LA UMANA COMMEDIA DI ARLECCHINO

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Claudia Contin Arlecchino
LA UMANA COMMEDIA
DI ARLECCHINO
Tra iconografia antica e ritratti d’arte
del primo Arlecchino donna
EDIZIONI
FORME LIBERE
Claudia Contin Arlecchino, La Umana Commedia di Arlecchino
Copyright© 2017 Edizioni Forme Libere
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.forme‑libere.it – [email protected]
Collana “Porto Arlecchino” – NIC 02
Prima edizione: febbraio 2017 – Printed in EU
ISBN 978-88-6459-072-1
In copertina: Vortice temporale, ritratto di Claudia Contin Arlecchino, foto Mirko
Silvestrini, grafica digitale Luca Fantinutti (2016). L’opera fa parte della collezione
Arlecchino e i Fossili del Futuro (Archivio di Porto Arlecchino).
Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di
cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina
Prefazione – Manuale d’uso per la pluralità di Arlecchino
9
22
Introduzione – Si dice che i tempi cambiano
23
Dedica – Agli artisti di tutti i tempi
27
Note alla Prefazione
LA UMANA COMMEDIA DI ARLECCHINO
Prologo del saltimbanco contemporaneo
31
Cantica prima – Vortice temporale
41
43
47
57
69
1557 – Tristano Martinelli, primo attore a scegliere il nome di Arlecchino 74
XVI‑XVII sec. – Arlecchino Primo, in viaggio tra Italia e Francia
86
XVI‑XVII sec. – Lazzi iconografici di Arlecchino nella Commedia dell’Arte 103
XVIII sec. – La riforma goldoniana tenta di civilizzare Arlecchino
149
XIX sec. – Arlecchino marionetta e burattino
220
XX sec. – Grandi maestri contemporanei per la maschera di Arlecchino
236
XX‑XXI sec. – Arlecchino Ennesimo e primo Arlecchino donna
248
Note al Prologo e alla Cantica prima
261
XII‑XIII sec. – La “Familia Hellequini” nelle visioni dei monaci erranti
XIV sec. – Alichino tra i diavoli buffi della quinta bolgia del cerchio ottavo
XIV sec. – Hellequin a capo degli charivari e delle “masnade selvagge”
XIV sec. – Arlecchino con la gerla piena di infanti
Cantica seconda – Vortice di genere
283
285
308
457
I tempi cambiano
475
Cantica terza – Vortice di memorie
499
501
520
538
549
Bibliografia
557
Referenze iconografiche
569
Ringraziamenti
591
Una ricostruzione comportamentale per Arlecchino
Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna
Note alla Cantica seconda
Arlecchino e l’uomo selvatico tra antichi e nuovi Carnevali
Indagini tra mondo selvatico e Commedia dell’Arte
Il mito dell’uomo vegetale presso altre culture
Note alla Cantica terza
LA UMANA COMMEDIA
DI ARLECCHINO
Tra iconografia antica e ritratti d’arte
del primo Arlecchino donna
9|
Prefazione – Manuale d’uso
per la pluralità di Arlecchino
Q
uesto è un libro che affascina e sorprende, con la sua capacità
d’insinuarsi tra le pieghe del reale, affondando la mente, il corpo
e l’anima dentro la vita culturale e popolare, antica e contemporanea,
dell’individuo e della società. Un libro colto e impegnato, nutrito da
perseveranti ricerche in cui il sapere umanistico (dalla letteratura al
teatro, dall’arte all’artigianato) si radica nella scientificità della filolo‑
gia. Eppure non è un saggio, ma piuttosto un “manuale d’uso sulla vita
nell’arte e sull’arte nella vita”, da maneggiare con la ridente complicità
di un saltimbanco.
Un manuale d’uso non può che essere concretamente esperienziale e,
concernendo in tal caso l’esistenza in termini sociali, artistici e filoso‑
fici, la sua più adatta consistenza è quella dell’autobiografia plurima ed
eccentrica – dell’artista visiva e attrice teatrale Claudia Contin Arlec‑
chino – imperniata solo su vicende reali, storiche e contemporanee,
fondate nell’istanza relazionale. Si tratta di un percorso raccolto e
ordinato che segue le trame di ricerche e di incontri sul filo rosso auto‑
biografico in cui la valenza eccentrica va intesa in senso etimologico,
ossia fuori dal centro, avulsa da un’univoca centralità, perché relativa
a una poetica poliedrica e onnivora che ingoia il mondo mediante un
lungo e meditato processo di assimilazione e metabolizzazione. Ciò
comporta uno spostamento continuo del sé, un perseverante “met‑
tersi in gioco”, implicando la capacità di retrocedere il proprio ego per
accogliere l’altro e, nell’incontro, riprendere poi un passo comune. Il
tutto condotto sempre attraverso la centralità del corpo, in tal caso sì,
ponendo al centro della questione il corpo di Claudia Contin Arlec‑
chino.
| 10
Prefazione – Manuale d’uso per la pluralità di Arlecchino
Perché il suo corpo – inteso come presenza oggettiva e fisica fon‑
data sul fare, che nel suo esserci contempla mente e anima – si dà come
performer relazionante, che indaga, conosce, sperimenta, pensa e pro‑
getta, suda e fatica, prova e costruisce, parla e gesticola. È la più intri‑
gante dimensione dell’artista contemporaneo, votato al trasformismo
che alimenta il suo essere personaggio nella dimensione dialogica di
volto e maschera, scomparsa e apparizione, morte e rinascita, all’inse‑
gna della mutazione generata dalla relazione, con l’altro da sé e con il
mondo.
Ricordo bene da dove proviene questo personaggio, avendo avuto
la fortuna d’incontrare e conoscere Claudia Contin (con l’Arlecchino
in germe) sui banchi di scuola, all’allora Istituto Statale d’Arte Sello di
Udine, dove con l’entusiasmo dei nostri quindici anni abbiamo spe‑
rimentato gli intrecci di una creatività debordante e contaminante.
Quando tutto sembrava naturalmente possibile, nella relazione tra
concetto e forma, corpo e anima, idee di alcuni tradotte in azioni di
altri, immagini, oggetti, gesti del singolo mutuati in progetti di gruppo
e viceversa. La contaminazione linguistica, ideativa e strutturale, era
una prassi quotidiana. Questa dimensione mentale radicata nel fare
creativo lascia il segno, incide in modo profondo sulla formazione
dell’individuo, tanto da farti rinvenire e riscoprire.
A più di trent’anni da quelle sperimentazioni sui banchi di scuola
ci siamo ritrovate a teatro, lei come attrice‑autrice in Gli abitanti di
Arlecchinia, conferenza‑spettacolo sui personaggi della Commedia
dell’Arte; io come spettatore, che nel suo essere curatore d’arte con‑
temporanea aperta alla trasversalità linguistica, cerca e spera di scovare
quella pluralità eccentrica del personaggio che le consenta di definirsi
più che un critico d’arte in posizione cattedratica, un biografo d’iden‑
tità creative.
Non è facile e non è scontato trovare artisti capaci di esprimersi con
più linguaggi, dotati quindi di competenze diverse, entro le quali respi‑
rare la medesima poetica, la stessa posizione nei confronti del mondo e
dell’esistenza. Si tratta di quel tout‑se tient, celebre e controversa locu‑
zione del linguista e semiologo svizzero Ferdinand de Saussure tesa a
definire quanto tutti gli elementi del linguaggio (ampliando quest’ul‑
timo in ambito multidisciplinare) siano inscindibilmente connessi e
vicendevolmente mutevoli nello scambio tra l’artista e la memoria del
Prefazione – Manuale d’uso per la pluralità di Arlecchino
11 |
mondo. È un’espressione di complicità e favoreggiamento tra opera e
vita, tra pratica del mestiere artistico e immaginario‑edonismo‑deside‑
rata di un soggetto che considera ogni opera come un progetto aperto,
laddove l’intenzione e il fare dell’artista sono stadi di una personalità
che si esprime mutando, facendosi opera e valicando la storia.
