Manuale di Massofisioterapia Presentazione

! ! Manuale di Massofisioterapia
! ! Presentazione ...................................................................... 2
Prefazione ..................................................................................... 3
! ! Deontologia professionale .................................................. 4
! ! PARTE PRIMA.................................................................. 5
La massofisioterapia di base .......................................................... 5
INTRODUZIONE ....................................................................... 5
Posizionamento del paziente sul lettino......................................... 5
! ! Esame del soggetto ........................................................... 13
! ! Ispezione del soggetto....................................................... 17
! ! Tecniche di massaggio ..................................................... 32
! ! Controindicazioni al massaggio ...................................... 51
! ! Manovre fondamentali .................................................... 55
SFIORAMENTO .......................................................................... 59
SFREGAMENTO ......................................................................... 63
FRIZIONE ..................................................................................... 67
IMPASTAMENTO ....................................................................... 74
PRESSIONE .................................................................................. 84
PERCUSSIONE ............................................................................ 91
VIBRAZIONE ............................................................................... 96
! ! Conclusione ..................................................................... 102
! ! PARTE SECONDA........................................................ 107
ANATOMIA E CINESIOLOGIA ............................................. 110
Piani e assi di riferimento ....................................................... 112
! ! Riferimenti anatomici e cinesiologici............................ 129
! ! Movimenti dell’articolazione scapolo omerale ............ 156
Biomeccanica della scapola ........................................................ 171
Biomeccanica del braccio ........................................................... 175
Biomeccanica del gomito ............................................................ 186
! ! Cinesiologia dell’arto inferiore ..................................... 191
Biomeccanica dell’anca .............................................................. 193
MUSCOLI MOTORI DELL’ANCA ..................................... 198
Biomeccanica del ginocchio ........................................................ 209
MUSCOLI MOTORI DEL GINOCCHIO ........................... 215
Biomeccanica del piede ............................................................... 225
MUSCOLI MOTORI DEL PIEDE ....................................... 231
! ! CENNI DI DERMATOLOGIA .................................... 243
Funzione della cute ..................................................................... 255
! ! PARTE TERZA ............................................................. 264
Patologia e elementi di trattamento ......................................... 265
LE RACHIALGIE ...................................................................... 267
! ! LOMBALGIA ................................................................ 282
TRATTAMENTO ....................................................................... 290
! ! LOMBOSCIATALGIA e SCIATALGIA .................... 307
TRATTAMENTO ....................................................................... 315
! ! LA CERVICOBRACHIALGIA ................................... 335
! ! CERVICALGIA E DORSALGIA .............................. 345
! ! LE FRATTURE ............................................................. 355
! ! FRATTURE DELLE ESTREMITA’ SUPERIORI.... 364
Spalla e omero ............................................................................. 366
Gomito ed avambraccio .............................................................. 370
Fratture del polso e della mano ................................................. 378
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FRATTURE DELL’ARTO INFERIORE ................... 385
Frattura del calcagno ..................................................... 392
Fratture vertebrali ......................................................... 396
Esiti di traumi con conseguenze a distanza nel tempo 401
Manuale di Massofisioterapia
Presentazione
Lo scopo di questo testo è di fornire un contributo teorico di biomeccanica e di metodologia
applicativa alle conoscenze pratiche apprese durante il corso.
In esso sono contenute le nozioni basilari, necessarie per un corretto approccio didattico alle
manualità del massaggio in fisioterapia.
La massofisioterapia è infatti una materia in rapida evoluzione, dove si rilevano continui
aggiornamenti: in questo scritto si offre una visione globale delle tecniche pratiche con
approfondimenti in medicina riabilitativa e preventiva. Si è cercato di condensare nozioni di
anatomia, fisiologia e patologia ortopedica insieme alle tecniche manuali applicative per fornire in
un unico lavoro una visione il più completa e atta possibile, all’espletamento pratico della materia.
Prefazione
Dopo una rapida descrizione dei pani, degli assi e dei valori angolari di movimento per le principali
articolazioni vengono esaminati gli effetti, le indicazioni del massaggio e le controindicazioni.
Si passa successivamente alla descrizione della tecnica delle manovre fondamentali divise per zone
anatomiche e per patologie; tutto è finalizzato a costituire una sorta di manuale operativo da cui
attingere volta per volta gli elementi di valutazione e trattamento per le affezioni comunemente
trattate dal massofisioterapista.
Intendo quindi avvalermi in futuro per il mio lavoro, di questo studio per un fine puramente
operativo e uno di presentazione da allegare al curriculum.
Deontologia professionale
E’ utile precisare che la diagnosi deve essere fatta dal medico specialista, ma che ciò non costituisce
alibi per il massofisioterapista, in quanto egli dovrà per espletare al meglio le sue mansioni,
conoscere quanto più possibile della diagnostica medica, sia per capire la stessa e sia per monitorare
mediante gli stessi test, la condizione del paziente, durante il periodo di trattamento.
E’ altresì utile evidenziare che tale capacità non deve essere utilizzata per vicariare il ruolo del
medico perché, in tale situazione il massofisioterapista, si troverebbe in condizione di abuso della
professione medica con a carico i rischi di una eventuale complicanza delle affezioni anche se ciò
fosse imputabile a cause indipendenti dall’abuso perpetrato.
Si precisa quindi, che il non fare diagnosi da parte del massofisioterapista, significa non impostare
da solo la terapia, perciò i test ortopedici e la conoscenza della semeiotica neurologica e radiologica
non costituiscono reato purché rientrino nelle conoscenze globali del terapista con il fine di
orientare lo stesso nel lavoro posto in essere dopo le indicazioni del medico senza alterarne i
presupposti diagnostici.
La legge infatti pur essendo lacunosa non lascia spazi per interpretazioni arbitrarie, il
massofisioterapista agisce in presenza del medico e su diagnosi fatta dal medico,
può dare terapia come un terapista della riabilitazione per ciò che concerne alle affezioni di
carattere ortopedico o classificate come patologie del sistema nervoso periferico, non può esercitare
in presenza di disfunzioni connesse ad alterazioni del sistema nervoso centrale.
E’ infatti espresso nel decreto ministeriale P.I. del 07 \ 09 \ 1976 che il massofisioterapista,
“….esegue ed applica tutte le tecniche del massaggio e della
fisioterapia sull’ammalato secondo le istruzioni del sanitario, a livello di personale ausiliario e di
terapista della riabilitazione”.
E come un operatore dell’area sanitaria è tenuto a osservare le norme della deontologia
professionale durante l’esercizio dell’attività per il rispetto e la tutela della salute e della privaci del
paziente.
Egli è infatti una figura molto importante nella somministrazione della cura, si trova al centro tra il
medico e il paziente con un ruolo preminente nell’approccio all’evento patologico, e in tale posizione
gli si richiede professionalità e capacità nel relazionare con entrambi nel modo migliore per il
raggiungimento della soddisfazione piena di malato ed equipe medica.
Art. 622 Codice penale- Rivelazione del segreto professionale
Chiunque avendo notizia, per ragioni del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte,
di un segreto, lo rivela, senza giusta causa ovvero lo impiega a proprio o ad altrui profitto è punito,
se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un’ anno o con multa. Il debito è
punibile a querela della persona offesa.
PARTE PRIMA
La massofisioterapia di base
INTRODUZIONE
La reale efficacia del massaggio in fisioterapia, dipende da alcune condizioni:
-
-
la preparazione tecnica del massaggiatore,
-
-
le condizioni in cui viene svolto il massaggio,
-
-
la posizione del paziente e del massaggiatore
-
-
il tipo di patologia
-
-
la durata del ciclo dei trattamenti e del singolo trattamento.
Per l’esecuzione del trattamento di massofisioterapia, normalmente vengono usati: il lettino o la
sedia, i quali dovrebbero possedere la caratteristica di essere regolabili almeno in altezza.
Il lettino deve essere coperto con il lenzuolo pulito ad ogni cambio paziente.
Per meglio accedere alle parti da trattare e per favorire il rilasciamento della muscolatura, si usano
a secondo della costituzione del malato e a discrezione del terapista, rulli del diametro di cm.20 da
posizionare sotto il poplite nel decubito supino e sotto le tibio- tarsiche nel decubito prono. Nel
decubito prono in soggetti magri dove il trattamento necessita di avere la colonna in delordosi si
pone sotto l’addome un cuscino e se il lettino lo consente si abbassa lo schienale per l’appoggio del
capo e del collo, oltre l’orizzontalità., ( ci cono per questa esigenza lettini con il foro per il viso).
Posizionamento del paziente sul lettino
Rullo per detendere i flessori dell’anca ed agevolare le manualità sull’arto
Cuscino per ridurre la lordosi lombare e agevolare le manualità sul dorso
Piano d’appoggio rialzato per scaricare gli
estensori dell’anca e agevolare le manualità
Per massaggiare si usa comunemente olio, crema, o talco. Questi prodotti si selezionano in base alle
finalità del trattamento e in relazione al tipo di cute da trattare.
Oli e unguenti solitamente vengono impiegati per pelli secche e sensibili, per traumi, per specifiche
patologie e per massaggi sportivi.
La vaselina talvolta ha un effetto irritante, peggiora la traspirazione cutanea e causa la comparsa di
foruncoli. Il talco, assorbe bene il sudore ed il sebo, la pelle non viene irritata ed inoltre si lava
facilmente, perciò viene usato in presenza di pelle grassa con elevata sudorazione.
Per meglio sentirsi nell’adempiere al proprio compito si consiglia di massaggiare con abiti comodi,
puliti, ( l’igiene personale è la prima regola da seguire ) e leggeri in quanto sovente il lavoro è
faticoso e in ambienti surriscaldati.
Le mani vanno curate; lavate ad ogni cambio paziente, mantenute prive di escoriazioni e con le
unghie corte. Durante il massaggio è assolutamente vietato portare orologi, anelli o bracciali: ciò
per non ledere il paziente e per non veicolare microbi sullo stesso e su se stessi, ( spesso questi oggetti
non vengono mai disinfettati o lavati ).
La posizione del massaggiatore durante il lavoro deve essere comoda: cambiarla spesso aiuta a
prevenire i sovraccarichi funzionali.
È importante che le posizioni assunte dal terapista durante il massaggio consentano di seguire
attentamente le reazioni del paziente, valutandone ogni richiesta o lamentela; pertanto bisognerà
limitare quanto più possibile le posizioni in cui l’operatore volge le spalle al malato. La comparsa di
reazioni negative richiede l’interruzione del trattamento e il consulto con il medico.
Il lettino deve essere accessibile da ogni lato, il paziente posizionato come sopra deve trovarsi oltre
che in una posizione ottimale per essere trattato, anche, in una posizione per lui gradevole e
predisponente al rilassamento; non si esiterà quindi a fornirgli un cuscino, magari rigido per
sorreggere il capo in posizione supino, o a posizionargli gli arti superiori sul lettino davanti la testa
o con le mani sotto la fronte o con tutto l’arto pendente dal lettino
È importante per l’esecuzione del massaggio che i muscoli delle estremità siano in posizione media
fisiologica in modo che diminuisca anche la pressione sulle articolazioni.
La seduta del massaggio non è determinabile esattamente nella durata in quanto questa varia a
secondo della zona da trattare, della patologia in atto, di come risponde il paziente della sua
sensibilità, della sua età e condizione generale.
La determinazione del numero delle sedute e della durata del singolo trattamento sono sempre da
programmare in base ai progressi attenuti, anche se generalmente e per convenzione si fanno
pacchetti di dieci incontri invitando il paziente a finire il ciclo anche se la sintomatologia è
scomparsa, al fine di garantirsi un buon risultato duraturo. Se il paziente necessita di più di dieci
sedute sarebbe bene interrompere il ciclo per una decina di giorni prima di iniziare il successivo.
Il primo trattamento non deve essere di lunga durata e neanche di grande intensità.
In linea generale il miglior beneficio lo si ottiene massaggiando gli arti per 10 \ 15 minuti ciascuno,
mentre il massaggio pre gara dura in media da 5 a 20 minuti e quello di recupero si protrae dai 15
ai 30 minuti. Il massaggio generale non deve superare i 45 minuti.
Esame del soggetto
Se il massaggio è a scopo terapeutico l’indagine e la raccolta dei dati anamnestici è di pertinenza del
medico, al terapista spetta comunque la capacità interpretativa della diagnosi, quindi la cultura in
materia dovrà necessariamente essere il più vasta possibile, al fine di intrattenere rapporti stretti
con il personale medico e per somministrare terapie correte.
Conviene comunque fare una scheda personale del soggetto da trattare, contenente le generalità, la
storia clinica, le abitudini lavorative e o sportive e la condizione psicologica con cui il paziente si
sottopone a terapia.
Ispezione del soggetto
L’ispezione del soggetto segue sempre la diagnosi del medico; si deve evidenziare il tipo di disturbo
nella sede d’insorgenza e caratterizzarlo nella sua intensità dolorifica, nella tipologia ( acuto,
cronico) nei suoi esiti invalidanti o limitanti la funzionalità.
Si testano i movimenti e l’andatura, ( osservare come il paziente cammina, come si adagia sul lettino)
si ispeziona la cute, la muscolatura e lo stato generale.
Il colore della cute indica eritema ( arrossamento della pelle dovuto ad una dilatazione dei vasi
capillari ), cianosi ( colorazione blu o violacea ) o pallore
( aspetto biancastro ).
