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La dieta ipocalorica e il digiuno
Se siete approdati a questo sito, non è escluso che abbiate
provato ad eliminare con una dieta ipocalorica i 10 chili o
più che avete accumulato per le cause più diverse.
Pertanto non vi meraviglierete se si afferma che la dieta
ipocalorica, per quando ben equilibrata nei vari nutrienti a
base di lipidi, carboidrati e proteine, rimane la più dura, la
più difficile e la più penosa da fare perché non toglie la
fame
.
Con tali diete, infatti, solo i pazienti che hanno meno di 10
kg da perdere hanno qualche speranza di successo. Il
meccanismo con cui si perde peso è essenzialmente
collegato all’apporto calorico ridotto, rispetto alle calorie
necessarie per il proprio metabolismo basale, per cui il
soggetto utilizza le energie derivanti dal catabolismo dei
propri tessuti per compensare le calorie mancanti.
Gli abbandoni sono quindi molto frequenti,
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per le difficili rinunce ad alcuni cibi e per le ridotte quantità
degli alimenti. In più, tale tipo di dieta è troppo lungo da
seguire. Una perdita di 500 grammi o poco più la settimana
è un fattore demotivante per un paziente che ha un
sovrappeso di oltre 10 kg.
Diciamo per assurdo che un’alternativa a questo tipo di dieta
potrebbe quindi essere il digiuno assoluto con la sola
assunzione d’acqua a volontà. Questo regime tuttavia, porta
in breve tempo ad una perdita di massa magra, la parte
metabolicamente più attiva dell’organismo, superiore alla
perdita di massa grassa che si vuole eliminare.
Dopo 10 giorni di digiuno, il paziente si ritrova, infatti, con
circa due chili di tessuto muscolare in meno, soprattutto a
livello dei muscoli striati che comprendono, tra l’altro, un
muscolo importantissimo come il cuore./span>
Nel digiuno, soprattutto se oltre il mese, vi è, come abbiamo
visto, il grande problema della riduzione della massa magra
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e quindi della quota aminoacidica dell’organismo con tutti i
risvolti pericolosi che questo comporta. Bisogna dire tuttavia
che quando il paziente beve e introduce minerali la
sopravvivenza può durare a lungo.
La perdita di massa magra porta a stanchezza, ad astenia
e a dimagrimento nelle parti più visibili come ad esempio sul
viso dove la massa magra viene colpita prima di altre zone.
Inoltre se chi digiuna è donna, il seno diventa cadente,
compaiono smagliature, rughe e così via, proprio a causa
del catabolismo proteico.
Nel digiuno inoltre il paziente non assume glucosio e il
cervello deve nutrirsi di glucosio. Il cervello, infatti, ha
bisogno di 150 gr. di glucosio al giorno. Pertanto, se non
s’introduce glucosio con l’alimentazione, l’organismo deve
attivare forzatamente delle vie metaboliche alternative per
trovare il glucosio necessario al cervello.
La dieta aminoacidica
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è stato il prof. Blackburn, medico americano che,
somministrando ai propri pazienti a digiuno una certa
quantità di aminoacidi privi di carboidrati, ha inventato quella
che verrà in seguito chiamata
diet
a aminoacidica
, una dieta capace di far dimagrire, minimizzando nello
stesso tempo la perdita di massa magra.
Va detto subito comunque che anche la dieta aminoacidica
è una dieta fortemente ipocalorica. Essa, infatti, ha meno di
400 calorie per cui conserva molte affinità fisiologiche con il
digiuno.
Il principio di utilizzo dalle vie alternative metaboliche
descritte nella Nutrizione Enterale Proteica (NEP) è
anche quello che, come vedremo, viene sfruttato in parte
nella dieta aminoacidica, mentre altre percorsi si rifanno a
quanto avviene nel
digiuno
.
Il reperimento di glucosio, che è accompagnato
dall’abbassamento dell’insulina e dall’innalzamento del suo
ormone antagonista, il glucagone, avviene attraverso
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l’attivazione della glicogenolisi.
