Claudia Contin Arlecchino LA UMANA COMMEDIA DI ARLECCHINO Tra iconografia antica e ritratti d’arte del primo Arlecchino donna EDIZIONI FORME LIBERE Claudia Contin Arlecchino, La Umana Commedia di Arlecchino Copyright© 2017 Edizioni Forme Libere Gruppo Editoriale Tangram Srl Via Verdi, 9/A – 38122 Trento www.forme‑libere.it – [email protected] Collana “Porto Arlecchino” – NIC 02 Prima edizione: febbraio 2017 – Printed in EU ISBN 978-88-6459-072-1 In copertina: Vortice temporale, ritratto di Claudia Contin Arlecchino, foto Mirko Silvestrini, grafica digitale Luca Fantinutti (2016). L’opera fa parte della collezione Arlecchino e i Fossili del Futuro (Archivio di Porto Arlecchino). Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina Prefazione – Manuale d’uso per la pluralità di Arlecchino 9 22 Introduzione – Si dice che i tempi cambiano 23 Dedica – Agli artisti di tutti i tempi 27 Note alla Prefazione LA UMANA COMMEDIA DI ARLECCHINO Prologo del saltimbanco contemporaneo 31 Cantica prima – Vortice temporale 41 43 47 57 69 1557 – Tristano Martinelli, primo attore a scegliere il nome di Arlecchino 74 XVI‑XVII sec. – Arlecchino Primo, in viaggio tra Italia e Francia 86 XVI‑XVII sec. – Lazzi iconografici di Arlecchino nella Commedia dell’Arte 103 XVIII sec. – La riforma goldoniana tenta di civilizzare Arlecchino 149 XIX sec. – Arlecchino marionetta e burattino 220 XX sec. – Grandi maestri contemporanei per la maschera di Arlecchino 236 XX‑XXI sec. – Arlecchino Ennesimo e primo Arlecchino donna 248 Note al Prologo e alla Cantica prima 261 XII‑XIII sec. – La “Familia Hellequini” nelle visioni dei monaci erranti XIV sec. – Alichino tra i diavoli buffi della quinta bolgia del cerchio ottavo XIV sec. – Hellequin a capo degli charivari e delle “masnade selvagge” XIV sec. – Arlecchino con la gerla piena di infanti Cantica seconda – Vortice di genere 283 285 308 457 I tempi cambiano 475 Cantica terza – Vortice di memorie 499 501 520 538 549 Bibliografia 557 Referenze iconografiche 569 Ringraziamenti 591 Una ricostruzione comportamentale per Arlecchino Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna Note alla Cantica seconda Arlecchino e l’uomo selvatico tra antichi e nuovi Carnevali Indagini tra mondo selvatico e Commedia dell’Arte Il mito dell’uomo vegetale presso altre culture Note alla Cantica terza LA UMANA COMMEDIA DI ARLECCHINO Tra iconografia antica e ritratti d’arte del primo Arlecchino donna 9| Prefazione – Manuale d’uso per la pluralità di Arlecchino Q uesto è un libro che affascina e sorprende, con la sua capacità d’insinuarsi tra le pieghe del reale, affondando la mente, il corpo e l’anima dentro la vita culturale e popolare, antica e contemporanea, dell’individuo e della società. Un libro colto e impegnato, nutrito da perseveranti ricerche in cui il sapere umanistico (dalla letteratura al teatro, dall’arte all’artigianato) si radica nella scientificità della filolo‑ gia. Eppure non è un saggio, ma piuttosto un “manuale d’uso sulla vita nell’arte e sull’arte nella vita”, da maneggiare con la ridente complicità di un saltimbanco. Un manuale d’uso non può che essere concretamente esperienziale e, concernendo in tal caso l’esistenza in termini sociali, artistici e filoso‑ fici, la sua più adatta consistenza è quella dell’autobiografia plurima ed eccentrica – dell’artista visiva e attrice teatrale Claudia Contin Arlec‑ chino – imperniata solo su vicende reali, storiche e contemporanee, fondate nell’istanza relazionale. Si tratta di un percorso raccolto e ordinato che segue le trame di ricerche e di incontri sul filo rosso auto‑ biografico in cui la valenza eccentrica va intesa in senso etimologico, ossia fuori dal centro, avulsa da un’univoca centralità, perché relativa a una poetica poliedrica e onnivora che ingoia il mondo mediante un lungo e meditato processo di assimilazione e metabolizzazione. Ciò comporta uno spostamento continuo del sé, un perseverante “met‑ tersi in gioco”, implicando la capacità di retrocedere il proprio ego per accogliere l’altro e, nell’incontro, riprendere poi un passo comune. Il tutto condotto sempre attraverso la centralità del corpo, in tal caso sì, ponendo al centro della questione il corpo di Claudia Contin Arlec‑ chino. | 10 Prefazione – Manuale d’uso per la pluralità di Arlecchino Perché il suo corpo – inteso come presenza oggettiva e fisica fon‑ data sul fare, che nel suo esserci contempla mente e anima – si dà come performer relazionante, che indaga, conosce, sperimenta, pensa e pro‑ getta, suda e fatica, prova e costruisce, parla e gesticola. È la più intri‑ gante dimensione dell’artista contemporaneo, votato al trasformismo che alimenta il suo essere personaggio nella dimensione dialogica di volto e maschera, scomparsa e apparizione, morte e rinascita, all’inse‑ gna della mutazione generata dalla relazione, con l’altro da sé e con il mondo. Ricordo bene da dove proviene questo personaggio, avendo avuto la fortuna d’incontrare e conoscere Claudia Contin (con l’Arlecchino in germe) sui banchi di scuola, all’allora Istituto Statale d’Arte Sello di Udine, dove con l’entusiasmo dei nostri quindici anni abbiamo spe‑ rimentato gli intrecci di una creatività debordante e contaminante. Quando tutto sembrava naturalmente possibile, nella relazione tra concetto e forma, corpo e anima, idee di alcuni tradotte in azioni di altri, immagini, oggetti, gesti del singolo mutuati in progetti di gruppo e viceversa. La contaminazione linguistica, ideativa e strutturale, era una prassi quotidiana. Questa dimensione mentale radicata nel fare creativo lascia il segno, incide in modo profondo sulla formazione dell’individuo, tanto da farti rinvenire e riscoprire. A più di trent’anni da quelle sperimentazioni sui banchi di scuola ci siamo ritrovate a teatro, lei come attrice‑autrice in Gli abitanti di Arlecchinia, conferenza‑spettacolo sui personaggi della Commedia dell’Arte; io come spettatore, che nel suo essere curatore d’arte con‑ temporanea aperta alla trasversalità linguistica, cerca e spera di scovare quella pluralità eccentrica del personaggio che le consenta di definirsi più che un critico d’arte in posizione cattedratica, un biografo d’iden‑ tità creative. Non è facile e non è scontato trovare artisti capaci di esprimersi con più linguaggi, dotati quindi di competenze diverse, entro le quali respi‑ rare la medesima poetica, la stessa posizione nei confronti del mondo e dell’esistenza. Si tratta di quel tout‑se tient, celebre e controversa locu‑ zione del linguista e semiologo svizzero Ferdinand de Saussure tesa a definire quanto tutti gli elementi del linguaggio (ampliando quest’ul‑ timo in ambito multidisciplinare) siano inscindibilmente connessi e vicendevolmente mutevoli nello scambio tra l’artista