Con la palpazione si esamina la temperatura cutanea mediante comparazione
( aumento è indice di infiammazione ); l’umidità o la secchezza della pelle (per orientarsi sull’uso di
ali e talco); lo spessore della cute (atrofia o ipertrofia cutanea); la mobilità della cute ( indice di
aderenze ); l’elasticità ( in presenza di cicatrici ); la consistenza ( resistenza alla pressione );
sensibilità dolorifica ( con pizzicamento, percussione o puntura ).
La palpazione del tessuto muscolare va fatta nella posizione migliore per consentire al paziente il
miglior rilassamento. Dalla posizione di rilassamento si esamina il tono e la contrazione leggera,
permanente e involontaria dei muscoli striati, dipendente dai centri nervosi ed in stretta dipendenza
dalle situazioni psicologiche.
Alcune malattie, come la paralisi flaccida, sono caratterizzate dalla diminuzione del tono e talvolta
dalla sua scomparsa.
Esaminando il trofismo muscolare bisogna tenere conto dell’età, della costituzione, del mancinismo.
Con la palpazione profonda si possono evidenziare: contratture ( contrazioni patologiche prolungate
ed involontarie di un muscolo accompagnate da rigidità ); fibrosi ( trasformazione anelastica del
tessuto muscolare in conseguenza di alterazioni funzionali che si protraggono nel tempo); crampi (
spasmi tonico – muscolari dolorosi con contratture ); edemi ( infiltrazioni di liquido nei tessuti che
sono molli alla palpazione e nei quali la pressione del dito lascia un incavo ); pseudo ipertrofia
(contrattura permanente con conseguente retrazione tendinea ); lesioni del ventre muscolare o della
aponeurosi ( dolore vivo alla palpazione ).
Lungo i tendini la palpazione va eseguita sull’inserzione tendineo – periostale per rilevare che non
vi siano infiammazioni ( tendiniti ), processi degenerativi
( tendinosi ) tumefazioni della guaina tendinea ( tenosinoviti ). In questi casi il dolore rilevabile
attraverso la palpazione lungo il decorso del tendine esclude il massaggio.
Sulle articolazioni si controlla l’eventuale versamento, che può essere indice di una affezione
sinoviale ( idrarto )
che provoca un aumento del volume dell’articolazione rilevabile da una
sensazione di resistenza elastica e pastosità alla pressione.
La funzione viene esaminata attraverso i movimenti attivi e passivi per vedere l’esecuzione nei suoi
gradi d’ampiezza ed apprezzarne la forza e la durata della contrazione muscolare. Si ascoltano,
così, anche gli eventuali rumori endoarticolari e si controlla se c’è dolore al movimento nella sua
espletazione o nel mantenimento dei gradi estremi di escursione.
Tecniche di massaggio
Il massaggio ha una larga applicazione non solo nelle cure dei traumi e delle malattie, ma anche
nella eliminazione della fatica per aumentare le capacità recupero e di lavoro degli atleti. I metodi
di massaggio che si possono esercitare producono differenti effetti ed azioni fisiologiche su organi ed
apparati, conoscerne le basi è assolutamente indispensabile al fine di porre in atto il trattamento
massoterapico di più idonea applicazione di fronte alle molteplici esigenze che di volta in volta si
presentano sia in ambito patologico che in campo igienico – salutistico.
In linea generale il massaggio va sempre eseguito nel senso di “marcia” del sangue: centripeto
(verso il cuore ) per le vene, centrifugo, per le arterie. In genere dalla periferia al centro.
Per gli arti superiori e il torace, la direzione è : mano – avambraccio – braccio – con scarico in zona
ascellare.
Per il collo si dirige verso la spalla lateralmente.
Per il tronco la direzione è verso la fossa iliaca.
Per gli arti inferiori si va in progressione da: piede, gamba, coscia, con scarico in zona inguinale.
Condizione essenziale per il massaggio è il non dolore durante l’esecuzione di tutto il trattamento.
Il massaggio ha un’azione diretta locale e meccanica ed una indiretta generale che influisce sul
sistema nervoso e vegetativo.
Sulla cute il massaggio produce una riduzione dello strato corneo, una migliore vascolarizzazione e
un miglior trofismo, migliora l’elasticità, aumenta le funzioni specifiche ( persfiiratio, secrezione
sebacea ), facilita la penetrazione di sostanze, produce una vasodilatazione di tipo attivo con
conseguente arrossamento, migliora la sensibilità propriocettiva, dolorifica ( aumento delle soglie
per adattamento dei recettori allo stimolo ) e calorica ( sensazione di calore per la sollecitazione dei
recettori calorici ).
Sulla circolazione il massaggio ha un effetto prevalente sul circolo di ritorno, poco sui capillari.
Infatti sulle vene basta la pressione da sfregamento per migliorare la “vie a tergo” ( forza di spinta );
in via riflessa la contrazione modesta aumenta il tono delle vene e migliora la circolazione arteriosa.
Sui vasi linfatici il massaggio ha un effetto favorevole, favorendo la rimozione dei cataboliti e
migliorando l’apporto di metaboliti nuovi con miglior trofismo dei tessuti.
Si tenga anche presente l’azione vasodilatatrice a livello delle arteriole in seguito all’incremento di
sostanze instaminosimili prodotte da emastociti.
Migliorando la circolazione il cuore lavora in vantaggio: aumenta la gittata per aumento del circolo
di ritorno, diminuisce la frequenza, e si abbassano le resistenze sia dei grossi vasi che dei capillari.
Sul tessuto muscolare, il massaggio aumenta il trofismo e la capacità di recupero in quanto il
muscolo essendo riccamente vascolarizzato ed innervato trae beneficio dalle stimolazioni
meccaniche che ne migliorano la reattività,( fenomeno del riflesso di tipo assonale ) il tono (
fenomeno riflesso a livello centrale ),
La circolazione migliorata, permette di agire positivamente sulla fatica grazie al deflusso dei
cataboliti acidi e all’apporto di ossigeno che affluisce ai capillari.
Sul sistema nervoso il massaggio agisce soprattutto sul dolore con effetto sedativo; lo scorrere delle
manovre in modo calmo e continuo, determina un effetto rilassante per azione diretta sui fusi
muscolari conseguente alla riduzione del tono.
L’effetto migliore del massaggio è quindi quello rilassante che ha effetto sedativo e cinestesico
coinvolgendo l’aspetto psichico. Tale aspetto è in stretta dipendenza dal rapporto che si instaura col
terapista e l’ambiente.
Controindicazioni al massaggio
Il massaggio è controindicato nelle lesioni traumatiche recenti, ( attendere 5 / 7 giorni per stiramenti
– strappi – distorsioni – lesioni muscolari, legamentose e tendinee. )
Sono altresì da interdire al massaggio alcune zone sedi di gangli linfatici, quali il cavo ascellare e
l’inguine, le sedi di vene superficiali quali la faccia interna della coscia e il cavo popliteo. Sono
controindicate a subire il massaggio anche tutte le salienze ossee superficiali, come, la cresta tibiale,
i malleoli, le apofisi spinose vertebrali e le spine scapolari.
Manovre fondamentali
Sfioramento – Sfregamento -. Impastamento – Pressione – Percussione – Vibrazione, sono le
manovre fondamentali utilizzate nella massoterapia. Variando e graduando forza, intensità e ritmo
se ne modificano gli effetti.
La gradualità è il principio da seguire nel corso del trattamento e nelle sedute successive: è bene
iniziare con le manovre leggere aumentando gradualmente la forza e l’intensità delle manovre. Si
deve tenere comunque presente che il ritmo veloce induce un aumento del tono, preparando allo
sforzo fisico mentre un ritmo lento ha effetto analgesico e rilassante.
SFIORAMENTO
Lo sfiramento è la manovra con cui si inizia e si conclude il trattamento. Consiste in uno
scivolamento armonico ed elegante della mano sulla cute senza esercitare pressione. Ha funzione
sedativa in quanto agisce sulle terminazioni specifiche sensitive e dolorifiche, aumentandone
progressivamente la soglia e prepara alle manovre più profonde.
È preferibile usare sempre le due mani contemporaneamente contemporaneamente o alternate (
per dare maggiore continuità ) in modo da estendere il più possibile il massaggio sulla zona
interessata e cercare di usare la mano in tutta la sua ampiezza appoggiando bene anche le dita. Se si
usa una mano sola ( ad esempio su superfici piccole ), l’altra deve rimanere poggiata sul paziente.
SFREGAMENTO
Aumentando la pressione si ottiene lo sfregamento, che è la manovra più importante in quanto
precede, intercala e segue ogni altra manovra. L’azione ha un effetto - convogliante sui vasi
affluenti con effetto aspirante a valle e premente da tergo e deve essere sempre eseguito nel senso
della circolazione venosa.
Nello sfregamento appoggiato o profondo le mani devono sempre seguire la direzione delle fibre
muscolari in modo da favorire al massimo con pressioni scivolate l’azione drenante sulle masse
muscolari. Il tempo passivo di ritorno va eseguito con sfioramento a piuma.
FRIZIONE
Si distingue dallo sfioramento – sfregamento in quanto la mano mantiene costantemente il contatto
con la cute e non si sposta che nei limiti della lassità del sottocute “ frizionando” i piani superficiali
su quelli profondi.
Gli effetti variano secondo la pressione esercitata: su piccole articolazioni si usa generalmente il
polpastrello del pollice o delle dita premendo leggermente a scopo mobilizzante, si userà una
pressione digito – palmare più profonda sugli arti a effetto decongestionante; se si vuole ottenere un
effetto più incisivo si possono usare le dita sovrapposte ( ad es. su una cicatrice ), o le mani
sovrapposte ( ad es. su muscoli particolarmente contratti ) in modo da vincere le maggiori resistenze.
Con questa manovre generalmente si insiste da 1 a 4 / 5 secondi su ogni punto da trattare o anche di
più in caso di muscoli particolarmente contratti e affaticati. Le frizioni, vanno eseguite di solito in
numero di 5 / 6 consecutive, con alternanza di manualità profonde drenanti.
Le frizioni risultano essere di particolare efficacia nello scollamento di
aderenze cicatriziali;
migliorando la vascolarizzazione e il trofismo dei tessuti e agevolano lo scorrimento degli stessi gli
uni su gli altri.
IMPASTAMENTO
L’impastamento è una manovra applicabile solo dove è presente massa muscolare. Tale tecnica
consiste nel pinzare, sollevare e spostare trasversalmente il muscolo esercitando una pressione del
pollice contro le altere dita della mano contrapposta.
Si distinguono due forme principali di impastamento: superficiale e profondo.
Il pizzicottamento, è invece un tipo di impastamento che si esegue generalmente su piccole zone ed è
praticato sollevando cute e sottocute fra il pollice, l’indice e le altre dita adeguando la presa alla
superficie da trattare.
Su zone estese, si usa di norma l’impastamento profondo, con il quale si esercita un’energica
pressione sul tessuto muscolare da trattare; qui si possono usare le mani contemporaneamente o
alternativamente ( quando una prende l’altra rilascia).
Mentre il pizzicottamento ha un maggior effetto stimolante sulla cute con azione vasodilatatrice
riflessa, l’impastamento profondo ha un maggiore effetto drenante, in quanto comprime e “ strizza
“ il muscolo liberandolo dai liquidi fisiologici e patologici ( azione defaticante sul muscolo ). Il tutto
favorisce: l’attivazione del circolo e di riflesso, il metabolismo del tessuto muscolare.
Il rotolamento, è una forma di impastamento che si esegue sugli arti sfruttando come piano di
compressione le mani opposte l’una all’altra lungo lo spessore dell’arto esercitando un movimento
rotatorio attorno al segmento osseo. Le manovre vengono solitamente alternate dopo 2 / 3 passate a
sfregamenti profondi.
PRESSIONE
Consiste in una pressione comprimente in senso perpendicolare alla cute del paziente. Si esegue con
la mano che assume una forma diversa a seconda dell’estensione della ragione da massaggiare: sugli
arti la pressione si esegue con la mano disposta ad anello quasi completo col pollice in opposizione.
Su superfici più estese si esercita con tutte le dita riunite e col palmo della mano e si usano le due
mani simultaneamente disposte ad anello ogni volta che la zona lo consente
( es. la coscia ) in modo da esercitare una pressione più completa ed avere il migliore effetto. Segue il
rilasciamento lento per la durata complessiva di pressione – depressione di 10 secondi effettuata
sempre con gradualità e delicatezza.
Solitamente le pressioni vengono esercitate dalla periferia verso il centro nel senso della circolazione
venosa, la quale, ne trae beneficio meccanico. Sugli arti inferiori, per esempio, partendo dal piede
con spremitura fino alla radice dell’arto si favorisce il deflusso dei liquidi e, quindi il riassorbimento
in caso di edemi da ristagni circolatori. Se si vuole avere un maggiore effetto anche sulla
circolazione venoso - linfatica, si deve effettuare prima: una serie di pressioni a ritroso, cioè in senso
centrifugo, in modo da liberare i vasi superiori; poi si effettuano le pressioni ritornando verso il
centro.
Questa sequenza di manualità dura una decina di minuti, ( cinque per ogni arto ) e si conclude
sempre con direzione centripeta.
Avendo anche una azione riflessa secondaria sul tessuto nervoso di tipo sedativo questa tecnica può
essere applicata in caso di traumi recenti di tipo legamentoso in cui non vi sia versamento ematico.
PERCUSSIONE
Consiste in una serie di picchiettamenti rapidissimi e brevissimi eseguiti più o meno rapidamente e
con intensità variabile usando le dita, il bordo della mano o le mani a coppetta. Gli effetti variano a
secondo della forza usata: con i polpastrelli delle dita semiflesse si agisce in modo leggero e sedativo,
con le mani a coppetta si crea un cuscinetto d’aria che rende più elastica la battitura e quindi più
regolare e delicata, con la mano disposta a taglio e le dita rilassate si creano una serie di percussioni
con effetto stimolante.
