Fuori dalle orbite

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MEDICINA
A cura di G. Giudice*, C. Calaprice**, M. Pascone***
Fuori dalle orbite
I materiali autologhi ed eterologhi nella ricostruzione degli occhi
orbita, per la sua peculiare posizione, viene
sempre più coinvolta nei traumi complessi
del volto causati, nella maggioranza dei casi,
dagli incidenti stradali.
Esito di un impatto ad alta e media energia, le
fratture dell’orbita sono ormai divenute un’entità clinica
ben distinta e possono coinvolgere sia singolarmente
che contemporaneamente il margine e/o il pavimento
orbitario.
La caratteristica fondamentale che distingue questo
grado di fratture è che spesso appaiono multiple e/o
comminute, talvolta con ampia perdita di sostanza ossea
che può provocare instabilità e dislocazione del “box”
orbitario e del globo oculare.
Nei casi in cui alla complessità delle fratture si
associa una perdita di sostanza ossea, numerosi sono
i materiali (autologhi ed eterologhi) che vengono uti­
lizzati per la sua ricostruzione. Senza dubbio, l’innesto
d’osso autologo, (Tabella 1) rappresenta il materiale di
prima scelta (Tabella 2), anche se alcuni svantaggi ne
possono talvolta limitare l’utilizzazione (Tabella 3).
Traumi dell’orbita, trattamento
nelle fratture con p.d.s. ossea
Innesti autologhi con:
- osso iliaco;
- osso mascellare;
- osso mandibolare;
- calvaria;
- cartilagine settale;
- cartilagine auricolare;
- fascia.
pugliasalute
Traumi dell’orbita, vantaggi
degli innesti autologhi
- Ricostruzione fisiologica;
- grosse quantità;
- no rigetto;
- no costi.
Tabella 2
Traumi dell’orbita, svantaggi
degli innesti autologhi
- Riassorbimento;
- difficile modellamento;
- tempi operatori lunghi;
- cicatrici in sede di prelievo;
- dolore (iliaco, costale);
- disturbi della deambulazione (iliaco);
- perforazioni pleuriche (costale).
Tabella 3
L’assenza di morbidità dell’area di prelievo, la
riduzione dei tempi operatori e dei fenomeni di riassor­
bimento fanno talvolta preferire l’impiego di materiali
eterologhi. (Tabella 4 – 5)
Tabella 1
È interessante comunque notare come attualmente
non ci sia un sostituto ideale (Tabella 6) e la scelta
dipenda, di volta in volta, dall’entità, dal tipo e dalla
sede del difetto, nonché dal tempo della ricostruzione
(immediata, differita o tardiva) ed, in parte, anche dalla
personale esperienza del chirurgo.
- trentadue -
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Traumi dell’orbita, trattamento
nelle fratture con p.d.s. ossea
Innesti eterologhi non riassorbibili
- dura madre liofilizzata;
- fascia lata liofilizzata;
- mesh metalliche (acciaio, vitallium, titanio);
- vetri bioattivi;
- idrossiapatite;
- medpor;
- silastic;
- polimetilmetalcrilato;
- cementi.
Tabella 4
Traumi dell’orbita, trattamento
nelle fratture con p.d.s. ossea
Innesti eterologhi riassorbibili
- gel film;
- lamine acido poliglicolico;
- lamine acido polilattico;
- pds (polidioxassone);
- pds + acido polilattico.
Tabella 5
Traumi dell’orbita, materiale
ideale per innesti eterologhi
- Inerte;
- facilmente modellabile;
- stabile nel tempo;
- non tossico;
- sufficientemente rigido;
- non oncogeno;
- non allergizzante.
Tabella 6
Materiali e metodi
I principi fondamentali che vanno seguiti nell’intervento
chirurgico d’urgenza, immediato o differito, sono:
- l’esposizione diretta dei focolai di frattura;
- il ripristino tridimensionale della struttura anatomica
funzionale ed estetica dell’orbita e del suo contenuto
mediante innesti autologhi e/o eterologhi;
- la stabilizzazione dei frammenti e/o innesti ossei
mediante fissazione rigida;
- la ricostruzione e il riposizionamento delle strutture
non scheletriche interessate (legamenti cantali, muscoli e
nervi intra e periorbitari, apparato lacrimale).
Nei casi di fratture orbitarie complesse associate a
lesioni cranio-facciali (lesioni fronto-naso-orbitarie, o Le
Fort III) l’accesso chirurgico che di solito si preferisce, per
l’ampia esposizione delle linee di frattura, è quello bicoronale
che ci consente sia di sollevare lo scalpo lasciando il
periostio adeso all’osso frontale fino all’identificazione dei
pugliasalute
segmenti ossei fratturati, sia di eseguire una dissezione
sottoperiostale per isolare interamente i frammenti ossei
del margine orbitario superiore, del processo frontozigomatico e del processo zigomatico-temporale.