e la memoria del Prefazione – Manuale d’uso per la pluralità di Arlecchino 11 | mondo. È un’espressione di complicità e favoreggiamento tra opera e vita, tra pratica del mestiere artistico e immaginario‑edonismo‑deside‑ rata di un soggetto che considera ogni opera come un progetto aperto, laddove l’intenzione e il fare dell’artista sono stadi di una personalità che si esprime mutando, facendosi opera e valicando la storia. Non è facile riscontrare lo stato del tout‑se tient, soprattutto se si tratta di personaggi ampiamente noti su un fronte disciplinare, che parallelamente creano altri linguaggi entro il cui sistema non godono della medesima visibilità (il cantante che dipinge e trova spazi espo‑ sitivi, per esempio, o l’attore che realizza ed espone sculture). Per‑ ché spesso questo secondo o terzo fronte espressivo è, per il soggetto famoso, un creativo disimpegno che fa leva sulla notorietà del per‑ sonaggio per potersi accreditare culturalmente. Non è facile, invece, incontrare l’artista capace di esprimere in modo poliedrico una singo‑ lare poetica, riconoscibile in una medesima traccia concettuale, strut‑ turale ed emotiva. Mi era già successo, anni prima, all’inaugurazione di una mostra alla galleria Santo Ficara di Firenze, che presentava, per la prima volta in Italia, i disegni di Bigas Luna. Davanti a quelle opere e al suo autore – seguito in diverse mostre, poi in Spagna, a ridosso dell’in‑ trinseco legame che stringeva la sua arte alla sua vita quotidiana – il regista di L’età di Lulù, La teta y la luna e Prosciutto‑prosciutto, mi si è svelato come un grande artista poliedrico la cui ossessione creativa tes‑ suta tra sensualità, sesso e cibo si ritrovava nella circolarità di simbolo‑ gie segniche che ho definito come “intimismo uterino”: un filo rosso dipanato e riconfermato in ogni suo linguaggio, dal design alle perfor‑ mance, dalla pittura al cinema e alla fotografia. In Gli abitanti di Arlecchinia di Claudia Contin Arlecchino ricono‑ scevo alcuni gesti e posture sperimentate a scuola, ma la sua straordi‑ narietà scenica, l’incredibile capacità di gestire contemporaneamente la performance attoriale, le prestazioni ginniche e vocali, il farsi corpo dentro e fuori dalla maschera, erano segni di studi, prove e impegni di cui non sapevo. Incuriosita e affascinata, di lì a poco sono andata a farle visita a Porto Arlecchino, il suo laboratorio di arte e artigianato per il teatro, dotato di nutrite collezioni di maschere, burattini, costumi, sce‑ nografie, incisioni, che la vedono impegnata in prima persona nell’i‑ deazione, progettazione e realizzazione, con il supporto di assistenti e allievi degli atelier che completano le molteplici attività laboratoriali. 23 | Introduzione – Si dice che i tempi cambiano La figura di Arlecchino ha accompagnato nei secoli, e continua ad accompagnare, le risate catartiche delle anime dei vivi e dei morti. I primi incontri avvengono durante le scorribande dell’antico Helle‑ quin, del quale si ha notizia sin dal XII secolo nelle testimonianze dei monaci erranti e nelle culture carnevalesche di tutta Europa e poi attraverso i “Viaggi Teatrali” dei Comici italiani che lo hanno fatto conoscere in tutto il mondo. Un paio di secoli prima della grande dif‑ fusione della Commedia dell’Arte, nel XXI canto dell’Inferno della Divina Commedia, Dante descrive un simpatico Alichino attaccabri‑ ghe, in mezzo ai diavoli buffi e grottescamente giocosi della quinta bolgia del cerchio ottavo. Il primo attore comico ad aver scelto esplicitamente per la sua maschera il nome di Arlecchino fu, nel Cinquecento, il mantovano Tristano Martinelli. Ancora oggi la figura di Arlecchino è avvolta nel mistero apparente‑ mente contraddittorio della sua antichità e della sua attualità L’artista contemporaneo Claudia Contin Arlecchino raccoglie da un’intera vita queste divine o inferiche eredità di saltimbanco portando con sé, sulle scene umane del suo teatro, la capacità arlecchinesca di leggere ogni realtà umana come una sana e umana commedia. Nella nostra mentalità contemporanea si dice che «i tempi cam‑ biano» e devono cambiare. Nella paziente mentalità delle nostre nonne si dice «niente è per sempre». Su queste due popolaresche perle (o patate) di saggezza si può cercare di fondare una ricerca con‑ sapevole, oppure, al contrario, si può rischiare di giustificare precon‑ cetti e fraintendimenti proprio sulle radici più profonde e antiche che muovono i cambiamenti. Su queste due frasi, «i tempi cambiano» e | 24 Introduzione – Si dice che i tempi cambiano «niente è per sempre», l’Arlecchino dell’autrice gioca audacemente per stimolare le memorie e per smontare i tabù esistenti intorno alla sua stessa figura. Una sorta di “tormentone” comico, quindi, che accompagna in con‑ tropelo le tre cantiche di questa commedia, distesa tra i secoli, ma agile come un volo d’uccello: «Eh sì! I tempi cambiano e niente è per sem‑ pre – ci dice Arlecchino – ma nulla si crea e nulla si distrugge» ci ras‑ sicura bonariamente, riconsegnandoci e connettendo continuamente frammenti, che temevamo di aver perduto, con novità che temevamo di non capire. In questo divertente racconto teatrale e iconografico, Claudia Con‑ tin Arlecchino ci svela i segreti messaggi contenuti nelle antiche inci‑ sioni raffiguranti i diavoli buffi, i proto‑Arlecchini, l’antico Hellequin, i giullari, gli uomini selvatici dei carnevali danzanti e i grandi Arlecchini professionisti della storia della Commedia dell’Arte. Per delimitare i confini del corposo lavoro di analisi iconografica, l’autrice si rivolge quasi esclusivamente alla figura di Arlecchino e per lui predilige le gra‑ fiche, le incisioni, le illustrazioni, i disegni e le miniature che consi‑ dera più direttamente legate al tessuto esperienziale delle azioni sceni‑ che ivi raffigurate. Sceglie così di tralasciare l’analisi specifica di tutti i grandi dipinti e affreschi ispirati, nei secoli passati, alla figura di Arlec‑ chino e ai cicli delle altre maschere, sia per questioni di eccessiva esten‑ sione dell’indagine, sia perché il mondo della pittura era spesso più legato alla splendida decorazione d’ispirazione per ambienti e palazzi, anziché alla specifica passione documentaria teatrale di committenti e collezionisti. Eppure, questo enorme lavoro di selezione non rappre‑ senta, a detta della stessa autrice, che una piccola parte dell’immenso patrimonio iconografico disponibile riguardante Arlecchino. Il viaggio prosegue raccontando le storie e i progetti di quegli arti‑ sti che tra il XX e il XXI secolo, nello scegliere il suo Arlecchino come modello o come ispirazione, hanno contribuito a creare una nuova iconografia contemporanea arlecchinesca con Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna. E