Non è facile riscontrare lo stato del tout‑se tient, soprattutto se si
tratta di personaggi ampiamente noti su un fronte disciplinare, che
parallelamente creano altri linguaggi entro il cui sistema non godono
della medesima visibilità (il cantante che dipinge e trova spazi espo‑
sitivi, per esempio, o l’attore che realizza ed espone sculture). Per‑
ché spesso questo secondo o terzo fronte espressivo è, per il soggetto
famoso, un creativo disimpegno che fa leva sulla notorietà del per‑
sonaggio per potersi accreditare culturalmente. Non è facile, invece,
incontrare l’artista capace di esprimere in modo poliedrico una singo‑
lare poetica, riconoscibile in una medesima traccia concettuale, strut‑
turale ed emotiva. Mi era già successo, anni prima, all’inaugurazione di
una mostra alla galleria Santo Ficara di Firenze, che presentava, per la
prima volta in Italia, i disegni di Bigas Luna. Davanti a quelle opere e al
suo autore – seguito in diverse mostre, poi in Spagna, a ridosso dell’in‑
trinseco legame che stringeva la sua arte alla sua vita quotidiana – il
regista di L’età di Lulù, La teta y la luna e Prosciutto‑prosciutto, mi si è
svelato come un grande artista poliedrico la cui ossessione creativa tes‑
suta tra sensualità, sesso e cibo si ritrovava nella circolarità di simbolo‑
gie segniche che ho definito come “intimismo uterino”: un filo rosso
dipanato e riconfermato in ogni suo linguaggio, dal design alle perfor‑
mance, dalla pittura al cinema e alla fotografia.
In Gli abitanti di Arlecchinia di Claudia Contin Arlecchino ricono‑
scevo alcuni gesti e posture sperimentate a scuola, ma la sua straordi‑
narietà scenica, l’incredibile capacità di gestire contemporaneamente
la performance attoriale, le prestazioni ginniche e vocali, il farsi corpo
dentro e fuori dalla maschera, erano segni di studi, prove e impegni di
cui non sapevo. Incuriosita e affascinata, di lì a poco sono andata a farle
visita a Porto Arlecchino, il suo laboratorio di arte e artigianato per il
teatro, dotato di nutrite collezioni di maschere, burattini, costumi, sce‑
nografie, incisioni, che la vedono impegnata in prima persona nell’i‑
deazione, progettazione e realizzazione, con il supporto di assistenti e
allievi degli atelier che completano le molteplici attività laboratoriali.
23 |
Introduzione – Si dice che i tempi cambiano
La figura di Arlecchino ha accompagnato nei secoli, e continua ad
accompagnare, le risate catartiche delle anime dei vivi e dei morti. I
primi incontri avvengono durante le scorribande dell’antico Helle‑
quin, del quale si ha notizia sin dal XII secolo nelle testimonianze
dei monaci erranti e nelle culture carnevalesche di tutta Europa e poi
attraverso i “Viaggi Teatrali” dei Comici italiani che lo hanno fatto
conoscere in tutto il mondo. Un paio di secoli prima della grande dif‑
fusione della Commedia dell’Arte, nel XXI canto dell’Inferno della
Divina Commedia, Dante descrive un simpatico Alichino attaccabri‑
ghe, in mezzo ai diavoli buffi e grottescamente giocosi della quinta
bolgia del cerchio ottavo.
Il primo attore comico ad aver scelto esplicitamente per la sua
maschera il nome di Arlecchino fu, nel Cinquecento, il mantovano
Tristano Martinelli.
Ancora oggi la figura di Arlecchino è avvolta nel mistero apparente‑
mente contraddittorio della sua antichità e della sua attualità
L’artista contemporaneo Claudia Contin Arlecchino raccoglie da
un’intera vita queste divine o inferiche eredità di saltimbanco portando
con sé, sulle scene umane del suo teatro, la capacità arlecchinesca di
leggere ogni realtà umana come una sana e umana commedia.
Nella nostra mentalità contemporanea si dice che «i tempi cam‑
biano» e devono cambiare. Nella paziente mentalità delle nostre
nonne si dice «niente è per sempre». Su queste due popolaresche
perle (o patate) di saggezza si può cercare di fondare una ricerca con‑
sapevole, oppure, al contrario, si può rischiare di giustificare precon‑
cetti e fraintendimenti proprio sulle radici più profonde e antiche che
muovono i cambiamenti. Su queste due frasi, «i tempi cambiano» e
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Introduzione – Si dice che i tempi cambiano
«niente è per sempre», l’Arlecchino dell’autrice gioca audacemente
per stimolare le memorie e per smontare i tabù esistenti intorno alla
sua stessa figura.
Una sorta di “tormentone” comico, quindi, che accompagna in con‑
tropelo le tre cantiche di questa commedia, distesa tra i secoli, ma agile
come un volo d’uccello: «Eh sì! I tempi cambiano e niente è per sem‑
pre – ci dice Arlecchino – ma nulla si crea e nulla si distrugge» ci ras‑
sicura bonariamente, riconsegnandoci e connettendo continuamente
frammenti, che temevamo di aver perduto, con novità che temevamo
di non capire.
In questo divertente racconto teatrale e iconografico, Claudia Con‑
tin Arlecchino ci svela i segreti messaggi contenuti nelle antiche inci‑
sioni raffiguranti i diavoli buffi, i proto‑Arlecchini, l’antico Hellequin, i
giullari, gli uomini selvatici dei carnevali danzanti e i grandi Arlecchini
professionisti della storia della Commedia dell’Arte. Per delimitare i
confini del corposo lavoro di analisi iconografica, l’autrice si rivolge
quasi esclusivamente alla figura di Arlecchino e per lui predilige le gra‑
fiche, le incisioni, le illustrazioni, i disegni e le miniature che consi‑
dera più direttamente legate al tessuto esperienziale delle azioni sceni‑
che ivi raffigurate. Sceglie così di tralasciare l’analisi specifica di tutti i
grandi dipinti e affreschi ispirati, nei secoli passati, alla figura di Arlec‑
chino e ai cicli delle altre maschere, sia per questioni di eccessiva esten‑
sione dell’indagine, sia perché il mondo della pittura era spesso più
legato alla splendida decorazione d’ispirazione per ambienti e palazzi,
anziché alla specifica passione documentaria teatrale di committenti e
collezionisti. Eppure, questo enorme lavoro di selezione non rappre‑
senta, a detta della stessa autrice, che una piccola parte dell’immenso
patrimonio iconografico disponibile riguardante Arlecchino.
Il viaggio prosegue raccontando le storie e i progetti di quegli arti‑
sti che tra il XX e il XXI secolo, nello scegliere il suo Arlecchino come
modello o come ispirazione, hanno contribuito a creare una nuova
iconografia contemporanea arlecchinesca con Ritratti d’Arte del primo
Arlecchino donna. E qui sì che la panoramica delle tecniche artisti‑
che descritte non ha più limiti. Claudia Contin Arlecchino, prima
donna a interpretare con continuità dal 1987 il carattere maschile
di Arlecchino, negli scorsi decenni ha lavorato anche come “modello”
per diversi altri artisti figurativi e fotografi. La sua particolare rico‑
Introduzione – Si dice che i tempi cambiano
25 |
struzione di Arlecchino, del quale ha curato personalmente anche
maschera, costume e accessori, oltre che comportamento e dramma‑
turgie, ha ispirato diversi pittori, scultori, illustratori, fumettisti, foto‑
grafi, poeti e musicisti che le hanno dedicato alcune delle loro opere.