Viene usata cioè la scorta strategica dei 400 gr. di glucosio
immagazzinati sotto forma di glicogeno nei muscoli e nel
fegato. La glicogenolisi può fornire tuttavia solo 1600 calorie
circa.
Passate quindi alcune ore dall’inizio del digiuno ed esaurita
la glicogenolisi, l’organismo si ritrova nuovamente a corto di
glucosio. Così, per soddisfare le esigenze del cervello,
all’organismo non resta che trasformare le proteine in
glucosio.
Le proteine sono contenute per la gran parte nel tessuto
muscolare che costituisce anche la gran parte della massa
magra. Pertanto una volta attivato questo processo, che
viene chiamato gluconeogenesi, cioè formazione ex-novo di
glucosio, comincia anche il consumo dei muscoli e di
conseguenza tutti i problemi legati al consumo della massa
magra.
Nella prima fase del digiuno, l’organismo segue dunque la
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strada della trasformazione delle proteine in glucosio e solo
successivamente si rivolge al consumo dei grassi. è, infatti,
molto più facile trasformare le proteine in glucosio che non i
grassi in glucosio.
La lipolisi, o liberazione dei grassi dalle cellule adipose con
la conseguente trasformazione dei grassi in glucosio, è,
infatti, un processo più complicato alla fine del quale si ha la
formazione dei cosiddetti
corpi chetonici che,
come vedremo, hanno un ruolo importantissimo durante il
digiuno.
La lipolisi si attiva quando, in mancanza di glucosio,
l’insulina, che abitualmente stimola l’immagazzinamento dei
grassi nelle cellule del tessuto adiposo facendo entrare lo
zucchero nella cellula e trasformandolo in grasso, si
abbassa (questo meccanismo di abbassamento dell’insulina
è secondo Blackburn l’elemento vincente della sua dieta) e
fa aumentare il livello del glucagone e del GH, l’ormone
della crescita, che stimolano invece la liberazione dei grassi.
Una volta attivata, la lipolisi si conclude, come abbiamo
detto, con la formazione dei corpi chetonici la cui presenza
nell’organismo è la conseguenza fisiologica proprio della
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mancanza di glucosio. In questa situazione, infatti, i grassi
che sono bruciati per produrre energia, vengono bruciati in
modo incompleto.
L’AcetilCoA, che è il prodotto finale della combustione
attivata con la lipolisi, non trova, infatti, sufficiente
ossalacetato, prodotto derivato invece dalla glicolisi, per
entrare insieme nel Ciclo di Krebs, il più efficiente e
completo processo biochimico da cui l’organismo ricava
energia per la sua sopravvivenza.
Le molecole di Acetil CoA che si formano in eccesso per la
forzata lipolisi e che non riescono ad entrare nel ciclo di
Krebs per la mancanza di glucosio, si uniscono quindi
insieme e formano i corpi chetonici. Significativamente ne
viene prodotta una quantità di circa 150 gr. al giorno, la
stessa quantità di glucosio che serve al cervello in
condizioni normali.
Questa situazione tuttavia non è una condizione ottimale per
l’organismo ed il prezzo da pagare, oltre alla perdita della
massa magra, può diventare molto caro.
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Per essere eliminati i corpi chetonici richiedono, infatti, una
grossa diuresi e questo comporta una notevole perdita di
sali minerali, come sodio, potassio e calcio che devono
essere assolutamente reintegrati, pena il rischio di gravi
aritmie cardiache.
I reni quindi subiscono un notevole sovraccarico e devono
funzionare bene. In più i corpi chetonici, che per loro natura
sono sostanze acide, possono indurre il rischio di un’acidosi
che va anch’essa adeguatamente compensata.
La dieta aminoacidica non è quindi per tutti.
Continuando il nostro discorso e vediamo ora quali sono le
affinità della dieta aminoacidica con il digiuno e qual è il
modo per evitare il consumo della massa magra.
