I botanici stanno studiando il modo in cui le piante

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Botanica
I botanici stanno studiando il modo in cui le piante sentono a vicenda
il proprio odore. Alcune piante riconoscono
i vicini danneggiati in base all’odore; altre fiutano il proprio pasto
di Daniel Chamovitz
Profumo
di pianta
L
a Cuscuta Pentagona non è una pianta che avete sui vostri davanzali. È un sottile rampicante arancione che può arrivare a quasi un metro di altezza, produce piccoli fiori bianchi a cinque petali e si trova in Nord America. Quello che rende unica la cuscuta
è il fatto che è completamente priva di foglie. E non è verde, perché non ha la clorofilla, il pigmento che assorbe l’energia solare e permette alle piante di trasformare la luce
in zuccheri e ossigeno mediante la fotosintesi. La cuscuta si nutre dei suoi vicini. È una pianta parassita.
Per vivere si attacca alla pianta ospite e ne assorbe i nutrienti infilando un’appendice nel sistema vascolare. La cuscuta è davvero interessante, perché ha precisi gusti alimentari: sceglie i vicini di cui nutrirsi.
Le piante rilasciano nell’aria un bouquet di odori che le circonda. I
biologi hanno confermato che le piante sono sensibili ai reciproci aromi.
Alcune piante si preparano alla battaglia quando sentono l’odore di
vicini feriti, mentre la cuscuta, un rampicante parassita, fiuta i possibili
ospiti in piena salute.
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Adattato da What a Plant Knows: A Field Guide to the Senses,
di Daniel Chamoviz, in seguito a un accordo con Farrar, Strauss
e Giroux, LLC (Nord America), One World (Regno Unito), Scribe
(Australia/Nuova Zelanda), Kawade Shobo Shisha (Giappone).
Copyright © 2012 di Daniel Chamoviz.
527 luglio 2012
Illustrazione di Cherie Sinnen
In breve
Fragranza fatale
Dopo aver fiutato l’esemplare più adatto, la cuscuta, un rampicante parassita, si abbarbica sulla pianta di pomodoro e ne succhia la linfa vitale.
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Un seme di cuscuta si comporta come quello di qualsiasi altra
pianta. I nuovi germogli crescono in aria e le nuove radici affondano nel terreno. Man mano che una giovane cuscuta cresce, arriccia le estremità dei propri germogli in piccoli cerchi e tasta l’ambiente circostante, proprio come facciamo noi con le mani quando
siamo bendati o cerchiamo l’interruttore della luce della cucina
in piena notte. Mentre all’inizio questi movimenti sono casuali,
quando la cuscuta è vicina a un’altra pianta (per esempio un pomodoro), è praticamente certo che si piegherà, crescerà e ruoterà in
direzione della pianta di pomodoro, che la rifornirà di cibo. La cuscuta si piega, cresce e ruota finché alla fine non trova una foglia
di pomodoro. Ma anziché toccare la foglia continua ad avanzare
fino a quando non raggiunge il gambo. In un finale gesto di trionfo, si abbarbica intorno a esso, affonda microsporgenze nel floema
(il vaso che porta la linfa zuccherina della pianta) e inizia a succhiarne gli zuccheri che le permetteranno di continuare a crescere e alla fine fiorire.
Questo comportamento è stato persino documentato con un video da Consuelo De Moraes, entomologa presso la Pennsylvania
State University. Il suo interesse principale è lo studio dei segnali chimici volatili fra insetti
Di fronte
e piante e fra piante, e uno dei
alla scelta
suoi progetti mira a comprendere come la cuscuta individua
fra pomodoro
la propria preda. De Moraes ha
e grano,
dimostrato che la cuscuta non
cresce mai in prossimità di vala cuscuta
si vuoti o piante finte, mentre
sceglierà
lo fa puntualmente in prossimità di vasi con piante di poil pomodoro
modoro, senza badare alla loro collocazione: pieno sole o
ombra, non ha importanza. Ha
ipotizzato che in realtà la cuscuta senta l’odore del pomodoro. Per
verificare questa ipotesi, lei e i suoi studenti hanno messo la cuscuta in una scatola chiusa e il pomodoro in un’altra scatola chiusa. Un tubo inserito di lato collegava i due contenitori e consentiva
il passaggio dell’aria fra essi. La cuscuta isolata è cresciuta sempre verso il tubo, indicando che la pianta di pomodoro emanava un
odore che si diffondeva attraverso il tubo fino alla scatola con la
cuscuta, e che a quest’ultima l’odore piaceva.
