L`Africa a testa alta di Cheikh Anta Diop

annuncio pubblicitario
Editrice Missionaria Italiana
Via di Corticella, 179/4 – 40128 Bologna
tel. 051.326027 – fax 051.327552 - www.emi.it
Ufficio Stampa: [email protected]
Comunicato Stampa
«Ciò che l’Occidente chiama universalità della scienza, della storia o della filosofia,
spesso non indica niente più che il proprio comfort di vivere e di dominare.»
L’Africa a testa alta di Cheikh Anta Diop
di Jean-Marc Ela
con prefazione di Marco Aime
Esce a marzo per i tipi della EMI L’Africa a testa alta di Cheikh Anta Diop di Jean-Marc Ela.
Assieme a Ki-Zerbo, Cheikh Anta Diop (1923-1986) è il più grande storico africano del XX
secolo, il suo pensiero ha restituito dignità e consapevolezza all’uomo africano.
Fisico e umanista senegalese, è una figura ancora controversa nell’ambito della storiografia ma anche i
suoi critici ne riconoscono la statura.
Con le sue teorie, in particolare con la tesi secondo cui la civiltà egizia è radicalmente negroafricana e non bianca, tentò di spostare in avanti la frontiera della conoscenza sull’Africa, con
l’obiettivo di reintrodurre il Continente nella storia da cui era stata espulsa e ricollocarla nelle
grandi narrazioni nelle quali veniva regolarmente dimenticata.
Affermare che l’Egitto dei Faraoni affondava le sue radici culturali nel mondo nero, e non fosse
quindi di matrice mediterranea e di influenza culturale europea, costituiva un tentativo di «spostare il
centro del mondo» ribaltando la geografia mentale dominante: l’Egitto nasceva da sud, dal cuore
dell’Africa nera.
Con la ricerca linguistica e scientifica, cercò di dimostrare la continuità tra l'idioma dell’antico impero e le
lingue africane nonché i tratti negroidi degli egizi. I risultati della ricerca divennero uno strumento
di battaglia politica: affermare certe teorie non era un mero lavoro accademico, significava
ribaltare la visione sull’Africa e di conseguenza anche quella sull’Europa. Ripensarne la storia
e, soprattutto, ridefinire i rapporti tra i due continenti.
Criticate sul piano politico, alcune posizioni vennero messe in discussione anche su quello scientifico e
tutt’ora costituiscono argomento di dibattito.
L’africa a testa alta di Cheikh Anta Diop è uno dei pochi libri pubblicati in Italia in cui avviene,
idealmente, l’incontro tra due grandi intellettuali africani: Jean-Marc Ela (1936-2008), prete, teologo della
liberazione e insigne sociologo e antropologo, e Cheikh Anta Diop, che ha anticipato quella ricca e
fruttuosa corrente definita post-colonial studies. Per questo è particolarmente significativo rileggere
oggi, a cinquant’anni dalle indipendenze africane, il percorso, magistralmente tracciato da
Jean-Marc Ela, di questo protagonista della lotta per il riconoscimento dell’Africa.
Le altre opere di Jean-Marc Ela tradotte in italiano sono: Questo è il tempo degli eredi (Emi, 1983); Fede
e liberazione in Africa (Cittadella, 1986); La mia fede di africano (Edb, 1987); Il grido dell’uomo africano
(L’Harmattan Italia, 2001). L’edizione originale del libro è: Cheikh Anta Diop ou l’honneur de penser
(L’Harmattan, 1989).
EMI – comunicato stampa
Indice dell’opera
Prefazione, di Marco Aime
Dalla conoscenza storica alla coscienza politica
Introduzione
5. Colonizzazione e problema nazionale
Una fiction storica?
La questione nazionale «a rasoterra»
Il sogno di un panafricanista
La memoria di un popolo
1. L’epoca di Cheikh Anta Diop
Un mondo frantumato
Le astuzie della razionalità europea
La fine di uno sguardo
6. Responsabilità sociali e politiche del
ricercatore ...
Ai margini dell’università
L’uomo di scienza e il suo popolo
Una posta in gioco politica
Propaganda o verità?