In generale la percussione crea un effetto trofico o tonico sul muscolo in quanto ne migliora la
contrattilità e il metabolismo; agendo indirettamente sulle arterie
( vasodilatazione riflessa ) migliora la vascolarizzazione muscolare ed è pertanto indicata in lesioni
che hanno provocato ipotrofia. Vi è anche una azione stimolatrice sul sistema nervoso.
VIBRAZIONE
La vibrazione consiste nel trasmettere movimenti brevissimi e rapidissimi che nel loro agire
spostano il tessuto sottocutaneo. Si effettua con i polpastrelli delle dita o con tutta la mano con
azione vibratoria che parte dal braccio ed avambraccio e si trasmette al segmento distale; se ne
possono indicare generalmente di due tipi, quella verticale e la orizzontale.
VERTICALE: si esercita perpendicolarmente rispetto alla superficie cutanea con intensità
variabile in relazione alla sensibilità del paziente. Sugli arti la si esercita mediante scuotimento
afferrando l’estremità distale ed imprimendo sollecitazioni vibratorie a tutte le masse muscolari.
ORIZZONTALE: si esegue generalmente a piena mano in senso opposto alla precedente (
trasversalmente ) con effetto sedativo se messa in atto blandamente o con effetto stimolante se
prodotta con movimenti ampi ed energici.
Al fine di sommarne gli effetti, è indicato alternare tutte e due le manualità
Conclusione
Tutte le manovre fondamentali vanno variate per meglio adattarsi ai trattamenti posti in essere,
caso per caso. Ogni manualità ha effetti differenti a seconda dell’intensità con cui viene espletata e a
seconda della sensibilità del soggetto ricevente.
Le diverse manovre devono essere alternate in modo che una seduta di massaggio inizi e finisca
sempre in modo dolce, percussioni ed impastamenti, saranno inseriti a metà del trattamento.
Un massaggio effettuato con sfioramento, frizione e pressioni leggere, che si limiti a provocare
reazioni locali degli apparati recettori della sensibilità e dei riflessi vaso – motori, si trasforma quasi
sempre in uno stato di rilassamento generale e di distensione psico – fisica.
PARTE SECONDA
ANATOMIA E CINESIOLOGIA
Piani e assi di riferimento
Per comodità nell’indicare le posizioni dei segmenti anatomici nello spazio, deve essere stabilito un
sistema di riferimento. Tradizionalmente si fa uso di un sistema che definisce tre piani cardinali di
orientamento tra di loro perpendicolari: sagittale, trasversale e frontale.
Il piano sagittale divide il corpo in una metà dx e una metà sx e ruota attorno ad un asse
orizzontale.
Il piano trasversale divide il corpo in una metà superiore ed una metà inferiore e ruota attorno
ad un asse verticale.
Il piano frontale divide il corpo in una metà anteriore ed una metà posteriore e ruota attorno ad
un asse sagittale.
La posizione di partenza o posizione anatomica del corpo viene stabilita per convenzione con lo
stesso in posizione eretta, arti superiori lungo i fianchi con i palmi delle mani rivolti in avanti.
Flessione – estensione : sono i movimenti in cui i segmenti mobili si spostano sul piano sagittale
intorno all’asse orizzontale: la flessione del braccio nella spalla è definita come movimento in avanti
ed in alto sul piano sagittale e l’estensione come movimento in basso e in dietro, sul medesimo
piano; nella tbio – tarsica al fine di non generare confusione si usano termini di dorsiflessione per la
flessione dorsale e flessione plantare per l’estensione.
Adduzione e abduzione : questi movimenti avvengono sul piano frontale, l’abduzione delle dita delle
mani e dei piedi corrisponde all’allontanamento delle stesse dal dito medio, mentre l’adduzione ne
definisce
il movimento di avvicinamento. Nella spalla o nell’anca l’abduzione definisce il
movimento che l’arto compie allontanandosi dalla linea mediana del corpo con direzione verso
l’alto, mentre l’adduzione è il movimento inverso.
Rotazione mediale e laterale : questi movimenti avvengono attorno all’asse longitudinale e sul piano
trasversale, quando il corpo è in posizione anatomica ( con eccezione della clavicola ).
Circonduzione : è un movimento combinato risultante dalla messa in funzione di flessione –
abduzione – adduzione o viceversa, per cui, l’arto percorre una traiettoria a forma di cono avente il
fulcro nell’articolazione sede di partenza del movimento.
Antepulsione
( o flessione orizzontale ) : viene eseguita dall’arto superiore partendo da una
posizione di abduzione : il movimento dell’arto avviene su un piano orizzontale ed è portato in
avanti verso la parte frontale del corpo.
Retropulsione (estensione orizzontale ) : è il movimento opposto all’antepulsione.
Movimenti dello scheletro assiale ( colonna vertebrale )
Tratto cervicale : flex 60°, est. 90° ; flex laterale 45° ; rotazione 40° - 60°.
Tratto dorsale : flex 30°, est. 20° ; flex laterale 45° ; rotazione 40° - 60°.
Tratto lombare : flex 30°, est. 80° ; flex laterale 40° ; rotazione 10°.
Riferimenti anatomici e cinesiologici
I muscoli del tronco si possono dividere sul piano frontale in :
-
-
muscoli posteriori, che a loro volta si differenziano in superficiali ( grande dorsale ), medi (
dentato posteriore superiore ) e profondi ( paravertebrali ), o più in dettaglio muscolo ileocostale,
lunghissimo del dorso, e spinali.
-
-
muscoli latero – vertebrali : ( psoas e quadrato dei lombi )
-
-
muscoli anteriori : ( addominali )
Questi muscoli formano il tronco e gli conferiscono capacità dinamica : i muscoli posteriori, in
azione simultanea mantengono il busto eretto con le curve fisiologiche del rachide; i muscoli laterali
avvicinano il tronco alle cosce e viceversa ( psosas ), ed estendono il bacino ( quadrato dei lombi ) ; i
muscoli addominali flettono il bacino sul tronco e viceversa con azione delordosizzante. La
muscolatura laterale funge anche per movimenti di latero – flessione del tronco se messa in azione
da un solo lato.
I muscoli estensori del rachide cervicale sono :
-
-
muscolo splenio ;
-
-
la porzione del colo e della nuca del sacro - spinale ;
-
-
i muscoli sotto- occipitali
-
-
le porzioni profonde dei muscoli spinali del collo e della nuca.
I muscoli del rachide dorsale e lombare sono :
-
-
il muscolo sacro-spinale ed il muscolo semispinale del dorso,
-
-
i muscoli trasversi e interspinosi
-
-
i muscoli quadrato dei lombi ed il gran dorsale.
I muscoli flessori del rachide sono :
-
-
per il tratto cervicale il muscolo sternocleidomastoideo ;
-
-
i muscoli paravertebrale e cioè il lungo del collo, il grande retto anteriore della nuca ed il
piccolo retto, i tre scaleni ed i muscoli sopra e sotto ioidei.
-
-
Per i tratti dorsale e lombare, il retto dell’addome, i due obliqui dell’addome esterno ed
interno ed il muscolo psoas.
I muscoli flessori laterali sono gli stessi che nei singoli segmenti del rachide provocano l’estensione
e la flessione. Questi nell’agire mono - lateralmente determinano la flessione della colonna dallo
stesso lato.
Per il rachide cervicale la latero - flessione avviene ad opera di:
-
-
rotatori dal lato opposto, lo sternocleido mastoideo e la posizione cervicale dei muscoli
intertrasversari e interspinosi ;
-
-
rotatori dallo stesso lato sono lo splenio del capo e del collo, la porzione cervicale del
sacrospinale ed i retti obliqui della nuca.
Per il rachide lombare e dorsale, i rotatori sono :
-
-
Dal lato opposto: il muscolo obliquo esterno dell’addome, il muscolo semispinale del dorso e
la porzione dorsale e lombare dei muscoli interspinosi e intertrasversari.
- -
Dallo stesso lato: la porzione dorsale e lombare del muscolo sacrospinale e del muscolo
obliquo interno dell’addome.
Movimenti dell’articolazione scapolo omerale
La scapolo omerale è l’articolazione più mobile del corpo umano, in essa avvengono: movimenti di :
abduzione 90° ( limitati dagli adduttori e dal troclite che si imbatte nella volta acromiale ); adduzione
10 – 20° ( limitata dal legamento coraco-omerale, dai muscoli antagonisti e dall’ostacolo del tronco ) ;
retroposizione 30° ( limitata dal legamento coraco – omerale ) ; anteposizione 90°, rotazione : 60 in
extrarotazione e 40° in intrarotazione ( attorno all’asse passante per la diafisi omerale con il braccio
abdotto a 30° ).
Nella diartrosi sterno – clavicolare avengono movimenti di elevazione 40-50° e abbassamento per 510° e di ante – retropulsione per 30° ognuno.
Nella acromio - claveare i movimenti sono condizionati e direttamente dipendenti dalle dinamiche
della articolazione scapolo – toracica. Per questa continuità anatomica nelle due articolazioni,
abbiamo un notevole “range” di movimento.
Nella scapolo – omerale si hanno 90° di abduzione pura, ai quali si sommano 60° di altalena
scapolare e 30° di anteposizione a omero intraruotato; il tutto per raggiungere i 180° di escursione
articolare. La posizione di abduzione a 180° è sostenuta dai muscoli: deltoide, sopraspinato e in
misura minore dal bicipite e dal sottospinato.
L’adduzione si compie come movimento inverso all’abduzione ad opera dei muscoli : grande
pettorale, grande dorsale, grande rotondo, tricipite, coracobrachiale e sottoscaploare ( in minima
parte ).
L’ anteposizione della spalla avviene per intrarotazione e per aumento della cifosi dorsale, la
quantificazione dei gradi di escursione di questa dinamica è strettamente dipendente da vari aspetti
costituzionali, dall’età e dagli adattamenti morfologici che le parti anatomiche coinvolte possono
aver subito durante attività sportive e lavorative.
Retroposizione ( etsensione ) fino a 20 – 30°.
Muscoli flessori : deltoide nella sua parte anteriore, coracobrachiale, grande pettorale, bicipite.
Muscoli estensori : tricipite, deltoide nella sua parte posteriore, grande dorsale, grande rotondo e
sottoscapolare.
Per quanto riguarda i movimenti di intra ed extra rotazione, questi, vanno valutati con il gomito
flesso a 90°.
Rotazione esterna = 50°. Si arriva a 90° grazie alla retroposizione della scapola; i muscolo deputati
a tale dinamica sono il sottospinato, il sopraspinato, il piccolo rotondo, ( cuffia dei rotatori ) il
deltoide nella sua parte posteriore ed il tricipite
( capo lungo ).
Rotazione interna = 80° ( con anteposizione della spalla ). Il motore primario in questo movimento è
il muscolo sottoscapolare e in misura minore partecipano i muscoli grande pettorale, grande
rotondo, grande dorsale, deltoide con i fasci anteriori e capo lungo del bicipite.
Biomeccanica della scapola
I movimenti compiuti dall’arto superiore sono notevoli e di ampie escursioni, essi avvengono in
collaborazione con tre segmenti ossei : la scapola, l’omero e la clavicola. Per cingolo scapolo
omerale si intende quel comparto anatomico che comprende l’articolazione le articolazioni scapolo toraciche, omero – scapolare e acromio claveare. Queste articolazioni si muovono quasi sempre
insieme è una parte importante per l’armonia e il buon funzionamento del cingolo è affidata ai
muscoli motori della scapola. I principali muscoli che danno la motricità scapolare sono: il grande
dentato che è abducente ed extrarotatore, ( la glenoide si sposta in avanti ed in alto ) , la sua paralisi
si evidenzia con il segno clinico della scapola alata; il trapezio che nella sua parte superiore adduce,
eleva ed extraruota
la scapola, la sua paralisi provoca un abbassamento della spalla e rende impossibile l’adduzione
della scapola; elevatore della scapola, eleva, intraruota ed adduce quando si sostiene un peso nella
mano per evitare la depressione; romboidi, adducono intraruotano e fissano la scapola
nell’adduzione ed esstensione del braccio ; piccolo pettorale deprime e abduce la scapola ; succlavio,
deprime la clavicola.
Biomeccanica del braccio
I movimenti del braccio avvengono nell’articolazione scapolo – omerale sul piano sagittale per la
flessione e l’estensione che insieme compiono un escursione di 140 – 160° ( 120 in flex e 40-50 in est.
) ; sul piano frontale per l’abduzione e l’adduzione su un range di movimento pari a 100 – 120° ( 90°
di abd. E 10,-20 di add. ) ; sul piano orizzontale con intra ed extrarotazione per 140 – 160 gradi di
movimento ( 50-60 extra. e 90-100 intra. )
I muscoli primariamente coinvolti nella dinamica del braccio sono : il deltoide, il grande pettorale, il
grande dorsale, il sopraspinoso, il coracobrachiale e il grande rotondo.
Il deltoide è considerato muscolo psturale perché è attivo nel mantenimento della posizione
anatomica. La sua contrazione si rileva in ogni movimento della spalla e in special modo nella
elevazione del braccio, la sua paralisi determina la lussazione della spalla.. Come già citato il
deltoide si divide in tre porzioni: una frontale una laterale e una posteriore.
La porzione frontale flette e adduce sul piano orizzontale ruotando l’omero medialmente ; la
porzione laterale abduce ; la porzione posteriore estende e adduca sul piano orizzontale
extrarotando l’omero.