Se la cuscuta stava davvero rincorrendo l’aroma del pomodoro,
allora forse De Moraes poteva creare un profumo di pomodoro e
vedere se la cuscuta l’avrebbe seguito. Quindi ha creato un estratto all’eau de tomate, ne ha intinto dei tamponi di cotone che ha
poi messo su alcuni bastoncini dentro vasi vicino alla cuscuta. Come verifica, ha intinto altri tamponi con alcuni solventi usati per il
profumo al pomodoro e ha sistemato anche quelli vicino alla cuscuta. Come previsto, questo ha spinto la cuscuta, convinta di trovare cibo, a crescere nella direzione dei tamponi che sapevano di
pomodoro, e non verso quelli che odoravano di solventi.
Davanti alla scelta fra pomodoro e grano, la cuscuta sceglierà
il pomodoro. Se fai crescere la tua cuscuta in un vaso equidistante
da altri due – uno contenente grano, uno contenente pomodoro –
la cuscuta sceglierà il pomodoro.
Da un punto di vista chimico elementare l’eau de tomate e l’eau
de blé sono piuttosto simili. Entrambe contengono beta-mircene,
un composto volatile (uno delle centinaia di odori chimici conosciuti) che di per sé può indurre la cuscuta a crescere verso di esso.
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Daniel Chamoviz è direttore del Manna
Center for Plants Biosciences presso
l’Università di Tel Aviv.
Allora perché questa preferenza? Un’ipotesi evidente è la ricchezza del bouquet. Oltre al beta-mircene il pomodoro emana due altri
elementi chimici volatili da cui la cuscuta è attratta e che producono un’irresistibile fragranza magnetica. Il grano, invece, contiene solo un composto che attira la cuscuta, il beta-mircene appunto, mentre mancano gli altri due che troviamo nel pomodoro. Per
di più il grano non solo ha meno elementi gradevoli ma produce
il (Z)-3-esenil-acetato, che la cuscuta detesta più di quanto ami il
beta-mircene. In effetti, la cuscuta cresce lontano dal (Z)-3-esenilacetato e trova il grano semplicemente repellente.
Intercettazioni tra le foglie
Nel 1983 due gruppi di ricerca pubblicarono strabilianti risultati sulla comunicazione tra le piante, che rivoluzionarono completamente le nostre conoscenze sul mondo vegetale, dal salice al
fagiolo americano. I ricercatori affermarono che gli alberi si avvisano a vicenda nel caso di un imminente attacco da parte di insetti divoratori di foglie. Questo studio, insieme all’idea degli «alberi parlanti», si diffuse immediatamente dalle pagine di «Science» ai
principali giornali di tutto il mondo.
David Rhoades e Gordon Orians, dell’Università di Washington,
notarono che era meno probabile che i bruchi si nutrissero delle
foglie dei salici se questi erano vicini ad altri già infestati da bruchi. Gli alberi sani che crescevano vicino a quelli infestati resistevano all’attacco dei bruchi perché, come scoprì Rhoades, le loro
foglie, a differenza di quelle isolate dagli alberi infestati, contenevano fenolo e tannino che le rendevano sgradevoli agli insetti. Poiché gli scienziati non erano riusciti a individuare un contatto
fisico fra gli alberi danneggiati e i loro vicini sani – non avevano
radici in comune e i loro rami non si toccavano – Rhoades avanzò
l’ipotesi che gli alberi infestati avessero inviato agli altri un messaggio aereo feromonale. In altre parole, gli alberi infestati avevano segnalato ai vicini sani: «Attenti! Difendetevi!».
