SULL'ETIMOLOGIA DI ITT. HATRAI- «SCRIVERE»
di
EMILIO PERUZZI
In ittita cuneiforme, il verbo che, almeno genericamente, corrisponde
al nostro 'scrivere'. è hatriii- «schreiben, mitteilen; beordern; ernennen»
(appa hatriii- «zuriickschreiben, brieflich antworten », kattan arha hatriii« heimlich an jem. schreiben»), donde hatressar (astratto in -essar) «Botschaft, (schriftlicher) Befehl» (per forme, significati e costruzione v. F riedrich, Heth. Wb., p. 66, e Kronasser, Etym., p. 476-477).
Non vi è ragione di non vedere in hatriii- uno dei tanti verbi in -iii- di
origine denominale. Così ad es. da nomi sostantivi abbiamo irha- « Grenze » >
irhiii- «begrenzen », happar «Kaufpreis» > happariii- «verkaufen », da
nomi aggettivi huisu- «lebendig» > huiswiii- «leben ». Per alcuni, senza
dubbio, non mancava in ittita l'antecedente ma solo ci fa difetto la sua attestazione (tanto per fare un esempio, penso a sarkuwiii- «Fussbekleidung
anlegen », che sarà dal nome di una calzatura che non ci è documentato);
per altre formazioni l'antecedente, come accade in qualsiasi lingua, può essere
scomparso lasciando il verbo che ne deriva.
Di questo modulo tanto aperto e vitale iri ittita vale più che mai la
caratterizzazione che ne diede nel 1938 il Pedersen, Hitt., p. 137: «Die
meisten -aje-Verba sind gewiss Denominative gewesen, und der denominative
Charakter liegt in vielen Fallen auf der Hand, z.B. bei ir-ha-a-iz-zi 'macht fertig'
zu ir-ha-a-as 'Grenze', ist aber auch in weniger durchsichtigen Fallen anzunehmen ... Auch Lehnworter sind in diese KIasse aufgenommen worden; sie
beruhen aber wohl nicht auf einem fremden Verbum, sondern auf einem
fremden Nomen, sind also Denominative; so tar-kum-ma-an-zi 'sie kiindigen
an, erklaren' zu assyr. targumiinu 'Dolmetscher' ».
Accanto a hatriii- abbiamo guls- « (Schrift, Zeichnung) einritzen; schreiben, zeichnen, markieren; (Weg durch Brei) andeuten; fest einpragen; bestimmen, bezeichnen; beschreiben, aufschreiben» (Friedrich, Heth. Wb., p. 275
e suppl. III p. 20, Hoffner, RHA, XXV, 1967, p. 51 n. 85).
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Il significato proprio di guls- è « (eine Schrift, ein Bild, eine Zeichnung)
einritzen », come appare per es. quando si dice che un nome è andan gulassan
su argento (ne esamina le attestazioni Friedrich, JCS, I, 1947, p. 280 ss.,
e in molti casi, anche quando egli rende il verbo con sensi più generici come
« zeichnen » o « markieren », è evidente che si tratta di una incisione).
Dunque, in ittita cuneiforme si hanno due verbi distinti: guls- che indica
l'azione di scrivere i n c i d e n d o, e hatriii- che perciò deve riferirsi a un
d i v e r s o procedimento grafico; e che hatriii-, reso genericamente con
« scrivere », dovesse avere un significato specifico, e che questo fosse diverso
da « incidere », è confermato dalla circostanza (rilevata dal Kronasser, Etym.,
p. 476 n. 2) che esso non ha come oggetto 'tavoletta d'argilla'.
Forse proprio per questa palese differenza semantica il Kronasser, ibid.,
suppone per hatriii-: «M. E. nicht im Sinne der Tatigkeit des Schreibens,
sondern 'eine Mitteilung zukommen lassen' (wie akkad. sapiiru 'Nachricht
geben' und 'schicken', das gelegentlich entspricht) ».