L’esposizione di “ritratti” che La Umana Commedia di Arlecchino pro‑
pone è una piccola selezione delle collezioni private e delle produzioni
di una ventina di artisti che, a questo Arlecchino, si sono ispirati per
raffigurarlo nel Terzo Millennio, attratti, come dicono, “da un’energia
vitale e radioattiva”, qualcosa che è universale e non personale, qual‑
cosa che, se ha conquistato appieno il carattere maschile del personag‑
gio, non lo ha però fatto a scapito delle icone e delle sensibilità femmi‑
nili presenti nella figura ancestrale di Arlecchino stesso.
L’Editore
Giugno 2016
27 |
Dedica – Agli artisti di tutti i tempi
Questo non è un racconto di fantasia: ogni riferimento a fatti real‑
mente accaduti o a persone esistite o esistenti è puramente vero e docu‑
mentato. La realtà supera sempre la fantasia, per meraviglia e incredi‑
bilità. Io non sono dunque uno scrittore o un poeta che si inventa le
cose, sono un testimone incantato e fedele della “Umana Commedia”
della vita. Porto sulle mie spalle, dentro la mia vecchia gerla, i fardelli e
i dolori, i segreti e le ribellioni, e me ne assumo ogni responsabilità per
tutte le volte che saprò riderne e per tutte le volte che saprò strappare
una sana risata ai vostri cuori addolorati. Uomini e donne addolorati,
a voi che siete i miei Cristi e le mie Madonne, dedico le danze, le acro‑
batiche evoluzioni dell’anima, i disegni e i progetti dello spirito… e il
tintinnare allegro dei nostri denti, in vita e in morte, finché il futuro
vorrà ricordarci.
Arlecchino Ennesimo
Aprile 2016
LA UMANA COMMEDIA
DI ARLECCHINO
Fig. 1 – Lo stupore di Arlecchino
Fig. 2 – Prologo del saltimbanco contemporaneo
31 |
Prologo del saltimbanco
contemporaneo
C
ome ormai ben saprete conoscendomi, questo non è uno spetta‑
colo con tutti i crismi che definiscono il teatro classico: è piutto‑
sto uno dei miei sani minestroni di informazioni sceniche, culturali,
artistiche e soprattutto comiche. Ma la Commedia dell’Arte stessa non
è teatro classico, è un fenomeno d’arte dell’attore in cui ci si deve abi‑
tuare a improvvisare tutto quello che succede nei confronti del pub‑
blico. Manca la cosiddetta “quarta parete” e tutto ciò che avviene sulla
scena è in presa diretta con la platea degli spettatori. Spesso la divi‑
sione tra spazio scenico e platea neppure esiste, e gli attori compiono
le loro azioni direttamente in mezzo al pubblico1.
Pertanto cari spettatori convenuti, cari «raspadori de fregole de alle‑
gria», come dice da decenni il mio Arlecchino nel suo Mondologo2,
beh… anche qui in questo elegante teatro dell’immaginazione, voi
potete comportarvi pure come un chiassoso pubblico di piazza, di
piazza contemporanea intendo: potete tenere accesi i cellulari se volete
essere disturbati, potete restare reperibili al marito, o alla moglie, o all’a‑
mante, mentre si svolge la scena, e magari poi «rispondo io al vostro
posto se vi chiamano, così coinvolgiamo nell’etere tutti i vostri parenti a
ridere con noi, e poi io mi faccio invitare a cena a casa vostra» com’è solito
dire il mio amico e collega Paolo Rossi, Arlecchino contemporaneo3.
Potete provare a leggere il giornale mentre io parlo, o accendere la
radiolina, ops… il tablet, e tentare di ascoltare la partita, potete grat‑
tarvi la pancia e starnutire, scoreggiare, ruttare, come se foste seduti
alla vostra osteria preferita o nel vostro bagno di casa, o potete alzarvi
e andare davvero al bagno del teatro, uscire a bere un caffè e poi tor‑
nare. Starà a me, al vostro saltimbanco di fiducia, rendervi impossibile
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Prologo del saltimbanco contemporaneo
tutto questo, riuscire ad attirare la vostra attenzione residua, riuscire
a rintracciare i vostri neuroni della curiosità per rapirvi, per ri‑sinto‑
nizzarvi con questo luogo, con questo momento, con lo sconosciuto
che vi sta seduto accanto, per accedere al silenzio e all’incanto di una
storia molto più vecchia e molto più sana di tutti noi. Potete anche
far entrare tutti quelli che arrivano in ritardo, se volete, sino a cinque
minuti prima della fine però, poi bloccateli, se no s’incrociano con
quelli che escono e ne risulterebbe una sommossa, cosa che vorrei evi‑
tare vista la scarsa legalità che è stata riconosciuta nei secoli al nostro
antico mestiere di saltimbanchi.
Il nostro mestiere di saltimbanchi è però importantissimo, ve l’assi‑
curo! Non se ne può fare a meno da che mondo è mondo, «anche se
i tempi cambiano». Noi troviamo sempre il modo di essere non sol‑
tanto utili, ma addirittura necessari. Senza tanto strepito, nel nostro
piccolo ci diamo da fare affinché, cari spettatori, non possiate più fare
a meno di noi. Come ben dice e sa il collega saltimbanco Paolo Rossi:
«Il primo compito di un comico, di un saltimbanco, oggi è quello di
portare conforto, ma non in senso pietistico: quello che oltre a tirar
su il morale – e già questo sarebbe abbastanza oggi – offre un punto
di vista diverso, insinua un dubbio più che dare un messaggio, fa
domande, magari quelle che si fanno tutti. Io parlo della realtà, in que‑
sto senso Arlecchino è uno spettacolo politico… Noi cerchiamo altre
vie, parliamo dei problemi reali, della strada, andiamo nel piccolo e
nel quotidiano, non inseguiamo i fatti eclatanti»4.
Non so, dunque, esattamente che cosa vi aspettate da me in quest’oc‑
casione ma cercherò di accontentare un po’ qualunque aspettativa, nel
senso che ci sarà un po’ di conferenza, un po’ di Commedia dell’Arte,
un po’ di improvvisazione, un po’ di lezione teorico‑pratica e così via.
Ma, prima di tutto, devo anch’io contestualizzare la serata a livello
storico: non tanto perché la storia sia un dovere documentario o filo‑
logico per noi attori, ma perché per noi comici la storia è fonte inesau‑
ribile d’ispirazione. Gli attori e gli artisti che ci hanno preceduto sono
i nostri antenati; i caratteri e i personaggi cui loro si sono ispirati o a
cui hanno dato vita sono i nostri ancestrali, i nostri archetipi.
Anche dal punto di vista del diritto e della tutela sociale noi attori
contemporanei abbiamo tutto da imparare dai nostri antenati. Il 25
febbraio 1545 a Padova veniva firmato il primo contratto di una Frater‑
Prologo del saltimbanco contemporaneo
33 |
nal Compagnia di Comici, ovvero per la prima volta un gruppo di per‑
sone decideva di unirsi legalmente per svolgere professionalmente il
mestiere del teatro comico5. Non è cosa da poco! Questo contratto ha
permesso al volgo di immaginarsi un nuovo mestiere, una nuova Arte
(com’erano chiamate le diverse professioni nel XVI secolo), un nuovo
mestiere che è giunto fino a noi attraverso quasi cinque secoli, permet‑
tendo anche ai comici contemporanei di re‑inventarsi tutti i giorni e di
rimanere al passo con il proprio tempo. Quegli antichi comici si inven‑
tarono una sorta di mutuo soccorso, un reciproco aiuto tra i compo‑
nenti del gruppo, una scelta di partner sociali (oltre che artistici) con
cui lavorare. Per la gente del XVI secolo la proposta delle Fraternal
Compagnie di Commedia dell’Arte poteva essere una via d’uscita dalla
vecchia condizione di servi della gleba e dalle differenze settoriali tra
classi sociali. Una proposta, dunque, di auto‑determinazione.
