università degli studi di catania - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
DIPARTIMENTO DI FISICA E ASTRONOMIA
Corso di Laurea Triennale in Fisica
Irene Ciraldo
STUDIO DELL’EMISSIONE DINAMICA E STATISTICA DEI FRAMMENTI
EMESSI IN REAZIONI TRA IONI PESANTI E RIVELATI DA CHIMERA:
FUNZIONE DI CORRELAZIONE IMF-IMF
TESI DI LAUREA
RELATORE:
Chiar.ma Prof.ssa Francesca Rizzo
CORRELATORE:
Dott. Emanuele V. Pagano
ANNO ACCADEMICO 2016/2017
A mio nonno Alfio,
che da Lassù ha ispirato le mie scelte e la mia passione.
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INDICE
INTRODUZIONE ____________________________________________________________________ 4
1. DALL’INTERFEROMETRIA ALLE FUNZIONI DI CORRELAZIONE ______________________________________ 8
1.1 Interferometria d’ampiezza __________________________________________________________ 8
1.2 Metodo HBT ______________________________________________________________________ 9
1.3 Utilizzo della funzione di correlazione in fisica nucleare ___________________________________ 11
1.4 Funzione di correlazione tra due particelle _____________________________________________ 13
2. IL MULTIRIVELATORE CHIMERA E LE CORRELAIONI IMF-IMF _________________________________ 23
2.1 Caratteristiche del rivelatore ________________________________________________________ 23
2.2 I Telescopi _______________________________________________________________________ 24
2.3 Tecniche di identificazione __________________________________________________________ 26
CONCLUSIONI ____________________________________________________________________ 42
BIBLIOGRAFIA ____________________________________________________________________ 44
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Introduzione
La fisica nucleare indaga sulla struttura del nucleo atomico e sui complessi fenomeni
che riguardano le reazioni nucleari. Le collisioni tra ioni pesanti rappresentano una
possibilità di studio di tali fenomeni che è molto attiva nella comunità di fisici nucleari.
Le reazioni nucleari consentono la produzione di sistemi nucleari instabili popolati in
stati estremi di densità ed energia di eccitazione, con numero di protoni e neutroni anche
molto lontani dalla valle di stabilità. In particolare nell’ambito della dinamica delle
reazioni, occupa un posto importante l’equazione di stato della materia nucleare (EoS)
[Fuc06] cioè la relazione esistente tra pressione, temperatura e densità.
Ad oggi le collisioni tra ioni pesanti rappresentano l’unico strumento a nostra
disposizione, nei laboratori terrestri, per produrre sistemi nucleari caldi (cioè altamente
eccitati) o con densità barionica più bassa di quella di saturazione (raggiungibili ad
energie incidenti intermedie E/A≈20‐100 MeV/nucleon, confrontabili con l’energia di
Fermi) oppure con densità al di sopra della densità di saturazione (per energie superiori
E/A>200 MeV/nucleon), dove per densità di saturazione si intende quella che hanno
tutti i nuclei allo stato fondamentale, ρ0≅ 0.17 nuc/fm3. In tal modo si può esplorare
l’equazione di stato (EoS) della materia nucleare.
Diversi laboratori in tutto il mondo hanno sviluppato acceleratori di fasci ionici o di
particelle capaci di condurre questo genere di studi. Presso i Laboratori Nazionali del
Sud (LNS) dell’Istituto di Fisica Nucleare, siti in Catania, vi sono installati ed operanti
due macchine acceleratrici. Un acceleratore di tipo elettrostatico (il Tandem) indicato
per studiare fenomeni nucleari che avvengono alle così dette basse energie, cioè energie
confrontabili con la barriera coulombiana tra i due sistemi collidenti, in cui le reazioni
dominanti sono lo scattering elastico ed anelastico, il trasferimento di nucleoni, le
reazioni profondamente anelastiche (Deep Inelastic Collisions) e quelle di fusione che
ad oggi interessano soprattutto l’astrofisica nucleare ed i processi di produzione
energetica e di nucleo sintesi che avvengono nelle stelle. Vi è inoltre un Ciclotrone
Superconduttore (CS) che consente lo studio di collisioni ad energie intermedie,
denominate energie di Fermi (𝐸/A≈ 30 − 35 𝑀𝑒𝑉/nucleon) in cui prevalgono reazioni
di frammentazione del proiettile, di emissione di pochi frammenti dalla zona di
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interazione (neck) e di multiframmentazione, per collisioni molto centrali. Il regime
delle energie di Fermi è particolarmente indicato per lo studio della EoS nucleare a
basse densità per la formazioni di sistemi nucleari a vita media breve diluiti (neck
region).
Al fine di indurre le reazioni nucleari, i nuclei hanno bisogno di essere accelerati per
vincere la repulsione coulombiana e per consentire un efficace interazione della forza
nucleare che è a corto range (~ 1-2 fm, 1fm =10-15m). Nelle reazioni più periferiche i
due nuclei formano regioni di sovrapposizione dell’ordine di alcuni Fermi. Nelle
reazioni più centrali si può avere la completa sovrapposizione dei due nuclei. I nuclei,
essendo carichi positivamente “sentono” già a grande distanza la repulsione dovuta alla
forza di Coulomb (che a differenza della nucleare è a lungo range) e che, per distanze di
avvicinamento confrontabili con i due raggi nucleari, crea una vera e propria barriera
elettrostatica tra i due nuclei, la quale deve essere quindi superata dalla grande velocità
(e quindi energia cinetica) dei nuclei del fascio proiettile. Per fare ciò quindi sono
necessarie tecnologie d’avanguardia nel campo degli acceleratori di fasci di particelle.
Accanto a ciò, una volta innescata la reazione nucleare, al fine di poterla studiare sono
indispensabili rivelatori di particelle con alta risoluzione sia energetica che angolare, e
che siano in grado di rivelare la maggior parte, se non addirittura tutte, le particelle
prodotte nella reazione. Risulta evidente che la ricerca in questo campo della fisica non è
semplice. In queste reazioni, soprattutto alle energie di Fermi, si può osservare (dipende
infatti dal grado di violenza della collisione) la produzione di una grande varietà di
particelle leggere e frammenti più pesanti che devono essere rivelati ed identificati sia in
numero atomico Z che in massa atomica A.
Un fenomeno approfondito negli studi più recenti è la cosiddetta multiframmentazione
nucleare. Essa è associata ad eventi di collisione in cui gli urti sono prevalentemente
centrali, quindi la collisione risulta più violenta e consiste nella produzione di un grosso
numero di frammenti di massa intermedia, anche più di 5, denominati IMF (Intermediate
Mass Fragments), aventi carica 3<Z<30 [Tam06]. L’origine di questo fenomeno è
ancora oggetto di studio, seppur la ricerca abbia già raggiunto diverse indicazioni sulla
formazione di uno stato transiente dinamico che passa da una fase di compressione e da
una successiva fase di espansione nella quale si creano i frammenti (cluster) nucleari
eccitati e dunque occorrono nuove investigazioni di carattere sia sperimentale che
teorico.
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L’equazione di stato può essere studiata tramite dei confronti fra le osservabili misurate
sperimentalmente e modelli teorici che simulano l’evoluzione delle reazioni tra ioni
pesanti.
Recentemente l’attenzione si è focalizzata sullo studio di reazioni tra nuclei con diversi
rapporti N/Z, essendo N il numero dei neutroni e Z il numero dei protoni. In tal modo si
possono estendere le esplorazioni della EoS alla materia nucleare asimmetrica in isospin
(o meglio alla terza componente), rispetto al termine di asimmetria nell’equazione di
stato e alla sua dipendenza dalla densità [Bao08]. In fisica nucleare queste informazioni
sono importanti per il legame con la dipendenza dell’interazione forte dall’isospin e in
astrofisica per la comprensione di diverse proprietà delle supernovae e delle stelle di
neutroni [Bao08]. Al fine di condurre esperimenti con sistemi sempre più esotici (lontani
dalla valle di stabilità) le comunità internazionali si stanno munendo di acceleratori
sempre più raffinati e potenti in grado di accelerare fasci radioattivi in modo da studiare
tali grandezze in sistemi nucleari molto lontani dalla stabilità. In Italia ad esempio c’è il
progetto SPES, che consiste in un nuovo acceleratore per fasci radioattivi che sarà
installato presso i Laboratori Nazionali di Legnaro (Padova). Tale progetto, molto
ambizioso che raccoglie la partecipazione e le attenzioni non solo della comunità
nazionale ma anche di quella internazionale, consentirà in un prossimo futuro
l’estensione di tali studi a sistemi nucleari esotici. Anche presso i Laboratori Nazionali
del Sud si sta mettendo appunto una linea di fasci radioattivi, detta In-Flight, che in fase
di test ha già accelerato diverse specie radioattive e che nel prossimo futuro permetterà
anche a Catania di condurre tali esperimenti.
Nelle reazioni quasi-centrali i due nuclei creano un sistema nucleare fortemente eccitato
ottenuto dalla sovrapposizione del bersaglio e del proiettile. Una collisione quasi‐
centrale fra sistemi simmetrici si può schematizzare come in figura.