Il verbo che indica un particolare procedimento grafico (per es. 'incidere')
può assumere il significato generico di 'scrivere'; anzi, le lingue indoeuropee ci
mostrano che la parola per 'scrivere' (quando non è un prestito, negli idiomi
europei per lo più dal lat. seribere) risulta sempre dalla generalizzazione di
un significato particolare come 'incidere', 'dipingere' ecc. (v. Buck, Diet. 01
Seleeted Syn., p. 1283).
Questo deve essere appunto il caso dell'itt. ger. hatur- « schreiben» e
hatur- «Brief» (con 'grafie singolari', Meriggi, Manuale, I, § 58) rispetto
all'itt. cun. hatriii- « scrivere con procedimento diverso dall'incisione », come
denota la circostanza che tali voci sono attestate nelle lettere i n c i s e su
piombo provenienti da Assur.
Il termine per 'scrivere' che significhi originariamente 'dipingere' o simm.
può derivare da una designazione di colore: per es. goto mel;an «ypaq>Ew»
e mela plur. «ypalJ.lJ.a:t'a., ypa.q>1) », cf. gr. IJ.ÉÀ.a.ç «scuro» > '"t'ò IJ.ÉÀ.a.'J
« l'inchiostro », alto ted. ant. miilon miilen «malen, disegnare» (propriamente con sostanza scura).
Nell'area indoeuropea occidentale abbiamo una voce di etimo ignoto
(del resto, non esiste in indoeuropeo un aggettivo comune per la nozione di
'nero'): *iitros > lat. iiter, che indica in senso fisico il colore 'nero' come
opposto di albus (v. J. André, Ét. sur les termes de eouleur, Paris 1944,
p. 43 ss.), cf. la locuzione figurata che documentano Cat. XCIII.2 « nec scire
utrum sis albus an ater homo », Cic. Phil. 11.16.41 «is qui albus aterue
fuerit ignoras », Hor. ep. 11.2.189 « albus et ater » = umbro *iitros > *iidros
(sulla sonorizzazione V. Bottiglioni, Manuale, p. 87) Ib.29 paleoumbro atru
allu « atra alba» n. plur. acc., VIIa.25 neoumbro adro « atra » n. plur. acc.,
ecc. (non possiamo pensare a un originario *iidros > lat. *iitros con l'assordimento sabino attestato da P. Fest. ed. Linsay p. 4.9-10 « album, quod nos
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dicimus, ... Sabini tamen alpum dixerunt », perché il fenomeno avrebbe
colpito anche lat. albus, tanto più che albus, come si è visto, ricorre spesso
in espressioni fisse quale opposto di ater).
Date le corrispondenze come
ITTITA
LATINO
hant- « parte anteriore»
harke / i- « bianco, chiaro »
hassa- « focolare» (cultuale)
ante
arg-entum
asa > ara
hark- « tenere, avere»
hwant- « vento »
arc-eli
uentus
ITALICO
asco ant
osco aragetud
umbro asaosco aasa-
cf. gr.
à,'J'tL
à,py-6c;
à,pxÉw
(e su h- v. ora Szemerényi, Phonetica, XVII, 1967, p. 93 ss.), è formalmente
ineccepibile ravvisare nell'itt. hatrai- che vale «scrivere con procedimento
d i v e r s o dall'incisione» il denominativo di una designazione di c o l o r e
s c u r o *hatr-, identica a latino ed umbro *atr-os; e ciò si accorda con il
fatto che la scrittura cuneiforme, al pari di quella ittita geroglifica, era primamente stesa su tavole di legno e dunque pure con i n c h i o s t r o (Bossert,
Minoica, Festschr. Sundwall, Berlin 1958, p. 67 ss.).
È appena da notare che spesso il nome dell'inchiostro è un derivato di
'nero' o addirittura.la parola stessa per 'nero' (gr. (lÉ).,a.'J, ingl. ant. bléec
« black = ink », ecc.) e che, d'altro canto, se l'itt. cun. alpas « nuvola» continua ie. *albhos « bianco », avremmo un indizio dell'esistenza in ittita della
medesima opposizione che si ha in latino ed in umbro tra le forme *atros
e *albhos.