qui sì che la panoramica delle tecniche artisti‑ che descritte non ha più limiti. Claudia Contin Arlecchino, prima donna a interpretare con continuità dal 1987 il carattere maschile di Arlecchino, negli scorsi decenni ha lavorato anche come “modello” per diversi altri artisti figurativi e fotografi. La sua particolare rico‑ Introduzione – Si dice che i tempi cambiano 25 | struzione di Arlecchino, del quale ha curato personalmente anche maschera, costume e accessori, oltre che comportamento e dramma‑ turgie, ha ispirato diversi pittori, scultori, illustratori, fumettisti, foto‑ grafi, poeti e musicisti che le hanno dedicato alcune delle loro opere. L’esposizione di “ritratti” che La Umana Commedia di Arlecchino pro‑ pone è una piccola selezione delle collezioni private e delle produzioni di una ventina di artisti che, a questo Arlecchino, si sono ispirati per raffigurarlo nel Terzo Millennio, attratti, come dicono, “da un’energia vitale e radioattiva”, qualcosa che è universale e non personale, qual‑ cosa che, se ha conquistato appieno il carattere maschile del personag‑ gio, non lo ha però fatto a scapito delle icone e delle sensibilità femmi‑ nili presenti nella figura ancestrale di Arlecchino stesso. L’Editore Giugno 2016 27 | Dedica – Agli artisti di tutti i tempi Questo non è un racconto di fantasia: ogni riferimento a fatti real‑ mente accaduti o a persone esistite o esistenti è puramente vero e docu‑ mentato. La realtà supera sempre la fantasia, per meraviglia e incredi‑ bilità. Io non sono dunque uno scrittore o un poeta che si inventa le cose, sono un testimone incantato e fedele della “Umana Commedia” della vita. Porto sulle mie spalle, dentro la mia vecchia gerla, i fardelli e i dolori, i segreti e le ribellioni, e me ne assumo ogni responsabilità per tutte le volte che saprò riderne e per tutte le volte che saprò strappare una sana risata ai vostri cuori addolorati. Uomini e donne addolorati, a voi che siete i miei Cristi e le mie Madonne, dedico le danze, le acro‑ batiche evoluzioni dell’anima, i disegni e i progetti dello spirito… e il tintinnare allegro dei nostri denti, in vita e in morte, finché il futuro vorrà ricordarci. Arlecchino Ennesimo Aprile 2016 LA UMANA COMMEDIA DI ARLECCHINO Fig. 1 – Lo stupore di Arlecchino Fig. 2 – Prologo del saltimbanco contemporaneo 31 | Prologo del saltimbanco contemporaneo C ome ormai ben saprete conoscendomi, questo non è uno spetta‑ colo con tutti i crismi che definiscono il teatro classico: è piutto‑ sto uno dei miei sani minestroni di informazioni sceniche, culturali, artistiche e soprattutto comiche. Ma la Commedia dell’Arte stessa non è teatro classico, è un fenomeno d’arte dell’attore in cui ci si deve abi‑ tuare a improvvisare tutto quello che succede nei confronti del pub‑ blico. Manca la cosiddetta “quarta parete” e tutto ciò che avviene sulla scena è in presa diretta con la platea degli spettatori. Spesso la divi‑ sione tra spazio scenico e platea neppure esiste, e gli attori compiono le loro azioni direttamente in mezzo al pubblico1. Pertanto cari spettatori convenuti, cari «raspadori de fregole de alle‑ gria», come dice da decenni il mio Arlecchino nel suo Mondologo2, beh… anche qui in questo elegante teatro dell’immaginazione, voi potete comportarvi pure come un chiassoso pubblico di piazza, di piazza contemporanea intendo: potete tenere accesi i cellulari se volete essere disturbati, potete restare reperibili al marito, o alla moglie, o all’a‑ mante, mentre si svolge la scena, e magari poi «rispondo io al vostro posto se vi chiamano, così coinvolgiamo nell’etere tutti i vostri parenti a ridere con noi, e poi io mi faccio invitare a cena a casa vostra» com’è solito dire il mio amico e collega Paolo Rossi, Arlecchino contemporaneo3. Potete provare a leggere il giornale mentre io parlo, o accendere la radiolina, ops… il tablet, e tentare di ascoltare la partita, potete grat‑ tarvi la pancia e starnutire, scoreggiare, ruttare, come se foste seduti alla vostra osteria preferita o nel vostro bagno di casa, o potete alzarvi e andare davvero al bagno del teatro, uscire a bere un caffè e poi tor‑ nare. Starà a me, al vostro saltimbanco di fiducia, rendervi impossibile | 32 Prologo del saltimbanco contemporaneo tutto questo, riuscire ad attirare la vostra attenzione residua, riuscire a rintracciare i vostri neuroni della curiosità per rapirvi, per ri‑sinto‑ nizzarvi con questo luogo, con questo momento, con lo sconosciuto che vi sta seduto accanto, per accedere al silenzio e all’incanto di una storia molto più vecchia e molto più sana di tutti noi. Potete anche far entrare tutti quelli che arrivano in ritardo, se volete, sino a cinque minuti prima della fine però, poi bloccateli, se no s’incrociano con quelli che escono e ne risulterebbe una sommossa, cosa che vorrei evi‑ tare vista la scarsa legalità che è stata riconosciuta nei secoli al nostro antico mestiere di saltimbanchi. Il nostro mestiere di saltimbanchi è però importantissimo, ve l’assi‑ curo! Non se ne può fare a meno da che mondo è mondo, «anche se i tempi cambiano». Noi troviamo sempre il modo di essere non sol‑ tanto utili, ma addirittura necessari. Senza tanto strepito, nel nostro piccolo ci diamo da fare affinché, cari spettatori, non possiate più fare a meno di noi. Come ben dice e sa il collega saltimbanco Paolo Rossi: «Il primo compito di un comico, di un saltimbanco, oggi è quello di portare conforto, ma non in senso pietistico: quello che oltre a tirar su il morale – e già questo sarebbe abbastanza oggi – offre un punto di vista diverso, insinua un dubbio più che dare un messaggio, fa domande, magari quelle che si fanno tutti. Io parlo della realtà, in que‑ sto senso Arlecchino è uno spettacolo politico… Noi cerchiamo altre vie, parliamo dei problemi reali, della strada, andiamo nel piccolo e nel quotidiano, non inseguiamo i fatti eclatanti»4. Non so, dunque, esattamente che cosa vi aspettate da me in quest’oc‑ casione ma cercherò di accontentare un po’ qualunque aspettativa, nel senso che ci sarà un po’ di conferenza, un po’ di Commedia dell’Arte, un po’ di improvvisazione, un po’ di lezione teorico‑pratica e così via. Ma, prima di tutto, devo anch’io contestualizzare la serata a livello storico: non tanto perché la storia sia un dovere documentario o filo‑ logico per noi attori, ma perché per noi comici la storia è fonte inesau‑ ribile d’ispirazione. Gli attori e gli artisti che ci hanno preceduto sono i nostri antenati; i caratteri e i personaggi cui loro si sono ispirati o a cui hanno dato vita sono i nostri ancestrali, i nostri archetipi. Anche dal punto di vista del diritto e della tutela sociale noi attori contemporanei abbiamo tutto da imparare dai nostri antenati. Il 25 febbraio 