I Severi - FDA Didattica per le materie letterarie

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I Severi
Lucio Settimio Severo (146- 211) fu imperatore romano dal 193 alla sua morte e diede inizio alla
dinastia severiana.
La famiglia di Settimio Severo apparteneva all'ordine equestre, e sembra che nel 172 Settimio sia stato
fatto senatore da Marco Aurelio. Nel 174 era legato pro pretore in Africa, come risulta da un'iscrizione di
Leptis Magna.
Nel 190 ebbe il consolato e negli anni seguenti resse per Commodo il comando delle legioni in
Pannonia. Al momento di assassinare Pertinace nel 193, le truppe proclamarono imperatore Settimio
Severo a Carnuntum, e questi si affrettò a rientrare in Italia e prendere possesso di Roma senza
opposizioni. I legionari di Siria, tuttavia, proclamarono imperatore Pescennio Nigro, mentre quelli della
Britannia scelsero Clodio Albino. Venne inoltre nominato un quarto imperatore, Didio Giuliano. Settimio
Severo si liberò dei tre rivali nel 197, in seguito ad una sanguinosa guerra.
I suoi rapporti con il Senato non furono mai buoni. Egli non fu amato, avendo preso il potere con
l'aiuto dei militari, e ricambiò apertamente l'ostilità dopo la vittoria su Clodio Albino. Settimio Severo ordinò
l'esecuzione di 29 senatori accusati di corruzione e cospirazione contro di lui, sostituendoli con suoi favoriti,
soprattutto africani e siriani. Inoltre attribuì e ampliò i poteri degli ufficiali dell'esercito investendoli anche di
cariche pubbliche che erano solitamente appannaggio del senato. Utilizzò i proventi della vendita delle terre
confiscate agli avversari politici per creare una cassa imperiale privata, il fiscus. Il fiscus era distinto
dall'aerarium che era la cassa dello Stato. Egli inoltre sciolse la Guardia Pretoriana, fino ad allora reclutata
per lo più in Italia e in piccola parte nelle province più romanizzate, e la ricostituì con truppe a lui fedeli,
tratte dal contingente danubiano. Da allora in poi l'accesso alla Guardia Pretoriana, che un tempo aveva un
prerequisito geografico e culturale, sarebbe stata appannaggio dei soldati più battaglieri, quelli dell'Illirico
nel III secolo.
Settimio Severo mise subito in atto una serie di riforme e modifiche al precedente ordinamento
militare. Aumentò il numero delle legioni romane a 33, con la costituzione di ben tre unità, in vista delle
campagne partiche. L'esercito ora poteva contare su 400.000 armati complessivamente. Un numero
comunque esiguo se si pensa che dovevano presidiare circa 9.000 chilometri di confine, controllare e
difendere i 70 milioni di abitanti dell'Impero.
Venne costituita per la prima volta una "riserva strategica" in prossimità di Roma, nei Castra Albana,
dove fu alloggiata un'intera legione.
Favorì i legionari in vari modi, aumentando loro la paga e riconoscendo loro il diritto di sposarsi
durante il servizio, oltre ad abitare con la propria famiglia fuori del campo (canabae). Tale riforma comportò
una "regionalizzazione" delle legioni, che in questo modo si legarono non solo al loro comandante, ma
anche a un territorio ben preciso. Severo giunse, persino, a consigliare ai figli, quando li associò al trono:
"Per essere Imperatori, pagate sempre i soldati e non preoccupatevi del resto", avendo appreso appieno
che si può governare anche senza il consenso popolare, ma mai senza il potere militare.
Secondo lo storico Erodiano le truppe che stazionarono in Roma (o nelle sue vicinanze, come i
castra Albana) furono quadruplicate, o almeno triplicate se consideriamo che gli effettivi delle coorti pretorie
furono raddoppiati da Settimio Severo, fino a 1.000 armati ciascuna, per un totale di 10.000 armati, ora
sostituiti con soldati scelti delle legioni pannoniche, per punire coloro che si erano in precedenza schierati
contro di lui durante la guerra civile; quelli delle coorti urbane, d’altra parte, furono probabilmente portati fino
a 1.500 (per un totale di 6.000 armati); a questi si sommavavano poi i 3.500 armati dei vigiles, i 1.000
equites singulares e i 5.500/6.000 della legio II Parthica, per un totale complessivo di 30.000 armati, contro i
10.500 dell'epoca augustea.
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Un regime assolutistico confermato dallo sviluppo cui giunse la res privata imperiale, ormai di pari
peso a quella statale. Per finanziare l'ingente spesa che serviva a mantenere l'esercito, causa anche
l'aumento stesso del soldo, cioè della paga, ricorse all'espediente di dimezzare la quantità di metallo
prezioso contenuto nelle monete, differenziando il valore intrinseco da quello nominale. Cominciò così una
crescente inflazione e una tesaurizzazione delle monete di metallo prezioso.
Settimio Severo fu, infine, l'iniziatore di un nuovo culto che si incentrava sulla figura dell'imperatore,
una sorta di "monarchia sacra" mutuata dall'Oriente ellenistico. Adottò infatti il titolo di dominus ac deus che
andò a sostituire quello di princeps, che sottintendeva una condivisione del potere con il senato.
Intraprese due brevi campagne contro i Parti, costituendo per l'occasione tre legioni romane con la
quale recuperò per l'impero la metà settentrionale della Mesopotamia. Essa divenne nel 198 una provincia
romana con a capo un prefetto di rango equestre. Durante questa campagna i suoi soldati saccheggiarono
Ctesifonte, capitale dei Parti, e ne vendettero come schiavi i superstiti.
Al suo rientro, decise di lasciare nei pressi di Roma la seconda delle tre legioni partiche. Malgrado la
sua azione avesse introdotto a Roma la dittatura militare, egli era popolare presso i cittadini romani, avendo
bollato la degenerazione morale del regno di Commodo e la corruzione crescente. Quando ritornò dopo la
vittoria sui Parti, eresse un arco di trionfo che ancora oggi è in piedi e porta il suo nome.