Non osta che in ittita 'nero, scuro' si dica forse hanzana- (E. Laroche,
Rev. dJAssyr., XLVII, 1953, p. 41) e certo dankui- (cf. isl. ant. d9kkr, friso
ant. diunk, con diverso grado radicale alto ted. ant. tunkal, ted. dunkel,
Benveniste, BSL, XXXIII, 1932, p. 142), giacché potevano esistere (magari
su diversi piani stilistici) od essere esistite in periodi diversi più designazioni
cromatiche di valore affine, come per es. accanto ad ater si hanno in latino
*calus (scomparso, e continuato solo da caliga), /uruus arcaico, niger, pullus,
*suasus, ecc. Del resto, parole per 'nero' eliminate da successive innovazioni
sono talvolta rimaste proprio col senso di 'inchiostro' (Buck, op. cit., p. 1055)
e noi ignoriamo come si chiamasse tale sostanza in ittita.
Sappiamo invece che in latino l'inchiostro si designa appunto con un derivato di ater, e cioè atramentum.
La scrittura su tavole di legno coperte da una mano di bianco (cioè da
uno strato di calce o di stucco) risale in Roma almeno ai pontefici istituiti
da Numa. Infatti, il ponti/ex maximus stendeva i suoi annales (o meglio, li
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riportava) su tabulae dealbatae, in album (cf. gr. À.EVXW(l.~): Seru. in Aen.
1.373 «ita autem annales conficiebantur: tabulam dealbatam quotannis pontifex maximus habuit, in qua praescriptis consulum nominibus et aliorum
magistratuum digna memoratu notare consueuerat domi militiaeque terra
marique gesta per singulos dies », Cic. de orat. II.52 «ab initio rerum
Romanarum usque ad P. Mucium pontificem maximum res omnes singulorum
annorum mandabat litteris pontife~ maximus referebatque in album et proponebat tabulam domi ».
L'uso delle tabulae dealbatae nell'età arcaica di Roma è confermato dal
fatto che il nipote di Numa, Anco Marcio, « ratus sacra publica ut ab Numa
instituta erant facere, omnia ea ex commentariis regis pontificem in album
relata proponere in publico iubet » (Liu. 1.32.2).
Su legno si poteva scrivere con un calamus intinto nell'inchiostro
oppure con uno stilo che, asportando il rivestimento, faceva risaltare sul fondo
bianco le lettere in colore scuro (cioè il colore del legno messo a nudo).
Di questo secondo procedimento ci si sarebbe appunto valsi per la redazione
delle tavole di Anco Marcio, il quale cruyx~À.Écr~ç "t'oùç tEpoq>av"t'~ç x~t "t'à.ç 1tEPì.
"t'WV tEPWV cruyyp~q>aç, &ç IIo(l.1ttÀ.Loç cr\JVEcr"t'-ricr~"t'o, 1t~p' ~ù"t'WV À.~~wv aVÉyp~IjJEv
Eì.ç oÉÀ."t'ouç x~ì. 1tpOUe'Y}XEV Év ayop~ 1tiicrL "t'OLç ~ouÀ.O(l.ÉVOLç crX01tELV, &ç &.q>~­
vLcrefjv~L cruvÉ~'Y} "t'@ XpOVctl· X~ÀX~L yà.p ClU1tW cr"t'ilÀ~L "t'C"t'E i1cr~v, &'ÀÀ' Èv
OPUtV~Lç Èx~pa"t'''t'ov''t'o cr~VtcrLV OL "t'E VO(l.OL x~ì. ~t 1tEpt "t'WV tEPWV OL~yp~q>~t
(Dion. HaI. II1.36.4).
Tuttavia, la consuetudine della scrittura su pelle già in epoca romulea
(argomento per cui rinvio al mio studio Romolo e le lettere greche, § 11-12,
nella Parola del pass., xx1v, 1969) presuppone l'uso dell'inchiostro,
e non vi è dubbio che anche sul legno dealbiitus si adoprasse pure una sostanza
colorante che creava un contrasto col bianco (l'opposizione di ater ed albus
è significativa in tal senso).