Nella dieta aminoacidica si ha, come nel digiuno, la
diminuzione del glucosio nel sangue e di conseguenza
un’attivazione forzata del consumo dei grassi presenti nelle
cellule adipose e la produzione di corpi chetonici.
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Tuttavia, a differenza del digiuno assoluto, nella dieta
aminoacidica viene bloccato il consumo di massa magra
con la somministrazione controllata e personalizzata di
adeguate quantità di proteine ad alto valore biologico in
grado di compensare quegli aminoacidi che l’organismo
andrebbe a prendersi dai muscoli per trasformarli in
glucosio.
Dal punto di vista fisiopatologico possiamo suddividere la
dieta in due stadi, dal primo al terzo giorno e dopo il terzo
giorno. Nel primo stadio il cervello utilizza il glucosio
disponibile. Nel frattempo è attivata la neoglucogenesi.
è comunque molto importante far capire ai pazienti che i
primi due giorni sono quelli più duri, perché pur introitando le
proteine previste, l’abbassamento progressivo del glucosio
crea le stesse sensazioni presenti nel digiuno. Non
essendosi ancora formati i corpi chetonici, non c’è ancora la
possibilità da parte del cervello di adattarsi a questa nuova
situazione.
In ogni caso la sensazione che si prova in questi primi due
giorni è molto soggettiva. Alcuni sopportano bene, altri sono
indifferenti, altri stanno male fino al terzo giorno. Tuttavia
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quando il paziente è informato della situazione ed è ben
motivato ad affrontarla, tutto diventa più facile.
La sua cooperazione è comunque indispensabile per la
buona riuscita della dieta, anche perché la cultura oggi
dominante tra la gente in fatto di diete si basa ancora sul
concetto di caloria. Concetto che deve essere
assolutamente rimosso e dimenticato quando si affronta la
dieta aminoacidica.
Da questo punto di vista la dieta aminoacidica è, infatti, una
dieta particolare che non ha nulla a che fare con le calorie
perchè la minima trasgressione rispetto a quanto viene
prescritto, la può far fallire. Paragonando, infatti, questa
dieta ad altre basate sulle calorie, si potrebbe essere indotti
a pensare che una piccola fetta biscottata dal punto di vista
puramente calorico possa essere assolutamente
insignificante.
In realtà anche un modestissimo apporto di carboidrati, può
annullare il passaggio dall’ipoglicemia alla chetogenesi
allungando non solo il periodo di sofferenza, ma anche tutto
il periodo di adattamento dell’organismo alla nuova
situazione o facendolo ripartire da capo. Solo l’attivazione
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costante della chetogenesi attiva, infatti, la lipolisi e quindi
tutto il meccanismo su cui si basa la dieta.
Il secondo stadio della dieta comincia dal terzo giorno in poi,
quarantotto o settantadue ore dopo l’inizio. Questa fase è
quella che dà le maggiori soddisfazioni. In questa fase si
attiva, infatti, la lipolisi ed il cervello impara ad utilizzare i
corpi chetonici come fonte energetica.
La neoglucogenesi aminoacidica si ferma ed il bilancio
proteico è in pareggio perché compensato
dall’alimentazione, a base di proteine, che viene fornita. In
più comincia a farsi sentire l’effetto anoressizzante e quello
euforizzante dei corpi chetonici.
L’introduzione delle proteine è fondamentale non solo per la
conservazione della massa magra, ma anche per il buon
funzionamento dell’apparato immunitario e dell’apparato
sessuale. Gli ormoni, infatti, sono proteine e l’amenorrea
che compare, in molte donne a dieta forzata e squilibrata, è
un meccanismo fisiologico per impedire un’eventuale
gravidanza, cui il corpo risponderebbe in modo inadeguato.
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Se la dieta aminoacidica è seguita correttamente, i problemi
ormonali, che diventano in altre diete un sintomo
precocissimo e frequentissimo di consumo della massa
magra, non si presentano. Né si presentano le rughe sul
viso e le smagliature visto che le proteine sono sostanze
fondamentali del tessuto di sostegno e del collagene.