Appena tre mesi dopo, i ricercatori del Dartmouth College Ian
Baldwin e Jack Schultz pubblicarono un articolo determinante,
che confermava i risultati di Rhoades. Avevano studiato piantine
di pioppo e di acero da zucchero, alte circa 30 centimetri, coltivate in teche ermetiche di plexiglas. Per il loro esperimento avevano
usato due teche. La prima conteneva due popolazioni di alberi: 15
integri e 15 che avevano due foglie strappate a metà. La seconda
teca conteneva gli alberi destinati a fare da confronto, ovviamente
integri. Due giorni dopo, sulle foglie ancora sane degli alberi danneggiati era aumentato il livello di un certo numero di sostanze,
compresi composti tossici di fenolo e tannino, noti perché inibiscono la crescita dei bruchi. Gli alberi della seconda teca non presentavano un aumento del livello di alcuno di questi composti.
Baldwin e Schultz ipotizzarono che le foglie danneggiate, sia che
fossero state strappate come nel loro esperimento, sia che fossero state divorate dagli insetti, come sui salici osservati da Rhoades,
emettevano un segnale gassoso che permetteva agli alberi danneggiati di comunicare con quelli non danneggiati, che riuscivano
quindi a difendersi dagli attacchi degli insetti.
Questi primi studi sui segnali fra le piante furono spesso sottovalutati dagli altri ricercatori, che non attribuirono loro particolare
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peso osservando o che mancavano di corrette verifiche o che i risultati, pur essendo corretti, erano stati enfatizzati dal punto di vista delle loro implicazioni. Durante lo scorso decennio, tuttavia,
l’esistenza della comunicazione fra piante attraverso l’odorato è
stata dimostrata in un numero sempre maggiore di specie, compresi l’orzo, l’artemisia e l’ontano. Se ora è accettato come paradigma scientifico che le piante influenzino i propri vicini mediante segnali chimici aerei, la domanda rimane: le piante sotto attacco
comunicano davvero con le altre (in altre parole, vogliono consapevolmente avvisare del pericolo imminente), o più semplicemente sono le piante sane che intercettano un «soliloquio» di quelle infestate, non destinato a essere ascoltato?
Martin Heil e colleghi del Center for Research and Advanced
Studies di Irapuato, in Messico, studiano da molti anni il fagiolo
americano selvatico (Phaseolus lunatus) per approfondire ulteriormente la questione. Heil sapeva che altri ricercatori avevano osservato che quando una pianta di fagiolo americano viene mangiata
dai coleotteri ha due reazioni. Mentre sono divorate dagli insetti,
le foglie rilasciano nell’aria un mix di composti chimici volatili, e
i fiori (benché non siano direttamente attaccati dai coleotteri) producono un nettare che attrae gli artropodi che si nutrono di coleotteri. Nei primi anni duemila, Heil lavorava al Max-Planck-Institut für chemische Ökologie di Jena in Germania, lo stesso istituto
in cui Baldwin era (ed è ancora) direttore, e, come Baldwin prima
di lui, si domandava perché il fagiolo americano emettesse quelle
sostanze chimiche.
Heil e colleghi misero delle piante di fagiolo americano che erano state attaccate dai coleotteri vicino ad altre che erano state isolate dagli insetti, e monitorarono l’aria intorno alle foglie. Scelsero quattro foglie da tre piante differenti: due foglie, una mangiata
e una integra, da una pianta che era stata attaccata dai coleotteri; una foglia da una pianta vicina ma non infestata; e una foglia
da una pianta che non aveva avuto alcun tipo di contatto né con
i coleotteri né con le piante infestate. Per identificare la sostanza
volatile intorno a ciascuna foglia sfruttarono una tecnica avanzata conosciuta come cromatografia/spettrometria di massa (che viene spesso impiegata dai produttori di profumo che lavorano a una
nuova fragranza).
Heil scoprì che l’aria emessa dalle due foglie della stessa pianta, quella mangiata e quella integra, conteneva essenzialmente
sostanze volatili identiche, mentre l’aria intorno alle foglie della
pianta isolata era priva di questi gas. Anche l’aria intorno alle foglie del fagiolo americano sano che era stato vicino alle piante infestate dai coleotteri conteneva le stesse sostanze chimiche volatili prodotte dalle piante infestate. Le piante sane, inoltre, avevano
meno probabilità di subire l’attacco dei coleotteri.