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Le province dell’impero nel 210
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Negli ultimi anni del suo regno, appunto dal 208 d.C. Settimio Severo intraprese un buon numero di azioni
militari in difesa dei confini della Britannia romana dalle spinte ormai forzate e continue delle tribù caledoni, con la
previsione per la ricostruzione del Vallo di Adriano prima di morire il 4 febbraio 211 a York.
Dopo la morte nel 211, fu divinizzato dal Senato ed a lui succedettero i due litigiosi figli avuti da Giulia
Domna: Caracalla e Geta e la stabilità che Settimio Severo aveva dato all'Impero finì.
Il regno di Settimio Severo fornisce un interessante esempio dei metodi di persecuzione dei cristiani.
Settimio Severo non promulgò nuove leggi contro i cristiani, ma consentì l'applicazione di vecchie leggi. Non sono
dimostrate persecuzioni sistematiche, ma anzi, ci sono prove che l'imperatore in molte occasioni proteggesse i
cristiani dall'accanimento popolare.
D'altro lato, singoli funzionari si sentivano autorizzati dalla legge a procedere con rigore verso i Cristiani.
Naturalmente l'imperatore, a stretto rigore di legge, non ostacolava qualche persecuzione limitata, che avesse
luogo in Egitto, in Tebaide o nei proconsolati di Africa e Oriente. I martiri cristiani furono numerosi ad Alessandria.
Non meno dure furono le persecuzioni in Africa, che sembra avessero inizio nel 197 o 198. La
persecuzione infuriò ancora, per breve tempo, sotto il proconsole Scapula nel 211, specialmente in Numidia e
Mauritania. Nei tempi successivi sono leggendarie le persecuzioni in Gallia, specialmente a Lione. In generale, si
può dire che la posizione dei cristiani sotto Settimio Severo fu la stessa che sotto gli Antonini; ma la disposizione
di questo imperatore almeno mostra chiaramente che Traiano aveva mancato i suoi obiettivi
Caracalla
Caracalla, originariamente Lucio Settimio Bassiano poi dal 195 Marco Aurelio Antonino ( Lucius Septimius
Bassianus, Marcus Aurelius Antoninus, Caracalla; 188-217), governò l’impero dal 4 febbraio 211 alla sua morte.
Il padre, Settimio Severo, era diventato imperatore nel 193. Sua madre era Giulia Domna, augusta e
detentrice di un potere mai raggiunto da una donna romana. Caracolla aveva un fratello, Publio Settimo Geta.
Il suo vero nome era Lucio Settimio Bassiano, ma lo cambiò in Marco Aurelio Antonino, per suggerire una
parentela con l'Imperatore Marco Aurelio. Fu in seguito soprannominato "Caracalla", poiché soleva indossare una
tunica con cappuccio di origine gallica che lui stesso fece conoscere ai Romani.
Nel 200 Gaio Fulvio Plauziano, padre di Fulvia Plautilla, promise a Caracalla la figlia in moglie. I due si
sposarono nel 202, ma tre anni dopo divorziarono, poiché Caracalla aveva fatto giustiziare Plauziano.
La tradizione vuole che il futuro imperatore rifiutò di dormire e di mangiare con la moglie, così non ebbe figli
da lei. Dopo il divorzio Caracalla esiliò lei e suo fratello Ortensiano a Lipari, dove nel 212 furono giustiziati. Così
nacque la figura violenta e sanguinaria di Caracalla.
Succedette nel 211 al padre assieme al fratello Geta, ma non era disposto a dividere il potere imperiale,
anche a causa di alcuni dissapori. In dicembre uccise Geta e ottenne il sostegno dei pretoriani corrompendoli.
Caracalla si accanì contro i sostenitori del fratello ucciso e arrivò ad eliminare 20.000 alessandrini. accusati
di aver prodotto e diffuso una satira, quando l'imperatore sostenne di aver ucciso Geta per autodifesa e Caracalla
non aveva gradito. Le sue truppe saccheggiarono a lungo la città e grazie a questa dimostrazione rafforzò
maggiormente il suo potere, che finì per essere totalmente dispotico.
Rafforzato il proprio potere, Caracalla fu perdonato dalla madre Giulia Domna e la rese partecipe delle sue
decisioni.
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Come già aveva fatto il padre, alzò la paga del legionario, portandola a 675 denari, e concesse molti
benefici alle truppe, garantendo così la fedeltà dell'esercito. Inoltre impose la falange macedone, ispirandosi ad
Alessandro Magno.
Dovette diminuire del 25% la quantità di argento nei denari, a causa dell'aumento della paga dei soldati, e
quindi coniò una nuova moneta, chiamata "antoniniano", nel 215, che valeva due denarii normali.
Lungo il limes germanico-retico si affacciò per la prima volta la confederazione degli Alemanni (nel 212). Si
trattava di un insieme di popoli, raggruppatisi lungo i confini delle province di Germania superiore e Rezia. Lo
sfondamento del limes costrinse l'imperatore ad accorrere lungo questo settore strategico per arginare una
possibile loro invasione l'anno successivo (nel 213). Le vittorie romane che seguirono attribuirono al giovane
imperatore l'appellativo di Germanicus maximus, e Alemannicus, anche se sembra che tali successi siano stati
"comprati" per ottenere una pace duratura con i barbari. Sempre a Caracalla sarebbero da attribuirsi altri successi
sulle popolazioni barbare lungo il medio-basso corso del Danubio, come Quadi, Daci liberi, Goti e Carpinei.
Volendo inglobare il Regno dei Parti, quasi fosse un nuovo Alessandro Magno, chiese in sposa la figlia del
re, ma questi rifiutò e così nel 215 partì per combatterli. La spedizione, però, non ebbe fortuna.
Per far fronte alle accresciute spese militari e per cercare di aumentare le entrate, nel 212 Caracalla emanò
la Constitutio antoniniana. Divenivano così cittadini dell'Impero tutti gli abitanti liberi che lo popolavano, tranne i
dediticii, termine che letteralmente indicava coloro che si arrendevano, ma che forse in questo contesto designa le
popolazioni estranee alla cultura greco-romana.
Sempre nel 212 iniziarono i lavori delle terme di Caracalla, terminate nel 217, fortemente volute
dall'Imperatore.
