Antonio Labriola e la sua Università DOCUMENTI Ipotesi per un confronto: Antonio Labriola e la cultura positivista francese Maria Donzelli L’ipotesi di lavoro che qui presento è necessariamente schematica ed è costruita intorno a una breve riflessione sul tema labrioliano della filosofia della storia in rapporto a un avvenimento storico emblematico come la Rivoluzione francese dell’‘89. Come è noto, sia nel corso universitario inedito del 1888-89 dedicato proprio alla Rivoluzione francese, che segue la pubblicazione del 1887, I problemi della filosofia della storia, sia nel corsi del 1897-98 e 1898-99 dedicati allo stesso argomento, che precedono il testo del 1903, Storia, filosofia della storia, sociologia e materialismo storico, Labriola considera l’avvenimento Rivoluzione francese il luogo storico privilegiato per una riflessione teorica che esattamente in quegli anni si definisce e raggiunge la sua piena maturazione. Il primo quesito cui cercherò di rispondere è dunque il seguente: perché proprio la Rivoluzione francese è l’oggetto specifico della riflessione labrioliana sulla filosofia della storia? Egli stesso dichiara in vari scritti la sua competenza in materia: nella lettera a Engels del 1894, a proposito del risultato dei suoi studi sulla genesi del socialismo moderno afferma tra l’altro: “Domino l’insieme della Rivoluzione francese” ( Scritti filosofici e politici, I e II voll. A cura di F. Sbarberi, Torino, Einaudi, 1973, p. 378), e nel saggio Da un secolo all’altro dichiara: «Discorsi più volte della Rivoluzione francese – il solo punto della storia, nel quale mi senta in possesso… di una specifica competenza – come per dare, e in compendio, l’avviata alla retta cognizione di ciò che costituisce l’essenziale, in buono o in mala parte che ciò si prenda, della società moderna» (Scritti filosofici e politici, cit., p. 822). La grande Rivoluzione dunque è al centro delle indagini labrioliane delle origini e degli sviluppi della società moderna, non solo nella direzione della storia del pensiero politico e nella storia politico civile, ma è il terreno di riflessione per la risoluzione di nodi concettuali difficili, e in parte irrisolti, del suo marxismo teorico. Nella cultura e nel pensiero politico dell’Ottocento francese, come è noto, la Rivoluzione dell’‘89 è al centro non solo della meditazione storiografica, ma soprattutto dell’elaborazione delle idee politiche e della definizione del concetto di “società moderna” con tutte le implicazioni teoriche che questo comporta. In questa sede si tratta di fare i conti con la riflessione sulla grande Rivoluzione della cultura positivista francese, ma già l’uso del termine “positivismo” ha bisogno di un chiarimento preliminare. Il filone culturale cui farò riferimento è quello del positivismo originario di Auguste Comte e di Emile Littré, capostipiti di un “fenomeno generazionale”, pur nella diversità delle loro rispettive posizioni, che cercherò di indicare brevemente. I testi cui il mio lavoro si ispira sono: le lezioni 46^ e 57^ del Cours de philosophie positive di Comte, scritte tra il 1830 e il 1842, lezioni che riguardano specificamente la Rivoluzione dell’89, e il testo di Littré, Conservation, révolution et positivisme, una raccolta di articoli dal “National” scritti tra il ‘44 e gli anni ‘50, e pubblicati in volume nel 1852. Del resto la possibilità di un confronto tra le posizioni labrioliane e la cultura positivistica francese non può che avviarsi con questi autori, con i quali lo stesso Labriola si confronta e che distingue nettamente dai sedicenti positivisti italiani, «che sono ricaduti nel materialismo innanzi Feuerbach», che «non afferrano la morfologia storica», che «sono al di sotto di Comte» (Scritti filosofici e politici, cit., p. 809). Nell’ambito della cultura positivista francese, si tratterà dunque di rispondere ad altri quesiti: La Rivoluzione francese costituisce anche qui un terreno di coltura della filosofia della storia? In caso affermativo, perché? E ancora, quali sono