Per non ledere il ramo frontale del nervo facciale, si
esegue una dissezione fra fascia profonda e muscolo tem­
porale avendo cura di sollevare il lembo frontale mediante
una forza di trazione leggera e poco traumatizzante anche
per ridurre i tempi di parestesia transitoria pur sempre
presenti.
Nei casi di frattura del margine e/o del pavimento
orbitario, l’incisione sottotarsale consente di revisionare
direttamente i siti di frattura, nonché di proteggere in
maniera adeguata il globo oculare durante ogni fase della
ricostruzione.
La scelta di questa via di esposizione chirurgica è
giustificata dalla facile dissezione delle strutture e dall’as­
senza di edemi post-operatori prolungati e/o di ectropion.
Nelle fratture orbitarie complesse con interessamento
del mascellare superiore, la via seguita è quella vestibolare
superiore che consente, dopo aver identificato il nervo
infraorbitario, di isolare completamente i tessuti molli della
faccia dal supporto scheletrico e di esporre completamente
i pilastri di resistenza verticali (paranasali e zigomaticomascellari) lesionati riducendo i siti di frattura mediante i
sistemi di fissazione rigida più idonei.
Ferite a tutto spessore dei tegumenti possono, talvolta,
facilitare l’accesso chirurgico alle aree di frattura, ma
raramente possono sostituirsi ai tipi di incisione chirurgica
sovraesposti.
Attualmente i materiali eterologhi sembrano avere un
ruolo importante nella chirurgia ricostruttiva dello scheletro
facciale: sono prontamente utilizzabili, eliminano la
morbidità del sito di prelievo, riducono i tempi operatori,
anche se la loro utilizzazione si associa spesso a numerose
complicanze (Tabella 7), quali infezione e/o estrusioni.
In particolare, nelle ricostruzioni orbitarie la loro mi­
grazione può causare dacriocistiti, limitazione della motilità
del globo oculare, gravi emorragie con diplopia e, infine,
una riduzione del visus per compressione sul nervo ottico.
Traumi dell’orbita, svantaggi
degli innesti eterologhi
- Infezione;
- estrusione;
- migrazione;
- fistole cutanee;
- cecità;
- conducibilità termica;
- costi elevati;
- riassorbimento non certo.
Tabella 7
Nella nostra esperienza, i materiali eterologhi più uti­
lizzati nelle ricostruzioni orbitarie sono stati le lamine di
Lyodura (Tabella 8 e Figura 1), le mesh metalliche (TAB
- trentatre -
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Traumi dell’orbita, dura madre liofilizzata
- Facile modellamento;
- elevata malleabilità;
- limiti dimensionali (2x2 cm);
- infezioni virali.
Tabella 8
Traumi dell’orbita, mesh metalliche
(acciaio, titanio, vitallium)
- No limiti dimensionali;
- difficile modellamento;
- scarsa malleabilità;
- elevata rigidità;
- no callo osseo;
- palpabilità;
- estrusione;
- termoconduzione.
Tabella 9
Traumi dell’orbita, nuovo PDS
(poli-p-diossanone)
- Facile modellamento;
- buona malleabilità;
- buona rigidità;
- poroso.
Tabella 10
9) e le lamine in PDS (Tabella 10).
L’assenza di complicanze (infezione, estrusione e/o
migrazione), osservate con l’utilizzazione delle lamine di
Lyodura e in PDS ci ha consentito di ottenere dei risultati
molto soddisfacenti soprattutto nella ri­
costruzione del pavimento orbitario e della
parete laterale dell’orbita (Figura 2).
la necessità di innesti d’osso al solo pavimento orbitario
che può essere ricostruito, pertanto, con un semplice impianto
di Lyodura.
Peraltro, nei gravi traumi orbitari associati a lesioni
oculari, nei quali c’è una reale perdita di sostanza ossea,
la “mortificazione” dei tessuti molli e delle strutture sotto­
stanti, rende rischioso eseguire un innesto osseo in prima
istanza.
Nella nostra esperienza preferiamo riservare tale meto­
dica per le ricostruzioni tardive.
Le sedi di prelievo tradizionalmente utilizzate sono la
cresta iliaca e la costa, anche se entrambe possono presentare
alcuni limiti, quali:
- l’eventuale lacerazione della pleura, le cicatrici evidenti
Le dimensioni del difetto osseo da
colmare (<3-4 cm), costituiscono però un
limite all’impiego di tali materiali che
necessitano di bordi ossei su cui poggiare.
Le mesh al titanio sono state utilizzate
solo nei casi in cui la lesione ossea inte­
ressava la parete mediale ed il terzo po­
steriore del pavimento orbitario; l’elevata
conducibilità termica “impone” un posi­
zionamento “mascherato” della protesi e,
dunque, non a stretto contatto con il tessuto
cutaneo.
Per quanto riguarda gli innesti autolo­
ghi, nella nostra casistica sono stati utilizzati
prevalentemente nelle ricostruzioni tardive.