Il sopraspinato ; concorre alla giustapposizione dei capi articolari nell’atto di sostenere un peso
nella mano ed è considerato lo starter dell’abduzione. Un suo deficit indebolisce l’abduzione.
Il grande pettorale ; è un forte adduttore e rotatore interno del braccio.
Il coracobrachiale ; è flessore un flessore del braccio fino all’orizzontale e adduttore.
Il grande dorsale ; adduce ed estende ed è un forte intrarotatore ( essenziale nel movimento del
remare e del nuotare ) . Se fa punto fisso sull’omero eleva il bacino dallo stesso lato e porta il tronco
in avanti. Importante nelle terapie riabilitative su pazienti paraplegici.
Il grande rotondo ; adduce estende e intraruota.
Biomeccanica del gomito
I movimenti dell’omero avvengono tra omero - radio e ulna, attorno all’asse trasversale ( flessione
e estensione per 135-160° ) e attorno all’asse verticale
( prono – supinazione per 180° ) .
I muscoli motori dell’avambraccio sono : il bicipite che è un muscolo biarticolare con due capi
d’origine e uno di inserzione; con l’omero in rotazione esterna abduce il braccio l’avambraccio e in
posizione normale flette l’avambraccio sul braccio ( il capo lungo è supinatore, il capo breve è
intrarotatore ) . Il brachiale è il flessore per eccellenza . Il brachioradiale o lungo supinatore è
flessore intermediario tra pronazione e supinazione . Il tricipite è un muscolo biarticolare con tre
capi d’origine e uno d’inserzione, nelle sue azioni meccaniche è un debole estensore e mediocre
adduttore del braccio (capo lungo), e forte estensore dell’avambraccio (capo mediale). L’anconeo : è
estensore e pronatore dell’avambraccio (cinque volte meno forte del tricipite ). Il pronatore quadrato
: è pronatore. Il supinatore : è supinatore .
Cinesiologia dell’arto inferiore
Biomeccanica dell’anca
I movimenti nell’articolazione dell’anca avvengono sul piano sagittale, attorno all’asse trasversale.
Abbiamo flessione ed estensione per un range di movimento pari a 100 – 170° .La flessione porta
l’estremo distale del femore in avanti in alto, in questo movimento con la gamba in estensione gli
ischio-peroneo-tibiali vanno in tensione passiva e limitano l’escursione del anca a 90° ; con il
ginocchio flesso ciò non avviene e si possono raggiungere i 120 – 140°. L’estensione
compie un
escursione di 10 – 20° a secondo se il ginocchio è flesso o esteso.
Sul piano frontale intorno all’asse sagittale si hanno movimenti di abduzione e adduzione, per 65 –
80°
L’abduzione l’esterno distale del femore in fuori e in alto per 45°, l’adduzione va fatta a coscia
flessa e si compie per 20 – 30°.
Sul piano orizzontale, lungo l’asse verticale, si compiono le rotazioni interna ed esterna per 60 – 90°
La rotazione esterna porta la faccia anteriore della coscia in fuori ( a ginocchio esteso ruota in fuori
la punta del piede ) per 30 – 50° ad anca flessa. La rotazione interna si compie per 20 –40° .
MUSCOLI MOTORI DELL’ANCA
Il muscolo ileopsoas è uno stabilizzatore dell’anca sul piano sagittale, con grossa funzione posturale:
è flessore adduttore e rotatore esterno, la sua paralisi rende impossibile il passaggio da supini a
seduti.
Il retto femorale è un muscolo biarticolare è flessore dell’anca e con i tre vasti del quadricipite
estende la gamba.
Il muscolo sartorio è anch’esso biarticolare ; flette l’anca abducendola in extra – rotazione e flette
intrarotando il ginocchio.
Il tensore della fascia lata , è un muscolo biarticolare che flette abduce e intra – ruota l’anca , e
flette e extra – ruota il ginocchio ( permette la flessione dell’anca sul bacino in caso di paralisi
dell’ileopsoas ).
Il muscolo pettineo è un muscolo flessore adduttore e extra – rotatore .
Il grande gluteo è un muscolo potente che permette la stazione eretta, è estensore dell’anca ed extra
– rotatore ; le fibre superiori abducono, quelle inferiori adducono. È attivo durante il passaggio
dalla posizione da seduti a in piedi, nell’atto di salire le scale, nel salto, nel cammino in salita. Il
grande gluteo espleta meglio le sue azioni meccaniche ad anca flessa a 45°. La sua paralisi rende
impossibili le attività menzionate.
I muscoli ischiocrurali sono : il capo lungo del bicipite femorale, il semitendinoso, il
semimembranoso. Essi hanno funzione di flettere la gamba sulla coscia e di estendere l’anca ; a
coscia abdotta fungono da adduttori . Il capo lungo del bicipite è anche extra – rotatore dell’anca,
mentre il semitentinoso ed il semimembranoso sono intra – rotatori .
I muscoli gemelli, piriforme, otturatore, quadrato del femore , sono extra – rotatori, e a anca flessa
a 90° sono abduttori. Il muscoli piccolo e medio gluteo , sono abduttori ed intra – rotatori ( piccolo
gluteo e fibre anteriori del medio g. ) ed entrano in attività nella stazione eretta sull’arto omolaterale.
Il loro deficit provoca la caduta del bacino nel lato opposto durante l’appoggio dell’arto
omolaterale.
I muscoli adduttori sono tre : piccolo breve e grande adduttore la loro azione è flessoria e di
adduzione sull’anca.
Biomeccanica del ginocchio
Il ginocchio si flette sul piano sagittale intorno all’asse trasversale. La flessione vede le due facce
posteriori dei coscia e gamba , avvicinarsi fino al contatto, per un’escursione pari a 140 -150°. Con
l’anca in estensione a causa della tensione passiva del muscolo retto femorale l’escursione articolare
è limitata a 110° .
Durante la flessione si ha anche uno spostamento : per i primi 15° si registra una rotazione
all’indietro dei condili femorali sulla tibia , successivamente vi si associa uno scivolamento in avanti
che, verso la fine prevale sul rotolamento e si accentua nella metà mediale del ginocchio.
La rotula si sposta rispetto al femore di 2 –3 cm. in senso latero – mediale ed in senso prossimo –
distale di 6 cm. I menischi si spostano sulla tibia posteriormente in quanto spinti dai condili
femorali e per tensione dei muscoli popliteo e semimembranoso.
La rotazione nel ginocchio varia a secondo del suo grado di flessione : a 90° di flessione è di 70° ( 40°
extra – 30° intra ) . L’extra – rotazione è limitata dai legamenti collaterali, l’intra – rotazione dai
crociati.
MUSCOLI MOTORI DEL GINOCCHIO
Il muscolo quadricipite : è formato da un capo biarticolare ( retto femorale ) e da tre vasti che sono
muscoli monoarticolari ( vasto mediale, intermedio, laterale), la sua contrazione provoca l’estensione
del ginocchio e flette l’anca. Un suo deficit invalida il cammino.
Il tensore della fascia lata : è un muscolo biarticolare, ed estende il ginocchio, lo stabilizza sul piano
frontale, extra – ruota la gamba e come già citato flette abduce e intra – ruota l’anca.
Il bicipite femorale : è flessore e rotatore esterno della gamba e con il capo breve permette l’extra –
rotazione del ginocchio flesso ad anca estesa.
I muscoli semimembranoso e semitendinoso sono flessori ed extra – rotatori.
Il muscolo sartorio : è biarticolare, flessore del ginocchio ed intra – rotatore.
Il muscolo gracile : è un muscolo flessore ed intra – rotatore.
Il muscolo popliteo : è intra - rotatore fondamentale nei primi gradi di flessione.
Il muscolo gastrocnemio : è flessore del ginocchio e flessore plantare del piede.
Biomeccanica del piede
I movimenti articolari del piede sono flessione – estensione, rotazione, adduzione abduzione.
Nell’espletare tali dinamiche vengono coinvolte più articolazioni : la sotto astragalica, la medio –
tarsica e la tarsica anteriore.
La flessione e l’estensione sono l’unico movimento fondamentale, con un’escursione di 50 – 80°.La
flessione dorsale è di 20 – 30° ; viene limitata dal contatto del margine anteriore dell’estremità
distale della tibia con il collo dell’astragalo. La flessione plantare è di 30 – 50° ; viene limitata dal
contatto del margine tibiale posteriore con l’astragalo .
Sull’asse obliquo dell’articolazione sotto – astragalica si realizzano combinati i movimenti di
inversione ed eversione : inversione, o rotazione interna attorno all’asse longitudinale ; eversione o
rotazione esterna attorno allo stesso asse .
Sull’asse verticale avvengono i movimenti di adduzione e abduzione, mentre sull’asse trasversale i
movimenti sono di flessione dorsale e plantare .Nel loro insieme questi movimenti generano la
pronazione e la supinazione del piede : pronazione , o rotazione esterna più abduzione più flessione
dorsale ; supinazione, o rotazione interna più adduzione più flessione plantare. La rotazione interna
avviene per 45°, quella esterna per 25° ; l’abduzione e l’adduzione rispettivamente per 35 – 45° .
MUSCOLI MOTORI DEL PIEDE
I muscoli motori del piede sono : il tibiale anteriore, che è flessore dorsale e rotatore interno con
azione di sostegno dell’arcata plantare . la sua contrazione entra in gioco nella dinamica del passo
all’inizio e alla fine dell’appoggio del piede per impedirne la caduta prima e lo strisciamento a terra
dopo . La sua paralisi provoca la caduta del piede in avanti. Il muscolo estensore lungo delle dita,
estende il 1° , il 2°, il 3° e il 4° dito, nella sua azione è anche dorsi – flessore, abduttore e rotatore
esterno. Il muscolo estensore dell’alluce , estende l’alluce ed è dorsi – flessore . il muscolo proneo
anteriore , flette dorsalmente abduce e ruota esternamente . Il muscolo estensore breve delle dita (
o pedidio ) estende le quattro dita mediali . Il muscolo peroneo breve è anch’esso flessore plantare,
con funzione di abduttore ed extra – rotatore. Una paralisi dei flessori plantari provoca la
supinazione del piede per la prevalenza dei tibiali . il muscolo gastrocnemio è biarticolare, nella sua
contrazione flette il ginocchio e plantarmente il piede, collabora alla flessione del piede anche il
muscolo soleo , che però è monoarticolare : il soleo ed il gastorcnemio formano una unità anatomica
detta il tricipite della sura o surale , che appunto flette plantarmente il piede adducendolo in
rotazione interna . Una sua paralisi, determina incapacità di elevrasi sulle punte dei piedi,
impossibilità di correre ma non di camminare.
Il tibiale posteriore : è flessore plantare, adduttore e rotatore interno . La sua paralisi fa prevalere
gli abduttori ed i rotatori esterni con piattismo e valgismo. Nella postura i flessori plantari del piede
sono tanto più attivi quanto più la linea di gravità si sposta in avanti .
La gravità tende ad appiattire la volta plantare : per contrastare questa tendenza vi sono i muscoli
intrinseci e flessori plantari passanti sotto l’arcata stessa, per opporsi appunto alla forza di gravità
sul piano sagittale e sostenere la volta . I muscoli che invece hanno azione opposta o di appiattire la
volta per regolarne l’assetto ed impedire un eccessivo cavismo del piede , sono : il tricipite della sura
ed i dorsi – flessori . I muscoli intrinseci del piede hanno funzione coadiuvante ai muscoli estrinseci
e all’apparato legamentoso per il sostegno della volta plantare .
CENNI DI DERMATOLOGIA
Prima di passare alla pratica della massofisioterapia diamo qui a seguire cenni di dermatologia per
meglio comprendere la struttura primariamente coinvolta nel massaggio.
L’apparato tegumentario comprende la cute e i suoi annessi ( peli unghie e ghiandole)
Nell’adulto la cute è una membrana di colorito variabile: va dal bianco al roseo al bruno chiaro
nell’uomo di razza bianca e varia dal marrone al nero al giallo o rosso nelle altre razze.
La cute è costituita da più strati che, dall’esterno all’interno, sono l’epidermide, il derma e
l’ipoderma.
L’epidermide è composta da vari strati cellulari morfologicamente ben differenziati fra loro. Lo
strato corneo, più superficiale è formato da annessi lamellari stratificati di cellule prive di nucleo
in continuo sfaldamento contenenti fibre di cheratina. Lo strato lucido presenta anch’esso una
struttura lamellare priva di nuclei particolarmente compatta e resistente. Al di sotto di questi si
trovano i primi elementi viventi dell’epidermide, costituiti da cellule nucleate romboidali nel cui
citoplasma si evidenziano granuli di cheratojalina, un prestadio di cheratina: strato granuloso.
Il sottostante strato spinoso è formato da cellule nucleate poligonali unite fra loro da strutture
filamentose endo- cellulari, i tenofilamenti, che attraversano il citoplasma vanno ad impiantarsi
nella membrana cellulare. Da ultimo viene lo strato basale o germinativo formato da cellule
cilindriche disposte a palizzata in un solo strato nelle quali sono presenti assai spesso figure
cariocinetiche. Queste cellule, riproducendosi assicurano un continuo rinnovamento all’epidermide.
In questo strato si trovano anche cellule chiare che fabbricano un pigmento detto melanina,
responsabile del colorito della cute.
Alla base di queste cellule si trova una struttura lamellare di origine connettivale detta membrana
basale.