le forme che assume la filosofia della storia negli autori considerati? Partirò dalla riflessione della cultura positivista sulla grande Rivoluzione per poi risalire al nostro Labriola. Comte appartiene alla generazione del primo romanticismo, nata dalle turbolenze e dalla discordia degli ultimi anni del ‘700. Questa generazione ha molte passioni, ma tra tutte campeggia la passione della storia, la sola potenza capace di scongiurare i malefizi della frattura rivoluzionaria. Si tratta della scoperta della storia, come la metteranno in scena i grandi filosofi del secolo, Comte, Hegel, Marx: una potenza autonoma ed esterna all’uomo che, come la natura, obbedisce a delle leggi, trasforma nel profondo le società e le conduce, a loro insaputa, verso un progresso necessario. Comte è contemporaneo di Michelet, di Thierry, di Mignet, di Thiers, tutti studiosi del grande evento di fine ‘700. Egli ha vissuto insieme agli altri questa nuova dimensione del senso storico ed ha avviato, rispetto agli altri, un recupero e un apprezzamento sistematico dell’«ensemble du passé humaine». Ricostruendo la storia nel suo insieme e nelle sue varie fasi, egli è divenuto il teorico della storia considerata la «base sperimentale» della sua sociologia. Il suo procedimento vuol essere strettamente scientifico e questo costituisce l’aspetto più originale del suo pensiero. Comte coniuga la rivoluzione scientifica che ha preceduto la Rivoluzione francese con l’analisi degli effetti di tale importante avvenimento, e, mediante i concetti elaborati innanzitutto dal mondo prestigioso delle scienze, egli vuole definire ma soprattutto finire, concludere, la crisi sociale del suo tempo, effetto funesto dell’‘89. Il tema della catastrofe, delle rovine lasciate dalla Rivoluzione dell’‘89, rivela una mentalità diffusa che è il punto di partenza del positivismo, persino nei termini linguistici. Nel vocabolario positivista infatti, positivo si oppone a negativo, come organico (altro termine chiave) si oppone a critico. Quale che sia il punto di vista della lettura dell’avvenimento rivoluzionario, in positivo o in negativo, è opinione generale che l’opera della Rivoluzione e dei suoi “philosophes” sia stata essenzialmente critica e distruttiva. A questo punto il problema diventa pratico: come costruire? O, come ricostruire? Questo interrogativo ha delle implicazioni filosofiche, sociali, politiche, scientifiche. Non è un caso che uno dei momenti decisivi nella genesi del positivismo comtiano sia l’avvento della biologia positiva, il cui statuto scientifico è definito da Bichat attraverso il principio d’unità organica del corpo vivente, e che è svincolata dalle scienze della materia proprio per l’applicazione del metodo sintetico. Attraverso questo passaggio specifico Comte potrà costruire una vera e propria fisica sociale, dominio scientifico nuovo, già intravisto da Saint-Simon, presso il quale, come è noto, Comte svolge le funzioni di segretario per buona parte della sua giovinezza. D’altra parte Bichat, o la biologia, serve a Comte da ponte tra Condorcet, che incarna il principio del progresso, cuore pulsante della sua filosofia della storia, e i cosiddetti «dignes rétrogrades», L. de Bonald e J. de Maistre, portatori della contropartita al progresso: il principio dell’ordine. Comte tuttavia non è un «nostalgico del passato, al contrario, egli è un ottimista che crede nella scienza ed ha fede nell’avvenire. Il progresso scientifico non è da lui separato dal progresso industriale e tecnico che continua il suo corso indipendentemente dai rivolgimenti degli avvenimenti. Le prime crisi capitalistiche, agli inizi della Restaurazione, pongono anche la questione sociale, quella delle sorti della classe «la plus nembreuse et la plus déshéritée», per dirla con Saint-Simon, insomma del proletariato, «campé au milieu de la societé», per dirla con Comte. Questa questione è la finalità stessa del sistema di Saint-Simon e di quello di Comte, per il quale gli interessi dell’industria e della scienza stessa