Chiaro è ormai, per gli studiosi dell’argomento, che nel 1545 quella
Fraternal Compagnia non era stata certo la prima a praticare il mestiere
della commedia, ma sembra essere stata la prima che è andata da un
notaio a far mettere per iscritto il proprio contratto e statuto di fonda‑
zione. Per questo motivo oggi, nel Terzo Millennio, è stata scelta pro‑
prio la ricorrenza del 25 febbraio per festeggiare la “Giornata Interna‑
zionale della Commedia dell’Arte”.
Questa legalizzazione di un nuovo mestiere popolare è stata sol‑
tanto una delle “rivoluzioni del diritto” che la Commedia dell’Arte ha
avviato, guadagnandosi l’apprezzamento e l’innamoramento di tutta
Europa per le nostre maschere.
La Commedia dell’Arte è sempre stata molto amata, soprattutto
all’estero, certo più che qui in Italia, perché rappresentava per il resto
del continente la forza di noi italiani nel saper prendere in mano la
nostra esistenza; ha avviato poi anche un’altra importante rivolu‑
zione: quella di portare le donne in scena per la prima volta nella sto‑
ria del teatro. Prima non si poteva. Per esempio nel teatro dilettanti‑
stico colto e aulico delle corti alto‑medievali e umanistiche, tutte le
parti erano interpretate da uomini, anche quelle femminili, che veni‑
vano di preferenza affidate ai giovani fanciulli della nobiltà. Questo
impedimento a portare le donne in scena è durato molto a lungo, addi‑
rittura fino al Settecento nelle aree italiane che erano sotto la giuri‑
sdizione del papato. Potete quindi immaginare quale novità fosse, in
Fig. 3 – La Umana Commedia di Arlecchino
Fig. 4 – Arlecchino & Arlecchino
Fig. 5 – Arlecchino Servitore di Palcoscenico
XVI‑XVII sec. – Arlecchino Primo, in viaggio tra Italia e Francia
Fig. 27 – Arlecchino con la gerla dei figli di Pantalone
e Arlecchino tradito da Francischina col vecchio Pantalone
101 |
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Cantica prima – Vortice temporale
sfondo di una sua incisione de I balli di Sfessania un prezioso partico‑
lare con il “lazzo dell’asino”, in cui vediamo un Arlecchino che incita
con un soffietto il posteriore di un vecchio asino macilento, montato
al contrario da uno Zanni che ne tiene sollevata la coda; lo Zanni che
cavalca l’asino trasporta ancora una volta una gerla piena di gattini neri.
Fig. 29 – Cavalcata sull’asino di vittima dello charivari – Lazzo
di Arlecchino col soffietto e Zanni con l’asino
XVI‑XVII sec. – Lazzi iconografici di Arlecchino nella Commedia dell’Arte 131 |
Fig. 49 – Travestimenti di Arlecchino: costumi da cavaliere
con armatura, da macellaio e da nobiluomo
Fig. 50 – Costume base da Arlecchino con travestimenti da buffoni
Vediamo allora di analizzare più approfonditamente proprio questa
base del costume di Arlecchino progettata dal Burnacini.
| 132
Cantica prima – Vortice temporale
In un’immagine della collezione di costumi vediamo Arlecchino in
mezzo ad altre due maschere della Commedia dell’Arte, un magnifico
Brighella con classico costume bianco intervallato da alamari color
marrone e una sorta di Zagna o di serva Franceschina popolaresca
interpretata da un attore maschio, com’era in uso nel primo Cinque‑
cento tra i Comici dell’Arte e come era ancora molto gradito alla corte
seicentesca viennese. L’Arlecchino che gesticola al centro dell’imma‑
gine riporta con dovizia di dettagli proprio la base geometrica del Bur‑
nacini, ma già avviata verso sperimentazioni double face: metà della
giacca abbandona la distribuzione dei triangoli policromi e viene rea‑
lizzata in tinta unita, nel colore e nella consistenza del cuoio o pelle.
Fig. 51 – Costume di Commedia dell’Arte con Arlecchino a giacca bipartita
In questa sede vale la pena descrivere la raffinata cromia degli originali,
che è stata più volte citata e sottolineata, ma per la quale è tutt’oggi
difficile dare una definizione univoca, almeno per quanto riguarda le
tecniche pittoriche del Burnacini.
Egli tendeva a usare soluzioni miste: sebbene i volti e i panni bian‑
chi della serie delle maschere risultino più leggeri e lascino traspa‑
XVIII sec. – La riforma goldoniana tenta di civilizzare Arlecchino
179 |
settecentesco sulla Meravigliosa malattia di Arlecchino, scrivendo:
«Explanation of the plates according to the scenario»126.
Indipendentemente dalle opinioni dei ricercatori, il valore di que‑
sta raccolta non scema agli occhi di noi saltimbanchi. Il tema della gra‑
vidanza e del parto di personaggi come Arlecchino o Pulcinella nel
repertorio delle maschere era, di fatto, piuttosto conosciuto in tutta
Europa. Queste splendide incisioni fanno proprio al caso nostro!
Giungono a consolidare le nostre solide e legittime fonti di ispirazione
e, allo stesso tempo, giustificano la libertà creativa di reinvenzione di
tutti i saltimbanchi: tanto di quelli odierni quanto di quelli che ci pre‑
cedettero, financo nel secolo settecentesco, durante il tentativo di loro
civilizzazione.
Seguendo la successione delle tavole di Xavery, organizzate come
una serie di scenette in sequenza, è dunque possibile ripercorrere l’in‑
tera storia della nascita e dell’educazione del figlio di Arlecchino.
Fig. 71 – Pierrot sostiene Arlecchino incinto che vomita
Tutta la vicenda si svolge all’aperto, in un paesaggio bucolico com‑
posto di rocce, piante e nuvole, in cui i personaggi si accompagnano
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Cantica prima – Vortice temporale
solamente a qualche oggetto scenico utile alla narrazione; tutto è reso
chiaro dalla gestualità e dagli atteggiamenti dei corpi, senza l’ausilio
di specifiche scenografie e contestualizzazioni spaziali, proprio come
in uno spettacolo di viandanti da strada accolto in un prato di campa‑
gna, in un parco o in un giardino.
Si comincia con una scena di forte impatto, che vede Arlecchino
in preda a un violento conato di vomito, sorretto dall’amico Pierrot
che lo afferra per un braccio e gli sostiene la testa; Arlecchino ha un
evidente ventre rigonfio, che protegge con il braccio sinistro. Tutti i
sintomi femminili di una gravidanza vengono condensati in questa
potente immagine scatologica.
Segue l’immagine di una pietosa visita medica a un Arlecchino sve‑
nevole, semisdraiato languidamente su alcune rocce, con una mano
che regge la testa, mentre il Dottore gli ascolta le pulsazioni del polso.