1545 a Padova veniva firmato il primo contratto di una Frater‑ Prologo del saltimbanco contemporaneo 33 | nal Compagnia di Comici, ovvero per la prima volta un gruppo di per‑ sone decideva di unirsi legalmente per svolgere professionalmente il mestiere del teatro comico5. Non è cosa da poco! Questo contratto ha permesso al volgo di immaginarsi un nuovo mestiere, una nuova Arte (com’erano chiamate le diverse professioni nel XVI secolo), un nuovo mestiere che è giunto fino a noi attraverso quasi cinque secoli, permet‑ tendo anche ai comici contemporanei di re‑inventarsi tutti i giorni e di rimanere al passo con il proprio tempo. Quegli antichi comici si inven‑ tarono una sorta di mutuo soccorso, un reciproco aiuto tra i compo‑ nenti del gruppo, una scelta di partner sociali (oltre che artistici) con cui lavorare. Per la gente del XVI secolo la proposta delle Fraternal Compagnie di Commedia dell’Arte poteva essere una via d’uscita dalla vecchia condizione di servi della gleba e dalle differenze settoriali tra classi sociali. Una proposta, dunque, di auto‑determinazione. Chiaro è ormai, per gli studiosi dell’argomento, che nel 1545 quella Fraternal Compagnia non era stata certo la prima a praticare il mestiere della commedia, ma sembra essere stata la prima che è andata da un notaio a far mettere per iscritto il proprio contratto e statuto di fonda‑ zione. Per questo motivo oggi, nel Terzo Millennio, è stata scelta pro‑ prio la ricorrenza del 25 febbraio per festeggiare la “Giornata Interna‑ zionale della Commedia dell’Arte”. Questa legalizzazione di un nuovo mestiere popolare è stata sol‑ tanto una delle “rivoluzioni del diritto” che la Commedia dell’Arte ha avviato, guadagnandosi l’apprezzamento e l’innamoramento di tutta Europa per le nostre maschere. La Commedia dell’Arte è sempre stata molto amata, soprattutto all’estero, certo più che qui in Italia, perché rappresentava per il resto del continente la forza di noi italiani nel saper prendere in mano la nostra esistenza; ha avviato poi anche un’altra importante rivolu‑ zione: quella di portare le donne in scena per la prima volta nella sto‑ ria del teatro. Prima non si poteva. Per esempio nel teatro dilettanti‑ stico colto e aulico delle corti alto‑medievali e umanistiche, tutte le parti erano interpretate da uomini, anche quelle femminili, che veni‑ vano di preferenza affidate ai giovani fanciulli della nobiltà. Questo impedimento a portare le donne in scena è durato molto a lungo, addi‑ rittura fino al Settecento nelle aree italiane che erano sotto la giuri‑ sdizione del papato. Potete quindi immaginare quale novità fosse, in Fig. 3 – La Umana Commedia di Arlecchino Fig. 4 – Arlecchino & Arlecchino Fig. 5 – Arlecchino Servitore di Palcoscenico XVI‑XVII sec. – Arlecchino Primo, in viaggio tra Italia e Francia Fig. 27 – Arlecchino con la gerla dei figli di Pantalone e Arlecchino tradito da Francischina col vecchio Pantalone 101 | | 104 Cantica prima – Vortice temporale sfondo di una sua incisione de I balli di Sfessania un prezioso partico‑ lare con il “lazzo dell’asino”, in cui vediamo un Arlecchino che incita con un soffietto il posteriore di un vecchio asino macilento, montato al contrario da uno Zanni che ne tiene sollevata la coda; lo Zanni che cavalca l’asino trasporta ancora una volta una gerla piena di gattini neri. Fig. 29 – Cavalcata sull’asino di vittima dello charivari – Lazzo di Arlecchino col soffietto e Zanni con l’asino XVI‑XVII sec. – Lazzi iconografici di Arlecchino nella Commedia dell’Arte 131 | Fig. 49 – Travestimenti di Arlecchino: costumi da cavaliere con armatura, da macellaio e da nobiluomo Fig. 50 – Costume base da Arlecchino con travestimenti da buffoni Vediamo allora di analizzare più approfonditamente proprio questa base del costume di Arlecchino progettata dal Burnacini. | 132 Cantica prima – Vortice temporale In un’immagine della collezione di costumi vediamo Arlecchino in mezzo ad altre due maschere della Commedia dell’Arte, un magnifico Brighella con classico costume bianco intervallato da alamari color marrone e una sorta di Zagna o di serva Franceschina popolaresca interpretata da un attore maschio, com’era in uso nel primo Cinque‑ cento tra i Comici dell’Arte e come era ancora molto gradito alla corte seicentesca viennese. L’Arlecchino che gesticola al centro dell’imma‑ gine riporta con dovizia di dettagli proprio la base geometrica del Bur‑ nacini, ma già avviata verso sperimentazioni double face: metà della giacca abbandona la distribuzione dei triangoli policromi e viene rea‑ lizzata in tinta unita, nel colore e nella consistenza del cuoio o pelle. Fig. 51 – Costume di Commedia dell’Arte con Arlecchino a giacca bipartita In questa sede vale la pena descrivere la raffinata cromia degli originali, che è stata più volte citata e sottolineata, ma per la quale è tutt’oggi difficile dare una definizione univoca, almeno per quanto riguarda le tecniche pittoriche del Burnacini. Egli tendeva a usare soluzioni miste: sebbene i volti e i panni bian‑ chi della serie delle maschere risultino più leggeri e lascino traspa‑ XVIII sec. – La riforma goldoniana tenta di civilizzare Arlecchino 179 | settecentesco sulla Meravigliosa malattia di Arlecchino, scrivendo: «Explanation of the plates according to the scenario»126. Indipendentemente dalle opinioni dei ricercatori, il valore di que‑ sta raccolta non scema agli occhi di noi saltimbanchi. Il tema della gra‑ vidanza e del parto di personaggi come Arlecchino o Pulcinella nel repertorio delle maschere era, di fatto, piuttosto conosciuto in tutta Europa. Queste splendide incisioni fanno proprio al caso nostro! Giungono a consolidare le nostre solide e legittime fonti di ispirazione e, allo stesso tempo, giustificano la libertà creativa di reinvenzione di tutti i saltimbanchi: tanto di quelli odierni quanto di quelli che ci pre‑ cedettero, financo nel secolo settecentesco, durante il tentativo di loro civilizzazione. Seguendo la successione delle tavole di Xavery, organizzate come una serie di scenette in sequenza, è dunque possibile ripercorrere l’in‑ tera storia della nascita e dell’educazione del figlio di Arlecchino. Fig. 71 – Pierrot sostiene Arlecchino incinto che vomita Tutta la vicenda si svolge all’aperto, in un paesaggio bucolico com‑ posto di rocce, piante e nuvole, in cui i personaggi si accompagnano | 180 Cantica prima – Vortice temporale solamente a qualche oggetto scenico utile alla narrazione; tutto è reso chiaro dalla gestualità e dagli atteggiamenti dei corpi, senza l’ausilio di specifiche scenografie e contestualizzazioni spaziali, proprio come in uno spettacolo di viandanti da strada accolto in un prato di campa‑ gna, in un parco o in un giardino. Si comincia con una scena di forte