Inizialmente vi sono due nuclei rispettivamente il proiettile e il bersaglio. La materia
nucleare in corrispondenza della regione di sovrapposizione fra di essi viene compressa
e diverse particelle di pre-equilibrio possono essere emesse su brevi scale temporali
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(dell’ordine di qualche decina di fm/c). Il sistema risponde alla compressione
espandendosi e raggiungendo stadi di bassa densità (𝜌 ≈ 0.1 − 0.3𝜌0) in cui può
verificarsi, se le condizioni lo permettono, la multiframmentazione nucleare. I
frammenti prodotti possono essere ancora eccitati e decadere successivamente
emettendo particelle leggere quali protoni, neutroni, particelle alfa, gamma, ecc. Questi
decadimenti secondari rappresentano meccanismi di emissione su scale temporali molto
lunghe (anche migliaia di fm/c). Complessivamente le scale temporali dei processi
coinvolti sono molto brevi se confrontate con i tempi di attraversamento dei nuclei
collidenti la regione di interazione, 1fm/c≈10-23s, mentre i tempi di risposta dei rivelatori
sono dell’ordine della decina di nanosecondi secondi (~ 10-8 s).
Risulta evidente l’importanza dello sviluppo di tecniche che forniscano delle sonde
spazio‐temporali della reazione. Esse possono dare indicazioni sulle scale temporali di
emissione di diverse particelle e sulle taglie (o volumi e quindi densità) delle sorgenti.
Una tecnica di analisi sperimentale è costituita dalle correlazioni particella‐particella che
vengono comunemente indicate col nome di interferometria d’intensità o HBT
(denominato in tal modo dal nome dei fondatori: Hanbury‐Brown e Twiss) o, più
recentemente, femtoscopy. Queste rappresentano oggi uno dei settori di ricerca più
promettenti nel campo delle collisioni tra ioni pesanti ad energie intermedie (E/A=20‐
150 MeV/nucleon) e relativistiche (E/A>200 MeV/nucleon) [Lis05, Ver06].
Il termine moderno femtoscopy, adoperato dalla comunità scientifica per indicare questo
tipo di ricerche, deriva proprio dal fatto che, sotto opportune condizioni, dà la possibilità
di stimare taglie dell’ordine del femtometro (1 fm=10‐15 m) e tempi di emissione
brevissimi (dell’ordine di poche decine di fm/c). Oggetto del presente lavoro di tesi è
quello di mostrare tali tecniche sperimentali mettendo in luce alcune applicazioni. Nei
prossimi capitoli sarà discussa la formalizzazione sperimentale della funzione di
correlazione, a partire da quella tra particelle leggere (protone-protone) e la
formalizzazione teorica nel contesto dell’equazione di Koonin-Pratt [Koo77] con alcune
applicazioni in cui è possibile, attraverso essa, stimare la taglia di sorgenti di emissione.
Sarà poi successivamente introdotta la funzione di correlazione IMF-IMF, utilizzata
recentemente come sonda per separare processi dinamici da quelli statistici [EVP12].
7
1. Dall’interferometria alle funzioni di correlazione
1.1 Interferometria d’ampiezza
In seguito alla scoperta dei fenomeni ondulatori della luce, legati quindi alla radiazione
elettromagnetica, chiamati anche di interferometria di ampiezza (Fig. 1.1), che sono alla
base ad esempio, del famoso esperimento di Young (1801), sono state messe a punto le
tecniche di interferometria che tra le varie applicazioni, sono state adoperate
ampiamente in astronomia per misurare la taglia di oggetti molto distanti come le stelle.
Figura 1.1: Interferometria di ampiezza nell’esperimento di Young a due fenditure
Così come schematizzato in figura 1.1, le onde sono emesse da una sorgente S e sono
successivamente decomposte da due fenditure 1 e 2. Su uno schermo lontano si pone un
rivelatore di particelle (fotoni, elettroni, ecc.) che può essere mosso lungo lo schermo o
in alternativa si possono disporre tanti rivelatori identici in modo da ricoprire un’ampia
regione angolare sottesa dallo schermo. Nel caso di onde elettromagnetiche, come nel
classico esperimento di Young, l’ampiezza del campo elettrico nel punto R in
corrispondenza del Rivelatore è data dalla somma delle ampiezze associate ai due
cammini 1-R e 2-R. Nel caso corpuscolare, ad esempio in esperimenti quantistici di
diffusione di particelle da nucleo o da cristallo, l’intensità del campo elettrico è sostituita
con la probabilità di rivelazione nel punto R, in funzione ad esempio dell’angolo θ, della
data particella. Se, lasciando una sola fenditura 1 aperta, si registra, in un dato punto R,
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l’intensità del campo elettrico I1 e poi, nel medesimo punto l’intensità I2 associata alla
fenditura 2 dopo aver chiuso la 1, ed in fine l’intensità I12 con entrambe le fenditure
aperte si noterà, in generale, che I12 ≠ I1 + I2. I12 può anche essere 4 volte superiore
rispetto ad I1 o I2. Simili osservazioni potranno essere fatte se dalla sorgente S fossero
emesse
particelle
anziché
onde
elettromagnetiche.
La
condizione
richiesta
dall’interferometria di ampiezza è che le onde incidenti sullo schermo siano coerenti,
cioè la loro differenza di fase deve restare costante nel tempo. In tal caso sullo schermo
si otterranno le tipiche figure d’interferenza costruttiva e distruttiva, sia che si abbia a
che fare con onde sia che si abbia a che fare con particelle, le quali quindi assumeranno
un comportamento ondulatorio.
Nell’esperimento di Young le onde emesse dalle due fessure sono coerenti, in quanto
originariamente erano la medesima onda emessa dalla sorgente S, quindi si potranno
osservare le figure d’interferenza. Le figure più luminose corrispondenti a massimi
d’intensità, vengono dette di interferenza costruttiva. L’interferenza costruttiva si
verifica quando i cammini fenditura-rivelatore differiscono di una quantità 𝛿 = π‘‘π‘ π‘–π‘›πœƒ
pari ad un numero intero di lunghezze d’onda, cioè π‘‘π‘ π‘–π‘›πœƒ = π‘šπœ† (m=0, ±1, ±2, …). Si ha
interferenza distruttiva, in corrispondenza delle frange più oscure, minimi di intensità,
quando π‘‘π‘ π‘–π‘›πœƒ = (π‘š + 1/2) πœ† (m=0, ±1, ±2, …).
Se adoperiamo una radiazione di lunghezza d’onda nota λ possiamo misurare la
distribuzione di intensità I(x) sullo schermo e dedurre la distanza tra le fenditure.
Pertanto una misura di interferenza può essere usata per misurare una taglia, che nella
semplice schematizzazione della figura 1.1 rappresenta la distanza d tra le fenditure.
Questo tipo di misure vengono più precisamente denominate “interferometria
d’ampiezza”. Infatti la tecnica si serve della misura delle intensità delle ampiezze dei
campi elettrici generati dai fori al rivelatore. Mediante questo principio l’interferometro
di Michelson è stato utilizzato per misurare le taglie delle stelle. Nel 1920, ad esempio,
fu misurato il diametro angolare della stella gigante rossa Beteguese della costellazione
di Orione [Swe87].
1.2 Metodo HBT
Il tentativo di misurare diametri angolari notevolmente più piccoli, utilizzando la tecnica
sovraesposta, ha portato ad enormi difficoltà. Infatti, per ottenere un potere risolutivo
9
maggiore sarebbe stato necessario aumentare la linea di base delle misurazioni fino
anche a distanze di 100 Km. Inoltre, l’ingresso dei raggi luminosi nell’atmosfera
terrestre imponeva differenze di fase casuali alle onde distruggendo così la condizione di
coerenza e le figure di interferenza. Furono Hanbury-Brown e Twiss (HBT) a trovare un
rimedio a questo problema, proponendo un interferometro che operava con un principio
alquanto diverso (figura 1.2) [HBT54, HBT56a, HBT56b]. Nell’interferometro di
ampiezza si misurano le probabilità di rivelazione di particelle in singola, cioè si misura
singolarmente lo spettro delle rese in funzione della posizione (o dell’angolo θ) senza
considerare alcuna condizione di coincidenza. Invece nel caso dell’interferometria di
intensità si misura la probabilità di rivelare due particelle in coincidenza nei due
rivelatori 1 e 2 (figura 1.2), immaginando che l’emissione avvenga da due punti A e B
distribuiti sulla superficie di un oggetto lontano esteso.
Figura 1.2: Rappresentazione del principio di funzionamento dell’interferometria d’intensità
Non è richiesta la condizione di coerenza sulla fase relativa dei fronti d’onda che
arrivano ai rivelatori (diversamente da quanto accadeva nel caso dell’interferometria di
ampiezza) piuttosto diventa importante la struttura temporale della probabilità di
coincidenze misurata da ogni rivelatore e va registrata.