Fig. 72 – Il Dottore visita Arlecchino incinto
Ci ricorda ancora qualcosa dell’antico svenimento che abbiamo già
incontrato nell’Arlecchino Innamorato della cinquecentesca Raccolta
Fossard, ma questa volta il languore di Arlecchino ha qualcosa di maturo
XIX sec. – Arlecchino marionetta e burattino
235 |
L’aspetto adolescenziale del sottile Harlekin di Teschner, quel
suo rispecchiarsi nel concetto di “eterno fanciullo” espresso da
Egon Schiele, gli aspetti leggermente femminili che lo adornano
di piccole rose e di una coroncina fiorita, le stesse filiformi forme
anatomiche di carattere efebico, che lasciano intravedere anche una
promessa di piccolo seno abbozzato sull’agile petto di ragazzo, sono
tutti elementi che riconnettono quest’opera scultorea semovente
con l’opera di ri‑addestramento e scultura del corpo che ho cercato
di operare sul mio Arlecchino e sul corpo di tutti gli allievi che ho
incontrato.
D’altronde non potevamo che aspettarci dall’area germanica e dalle
commistioni senza confini della cultura tedesca questi spunti potenti
su cui posare le basi di una nuova Commedia dell’Arte se, dall’ini‑
zio dell’Ottocento, ci giunge un testo che ancor oggi è punto di rife‑
rimento di tutto il teatro di ricerca e della danza contemporanea: Sul
teatro delle marionette, uno dei testi più conosciuti del poeta, dram‑
maturgo e filosofo originario di Francoforte, Heinrich von Kleist
(1777‑1811), che proprio alle marionette affidava il primato di
sapienza sulle regole intramontabili del movimento espressivo sce‑
nico165.
Fig. 106 – Danza scenica della Marionetta Harlekin
| 236
XX sec. – Grandi maestri contemporanei
per la maschera di Arlecchino
E
h sì! I tempi cambiano! Anche la Commedia dell’Arte dovette
cambiare: nel Settecento, nell’Ottocento, e dovette cambiare
ancora attraverso tutto il Novecento per arrivare fino a noi.
Cambiare per rinnovarsi. Cambiare per recuperarsi. Cambiare, per‑
sino, per tradirsi, per tramandarsi, per tradursi. Nell’arco dei Nove‑
cento ce n’è per tutti i gusti.
Ciò che segue non potrà che essere una timida guida bibliografica
all’enorme quantità di documenti sulla Commedia dell’Arte del Nove‑
cento.
Nel XX secolo la Commedia dell’Arte ha visto una rinascita straordi‑
naria attraverso grandi maestri, inizialmente soprattutto russi, e appas‑
sionati studiosi che hanno lentamente saputo riportarla all’attenzione
del pubblico e della cultura universitaria internazionale.
Nonostante le reiterate accuse di vecchiaia della Commedia dell’Arte,
pensata da alcuni come un teatro morto, obsoleto, scomparso, non
attuale, superficiale e folclorico, fu proprio il teatro di ricerca e di spe‑
rimentazione del primo Novecento a recuperarne la memoria come
fonte di sapere profondo dell’arte dell’attore. Tutto il raffinato lavoro
sul corpo e sulla voce dell’attore, sull’antropologia teatrale, che sotten‑
deva alla preparazione del lavoro con le maschere, divenne sprono per
le grandi scuole del teatro contemporaneo occidentale.
In Russia, il fondatore della Biomeccanica, Vsévolod Mejerchòl’d
introdusse, già a partire dal 1906, le sue oniriche rivisitazioni di Com‑
media dell’Arte nel cuore delle avanguardie russe. Nel 1922 il regi‑
sta e pedagogo Evgenij Vachtàngov mise in scena un’indimenticabile
Turandot di Carlo Gozzi, confermando questo drammaturgo sette‑
centesco come il più adatto a conquistare i registi e il pubblico avan‑
XX sec. – Grandi maestri contemporanei per la maschera di Arlecchino
237 |
guardista russo. Le componenti gozziane del sogno e della favola anda‑
vano d’accordo con gli ideali simbolisti, e gli spazi dei suoi testi, lasciati
aperti anche all’improvvisazione, concordavano con le sperimenta‑
zioni teatrali del primo ventennio del Novecento166.
A Vienna, il regista tedesco Max Reinhardt portò in scena nel 1924
il Servitore di due padroni di Carlo Goldoni, unendo il gusto per la
scenotecnica fastosa del barocco seicentesco, alle tecniche recita‑
tive naturalistiche sviluppatesi a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Tutto il teatro tedesco, del resto, era rimasto influenzato dal lavoro
e dalle teorie di Mejerchòl’d tra Commedia dell’Arte e ispirazioni
dall’arte scenica orientale, compreso Bertolt Brecht nella formula‑
zione delle sue teorie sullo straniamento e sul nuovo teatro epico d’a‑
vanguardia.
In Italia, negli anni Quaranta, l’attenzione si concentrò più specifi‑
camente sulla ripresa delle commedie di Carlo Goldoni, soprattutto,
come vedremo, attraverso gli allestimenti del regista Giorgio Streh‑
ler, già molto legato al teatro tedesco e Brecht. Contemporaneamente
a quella rinascita goldoniana presso il Piccolo Teatro della città di
Milano, lo scultore Amleto Sartori riportò alla luce, nel secondo dopo‑
guerra, le antiche tecniche della lavorazione del cuoio, su matrici di
legno, per il confezionamento delle maschere professionali della Com‑
media dell’Arte167, fondando così la notissima Bottega Sartori di arti‑
sti mascherai, che venne proseguita dal figlio Donato Sartori e dalla
famiglia168, fino alla fondazione del prestigioso Museo Internazionale
della Maschera ad Abano Terme, vicino a Padova169. La fertile collabo‑
razione e la profonda amicizia negli anni Quaranta tra Strehler e Sar‑
tori170, coadiuvata da altri grandi maestri e filosofi come Paolo Grassi,
Giovanni Poli, Jacques Lecoq, permise finalmente la rinascita della
Commedia dell’Arte anche in Italia. Il primato di gradimento conti‑
nuò a essere tributato alle commedie di Carlo Goldoni, grazie anche al
rinnovo delle manifestazioni e delle pubblicazioni per il bicentenario
della morte del drammaturgo nel 1993171
In Francia, nella primavera del 1955 il teatro Vieux Colombier di
Parigi presentò la commedia‑rivista La famille Arlequin di Claude San‑
telli, uno spettacolo in cui si svolgevano episodi e richiami in rievoca‑
zione della figura di Arlecchino e delle figure dei suoi grandi interpreti
nella storia, dalla fine del Cinquecento ai nostri tempi. Vi passavano in
| 238
Cantica prima – Vortice temporale
rassegna le figure dei più celebri Arlecchini che entusiasmarono i tea‑
tri di Parigi, città che intendeva porsi come una patria di elezione per
la maschera. Vennero messi in scena Martinelli, Bertinazzi, Bianco‑
lelli, Visentini, Gherardi, ma a tutti veniva anteposto, a introduzione
e prima persino di Tristano Martinelli, il comico Alberto Ganassa
famoso Zanni della compagnia dei Gelosi, fino ad allora creduto di
origine bergamasca, poi scoperto di natali ferraresi. Dunque anche
negli allestimenti parigini del secondo dopoguerra, che sembravano
volersi accaparrare la centralità della ricerca e del recupero dell’antico
Arlecchino, veniva ancora timidamente suggerita un’origine bergama‑
sca d’oltralpe172.