Il derma da un tessuto connettivo fibrillare denso. Esso contiene vasi sanguigni e vasi linfatici che
servono per la nutrizione dell’epidermide che ne è priva. Nel suo spessore si rinvengono fibre
nervose e recettori nervosi, fibre muscolari lisce ed annessi cutanei. La parte superficiale è a
contatto con l’epidermide, presenta sporgenze più o meno pronunciate che, nel loro insieme
formano lo strato papillare che si distingue per la presenza di numerose fibrille elastiche, orientate
in tutte le direzioni al fine di costituire un tessuto reticolato molto resistente.
L’ipoderma è costituito da connettivo lasso nel quale si trovano molte cellule adipose che
costituiscono i lobi di adipe. La struttura e lo sviluppo dell’ipoderma dipendono dalle zone
corporee.
Funzione della cute
La cute espleta un’insieme di funzioni di estrema importanza per l’organismo:
funzione tamponante, di assorbimento, respiratoria, emuntoria, di senso, di difesa, di deposito, di
termoregolazione.
Per la sua collocazione è definita organo barriera: essa infatti protegge l’ambiente interno
separandolo da quello esterno. Da questa caratteristica si può ben capire quanto sia importante per
il terapista, l’osservazione dell’apparato cutaneo prima durante e dopo gli interventi manuali,
specialmente quando si tratti di applicare tecniche di riflessologia.
Si osserverà attentamente ogni
manifestazione cutanea al fine di individuare
eventuali
controindicazioni al trattamento, (soluzioni di continuo, micosi infiltrati edematosi di non chiara
caratterizzazione ecc…) e per completare l’anamnesi del paziente. Lassità, tensione, untuosità o
secchezza saranno sinonimo di un metabolismo più o meno dinamico ed espressione di una
condizione emotiva particolare che correlata all’atteggiamento posturale e alla patologia del
paziente tracceranno le linee guida per la messa a punto del protocollo fisioterapico.
Parte terza
Patologia e elementi di trattamento
LE RACHIALGIE
Rachialgia è un termine generico con il quale si intende algia o dolore del rachide. Tali algie per
meglio essere identificate vengono comunemente suddivise in : lombalgia, dorsalgia, cervicalgia . La
causa che produce il dolore alla colonna o la genesi delle rachialgie può essere di varia natura o
multifattoriale e un’ulteriore distinzione della sofferenza si fa in : acuta o cronica.
La rachialgia acuta è in genere improvvisa e la genesi è spesso riconducibile a fattori traumatici
quali : traumi diretti o contusioni, stiramenti degli elementi nervosi o strappi muscolari conseguenti
a sforzi incongrui e improvvisi, flessioni ed estensioni del rachide oltre i limiti consentiti dalle
condizioni individuali, distorsioni delle articolazioni inter – apofisarie con lacerazione della capsula
articolare, compressione e debordamento dell’anulus fibroso conseguente anche ad uno sforzo
banale ed infine alla classica ernia discale .
La rachialgia cronica si instaura progressivamente e può essere l’evoluzione di una rachialgia
acuta mal trattata o trascurata, o ad indebolimento delle strutture muscolari e articolari, ad
alterazione posturale e a degenerazione primaria delle strutture intime del rachide.
L’artrosi intersomatica o interapofisaria è una delle cause più diffuse e invalidanti della rachialgia .
Tale patologia consiste in un’artropatia cronica degenerativa caratterizzata da alterazioni
cartilaginee e da ipertrofia ossea subcondrale le cui cause sono tutt’oggi incerte, vengono ipotizzati
fattori predisponenti di base :
l’ereditarietà, le alterazioni vascolari, iperfunzione e disturbi
metabolici.
Soprattutto il fattore meccanico con iperfunzione del rachide porta con una serie di microtraumi a
cambiarne l’asse di carico alterando la statica con l’innesco di un circolo vizioso nel cui centro vi
sono le articolazioni interapofisarie che degenerano in progressione. Fattori climatico come il
freddo e l’umidità concorrono nell’evoluzione della patologia.
Alle lesioni cartilaginee e ossee seguono nella fase avanzata lesioni sinoviali e capsulari con sclerosi
della membrana sinoviale e ridotta vascolarizzazione. La perdita di funzionalità articolare ed il
dolore limitano i movimenti.
In presenza di scoliosi lombare si registra spesso artrosi interapofisaria nelle articolazioni poste sul
lato concavo della curva, mentre in presenza di iperlordosi tale patologia si manifesta su ambo i lati
con alterazione dei piatti cartilaginei, eversione dei margini, osteo - sclerosi subcondrale e
produzione di becchi osteofitici, il tutto per lo spostamento posteriore dell’asse di carico .
Il dolore in questo contesto aumenta nella stazione eretta prolungata, nel sollevamento di pesi, nei
movimenti di flessione ed estensione del tronco ed in tutte le attività di sovraccarico funzionale.
Sidromi lombalgiche e manifestazioni artrosiche, possono insorgere a seguito di squilibri statico –
dinamici derivanti da ridotta resistenza legamentaria, conseguente ad anomalie congenite del
rachide, come : la sacralizzazione, la schisi, la spondilolisi e la spondilolistesi.
La colonna vertebrale è un’unità funzionale molto delicata, in condizioni di equilibrio sopporta
stress e sollecitazioni enormi, ma quando vi è alterazione della postura il rachide diviene
inadempiente ad espletare in modo fisiologico le normali attività dinamiche. Si generano quindi
iperfunzione ed usura in alcune sue parti e rigidità e ipofunzione in altre con modificazione delle
curve fisiologiche, mal disposizione al movimento e algie di varia entità ; in un sì fatto contesto il
soggetto diviene quasi sempre ipocinetico e talvolta aumenta di peso generando
ulteriori
complicanze nel quadro clinico .
Il dolore lombare è classificato secondo i casi in lombalgia, lombosciatalgia. Si ricorda che il disco
non ha fibre sensitive e per questo si definisce algoinsensibile, lo stesso dicasi per i legamenti,
mentre sono particolari sedi di algie : la capsula, la sinovia e gli elementi nervosi .
LOMBALGIA
È la sindrome più frequente. Il dolore provoca spesso la contratture dei muscoli paravertebrali con
posizione ed andatura antalgiche limitazione dolorosa alla flessione anteriore e blocco e
impossibilità in estensione.
Se la lombalgia è acuta quindi ad insorgenza improvvisa, di solito sotto sforzo e accompagnata da
una sensazione di “click”; il trattamento verte essenzialmente sul riposo, generalmente per tre
giorni, poi dopo blanda massoterapia sedativa si fanno mobilizzazioni caute ma precoci .
Nelle forme croniche di origine artrosica o posturale, si crea uno spasmo muscolare riflesso con
blocco in posizione antalgica. Se ciò prosegue nel tempo il muscolo interessato si affatica senza
possibilità di recupero , questo stress prolungato determina nel muscolo stesso miofibrosi, miosite,
tenosinovite. La posizione antalgica, inoltre, come già detto provoca adinamia con indebolimento
delle strutture di sostegno e movimento, esitando spesso in forme infiammatorie.
Il trattamento è mirato a decontratturare mediante rilassamento l’apparato muscolare, con
termoterapia e massaggio ed a normalizzare il tono – trofismo dell’apparato muscolare con
chinesiterapia e rieducazione posturale globale per togliere la causa primaria che determina
l’atteggiamento scatenante la lombalgia.
Un utile complemento terapeutico si rivelerà l’educazione del paziente al giusto rapporto
relazionale con l’ambiente ( lavorativo, sportivo, domestico,ecc… ) .
TRATTAMENTO
Applicazioni di calore sotto forma di raggi infrarossi o radar per 15’. Buone si sono rivelate anche
le sabbiature e i fanghi che alla termoterapia aggiungono anche l'effetto dei minerali in esse
contenuti, ma va bene anche il calore secco.
( termoforo ).
Successivamente si pratica massaggio esteso a tutto il dorso ma con particolare attenzione alla zona
lombo – sacrale, ai glutei ed ai muscoli ischiocrurali, per innescare una reazione analgesica e
migliorare la circolazione e la rimozione delle sostanze algogene .
La posizione del paziente sul lettino è con cuscino sotto l’addome e rullo sotto le tibiotarsiche allo
scopo di detendere i flessori dell’anca e gli ischiocrurali. I primi massaggi devono essere molto
blandi e per una durata non superiore a 15’.
Si inizia con manovre di sfioramento e sfregamento superficiale su tutto il dorso, poi
progressivamente vengono inserite manovre più profonde, alternando agli sfregamenti le frizioni. Si
comincia a trattare il bacino e la zona sacrale proseguendo in direzione craniale parallelamente alla
colonna vertebrale fino alle spalle ed al collo. Gli sfregamenti sui paravertebrali possono essere
eseguiti indifferentemente dal basso oppure dall’alto mentre l’approccio sul grande dorsale segue le
direzioni fisse dal sacro all’ascella seguendo gli spazzi intercostali nel decorso dalla colonna verso lo
sterno, utilizzando le mani con le dita aperte . Per la muscolatura alta del dorso, ovvero il trapezio
ed i romboidi, si usano in prevalenza frizioni profonde circolari eseguite con il pollice o con le dita
sovrapposte localizzando l’azione 4 \ 5 secondi per ogni punto trattato, alternando sempre gli
sfregamenti. Sul trapezio si possono eseguire manovre di impastamento al fine di agevolare il
rilascio delle sostanze cataboliche accumulatesi durante il persistere delle contratture.
Sono da escludere percussioni con i pugni o con mano a taglio e le frizioni eccessivamente profonde
onde evitare un esacerbarsi del dolore con comparsa o aumento di spasmi muscolari .
Il trattamento si avvia sempre verso la conclusione con manovre blande e sedative come
sfregamenti lenti e vibrazione leggera .
L’intensità e la durata del massaggio viene incrementata in relazione alle caratteristiche proprie del
paziente : età, evoluzione positiva della sintomatologia, attitudine morfologica e psicologica a
ricevere il trattamento. Si giungerà ad un tempo di trattamento di 30 minuti, utilizzando manovre e
direzioni appena descritte, ma con un’incisività maggiore .
Sui muscoli lombari, trasversi dell’addome e glutei sono indicati impastamenti a scopo trofico –
tonificante .Sui muscoli paravertebrali si alternano sfregamenti profondi ascendenti e discendenti,
con frizioni profonde localizzate specialmente nei tratti rigidi e contratti.
Il trattamento massoterapico dovrebbe essere completato da alcuni movimenti di mobilizzazione
attiva del rachide lombare e da stretching della muscolatura posteriore della coscia e della bassa
schiena ; il tutto da eseguire cautamente ed in perfetto stile.
Esercizi di rilassamento :
priorità assoluta alla ginnastica respiratoria, si fanno eseguire
respirazioni diaframmatiche profonde associate a circonduzione delle braccia per indurre
rilassamento, poi si costruisce un percorso di esercizi propriocettivi per la presa di coscienza del
rachide e della sua dinamica.
Esercizi di mobilizzazione : durano circa 10 minuti. Vengono eseguiti prima in forma passiva dal
soggetto, per apprenderne le dinamiche, poi attivamente in associazione alla corretta respirazione.
Tale lavoro è rivolto al rachide in toto e alle articolazioni coxo - femorali in modo da giungere ad un
ampio riscontro in termini di motilità ed elasticità .
Esercizi di educazione posturale : per fare apprendere la giusta collocazione del bacino e del
rachide nello spazio con esercizi in posizione prona, supina, e in decubito laterale .
Rinforzo muscolare : è lo strumento terapeutico principale per mantenere i risultati conseguiti e per
ripristinare l’efficienza della colonna vertebrale da un punto di vista muscolare. Infatti, i tutori
ortopedici, pur nella loro utilità di sostegno di parti lese, recano seri danni alle strutture portanti
del rachide : vi si instaura quasi sempre una ipo – tono – trofia dell’apparato muscolare e un
indebolimento della componente ossea per demineralizzazione . Per cui a riparazione biologica
avvenuta della parte lesa si consiglia sempre di sostituire il corsetto ortopedico con una maggior
validità della muscolatura di sostegno della colonna vertebrale.
Per un buon rinforzo muscolare occorre comunque che il terapista tenga sempre in considerazione
i parametri di valutazione classici prima di stilare la tabella di lavoro ; ossia, l’età del paziente la
sua condizione morfologica statico - dinamica, il sesso, il suo stato generale, la sua attitudine
psichica a sottoporsi ad un training attivo e chiaramente le affezioni al rachide di cui soffre o ha
sofferto. Comunque mai, sia la terapia manuale che la chinesiterapia, devono provocare dolore; il
rinforzo muscolare deve avvenire per gradi e nel tempo . Una volta raggiunto il risultato si
indirizzerà il paziente verso uno sport dove vi sia un coinvolgimento globale degli apparati,
compreso quello cardiovascolare senza sovraccarico funzionale come : nuoto, ciclismo e movimento
aerobico in genere.
LOMBOSCIATALGIA e SCIATALGIA
In una lombosciatalgia, il dolore è provocato dalla compressione di una radice del plesso
lombosacrale da cui si genera in nervo sciatico, mentre in una sciatalgia senza dolore in zona
lombare, vi è una compressione della sciatico stesso in un punto del suo decorso. In entrambi i casi il
dolore è intenso, di tipo bruciante e irradiato lungo l’arto inferiore in territori sensitivi ben mappati
e con associate parestesie crampi e talvolta impotenza funzionale di alcuni muscoli .
Le cause di una lombo – sciatalgia sono molteplici : ernia discale, artrosi intersomatica, artrosi
interapofisaria, anomalie congenite del rachide
( sacralizzazione, schisi della prima vertebra sacrale, spondilolisi, spondilolistesi), sovraccarico
funzionale dei dischi .