Tuttavia Heil non era convinto che le piante danneggiate «parlassero» alle altre per avvertirle dell’imminente attacco. Ipotizzò
invece che le piante vicine intercettassero olfattivamente in qualche modo un segnale interno, destinato in realtà alle foglie della
stessa pianta che lo emetteva.
Heil modificò l’esperimento per verificare in modo semplice, ma ingegnoso, la propria ipotesi. Mantenne due piante vicine,
ma chiuse le foglie mangiate dai coleottori per 24 ore dentro sacchetti di plastica. Quando controllò le quattro foglie – scelte come nel primo test – i risultati cambiarono. Mentre le foglie mangiate continuavano a emanare la stessa sostanza chimica prodotta
nell’esperimento precedente, stavolta le altre foglie, sia della stessa pianta sia delle piante vicine, erano simili alle foglie della pianta isolata: l’aria intorno a esse era pulita.
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Heil e il suo team aprirono i sacchetti messi intorno alle foglie
divorate e con l’aiuto di un piccolo ventilatore, di quelli che solitamente si usano sui fragili microchip quando è necessario raffreddare un computer, spinsero l’aria in due direzioni: verso le foglie
vicine più in alto sulla stessa pianta, oppure lontano dalla pianta.
Controllarono i gas prodotti dalle foglie nella parte alta dello stelo e misurarono quanto nettare stessero producendo. Le foglie raggiunte dall’aria dei sacchetti avevano iniziato a emanare gli stessi
gas e anche a produrre nettare. Le foglie che non erano state esposte all’aria dei sacchetti non mutarono.
I risultati furono importanti, perché rivelarono che i gas emanati da una foglia mangiata dai coleottori vengono prodotti perché la pianta protegge le proprie foglie ancora sane da attacchi futuri. In altre parole, quando una foglia è attaccata da un insetto o
da batteri, rilascia odori che avvertono le foglie sorelle di proteggersi dall’attacco, proprio come sulle torri di guardia sulla Grande muraglia cinese si accendevano fuochi per avvertire di un assalto imminente.
La pianta vicina intercetta questa conversazione olfattiva e ne
ricava le informazioni essenziali per proteggersi a
sua volta. In natura queMolte delle
sto segnale olfattivo perfragranze
siste almeno per la distanza di un metro (differenti
emesse dalle
segnali volatili, a seconda
piante sono
delle caratteristiche chimiche, viaggiano per distanusate per
ze maggiori o minori). Per
complesse forme
il fagiolo americano, che
tende spontaneamente a
di comunicazione
crescere molto vicino alle
altre piante della propria
specie, questo è più che
sufficiente per far sì che, se una pianta ha dei problemi, le sue vicine lo sappiano.
Le piante sentono gli odori?
Le piante emanano un preciso bouquet di odori. Immaginate il
profumo delle rose quando d’estate camminate in un giardino, o
l’erba appena tagliata in tarda primavera, o ancora un gelsomino in fiore di notte. Senza guardare, sappiamo se la frutta è pronta per essere mangiata e nessun visitatore di un giardino botanico
può sorprendersi dell’odore sgradevole del fiore più grande (e maleolente) del mondo, l’Amarphophallus titanum, meglio conosciuto come il fiore cadavere.
Molte di queste fragranze sono usate per complesse comunicazioni fra piante e animali. Gli odori inducono differenti impollinatori a visitare i fiori e gli spargitori di semi a visitare i frutti, e come
sottolinea lo scrittore Michael Pollan possono addirittura convincere la gente a piantare fiori in tutto il mondo. Ma le piante non si
limitano a emanare fragranze; come abbiamo visto, non c’è dubbio che sentano l’odore delle altre piante.
Naturalmente non hanno terminazioni nervose olfattive collegate a un cervello che interpreta i segnali. Ma la cuscuta, le piante
di Heil e il resto della flora presente nel mondo naturale rispondono ai feromoni, proprio come facciamo noi. Le piante percepiscono una sostanza chimica volatile nell’aria e convertono questo segnale (sebbene non a base nervosa) in una risposta fisiologica. Di
sicuro questo può essere considerato olfatto.
n
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