Per una scienza a servizio dell’uomo
2. Un solo tema: l’Africa
Soggetto unico, sguardi molteplici
Un problema di metodo
3. La ragione è nata presso i neri
Il declino degli assoluti
Scandalosa verità
7. La sfida delle nuove generazioni africane
4. Coscienza storica e rivoluzione africana
Il problema della storia africana
Il rispetto del reale
Bibliografia e sitografia
Prefazione
Un intellettuale africano che scrive di un altro intellettuale africano. Non capita spesso di incontrare un
libro così, almeno in Italia. Ecco il senso profondo di questo testo di Jean-Marc Ela su Cheikh Anta Diop,
che ripercorre con precisione e con spirito critico il cammino intellettuale e politico (le due dimensioni non
sono separabili in Diop) di questo grande storico, linguista, fisico senegalese, che ha segnato una svolta,
seppur criticata, negli studi di africanistica. Cheikh Anta Diop è una figura che non si può ignorare, anche
i suoi critici ne riconoscono la statura. I suoi studi in campi diversi hanno sempre perseguito un unico
fine: far rientrare l'Africa e i suoi abitanti nella corrente della storia, nella narrazione da cui era stata
espulsa, dimenticata, estromessa, anticipando così, per certi versi, quella ricca e fruttuosa corrente
definita post-colonial studies. Per questo è particolarmente significativo rileggere oggi, a cinquant'anni
dalle indipendenze africane, il percorso, magistralmente tracciato da Jean-Marc Ela, di questo
protagonista della lotta per il riconoscimento dell'Africa.
Cheikh Anta Diop (1923-1986) è una di quelle figure che lasciano il segno nella storia. Una personalità
talmente forte e solida da creare inevitabilmente passioni viscerali in alcuni e altrettanto viscerali
antipatie in altri. Infatti, nel corso della sua vita di studioso ebbe tanti ammiratori quanti detrattori.
Inevitabile per uno che tentò di spostare in avanti, e di molto, la frontiera della conoscenza sull'Africa,
vittima, come tante altre regioni del mondo, dell'etnocentrismo occidentale.
Un'Africa condannata ad essere terra primitiva, "buona da pensare" per gli europei, utile a costruire la
loro condizione di gente moderna e civilizzata. Nella sua celebre poesia Aspettando i barbari, il poeta
greco Costantino Kavafis descrive un'intera città, i nobili, i capi, che attendono l'arrivo di questi stranieri,
che però non si fanno vedere. La poesia si conclude con un verso disperato:
E ora, che ne sarà di noi, senza barbari?
Erano una soluzione, quella gente.
I barbari servono a darci la misura della nostra dimensione di superiorità e l'Africa era la terra dei barbari
- barbari e neri di pelle.
Quando nel 1951 Cheikh Anta Diop presentò per la prima volta la sua tesi di laurea, nella quale sosteneva
che gli antichi egizi erano espressione della cultura africana, la sua tesi venne respinta. Solo nove anni
dopo poté nuovamente discuterla e laurearsi. Non è forse casuale che questo avvenisse nel 1960, l'anno
delle indipendenze africane. Non si parlava di post-colonial studies allora, sarebbe stato necessario
ancora un decennio per prendere piena coscienza della nuova condizione, ma per certi versi i lavori di
Cheikh Anta Diop si ponevano in un'ottica che oggi potremmo definire postcoloniale, sebbene concepiti e
realizzati quando l'Africa era ancora sotto il dominio europeo.
Qual era l'obiettivo di questo fisico e umanista senegalese? Far entrare l'Africa nella storia da cui era
stata espulsa, ricollocarla nelle grandi narrazioni nelle quali veniva regolarmente dimenticata. Affermare
che l'Antico Egitto affondasse le sue radici culturali, e non solo, nel mondo nero, costituiva un tentativo di
ciò che lo scrittore keniano Ngugi wa Thiong'o definisce "spostare il centro del mondo". L'Egitto dei
faraoni era sempre stato considerato dalla storiografia europea una civiltà mediterranea e pertanto
"nostra", facente parte del nostro mondo. La sua collocazione africana sembrava essere un mero dato
geografico, non culturale.
2
EMI – comunicato stampa
Gli studi di Cheikh Anta Diop miravano, invece, a capovolgere quella visione, ribaltando la geografia
mentale dominante: l'Egitto nasceva da sud, dal cuore dell'Africa nera. Cercò nella linguistica le prove
della continuità tra la parlata dell'antico impero e le lingue africane della valle del Nilo, e addirittura tra
l'egiziano antico e alcune lingue dell'Africa occidentale.