In latino, il verbo 'scrivere', cioè scribo < *skreibbo, cf. italico
*skreifo (osco Tab. Bant. Ve 2.25 scriftas nom. plur. f. «scriptae », umbro
VIIb.3 screhto nom. sing. n. «scriptum », VIa.15 screihtor nom. plur. m.
« scripti » ), indica propriamente la scrittura mediante sgraffio con lo stilo
(v. Ernout-Meillet4 p. 605, Walde-Hofmann4 II p. 499) e deve essere stato
trasparente almeno finché si sono percepiti nel loro significato proprio termini come ." skrobha « suina» letteralmente « la fouilleuse » (> scrofa, forma
non urbana con -f- < -bh-, V. Ernout-Meillet4 p. 605 e cf. scrobis ibid., che a
rigore può anche risalire a * skroibha se proviene da una zona che presentava
o < oi, V. Parola del pass., XXII, 1967, p. 292).
Il passaggio al senso generale di 'scrivere' con qualunque mezzo (v. ad
es. Plt. Pseud. 544a « quasi in libro quom scribuntur calamo litterae ») indica
che la parola si è successivamente banalizzata, forse perché la scrittura di
gran lunga più comune era quella con lo stilo sulle tavolette cerate, il cui
Etimologia di itt. hatrai
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uso è attestato da Liu. I.24.7 per l'epoca di Tullo Ostilio (ma deve essere
più antico, e precisamente latino preromano, se è esatta la mia etimologia
di elementum, v. Romolo e le lettere greche, § 25-42). Ma nel latino arcaico
sono esistiti anche altri verbi per 'scrivere', come si desume da Fest. ed.
Lindsay p. 352.4-6 « resignare antiqui pro rescribere ponebant, ut adhuc subsignare dicimus pro subscribere» e p. 358.19-20 « [re]signare enim antiqui
pro scribere interdum ponebant », P. Fest. p. 457.6-7 «signare significa t
modo scribere, modo anulo signa inprimere, modo pecora signis notare ». Se
connesso col gruppo di secare (v. Ernout-Meilld p. 625), signare avrebbe
indicato propriamente la scrittura mediante incisione o taglio (per es. con
tacche), cioè con procedimento diverso da quello a cui in origine si riferiva
scribere, che poi ha eliminato le altre forme specifiche.
Ciò premesso, va notato che il nome latino dell'inchiostro, atramentum, è
una di quelle formazioni che nella lingua più antica presuppongono un tema
ve r baI e in -a: armamentum < armare, indigitiimentum < indigitiire, ecc.
Le eccezioni, cioè le forme apparentemente denominali di età preciceroniana (elencate da J. Perrot, Les dérivés lat. en -men et -mentum, Paris 1961,
p. 198-199), sono pochissime, e nessuna è decisiva per il nostro fine. Alcune
di esse sono (o almeno sembrano) effettivamente tratte da nomi: pulpa
'carne magra' > pulpamentum 'piatto di carne', sinciput 'mezza testa' > sincipitamenta nome di un piatto, salsus 'salato' > salsamenta 'pesce salato',
scttus 'elegante, bello' > scitamenta 'leccornie'. Ma non si è notato che sono
tutti termini della gastronomia e possono essere manifestazioni della moda di
un suffisso in una lingua speciale: lo stesso pulpamentum sembra costruito su
pulmentum, voce di etimo assai incerto il cui tema potrebbe essere pulmen(cf. umbro pelmner gen. sing. Vb.12 e .17) e che, falsamente analizzato,
potrebbe aver fornito il modulo per altri vocaboli gastronomici in -amentum.
In alcuni casi il verbo è attestato più tardi del nome (per es. laxamentum Cato,
laxiire Cic.), ma ciò non vuoI dire che il verbo sia creazione successiva.