sono subordinate all’utilità sociale e a una giustizia sociale. Questa finalità sociale richiede mezzi politici e pone dunque la questione del potere. Per effetto della rivoluzione industriale, sulla scena della storia appaino nuove tipologie sociali: l’intellettuale, o «savant», l’industriale, lo storico, il filosofo, il proletario. Tuttavia la rivoluzione scientifica, che è alla base del progresso industriale, nonché di quello sociale, intellettuale e morale, impone l’idea e le modalità di un nuovo potere spirituale, indipendente da quello temporale. Al declino del potere della Chiesa corrisponde l’irresistibile ascesa delle verità scientifiche, sole capaci di ricompattare gli animi, di mettere fine all’«anarchie mentale» e alle tensioni sociali. Comte considera i «dignes prolétaires» gli ausiliari dei «savants», e li pone dalla parte del potere spirituale. Secondo questo schema dunque la rivoluzione scientifica, da sola, permetterebbe di risolvere la crisi politica e sociale e di evitare un’altra rivoluzione violenta. L’essenza stessa della scienza non è forse quella di imporsi per la sola forza dell’evidenza, avviando una semplice riforma intellettuale e morale? Tuttavia, per arrivare a questo occorre un’elaborazione filosofica «préalable», capace di «sistemare» il corpo delle verità scientifiche nel suo insieme, di trarne tutte le conseguenze sociali e di rileggere la storia, il passato, in vista dell’avvenire e del progresso scientifico. L’idea non nasce dal nulla: è in cammino a partire dagli Enciclopedisti e dagli Idéologues che hanno tracciato le linee di una nuova filosofia, derivata senza forzature dalla sintesi delle scienze e che ne segue la progressiva realizzazione: l’idea di evoluzione, in tutta la sua complessità, comincia a far capolino. D’altronde l’ottimismo dell’Illuminismo fa del progresso, non tanto una semplice ipotesi o un postulato, ma una legge, provata, in modo sperimentale dalle conquiste della ragione. Condorcet, «le dernier des Philosophes», secondo la celebre espressione di Michelet, è colui che ha per primo cercato di cogliere il senso della grande Rivoluzione dell’‘89: l’Esquisse d'un tableau historique des progrès de l’esprit humaine del 1793 è il testamento dell’Illuminismo. Grazie alla Rivoluzione, il progresso diventa legge e motore della storia, di una storia finalizzata e giudicata sui criteri del razionalismo contemporaneo e priva dunque di qualsiasi forma di relativismo. Comte correggerà Condorcet, anche se lo considera, tra tutti, il suo unico «père spirituel». Per Comte l’avvenimento dell’‘89 è da considerarsi un «inizio» fondamentale almeno per due ragioni: da un lato esso rivela il complesso processo di distruzione dell’ordine feudale e di costruzione di un nuovo ordine ormai inarrestabile; in questo senso costituisce «la phase critique de la transition métaphisique»; dall’altro, e nello stesso tempo, stimola fortemente la manifestazione dello spirito positivista sulla base di una «nozione» sulla quale, dice Comte, «repose toute la science sociale, et, par suite, toute la philosophie positive». Si tratta della nozione di progresso, motore inarrestabile della storia, così come l’aveva presentato Condorcet. La Rivoluzione per Comte ha dovuto utilizzare il progresso innanzitutto come forza di rottura. Da qui gli eccessi, comprensibili, della prima fase «métaphisique et distructrice» che ha poi suscitato la «rétrogradation religieuse» di Robespierre. Solo la fase intermedia, sotto l’egida di Danton, spirito libero e costruttivo, è per lui degna di elogio. La Rivoluzione francese, che presenta così un condensato della legge comtiana dei tre stati, anche se nel disordine della loro successione, è, aldilà dei suoi aspetti negativi, «la preuve expérimentale de la théorie du progrès», secondo la nota espressione di Comte. Ma il progresso rinvia inevitabilmente all’ordine, suo polo complementare, come se si applicasse una legge della fisica sociale. Si capisce dunque che la Rivoluzione dell’‘89, punto caldo e