impatto, che vede Arlecchino in preda a un violento conato di vomito, sorretto dall’amico Pierrot che lo afferra per un braccio e gli sostiene la testa; Arlecchino ha un evidente ventre rigonfio, che protegge con il braccio sinistro. Tutti i sintomi femminili di una gravidanza vengono condensati in questa potente immagine scatologica. Segue l’immagine di una pietosa visita medica a un Arlecchino sve‑ nevole, semisdraiato languidamente su alcune rocce, con una mano che regge la testa, mentre il Dottore gli ascolta le pulsazioni del polso. Fig. 72 – Il Dottore visita Arlecchino incinto Ci ricorda ancora qualcosa dell’antico svenimento che abbiamo già incontrato nell’Arlecchino Innamorato della cinquecentesca Raccolta Fossard, ma questa volta il languore di Arlecchino ha qualcosa di maturo XIX sec. – Arlecchino marionetta e burattino 235 | L’aspetto adolescenziale del sottile Harlekin di Teschner, quel suo rispecchiarsi nel concetto di “eterno fanciullo” espresso da Egon Schiele, gli aspetti leggermente femminili che lo adornano di piccole rose e di una coroncina fiorita, le stesse filiformi forme anatomiche di carattere efebico, che lasciano intravedere anche una promessa di piccolo seno abbozzato sull’agile petto di ragazzo, sono tutti elementi che riconnettono quest’opera scultorea semovente con l’opera di ri‑addestramento e scultura del corpo che ho cercato di operare sul mio Arlecchino e sul corpo di tutti gli allievi che ho incontrato. D’altronde non potevamo che aspettarci dall’area germanica e dalle commistioni senza confini della cultura tedesca questi spunti potenti su cui posare le basi di una nuova Commedia dell’Arte se, dall’ini‑ zio dell’Ottocento, ci giunge un testo che ancor oggi è punto di rife‑ rimento di tutto il teatro di ricerca e della danza contemporanea: Sul teatro delle marionette, uno dei testi più conosciuti del poeta, dram‑ maturgo e filosofo originario di Francoforte, Heinrich von Kleist (1777‑1811), che proprio alle marionette affidava il primato di sapienza sulle regole intramontabili del movimento espressivo sce‑ nico165. Fig. 106 – Danza scenica della Marionetta Harlekin | 236 XX sec. – Grandi maestri contemporanei per la maschera di Arlecchino E h sì! I tempi cambiano! Anche la Commedia dell’Arte dovette cambiare: nel Settecento, nell’Ottocento, e dovette cambiare ancora attraverso tutto il Novecento per arrivare fino a noi. Cambiare per rinnovarsi. Cambiare per recuperarsi. Cambiare, per‑ sino, per tradirsi, per tramandarsi, per tradursi. Nell’arco dei Nove‑ cento ce n’è per tutti i gusti. Ciò che segue non potrà che essere una timida guida bibliografica all’enorme quantità di documenti sulla Commedia dell’Arte del Nove‑ cento. Nel XX secolo la Commedia dell’Arte ha visto una rinascita straordi‑ naria attraverso grandi maestri, inizialmente soprattutto russi, e appas‑ sionati studiosi che hanno lentamente saputo riportarla all’attenzione del pubblico e della cultura universitaria internazionale. Nonostante le reiterate accuse di vecchiaia della Commedia dell’Arte, pensata da alcuni come un teatro morto, obsoleto, scomparso, non attuale, superficiale e folclorico, fu proprio il teatro di ricerca e di spe‑ rimentazione del primo Novecento a recuperarne la memoria come fonte di sapere profondo dell’arte dell’attore. Tutto il raffinato lavoro sul corpo e sulla voce dell’attore, sull’antropologia teatrale, che sotten‑ deva alla preparazione del lavoro con le maschere, divenne sprono per le grandi scuole del teatro contemporaneo occidentale. In Russia, il fondatore della Biomeccanica, Vsévolod Mejerchòl’d introdusse, già a partire dal 1906, le sue oniriche rivisitazioni di Com‑ media dell’Arte nel cuore delle avanguardie russe. Nel 1922 il regi‑ sta e pedagogo Evgenij Vachtàngov mise in scena un’indimenticabile Turandot di Carlo Gozzi, confermando questo drammaturgo sette‑ centesco come il più adatto a conquistare i registi e il pubblico avan‑ XX sec. – Grandi maestri contemporanei per la maschera di Arlecchino 237 | guardista russo. Le componenti gozziane del sogno e della favola anda‑ vano d’accordo con gli ideali simbolisti, e gli spazi dei suoi testi, lasciati aperti anche all’improvvisazione, concordavano con le sperimenta‑ zioni teatrali del primo ventennio del Novecento166. A Vienna, il regista tedesco Max Reinhardt portò in scena nel 1924 il Servitore di due padroni di Carlo Goldoni, unendo il gusto per la scenotecnica fastosa del barocco seicentesco, alle tecniche recita‑ tive naturalistiche sviluppatesi a cavallo tra Ottocento e Novecento. Tutto il teatro tedesco, del resto, era rimasto influenzato dal lavoro e dalle teorie di Mejerchòl’d tra Commedia dell’Arte e ispirazioni dall’arte scenica orientale, compreso Bertolt Brecht nella formula‑ zione delle sue teorie sullo straniamento e sul nuovo teatro epico d’a‑ vanguardia. In Italia, negli anni Quaranta, l’attenzione si concentrò più specifi‑ camente sulla ripresa delle commedie di Carlo Goldoni, soprattutto, come vedremo, attraverso gli allestimenti del regista Giorgio Streh‑ ler, già molto legato al teatro tedesco e Brecht. Contemporaneamente a quella rinascita goldoniana presso il Piccolo Teatro della città di Milano, lo scultore Amleto Sartori riportò alla luce, nel secondo dopo‑ guerra, le antiche tecniche della lavorazione del cuoio, su matrici di legno, per il confezionamento delle maschere professionali della Com‑ media dell’Arte167, fondando così la notissima Bottega Sartori di arti‑ sti mascherai, che venne proseguita dal figlio Donato Sartori e dalla famiglia168, fino alla fondazione del prestigioso Museo Internazionale della Maschera ad Abano Terme, vicino a Padova169. La fertile collabo‑ razione e la profonda amicizia negli anni Quaranta tra Strehler e Sar‑ tori170, coadiuvata da altri grandi maestri e filosofi come Paolo Grassi, Giovanni Poli, Jacques Lecoq, permise finalmente la rinascita della Commedia dell’Arte anche in Italia. Il primato di gradimento conti‑ nuò a essere tributato alle commedie di Carlo Goldoni, grazie anche al rinnovo delle manifestazioni e delle pubblicazioni per il bicentenario della morte del drammaturgo nel 1993171 In Francia, nella primavera del 1955 il teatro Vieux Colombier di Parigi presentò la commedia‑rivista La famille Arlequin di Claude San‑ telli, uno spettacolo in cui si svolgevano episodi e richiami in rievoca‑ zione della figura di Arlecchino e delle figure dei suoi grandi interpreti nella storia, dalla fine del Cinquecento ai nostri tempi. Vi passavano in | 238 Cantica prima – Vortice temporale rassegna le figure dei più celebri Arlecchini che entusiasmarono i tea‑ tri di Parigi, città che intendeva porsi come una patria di elezione per la maschera. Vennero messi in scena