L’esposizione diretta dei focolai di
frattura, l’accurato ripristino anatomico
tridimensionale delle pareti orbitarie, riduce
pugliasalute
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e un prolungato dolore toracico per il prelievo di costa;
- una rilevante perdita ematica durante l’atto operatorio,
una evidente cicatrice, una difficile deambulazione e un
notevole dolore post-operatorio per il prelievo di cresta
iliaca.
Nella nostra esperienza, queste complicanze non sono
state mai osservate ad esclusione di un persistente (3-6
mesi) dolore toracico riportato da entrambi i pazienti
sottoposti ad intervento di ricostruzione del margine orbitario
mediante prelievo di costa.
È importante notare come, in questi pazienti, sia stato
osservato a distanza un riassorbimento parziale dell’innesto.
Risultati invece molto soddisfacenti, in termini di assenza
di riassorbimento e/o complicanze, sono stati ottenuti con
innesti di cresta iliaca.
La maggiore quantità di osso disponibile, consente di
Dal 1600 a oggi: storia degli innesti
L’utilizzazione di innesti autologhi e/o eterologhi per
la ricostruzione dello scheletro facciale trova le sue origini
nella cranioplastica. La storia della cranioplastica risale
almeno ai tempi di Falloppio che, nel 1600, discuteva sui
relativi vantaggi del riposizionamento dell’osso fratturato
rispetto all’inserimento di lamine d’oro, nelle ricostruzioni
dei difetti traumatici del cranio. Nel 1889, Seydel rico­
struiva una frattura depressa dell’osso parietale con un
innesto autologo prelevato dalla tibia, essendo il primo
a sostenere l’uso di innesti d’osso autologo per la rico­
struzione del cranio. Negli anni successivi, Muller e
Konig riferivano su di un caso di ricostruzione di difetto
osseo del cranio mediante un lembo di trasposizione
composto da cuoio capelluto periostio e tavolato osseo
esterno, mentre Sohr, nel 1907, riferiva sul primo inter­
vento di ricostruzione con innesto di tavolato osseo esterno
libero.
Si deve tuttavia a Tessier, nel 1981, il primo utilizzo
di innesto d’osso libero (calvaria) nella ricostruzione di
difetti ossei cranio-facciali.
pugliasalute
ricostruire contemporaneamente
margine e pavimento e, soprat­
tutto, di eseguire una “over cor­
rection”, importante per correg­
gere l’atrofia post-traumatica cui
vanno incontro i tessuti intraor­
bitari. Attualmente la sede di
prelievo da noi maggiormente
utilizzata è la calvaria.
Il minore riassorbimento cui
va incontro questo innesto osseo
è da associare alla sua origine
membranosa che rende questo
materiale di prima scelta se im­
piegato per la ricostruzione del
massiccio cranio-facciale.
Solo alcuni limiti insiti nella
sua stessa morfologia (concavità
verso l’alto) ed alcune difficoltà
tecniche del prelievo riducono la sua utilizzazione clinica
nella ricostruzione orbitaria ed in particolare del pavimento.
Peraltro, la possibilità di ridurre tali rischi connessi con
il prelievo, attraverso precauzioni quali:
- eseguire il prelievo a non meno di 2 cm dalla linea
mediana sagittale e dalle suture craniche per non rischiare
di ledere il seno sagittale e provocare una grave emorragia;
- eseguire un prelievo a tutto spessore seguito dal
riposizionamento del tavolato interno (anatomicamente
corrispondente alla dura sottostante), nel difetto osseo
prodotto per evitare di perforare il tavolato osseo interno
e ledere la dura madre, consente di ridurre la morbidità di
questa area di prelievo.
Conclusioni
La scelta del materiale da utilizzare per la ricostruzione
del pavimento dell’orbita e del suo margine dipende, di
volta in volta, dal tipo e dalla sede del difetto, dall’età del
paziente, dal tempo della ricostruzione (immediata, differita
e tardiva), nonché dalla personale esperienza del chirurgo.
Attualmente, non esiste un sostituto dell'osso ideale;
ogni materiale, sia esso autologo o eterologo, purché
biocompatibile, può essere utilizzato con successo se
appropriatamente impiantato.
I materiali alloplastici sono sicuramente di più facile
impiego, anche se le numerose complicanze spesso associate
limitano la loro utilizzazione.
Più utilizzati sono gli innesti di osso autologo (calvaria,
cresta iliaca) che consentono di ottenere una correzione più
stabile e sicura, con un recupero morfo-funzionale ed
estetico senza dubbio più soddisfacente e duraturo nel
tempo.
* Professore Associato Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica Università degli Studi di Bari.
** Scuola di Specializzazione in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed
Estetica - Università degli Studi di Bari.
*** Professore Ordinario - Direttore Struttura Complessa di Chirurgia
Plastica di Bari
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