L’ernia del disco, rappresenta comunque la causa più comune di una lombosciatalgia, gli stretti
rapporti esistenti tra le vertebre L4 – L5 fanno si che le strutture nervose ad essi collegate soffrano
ogni qualvolta i rapporti stessi si facciano meno congruenti . La protrusione del disco o la
migrazione del nucleo fuori dalla sede sono le maggiori cause di insulto meccanico e chimico sugli
elementi nervosi . Per ernia discale si intende, infatti, la protrusone del nucleo polposo nello speco
vertebrale. Tale evenienza si può verificare a seguito di eventi traumatici o per un graduale
processo degenerativo dell’anello fibroso (struttura questa che è il contenente del nucleo) che,
indebolito si fissura permettendo al nucleo di migrare. L’ernia può essere contenuta dal legamento
longitudinale posteriore, oppure lacerare questo e comprimere le radici nervose. Al nucleo polposo
è attribuito il compito di ammortizzare e distribuire a tutto il disco le forze che vi giungono e di
facilitare i movimenti delle vertebre adiacenti . il nucleo rappresenta il fulcro dei movimenti di
flesso estensione della colonna : la flessione spinge il nucleo posteriormente, l’estensione lo spinge
anteriormente. Durante la flessione il legemento longitudinale posteriore si tende opponendosi allo
spostamento sagittale del nucleo, subendo però continui microtraumi che alla lunga ne intaccano
l’integrità . Sono sicuramente fattori predisponenti le alterazioni statico dinamiche e tutte le morfo
– disfunzioni della colonna che ne alterano la biomeccanica come scoliosi, iporlordosi,
sacralizzazione ecc…
Il dolore è avvertito dal paziente dopo un movimento brusco o uno sforzo, eventi questi che di per se
non sempre sono di cosi rilevante entità da produrre un danno ma, presentandosi come ultima
battuta di una serie di microtraumi e atteggiamenti lesivi determinano l’insulto protrusivo del
nucleo sulle radici nervose . Il dolore è prevalentemente diurno, con remissione o parziale
remissione durante il riposo a letto. Successivamente compare dolore lungo l’arto inferiore per
irradiazione dello stesso lungo il decorso del nervo .
Per tanto i sintomi evidenti sono : rachialgia ; rigidità della colonna con deviazione antalgica
laterale ; ipofunzionalità del rachide ; dolore irradiato lungo l’arto inferiore sui dermatomeri
corrispondenti al livello metamerico interessato dalla protrusione ; il dolore si accentua sotto carico
e si attenua a riposo ; se non precocemente trattata questa patologia, vede progressivamente
associarsi nel suo quadro clinico, oltre ai sintomi sopra menzionati, turbe sensitive e incapacità
funzionale dei muscoli innervati dallo sciatico .
TRATTAMENTO
L’ernia del disco si manifesta con dolore irradiato all’arto inferiore in sede postero – laterale
quando le radici coinvolte sono all’altezza di L 4, L5, o L5, S1, mentre viene interessata la faccia
antero – mediale della coscia quando le radici interessate sono colpite all’altezza di L3, L4,
evenienza questa, molto più rara della precedente e si definisce lombocruralgia per l’interessamento
del nervo crurale.
La sintomatologia algica nella lombalgia è dovuta alla stimolazione delle strutture algogene come la
capsula articolare o l’anello fibroso, mentre il dolore nella lombosciatalgia e nella lombocruralgia è
sostenuto dall’interessamento delle radici e dai nervi da esse emergenti .
Il paziente si presenta rigido spesso con zoppia antalgica, atteggiato in flessione anteriore e laterale.
Preferisce stare in piedi, ogni movimento gli risulta impacciato e causa di dolore. La pressione lungo
il decorso dei paravertebrali evoca dolore anche sull’arto omolaterale ma specialmente all’altezza
del disco interessato . La remissione del dolore spesso non si accompagna alla guarigione ma ad un
danneggiamento delle fibre sensitive deputate alla conduzione del segnale dolorifico quindi ad un
peggioramento del quadro clinico testabile con l’incapacità funzionale che si instaura sui muscoli
corrispondenti.
I principali test di valutazione del grado di coinvolgimento delle radici nervose sono il “segno di
Laségue ed il segno di Wasserman”.
Il segno di Laségue originale consiste nella estensione della gamba ad anca flessa, ma nell’accezione
comune odierna si intende l’elevazione dell’arto inferiore teso a paziente supino.( staight leg raising
degli autori anglosassoni)
A paziente supino l’elevazione dell’arto inferiore normalmente varia da 60° a 120°, oltre il limite
fisologico il paziente sente tirare sotto il poplite, a causa della contrazione dei muscoli posteriori
della coscia, i quali si attivano per proteggere le radici spinali basse e la dura madre da trazioni
dolorose.
Per valutare correttamente il segno di Lasegue si deve far distendere il paziente e farlo rilassare,
successivamente si solleva l’arto interessato dalla nevralgia e si valuta la sua mobilita.
Nelle lesioni discali talora l’elevazione dell’arto sano provoca dolore su quello malato per
stiramento del sacco durale.
L’arto va elevato lentamente per evitare la contrazione riflessa dei muscoli posteriori della coscia, si
arriva fino al punto doloroso che si troverà con l’arto tanto più basso quanto più sarà importante la
compressione discale a questo punto si chiede di dorsiflettere il piede o di flettere la testa e ciò sarà
un’ulteriormente conferma per la diagnosi di lombosciatalgia.
La gravità e il migloramento di una lombosciatalgia viene giudicata dall’irradiazione del dolore sul
decorso del nervo ischiatico e dei suoi rami di divisione principali (SPE, SPI).
Segno di Wasserman : con il paziente prono si porta in estensione la coscia stirando il quadricipite.
Se ciò evoca dolore in sede lombare e lungo la faccia anteriore della coscia si ipotizza il
coinvolgimento del nervo femorale emergente da L3, L4.
L’intervento chirurgico un tempo tanto in voga, viene oggi preso in considerazione solo dopo il
fallimento di tutti gli altri trattamenti non invasivi, e mai prima dei tre mesi ; tempo questo che
normalmente serve alla regressione spontanea di molte protrusioni non gravi. Nel frattempo il
trattamento sarà rivolto a lenire il dolore, a togliere l’infiammazione ed a decontrarre i muscoli
irrigiditi per reazione antalgica . A questo scopo vengono impiegati massaggio chinesiterapia e
terapia fisica ( tens, ultrasuoni, infrarorssi ) .
Il massaggio è controindicato fino a che permane il dolore spontaneo, durante questa fase è
indicato il riposo a letto con gambe in scarico sui flessori dell’anca e se il paziente lo gradisce con la
colonna lombare atteggiata in delordosi. Se dopo qualche giorno permane il dolore agli arti è
permesso un breve e blando massaggio sedativo fatto di sfioramenti e sfregamenti leggeri partendo
dal piede per risalire lungo il decorso del nervo interessato. Vengono per tanto massaggiati gli arti
inferiori sia in posizione supina per accedere al quadricipite, che in posizione prona per i posteriori
della coscia . Qui si associano sempre mobilizzazione dei piedi e delle dita al fine di evitare rigidità e
turbe vascolari .
Il massaggio viene indicato per scopo decontratturante sulla muscolatura lombare solo quando il
dolore spontaneo è cessato o in altre parole quando la fase acuta è terminata . all’inizio vanno
massaggiati i muscoli paravertebrali con sfregamenti circolari del palmo della mano e con i
polpastrelli delle dita poi si effettuano frizioni ed impastamenti leggeri e lenti sulla muscolatura
lombare a scopo rilassante e per migliorare l’apporto di sangue ed ossigeno favorendo il rilascio e
l’asporto di cataboliti . In un tempo successivo si passa a trattare il muscolo grande dorsale
applicandovi sfregamenti appoggiati e profondi con vibrazione . Si dovrnno sempre evitare
movimenti energici . La durata della seduta è di 15 minuti, al termine della quale si invita il
paziente ad eseguire esercizi di stretching in posizione supina portando le ginocchia
alternativamente prima, ed insieme poi, contro il petto mettendogli un cuscino sotto il capo per
favorire la delordosi. Nella posizione quadrupedale ( in ginocchio con le mani a terra ) si fanno
eseguire lentamente e alternativamente flessioni della coscia cercando di avvicinare quanto più
possibile il ginocchio al petto. Questi semplici esercizi in cifosi, sono finalizzati al ristabilimento
dell’equilibrio statico e dinamico del rachide ed espletano la loro funzione sia a scopo preventivo
che a scopo terapeutico, in associazione al massaggio e nella fase di remissione della malattia. Va
comunque ricordato che la chinesiterapia deve essere intrapresa gradatamente ed in ragione delle
limitazioni e possibilità individuali del paziente auspicando che per almeno le prime venti sedute vi
sia il terapista a seguire gli esercizi dello stesso, anche se dopo, perché il lavoro sia veramente valido
dovrà essere necessariamente portato avanti dal paziente a casa.
In caso di erniectomia la rieducazione è precoce, ma prudente, con l’intento di portare il paziente
all’inserimento normale di tutte le attività di vita quotidiane. Qui nei primi due giorni si fanno
eseguire esercizi di ginnastica respiratoria in posizione supina con associato il movimento degli arti
superiori, per poi passare a mobilizzazioni caute prima passive e poi attive assistite degli arti
inferiori su tutte le articolazioni, abbinandovi anche piede e dita.
Dal quarto giorno, altre a questi esercizi che vanno mantenuti si procede con la mobilizzazione
molto cauta del rachide con rinforzo della muscolatura addominale e glutea.
Sono indicati massaggi leggeri per il dorso e gli arti inferiori.
Dalla terza settimana, sarebbe ottimale l’idrochinesi terapia, o almeno idromassaggio e bagni caldi
più rieducazione allo sforzo in palestra. Si consigliano poi per il proseguo dell’attività motoria,
sport non traumatici.
LA CERVICOBRACHIALGIA
La compressione delle strutture osteo – cartilagineee sul rachide cervicale, inizialmente provoca
dolore limitato alle regioni del collo e della nuca, per poi passare se non opportunamente trattata
ad interessare distretti anatomici più distanti come l’arto superiore. Questi due stadi evolutivi della
patologia si definiscono: cervicalgia il primo e cervicobrachialgia il secondo, per l’irradiazione del
dolore sul plesso brachiale.
La cervicalgia può insorgere improvvisamente, a seguito di uno sforzo o gradualmente quasi senza
cause apparenti. Al dolore si accompagnano spesso turbe sensitive con disturbi motori e ipotrofiia e
ipostenia. Il dolore è dovuto ad una lesione a carattere degenerativo del disco intervertebrale che
produce un processo irritativo interessante una o più radici a livello del forame di coniugazione.
Questa lesione degenerativa può essere dovuta ad una protrusione dell’anulus od a processi
osteofitici ( artrosi ) dei corpi intervertebrali per riduzione dello spazio intersomatico. In questo
contesto si registrano spesso quadri ischemici dei vasi interni alla colonna e di plessi venosi ed
arteriosi periradicolari con sintomatologia algica e talvolta con vertigine e nausea per
l’iteressamento dell’apparato vestibolare. Nella cervicobrachialgia
a secondo della radice
interessata avremo sintomatologia diversa su diversi distretti anatomici :
C4 – C5 ; dolore alla base del collo, alla spalla, alla facia antero-superiore del braccio, con notevole
rigidità a livello rachideo, dolore spontaneo ed evocato sulle docce paravertebrali e scoliosi.
Presente anche ipotrofia muscolare con parestesie cutanee.
C5 – C6 ; irritazione cervicale ( rigidità dolore e scoliosi ) , dolore fino al secondo e terzo dito,
ipotrofia del tricipite .
C7 –D1 ; irradiazione dolorosa fino alle ultime dita.
Lo scopo del trattamento è quello di interrompere il circolo irritativo che porta alla reazione fibrosa
periarticolare mediante tensione muscolare con progressive limitazioni funzionali. Verrà impiegato
calore a scopo antalgico e decontratturante ( I.R.) , con massaggio rilassante, evitando le manovre
energiche, partendo sui muscoli del collo e della zona dorso – scapolare per finire su spalla e arto
superiore. L’arto superiore si massaggia partendo dalla mano in direzione cavo ascellare. Il tutto
dura quindici minuti.
Sui muscoli del collo è meglio agire con il paziente seduto su uno sgabello, flesso in vanti e poggiato
con fronte sulle mani e mani su di un cuscino posto sul lettino. Le manovre sono di sfioramento e
sfregamento leggero in senso discendente dalla nuca fino alla spalla con frizioni altrettanto leggere.
Sull’articolazione scapolo – omerale, ed in modo particolare sul trapezio superiore e sul deltoide, si
usano anche impastamenti leggeri, per migliorare la circolazione locale, in alternanza a vibrazioni
superficiali. I muscoli dell’arto inferiore si massaggiano sempre con il paziente seduto e posto
trasversalmente al lettino, con l’avambraccio flesso e poggiato su un cuscino in modo che anche i
muscoli della spalla siano rilassati. Si usano sfioramenti e sfregamenti a partire dalla mano, frizioni
leggere sull’avambraccio ed impastamenti sul braccio. Il massaggio termina con sfioramento e
vibrazione della spalla e della articolazione scapolo – omerale.
Al termine del trattamento massoterapico si possono esercitare trazioni modulate della colonna
vertebrale . Tali trazioni, sono indicate per lo stiramento generale del rachide cervicale e in
particolare per l’apertura degli spazzi nel metamero responsabile della compressione migliorando
così anche la circolazione sanguinea. La durata delle trazioni ed il peso usato è variabile e dipende
dallo stato della patologia e dal grado di sopportazione del paziente.