Secondo il Perrot (p. 199), atriimentum sarebbe uno di quei casi in cui
'« un adjectif verbal en -atus, nettement plus ancien que le verbe en -are correspondant, a pu favoriser la formation du dérivé en -amen(tum): atriimentunz
(Plaute): *atro n'est pas attesté; atratus est peut-etre chez Accius [374 ap.
Non. 184 M.], surement chez Caecilius [286 ap. Non. 119 M.] », cf. per es.
«fundamentum (Plaute): fundo n'apparalt pas avant Lucrèce, mais fundatus
est employé déjà par Plaute ». Ma negli esempi addotti dal Perrot, che si contano sulle dita di una mano, è arbitrario ammettere che l'aggettivo in -atus
sia davvero antecedente al verbo, o che quest'ultimo non esista quando non
è documentato: per es. fundatus ricorre in Plt. Mil. 915-918
nam, mi patrone, hoc cogitato, ubi probus est architectus,
bene lineatam si semeI carinam conlocauit,
facile esse nauem facere, ubi fundata, constitutast.
nunc haec carina sati' probe fundata, [et] bene statutast,
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versi dai quali non è ragionevole dedurre che nell'età di Plauto esistessero
lineare, statuere e constituere ma non fundare, verbo per cui anzi proprio
il passo plautino, coi suoi participi, dimostra che esso è implicito nel sistema
e sicuramente vivo nell'uso. Per il fatto che nei testi cerare si trova più tardi
di ceratus che ricorre in Plt. As. 763 « nec cerata adeo tabula », nessuno vorrà
sostenere che non si potesse dire (ed effettivamente non si dicesse) cerare
tabulas nell'età plautina, anzi fin dall'epoca in cui si è scritto su tavolette
cerate; e cosÌ come il fatto che dealbare abbia per oggetto tabula soltanto in
Seru. in Aen. 1.373 non significa certo che non si potesse dire dealbare tabulas
al pari di parietem, columnam ecc. già al tempo di Cicerone e anche vari secoli
prima: un verbo tecnico dal tema albo- per 'dare una mano di bianco' deve
essere esistito fin dal momento in cui si è usato scrivere in albo, cioè sin dalla
più antica età regia.
Bisogna quindi riaffermare la possibilità di una fase in cui 'scrivere' si
esprimeva in latino con verbi distinti secondo il materiale scrittorio e lo strumento usati a tale scopo: seribere (signare ecc.) per la scrittura con lo stilo
o con un oggetto tagliente, *atrare per la scrittura con l'atramentum, verbo
denominale formalmente e semanticamente parallelo all'itt. hatrai-.
Il problema assumerebbe una precisa impostazione, e si avrebbe un'altra
di quelle isoglosse della cultura giuridico-religiosa specificamente proprie di
ittita, latino ed italico (le elenca ora R. Gusmani, Il lesso itt., Napoli 1969,
p. 63 ss.), se ci si potesse valere del venetico atraes{t) inciso nella dedica
sacra Pellegrini-Prosdocimi Vi2 e interpretato « scripsit » dal Lejeune (BSL,
XLVI, 1950, p. 43-47, traduzione abbandonata poi in Latomus, XII, 1953,
p. 396-397 n. 44: «prétérit d'un verbe signifiant quelque chose comme
'mandare' » ). Ma la vera esegesi è ignota e non è nemmeno sicura la divisione
della parola nel contesto, sicché si può dubitare dell'esistenza stessa del vocabolo atraes{t) (v. Pellegrini-Prosdocimi, La lingua ven., I, p. 384-387, e
II, p. 56-58; è perciò superfluo il tentativo di B. Cop, Slavist. revija, XI, 1958,
p. 57-58, per eliminare le difficoltà dell'interpretazione «scripsit» del
Lejeune).
Bisogna dunque limitarsi a constatare la p o s s i b i l i t à di una concordanza fra latino, italico ed ittita in un'antica denominazione di colore, con
la quale si risolverebbe il problema etimologico di hatrai- «scrivere (con
inchiostro) », verbo rispetto a cui un eventuale lat. *atrare con identico
significato costituirebbe una derivazione parallela se pur indipendente.