Dati due rivelatori 1 e 2 viene misurata la probabilità di rivelare due particelle in
coincidenza P12 e le probabilità di rivelare le particelle singolarmente P1 e P2. E’ più
corretto indicarle con <P12>, <P1> ed <P2 > poiché le rese di particella singola e di
coincidenze rappresentano una misura mediata su un ben determinato tempo durante il
quale sono effettuate le misure stesse. La funzione di correlazione è definita come
𝐢 = 1+𝑅 =
< 𝑃12 >
< 𝑃1 >< 𝑃2 >
10
Se le rivelazioni di una particella dal rivelatore 1 e dell’altra particella dal rivelatore 2
fossero eventi non correlati fra loro, la probabilità di rivelare una coincidenza P 12
sarebbe data dal prodotto delle probabilità singole P1 e P2, pertanto 𝑅 = 0 e 𝐢 = 1. Le
correlazioni presenti nei conteggi in coincidenza al numeratore dell’equazione sono
l’unico elemento che può determinare deviazioni di 𝐢 dall’unità. Se 𝐢 > 1 (𝑅 > 0) si dice
che esiste una correlazione (o correlazione positiva) tra gli eventi di rivelazione delle
due particelle in 1 e 2. Se invece 𝐢 < 1 (𝑅 < 0) si dice che esiste un’anti‐correlazione (o
correlazione negativa) tra gli eventi di rivelazione delle due particelle in 1 e 2. Tale
tecnica quindi si serve di un’interferenza che emerge dal prodotto di intensità di
radiazione mediate su un intervallo di tempo finito, ovvero dalla misura di due onde o
due particelle in coincidenza da parte di due rivelatori distinti. Poiché le intensità sono
proporzionali ai quadrati delle ampiezze, la tecnica non è sensibile agli sfasamenti
indotti dai disturbi atmosferici e può essere adoperata anche a grandi distanze tra i
rivelatori posti sulla superficie terrestre. Tale tecnica che si basa su misure di conteggi o
intensità ha preso il nome di “interferometria d’intensità” per distinguerla da quella che
opera nell’esperimento di Young e che non potrebbe essere adoperata nella misura di
“taglie” di oggetti distanti come le stelle per difficoltà tecniche. Ovviamente questa è
una descrizione abbastanza semplificata dell’effetto studiato da Handury‐Brown e Twiss
adoperato per determinare il diametro angolare della stella Sirio [HBT54, HBT56a,
HBT56b].
1.3 Utilizzo della funzione di correlazione in fisica nucleare
L’uso dell’interferometria di intensità nella fisica nucleare proseguì alcuni anni dopo,
nello studio di correlazioni angolari di pioni emessi nella reazione di annichilazione
antiprotone‐protone ad un’energia di 1 GeV [Gol59, Gol60]. In tali esperimenti,
Goldhaber, Goldhaber, Lee e Pais (GGLP) evidenziarono che la probabilità di emissione
di pioni identici in coincidenza era fortemente dipendente dalla loro natura bosonica che,
pertanto, consente valori alti dell’intensità alla funzione di correlazione per valori
tendenti all’impulso relativo nullo q≈0. Questa proprietà fu sfruttata in diverse misure di
funzioni di correlazione tra pioni identici, ove la larghezza del picco a q≈0 è stata legata
alla dimensione spaziale della sorgente di emissione. Tali misure stimolarono fortemente
11
la comunità scientifica e la tecnica HBT della funzione di correlazione si consolidò
come tecnica di analisi di importanza fondamentale [Shu73].
Nel caso delle reazioni nucleari, specialmente tra ioni pesanti, la situazione era
differente da quella che caratterizzò gli esperimenti pionieristici di Hanbury‐Brown e
Twiss in astronomia. Infatti la forma della funzione di correlazione dipendeva non solo
dalla dimensione spaziale ma anche dalla vita media della sorgente di pioni. Le sorgenti
emettitrici di particelle in reazioni nucleari evolvono nel tempo su scale temporali
(tipicamente dell’ordine di 10‐22s ‐ 10‐18s), confrontabili con i tempi di attraversamento
della regione nucleare dei nuclei collidenti (10‐22s), e comunque brevissime se
confrontate con i tempi caratteristici di misurazione delle rese delle particelle nei
rivelatori (tipicamente decine di ns). Pertanto in collisioni nucleari le funzioni di
correlazione sono sensibili alla evoluzione temporale della sorgente di emissione e non
solo alla sua dimensione geometrica. Si può affermare che l’interferometria d’intensità
in fisica nucleare è più complessa di quella adoperata in astronomia che si limita a
studiare la taglia di oggetti supponendo una geometria di emissione non dipendente dal
tempo di emissione.
Oggi le correlazioni tra pioni sono uno strumento molto usato per sondare l’estensione
spazio‐temporale delle sorgenti nucleari nelle collisioni ad altissima energia. Essi inoltre
rappresentano un argomento di grande importanza nella ricerca del plasma formato da
quark e gluoni studiato negli esperimenti condotti presso il Relativistic Heavy‐Ion
Collider (RHIC) e il Large Hadron Collider (LHC) [Lis05].
Negli anni ’70 gli studi di funzioni di correlazione vennero estesi a diverse varietà di
particelle e non solo a pioni. Un ruolo storicamente importante si deve attribuire al
lavoro di S.E. Koonin che nel 1977 propose l’utilizzo di correlazioni protone‐protone
come strumento per studiare le sorgenti di emissione prodotte anche alle energie di
Fermi (E/A=20‐100 MeV/nucleon) [Koo77]. Negli anni ’90 gli studi di correlazione
sono stati estesi ad altre coppie di particelle più complesse rispetto ai protoni [Ver06].
Anche nel caso in cui la funzione di correlazione è costruita con particelle non identiche
come nel caso IMF‐IMF, la presenza di interazioni di stato finale FSI (final state
interactions) ha consentito di studiare la struttura spazio‐temporale della sorgente di
emissione relativa a particelle più complesse (d, alfa, Li, frammenti) [Boa90, Chi86,
Ver07]. Tali studi sono importanti perché consento di misurare correlazioni di intensità
12
per particelle diverse che possono essere emesse da sorgenti prodotte in fasi diverse
dalla reazione e con scale temporali differenti.
Per studiare in maniera completa le caratteristiche spazio‐temporali delle collisioni tra
ioni pesanti bisognerebbe esaminare il maggior numero possibile di particelle e
frammenti prodotti nel corso di una reazione. Per fare ciò sono necessarie complesse
strumentazioni ed il supporto di difficoltosi calcoli teoric. Gli apparati devono misurare
con elevata risoluzione non solo le energie delle particelle incidenti ma anche i loro
angoli di rivelazione. Generalmente si ricorre all’uso di telescopi multi–elemento di
rivelatori al silicio a strip con segmentazione spaziale x‐y molto elevata, in modo da
costruire delle griglie di pixel quanto più fitte possibili per aumentare il potere risolutivo
angolare, che, in ultima analisi, a parità di risoluzione energetica, determina la
risoluzione in velocità (impulso, energia cinetica) relativa tra le particelle. Lo spessore
dei materiali deve essere in grado di arrestare completamente le particelle incidenti.
Quindi il materiale con cui è costruito il rivelatore deve essere dotato di un elevato
stopping power (ad esempio lo ioduro di cesio, CsI). L’accoppiamento di rivelatori al
silicio e di cristalli di ioduro di cesio è molto diffuso per la realizzazione di telescopi che
consentano di risalire all’energia delle particelle e alla loro identità (carica e massa). Si
utilizzano le tecniche ΔE‐E che correlano la misura di energia ΔE persa nell’attraversare
il silicio più sottile con quella di energia residua E depositata dalla particella che si
arresta nello ioduro di cesio.
1.4 Funzione di correlazione tra due particelle
Date due particelle 1 e 2 aventi impulso βƒ—βƒ—βƒ—
𝑝1 e 𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—2 il loro impulso totale 𝑃⃗e quello relativo
βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑝
βƒ—βƒ—βƒ— valgono, rispettivamente: ⃗⃗⃗𝑃 = βƒ—βƒ—βƒ—
π‘ž
𝑝1 + βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑝2 𝑒 π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ— = πœ‡ (π‘š1 − π‘š2 ), essendo μ la massa
1
2
ridotta del sistema di particelle di masse m1 ed m2. La funzione di correlazione a due
particelle, 1 + 𝑅⃗ (π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ— , 𝑃⃗) è pertanto definita sperimentalmente dalla seguente relazione:
∑ π‘Œ12 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—1 , βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑝2 ) = 𝐢12 ∑[1 + 𝑅⃗ (π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ— , 𝑃⃗) ]π‘Œ1 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—1 )π‘Œ2 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—2 )
(1)
13
In questa relazione π‘Œ12 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—1 , βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑝2 ) è la resa in coincidenza delle due particelle,
mentre π‘Œ1 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—1 ) 𝑒 π‘Œ2 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—2 ) sono le rese di particella misurata in singola. La costante di
normalizzazione 𝐢12 viene comunemente determinata imponendo la condizione⃗⃗⃗𝑅 (π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ— ) =
0 a grandi valori di impulso nel moto relativo, π‘ž ≈ 80−120 𝑀𝑒𝑉/𝑐. I simboli di
sommatoria vanno intesi come somme eseguite su tutte le combinazioni di angoli (a cui
sono montati i rivelatori) e di energie di particelle che definiscono una determinata
coppia di valori di q e P (vettori). La relazione ci dice che la funzione di correlazione
dipende da sei osservabili: le tre componenti cartesiane di π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ— (π‘žx, π‘žy, π‘žz) e le tre
componenti di ⃗⃗⃗𝑃(𝑃x, 𝑃y, 𝑃z).
