinnamato) che sono di
largo impiego in molti prodotti
commerciali, dai cosmetici, alle
plastiche, all’abbigliamento; vari
conservanti e biocidi usati nell’industria alimentare e nei prodotti
per la cura personale (es. parabeni; triclosan); come pure alcuni
composti più familiari ai temi
della contaminazione ambientale,
quali PAH e PCB, per alcuni dei
quali, o come composto parentale
o come metabolita, è stata osservata un’azione estrogenica.
Proprio nella complessità del
sistema endocrino risiede in
fondo la sua fragilità, nel senso
che i punti di possibile interferenza sono molteplici. L’inquinante può, ad esempio, inibire o
stimolare i meccanismi che presiedono alla sintesi e al rilascio di
un ormone, può legarsi competitivamente al recettore cui esso è
destinato (attivandolo) o bloccarlo
in modo irreversibile, piuttosto
che aumentare l’inattivazione e
l’escrezione dell’ormone medesimo. Ciò vale per i già citati
ormoni estrogenici, ma è stato
documentato per quelli androgenici, per i tiroidei e così via. A
questo riguardo, se la ricerca ha
esplorato con maggiore attenzione la possibilità che alcuni
inquinanti possano imitare l’azione biologica degli ormoni femminilizzanti, di fatto gli studi più
recenti dimostrano che altri inquinanti hanno la capacità di agire ad
esempio come anti-androgenici, o
di interferire con la funzione tiroidea, o altro ancora (Urbatzka et
al., 2007).
Tra questi interferenti si possono
ricordare alcuni pesticidi e loro
metaboliti a cominciare dal p,p’DDE, a seguire con i fungicidi
vinclozolin e procimidone, alcuni
biocidi, e ancora le diossine, e i
rappresentanti di un altro importante gruppo di inquinanti, i polibromodifenileteri che, largamente utilizzati come ritardanti di
fiamma, stanno ricevendo grande
attenzione per la loro ubiquità,
tossicità e persistenza e dei quali
sono state trovate concentrazioni
elevate anche nel fiume Po
(Viganò et al., 2009).
Nonostante i continui miglioramenti normativi, dei quali la
direttiva acque (2000/60/CE) è
forse l’esempio più pertinente
(All.VIII e DM 56/2009), gran
parte delle centinaia, forse
migliaia di sostanze chimiche che
sono utilizzate o sintetizzate quotidianamente, trova il proprio
recapito finale nei corpi idrici
superficiali. Non deve quindi sorprendere che la larga maggioranza
dei danni riconducibili a interferenti endocrini sia stata documentata proprio in organismi che
vivono nell’ambiente acquatico o
che con l’ambiente acquatico
hanno relazioni fondamentali per
il loro ciclo vitale come è il caso
degli anfibi o di alcune specie di
uccelli. È ormai osservazione
comune che i moltissimi inquinanti sversati nell’ambiente
acquatico sono generalmente presenti a concentrazioni dell’ordine
delle decine di ng/l o inferiori.
Ciò, tuttavia, non deve indurre a
sottovalutare il problema. Infatti,
a parte i processi di bioaccumulo o
la già citata potenza di alcuni degli
inquinanti, proprio per gli interferenti endocrini è stato più volte
dimostrato un chiaro meccanismo
di additività, secondo il quale una
miscela di interferenti in cui ciascuno è presente a concentrazioni
di “non-effetto” è ancora in grado
di agire sia sul sistema endocrino
che sulle gonadi. Quando un
pesce è esposto a queste sostanze
o a loro miscele, diversi suoi
organi e le gonadi in particolare,
subiscono alterazioni profonde
che possono evidenziarsi nella
comparsa ex novo di caratteri anatomici maschili o viceversa femminili, come pure in fenomeni
degenerativi che compromettono
il potenziale riproduttivo del
pesce. Nel fiume Po, abbiamo trovato esemplari di diverse specie
di pesci con gonadi intersessuali,
e cioè contemporaneamente
maschili e femminili. È ragionevole affermare che gli esemplari
pescati nel Po siano maschi il cui
testicolo ha subito una trasformazione, più o meno radicale, in ovario (Viganò et al., 2001; 2008).
Nonostante gli studi già effettuati, c’è ancora molto da com-
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Prelievo di sangue da un esemplare di carpa comune (Cyprinus carpio) anestetizzato
prendere e ciò vale per molti
aspetti che compongono questo
problema. Ciò è tanto più vero
per il territorio italiano dove le
conoscenze sono nella migliore
delle ipotesi solo preliminari. È
dunque quanto mai importante e
meritevole l’iniziativa intrapresa
da Arpa Emilia-Romagna (Laboratorio di riferimento regionale
Cancerogenesi
ambientale),
Ato6, Cnr ed Hera, per approfondire alcuni degli aspetti collegati
al problema degli interferenti
endocrini nella porzione terminale del bacino del Po.
Luigi Viganò
Istituto di ricerca sulle acque, Cnr
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