Caracalla fu molto impopolare tra i Romani, eccetto tra i soldati, così venne assassinato nel 217 mentre si
recava in Partia per una seconda spedizione, da un ufficiale della guardia del corpo imperiale,
A Caracalla succedette, quindi, il prefetto del pretorio Macrino, che governò sino al 218.
Eliogabalo
Eliogabalo o Elagabalo (Heliogabalus o Elagabalus), nato come Sesto Vario Avito Bassiano (Sextus Varius
Avitus Bassianus) e regnante col nome di Marco Aurelio Antonino (Marcus Aurelius Antoninus; 203 -222) regnò
dal 218 alla sua morte.
Siriano di origine, Eliogabalo era, per diritto ereditario, l'alto sacerdote del dio sole di Emesa, sua città
d'origine. Il nome "Eliogabalo" deriva da due parole siriache, El ("dio") e gabal (concetto associabile a
"montagna"), e significa "il dio che si manifesta in una montagna", chiaro riferimento alla divinità solare di cui era
sacerdote
Col sostegno della madre, Giulia Soemia, e della nonna materna, Giulia Mesa, venne acclamato imperatore
dalle truppe orientali, in opposizione all'imperatore Macrino, all'età di quattordici anni. Il regno di Eliogabalo fu
fortemente segnato dal suo tentativo di importare il culto solare di Emesa a Roma e dall'opposizione che ebbe
questa politica religiosa. Il giovane imperatore siriano, infatti, sovvertì le tradizioni religiose romane, sostituendo a
Giove, signore del pantheon romano, la nuova divinità solare del Sol Invictus, che aveva gli stessi attributi del dio
solare di Emesa; contrasse anche, in qualità di gran sacerdote di Sol Invictus, un matrimonio con una vergine
vestale, che nelle sue intenzioni sarebbe dovuto essere il matrimonio tra il proprio dio e Vesta.
La politica religiosa e i suoi eccessi sessuali gli causarono una crescente opposizione del popolo e del
Senato romano che culminò col suo assassinio per mano dalla guardia pretoriana e l'insediamento del cugino
Alessandro Severo.
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Il suo governo gli guadagnò tra i contemporanei una fama di eccentricità, decadenza e fanatismo,
probabilmente esagerata dai suoi successori. Questa fama si tramandò anche grazie ai primi storici cristiani, che
ne fecero un ritratto ostile. La storiografia moderna ne dipinge un ritratto più articolato, riconducendo il fallimento
del suo regno al contrasto tra il conservatorismo romano e la dinamicità del giovane sovrano siriano, alla sua
incapacità di scendere a compromessi e alla sua incomprensione della gravità e solennità del ruolo di imperatore.
Il suo regno, però, permise alla dinastia severiana di consolidare il proprio controllo dell'impero, permettendo di
preparare il terreno per il governo di Alessandro Severo.
Suo padre era membro dell'ordine equestre ed aveva fatto la carriera amministrativa a Roma sotto
l'imperatore Settimio Severo, fondatore della dinastia dei Severi, ma venne in seguito nominato senatore dal suo
figlio e successore Caracalla, che concesse a Vario Marcello uffici di grande responsabilità, prima della sua morte,
avvenuta nel 217 circa.
Sua madre era la figlia maggiore di Giulia Mesa, vedova del console Giulio Avito, e sorella dell'imperatrice
Giulia Domna, e cognata dell'imperatore Settimio Severo; Giulia Soemia era dunque cugina dell'imperatore
Caracalla, il quale aveva estinto, alla propria ascesa al trono, la discendenza maschile diretta della dinastia per
timore di essere rovesciato. Altri parenti di rilievo erano la zia Giulia Avita Mamea, lo zio Marco Giulio Gessio
Marciano e loro figlio Alessandro Severo, cugino di Eliogabalo.
Il bisnonno materno di Eliogabalo, il padre di Giulia Domna e di Giulia Mesa, era Giulio Bassiano, il quale
teneva per diritto ereditario il sacerdozio del dio solare El-Gabal ad Emesa; lo stesso Eliogabalo era gran
sacerdote di questa divinità. Tale divinità fu in seguito importata nel pantheon romano e assimilato al dio solare
romano noto come Sol Indiges in età repubblicana e poi Sol Invictus nel II e III secolo. Avito viene dunque
ricordato oggi col nome del suo dio, Eliogabalo, nome che però non usò mai in vita.
La famiglia di Giulio Bassiano, il cui nome derivava probabilmente dal titolo sacerdotale orientale basus,
erano tenuti in alta considerazione ad Emesa, grazie al fatto che controllavano il culto di El-Gabal, tanto da
esercitare sulla regione un notevole controllo; la loro importanza non venne certo danneggiata dal matrimonio
della figlia di Giulio Bassiano, Giulia Domna, con Settimio Severo, anche se questo avvenne nel 187, quando
Severo non era ancora imperatore. La stirpe di Bassiano aveva probabilmente origini arabe, discendendo
probabilmente dai principi arabi di Emesa che, ancora nel I secolo, regnavano come vassalli dell'Impero romano,
fino a quando Domiziano non pose fine alla loro semi-indipendenza.
I soldati della Legio III Gallica proclamarono Eliogabalo imperatore e lo portarono alla vittoria decisiva
contro Macrino nella battaglia di Antiochia. Poco dopo la sua ascesa al trono, però, Eliogabalo subì la ribellione
della legione, che decise poi di sciogliere, privando la sua base Tiro del rango di metropoli.Quando l'imperatore
Macrino assunse il potere, dovette decidere come eliminare il pericolo costituito per il suo regno dalla potente
famiglia del suo predecessore assassinato, Caracalla; il nuovo imperatore si limitò ad esiliare Giulia Mesa, le sue
due figlie, e il suo più anziano nipote, Eliogabalo, nella loro tenuta ad Emesa in Siria, senza nemmeno confiscare i
loro beni. Nella sua città d'origine il futuro imperatore, dopo aver passato la propria giovinezza a Roma, assunse il
rango che gli spettava per diritto familiare, assumendo la carica di gran sacerdote di El-Gabal.