Non c’è quindi l’invecchiamento delle altre diete, anzi c’è un
miglioramento dell’aspetto a volte sorprendente. Tutto
questo purché la dieta sia seguita rigorosamente.
La grande novità di questa dieta è inoltre quella di poter
agire sulle adiposità localizzate in particolare su quelle di
tipo ginoide, portando al riequilibrio della silhouette che è il
principale problema di molte donne. Per questo alcuni la
chiamano “liposuzione medica”.
Sappiamo, infatti, che il tessuto adiposo non è un tessuto
inerte. In esso si svolgono numerosi processi biochimici di
sintesi e di catabolismo sotto l’influenza sia degli ormoni
estrogeni che del GH, l’ormone della crescita. Sappiamo
inoltre che la diversa disposizione del tessuto adiposo
nell’uomo e nella donna è un carattere sessuale secondario
legato proprio all’influenza degli ormoni sessuali.
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Ma, mentre gli ormoni sessuali, femminili in particolare,
assieme all’insulina influenzano la sintesi del tessuto
adiposo, il GH l’inibisce, come è stato anche dimostrato
recentemente a livello genetico.
Vi è quindi un equilibrio opposto di sintesi e di lisi tra questi
ormoni ed il GH. Aumentare pertanto il GH nelle donne,
significa poter ottenere dei risultati di lipolisi anche
localizzata. La dieta aminoacidica raggiunge anche
quest’obiettivo come dimostrano gli elevati valori di GH che
si possono riscontrare nel sangue di chi la segue.
Per dare i migliori risultati la dieta aminoacidica deve durare
almeno una settimana e meglio ancora una ventina di giorni.
Non vale la pena comunque prolungarla oltre, perché dopo
questo periodo il trend di dimagrimento rallenta ed il
paziente comincia a dare segni d’indisponibilità.
Per questo motivo ad essa viene fatta seguire una dieta
dissociata da continuare se si ha la necessità di perdere
ancora qualche chilogrammo in modo generale. Dopo
quest’intervallo si può tornare di nuovo alla dieta
aminoacidica e così via fino al raggiungimento del peso
ideale. Una volta raggiunto il peso previsto, lo si mantiene
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facendo una dieta ipocalorica bilanciata.
Avvertenze
La dieta proteica secondo Blackburn è da tempo conosciuta
ed impiegata in tutto il mondo nella terapia delle forme più
gravi e resistenti di obesità. Si tratta tuttavia di una dieta vol
utamente molto squilibrata
nella composizione nutrizionale, per certi versi, quindi,
antifisiologica, in quanto si pone l’obiettivo di alterare il
metabolismo al fine di attivare la lipolisi senza depauperare
la massa magra.
Di conseguenza, per essere effettuata in tutta tranquillità,
richiede una serie di precauzioni:
-
Deve essere effettuata solo su prescrizione del medico, il
quale seleziona i casi in cui può essere applicata ed
esclude, invece, i soggetti che presentano situazioni che
possano rendere sconsigliabile tale trattamento.
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-
Deve essere preceduta da un’accurata valutazione delle
condizioni fisiche e dei parametri ematochimici.
-
Deve essere sostenuta per brevissimi periodi durante i
quali sono necessari controlli clinici.
-
Non può essere successivamente ripetuta senza nuovi
esami e senza la supervisione del medico.
Non è quindi certo una dieta il cui protocollo possa essere
semplicemente trasmesso a conoscenti e congiunti, visti gli
inconvenienti anche seri che ne potrebbero derivare.
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La dieta dissociata
La "dieta dissociata" venne inventata dal Dott.
William Howard Hay
nel 1911, basata sul principio che si possono
formare nell'organismo accumuli non bilanciati
di prodotti della digestione e del metabolismo,
che il corpo non è in grado di eliminare e che
possono causare problemi di salute. Hay
asseriva che ciò era dovuto a quattro cause
principali: -
consumo eccessivo di carne
-
consumo eccessivo di carboidrati raffinati
(farinacei)
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-
non conoscenza della chimica della digestione
-
sovralimentazione.