Alcune delle principali proprietà delle sorgenti di emissione possono essere estratte
limitandosi allo studio della funzione di correlazione al variare di poche osservabili,
come ad esempio, l’ampiezza dell’impulso totale P e l’angolo relativo θqP tra i vettori π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ—
βƒ—βƒ—βƒ— ⃗⃗⃗𝑃
π‘ž
e βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑃 definito come:πœƒπ‘žπ‘ƒ = π‘Ž cos ( π‘žπ‘ƒ ) . In generale non è possibile stabilire un
protocollo generale per lo studio della funzione di correlazione che dipende dalle
particolari condizioni sperimentali adottate nella misura (copertura angolare, cinematica
della collisione, risoluzioni ottenute, ecc….)
Dalla definizione di funzione di correlazione risulta che, se le due particelle rivelate in
coincidenza fossero prive di correlazione spazio-temporale, la probabilità di rivelarle
insieme sarebbe uguale al prodotto delle probabilità di rivelare le singole particelle
separatamente: π‘Œ12 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—1 , βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑝2 ) ≅ π‘Œ1 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—1 )π‘Œ2 (𝑝
βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—2 ) (cioè gli eventi rivelazione della prima
particella e rivelazione della seconda particella sarebbero indipendenti o non correlati).
In tal caso la funzione di correlazione risulterebbe piatta, cioè R(q)=0 per tutti i valori di
q. Sperimentalmente si osserva che in certi intervalli di valori di q la correlazione devia
fortemente dal prodotto delle singole mostrando o un aumento della probabilità (rispetto
al prodotto delle singole) o una diminuzione (anti-correlazione). Ad esempio la figura
1.4 mostra funzioni di correlazioni per coppie protone-protone in collisioni
14
N+197Au
ad E/A=75 MeV/nucleon. Queste funzioni di correlazione sono piatte solo a grandi
valori di impulso relativo q. Mentre, a piccoli valori di q (q<60 MeV/c nel caso delle p‐
p) si osservano delle deviazioni dalla supposta forma prevista in caso di semplice non‐
correlazione, ovvero forti deviazioni di R(q) da un valore nullo. Queste deviazioni dalla
legge di pura non-correlazione dipendono dalla fisica del processo considerato, ed in
generale dipendono sia dalla dinamica della collisione (meccanismo di formazione della
14
zona emettitrice) che dalle proprietà del decadimento e sono influenzate da effetti di
statistica quantistica e dalle interazioni di stato finale (FSI).
Figura 1.3: Funzione di correlazione p--‐p misurata in reazioni 14N+197Au ad E/A=75
MeV/nucleon.
Le proprietà della statistica quantistica intervengono, ad esempio, nel caso in cui si
studino funzioni di correlazione tra particelle identiche (fermioni) come quelle protoneprotone(p-p). In questo caso, la funzione d’onda che descrive il sistema a due corpi p-p
obbedisce alle regole di anti-simmetrizzazione, inducendo effetti misurabili di anticorrelazione nella funzione di correlazione a piccolo impulso relativo. Inoltre, le
particelle in coincidenza possono interagire tramite l’interazione Coulombiana e
Nucleare (per distanze relative dell’ordine del range della forza nucleare ~ 1fm). In
generale, dunque, l’intensità di tali interazione dipende fortemente dalla posizione
relativa tra i punti di emissione delle due particelle. Per particelle cariche (come ad
esempio il sistema p-p) l’interazione Coulombiana, di natura repulsiva, genera sempre
degli effetti di anti‐correlazione (R<0) a piccoli valori di q. Di contro la forza nucleare
tra nucleoni o tra cluster di nucleoni (in generale dipendente dallo spin), che nel caso
nucleone (n-n, n-p, p-p) possiamo pensare fenomenologicamente come repulsiva per
piccole distanze relative (d<< 1fm) e attrattiva in regioni intermedie ~0.7fm, può essere
responsabile di effetti di correlazione (R>0) dovuti al contributo attrattivo, che sono ben
visibili con la presenza di picchi e risonanze nelle funzioni di correlazione. A grandi
valori di impulso relativo, le funzioni di correlazione appaiono piatte indicando
l’assenza di correlazioni tra le particelle in coincidenza. E’ anche da notare che non
sempre si dispone di misure delle particelle rivelate in singola a causa della difficoltà
sperimentale di misurare allo stesso momento sia l’intensità delle singole che quella
15
delle coincidenze (il cui rate in generale è regolato da un livello di trigger di
accettazione degli eventi valutato di volta in volta dallo sperimentatore, rispetto al
processo fisico in studio) e allora nella definizione si procede a valutare il prodotto
delle singole utilizzando differenti tecniche. Ma queste procedure, piuttosto avanzate,
non possono essere qui prese in esame.
Si nota anche che, in alcuni casi, specialmente nello studio di correlazioni tra frammenti
più pesanti [Kam93, Kot95], sono state osservate funzioni di correlazione non piatte
anche a grandi valori di impulso relativo. Tali osservazioni sono state spiegate come
dovute alla presenza di effetti collettivi. La presenza di moto collettivo (espansione,
rotazione, ecc.) soprattutto nelle collisioni tra ioni pesanti alle energie di Fermi o più
elevate, può indurre delle distorsioni sulle regioni della funzione di correlazione ove si
osservano delle correlazioni dovute all’interazione nucleare ad alti valori di q. In
generale, si può affermare che la forma della funzione di correlazione è determinata
dalle proprietà spazio‐temporali delle sorgenti che emettono particelle prodotte durante
la reazione, ma la valutazione di questi effetti è oggetto di studi avanzati nella fisica
degli ioni pesanti. Per tale complessa problematica negli esperimenti vengono spesso
misurate funzioni di correlazione direzionali. Queste sono costruite selezionando coppie
di particelle sotto specifiche condizioni sulla direzione relativa tra impulso del moto
relativo π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ— e impulso totale βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑃 . In alcuni studi si confrontano le funzioni di correlazione
longitudinali dove i due vettori vengono considerati in configurazione parallela
(selezionando solo coppie di particelle che soddisfano a determinate condizioni di
rivelazione in date regioni angolari). In altri studi esse sono chiamate trasversali poiché
i vettori π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ— e βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑃 sono posti trasversalmente. Spesso si impone anche una condizione
sull'ampiezza del vettore impulso totale P selezionando coppie di particelle con P
limitato a un determinato range di valori. Questo corrisponde a imporre limitazioni sulla
velocità del centro di massa della coppia di particelle βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
π‘£π‘π‘š = π‘š
βƒ—βƒ—βƒ—βƒ—
𝑃
1 +π‘š2
. Le condizioni
sull’impulso totale sono utili perché permettono di estrarre informazioni sulla taglia
delle sorgenti di emissione corrispondenti a fasi diverse del processo di decadimento del
sistema. Infatti, in generale, alti valori dell'impulso totale 𝑃 corrispondono a coppie di
particelle la cui origine è dominata dalle prime fasi dinamiche della reazione (o di preequilibrio), mentre bassi valori di 𝑃 sono caratteristici di coppie di particelle
prevalentemente emesse in processi evaporativi (o di equilibrio), tipicamente presenti
16
nelle fasi successive dell'evoluzione dinamica del sistema [Boa90]. Pertanto uno studio
di R (π‘ž
βƒ—βƒ—βƒ— ) con diversi gates sull’impulso totale P consente di estrarre informazioni
spazio‐temporali sulle sorgenti di emissione di particelle prodotte a tempi diversi della
reazione, fornendo utili strumenti per la comprensione della dinamica nucleare.
1.5 Funzione di correlazione protone-protone
Le correlazioni tra protone e protone si indicano generalmente con p-p e usualmente
vengono esaminate mediante l’interferometria di intensità. I protoni sono fermioni e dal
punto di vista della MQ obbediscono alla statistica di Fermi-Dirac, quindi le
correlazioni protone‐protone devono presentare caratteristiche molto diverse da quelle
già conosciute nel caso dei pioni, che sono bosoni ed obbediscono alla statistica di
Bose-Einstein. Due protoni emessi a piccola (dell’ordine del range delle forze nucleari,
~ 1 fm) distanza relativa r devono essere descritti da una funzione d’onda anti‐
simmetrizzata che induce un effetto di anti‐correlazione nella funzione di correlazione,
diversamente dal caso dei fotoni o dei pioni.
Inoltre i due protoni emessi interagiscono attraverso la repulsione Coulombiana e la
forza nucleare forte. Queste interazioni hanno maggiore effetto quanto più vicini sono i
protoni al momento dell’emissione, infatti dipendono dalla distanza relativa r tra le
particelle. Tali FSI (final state interactions) inducono ulteriori effetti di correlazione ed
anti correlazione sulle coppie di protoni in coincidenza e intensificano la sensibilità
delle funzioni di correlazione alla taglia della sorgente di emissione. Da questo tipo di
analisi si possono ricavare alcune caratteristiche dinamiche dei processi di emissione di
particelle, si può comprendere maggiormente la multiframmentazione e i suoi eventuali
legami con una transizione di fase liquido‐gas nella materia nucleare.