Appena giunta in Siria, Giulia Mesa iniziò a tramare con Gannys, il suo eunuco consigliere nonché tutore di
Eliogabalo, al fine di spodestare Macrino dal trono di imperatore e dare la porpora al nipote appena
quattordicenne; le armi a sua disposizione erano l'enorme influenza locale che le veniva dal ruolo sacerdotale
svolto dalla sua famiglia, le possibilità aperte dalla notevole ricchezza dei Bassiani, e l'insoddisfazione
dell'esercito, che tanto aveva amato Caracalla quanto era ostile a Macrino per la sua politica di austerità.
Eliogabalo e sua madre accondiscesero con prontezza ai piani di Mesa e dichiararono, falsamente, che il giovane
era il figlio illegittimo di Caracalla, e dunque colui al quale dovevano la propria lealtà coloro che l'avevano giurata
al precedente imperatore. A questo punto Giulia Mesa fece balenare le proprie ricchezze davanti alla Legio III
Gallica, di stanza a Raphana, ed ottenne il giuramento di fedeltà ad Eliogabalo da parte della legione.
Il giovane sovrano assunse il nome di Caracalla, Marco Aurelio Antonino, per rafforzare ulteriormente la
propria legittimità sfruttando la propaganda fornita da tale nome,
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La contromossa di Macrino, che si trovava ad Antiochia di Siria, fu quella di tentare di debellare la ribellione
inviando nella regione il proprio prefetto del pretorio, Ulpio Giuliano, con un piccolo contingente militare, ritenuto
sufficiente a debellare l'usurpazione; accadde, però, che le forze di Giuliano gli si rivoltarono contro e passarono
dalla parte di Eliogabalo, uccidendo gli ufficiali: la testa di Giuliano fu mandata all'imperatore. Macrino inviò delle
lettere al Senato denunciando Eliogabalo come il Falso Antonino e dichiarandolo pazzo. Entrambi i consoli e altri
importanti membri del governo di Roma condannarono l'usurpatore, e il senato dichiarò conseguentemente guerra
a Eliogabalo ed a Giulia Mesa. Macrino e suo figlio Diadumeniano, appena nominato augusto, furono indeboliti
dalla diserzione della Legio II Parthica in seguito alle elargizioni ed alle promesse fatte da Giulia Mesa, e vennero
dunque sconfitti nella battaglia di Antiochia l'8 giugno 218 dalle truppe comandate da Gannys. Macrino fuggì verso
l'Italia, travestito da corriere, ma venne catturato presso Calcedonia ed in seguito giustiziato in Cappadocia. Suo
figlio Diadumeniano, mandato per sicurezza presso i Parti, fu invece catturato a Zeugma ed anche lui messo a
morte.
Eliogabalo considerò la data della vittoria ad Antiochia come l'inizio del suo regno ed assunse la titolatura
imperiale senza la preventiva approvazione del Senato, violando in questo modo la tradizione, ma iniziando una
pratica che fu poi ricorrente tra gli imperatori romani durante il III secolo. Lettere di riconciliazione furono inviate a
Roma, estendendo l'amnistia al senato e riconoscendone le leggi, condannando al contempo il regno di Macrino e
Diadumeniano. In queste stesse lettere Eliogabalo condannò anche il suo predecessore. I senatori ricambiarono
l'atto di riconciliazione riconoscendo Eliogabalo imperatore e pater patriae ("padre della patria"), accettando la sua
pretesa di essere il figlio di Caracalla, il quale venne deificato assieme a Giulia Domna, elevando sia Giulia Mesa
che Giulia Soemia al rango di auguste e condannando e denigrando la memoria di Macrino e Diadumeniano.
Infine, il comandante della III Gallica, Comazone, divenne il nuovo comandante della guardia pretoriana, mentre
Gannys divenne il prefetto del pretorio.
All'inizio del suo regno, però, Eliogabalo dovette confrontarsi con le ribellioni di due legioni romane.
Eliogabalo e la sua corte passarono l'inverno del 218 a Nicomedia in Bitinia, allo scopo di consolidare il proprio
potere. Qui le credenze religiose del nuovo imperatore si dimostrarono per la prima volta un problema, tanto che,
secondo la testimonianza dello storico contemporaneo Cassio Dione Cocceiano, Gannys venne fatto assassinare
da Eliogabalo perché cercava di indurre il giovane sovrano a regnare con "temperanza e prudenza". Per abituare i
Romani ad essere governati da un imperatore che era in realtà un sacerdote orientale, Giulia Mesa fece inviare a
Roma un ritratto di Eliogabalo in vesti sacerdotali, che venne posto sopra l'altare della Vittoria nella Curia; in
questo modo i senatori si trovavano nella imbarazzante posizione di sacrificare ad Eliogabalo ogni volta che
facevano offerte alla dea Vittoria. Ciò non di meno, sembra che in questo momento Eliogabalo fosse amato sia dal
senato che dal popolo.
Le legioni, tuttavia, furono scoraggiate dal comportamento dell'imperatore e si pentirono rapidamente di
averlo sostenuto. Alcune diedero luogo a piccole ribellioni, ma vennero rapidamente sedate. Quando la corte di
Eliogabalo raggiunse Roma nell'autunno 219, Comazone e gli altri alleati di Giulia Mesa e dell'imperatore
ricevettero incarichi lucrativi e influenti, con grande oltraggio dei senatori, che non li consideravano personaggi
rispettabili. Comazone, per esempio, proseguì la sua carriera divenendo praefectus urbis di Roma per tre volte e
due volte console. Eliogabalo tentò di nominare cesare il proprio presunto amante Ierocle, mentre riuscì ad
assegnare l'influente posizione non-amministrativa di ad un altro presunto amante, Zotico. La sua offerta di
un'amnistia per l'aristocrazia romana che aveva sostenuto Macrino fu ampiamente onorata, anche se il giurista
Eneo Domizio Ulpiano venne esiliato.
La relazione tra Giulia Mesa, Giulia Soemia ed Eliogabalo fu molto stretta, per lo meno all'inizio. La madre e
la nonna del giovane imperatore ricevettero l'onore di assistere alle sedute del senato romano, ed entrambe
ricevettero titoli collegati col rango senatoriale: Soemia ricevette il titolo di clarissima, Mesa il meno ortodosso
mater castrorum et senatus ("madre degli accampamenti e del senato"). L'imperatore costituì anche il senaculum
mulierum, il "Senato delle donne", autorizzato a decidere su argomenti limitati, che si riuniva sul Quirinale.