A Mantova, nel settembre del 1999 ci fu gran fermento. Anche que‑
sta città volle sottolineare il suo statuto di patria del primo Arlecchino
Tristano Martinelli, non solo fondando per la prima volta il premio
annuale “Arlecchino d’Oro” (consegnato in quel primo anno al pre‑
mio Nobel Dario Fo), ma affidandone la supervisione a Siro Ferrone,
con l’allestimento della serata speciale “Arlecchinaria” in cui proprio la
figura di Tristano Martinelli introduceva e accoglieva sul palco tutte le
successive e più tarde interpretazioni di Arlecchino, attraverso i reper‑
tori di attori contemporanei del XX secolo.
Non intendo in questo contesto descrivere tutti gli Arlecchini che
anche il Novecento ha visto fiorire sui suoi palcoscenici, poiché la
bibliografia e le notizie ancor fresche che circolano su di loro sono a
disposizione di tutti i lettori e sono molto più facilmente fruibili dei
documenti precedenti.
L’importanza del lavoro di Giorgio Strehler, per esempio, con l’al‑
lestimento nel 1947 della sua prima versione dell’Arlecchino servitore
di due padroni, dalla quasi omonima pièce settecentesca di Carlo Gol‑
doni, è di dominio pubblico, e la longevità delle riprese di quello spet‑
tacolo, che ancor oggi gli sopravvive, è divenuta un orgoglio nazio‑
nale italiano173. Potremmo affermare che l’ormai quasi leggendaria
competenza e sensibilità di Strehler nelle successive messe in scena
goldoniane, considerate veri e propri capolavori, fu lanciata proprio
dal successo di quel suo primo Arlecchino, che riapriva le porte della
Commedia dell’Arte e delle maschere a un’Italia della fine degli anni
Quaranta, che sembrava averle rigettate e dimenticate nei decenni dei
due conflitti Mondiali.
Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna
Fig. 134 – Lasciate ogni speranza
341 |
| 342
Cantica seconda – Vortice di genere
Lasciate ogni speranza è un’immagine che riutilizza lo stesso equilibri‑
smo delle gambe di Arlecchino, ma compone in modo diverso i segnali
del resto del corpo. Arlecchino sembra ora in agguato, come a catturare
qualche possibile preda tra gli spettatori: le mani sono aperte e tese
come se mostrassero gli artigli, la testa è abbassata e spinta in avanti
come i felini quando si preparano al balzo, una grande tovaglia a qua‑
dretti bianchi e rossi è appesa al collo come un bavaglino per il pasto.
Arlecchino sta cantando la storia della sua ingordigia congenita,
della sua fame atavica, del suo appetito infernale che lo porta a parago‑
nare la sua bocca alla porta degli inferi.
Lasciate ogni speranza voi ch’entrate,
pietanze d’ogni tipo et vinelli da re,
che nel budel mio pietà nun truvate!
L’illustratore Davide Zarli45 ha visto nel mio Arlecchino la figura ele‑
gante di un mimo che saluta il pubblico nel finale di uno spettacolo
con un’ultima pantomima muta.
Nel trittico di immagini composto da Zarli si alternano una serie di
inchini, di genuflessioni e di ampi saluti che ricordano l’efficace ierati‑
cità di alcune figure della Biomeccanica Teatrale di Mejerchol’d46.
L’ultima scena dello spettacolo si svolge ormai all’aperto, sotto un
cielo graffiato dalla brezza, come se Arlecchino avesse atteso il pub‑
blico sul “sagrato del teatro” per l’ultimo saluto.
Due file di cipressi che sbucano dietro a un muro di cinta ci suggeri‑
scono che potremmo essere anche sul “sagrato” di un cimitero.
Un remo, una scala a pioli e una piccola clava sono gli unici oggetti di
scena che accompagnano Arlecchino; un corvo con un fiore in bocca
è il suo unico compagno.
Tutti questi elementi tendono verso l’alto, come a indicare una via
di elevazione spirituale o culturale per il pubblico accomiatato, men‑
tre Arlecchino servitore continua a piegarsi e a chinarsi verso il basso.
Lasciate ogni dolore o voi ch’andé
mei lordi et mer‑dame tanto amate,
che mi me inchino lesto a’ vostri piè.
Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna
Fig. 135 – Trittico Arlecchino
343 |
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Cantica seconda – Vortice di genere
Fig. 145 – Arlecchino a testa in giù
Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna
365 |
L’altra mano è portata alla fronte per aiutare gli occhi della maschera a
scrutare lontano: Arlecchino si è messo proprio nella posizione necessaria,
l’ultima ancora possibile oggi, per continuare a vedere il suo Mondo alla
Rovescia, per continuare a immaginare e generare i suoi necessari “sogni
alla rovescia”. Arlecchino non si lascia convincere del tutto dalla mentalità
tecnologica, informatica, multimediale del Terzo Millennio, in cui tutto
appare come falsamente dritto. Lui ha bisogno di capovolgere tutte le
cose, di avere sempre un altro punto di vista e di riferimento, di instillare
sempre il sacro dubbio della necessità.
Questo è stato da sempre il ruolo di Arlecchino e anche il mestiere
del saltimbanco: suggerire la chiave del dubbio, in nome della libertà
di pensiero e della concretezza di autodeterminazione degli uomini.
Per lui nessun dogma è la verità, nessuna certezza è la salvezza: per
Arlecchino dogmi e certezze sono solo catene per la schiavitù delle
menti e dei cuori. Questo Arlecchino di Fiorella Salatin sa porsi corag‑
giosamente nel mondo della scultura (esattamente come il mio sulla
scena teatrale) in posizione totalmente scomoda: capovolto, aggrap‑
pato, irriverente, inafferrabile e, soprattutto, non plagiabile dalle idee
preconcette che di solito vengono preconfezionate per le grandi masse
di esseri umani.
Eppure, niente dell’Arlecchino di Fiorella Salatin risulta violento o
impositivo, neppure nel suo aspetto rivoluzionario: tutto è virato dalla
dolcezza della sua ingenuità (che è anche la sua più grande forza), della
sua innata curiosità, della sua assoluta sincerità istintiva, del suo essere
prima di tutto un Servitore, ovvero del suo porsi sempre al devoto ser‑
vizio della Umana Commedia di cui è testimone.
Nella scultura Ariete ascendente Arlecchino, ancora del 2007, vediamo
il personaggio che sfida e prende a testate un animale grosso quasi quanto
lui, con le robuste corna arrotolate che si scontrano con le piccole corna
della maschera.
Fiorella Salatin desiderava fare uno scherzoso omaggio alla cocciu‑
taggine del mio Arlecchino, mettendolo a confronto con il mio stesso
segno zodiacale dell’Ariete (sono nata il 5 aprile 1965), che è anche
segno zodiacale del primo Arlecchino Tristano Martinelli (nato il 7
aprile del 1557). Anche in questo scontro, che potrebbe essere brutale
e bestiale, la scultrice riesce a fissare nella creta un senso di rispetto e di
galateo antico tra uomo e animale, tra servo buffo e costellazione astro‑
| 366
Cantica seconda – Vortice di genere
logica, tra adepto umano e divinità animistica. Arlecchino sovrasta in
dimensioni l’ariete, ma è tutto impegnato nel mettersi alla stessa altezza
dell’animale: è prostrato in ginocchio, tutto incurvato in avanti come
in un inchino, con le braccia bloccate dietro alla schiena per non appro‑
fittare del vantaggio prensile dell’essere umano. L’ariete, dal canto suo, è
saldamente seduto sulle zampe posteriori e si solleva verso l’alto, con la
schiena incurvata e la testa abbassata in posizione d’attacco delle corna.