Alle energie intermedie i protoni sono prodotti con grande abbondanza in ogni fase
dinamica della reazione. Essi permettono di indagare le proprietà spazio‐temporali in
fasi diverse dell’evoluzione dei sistemi nucleari interagenti in una reazione. Il vantaggio
aggiuntivo dei protoni è la (relativa) facilità di rivelazione e la loro identificazione ad
alta risoluzione.
Teoricamente la funzione di correlazione protone‐protone è calcolata con la cosiddetta
“equazione di Koonin‐Pratt” (KP‐equ):
17
1 + 𝑅(π‘ž ) = 1 + ∫ π‘‘π‘Ÿ 𝑆(π‘Ÿ)𝐾(π‘Ÿ, π‘ž ) (2)
L’integrale è composto da due funzioni: 𝑆(π‘Ÿ) è la cosiddetta funzione sorgente di
emissione a due particelle e 𝐾(π‘Ÿ, π‘ž ) il Kernel della funzione integrale. Il primo membro
della (2) si misura sperimentalmente. Successivamente si estrae la forma funzionale di
𝑆(π‘Ÿ) o attraverso approcci di fit in cui si assume che la funzione di sorgente possieda
π‘Ÿ2
una forma funzionale Gaussiana 𝑆(π‘Ÿ) ∝ 𝑒
− 2
2π‘Ÿ
0
o di inversione numerica dell’equazione
(2) (IMAGING [BRO97]). La funzione di sorgente è definita come la probabilità di
emettere due particelle a distanza π‘Ÿ = π‘Ÿ1 − π‘Ÿ2 , calcolata nel momento in cui è emessa la
seconda particella, cioè i loro tempi di emissione possono essere legati dalla relazione 𝑑2
≥ 𝑑1. Essendo la 𝑆(π‘Ÿ) una distribuzione di probabilità è necessario normalizzarla
all’unità. Data la natura della definizione della funzione di sorgente, essa è affetta da
ambiguità spazio temporali. Solo nel caso limite in cui la vita media della sorgente è
zero, il che implica emissione simultanea dei due protoni t1=t2, la 𝑆(π‘Ÿ) rappresenta la
“vera” taglia spaziale. Se, come nei casi di reale emissione, la vita media è finita tra
l’emissione del primo protone al tempo t1 e del secondo al tempo t2, la distanza relativa
π‘Ÿ “vista” dalla sorgente di emissione è ‘’apparente’’.
Figura 1.4: Ambiguità spazio‐temporali nella sorgente a due corpi.
In riferimento alla figura 1.4, nella rappresentazione a sinistra le particelle vengono
emesse simultaneamente mentre quella a destra mostra un’emissione sequenziale. La
distanza relativa π‘Ÿ è calcolata solo quando viene emessa la seconda particella ma
all’istante in cui la prima si trova già in una posizione differente. Ciò permette di
distinguere i due processi. La funzione sorgente avrà così un’estensione definita dalla
reale distribuzione spaziale dei punti di emissione, π‘Ÿ0, associata a una componente 𝑣1 ∗
(𝑑2 − 𝑑1) dovuta alla presenza di non simultaneità nell’emissione delle due particelle. La
18
vita media della sorgente che emette protoni ricopre un ruolo centrale nel calcolo di
𝑆(π‘Ÿ).
La funzione di Kernel può essere calcolata come:
𝐾(π‘Ÿ, π‘ž ) = |π›Ήπ‘ž (π‘Ÿ)| − 1
π›Ήπ‘ž (π‘Ÿ) è la funzione d’onda relativa di scattering protone-protone corrispondente ad un
π‘ž2
determinato valore di impulso relativo q e quindi di energia relativa 𝐸 = 2πœ‡ [Koo77]. Il
Kernel contiene tutte le informazioni riguardo l’anti-simmetrizzazione della funzione
d’onda protone-protone dovuta alla loro natura fermionica e le mutue interazioni
nucleare e Coulombiana.
Nel corso del tempo, è stato studiato teoricamente l’andamento della funzione di
correlazione protone-protone in funzione delle interazioni (Coulombiana, nucleare o
entrambe) così come mostrato in figura 1.5.
Figura 1.5: funzioni di correlazione calcolate con il parametro di “taglia” r0 = 2.5 fm
(sorgente piccola, pannello in alto), ed r0 = 5 fm (sorgente grande, pannello in basso) al
variare delle interazioni considerate [EVP12].
La linea tratteggiata rappresenta la funzione di correlazione se tra i protoni si esercitasse
solo la forza Coulombiana. L’effetto è un’anti-correlazione a piccoli valori di impulso
relativo, q<15 Mev/c. Aggiungendo l’effetto di anti-simmetrizzazione di due fermioni si
ha un’ulteriore anti-correlazione per q compreso nell’intervallo tra 15 e 60 MeV/c come
19
mostra la linea puntinata. Il principio di Pauli è responsabile di tale effetto, infatti
impedisce ai protoni di occupare stati di impulso relativo più piccolo di un intervallo di
βˆ†π‘ ≅ β„Ž/βˆ†π‘₯, dove βˆ†π‘₯ è la diffusione della distribuzione spaziale del protone in una certa
direzione x. Aggiungendo anche l’effetto di interazione nucleare la funzione di
correlazione protone‐protone mostra un picco a circa 20 MeV/c la cui intensità dipende
fortemente dalla taglia della sorgente, infatti, quando si considera una sorgente di
emissione grande l’altezza del picco si riduce notevolmente. Ciò si giustifica con il fatto
che l’interazione nucleare è a corto range e fa sentire maggiormente i suoi effetti quando
i due protoni sono emessi più vicini l’uno a l’altro.
Nelle collisioni tra ioni pesanti i due protoni non vengono quasi mai emessi
simultaneamente dalla sorgente (condizione limite di vita media nulla). In presenza di
queste emissioni a vita media diversa da zero la funzione di sorgente S(r) apparirà
βƒ—βƒ—βƒ— e della
allungata. La taglia è maggiore nella direzione definita dal momento totale 𝑃
velocità media dei protoni. L’allungamento è approssimativamente dato dal prodotto
scalare tra la velocità e la vita media di emissione. In figura 1.6 si evidenziano gli effetti
di queste scale temporali molto brevi τ.
Figura 1.6: Effetti della vita media finita sulla taglia della sorgente.
La figura 1.6 mostra schematicamente l’evoluzione dello spazio delle fasi al variare
della taglia e della vita media della sorgente. Schematicamente vite medie lunghe
comportano un allungamento in direzione parallela alla direzione dell’impulso totale.
20
Il primo caso (a partire dall’alto nella figura 1.6) rappresenta una sorgente di piccola
taglia e vita media breve, nel secondo la sorgente ha una taglia maggiore ma sempre
una breve vita media e il terzo presenta la sorgente con taglia piccola ma lunga vita
media. Nei primi due casi le sorgenti decadono su scale temporali piuttosto brevi e
coinvolgono principalmente la regione geometrica di sovrapposizione tra proiettile e
target, mentre la situazione nell’ultimo caso è tipica delle fasi finali della reazione.
Una taglia geometrica maggiore o una più lunga vita media generano delle
distribuzioni nello spazio delle fasi più estese. Quindi misurando la funzione di
correlazione negli ultimi due casi sarebbe difficile distinguerli, per tale motivo si
parla di ambiguità spazio temporali.
Le collisioni tra ioni pesanti presentano una dinamica molto complessa in cui le
particelle leggere come i protoni possono provenire da sorgenti che decadono su
scale temporali molto diverse tra loro. I decadimenti a lunga vita media (diverse
migliaia di fm/c) sono caratteristici di processi evaporativi e decadimenti secondari,
mentre i processi dinamici a breve vita media (dell’ordine di qualche decina di fm/c)
producono protoni nella fase iniziale della reazione (pre-equilibrio), quando le
collisioni nucleone‐nucleone giocano un ruolo più importante. La prevalenza di un
tipo di meccanismo sull’altro dipende dall’energia incidente, dal parametro d’urto e
dalle asimmetrie di massa e di isospin (ovvero dei rapporti N/Z) dei nuclei proiettile
e bersaglio interagenti. Facendo riferimento a collisioni centrali, possiamo
schematicamente farci un’idea di quali processi possano contribuire a caratterizzare
le sorgenti di emissione di protoni e le loro estensioni spazio‐temporali.
Alle energie intermedie (E/A=10‐100 MeV/nucleon) la dinamica è particolarmente
complessa. Essa è caratterizzata dal trovarsi in una regione di transizione tra la
dinamica di campo medio, tipica delle basse energie (E/A<10 MeV/nucleon), e il
regime che domina ad energie più alte (E/A>100 MeV/nucleon) dove le collisioni
nucleone‐nucleone giocano un ruolo determinante. In tal caso le reazioni danno
origine alla presenza di sorgenti di emissione di protoni sia di natura dinamica a
breve vita media che di natura più statistica a lunga vita media.