CERVICALGIA E DORSALGIA
La cervicalgia e la dorsalgia sono due patologie che spesso si riscontrano insieme, presentandosi in
forma acuta o cronica.
La cervicalgia acuta si presenta bruscamente, il più delle volte al risveglio al mattino, od in seguito
ad uno sforzo. Il dolore è localizzato nella regione cervicale bassa con diffusione alla regione
scapolare spesso a livello del trapezio superiore . Si ha impotenza funzionale in estensione, flessione
laterale e torsione dal lato opposto ( torcicollo ).
La cervicalgia cronica insorge in forma insidiosa, oppure in seguito ad una cervicalgia acuta. Il
dolore è molto fastidioso ( sensazione di peso sulle spalle ) ed è spesso dovuto ad un sovraccarico
funzionale.
Il trattamento prevede calore e massaggio per combattere la contrattura muscolare.
Il massaggio deve essere leggero ed esteso a tutto il dorso. Verranno impiegati sfioramenti e
sfregamenti leggeri con frizioni poco profonde da eseguire con i pollici o con i polpastrelli delle dita
unite. Il massaggio sarà diretto e portato con mggiore cura nelle zone identificate come
contratturate, con impastamento se possibile e frizioni con cauta progressività nell’aumentare forza
e profondità.
La posizione migliore è quella in decubito prono che permette, infatti, di agire con una certa
continuità pressoria su tutto il dorso, la nuca e le spalle. La durata è di venti minuti.
La ginnastica è sempre utile in tutte le discopatie cervicali, per migliorare il funzionamento statico e
dinamico del rachide ed evitare ricadute e si rivela particolarmente indicata nelle cervicalgie da
sovraccarico funzionale.
Si effettueranno esercizi di estensione assile della colonna cervicale che provocano allungamento
attivo dell’asse rachideo ed esercizi di mobilizzazione cervico – dorsale in senso antero – posteriore
e laterale ed in fine esercizi di muscolazione, del collo, delle spalle e del dorso soprattutto i n caso di
ipercifosi .
LE FRATTURE
Le fratture, per consolidarsi, necessitano di tempi più o meno lunghi di immobilizzazione delle parti
lese e ciò provoca irrigidimento delle articolazioni adiacenti e atrofia dei muscoli connessi. Si rivela
per ciò di fondamentale importanza rieducare gli elementi muscolo – articolari .
Pur rispettando i tempi biologici di consolidamento del callo osseo, il trattamento deve essere
quanto più precoce possibile, al fine di evitare : retrazioni capsulari, muscolari permanenti e
demineralizzazione ossea.
Il massaggio deve sempre essere associato a mobilizzazione articolare e muscolare cercando di
scollare e staccare i piani muscolari in modo da favorire la circolazione e l’apporto nutritizio
all’osso. Si può tranquillamente affermare che il massaggio è il trattamento elettivo per il recupero
post frattura, in quanto svolge la sua azione su basi fisiologiche ben definite creando le condizioni
ottimali per la saldatura nel focolaio di frattura. In questo tipo di riabilitazione oltre al danno
anatomico occorrre considerare anche il danno funzionale :
il danno anatomico è legato all’interessamento di tessuti osseo, capsulo – legamentoso, cartilagineo,
muscolo – tendineo, nervoso e vascolare ;
il danno funzionale è legato all’entità del trauma, al periodo di immobilizzazione ed agli esiti residui
dopo la consolidazione come male allineamenti, retrazioni capsulari, sclerosi e fibrosi. Quanto
maggiore sarà l’interessamento dei tessuti nella lesione, tanto più lungo sarà il processo riparativo e
il percorso riabilitativo.
L’immobilizzazione, rallentando il metabolismo tissutale, favorisce l’ipotonia e l’ipotrofia
muscolare, l’ipotrofia ossea e cartilaginea con l’instaurarsi di limitazioni articolari, contratture
fisiopatiche ed aderenze sui tessuti molli.
Il massaggio deve spezzare questa catena disfunzionale e favorire il ripristino del normale stato
fisiologico apportando nutrimento ai tessuti, favorendo il drenaggio delle sostanze cataboliche con
riattivazione di muscoli e articolazioni e produrre analgesia dove ce ne sia bisogno.
FRATTURE DELLE ESTREMITA’ SUPERIORI
Spalla e omero
Quando la parte interessata è ingessata vengono massaggiate la schiena e le estremità sane. Nel
contempo vengono fatti eseguire esercizi isometrici alla zona immobilizzata ed isotonici per i
segmenti liberi. Tolto il gesso vengono applicati all'inizio trattamenti con bagni caldi e massaggio.
Si esegue prima un massaggio della zona cervicale e dorsale e in sequenza vengono massaggiati : la
spalla, l'avambraccio e le dita. Se esiste una tumefazione va fatto un massaggio di assorbimento
massaggiando, prima le zone prossimali, tralasciando la zona traumatizzata poiché un massaggio
energico ne aumenterebbe la tumefazione e poi si passa a trattare tutto l'arto con sfiaramenti
appoggiati. La durata del massaggio è di quindici minuti.
La complicanza più frequente nelle fratture dell’arto superiore è spesso la rigidità articolare della
spalla: un buon massaggio, favorendo la distensione muscolare e l’apporto di sostanze nutritizie nei
tessuti peri – articolari, è sicuramente il trattamento migliore per ovviare a tale evento negativo. Al
massaggio si assoceranno quindi, mobilizzazioni in sospensione: precoci e blande. Ogni giorno
viene fatto eseguire un movimento: elevazione laterale, elevazione anteriore e successivamente
retropulsione ed antepulsione orizzontale. Dopo una settimana si passa alla mobilizzazione
autopassiva ed agli esercizi attivi assistiti, poi agli esercizi con resistenza crescente. Se il dolore è
rilevante può essere indicata l'ultrasuonaterapía invece che il calore ed eventualmente corrente
diadinamica. Una volta ottenuta una buona articolarità e validità muscolare si fanno compiere
esercizi globali per tutto l'arto, attività occupazionali e ginnastica con attrezzi. Ad esempio per la
frattura della clavicola non appena il dolore lo consente si fanno fare dei movimenti di rotazione del
capo. In seguito, molto prudentemente, si cominciano i movimenti di rotazione dell'omero, poi di
antepulsione e retropulsione della spalla fissando con la mano libera la scapola.
Gomito ed avambraccio
Importanti e delicati sono gli estremi distali : se il gomito è immobilizzato si fanno muovere polso e
mano sia con contrazioni isometriche che isotoniche. In caso di rigidità del gomito bisogna cercare
di raggiungere la mobilità con gradualità poichè i tentativi forzati possono portare facilmente a
calcificazioni od ossificazioni con danni alle complesse formazioni peri- articolari, nonchè
complicanze nervose. Per lo stesso motivo si deve evitare di massaggiare la regione del gomito,
mentre si possono massaggiare le masse muscolari distanti e fare eseguire ginnastica vascolare e
bagni di contrasto. Se permane il dolore al gomito sono indicati ultrasuoni e corrente diadinamica .
No al calore.
Il trattamento rieducativo in queste lesioni è diverso nel bambino e nell'adulto. Nel bambino, infatti,
non è necessario alcun trattamento se non a scopo preventivo ad in caso di indesiderate
complicanze. Soprattutto si deve escludere il massaggio e la mobilizzazione passiva; non si deve
avere fretta. Bisognerà, invece, avere molta pazienza usando movimenti attivi, coinvolgendo il
bambino in attività ludico – motorie che implichino l'uso della palla, dei bastoni, delle clavette o
altro in modo che la motivazione e la gratificazione del gioco lo distolga dal problema e
dall’eventuale dolore ad esso connesso nel muoversi. La patologia esita in
complicanze
maggiormente nell'adulto, tuttavia è corretto agire sempre senza fretta, tenendo conto dello stato
del processo riparativo, dell'età del paziente, della professione ecc. Va recuperata in prima luogo la
flessione (buona sui 100/1101) tenendo conto che l'estensione non tornerà quasi mai completa poi,
negli esercizi di cinesiterapia vanno coinvolti sempre anche la spalla, il polso e la mano. Dal
trattamento si escludono in generale, termoterapia e massaggio, almeno nelle prime fasi si usa
invece il freddo, per l'azione antinfiammatoria ed analgesica e
l’idroterapia con bagni di contrasto e ultrasuoni per il ripristino del metabolismo dei tessuti.
Il massaggio va eseguito, durante l'immobilizzazione, per il collo, spalla, braccio e mano e in
associazione a mobilizzazione per gli arti liberi.
Tolto il gesso il massaggio può essere utile in un secondo momento per mobilizzare i piani tissutali e
vincerne l'eventuale adesione dovuta al trauma o all'immobilizzazione. Si deve comunque sempre
usare molta cautela e giusto dosaggio soprattutto in prossimità dell'articolazione. Si estendono le
manovre a tutto l'arto superiore partendo dalla mano fino alla spalla. Al termine si fanno eseguire i
movimenti attivi o passivi, se necessario, e sempre blandi e prudenti. Polso e mano sono molto
particolari in quanto vi sono numerose piccole articolazioni concentrate in un piccolo segmento.
Inoltre la mano è particolarmente reattiva in senso neuro-circolatorio sia alla immobilizzazione che
alle lesioni subite direttamente.
La mano rigida post-traumatica può essere diretta ( per lesione diretta dei suoi componenti), riflessa
( per immobilizzazione dei segmenti adiacenti) o neurogena ( per lesione nervosa ).
Fratture del polso e della mano
Una lesione traumatica al polso può provocare conseguenze che interessano tendini, nervi e vasi
in quanto il canale del carpo è il passaggio obbligato per tutti questi elementi. Per questa ragione le
lesioni al polso sia di natura distorsiva che
fratturativa sono spesso soggette a complicanze quali
aderenze e sclerosi delle guaine tendinee, paresi o paralisi per compressione dei nervi mediano o
ulnare e edema della mano per compressione dei vasi.
Nella frattura dello scafoide il processo riparativo è lento, in quanto
l’osso scarsamente
vascolarizzato e molte volte quando avviene è spesso incompleto ed esita in pseudoartrosi; in alcuni
casi non avviene affatto, dando luogo così a necrosi dello scafoide, che va trattato poi
chirurgicamente. È importante, pertanto, il trattamento in gesso con movimenti di tipo frequente
dei segmenti liberi, soprattutto delle dita, per prevenire l'edema, limitare l'atrofia muscolare e
mantenere mobili le articolazione. Alla rimozione del gesso il trattamento prevede idroterapia con
bagni in acqua calda a scopo sedativo e bagni di contrasto per agire sull'osteoporosi. Il massaggio è
utile per favorire il drenaggio e la risoluzione dell'edema e va fatto con arto in posizione declive
partendo dalla mano per finire alla radice dell'arto. Se eseguito con prudenza oltre a favorire la
circolazione, il massaggio migliora la mobilità articolare in quanto permette lo scorrimento dei
piani tissutali vincendone le aderenze. Alla massoterapia è prevista in associazione
mobilizzazione passiva in forma indolore prima e attiva dopo, con uso di terapia occupazionale.
la
Per quanto riguarda la mano, le principali lesioni sono costituite da : lussazioni a livello delle varie
articolazioni, compressioni del canale del carpo,
fratture metacarpali, carpali e falangee, lesioni
delle vie sensitive e motorie.
Gli
esiti
più
frequenti
per
questi
eventi
traumatici
sono:
le
contratture
come conseguenza di stimoli dolorosi; la rigidità come conseguenza di cicatrici, aderenze tendinee,
retrazioni capsula-legamentose ed immobilizzazione prolungata. In particolare, la lesione
legamentosa, per l'azione diretta del trauma e per l’esito cicatriziale del processo riparativo dà
luogo a tessuto connettivale anelastico con sempre o quasi conseguenze di rigidità e limitazione
funzionale.Il trattamento è, quindi, rivolto alla prevenzione e alla limitazione delle complicanze (
disturbi circolatori, edema, atrofia muscolare, perdita di sensibilità ) .
Si fanno muovere le
articolazioni libere quando il segmento è immobilizzato per continuare, dopo la rimozione del gesso
o dell'apparecchio di contenzione ( che deve essere più limitato possibile al segmento interessato) , con
idroterapia mediante bagni caldi (40°), per un’azione antalgica, ammorbidente e trofica e mediante
bagni di contrasto. I fanghi, la termoterapia ( I.R. ) preparano al massaggio.
In caso di edema il massaggio favorisce lo svuotamento e ammorbidisce i tessuti ridandogli elasticità
con azione diretta sulla fibrosi prodottasi durante l’immobilizzazione.Le manovre devono essere
analiticamente portate alle dita, al settore dorsale della metacarpo falangea ed interfalangea,
mobilizzando i piani cutanei; associando mobilizzazione passiva in caso di paralisi per prevenire la
rigidità e la retrazione e per ricreare l'immagine motoria e, dove è possibile, mobilizzazione attiva
generale globale e specifica analitica.
FRATTURE DELL’ARTO INFERIORE
Il trattamento di queste lesioni presenta problemi differenti a seconda della sede della frattura, del
tipo di trattamento ortopedico, della durata del periodo di immobilizzazione, del numero di
articolazioni comprese nella immobilizzazione, dell'età e delle caratteristiche del soggetto (
componenti neurodistoniche, condizioni cardiocircolatorie ), del modo in cui si sono consolidate le
fratture e delle eventuali complicanze ( vascolari e nervose ).