travolgente della storia, può essere compresa e portata a termine solo se ricondotta nell’«ensemble du passé social», e confrontata, in particolare alle epoche organiche, ai tempi calmi e freddi della storia. L’originalità di Comte in realtà non è tanto nei temi della sua riflessione, ma nel suo percorso che vuole «allier l’esprit scientifique à l’esprit historique». Nella sintesi che ne deriva egli sembra accogliere due influenze opposte: l’una rivoluzionaria, l’altra conservatrice. Su questa tendenza dualista, che si ripropone anche a livello del metodo filosofico, tra il Cours, che illustra il progresso dello spirito umano attraverso le conquiste della scienza nella storia, e il Système de politique positive (1852) che sfocia sulla fondazione della religione dell’Umanità, si consuma il confronto e la separazione con Littré, il discepolo più amato e stimato. Emile Littré, il grande diffusore del positivismo del primo Comte, il discepolo non ortodosso, che, per integrità intellettuale, rigetta la seconda parte del pensiero del maestro, quello relativo alla religione dell’Umanità e alla conseguente autoritaria proposta politica capillare e finale, il discepolo che discute animatamente con Stuart-Mill le tesi del comune maestro, colui che ha traghettato la prima parte del positivismo originario nel secondo Ottocento, uno dei politici di spicco della III Repubblica, è la figura di riferimento del positivismo europeo. Il momento più significativo della riflessione politica di Littré intorno alla Rivoluzione francese si situa intorno al 1848, in concomitanza con l’altra rivoluzione in corso, negli anni in cui la riflessione del gruppo positivista sull’‘89 è ancora guidata dalle posizioni di Comte, ma è gestito sostanzialmente da Littré. Il programma del gruppo, che in quegli anni si pone come una sorta di “partito” positivista, è: governare la rivoluzione, seguendo due direttive complementari tra loro, l’ordine e il progresso. Questi concetti implicano il concetto di “conservazione”, intesa come “tradizione” e il concetto di “rivoluzione”, intesa come necessaria “trasformazione” verso il progresso. Rispetto al gruppo dei positivisti, Littré manifesta il disegno di far emergere dalla politica positiva, e accanto all’idea del progresso, una convalida del valore della libertà. In realtà l’itinerario politico di Littré non è lineare, al contrario, è intricato e contraddittorio. Tuttavia è un fatto che il tema da lui più dibattuto è quello della libertà di pensiero, e che, pur definendo metafisica la famosa formula rivoluzionaria “Liberté, Egalité, Fraternité” (perché contraddirebbe la verità biologica e la continuità sociologica, perché “rompe il filo della tradizione e ritiene la storia come non avvenuta”. Cfr. art. del «National» del 1851, in Conservation, p. 306), Littré mette al riparo il principio della libertà, critica quello di eguaglianza e lascia a quello di fraternità la funzione di ammorbidire i contrasti sociali della disuguaglianza. L’inconveniente della Rivoluzione risiede per lui nell’incapacità dei suoi esponenti di trovare un punto di equilibrio fra libertà e uguaglianza, perché troppo sedotti da quest’ultima. L'ineguaglianza è per Littré ineliminabile, è un dato biologico che la sociologia non potrà mai contraddire, è anch’essa fattore di progresso – le differenze di ricchezza nella società moderna sostituiscono le disuguaglianze di nascita e questo è progresso. Il mondo moderno dispone però di misure idonee per contenere le conseguenze negative dell’ineguaglianza e tali misure attingono proprio ai valori della libertà e della fraternità. Da qui l’appello di Littré per un sistema economico fraternamente orientato verso i bisogni delle classi lavoratrici, pur senza alcuna intenzione livellatrice. Tutto questo non è presente nella visione politica del Comte del Système, che tende via via a ridurre gli spazi della libertà nella sua proposta politica sempre più autoritaria e verticistica. Tutto questo è invece parte integrante della filosofia della