Grazie alle sue conoscenze scientifiche utilizzò il metodo del radiocarbonio per determinare il colore della
pelle delle mummie egizie. A sua volta sviluppò un metodo nuovo, pubblicato in diverse riviste
scientifiche, detto dosage test: una tecnica per determinare la quantità di melanina contenuta nelle
mummie. Molte, infatti, risultavano nere di pelle.
La sua ricerca scientifica e linguistica andava di pari passo con la sua battaglia politica. Anzi, diventava
essa stessa strumento politico. Affermare certe teorie non era solo un fatto scientifico, significava
rivedere (per non dire ribaltare) la visione sull'Africa e di conseguenza anche quella sull'Europa.
Ripensarne la storia e ridefinirne i rapporti.
Non è casuale che il termine afrocentrismo venga coniato proprio nel 1961 da W.E.B. Dubois per indicare
una nuova posizione politica e intellettuale. Senza esplicitamente farne parte, Cheikh Anta Diop ha
contribuito a questo movimento, rivendicando la centralità dell'Africa e tentando di decostruire una
narrazione che era il prodotto di rapporti di forza consolidati, che vedeva il suo continente perdente e
sconfitto.
Criticate sul piano politico, alcune posizioni vennero messe in discussione anche su quello scientifico.
Molti linguisti non sono stati e non sono d'accordo sulle sue tesi e alcuni esprimono seri dubbi sulla sua
analisi. Ciò non significa però che la sua ipotesi sia stata invalidata. Semmai, e questa è una critica che
gli rivolgono alcuni studiosi, come per esempio l'antropologo francese Jean-Loup Amselle, un limite delle
sue teorie sta nell'aver compiuto un'operazione opposta ma simmetrica a quella da lui criticata. Se la
prospettiva coloniale ha in qualche modo "staccato" l'Africa dal circuito ufficiale della storia, isolandola,
Cheikh Anta Diop, nel tentativo di riconquistare la posizione perduta, avrebbe a sua volta tentato di
creare un'africanità purificata da tutti gli apporti "esterni", cosa che gli avrebbe consentito, peraltro, di
costruire un Occidente su misura, i cui contorni sono definiti in funzione della sua posizione afrocentrista.
Così facendo, egli riprende un pensiero frequente presso ufficiali e amministratori coloniali – come per
esempio Maurice Delafosse (1870-1926), profondo conoscitore delle lingue africane e grande studioso –, i
quali finirono per estrarre l'Africa "nera" da tutte le influenze arabo-musulmane che si esercitavano su di
essa per meglio accomunarla all'Europa. La deconnessione dal mondo arabo-musulmano è peraltro uno
degli elementi fondamentali dell'opera di Cheikh Anta Diop.
Questi da un lato riconobbe a Delafosse di avere magnificato i fasti dell'impero del Mali, dall'altro gli
rimproverò di avere scartato l'idea di un'origine nera della civiltà egizia. Per Delafosse la grandezza
dell'Africa si manifesta nella sua specificità e, eventualmente, nell'apporto di elementi esterni (giudeosiriani per i peul, egizi per i baulè); per Cheikh Anta Diop la grandezza dell'Africa culmina con le civiltà
egizia e greca. Infatti, l'atteggiamento di Diop è simmetrico e inverso a quello di Delafosse: ciò che li
accomuna è che in entrambi i casi l'africanità viene letta in termini di influenze subite o esercitate e che
in entrambi sussiste l'idea dell'esistenza di un substrato razziale.
I punti critici di queste teorie sarebbero pertanto, da un lato, il voler comunque isolare l'Africa, invece di
pensare a questo continente come inevitabilmente attraversato dai flussi principali e pertanto legato al
resto del mondo in una posizione tanto di debitore quanto di creditore; dall'altro, quello di fare
dell'africanità un'essenza pura e originale, negando che questa, invece, come ogni altra espressione
culturale è il prodotto di una lunga serie di scambi con altre realtà, pertanto un dato in perenne
mutamento.
Marco Aime
di Jean-Marc Ela
L’AFRICA A TESTA ALTA DI CHEIKH ANTA DIOP
collana «Antropolis»
formato: 14x21 – anno: 2012
isbn: 9788830720534
pp. 160 – € 12,00
3
Scarica