Martinelli, Bertinazzi, Bianco‑ lelli, Visentini, Gherardi, ma a tutti veniva anteposto, a introduzione e prima persino di Tristano Martinelli, il comico Alberto Ganassa famoso Zanni della compagnia dei Gelosi, fino ad allora creduto di origine bergamasca, poi scoperto di natali ferraresi. Dunque anche negli allestimenti parigini del secondo dopoguerra, che sembravano volersi accaparrare la centralità della ricerca e del recupero dell’antico Arlecchino, veniva ancora timidamente suggerita un’origine bergama‑ sca d’oltralpe172. A Mantova, nel settembre del 1999 ci fu gran fermento. Anche que‑ sta città volle sottolineare il suo statuto di patria del primo Arlecchino Tristano Martinelli, non solo fondando per la prima volta il premio annuale “Arlecchino d’Oro” (consegnato in quel primo anno al pre‑ mio Nobel Dario Fo), ma affidandone la supervisione a Siro Ferrone, con l’allestimento della serata speciale “Arlecchinaria” in cui proprio la figura di Tristano Martinelli introduceva e accoglieva sul palco tutte le successive e più tarde interpretazioni di Arlecchino, attraverso i reper‑ tori di attori contemporanei del XX secolo. Non intendo in questo contesto descrivere tutti gli Arlecchini che anche il Novecento ha visto fiorire sui suoi palcoscenici, poiché la bibliografia e le notizie ancor fresche che circolano su di loro sono a disposizione di tutti i lettori e sono molto più facilmente fruibili dei documenti precedenti. L’importanza del lavoro di Giorgio Strehler, per esempio, con l’al‑ lestimento nel 1947 della sua prima versione dell’Arlecchino servitore di due padroni, dalla quasi omonima pièce settecentesca di Carlo Gol‑ doni, è di dominio pubblico, e la longevità delle riprese di quello spet‑ tacolo, che ancor oggi gli sopravvive, è divenuta un orgoglio nazio‑ nale italiano173. Potremmo affermare che l’ormai quasi leggendaria competenza e sensibilità di Strehler nelle successive messe in scena goldoniane, considerate veri e propri capolavori, fu lanciata proprio dal successo di quel suo primo Arlecchino, che riapriva le porte della Commedia dell’Arte e delle maschere a un’Italia della fine degli anni Quaranta, che sembrava averle rigettate e dimenticate nei decenni dei due conflitti Mondiali. Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna Fig. 134 – Lasciate ogni speranza 341 | | 342 Cantica seconda – Vortice di genere Lasciate ogni speranza è un’immagine che riutilizza lo stesso equilibri‑ smo delle gambe di Arlecchino, ma compone in modo diverso i segnali del resto del corpo. Arlecchino sembra ora in agguato, come a catturare qualche possibile preda tra gli spettatori: le mani sono aperte e tese come se mostrassero gli artigli, la testa è abbassata e spinta in avanti come i felini quando si preparano al balzo, una grande tovaglia a qua‑ dretti bianchi e rossi è appesa al collo come un bavaglino per il pasto. Arlecchino sta cantando la storia della sua ingordigia congenita, della sua fame atavica, del suo appetito infernale che lo porta a parago‑ nare la sua bocca alla porta degli inferi. Lasciate ogni speranza voi ch’entrate, pietanze d’ogni tipo et vinelli da re, che nel budel mio pietà nun truvate! L’illustratore Davide Zarli45 ha visto nel mio Arlecchino la figura ele‑ gante di un mimo che saluta il pubblico nel finale di uno spettacolo con un’ultima pantomima muta. Nel trittico di immagini composto da Zarli si alternano una serie di inchini, di genuflessioni e di ampi saluti che ricordano l’efficace ierati‑ cità di alcune figure della Biomeccanica Teatrale di Mejerchol’d46. L’ultima scena dello spettacolo si svolge ormai all’aperto, sotto un cielo graffiato dalla brezza, come se Arlecchino avesse atteso il pub‑ blico sul “sagrato del teatro” per l’ultimo saluto. Due file di cipressi che sbucano dietro a un muro di cinta ci suggeri‑ scono che potremmo essere anche sul “sagrato” di un cimitero. Un remo, una scala a pioli e una piccola clava sono gli unici oggetti di scena che accompagnano Arlecchino; un corvo con un fiore in bocca è il suo unico compagno. Tutti questi elementi tendono verso l’alto, come a indicare una via di elevazione spirituale o culturale per il pubblico accomiatato, men‑ tre Arlecchino servitore continua a piegarsi e a chinarsi verso il basso. Lasciate ogni dolore o voi ch’andé mei lordi et mer‑dame tanto amate, che mi me inchino lesto a’ vostri piè. Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna Fig. 135 – Trittico Arlecchino 343 | | 364 Cantica seconda – Vortice di genere Fig. 145 – Arlecchino a testa in giù Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna 365 | L’altra mano è portata alla fronte per aiutare gli occhi della maschera a scrutare lontano: Arlecchino si è messo proprio nella posizione necessaria, l’ultima ancora possibile oggi, per continuare a vedere il suo Mondo alla Rovescia, per continuare a immaginare e generare i suoi necessari “sogni alla rovescia”. Arlecchino non si lascia convincere del tutto dalla mentalità tecnologica, informatica, multimediale del Terzo Millennio, in cui tutto appare come falsamente dritto. Lui ha bisogno di capovolgere tutte le cose, di avere sempre un altro punto di vista e di riferimento, di instillare sempre il sacro dubbio della necessità. Questo è stato da sempre il ruolo di Arlecchino e anche il mestiere del saltimbanco: suggerire la chiave del dubbio, in nome della libertà di pensiero e della concretezza di autodeterminazione degli uomini. Per lui nessun dogma è la verità, nessuna certezza è la salvezza: per Arlecchino dogmi e certezze sono solo catene per la schiavitù delle menti e dei cuori. Questo Arlecchino di Fiorella Salatin sa porsi corag‑ giosamente nel mondo della scultura (esattamente come il mio sulla scena teatrale) in posizione totalmente scomoda: capovolto, aggrap‑ pato, irriverente, inafferrabile e, soprattutto, non plagiabile dalle idee preconcette che di solito vengono preconfezionate per le grandi masse di esseri umani. Eppure, niente dell’Arlecchino di Fiorella Salatin risulta violento o impositivo, neppure nel suo aspetto rivoluzionario: tutto è virato dalla dolcezza della sua ingenuità (che è anche la sua più grande forza), della sua innata curiosità, della sua assoluta sincerità istintiva, del suo essere prima di tutto un Servitore, ovvero del suo porsi sempre al devoto ser‑ vizio della Umana Commedia di cui è testimone. Nella scultura Ariete ascendente Arlecchino, ancora del 2007, vediamo il personaggio che sfida e prende a testate un animale grosso quasi quanto lui, con le robuste corna arrotolate che si scontrano con le piccole corna della maschera. Fiorella Salatin desiderava fare uno scherzoso omaggio alla cocciu‑ taggine del mio Arlecchino, mettendolo a confronto con il mio stesso segno zodiacale dell’Ariete (sono nata il 5 aprile 1965), che è anche segno zodiacale del primo Arlecchino Tristano Martinelli (nato il 7 aprile del 1557). Anche in questo scontro, che potrebbe essere brutale e bestiale, la scultrice riesce a fissare nella creta un senso di rispetto e di galateo antico tra uomo e animale, tra servo buffo e costellazione astro‑ | 366 Cantica seconda – Vortice di genere logica, tra adepto umano e divinità animistica. Arlecchino sovrasta in dimensioni l’ariete, ma è tutto impegnato nel mettersi alla stessa altezza dell’animale: è prostrato in ginocchio, tutto incurvato in avanti come in un inchino, con le braccia bloccate dietro alla schiena per non appro‑ fittare del vantaggio prensile dell’essere umano. L’ariete, dal canto suo, è saldamente seduto sulle zampe posteriori e si solleva verso l’alto, con la schiena incurvata e la testa abbassata in posizione d’attacco delle corna. Tutta questa dinamica fisica si risolve, però, in un contatto delicatissimo e intenso tra le due teste che si posano l’una all’altra come per ascoltarsi, per trasmettersi pensieri telepatici e memorie ancestrali. Tutta la scul‑ tura crea un ponte tra i due corpi in equilibrio, la cui chiave di volta è il punto di contatto tra le menti‑anima dei due personaggi. Questo è il vero senso dell’ascendente: l’ispirazione che giunge da un universo per‑ sonificato e carico di valenze simboliche. In questo caso è l’Arlecchino astrale di Fiorella Salatin che ispira l’ariete, in una inversione di ruoli che è tipica delle provocazioni semplici e disarmanti della Commedia dell’Arte. Il tema del confronto astrologico di Arlecchino con i segni zodia‑ cali si trova anche nella scultura Arlecchino Passione del 2008. Arlec‑ chino questa volta si trova a confronto con una sorta di Sirenide, la cui metà inferiore anziché essere a forma di pesce si prolunga, invece, in una maestosa coda di scorpione, inarcata e con l’uncino velenoso pronto a colpire. Arlecchino è seduto alle spalle di questo scorpione umano, proprio in direzione dell’aculeo, ma non è minimamente spa‑ ventato, anzi, con una mano si afferra saldamente all’arco della coda, con le gambe sollevate se la fa passare in mezzo alle ginocchia come se volesse cavalcarla, e con l’indice dell’altra mano fa il solletico alla punta dell’aculeo. Lo scorpione, sottile ma muscoloso, si volge stupito verso Arlec‑ chino. Lo scorpione è inarcato all’indietro disegnando una curva con la schiena e la coda, mentre Arlecchino è inarcato in avanti disegnando una curva con il busto e le gambe; le due curve si intersecano in un ele‑ gante e innocente gioco da fanciulli. La natura violenta e difensiva dello scorpione viene così mitigata dalla spudoratezza della maschera. Lo Scorpione è il segno zodiacale della scultrice Fiorella Salatin, che ha voluto esprimere in questo modo il suo rapporto con la figura di Arlecchino. Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna Fig. 163 – Il ghigno di Arlecchino 397 | | 398 Cantica seconda – Vortice di genere Nell’immagine Il ghigno di Arlecchino gli elementi di costume, la maschera, il cappello e un’ombra abbozzata di casacca, cercano di rivestire il perso‑ naggio che stavolta è posizionato come in un drammatico autoritratto di Egon Schiele del 191085, in cui l’artista si era rappresentato nudo, con le braccia contorte dietro la schiena e un’espressione di rabbia e sofferenza; nell’illustrazione di Tonus gli angoli delle braccia ben si confanno con la dinoccolata gestualità di Arlecchino e i denti stretti dell’originale ritratto si trasformano qui in un simpatico ma inquietante sogghigno della maschera. Fig. 164 – Arlecchino Contemporaneo Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna 399 | Nell’immagine Arlecchino contemporaneo Tonus opera una reinven‑ zione meditabonda del ritratto di Arlecchino, ispirandosi a una serie di autoritratti in primissimo piano che Schiele aveva elaborato tra 1911 e 191386, in cui una mano tesa si avvicina al volto pensoso, con la mandibola irrigidita e il collo tirato. Questo Arlecchino non sorride, non gesticola più teatralmente, ma si contorce ancora nelle proprie micro‑tensioni, più compostamente che può, come se stesse meditando la prossima mossa e, al contempo, si stesse ritirando dall’espansività popolaresca che lo aveva contraddi‑ stinto nei secoli passati. Devo ammettere che questa prima e smaccata sintesi del 2007, ope‑ rata da Tonus sullo spettacolo Arlecchino e il suo Doppio, ha definitiva‑ mente sdoganato anche per me la possibilità di portare in scena senza più reticenze un nuovo Arlecchino contemporaneo, che mi accompa‑ gnasse, persino al di fuori delle scene di Commedia dell’Arte, in altre forme di rappresentazione teatrale tragica e comica, e addirittura nei miei concerti outsider di Hellequin Rock. Uno sdoganamento che il giornalista e critico teatrale Mario Brandolin colse alcuni anni più tardi nello stesso spettacolo: «… due grandi pannelli sui quali campeggiano l’Arlecchino della tra‑ dizione e una figura intera di Schiele. Ma è soprattutto lei, l’attrice, con la sua capacità di scivolare senza soluzione di continuità tra i due contrastanti personaggi, a restituirci il senso di un’unicità di sensa‑ zioni, di pensieri, di sentimenti, tutti riassunti ed espressi in una par‑ titura fisica e coreografica di estrema impressionante precisione nel dare corpo alla complessità dell’assunto drammaturgico, e delle molte sfaccettature espressive che lo compongono»87. Potete dunque immaginare la mia particolare affezione per quel ciclo di immagini di Tonus e, in un certo senso, anche il mio debito di gratitudine per la sua utilissima conferma iconografica dell’origi‑ naria intuizione del mio regista Ferruccio Merisi. Nel 2007, quando eseguiva le illustrazioni per Arlecchino e il suo Doppio, Marco aveva solamente 25 anni, ma le sue capacità di analisi e la sua indipendenza mentale nell’osservazione dei fenomeni, erano già state acuite dalle esperienze e dalle scelte giovanili. Marco disegna sin dall’infanzia e i suoi punti di riferimento nell’adolescenza vanno dal Braccio di Ferro di Segar a Jacovitti, da Silver a Pazienza; affascinato dai fumetti con | 452 Cantica seconda – Vortice di genere Fig. 194 – Testa della Laocconte Madre, 2 A renderle onore, Marco Fabio Apolloni sta scrivendo personalmente un prestigioso libro‑catalogo su Lea Monetti che racconta quest’av‑ ventura della Laocconte Madre e che ci aspettiamo presto di vedere. Fig. 198 – Arlecchino Laocoonte Note alla Cantica seconda 459 | Note alla Cantica seconda 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Cfr. il capitolo “Linguaggi comunicativi del corpo”, in C. Contin Ar‑ lecchino (a cura di), Progetto Sciamano 1999 – Esperienze di Teatro e Handicap, Pordenone, Provincia