storia di Littré, il quale assegna una funzione storica essenziale alla libertà, la svincola dal suo significato metafisico, o “rivoluzionario”, e la pone al centro della sua interpretazione della storia come crescente emancipazione di forze intellettuali e morali. Insomma, la filosofia della storia di Littré è permeata dall’idea del progresso dell’umanità, e questo principio, già presente negli anni ‘40, assume una sua specificità e autonomia rispetto a Comte negli anni ‘50, quando si consuma la rottura col maestro, ispira tutta la vasta e pluridisciplinare produzione di Littré fino alla morte, avvenuta nel 1881, e produce conseguenze per la filosofia e per la metodologia della storia nel secondo Ottocento europeo. Enuncio qui alcune di queste conseguenze in forma estremamente schematica: 1 – Littré si oppone al parallelismo fra evoluzione zoologica e origine e progresso del genere umano, parallelismo dovuto alla volgarizzazione del darwinismo; 2 – Littré non disdegna la possibilità di scrivere una storia universale, o quanto meno di delineare una filosofia della storia di portata universale, basata sull’idea di progresso e avente per soggetto l’umanità nel suo insieme. Come Comte, egli ha presenti i modelli settecenteschi di Turgot, Kant, Condorcet, ma non disdegna neppure di prendere in considerazione il modello Bossuet, certamente lontano dallo spirito positivo, volto però anch’esso ad offrire un’interpretazione unitaria della storia; 3 – per Littré il ruolo dei fattori culturali è dominante nel creare il progresso in ambito storico e sociale: le basi materiali dell'evoluzione rimangono subalterne per importanza rispetto al progresso delle idee, in una visione abbastanza convenzionale e diffusa; 4 – tuttavia, per Littré il pensiero scientifico, una delle molle fondamentali per l’evoluzione dell’umanità, dimostra che anche il progresso, come tutto nella storia dell’umanità, presenta dei limiti. Afferma Littré, a conclusione di un articolo del ‘44 (cfr. Conservation): «la parola progresso sembra giusta, bisogna tuttavia non ingannarsi sulla sua portata. Il progresso non è infinito, ma indefinito, come certe quantità matematiche che possono avvicinarsi continuamente a un limite senza giungervi mai. Il limite è posto all’uomo». Per concludere su questo punto dirò che la costante attenzione verso il tema della libertà, la sua filosofia della storia basata su un progresso controllato dalla scienza, la persistenza del sentimento repubblicano in politica, consentono a Littré di distinguersi dalla svolta conservatrice di una parte del positivismo nel periodo del Secondo Impero e oltre. Ben sappiamo come accanto a un positivismo votato al progresso, come quello di Littré, che ha ispirato anche vari ambienti socialisti in Europa, esistono un positivismo “ortodosso”, volto alla diffusione della religione dell’Umanità e dello schema politico autoritario, dovuto a Laffitte, e un positivismo rivolto “all’indietro” che finirà per influenzare gli ambienti conservatori. Ne saranno complessi esempi Renan e Taine, proprio a proposito dell'interpretazione della grande Rivoluzione dell’89, autori che però lasceremo per il momento fuori dal nostro discorso. Ritorniamo al nostro Labriola e lo facciamo con due citazioni, l’una tratta dal testo del 1903, Storia, filosofia della storia, sociologia e materialismo storico, l’altra tratta dall’Appendice al secondo Saggio sul materialismo storico (1902). 1 - «Trovare le condizioni materiali del mondo storico sociale, questo è stato l’assunto del materialismo storico. Assunto parallelo e non derivato da ciò che i meri positivisti hanno chiamato sociologia; e qui voglio notare per incidente che io quando pronunzio la parola positivismo lo faccio sempre con grande apprensione, perché il positivismo, come si è elaborato da Saint-Simon a Littré, era essenzialmente storicismo, cioè tendenza a spiegare la storia». 