La dieta dissociata si basa su 5 regole:
1.
Non mangiare carboidrati con proteine e frutti
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acidi durante lo stesso pasto.
2.
Mangiare verdura, insalata e frutta come parte
principale della dieta.
3.
Mangiare proteine, amido e grassi in quantità
limitata.
4.
Mangiare grano integrale evitando alimenti
raffinati e processati, come cibi a base di farina
bianca, zucchero e margarina.
5.
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Far intercorrere un intervallo di almeno 4 ore /
4 ore e mezza tra pasti di tipo differente.
La teoria della dieta dissociata si basa
sull'analisi dei meccanismi che controllano
la digestione
degli alimenti:
1.
Le proteine hanno bisogno di un amb
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iente acido
. Quando le proteine sono ingerite, nello
stomaco si sviluppa acido cloridrico che
attiva l'enzima pepsina che divide e
digerisce le proteine. Questo processo
avviene in ambiente acido che è in parte
neutralizzato dalla presenza di amidi e
zuccheri che si accompagnano a
sostanze alcaline; ciò fa sì che le
proteine non siano digerite
completamente.
2.
I carboidrati hanno bisogno di un
ambiente alcalino
per essere digeriti. Questo
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processo inizia in bocca con
l'enzima ptialina, che inizia a
spezzare l'amido prima che arrivi
all'intestino, dove è ulteriormente
spezzato e avviene la digestione.
La presenza di proteine o frutti
acidi diminuisce l'alcalinità,
riducendo la digestione intestinale
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dei grassi.
In breve, se grandi quantità di
carboidrati e di proteine sono
miscelati nello stesso pasto si
forma un ambiente troppo acido per
la riduzione degli amidi e troppo
poco acido per una buona
digestione delle proteine .
Numerose diete dimagranti,
ciclicamente proposte come
"novità", si basano su questa teoria.
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Le basi scientifiche e perciò
l'efficacia di questo tipo di dieta
sono controverse. La dieta Scarsdale
La dieta "Scarsdale" ha avuto
e continua ad avere una
grande popolarità perché
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promette rapidi risultati ed è
molto semplice.
è stata inventata da un
cardiologo americano ed il
libro che la spiega è stato negli
Stati Uniti un bestseller.
Le 4 basi di questa di questa
dieta sono:
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1.
Equilibrio tra i nutrienti
secondo una proporzione
"originale"
Confronto
con altri tipi di diet
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CARBOIDR.
PROTEINE
GRASSI
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Dieta
Scarsdale
34
%
43
%
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22
Dieta
%
pro Zona
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40
%
30
%
30
%
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Dieta
70
Tradizion
%
30 / 100
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15
%
15
%
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Dieta
80
Vegetar
%
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10
%
10
%
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Sono molto rido
tti i carboidrati e
i grassi
e
proporzionalme
nte aumentate
le proteine. Si
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tratta perciò di
un regime
dietetico
sicuramente
dimagrante, ma
non
consigliabile per
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periodi
prolungati.
1.
Rapida perdita
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di peso 2.
Cibi variati 38 / 100
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3.
Semplicità e
praticità
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Questo metodo
di
dimagramento
è per persone
sane, che non
abbiano
malattie o
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disturbi in
corso. Deve
essere seguita
per massimo
14 giorni
(
due settimane)
per poi passare
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ad una dieta di
mantenimento.
Quando si
acquisiscono 2
kg in più
rispetto al
peso forma
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si può
riprendere la
dieta; in questo
caso un
periodo di una
settimana
dovrebbe
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bastare.
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Ecco le regole
fondamentali
:
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Mangiare
esattamente
quello che è
stato stabilito
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Niente alcol
-
Spuntini a
base di carote
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e sedano
(soltanto!)
-
Condire
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insalata e
verdura con
limone o aceto
(niente olio!)