Tutta questa dinamica fisica si risolve, però, in un contatto delicatissimo
e intenso tra le due teste che si posano l’una all’altra come per ascoltarsi,
per trasmettersi pensieri telepatici e memorie ancestrali. Tutta la scul‑
tura crea un ponte tra i due corpi in equilibrio, la cui chiave di volta è
il punto di contatto tra le menti‑anima dei due personaggi. Questo è il
vero senso dell’ascendente: l’ispirazione che giunge da un universo per‑
sonificato e carico di valenze simboliche. In questo caso è l’Arlecchino
astrale di Fiorella Salatin che ispira l’ariete, in una inversione di ruoli
che è tipica delle provocazioni semplici e disarmanti della Commedia
dell’Arte.
Il tema del confronto astrologico di Arlecchino con i segni zodia‑
cali si trova anche nella scultura Arlecchino Passione del 2008. Arlec‑
chino questa volta si trova a confronto con una sorta di Sirenide, la
cui metà inferiore anziché essere a forma di pesce si prolunga, invece,
in una maestosa coda di scorpione, inarcata e con l’uncino velenoso
pronto a colpire. Arlecchino è seduto alle spalle di questo scorpione
umano, proprio in direzione dell’aculeo, ma non è minimamente spa‑
ventato, anzi, con una mano si afferra saldamente all’arco della coda,
con le gambe sollevate se la fa passare in mezzo alle ginocchia come se
volesse cavalcarla, e con l’indice dell’altra mano fa il solletico alla punta
dell’aculeo.
Lo scorpione, sottile ma muscoloso, si volge stupito verso Arlec‑
chino. Lo scorpione è inarcato all’indietro disegnando una curva con
la schiena e la coda, mentre Arlecchino è inarcato in avanti disegnando
una curva con il busto e le gambe; le due curve si intersecano in un ele‑
gante e innocente gioco da fanciulli.
La natura violenta e difensiva dello scorpione viene così mitigata
dalla spudoratezza della maschera. Lo Scorpione è il segno zodiacale
della scultrice Fiorella Salatin, che ha voluto esprimere in questo modo
il suo rapporto con la figura di Arlecchino.
Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna
Fig. 163 – Il ghigno di Arlecchino
397 |
| 398
Cantica seconda – Vortice di genere
Nell’immagine Il ghigno di Arlecchino gli elementi di costume, la maschera,
il cappello e un’ombra abbozzata di casacca, cercano di rivestire il perso‑
naggio che stavolta è posizionato come in un drammatico autoritratto di
Egon Schiele del 191085, in cui l’artista si era rappresentato nudo, con le
braccia contorte dietro la schiena e un’espressione di rabbia e sofferenza;
nell’illustrazione di Tonus gli angoli delle braccia ben si confanno con la
dinoccolata gestualità di Arlecchino e i denti stretti dell’originale ritratto si
trasformano qui in un simpatico ma inquietante sogghigno della maschera.
Fig. 164 – Arlecchino Contemporaneo
Ritratti d’Arte del primo Arlecchino donna
399 |
Nell’immagine Arlecchino contemporaneo Tonus opera una reinven‑
zione meditabonda del ritratto di Arlecchino, ispirandosi a una serie
di autoritratti in primissimo piano che Schiele aveva elaborato tra
1911 e 191386, in cui una mano tesa si avvicina al volto pensoso, con
la mandibola irrigidita e il collo tirato.
Questo Arlecchino non sorride, non gesticola più teatralmente, ma
si contorce ancora nelle proprie micro‑tensioni, più compostamente
che può, come se stesse meditando la prossima mossa e, al contempo,
si stesse ritirando dall’espansività popolaresca che lo aveva contraddi‑
stinto nei secoli passati.
Devo ammettere che questa prima e smaccata sintesi del 2007, ope‑
rata da Tonus sullo spettacolo Arlecchino e il suo Doppio, ha definitiva‑
mente sdoganato anche per me la possibilità di portare in scena senza
più reticenze un nuovo Arlecchino contemporaneo, che mi accompa‑
gnasse, persino al di fuori delle scene di Commedia dell’Arte, in altre
forme di rappresentazione teatrale tragica e comica, e addirittura nei
miei concerti outsider di Hellequin Rock. Uno sdoganamento che il
giornalista e critico teatrale Mario Brandolin colse alcuni anni più
tardi nello stesso spettacolo:
«… due grandi pannelli sui quali campeggiano l’Arlecchino della tra‑
dizione e una figura intera di Schiele. Ma è soprattutto lei, l’attrice,
con la sua capacità di scivolare senza soluzione di continuità tra i due
contrastanti personaggi, a restituirci il senso di un’unicità di sensa‑
zioni, di pensieri, di sentimenti, tutti riassunti ed espressi in una par‑
titura fisica e coreografica di estrema impressionante precisione nel
dare corpo alla complessità dell’assunto drammaturgico, e delle molte
sfaccettature espressive che lo compongono»87.
Potete dunque immaginare la mia particolare affezione per quel
ciclo di immagini di Tonus e, in un certo senso, anche il mio debito
di gratitudine per la sua utilissima conferma iconografica dell’origi‑
naria intuizione del mio regista Ferruccio Merisi. Nel 2007, quando
eseguiva le illustrazioni per Arlecchino e il suo Doppio, Marco aveva
solamente 25 anni, ma le sue capacità di analisi e la sua indipendenza
mentale nell’osservazione dei fenomeni, erano già state acuite dalle
esperienze e dalle scelte giovanili. Marco disegna sin dall’infanzia e i
suoi punti di riferimento nell’adolescenza vanno dal Braccio di Ferro
di Segar a Jacovitti, da Silver a Pazienza; affascinato dai fumetti con
| 452
Cantica seconda – Vortice di genere
Fig. 194 – Testa della Laocconte Madre, 2
A renderle onore, Marco Fabio Apolloni sta scrivendo personalmente
un prestigioso libro‑catalogo su Lea Monetti che racconta quest’av‑
ventura della Laocconte Madre e che ci aspettiamo presto di vedere.
Fig. 198 – Arlecchino Laocoonte
Note alla Cantica seconda
459 |
Note alla Cantica seconda
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Cfr. il capitolo “Linguaggi comunicativi del corpo”, in C. Contin Ar‑
lecchino (a cura di), Progetto Sciamano 1999 – Esperienze di Teatro e
Handicap, Pordenone, Provincia di Pordenone, 1999, pp. 22‑23.
Per quanto riguarda la ricostruzione analitica del training di Arlecchi‑
no, si veda soprattutto il corposo lavoro di Rossella Mazzaglia, L’espres‑
sività del corpo nella Commedia dell’Arte: L’Arlecchino di Claudia Contin,
tesi di laurea in storia della danza e del mimo, facoltà di lettere e filo‑
sofia, Università degli Studi di Bologna, Relatore Eugenia Casini Ropa,
A.A. 1998‑1999.
Cfr. C. Contin Arlecchino, Gli abitanti di Arlecchinia…, op. cit.,
p. 155.
Cfr. il capitolo “Un viaggio d’esplorazione per il teatro”, in C. Contin
Arlecchino (a cura di), Progetto Sciamano 2000 – Esperienze di Tea‑
tro e Handicap, Pordenone, Ed. Provincia di Pordenone, 2000, p. 10.
Cfr. C. Contin Arlecchino, Gli abitanti di Arlecchinia…, op. cit.,
p. 157.
Ibidem, p. 161.
Ibidem, p. 163.
Ibidem, p. 163.
Ibidem, p. 171.
Ibidem, p. 171.
Cfr. C. Contin Arlecchino (a cura di), Progetto Sciamano 2001 –
Incontri col Teatro Cinese, San Vito al Tagliamento (PN), Ellerani, 2001,
pp. 12‑14.