2 – «Il positivismo, dalle sue origini, è stato sempre alle calcagne del socialismo. Ideologicamente le due cose nacquero, quasi ad un tempo, nella mente indistintamente geniale di Saint-Simon. Furono come il complemento, per antitesi, dei principi della Rivoluzione. La opposizione fra i due termini si venne svolgendo nella variopinta discendenza saint-simoniana; a un certo punto il Comte divenne il rappresentante della reazione… che dispensa agli uomini, nel quadro fisso del sistema, il posto e la destinazione, in nome della scienza classificativa ed onnisciente. A misura che il socialismo è diventato la coscienza della lotta di classe per entro all’orbita della produzione capitalistica, e a misura che la sociologia… s’è venuta consolidando nel materialismo storico, il positivismo, da erede infedele dello spirito rivoluzionario, s’è chiuso nell’orgoglio della sovraeminente classificazione delle scienze, che disprezza il concetto materialistico della scienza stessa, come di cosa mutabilmente consona al variare delle cose pratiche, ossia del lavoro». Non ho il tempo per commentare queste citazioni che però mi sembrano abbastanza chiare rispetto alle posizioni di Labriola verso il positivismo francese originario. Vorrei però tornare al quesito che ci eravamo posti all’inizio: perché la Rivoluzione dell’89 è al centro della riflessione labrioliana della sua filosofia della storia e quali conseguenze teoriche tale riflessione produce? Croce ritiene che proprio per il fatto di aver collocato “il nascimento della dottrina sotto l’impulso di quella grande scuola sociologica che fu la Rivoluzione francese”, il marxismo teorico di Labriola non sia una teoria in senso rigoroso (cfr. Materialismo storico ed economia marxista). Va comunque osservato che fin dal 1887, le ricerche di filosofia della storia, gli studi politico-giuridici, il lavoro compiuto sulla Rivoluzione francese come l’avvenimento storico emblematico della modernità, conducono Labriola a concludere che il socialismo vada inteso come un nuovo strumento teorico in grado di affrontare i problemi della società moderna. Il concetto di epigenesi storica presente nel Labriola pre-marxista, è già il frutto di una riflessione che considera la storia come “processo” ed esprime l’esigenza di un’interpretazione unitaria della realtà sociale. Il metodo dialettico deve essere integrato con l’indagine genetica, volta a ricostruire i differenti fenomeni storico-sociali. La ricerca storiografica condotta proprio sulla Rivoluzione francese consente di impadronirsi del metodo genetico e di applicarlo all’indagine filosofico-politica. Nel periodo della maturità, dopo la lettura delle opere di Marx e di Engels, l’immanenza del socialismo al processo della realtà è un tema di passaggio decisivo e tra genesi e dialettica non ci saranno più distinzioni: la concezione genetica d’ora in avanti alluderà alla metodologia storico-materialistica fondata dalla dialettica scientifica di Marx. La concezione materialistica della storia non è una elucubrazione arbitraria ma è adeguata ai “fatti complessi delle civiltà più avanzate” e permette un’analisi genetica del socialismo moderno. Il metodo genetico consente di non proiettare alcuna struttura a priori sul divenire: esso rispetta i fenomeni e intende riflettere la natura empirica di ogni formazione sociale. Proviamo, sempre per via schematica, a fissare alcuni punti teorici essenziali della concezione materialistica di Labriola e a correlarli con il lavoro da lui compiuto sulla ricostruzione della Rivoluzione dell’‘89. 1 – Il materialismo storico non prende in considerazione i fatti singoli, ma gli insiemi e si interessa ai processi storici interni a tali insiemi: parte dai dati oggettivi, non da quelli soggettivi e cerca le cause e i motori dei processi elementari di riproduzione sociale. Per far questo il metodo genetico risulta il più adeguato. La Rivoluzione francese in questo senso è un avvenimento esemplare: non è un fatto singolo, ma un insieme ed è essa stessa un processo storico, causa e motore di trasformazioni sociali. 