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La carne deve
essere molto
magra e
preparata
senza burro,
margarina,
olio o altri
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grassi; togliere
tutto il grasso
(e la pelle per
il pollo e il
tacchino)
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-
Quando ci si
sente sazi,
smettere di
mangiare!
(eventualità
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peraltro
rara...)
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Dieta a zona
La Zona è un
metodo
alimentare che
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si propone,
attraverso
l’uso bilanciato
del cibo, di
raggiungere
uno stato
ottimale di
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salute in cui
l’organismo
lavora al
massimo
dell’efficienza.
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Passaporto
per questo
stato
metabolico
sono gli
eicosanoidi,
potentissimi
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ormoni che
sono stati
oggetto di
studio per
Bergstrom,
Samuelsson e
Vane che
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hanno, per
questo,
conseguito il
premio Nobel
per la
fisiologia e per
la medicina
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nel 1982.
Barry Sears,
ideatore della
dieta a zona,
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ha cercato di
individuare il
codice
nutrizionale
che dirige la
formazione
degli
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eicosanoidi,
dirottandola e
promuovendol
a verso la
sintesi di quelli
favorevoli alla
salute. Per lo
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scienziato
americano il
cibo va
considerato
alla stessa
stregua di un
medicinale e,
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come tale, va
trattato con
grande
rispetto.
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È il mezzo più
potente che
abbiamo per
collocare il
nostro corpo in
una Zona
controllata
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dagli ormoni
per 24 ore.
Dobbiamo
abituarci a
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guardare il
cibo con una
prospettiva
diversa perché
quello che
mangiamo e
come lo
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mangiamo, ha
un effetto
fondamentale
sulle
complicate
connessioni
biochimiche
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che regolano il
funzionamento
del nostro
organismo
tutto il giorno.
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Con questo
metodo
alimentare, o
stile di vita,
come
qualcuno ama
chiamarlo, non
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si considera il
corpo
unicamente
come una
macchina che
necessita di
energia,
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espressa in
calorie, per
funzionare, ma
come una
macchina
metabolica
qual è: i
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componenti
alimentari che
introduciamo
con la dieta
non servono
solo a fornire
la necessaria
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energia per
vivere, ma
stimolano una
risposta
ormonale che
va considerata
e controllata
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perché non
incida
negativamente
sulla nostra
salute.
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È questo
l’obiettivo della
Zona.
La differenza
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principale
rispetto alla
dietologia
ufficiale è che i
carboidrati ad
alta densità
e/o ad alto
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indice
glicemico,
come cereali,
pane
,
pasta
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e
riso
, vengono
considerati i
principali
responsabili
della
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formazione di
grasso e delle
relative
conseguenze.
Tali alimenti
non devono
essere
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completament
e aboliti, ma
certamente
ridotti.
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Con questa
impostazione
viene
totalmente
contestata la
"piramide
alimentare
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della corretta
alimentazione
",
sotto riportata
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L’osservazion
e dell’autore
americano
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della dieta a
zona che nel
suo paese
l'aumento del
consumo di
questi
carboidrati
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viene ritenuto
responsabile
del grande
aumento
dell'obesità e
dell'incidenza
delle malattie
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cardiovascolar
i, non coincide
con i dati
dell'Italia dove
le
consuetudini
alimentari
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prescrivono
pasta o riso
come primo
piatto ogni
giorno ed il
consumo di
pane è molto
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elevato .
Eppure l'Italia
non è la
nazione con
più obesi e
con più
malattie
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cardiovascolar
i del mondo.
Si ritiene,
quindi che
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conviene
considerare
questa
innovativa
teoria come
un'utile
indicazione
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dietologica,
interessante
in quanto
basata su
un'interpretazi
one più
complessa dei
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nostri
meccanismi
metabolici,
ma non come
una verità
assoluta.
Conviene
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seguire il
consiglio di
ridurre i
carboidrati,
compresa
pasta e pane,
ma senza
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eliminarli dalla
nostra dieta.
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