Sul piano edilizio, Eliogabalo abbellì Roma costruendo il circo Variano nella parte orientale, il tempio del Sol
Invictus sul palatino e completando le terme di Caracalla con palestre, negozi e altri annessi.
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La politica religiosa fu l'elemento prioritario di Eliogabalo, tutto compreso nella sua funzione di gran
sacerdote, ma, al contempo, fu anche la causa primaria dell'opposizione che dovette affrontare: il suo obiettivo
principale, infatti, non era semplicemente quello di far entrare il dio sole di Emesa, El-Gabal, nel pantheon romano,
ma quello di renderlo la divinità principale della religione romana, prima associandolo a Giove e poi facendovi
confluire tutte le divinità romane.
Fin dal regno di Settimio Severo, l'adorazione della divinità solare era cresciuta in tutto l'impero; Eliogabalo
sfruttò questa popolarità per introdurre El-Gabal, che venne rinominato Deus Sol Invictus e posto al di sopra di
Giove
Ulteriore oltraggio alla sensibilità religiosa dei Romani fu causato dalla sua decisione di unirsi in matrimonio
con la vergine vestale Aquilia Severa: l'unione del sacerdote del dio sole con la sacerdotessa della dea Vesta
avrebbe dato, nelle intenzioni dell'imperatore, "bambini simili a dei"; si trattava della rottura di una antichissima e
onorata tradizione romana, tanto che, per legge, una vestale che avesse perso la propria verginità veniva
seppellita viva.
Un sontuoso tempio detto Elagabalium fu costruito sul pendio orientale del Palatino allo scopo di ospitare il
betilo del dio.
Le reliquie più sacre della religione romana furono trasferite dai rispettivi templi all'Elagabalium, inclusa la
Magna Mater, il fuoco di Vesta, gli Ancilia dei Salii e il Palladio, in modo che nessun altro dio all'infuori di El-Gabal
venisse adorato. Eliogabalo si fece persino erigere delle statue, per farsi adorare come un dio.
L'orientamento sessuale di Eliogabalo e la sua identità di genere sono stati origine di controversie e dibattiti;
va notato, però, che in Eliogabalo l'aspetto religioso e quello sessuale erano profondamente intrecciati, come
normale nella cultura orientale, ma la società romana non comprese questo aspetto a essa alieno e dunque
considerò stravaganti e scandalose le pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i rapporti
omosessuali e transessuali, la prostituzione (sacra), all'interno delle quali va intesa la ricerca dell'androginia e
della castrazione.
Eliogabalo sposò, per poi divorziare, cinque donne, delle quali solo tre sono conosciute. Stando però al
senatore e storico contemporaneo Cassio Dione Cocceiano, la sua relazione più stabile sarebbe stata quella con
un auriga, uno schiavo biondo proveniente dalla Caria di nome Ierocle, al quale l'imperatore si riferiva
chiamandolo suo marito. La Historia Augusta, scritta un secolo dopo i fatti, afferma che sposò anche un uomo di
nome Zotico, un atleta di Smirne, con una cerimonia pubblica nella capitale. Cassio Dione scrisse inoltre che
Eliogabalo si dipingeva le palpebre, si depilava e indossava parrucche prima di prostituirsi nelle taverne e nei
bordelli e persino nel palazzo imperiale:
Eliogabalo fu colpito da damnatio memoriae e i suoi ritratti vennero sfigurati o rimodellati adattandoli a quelli
del suo successore, Alessandro. Entro il 221, le eccentricità di Eliogabalo causarono il progressivo scollamento tra
l'imperatore e la guardia pretoriana. Inoltre l'imperatore fece anche alcune scelte politiche poco felici, come
l'assunzione del consolato per tre volte consecutive (218, sostituendo Macrino, 219 e 220), una scelta che era
stata fatta per l'ultima volta da Domiziano e da allora considerata un segno di dispotismo.
Quando Giulia Mesa si accorse che il sostegno popolare ad Eliogabalo stava crollando rapidamente, decise
che lui e sua madre Giulia Soemia, che lo aveva incoraggiato nelle sue pratiche religiose, dovessero essere
rimpiazzati da qualcuno di più affidabile e popolare. Per trovare un sostituto al soglio imperiale, Giulia Mesa si
rivolse all'altra figlia, Giulia Mamea, e al di lei figlio, il tredicenne Alessiano (che assunse il nome di Alessandro
Severo): Eliogabalo venne convinto ad associare il cugino al potere per lasciare a lui le cure secolari e meglio
dedicarsi a quelle religiose. Alessandro fu adottato dal cugino nel 221, da cui ricevette il titolo di cesare e col quale
condivise il consolato per quello stesso anno Sempre nell'ottica di riguadagnare il consenso va visto il divorzio
dalla vergine vestale Aquilia Severa e il matrimonio con la nobile Annia Faustina.
Eliogabalo, però, si rese conto che i soldati, il senato e il popolo preferivano il cugino a lui, e decise di
cambiare le cose. Dopo aver tentato ripetutamente e inutilmente di far assassinare Alessandro, protetto dalla
nonna Giulia Mesa, l'imperatore ordinò al Senato di annullare l'elezione a cesare del cugino e di ricoprire di fango
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le sue statue, ma i soldati si ribellarono ed Eliogabalo si salvò dalla loro rabbia a malapena, e l'ordine non venne,
conseguentemente, eseguito.
I rapporti tra Eliogabalo ed il cugino/figlio si deteriorarono rapidamente entro la fine del 221: solo per le
pressioni della madre e della nonna l'imperatore accettò di comparire in pubblico assieme ad Alessandro in
occasione della loro assunzione del consolato nel 222). L'imperatore mise in giro la voce che il cugino era
moribondo per vedere la reazione della guardia pretoriana. Alla notizia, i soldati si ribellarono, pretendendo che
Eliogabalo e Alessandro si presentassero nel loro accampamento. L'imperatore si presentò al campo dei pretoriani
l'11 marzo 222, assieme al cugino e alla propria madre Giulia Soemia; al suo arrivo i pretoriani iniziarono ad
acclamare il loro favorito Alessandro, ignorando Eliogabalo, che ordinò allora l'arresto e l'esecuzione sommaria di
coloro che sostenevano Alessandro, con l'accusa di ribellione. Di tutta risposta, i pretoriani assalirono l'imperatore
e poi sua madre.