Alle energie intermedie si osserva inoltre il fenomeno della frammentazione e della
multiframmentazione nucleare che consiste nell’emissione di un certo numero di
frammenti di massa intermedia (3<Z<30) (MultIMFs≈3÷4 nel primo caso o
MultIMFs≥5 nel secondo caso). Tali frammenti possono essere prodotti in stati eccitati
21
e quindi a loro volta decadere nelle ultime fasi della reazione, dando origine ad un
ulteriore componente di emissioni a lunga vita media che si sovrappone alle altre.
Nel caso delle funzioni di correlazione protone-protone le correlazioni direzionali in
cui si considera la proiezione normale dell’impulso relativo su quello totale,
permettono di comprendere alcune ambiguità spaziali in quanto più sensibili alla
taglia della sorgente e meno affette dalla vita media della sorgente [PRA87].
22
2. Il multirivelatore CHIMERA e le correlaioni IMF-IMF
2.1 Caratteristiche del rivelatore
Figura 2.1: Il rivelatore 4π CHIMERA collocato ai Laboratori Nazionali del Sud-INFN
Catania.
Ai Laboratori Nazionali del Sud sono operanti diversi rivelatori tra cui CHIMERA
(Charge Heavy Ion Mass and Energy Resolving Array). CHIMERA è un multirivelatore modulare per particelle cariche, con elevata granularità ed efficienza
geometrica. Esso è costituito da 1192 telescopi, ognuno formato da un rivelatore al
silicio seguito da uno scintillatore di Ioduro di Cesio attivato al Tallio, CsI(Tl). Sono
disposti su 26 corone che coprono l’angolo azimutale interamente e l’angolo polare da
1° a 176°. Ciò comporta una geometria cilindrica attorno all’asse del fascio.
La struttura è stata studiata in modo da fornire la maggiore efficienza geometrica
possibile. Grazie alla compattezza dei moduli e considerando i fori di uscita ed entrata
del fascio e i supporti di ogni singolo rivelatore e della targhetta, l’angolo solido totale
coperto è di circa il 94% di 4π [Pir11, Pol12, Pag01].
L’apparato si compone di due parti: una sfera seguita da un tronco di cono.
23
Figura 2.2: Rappresentazione assonometrica del multirivelatore CHIMERA.
La sfera è centrata nel bersaglio e presenta 504 moduli disposti su 17 corone. Ha un
raggio di 40 cm e copre un angolo polare da 30° a 176°. Il tronco di cono copre un
range angolare che va da 0° a 30°. E’ composto da 688 moduli distribuiti su 9 corone,
ognuna suddivisa in corona interna ed esterna. Esse distano dal bersaglio dai 350 cm a
100 cm, al crescere dell’angolo polare. La struttura geometrica del tronco di cono ha un
frazionamento elevato di angolo solido che ne aumenta la granularità.
2.2 I Telescopi
Negli ultimi decenni i rivelatori a semiconduttore si sono affermati nei laboratori di
fisica grazie all’enorme riduzione dei costi di produzione del silicio e all’avvento della
microelettronica.
Ogni telescopio di CHIMERA presenta un rivelatore al silicio di spessore 300 μm. Il
suo funzionamento è sostanzialmente quello di un diodo a giunzione p-n. Questi
rivelatori sono stati scelti per le loro caratteristiche, infatti, presentano una buona
risoluzione energetica (< 1% per scattering elastico di ioni medio leggeri), i tempi di
risposta bervi (dell’ordine di 10ns, incluso il preamplificatore di lettura della carica
prodotta nel volume sensibile), i costi relativamente bassi, le dimensioni compatte e la
linearità della funzione di risposta.
24
La figura 2.3 mostra un rivelatore a silicio del tipo delle corone dove è possibile vedere
le due zone attive, l’anello di guardia, la pista in alluminio e il supporto in PBC per la
connessione elettrica e meccanica del rivelatore.
Figura 2.3: Foto di un rivelatore al silicio di un telescopio del rivelatore CHIMERA.
In ogni telescopio di CHIMERA ogni rivelatore al silicio è seguito da un cristallo
scintillante di Ioduro di Cesio drogato al Tallio (CsI(Tl)). La luce emessa dal cristallo è
raccolta da un fotodiodo accoppiato al cristallo che la trasforma in segnale elettrico, i
fotodiodi utilizzati hanno uno spessore di 300 μm, una superficie attiva di 18x18 mm2 e
sono accoppiati ai cristalli mediante un collante ottico.
Gli scintillatori inorganici sono caratterizzati da una struttura a bande tra le quali vi è un
gap di energia di qualche decina di eV. Tra queste due bande vi è una banda di energie
proibite dove l’elettrone non si potrà mai trovare in un cristallo puro. Generalmente si
aggiunge un drogante (attivatore) che crea stati energetici tra la banda di valenza e di
conduzione determinando una via privilegiata di decadimento per la coppia elettronelacuna. Si rende differente lo spettro della luce emessa da quello della luce assorbita
quindi si riduce l'autoassorbimento.
Lo scintillatore ha la funzione di misurare l’energia residua delle particelle dopo
l’attraversamento del silicio e il suo spessore è compreso fra i 3 cm e i 12 cm (a seconda
della distanza dal target).
I cristalli hanno la forma di tronco di piramide a base trapezoidale per la sfera e due
metà di questo stesso tronco per le coppie di cristalli delle corone. Le dimensioni delle
superfici sono uguali a quelle dei rivelatori al silicio. La lunghezza dei vari cristalli è
25
dettata dall’esigenza di arrestare anche le particelle più energetiche che ci si aspetta
osservare nella zona angolare di interesse, i protoni.
Per ottimizzare la raccolta di luce la faccia anteriore di ingresso delle particelle è
ricoperta con un foglio di mylar aluminizzato di 2 μm. Le pareti laterali e la faccia
posteriore sono avvolte in uno strato di teflon spesso 150 μm, ulteriormente ricoperto
con un foglio di alluminio di uguale spessore per evitare dispersione di luce.
I segnali provenienti dal silicio e dal fotodiodo sono processati da due catene
elettroniche differenti che li trasformano opportunamente per la lettura e la
memorizzazione da parte del sistema di acquisizione. Le catene elettroniche sono tali da
soddisfare alcuni requisiti quali una elevata dinamica (dal MeV sino al GeV), una buona
risposta temporale, che permette di effettuare misure di tempo di volo e quindi di
velocità, una bassa dissipazione della potenza in condizioni di vuoto e un alto livello di
flessibilità nell’accoppiamento dei rivelatori con altri apparati elettronici.
2.3 Tecniche di identificazione
Identificare una particella è una delle funzioni più importanti dei rivelatori e solitamente
si ottiene combinando l’informazione di più dispositivi diversi. Il rivelatore al silicio e
lo scintillatore svolgono due ruoli differenti: il primo misura l’energia e il tempo di volo
delle particelle cariche incidenti; il secondo misurare l’energia rilasciata dalle particelle
che non si arrestano nel silicio. Se l’energia è sufficientemente alta, le particelle
attraversano il primo strato e si fermano nel CsI(Tl).
In CHIMERA sono utilizzate quattro diverse tecniche per misurare l’energia e la
velocità delle particelle rivelate e identificarle in carica e/o massa:
-
Tecnica ΔE-E: utilizza il segnale relativo alla perdita specifica di energia nel
rivelatore al silicio e il segnale proveniente dal CsI(Tl) relativo all’energia
residua della particella. Permette di identificare in carica le particelle che
attraversano il primo stadio del telescopio e per gli ioni con Z<10 permette
anche l’identificazione in massa.
-
Tecnica del tempo di volo (TOF): nota la base di volo, utilizzando la differenza
tra il segnale di tempo in uscita dal silicio e il segnale di riferimento
dell’impulso del fascio (che ha risoluzione tipica di 0.7 ns), legato alla radio
26
frequenza del ciclotrone, consente una misura diretta della velocità. Inoltre
permette la misura della massa (con risoluzioni che dipendono dalla misura del
tempo di volo, tipicamente dell’ordine di 0.5-1 ns) per le particelle che si
arrestano nel primo rivelatore.
-
Tecnica di discriminazione in forma del segnale nei CsI(Tl): è anche detta Pulse
Shape Discrimination (PSD). Sfrutta la proprietà dello scintillatore per cui, a
parità di energia rilasciata nel rivelatore, la ripartizione della luce tra le
componenti fast e slow del segnale dei cristalli dipende dal tipo di particella che
lo attraversa. Conseguentemente correlando tra loro le intensità delle
componenti è possibile identificare le particelle in carica e massa. In particolar
modo consente l’identificazione in carica per le particelle leggere più
energetiche fino a Z=5 e anche una buona identificazione isotopica per le
particelle con Z ≤ 4.
-
Tecnica di discriminazione in forma del segnale nei silici: partendo dall’analisi
della misura del tempo di salita del segnale, si può effettuare l’identificazione in
carica delle particelle che si arrestano nei silici. Tale tecnica è particolarmente
importante e rende unico CHIMERA, grazie ad essa è infatti possibile rivelare
ed indentificare in carica molte particelle di bassa energia che si arrestano nel
primo stadio di silicio su cui per motivi di base di volo troppo corta (telescopi
della sfera ad esempio) la tecnica del tempo di volo fornisce una misura della
massa di bassa risoluzione (dell’ordine di 2-3 unità di massa).