In generale gli obiettivi sono : la prevenzione del dolore, del versamento, dell'edema, combattere gli
atteggiamenti viziati, recuperare la funzione muscolare ed articolare tendendo progressivamente al
carico, alle andature, alla rieducazione propriocettiva, alla rieducazione allo sforzo. Il problema
principale resta la rigidità, per cui, il trattamento in osteosintesi, specie nei soggetti anziani, rende
più semplice la rieducazione. Comunque, i tempi di immobilizzazione e la ripresa del carico non
sono schematizzabili e sono di stretta pertinenza ortopedica. Bisogna, invece, porre l'attenzione sui
danni post traumatici che, come per l'arto superiore, sono l'atrofia muscolare, le sindromi
osteoporotiche, gli edemi distali oltre che la rigidità e, per prevenire i quali, bisogna intervenire già
dal momento in cui è stato praticato il trattamento di immobilizzazione. Pertanto, far compiere
sotto gesso le contrazioni isometriche e far muovere il più possibile i segmenti liberi. In generale,
una volta tolto il gesso, a scopo antalgico viene praticata la termoterapia esogena e la massoterapia,
e, a scopo trofico, la massoterapia e la elettrostimolazione ad impulsi.
Il massaggio va sempre
esteso a tutto l'arto associando la mobilizzazione attiva assistita per anca e ginocchio. In caso di
versamento non si usa la termoterapia ma il ghiaccio ( anche con applicazioni di due ore consecutive
) che ha funzione analgesica, favorisce il riassorbimento e la vasocostrizione. Le contrazioni
isometriche vanno estese oltre che al quadricipite anche a tutto l'arto inferiore ( ischiocrurali,
tricipite surale, glutei ) aumentando progressivamente il ritmo, il dosaggio e l’intensità. Il carico va
iniziato possibilmente in piscina e prima possibile, per poi passare alla bicicletta o in alternativa alla
cyclette e deambulazione senza appoggi.
Nelle fratture di tibia e perone ed in generale per le fratture a livello della caviglia e del piede
bisogna temere e tenere presente in modo particolare l'edema, ( che colpisce quasi sempre l'estremità
), l'osteoporosi e la rigidità dell'articolazione tibio-tarsica.
Per combattere l'edema si usano i bagni di contrasto alternati caldo e freddi (passando da 1 a 3
minuti per 5/10 volte), massaggio drenante, sopraelevazione dell'arto e mobilizzazione attiva
dell'articolazione. Per l'osteoporosi il movimento rimane la migliore terapia, ma vi si possono
associare i bagni di contrasto ed elettroterapia antalgica se necessario. A questo scopo è bene
iniziare il carico il più precocemente possibile anche se comporta ancora dolore: bisogna usa re una
soluzione di compromesso tra il carico precoce ed il dolore, affinchè questo non scateni reazioni
infiammatorie. Per cui prima si usano gli esercizi in scarico, poi appena i dolori e gli edemi
cominceranno a ridursi si userà il carico anche per migliorare la
tarsica.
Inoltre
più
la
mobilità
articolare
tibio -
immobilizzazione è prolungata ( ad es.: fratture dell'astragalo o del
calcagno ) più i sintomi precedenti sono marcati, per cui la mobilizzazione deve essere più precoce
possibile. Il massaggio va fatto con arto in posizione declive, mirando ad eliminare il dolore,
ammorbidire i tessuti, risolvere l'eventuale edema peri – malleolare e favorire la ripresa della
sensibilità. Il trattamento inizia, con sfioramenti partendo dalle dita per risalire, con entrambe le
mani a dita chiuse, lungo il dorso del piede, lungo la gamba fino al ginocchio. Si alternano poi
sfregamento profondo con impastamento sul polpaccio con frizioni localizzate
peri - malleolari,
privilegiando sfregamenti profondi ( pressioni scivolate ) in caso di edema per favorire il drenaggio
ed il riassorbimento dei liquidi. Per l’ipotrofia muscolare si eseguono classici e profondi
impastamenti. Concludere sempre con sfioramenti associando
mobilizzazione
al
termine
esercizi
di
attivo-assistita per tutto il piede. Viene, inoltre, insegnato al paziente l’esercizio
con la tavoletta propriocettiva Freeman ( che dovrà essere svolto quotidianamente per 10 - 15 minuti,
anche più volte al giorno ), e gli esercizi di pressione con le dita del piede ( ad es. raccogliere piccoli
oggetti da terra ) . Compatibilmente con la condizione del paziente, va ricercato al più presto
l'appoggio monopodalico e la deambulazione senza stampelle nelle varie andature. I dolori possono
resistere anche a distanza di tempo accompagnati da osteoporosi, ipotono-trofia
muscolare e
turbe statiche del piede. In questo caso trovano indicazione idroterapia e massaggio manuale, con
riposo dell’arto in scarico, buone le applicazioni di bende elastiche contenitive durante il giorno se si
deve tenere a lungo la stazione eretta.
La algodistrofia post-traumatica è la complicanza più temibile, infatti, è una sindrome che si
presenta dopo un trauma con: dolore che si accentua al movimento, edema, turbe vasomotorie con
iperemia, ipersudorazione, colorazione rosata della cute e osteoporosi diffusa. Interessa in sostanza
tutti i tessuti soprattutto a livello delle estremità degli arti, predilige i maschi ed in percentuale
maggiore l'arto inferiore. E' favorita da fattori costituzionali e da distonia neuro vegetativa. In
effetti colpisce in prevalenza i soggetti distonici, emotivi, ansiosi o depressi. Il trattamento deve
tenere presente in primo luogo questo fattore mentre si pone come obiettivi: la lotta contro il dolore,
l'edema, l'osteoporosi, il recupero del tono-trofismo muscolare, il ripristino della funzionalità
articolare ed il riadattamento allo sforzo. Si usa elettroterapia analgesica ( diadinamica ), ionoforesi
calcica ed elettrostimolazione, termoterapia (R.I. + U.V.), massoterapia a
base di sfioramento
leggero e sfregamento drenante per favorire il riassorbimento e la risoluzione della componente
edematosa. Le manovre del massaggio vanno estese a tutto l'arto comprendendo anche gli
impastamenti per la ripresa muscolare. Verrà evitato il carico per almeno 30 giorni, nel frattempo
si mobilizzano le facce articolari e tutto l'arto con movimenti globali. Usare l'idroterapia con acqua
calda (37°) per favorire il rilasciamento, decontratturare la muscolatura e favorire la ripresa del
tono. L'acqua, inoltre, sostenendo gran parte del peso del corpo, rende possibili i movimenti che
fuori di essa sarebbero impossibili. Usare, pertanto, idromassaggio e movimenti in acqua per
terminare col massaggio manuale dopo il bagno.
Frattura del calcagno
Nella frattura di calcagno, si procede con mobilizzazione precoce e carico tardivo. Dopo 48 ore si
pratica il massaggio per scongiurare l'edema, facendo seguire mobilizzazione attiva della tibiotarsica e
delle dita per evitare la rigidità della sotto-astragalica e mobilizzazione passiva della medio-tarsica,
per prevenire retrazioni e limitazioni che creerebbero dolore nel carico. Lo scopo di questo
trattamento sotto trazione è principalmente quello di combattere le torbe trofiche legate al non uso
prolungato ( edema, ipotrofia, osteoporosi ), conseguire la mobilità articolare senza dolore, limitare
lo scadimento della forza muscolare e tentarne il recupero. Dopo il 30° giorno il paziente viene
messo in posizione ortostatica senza caricare; calza scarpa ortopedica, cavigliera o calza elastica e
cammina con due stampelle. La frattura si salda in circa 2 mesi e, dopo tale periodo, si inizia il
carico progressivo fino a giungere ad una andatura normale dopo quattro mesi.
Fratture vertebrali
Nelle fratture del corpo vertebrale si osserva dolore, impotenza funzionale, rigidità, deformità.
Il
dolore è sempre presente qualunque sia la sede e l'entità della frattura. L'impotenza funzionale è
assente nei casi di lieve schiacciamento mentre la rigidità si nota nei punti più mobili. In genere un
periodo di tre mesi è sufficiente alla guarigione del corpo vertebrale anche se i frammenti marginali
si fondono al corpo stesso dopo sei mesi; l’importanza sulla funzione statico-dinamica è
trascurabile. Un’eventuale discopatia degenerativa si manifesta a due mesi dalla frattura ed assume
precocemente caratteri di cronicità. Il trattamento è complesso ed è rivolto soprattutto alla
prevenzione delle complicanze:
l'immobilizzazione
favorisce
l'osteoporosi
e
l'ipotrofia
muscolare, per cui alcuni la considerano inutile e preferiscono mantenere il paziente per un certo
periodo (20 - 60 giorni)su un materasso rigido, soprattutto se la persona è anziana o in scadenti
condizioni generali. Se si usa questo metodo c.d. astensionista o funzionale, massaggio e fisioterapia
vanno iniziati precocemente. Comunque il trattamento varia in rapporto al tipo di lesione
anatomica: nelle fratture amieliche (senza compromissione midollare) si cerca di combattere il
dolore locale persistente, la contrattura muscolare, la relativa rigidità, il deficit funzionale,
l'aumento della cifosi dorsale ed il torcicollo, conseguenze, queste, degli atteggiamenti viziati
antalgici. In caso di fratture delle apofisi spinose o trasverse,il trattamento è volto a contenere i
gonfiori ed a lenire i dolori laterali mentre nelle fratture mieliche il trattamento ( che va sempre
attuato in reparti specializzati ) si indirizza alla prevenzione dei decubiti, degli atteggiamenti viziati
ed alla rieducazione vescicale. Nelle fratture trattate col metodo astensionista durante
l'immobilizzazione si cercherà di mantenere l'articolarità degli arti, di evitare gli atteggiamenti
viziati, di prevenire l'ipotrofia muscolare specie del quadricipite e di favorire il circolo refluo. A tal
fine si pratica il massaggio sulla muscolatura, la mobilizzazione articolare per spalle, le anche e
ginocchia, si fanno esercitare attivamente gli arti e si fa praticare la ginnastica respiratoria
diaframmatica. Verso i sessanta giorni, quando è concesso il carico, a paziente seduto, si inizia la
massoterapia dei muscoli paravertebrali. Il massaggio, infatti, non viene praticato prima perché alla
contrattura dei muscoli paravertebrali si affida una funzione immobilizzatrice nel periodo iniziale.
Dopo i sessanta giorni si inizia il carico in stazione eretta e la rieducazione alla deambulazione; in
questa fase può essere di grande utilità il nuoto in piscina con acqua calda (35°). Verso il quarto
mese si riprende l'attività lavorativa.
Il metodo generalmente più adottato è,tuttavia, quello riduttivo con immobilizzazione in corsetto
gessato che consente di facilitare la rieducazione, in quanto i pazienti possono essere fatti alzare già
dopo i primi giorni, viene subito concessa la deambulazione e il carico precoce. Si fanno
agevolmente eseguire, gli esercizi globali per gli arti inferiori, per tutte le articolazioni libere e,
specialmente, per le anche. Il carico precoce, inoltre,
è di estrema utilità perché concorre alla
stimolazione della formazione del callo osseo.
Dopo il periodo di
immobilizzazione,
il corsetto gessato viene aperto a valva per praticare il
massaggio dei muscoli paravertebrali e di attuare la rieducazione statica degli stessi. In presenza di
dolori sarà utile la termoterapia con forni Bier. La rieducazione dinamica va iniziata con cautela e
gradualità utilizzando anche
il nuoto in piscina e, possibilmente, l'idromassaggio per i muscoli
paravertebrali. Nelle fratture mieliche la consistenza dei danni nervosi pone problemi ben più
rilevanti di quelli della frattura vertebrale: sindromi nervose associate, disturbi trofici, disfunzioni
vescicali, atteggiamenti viziati, deficit neuromotori e funzionali.
Esiti di traumi con conseguenze a distanza nel tempo
I dolori possono ricomparire anche a distanza di tempo sia a livello lombo- sacrale che cervicale. In
questi casi oltre che la idroterapia intesa sia come idromassaggio che come ginnastica in acqua, si
consigliano sabbiature e fanghi. Sempre utili, comunque, R.I. e massoterapia. In modo particolare
il tratto cervicale necessita di cicli di trattamento anche protratti nel
tempo. Consigliare i raggi
infrarossi (15 – 20 min. ) a scopo termico superficiale e, quindi, antalgico e rilassante con
massoterapia blanda. Il massaggio segue la termoterapia: agendo con manovre di sfioramento a
partenza occipitale sì seguono i fasci muscolari superiori del trapezio, degli scaleni e dell'angolare
della scapola scendendo fino alle inserzioni scapolo-onerali. Seguono le frizioni ritmiche e leggere
sui punti in cui si ravvisa una maggiore tensione e si prosegue con impastamento leggero sulla
muscolatura laterale e posteriore del collo. Non superare i 15 minuti, terminare sempre con lo
sfioramento ed abbinare possibilmente i movimenti di rotazione e di lateralità per il collo e le spalle
da fare eseguire in modo molto lento e in massimo rilassamento. Per quanto riguarda il tratto
dorso-lombare si esegue all'inizio un massaggio preparatorio che comprende sfregamento
superficiale su tutta la schiena e zone paravertebrali dove vengono esercitate frizioni con le dita
sovrapposte o con i pollici per agire in profondità sulle contrattare; scaricando con sfregamenti
profondi sia in senso ascendente che discendente, oppure trasversalmente
sul tratto lombare.
Si termina il trattamento con sfioramento e vibrazioni facendo durare il massaggio 15 -20 minuti.
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