Con la sua morte, molti dei suoi collaboratori vennero uccisi o deposti. I suoi editti religiosi vennero annullati
ed El-Gabal venne mandato indietro ad Emesa. Alle donne venne proibito per sempre di partecipare alle sedute
del senato romano, mentre venne decisa la damnatio memoriae contro di lui: le sue statue vennero distrutte, il suo
nome cancellato dai documenti e dalle iscrizioni, venne proibito di piangerlo pubblicamente e di seppellirlo.
Alessandro Severo
Alessandro Severo (208-235) governò dal 222 al 235
Alla morte di Eliogabalo Alessandro salì al trono assumendo il nome di Marco Aurelio Severo Alessandro
(Marcus Aurelius Severus Alexander).
Data la sua giovane età (salì al trono a tredici anni), il potere fu effettivamente esercitato dalle donne della
sua famiglia, la nonna Giulia Mesa e la madre Giulia Mamea. Amato dalla classe senatoriale, cui mostrò sempre
rispetto, non riuscì a guadagnarsi il favore dell'esercito. Nel 235 fu assassinato dai soldati durante una campagna
contro le tribù germaniche in quanto stava trattando un accordo col nemico: fu succeduto da un generale di origine
barbarica e di grandi capacità militari, Massimino Trace. La fonte più ampia, e forse la più problematica, sul regno
di Alessandro Severo è il libro sulla sua vita contenuto all'interno della Historia Augusta, un'opera del IV secolo.
Tra tutte le biografie imperiali contenute nella Historia, questa è una tra le più lunghe ed è tradizionalmente
attribuita ad Elio Lampridio.
Una fonte più attendibile è fornita da Erodiano, un funzionario civile di rango inferiore di origine siriana, che
visse dal 170 circa al 240; il suo lavoro è una testimonianza diretta che va dal regno di Commodo a quello di
Gordiano III, e tratta il regno di Alessandro Severo nel libro VI.
Altre fonti non storiografiche sono le opere giuridiche composte o comunque collegate ad Ulpiano e i
ritrovamenti numismatici, archeologici, epigrafici e papiracei.
Nel 222 Alessandro fu proclamato imperatore dai pretoriani, col nome di Marco Aurelio Severo Alessandro;
il Senato gli concesse il titolo di augusto e di pater patriae, oltre alla potestà tribunizia, al comando proconsolare,
al pontificato massimo e al diritto di fare cinque proposte di legge per ogni seduta del Senato.
Alessandro era molto giovane quando salì al trono, e il potere effettivo fu nelle mani delle donne della sua
famiglia, l'influente nonna, Giulia Mesa, che però morì presto, forse già nel 223, e la madre Giulia Avita Mamea,
che lo affiancò per tutto il suo regno. Alessandro tentò di ridare lustro al Senato romano, e formò un collegio di
sedici senatori che lo consigliassero nelle materie di governo; tra questi sedici senatori vi erano due eminenti
giuristi Eneo Domizio Ulpiano e Giulio Paolo e lo storico Cassio Dione Cocceiano.
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Alessandro rimosse i funzionari del cugino maggiormente compromessi, evitando una generale rivoluzione
nelle cariche; ad esempio confermò in carica come prefetti del pretorio Giulio Flaviano e Geminio Cresto, due
esperti militari. Nello stesso anno di ascesa al trono, però, nominò Ulpiano (che all'epoca era prefetto dell'annona)
supervisore dei due prefetti pretoriani; il giurista, col sostegno dell'imperatore e di sua madre, divenne una sorta di
co-imperatore, esercitando grande influenza sul giovane imperatore, che lo chiamava parens, "genitore". La scelta
suscitò delle recriminazioni tra i militari, in quanto Ulpiano non aveva alcun merito dal punto di vista militare;
secondo Zosimo, Mamea venne a conoscenza di un tentativo di rovesciare Ulpiano e fece mettere a morte gli
attentatori, mentre lo stesso Ulpiano, secondo Cassio Dione che pure gli riconosce di aver utilizzato il nuovo ruolo
per correggere alcune aberrazioni introdotte da Eliogabalo, fece mettere a morte Flaviano e Cresto per subentrare
loro, e infatti, nel tardo 222, Alessandro nominò dunque prefetti del pretorio lo stesso Ulpiano e Paolo. I Pretoriani,
però, non gradirono gli eventi, e decisero di assassinare Ulpiano, tendendogli un agguato nottetempo; Ulpiano
riuscì a sfuggire ai sicari, rifugiandosi a palazzo da Alessandro e dalla madre, ma quando i pretoriani insistettero
che gli fosse consegnato il loro prefetto, Alessandro non fu in grado di salvargli la vita.
Nel 225 sposò Sallustia Orbiana, figlia del prefetto del pretorio Lucio Seio Sallustio, il quale fu forse elevato
al rango di cesare. Nel 227, però, Sallustio fu accusato di aver tentato di assassinare Alessandro e fu messo a
morte; Sallustia fu allora esiliata in Libia. Secondo Erodiano, Alessandro amava la moglie e viveva con lei, ma
Sallustia fu allontanata dal palazzo da Giulia Mamea, che era gelosa del titolo di augusta ottenuto dalla nuora;
indispettito dall'arroganza di Mamea ma in debito con Alessandro per i favori da lui concessigli, Sallustio decise di
ritirarsi presso il campo dei pretoriani, ma Mamea lo mandò ad arrestare e mettere a morte, esiliando la nuora; il
tutto sarebbe avvenuto, secondo Erodiano, contro il volere di Alessandro, il quale però non ebbe il coraggio di
opporsi alla propria madre.
Tutti coloro che indegnamente avevano raggiunto alte cariche sotto Eliogabalo, furono rimossi e rimandati
alle loro precedenti mansioni. Gli interessi dello Stato furono affidati ad avvocati e oratori competenti, mentre gli
incarichi militari furono assegnati a ufficiali con esperienza comprovata.