A titolo di esempio si approfondisce la prima tecnica.
La tecnica ΔE-E si basa sulla formula di Bethe e Bloch [Pag01] che esprime la perdita
di energia specifica dE di una particella carica che attraversa un materiale di spessore
dx:
𝑑𝐸 𝑍 2 𝐴
∝
𝑑π‘₯
𝐸
Per un fissato spessore dx la perdita di energia dE di una particella dipende direttamente
dal quadrato della sua carica Z e dalla sua massa A ed è inversamente proporzionale alla
sua energia E. In CHIMERA il segnale di perdita di energia ΔE proviene dal QDC del
silicio e il segnale relativo all’energia residua, rilasciata dalla particella nel secondo
stadio, è dato dalla componente fast del segnale in uscita dallo scintillatore. Riportando
27
ΔE in funzione dell’energia residua o di quella totale della particella (data dalla somma
dell’energia persa più l’energia residua) si ottengono una famiglia di curve del tipo 1/E
in funzione di carica e massa. Queste curve assumono la forma di iperboli e a ogni Z
corrisponde una curva diversa, come previsto dalla formula di Bethe-Block. Dalla figura
sottostante si può notare che la perdita di energia cresce all’aumentare di Z e a parità di
Z cresce con A. Oltre alla separazione delle linee con diverse A, è possibile distinguere
anche i vari isotopi dei differenti elementi rivelati.
Figura 2.4: Matrice ΔE- E ottenuta per un telescopio del ring 10 per la reazione 78 Kr+40Ca a
10AMeV.
Si ottiene un’ottima identificazione in Z grazie alla dipendenza quadratica che
determina una buona separazione delle linee che rappresentano le diverse cariche. La
dipendenza da A è lineare, quindi meno forte rispetto a quella dalla carica, tuttavia per
le particelle leggere si ottiene una buona identificazione isotopica. Tale tecnica alle
basse ed intermedie energie è applicabile ogni volta che una particella attraversa il
primo strato di rivelazione e viene arrestata nel secondo strato.
28
2.4 Studio della funzione di correlazione IMF-IMF
Il presente lavoro di tesi si propone di illustrare un recente studio volto alla
caratterizzazione della funzione di correlazione IMF-IMF in uno specifico caso di fisica
che è la fissione dinamica del PLF nella reazione
124
Sn+64Ni all’energia di 35 AMeV
(esperimento CHIMERA/REVERSE). Tale caso di fisica, ormai ben noto [DEF05,
RUS10, RUS15], ha permesso di fare una sorta di “calibrazione” spazio-temporale della
funzione di correlazione IMF-IMF [EVP16, EVP16b].
Lo studio dell’emissione degli IMF assume importanza critica nell’evoluzione dinamica
di una reazione nucleare, nella sua scala temporale e nel meccanismo di reazione
nucleare. Per accedere alle informazioni spazio-tempo delle sorgenti di emissione ed al
relativo meccanismo di produzione si può usare il metodo della funzione di correlazione
IMF-IMF [EPV16].
Gli IMFs possono essere prodotti sia in reazioni centrali che semi-periferiche, in
particolare, nelle seconde, la cronologia dell’emissione IMF in eventi ternari è stata
ampiamente studiata dal gruppo CHIMERA nell’analisi dell’esperimento REVERSE
[DEF05, WIL05, Rus10]. Gli eventi ternari sono quelli in cui vi è la rivelazione
contemporanea di tre particelle pesanti (TLF, PLF e IMF) con le condizioni
Z1+Z2+Z3>60 e P1+P2+P3>70% del Ppro dove Ppro è la quantità di moto del proiettile. È
ovvio che tali condizioni impongano una quasi completa rivelazione dell’evento di
reazione.
Figura 2.5: Grafico della carica in funzione della componente parallela (rispetto all’asse del
fascio) della velocità delle particelle rivelate nell’esperimento REVERSE.
Nell’esperimento REVERSE si evidenziava un’importante sezione d’urto, in collisioni
non centrali, associata a reazioni ternarie nelle quali PLF e TLF sono accompagnati
29
dall’emissione di IMF. Nella figura 2.5 in cui è rappresentata la carica dei frammenti
rivelati in funzione della propria velocità parallela rispetto all’asse del fascio, è possibile
distinguere il TLF, a bassi valori di velocità < 2cm/ns, il PLF, con valori di velocità
prossimi a quelli del fascio (v~8cm/ns) ed una regione di velocità intermedia detta di
“mid rapidity” caratterizzata da frammenti con carica minore o uguale a 20 (unità di
carica atomica). Il lavoro che si propone di illustrare questa tesi ha come soggetto il
PLF che dopo essere “sopravvissuto” in una reazione semi periferica, trovandosi in uno
stato molto eccitato si diseccita per fissione in due IMFs. D’ora in avanti per IMF
intendiamo frammenti di carica compresa tra 3 ≤ IMF ≤ 25. Al fine di selezionare IMFs
emessi per fissione dal PLF altre due condizioni sono state imposte evento per evento
nell’analisi sperimentale. La prima riguarda la somma delle cariche dei due IMF in
esame che deve essere compresa tra 25 e 50, 25 ≤ ZH+ZL ≤ 50, dove ZH è il numero
atomico dell’IMF di carica maggiore (Heavy) mentre ZL è quello dell’IMF di carica
minore (Light), in modo che la somma dei numeri atomici dei due IMF sia compatibile
con un frammento che dopo aver interagito col target pur perdendo “qualche pezzo”,
tipicamente protoni, neutroni o particelle Alfa, resti ancora un frammento che ricordi il
PLF* (l’asterisco indica lo stato eccitato). La seconda condizione riguarda la velocità
che devono possedere i due IMF. In particolare affinché essi possano essere compatibili
con una emissione da PLF* si impone che entrambi abbiano una velocità parallela
(rispetto all’asse del fascio) maggiore di quella del Centro di Massa della reazione, e
dunque vicina alla velocità del proiettile nel laboratorio, nel nostro caso vpar ≥ 5 cm/ns.
La figura 2.6 mostra, nella parte non ombreggiata gli IMF oggetto della presente analisi.
Per caratterizzare le proprietà spazio-tempo della funzione di correlazione IMF-IMF il
set selezionato di IMF è stato decomposto in tre sottogruppi in funzione dell’asimmetria
di carica ZAsy= ZH/ZL. I tre sottoinsiemi sono: 1 ≤ ZAsy ≤ 2, 2 < ZAsy ≤ 4 e ZAsy > 4.
30
Figura 2.6: Grafico della carica in funzione della componente parallela della velocità delle
particelle rivelate nell’esperimento REVERSE. Il rettangolo non selezionato è quello di
interesse.
Tali intervalli di asimmetria di carica sono stati scelti proprio perché è noto che in tale
reazione [DEF05, RUS10, RUS15] la componente dinamica della fissione del PLF*
(che avviene a tempi inferiori a 600 fm/c) è asimmetrica in massa nella scissione,
mentre la fissione equilibrata (che avviene per tempi molto lunghi anche migliaia di
fm/c) è caratterizzata da una emissione più simmetrica nelle masse dei due IMF. La
funzione di correlazione sperimentale è definita dalla formula (3), in cui al secondo
membro si ha il rapporto tra la resa o yield degli IMFs rivelati in coincidenza (cioè nel
medesimo evento) sulla resa delle coincidenze scorrelate, valutata con la tecnica
dell’event mixing [LIS91], in cui si considerano coppie di IMF provenienti da eventi di
reazione diverse (che per definizione sono scorrelati rispetto al processo fisico
considerato). La funzione di correlazione è calcolata in funzione della variabile velocità
ridotta Vred. Essa è stata introdotta [Kim92] per raggruppare insieme coppie di particelle
(IMF nel nostro caso) aventi differente numero atomico e che quindi sentono
diversamente l’interazione Coulombiana. Nello studio delle funzioni di correlazione
avere un grande numero di particelle da trattare assume una importanza fondamentale al
fine di ridurre l’errore statistico che si commette nel calcolo della (3).
1 + 𝑅(π‘‰π‘Ÿπ‘’π‘‘ ) = 𝐢12
π‘Œπ‘π‘œπ‘–π‘›π‘(π‘‰π‘Ÿπ‘’π‘‘ )
(3)
π‘Œπ‘’π‘›π‘π‘œπ‘Ÿ(π‘‰π‘Ÿπ‘’π‘‘ )
31
π‘‰π‘Ÿπ‘’π‘‘ =
𝑉1 − 𝑉2
√𝑍1 + 𝑍2
(4)
Nella seguente figura vengono mostrate le tre differenti funzioni di correlazione IMFIMF nei tre diversi intervalli di asimmetria di carica ZAsy (rapporto tra le cariche dei due
IMF rivelati).
Figura 2.7: Funzione di correlazione IMF-IMF per 25≤ ZH+ZL ≤50 a differenti intervalli di
ZAsy.