Per un’idea dei “viaggi teatrali di Arlecchino” condotti nel campo della
differenza, dell’immigrazione, della terza età, del disagio giovanile, della
psichiatria e dell’handicap, cfr. F. Merisi, C. Contin Arlecchino (a
cura di), Progetto Sciamano 2006 – Segnali da altrove: i teatri dell’ascolto,
Roveredo in Piano (PN), Grafiche Risma, 2006. Per un’idea dei molti
gemellaggi internazionali promossi da Arlecchino, con particolare at‑
tenzione all’India e all’Africa, cfr. F. Merisi, C. Contin Arlecchino
(a cura di), Progetto Sciamano 2007‑2008‑2009 – Sala Arlecchino, San
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denonese, 2016.
Chiari F., “Note storiche, serie e divertenti sul testo popolare dei
burattini”, in Cortesi D., Dare l’anima. Un fotografo e un regi‑
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Referenze iconografiche
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7
Lo stupore di Arlecchino, ritratto di Claudia Contin Arlec‑
chino, Héctor González de Cunco, 1999 (archivio fotogra‑
fico Porto Arlecchino).
Prologo del saltimbanco contemporaneo, Claudia Contin Arlec‑
chino in Gli abitanti di Arlecchinia, Festival di Campsirago,
Tony D’Urso, 1993 (archivio fotografico Porto Arlecchino).
La Umana Commedia di Arlecchino, dal debutto dell’omo‑
nima conferenza‑spettacolo di Claudia Contin Arlecchino,
Ridotto Teatro Verdi, Padova, “Festeggiamenti per la VI
Giornata Mondiale della Commedia dell’Arte”, Luca Fan‑
tinutti, 26 febbraio 2015 (archivio fotografico Porto Arlec‑
chino).
Arlecchino & Arlecchino, Paolo Rossi, Claudia Contin Arlec‑
chino e un Burattino della Famiglia Cortesi ripresi durante
le prove per l’omonimo progetto organizzato dal CRT, Trien‑
nale Teatro dell’Arte, Milano, Franco Mammana, marzo
2014 (archivio fotografico Porto Arlecchino).
Arlecchino servitore di palcoscenico, Claudia Contin Arlec‑
chino in Arlecchino & Arlecchino, Triennale Teatro dell’Arte,
Milano, Alessandro Brasile, marzo 2014 (archivio fotogra‑
fico Porto Arlecchino).
Arlecchino saltimbanco, Claudia Contin Arlecchino in Arlec‑
chino & Arlecchino, Triennale Teatro dell’Arte, Milano,
Franco Mammana, marzo 2014 (archivio fotografico Porto
Arlecchino).
Arlecchino a testa in giù, Claudia Contin Arlecchino in
Arlecchino & Arlecchino, Triennale Teatro dell’Arte, Milano,
Franco Mammana, marzo 2014 (archivio fotografico Porto
Arlecchino).
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Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10
Fig. 11
Fig. 12
Fig. 13
Fig. 14
Fig. 15
Fig. 16
Fig. 17
Fig. 18
Referenze iconografiche
Famiglia di Diavoli Buffi, Lodovico Ottavio Burnacini, fine
XVII secolo (Vienna, KHM-Museumsverband, Theatermu‑
seum).
Dieci diavoli buffi attaccano i due poeti pellegrini (partico‑
lare), incisione di Gustave Doré per La Divina Comme‑
dia di Dante Alighieri, Londra, 1892, Inferno, Canto XXI,
vv. 67‑87 (archivio fotografico 123RF, Maria Dumitrascu,
ID 13512373).
La cattura del barattiere di Navarra (particolare), incisione
di Gustave Doré per La Divina Commedia di Dante Ali‑
ghieri, Londra, 1892, Inferno, Canto XXI, vv. 31‑42 (archi‑
vio fotografico 123RF, Maria Dumitrascu, ID 13512365).
Il nuovo ludo di Alichino col barattiere di Navarra (parti‑
colare), incisione di Gustave Doré per La Divina Comme‑
dia di Dante Alighieri, Londra, 1892, Inferno, Canto XXI,
vv. 122‑132 (archivio fotografico 123RF, Maria Dumitrascu,
ID 13512377).
Lotta grottesca tra Alichino e Calcabrina (particolare), inci‑
sione di Gustave Doré per La Divina Commedia di Dante Ali‑
ghieri, Londra, 1892, Inferno, Canto XXI, vv. 133‑151 (archi‑
vio fotografico 123RF, Maria Dumitrascu, ID 13512384).
Ritratto di Dante Alighieri, incisione, Gustave Doré, Londra,
1892, Frontespizio, 1956, Milano, Sonzogno.
Charivari con maschere e suonatori, miniatura della serie
contenuta in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi,
Bibliothèque Nationale de France, M. Fr. 146, fol. 34r).
Charivari e mesnie Hellequin, miniatura della serie conte‑
nuta in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque
Nationale de France, M. Fr. 146, fol. 36v).
Hellequin a cavallo dietro le bare, particolare dalla serie
di miniature in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi,
Bibliothèque Nationale de France, M. Fr. 146‑fol. 34v alto)
Hellequin con lo chariot dei bambini morti, particolare, minia‑
tura in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque
Nationale de France, M. Fr. 146, fol. 34v basso)
Hellequin e proto‑Zanni con gerle e pellicce da uomo selva‑
tico – Teste di Hellequin con maschera e copricapo alato – Pro‑
Referenze iconografiche
Fig. 19
Fig. 20
Fig. 21
Fig. 22
Fig. 23
Fig. 24
Fig. 25
Fig. 26
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to‑Zanni con copricapo a punta confrontato con maschera
zannesca di Jacques Callot, evidenziazioni grafiche di parti‑
colari, miniature, in Le Roman de Fauvel, XIV secolo (Parigi,
Bibliothèque Nationale de France, M. Fr. 146, fol. 34r‑36v)
confrontate con particolare dalla serie di incisioni I Balli di
Sfessania di Jacques Callot, del XVII secolo.
Diavolo con la gerla piena di infanti e Bocca dell’Inferno con
demone arlecchinesco, particolari, miniature, in Le dit de Fau‑
vain, XIV secolo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France,
MS Fr. 571, fol. 150v, 150r).
Persistenza della Bocca dell’Inferno medievale nell’iconogra‑
fia barocca (particolare), incisione su rame, Matthäus Küsel,
disegno di Lodovico Ottavio Burnacini per l’allestimento
dello spettacolo di corte Il pomo d’oro, XVIII secolo (Vienna,
Österreichische Nationalbibliothek, Musiksammlung).
Compositions de Rhetorique de M. Don Arlequin, frontespizio,
Lione, 1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES
Y2‑922, fol. 1 NP).
La Maschera di Tristano Martinelli “Arlecchino Primo” (par‑
ticolare), incisione, pag. 6 della Compositions de Rhetorique
di Tristano Martinelli, Lione, 1901 (Parigi, Bibliothèque
Nationale de France, RES Y2-922, fol. 6).
Arlechin in scena sul suo palchetto di legno, in “Composi‑
tions de rhétorique”, Tristano Martinelli, incisione, Lione,
1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2‑922,
fol. 6).
Tristano Martinelli in ginocchio di fronte ai regnanti di Fran‑
cia, incisione, in Compositions de rhétorique, Tristano Marti‑
nelli, Lione, 1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France,
RES Y2‑922, fol. 25).
Preghiere e acronimi scherzosi di Harlequin, incisione, in
Compositions de rhétorique, Tristano Martinelli, Lione, 1601
(Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2‑922, fol. 5).
La Allichinaria: Arlecchino con la gerla dei suoi figli, incisione,
in Compositions de rhétorique, Tristano Martinelli, Lione,
1601 (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, RES Y2‑922,
fol. 48).
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