Per tenerlo lontano da cattive compagnie che potessero traviarlo, la madre Giulia Mamea gli impose di
presenziare quotidianamente e a lungo come giudice nei processi. Alessandro, inoltre, si mostrò molto indulgente
e nei casi in cui era prevista la pena di morte garantiva spesso il perdono per evitare di comminare la pena
capitale; lo storico Erodiano riporta che nessuno poteva ricordare, dopo diversi anni del suo regno, un episodio in
cui un uomo era stato messo a morte senza processo.
Formò anche un consiglio municipale di quattordici prefetti urbani che amministravano gli altrettanti distretti
di Roma. Furono cancellati il lusso e la stravaganza che tanto avevano prevalso a corte; fu migliorato lo standard
del conio; furono alleggerite le tasse; furono incoraggiate la letteratura, le arti e la scienza; fu aumentata
l'assegnazione di terre ai soldati.
Nell'interesse del popolo, furono istituite agenzie di prestito a basso interesse, e acquistò grano a proprie
spese, donandolo cinque volte al popolo.
A Roma Alessandro fece restaurare e re-intitolare le Terme di Nerone, che presero il nome di Terme
alessandrine (227); fece costruire l'Acquedotto alessandrino per alimentarle, le recintò con un bosco piantato al
posto di costruzioni da lui acquistate e fatte demolire, decretò delle tasse per curarne la manutenzione, adibì
alcuni boschi a fornire il legname per il loro funzionamento e le rifornì di olio da illuminazione. Fece anche
restaurare le Terme di Caracalla, cui aggiunse un portico; inoltre decretò che fosse reintrodotta la legge che
proibiva la presenza a Roma di terme destinate ad ambo i sessi, abrogata da Eliogabalo.
Raccolse molte statue di uomini illustri per ornare il Foro di Traiano e decorò il Foro di Nerva con statue di
imperatori divinizzati, provvedette alle necessità del tempio di Iside e Serapide, curò la manutenzione del Teatro di
Marcello, del Circo Massimo, dello Stadio di Domiziano e il restauro del Colosseo, colpito da un fulmine durante il
regno di Macrino.
A Dougga, in Tunisia, è ancora conservato in buone condizioni un arco di trionfo eretto in suo onore.
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Secondo la Historia Augusta, Alessandro pregava tutte le mattine presso il suo larario personale, in cui
teneva le statue di alcuni tra gli imperatori romani divinizzati e di alcuni personaggi di spessore morale, come
Apollonio di Tiana e, secondo alcune testimonianze contemporanee, di Cristo, Abramo e Orfeo; teneva pure una
statua di Alessandro Magno, suo "antenato".
Ebbe molto rispetto per la religione romana tradizionale, a differenza del cugino e predecessore, mostrando
deferenza per i pontefici, per gli auguri e per i quindecemviri sacris faciundis (i custodi dei Libri sibillini, un collegio
di cui anche l'imperatore faceva parte). In talune occasioni permise anche che questioni religiose sulle quali si era
già espresso fossero riaperte e condotte in maniera differente. Ogni sette giorni, quando era a Roma, saliva al
tempio di Giove Capitolino e visitava frequentemente anche gli altri templi. Tra i suoi primi atti di "normalizzazione"
dopo gli eccessi del cugino vi fu quello di far rimettere al loro posto nei vari templi tutte le statue d'oro e gli arredi
sacri che Eliogabalo aveva fatto raccogliere nell'Elagabalium, il tempio che aveva fatto costruire a Roma al dio ElGabal. Quando la nonna Giulia Mesa morì, Alessandro la fece divinizzare.
Il suo regno fu un periodo felice per gli ebrei e i cristiani; ai primi confermò i privilegi antichi, mentre non
molestò i secondi. Secondo l'Historia progettò di dedicare un tempio a Cristo e di includerlo tra gli dèi, ma
desistette quando gli auguri gli dissero che in quel caso tutti si sarebbero convertiti al cristianesimo e gli altri templi
sarebbero stati chiusi.
Tra il 224 e il 226/227 avvenne ad Oriente dell'Impero romano un episodio cruciale, che cambiò il corso
della storia romana nel III secolo: l'ultimo imperatore dei Parti, Artabano IV, fu rovesciato e il rivoltoso, Ardashir I,
fondò la dinastia sasanide, destinata a essere avversaria orientale dei Romani fino al VII secolo. Tra il 230 e il 233
circa i Sasanidi e i Romani si scontrarono per la prima volta: il casus belli fu la rivendicazione da parte dei
Sasanidi del possesso di tutto l'Impero achemenide, del quale affermavano di essere diretti eredi, includendo i
territori ora romani dell'Asia Minore e del Vicino Oriente. Della campagna sasanide di Alessandro Severo esistono
due racconti contrastanti: Erodiano non ha remore a mostrare gli errori dell'imperatore romano nella conduzione
della guerra e descrive una situazione negativa per i Romani, salvo poi raccontare che i Sasanidi alla fine
accettarono lo status quo; al contrario in molte altre fonti si racconta della grandiosa vittoria di Alessandro sui
nemici dell'impero.
Secondo il racconto di Erodiano, la reazione di Alessandro alle pretese sasanidi fu quella di scrivere ad
Ardashir, proponendogli di mantenere lo status quo e ricordandogli le vittorie romane sui Persiani; l'ambasciata
non ebbe effetto, dato che il sovrano sasanide scese sul campo di battaglia. All'inizio della campagna (230), i
Sasanidi penetrarono nella provincia romana della Mesopotamia cercando, senza riuscirvi, di conquistare Nisibis e
compirono diverse incursioni in Siria e Cappadocia.
Alessandro organizzò allora una spedizione militare, raccogliendo a Roma un numero di truppe pari a
quelle del nemico e scegliendo i migliori soldati. Erodiano riporta il discorso che Alessandro fece di fronte alle
truppe schierate e racconta di come i soldati fossero incoraggiati dalle parole dell'imperatore; dopo aver distribuito
denaro alle truppe, Alessandro si recò al Senato per fare un discorso simile e rendere pubbliche le sue intenzioni.