di Pordenone, 1999, pp. 22‑23. Per quanto riguarda la ricostruzione analitica del training di Arlecchi‑ no, si veda soprattutto il corposo lavoro di Rossella Mazzaglia, L’espres‑ sività del corpo nella Commedia dell’Arte: L’Arlecchino di Claudia Contin, tesi di laurea in storia della danza e del mimo, facoltà di lettere e filo‑ sofia, Università degli Studi di Bologna, Relatore Eugenia Casini Ropa, A.A. 1998‑1999. Cfr. C. Contin Arlecchino, Gli abitanti di Arlecchinia…, op. cit., p. 155. Cfr. il capitolo “Un viaggio d’esplorazione per il teatro”, in C. Contin Arlecchino (a cura di), Progetto Sciamano 2000 – Esperienze di Tea‑ tro e Handicap, Pordenone, Ed. Provincia di Pordenone, 2000, p. 10. Cfr. C. Contin Arlecchino, Gli abitanti di Arlecchinia…, op. cit., p. 157. Ibidem, p. 161. Ibidem, p. 163. Ibidem, p. 163. Ibidem, p. 171. Ibidem, p. 171. Cfr. C. Contin Arlecchino (a cura di), Progetto Sciamano 2001 – Incontri col Teatro Cinese, San Vito al Tagliamento (PN), Ellerani, 2001, pp. 12‑14. Per un’idea dei “viaggi teatrali di Arlecchino” condotti nel campo della differenza, dell’immigrazione, della terza età, del disagio giovanile, della psichiatria e dell’handicap, cfr. F. Merisi, C. Contin Arlecchino (a cura di), Progetto Sciamano 2006 – Segnali da altrove: i teatri dell’ascolto, Roveredo in Piano (PN), Grafiche Risma, 2006. Per un’idea dei molti gemellaggi internazionali promossi da Arlecchino, con particolare at‑ tenzione all’India e all’Africa, cfr. F. Merisi, C. Contin Arlecchino (a cura di), Progetto Sciamano 2007‑2008‑2009 – Sala Arlecchino, San 559 | Bibliografia Aa.Vv., Arlecchino servitore di due padroni – Cinquantenario 19471997, di Carlo Goldoni, regia di Giorgio Strehler, Quaderno della Fondazione Piccolo Teatro di Milano per la stagione 1998‑1999. Aa.Vv., Comici dell’Arte – Corrispondenze: G. B. Andreini, N. Barbieri, P. M. Cecchini, S. Fiorillo, T. Martinelli, F. Scala, a cura di Buratelli C., Landolfi D., Zinanni A., Firenze, Le Lettere, 1993. 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Arlecchino servitore di palcoscenico, Claudia Contin Arlec‑ chino in Arlecchino & Arlecchino, Triennale Teatro dell’Arte, Milano, Alessandro Brasile, marzo 2014 (archivio fotogra‑ fico Porto Arlecchino). Arlecchino saltimbanco, Claudia Contin Arlecchino in Arlec‑ chino & Arlecchino, Triennale Teatro dell’Arte, Milano, Franco Mammana, marzo 2014 (archivio fotografico Porto Arlecchino). Arlecchino a testa in giù, Claudia Contin Arlecchino in Arlecchino & Arlecchino, Triennale Teatro dell’Arte, Milano, Franco Mammana, marzo 2014 (archivio fotografico Porto Arlecchino). | 572 Fig. 8 Fig. 9 Fig. 10 Fig. 11 Fig. 12 Fig. 13 Fig. 14 Fig. 15 Fig. 16 Fig. 17 Fig. 18 Referenze iconografiche Famiglia di Diavoli Buffi, Lodovico Ottavio Burnacini, fine XVII secolo (Vienna, KHM-Museumsverband, Theatermu‑ seum). Dieci diavoli buffi attaccano i due poeti pellegrini (partico‑ lare), incisione di Gustave Doré per La Divina Comme‑ dia di Dante Alighieri, Londra, 1892, Inferno, Canto XXI, vv. 67‑87 (archivio fotografico 123RF, Maria Dumitrascu, ID 13512373). La cattura del barattiere di Navarra (particolare), incisione di Gustave Doré per La Divina Commedia di Dante Ali‑ ghieri, Londra, 1892, Inferno, Canto XXI, vv. 31‑42 (archi‑ vio fotografico 123RF, Maria Dumitrascu, ID 13512365). Il nuovo ludo di Alichino col barattiere di Navarra (parti‑ colare), incisione di Gustave Doré per La Divina Comme‑ dia di Dante Alighieri, Londra, 1892, Inferno, Canto XXI, vv. 122‑132 (archivio fotografico 123RF, Maria Dumitrascu, ID 13512377). Lotta grottesca tra Alichino e Calcabrina (particolare), inci‑ sione di Gustave Doré per La Divina Commedia di Dante Ali‑ ghieri, Londra, 1892, Inferno, Canto XXI, vv. 133‑151 (archi‑ vio fotografico 123RF, Maria Dumitrascu, ID 13512384). Ritratto di Dante Alighieri, incisione, Gustave Doré, Londra, 1892, Frontespizio, 1956, Milano, Sonzogno. Charivari con maschere e suonatori, miniatura della serie contenuta in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, M. Fr. 146, fol. 34r). Charivari e mesnie Hellequin, miniatura della serie conte‑ nuta in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, M. Fr. 146, fol. 36v). Hellequin a cavallo dietro le bare, particolare dalla serie di miniature in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, M. Fr. 146‑fol. 34v alto) Hellequin con lo chariot dei bambini morti, particolare, minia‑ tura in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, M. Fr. 146, fol. 34v basso) Hellequin e proto‑Zanni con gerle e pellicce da uomo selva‑ tico – Teste di Hellequin con maschera e copricapo alato – Pro‑ Referenze iconografiche Fig. 19 Fig. 20 Fig. 21 Fig. 22 Fig. 23 Fig. 24 Fig. 25 Fig. 26 573 | to‑Zanni con copricapo a punta confrontato con maschera zannesca di Jacques Callot, evidenziazioni grafiche di parti‑ colari, miniature, in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, M. Fr. 146, fol. 34r‑36v) confrontate con particolare dalla serie di incisioni I Balli di Sfessania di Jacques Callot, del XVII secolo. Diavolo con la gerla piena di infanti e Bocca dell’Inferno con demone arlecchinesco, particolari, miniature, in Le dit de Fau‑ vain, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, MS Fr. 571, fol. 150v, 150r). Persistenza della Bocca dell’Inferno medievale nell’iconogra‑ fia barocca (particolare), incisione su rame, Matthäus Küsel, disegno di Lodovico Ottavio Burnacini per l’allestimento dello spettacolo di corte Il pomo d’oro, XVIII secolo (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Musiksammlung). Compositions de Rhetorique de M. Don Arlequin, frontespizio, Lione, 1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2‑922, fol. 1 NP). La Maschera di Tristano Martinelli “Arlecchino Primo” (par‑ ticolare), incisione, pag. 6 della Compositions de Rhetorique di Tristano Martinelli, Lione, 1901 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2-922, fol. 6). Arlechin in scena sul suo palchetto di legno, in “Composi‑ tions de rhétorique”, Tristano Martinelli, incisione, Lione, 1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2‑922, fol. 6). Tristano Martinelli in ginocchio di fronte ai regnanti di Fran‑ cia, incisione, in Compositions de rhétorique, Tristano Marti‑ nelli, Lione, 1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2‑922, fol. 25). Preghiere e acronimi scherzosi di Harlequin, incisione, in Compositions de rhétorique, Tristano Martinelli, Lione, 1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2‑922, fol. 5). La Allichinaria: Arlecchino con la gerla dei suoi figli, incisione, in Compositions de rhétorique, Tristano Martinelli, Lione, 1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2‑922, fol. 48).