IL MASANIELLO DIMENTICATO Aveva, quindi, ragione Maria Antonietta Macciocchi nel considerare un attacco al meridionalismo ogni forma di diverso interessamento ai Borbone. Rivelando un collante ideologico ed economico nel compassato Regno delle due Sicilie, si sarebbero sconfessate, infatti, sul piano storico-politico tutte le voci del vecchio come del nuovo meridionalismo. In attesa, quindi, che si portasse a termine, con nuove leggi, l'idea del federalismo fiscale, il mito della Repubblica Partenopea contro il passatismo borbonico, coinvolgeva come un livellatore sociale tutti i napoletani che trovavano spazio in pubbliche esternazioni. Si dicevano fautori della Repubblica Partenopea giudici e avvocati, sindaci ed assessori, funzionari e imprenditori. Fedele ai principi che l'avevano reso tale, solo De Simone era stato capace di guardare l'argomento "99" con uno sguardo personale e quindi diverso dall'occhio delle vecchie tesi storiche strumentali alle politiche del momento. Per questo e non per altro, era chiaramente incorso nell'ira funesta della stalinista meridionalista Maria Antonietta Macciocchi, che parlando del mancato coraggio dello spettacolo "Eleonora" ad apparir troppo giacobino, aveva trascinato con sé anche gli altri fautori del '99, sull'insidiosa strada della dissacrazione. Il maestro De Simone, aveva certo mosso una gran cortesia a quella scrittrice che l'avrebbe poi criticato nel tentativo di stroncarlo, mutuando, per il suo spettacolo, diverse pagine di "Cara Eleonora". Proseguendo sulla stessa strada di ingratitudine, nella stessa intervista sullo spettacolo rilasciata al "Corriere del Mezzogiorno", la Macciocchi continuò a esprimere disappunto su tutto, affermando tra l'altro di non sopportare l'interferenza di Pulcinella fra i dialoghi immaginati da lei tra Eleonora e Maria Carolina. Alla maschera, la scrittrice avrebbe preferito come rappresentazione della plebe partenopea l'epitome Masaniello. Forse, a suo dire, troppo rivoluzionario e di sinistra per De Simone. La Macciocchi probabilmente ignorava che dopo Eduardo De Filippo, che al pescatore dedicò la sua unica commedia storica tradotta in musical con Domenico Modugno e Liana Orfei, lo stesso De Simone aveva contribuito alla moderna mitologia del personaggio, riscoprendogli dei riferimenti nel canto finale della processione che si tiene ad Atrani, vicino Amalfi. Rifacendosi alle connessioni care al De Simone fra la figura storica e le immagini sacre, persino Herling, sempre in realtà snob nei confronti dei miti partenopei, aveva così ceduto alla suggestività cristologica del personaggio e pensato bene nel suo racconto "il Miracolo" di sottolineare la rapidità con cui si sciolse, a Napoli, il sangue di San Gennaro dopo la morte di Masaniello "come si fossero unite in un filo santo e insanguinato le teste recise del vescovo e del pescivendolo". In realtà attraverso le vicende napoletane della rivolta antispagnola del 1646 e dei suoi protagonisti, quali il pescivendolo Masaniello, il viceré spagnolo d'Arcos e il cardinale loro tramite Ascanio Filomarino, il genero di don Benedetto Croce, aveva abilmente metamorfizzato le vicende della sua Polonia, degli anni ottanta, del leader Lech Walesa di Solidarnosch, del generale Jarulzesky e del Papa polacco. Musicando lo spettacolo di Armando Pugliese, tacciato di comunismo, "Masaniello", interpretato da Mariano Rigillo e Lina Sastri, De Simone aveva suggerito ad Herling come, involontariamente ad altri, la ricerca a più mani e voci su presunte reincarnazioni politiche della figura storica. Dopo Walesa, rispettando la trasversalità apolitica di Masaniello, il più legittimo dei paragoni, accreditato anche da storici come Ghirelli e Galasso, rimane senza ombra di dubbio quello espresso dalla stampa calcistica con Maradona, il fuoriclasse argentino rapportato anche lui, come il capopolo, al Santo Patrono. Privato della sua denominazione allo stadio cittadino, autentico tempio domenicale del pallone, dedicato invece a San Paolo, che proprio a Napoli dalla zona dei Campi Flegrei, gettò le basi per il cristianesimo nel mondo, San Gennaro è di continuo martoriato da scienziati pronti a mettere in discussione il suo miracolo napoletano da ogni parte del mondo e può quindi fare solo affidamento sulla fedeltà dei napoletani e sulle attenzioni artistiche di scettici Blu alla De Simone e Schifano. Allo stesso modo, snobbato per il suo "lazzaronismo" dai manager e mister del pallone, pronti a mettere in dubbio i suoi miracoli sul campo attribuendoli alla cocaina, Diego Armando Maradona non poté che far leva sulla folla dei tifosi e sulle attenzioni di tycoon televisivi, agli antipodi fra loro, ma d'accordo su di lui: il berlusconiano Vittorio Sgarbi e il fidelcastrista Gianni Minà. Compromettendone la carriera i palazzi della borghesia napoletana offrirono probabilmente cocaina a Maradona per averlo ospite, così come a Palazzo Reale, per sfiancarne la foga rivoluzionaria, fu forse offerta reserpina a Masaniello. Di certo, furono comunque entrambi drogati dalle osannanti aspettative della cristologica folla partenopea da sempre gremita dinanzi ai palazzi come nelle metaforiche curve e tribune allo stadio. Da Maradona in poi era stata la volta di politici ad incarnare, stavolta solo nelle attribuzioni, il mito sempre vivo del capopolo rivoluzionario. Nel riflesso rivoluzionario di Tangentopoli si erano cosi detti Masaniello, il giudice Di Pietro come il cavaliere d'Arcore Berlusconi. Era stata poi la volta del Senatur di Pontida, Umberto Bossi, della nipotina del Duce Alessandra Mussolini (masaniella nera) e finanche Mastella, Masaniello di Ceppaloni che, però nei tratti negroidi del viso, tanto ricorda il leader Bokassa tacciato di cannibalismo; ed infine, persino lo storico Vittorio Dini, dopo aver dileggiato le assurde pretese di paragone non aveva resistito, nella sua biografia di Masaniello, all'idea di paragonare la leggenda di Piazza Mercato al nuovo primo cittadino di una Napoli in via di liberazione.