Il giorno della partenza, dopo aver presenziato ai sacrifici di rito, l'imperatore lasciò Roma (231); Erodiano
racconta di come Alessandro si volse più volte a guardare la città, piangendo, e di come piangessero anche sia i
senatori che il popolo che accompagnò l'amato imperatore.
L'imperatore ottenne e mantenne il sostegno dell'esercito con frequenti donativi. Dopo essere passato per
l'Illirico, dove raccolse altre numerose truppe, raggiunse l'anno successivo (232) Antiochia di Siria, dove fece
addestrare le truppe nelle condizioni ambientali delle province orientali. Fece allora un ulteriore tentativo di
mediazione, offrendo pace e amicizia ad Ardashir, ma questi non solo mandò indietro gli inviati romani a mani
vuote, ma mandò a sua volta ad Alessandro quattrocento soldati di aspetto imponente e riccamente vestiti, con un
rinnovato invito ad abbandonare le terre fino al Bosforo; Alessandro reagì alla provocazione arrestando i
quattrocento inviati sasanidi e li mandò a coltivare terre in Frigia, senza però metterli a morte. L'imperatore romano
decise di far passare all'esercito le frontiere naturali del Tigri e dell'Eufrate, ma si trovò ad affrontare
ammutinamenti delle truppe e persino la proclamazione di un usurpatore, Taurino; sebbene questi pericoli
avessero breve vita, Alessandro decise di tenere con sé solo le truppe più affidabili e, dietro consiglio dei propri
generali, divise l'esercito in tre parti, tenendo per sé quella più forte e destinata all'attacco al centro del fronte,
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mentre le altre due avrebbero dovuto attaccare a nord e a sud. La sua indecisione nell'avanzare, però, fece sì che
al contingente meridionale venisse ad opporsi quasi l'intero esercito sasanide, che sconfisse i Romani infliggendo
loro gravi perdite.
La notizia della disfatta giunse all'imperatore mentre questi era ammalato, e lo fece disperare; gli stessi
soldati, minati da malattie causate dall'ambiente insalubre e dalla scarsità delle provviste, accusarono l'imperatore
di aver causato la distruzione dell'esercito con la sua incapacità a mettere in atto i piani stabiliti. Alessandro ordinò
allora che i due gruppi superstiti di truppe si recassero a svernare ad Antiochia: se il suo contingente perse
numerosi uomini durante il viaggio, i soldati provenienti da nord furono praticamente decimati dalle temperature
rigide delle montagne dell'Armenia; l'esercito, ridotto enormemente a causa di questi eventi, addossò la colpa
delle sue perdite all'imperatore.
Gli scontri tra Romani e Sasanidi, però, avevano indebolito enormemente anche l'esercito di Ardashir, che
ne ordinò lo scioglimento per la pausa invernale tra il 232 e il 233. La notizia raggiunse Alessandro, la cui salute
era migliorata ad Antiochia, dopo che aveva tentato di riottenere il favore dei propri uomini con un donativo e
mentre stava preparando il prosieguo della campagna. Sebbene fosse convinto che il pericolo fosse terminato,
Alessandro fu convinto a porre fine alle ostilità in Oriente anche dall'arrivo della notizia che gli Alemanni avevano
passato Reno e Danubio e stavano saccheggiando campi e città in forze.
Differentemente da Erodiano, di cui rigetta il racconto dei fatti, l'Historia Augusta riporta un'altra versione,
confermata da Aurelio Vittore e da Eutropio, secondo la quale Alessandro avrebbe sconfitto Ardashir in battaglia.
L'Historia aggiunge che l'imperatore prese personalmente parte alla battaglia, comandando il fianco destro
romano, e obbligando alla rotta l'esercito sasanide, forte di settecento elefanti da guerra e mille e ottocento carri
falcati, oltre che da migliaia di cavalieri; tornato ad Antiochia, Alessandro avrebbe diviso tutto il bottino tra gli
uomini. Un'ulteriore differenza tra le due versioni riguarda il trionfo di Alessandro a Roma: secondo Erodiano
l'imperatore si affrettò dalla frontiera orientale a quella settentrionale per far fronte alla minaccia germanica;
l'Historia Augusta narra invece del suo ritorno nella capitale nel 233, dove avrebbe celebrato un trionfo sui
Sasanidi (attestato dalla numismatica) con donativi al popolo e giochi.
Evidenze numismatiche fanno propendere gli storici per la versione riportata dalla Historia Augusta,
secondo la quale Alessandro tornò a Roma a celebrare il trionfo (233); per diversi mesi l'imperatore avrebbe
goduto dell'aumento di popolarità dovuto alla campagna orientale, prima di essere raggiunto dalla notizia delle
invasioni in Illirico e Gallia, ove si recò dopo aver richiamato l'esercito da Oriente (234).
Alessandro si accampò a Magonza, presso il Reno, e impegnò i barbari facendo uso delle truppe more,
osroene e parte che aveva portato dalla campagna d'Oriente. Decise però di non rischiare una guerra e di
corrompere i barbari e ottenere una pace incruenta (235). Queste trattative non trovarono il favore dei soldati, sia
in quanto essi deprecavano l'atteggiamento remissivo dell'imperatore di fronte ai nemici che avevano invaso e
saccheggiato le loro terre, sia in quanto una pace ottenuta in quel modo non avrebbe portato bottino per i soldati
romani.
Alessandro fu ucciso il 18 o 19 marzo del 235 a Mogontiacum insieme alla madre, in un ammutinamento
probabilmente capeggiato da Massimino Trace, un ufficiale della Tracia, che ad ogni modo si assicurò il trono.
Secondo Erodiano i soldati decisero di rovesciare Alessandro, considerato troppo effeminato, e di sostituirlo
con Massimino, uno dei loro comandanti preferiti e dotato di maggiori capacità militari. Dopo aver acclamato
Massimino imperatore, si recarono presso l'accampamento di Alessandro. Informato della sommossa, Alessandro
si fece prendere dal panico e promise ai propri uomini di fare tutto quello che essi volevano in cambio della loro
protezione, ma i soldati si rifiutarono di prendere le armi. Abbandonato dalle proprie truppe, Alessandro si ritirò
presso la propria tenda, dove si trovava anche la madre Giulia Mamea, attendendo l'arrivo degli uomini di
Massimino che li uccisero entrambi.
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