2 – La storia va compresa nelle sue forme e nelle sua trasformazioni, va compresa integralmente, nel suo insieme, superando la distinzione essenza e fenomeno: nocciolo e scorza fanno tutt’uno. Il metodo genetico in questo caso acquista un potere di previsione, di “previsione morfologica”, e la storia restituisce la realtà a sé stessa, arricchita dalla comprensione delle cause del suo corso e dalla scoperta della legge del suo movimento. La ricostruzione di Labriola della Rivoluzione francese, contenuta nelle sue lezioni, ma richiamata costantemente negli scritti della maturità, è un esempio di ricostruzione genetica e di previsione morfologica. 3 – Se è vero che nocciolo e scorza fanno tutt’uno, la sfida imposta alla “scienza” è di spiegare la complessità dell’intreccio. Il materialismo storico si fonda sulla mediazione che va dalle cause agli effetti, dalle condizioni ai condizionati, dai precedenti alle conseguenze. L’approccio complesso di Labriola si dà simultaneamente come oggetto le cose stesse e l’autocoscienza presente in queste cose. Nella sua ricostruzione della Rivoluzione francese la narrazione della presa della Bastiglia, figure come Danton, Babef, Saint-Jiust, Robespierre, costituiscono l’autocoscienza degli avvenimenti stessi e contribuiscono a spiegare la complessità dell’intreccio. 4 – La concezione materialistica della storia è scienza nel senso che essa non è semplice constatazione dei fatti, né speculazione, ma forza di astrazione che permette di mettere in campo i termini della mediazione attraverso la quale il fenomeno può essere pensato. La dimensione epigenetica e morfologica si traduce in una sorta di particolare valutazione della storia, definita come emergenza e costruzione di un terreno artificiale. La filosofia della storia di Labriola, in questo senso, non poteva avere un oggetto di riflessione migliore della Rivoluzione dell’‘89. Come spiegare altrimenti quella “catastrofe”? Come coglierne la forza di trasformazione? Come non pensare che quell’avvenimento continua e continuerà proprio nei termini di quella mediazione del pensiero? 5 – Chi vorrà appropriarsi del materialismo storico e svilupparne la teoria dovrà essere in grado di dominare una grande quantità di fatti, un grande intreccio di fenomeni, articolando da una parte l'analisi genetica e la previsione morfologica, ma dall’altra l’arte della narrazione. La scienza delle correlazioni e delle trasformazioni è messa alla prova decisiva e vive il suo momento di verità nella sua capacità di proiettarsi, secondo le esigenze delle situazioni particolari, in pratica della narrazione. Teoria e arte, storia e poesia devono poter passare l’una nell’altra. Il teorico marxista deve poter essere anche storico di una congiuntura, di un’epoca di un fenomeno particolare, deve poter rifare la storia narrandola ed esponendola. Labriola ha dimostrato in questo senso di essere un vero teorico marxista sul terreno della narrazione della Rivoluzione dell’‘89. 6 – In ambito più specificamente teorico politico, gli studi sulla Rivoluzione francese rispondono probabilmente almeno ad altri due quesiti: la formazione della borghesia come classe, la cui affermazione all’origine ha dovuto passare attraverso la forma storica della rivoluzione; l’intreccio tra affermazione della borghesia e definizione dello stato nazionale. Per tornare al nostro tema originario, e in via di conclusione del mio breve discorso, che presenta solo “uno studio di laboratorio”, dirò che la filosofia della storia di Antonio Labriola dall’87 al 1903, attraverso la riflessione e la ricostruzione storica, sia pure imperfetta, della Rivoluzione francese, trova la sua concretezza, divenendo lievito e parte integrante del suo materialismo storico. Il pericolo di una filosofia della storia “sistematica” e “a disegno” è così fugato. Resta comunque il problema dei rapporti tra sociologia, ricerca storica e filosofia della storia, che è poi il titolo di un saggio labrioliano annunciato e mai scritto. I conti con la cultura positivista e con le sue complesse implicazioni rimangono aperti.