Le tre funzioni di correlazione IMF-IMF mostrano forme molte diverse per i tre range
intervalli di asimmetria considerati, dimostrando di essere estremamente sensibili ai
diversi meccanismi di reazione (e ai tempi di formazione/emissione) che producono gli
IMF nei tre casi. In figura 2.7 per valori di Vred<7x10-3c si può notare una forte anticorrelazione, cioè le tre funzioni di correlazione assumono valori minori dell’unità, il
che è dovuto alla repulsione coulombiana tra i due IMFs. Per valori Vred>7x10-3c il
segnale di correlazione delle tre funzioni mostra un incremento sino al raggiungimento
di un massimo la cui intensità cambia al variare dell’asimmetria. Nel caso della regione
di maggior simmetria, 1≤ ZAsy ≤2, il picco ben definito è centrato in un valore di
velocità relativa ridotta corrispondente a una scissione binaria sequenziale, in accordo
con i valori di velocità relativa dedotti dalla sistematica di Viola per la fissione [Vio85]:
la sistematica di Viola ci fornisce (in funzione della Carica e della massa del sistema
fissionante) la velocità relativa che assumono due frammenti in un breakup
binario/fissione, dovuta alla sola repulsione Coulombiana. Anche nel range di
32
asimmetria 2<ZAsy ≤4 è possibile osservare un picco di correlazione che si estende
nell’intervallo di velocità relativa 7<Vred<17x10-3c. Nel caso dell’ultimo range di
asimmetria non si osserva il picco ma il segnale di correlazione satura all’unita sin dal
valore di circa Vred≈14x10-3c. Le tre funzioni di correlazione saturano ad una forma
piatta a circa Vred≈22x10-3c, si ricorda che in tal caso “piatta” significa che le coppie
presenti al numeratore sono tutte emesse in maniera “statisticamente indipendente”
essendo la funzione di correlazione il rapporto tra le coppie di IMFs rivelate nel
medesimo evento e quelle rivelate in eventi di reazione diverse che sono per definizione
statisticamente indipendenti o “scorrelate”. Per questa ragione il range di velocità
ridotta compreso tra 22<Vred<24x10-3c è scelto per la normalizzazione all’unità. Quello
che si sa con certezza, da studi precedenti, è che la funzione di correlazione fornisce
informazioni sulla configurazione spaziale del processo di emissione e/o sulla rispettiva
scala temporale. Bisogna quindi, approfondire lo studio, per capire l’origine di tali
cambiamenti di intensità e forma, al variare dell’asimmetria di carica, per comprendere
se siano attribuibili a evoluzioni della taglia della sorgente di emissione, a scale
temporali differenti dei meccanismi di reazione dei frammenti emessi o persino ad
entrambi.
Figura 2.8: Grafici di ZH+ZL in funzione della velocità parallela dell’IMF leggero (sopra) e del
pesante (sotto) nei tre range di ZAsy (25≤ ZH+ZL ≤50).
La figura 2.8 mostra la tendenza della somma ZH+ZL a diminuire con l’aumentare
dell’asimmetria di carica dei due IMF, attribuibile ad un incremento dell’energia di
33
dissipazione e della classe di centralità. In referenza [EVP16, EVP16b], si utilizza la
somma ZH+ZL come parametro che indica approssimativamente la “taglia” del sistema
emittente, l’evoluzione in forma delle funzioni di correlazione mostrate in figura 2.7, è
quindi interpretabile sia in termini di cambiamenti nella “taglia” della sorgente sin in
termini di cambiamenti nella scala temporale dei processi o di entrambi. Si ci trova
quindi davanti a una così detta “ambiguità” spazio-temporale della funzione di
correlazione.
Figura 2.9: Molteplicità di carica totale per differenti ZAsy, i range selezionati sono 25≤ ZH+ZL
≤35 (a destra) e 35≤ ZH+ZL ≤50 (a sinistra).
L’analisi sperimentale evolve quindi cercando di risolvere tale ambiguità. In modo
semplice di fare è quello di dividere l’intervallo di somma di carica dei due IMF in due
sotto intervalli: 25≤ ZH+ZL ≤35 e 35≤ ZH+ZL ≤50. La figura 2.9 mostra la finestra di
dissipazione energetica, valutata in termini di molteplicità di particelle cariche rivelate,
evento per evento, rispettivamente, nel pannello di sinistra per l’intervallo di 25≤ ZH+ZL
≤35, e nel pannello di destra l’intervallo 35≤ ZH+ZL ≤50. Si osserva una differenza
consistente nella molteplicità media tra i due sottogruppi il che indica che nei due
sottogruppi la finestra di dissipazione è diversa, in particolare per l’intervallo di somma
minore vi è una maggiore dissipazione essendo la distribuzione centrata intorno la
valore di 10 particelle cariche rivelate, mentre nell’intervallo relativo alla somma
maggiore si osserva una minore dissipazione essendo la distribuzione centrata sul valore
di 7. Tuttavia all’interno di ciascuno dei due sotto intervalli di somma, adesso al variare
34
dell’asimmetria di carica dei due IMF (ZAsy), non si osservano più differenze nella
distribuzione di molteplicità indicando che quindi in ognuno dei due intervalli si ha la
medesima dissipazione di energia al variare dell’asimmetria di carica. Avendo
approssimativamente assegnato alla somma di carica delle due particelle indice di
“taglia” del sistema che emette i due IMF è quindi “ragionevole” pensare che adesso al
variare dell’asimmetria per i due sotto intervalli di somma non abbiamo più variazioni
di “taglia” della sorgente di emissione. Questo, in effetti, va verso la risoluzione al
problema di “risolvere” l’ambiguità spazio temporale della funzione di correlazione
IMF-IMF. Adesso, infatti, eventuali differenze nel segnale di correlazione saranno
attribuibili (in prima approssimazione) unicamente alle variazioni delle scale temporali
che coinvolgono i processi di emissione (fissione) al variare dell’asimmetria di carica e
non più alla “taglia” del sistema fissiona. Ad ulteriore conferma di ciò ci viene incontro
la figura 2.10 che mostra la somma ZH+ZL in funzione della componente parallela della
velocità degli IMF leggeri (sopra) e pesanti (sotto). Tali spettri sono mostrati, a titolo di
esempio, solo nel caso di maggiore dissipazione di energia, nell’intervallo 25≤ ZH+ZL
≤35. In tale figura si osserva immediatamente come adesso la variabile ZH+ZL
all’aumentare dell’asimmetria (nei tre pannelli da sinistra verso destra rispettivamente 1
≤ ZAsy ≤ 2, 2 < ZAsy ≤ 4 e ZAsy > 4) sia considerabile costante, e tale si può quindi
pensare la “taglia” del sistema che emette i due IMF.
Figura 2.10: ZH+ZL in funzione della componente parallela della velocità degli IMF leggeri
(sopra) e pesanti (sotto) nei tre range di ZAsy, nel set 25≤ ZH+ZL ≤35 a titolo di esempio.
35
Figura 2.11: Funzioni di correlazione IMF-IMF per differenti ZAsy, a sinistra 25≤ ZH+ZL ≤35 e
a destra 35≤ ZH+ZL ≤50.
Le funzioni di correlazione, misurate imponendo tali condizioni, sono visibili in figura
2.11. Nel pannello di sinistra le funzioni di correlazione conservano una ben precisa
gerarchia in funzione di ZAsy: all’aumentare dell’asimmetria l’intensità della
correlazione si riduce e la sua forma cambia al di fuori dalle barre degli errori
sperimentali. Ciò implica che nei tre range di asimmetria di carica le funzioni di
correlazione evidenziano marcate differenze nell’evoluzione temporale dei sistemi
emettenti (avendone fissata la “taglia”). La tesi che quindi si sostiene è che le funzioni
di correlazione IMF-IMF mostrano inequivocabilmente una grande sensibilità
all’evoluzione delle scale temporali che coinvolgono i differenti meccanismi che
producono gli IMF nei diversi range di ZAsy, purché si introducano delle opportune
condizioni nella stima della taglia della sorgente. Questa analisi risulta essere in ottimo
accordo con i risultati già pubblicati dal gruppo CHIMERA [DEF05, DEF12, Rus10]. in
cui nel meccanismo così detto di “Fissione Dinamica”, quello che avviene a tempi
confrontabili ai tempi di attraversamento della regione di interazione del sistema
proiettile-bersaglio, il sistema non ha ancora equilibrato i gradi di libertà interni
(principalmente quelli legati alla ridistribuzione dell’energia di eccitazione tra bersaglio
e proiettile) e quindi, è ancora “sensibile” alle caratteristiche (massa, energia, spin,
isospin) del canale di ingresso, viene associato agli IMF con maggiore asimmetria di
carica. Nel pannello di destra della figura 2.11 (35≤ ZH+ZL ≤50), dove è osservata la
36
dissipazione minore associata a collisioni più periferiche, non si osservano differenze
significative, al di fuori delle barre di errore sperimentali. Questo suggerisce che in
quest’ultimo set con più ampia dimensione della sorgente non si presumono differenze
nella scala temporale dei meccanismi di emissione degli IMF al variare della loro
asimmetria di carica.
Per essere sicuri che stiamo guardando la fissione binaria del PLF si investiga più in
dettaglio il rapporto tra la velocità relativa degli IMF e la corrispondente velocità della
sistematica di Viola per la fissione. La velocità di Viola è la velocità che assumono i
due frammenti di fissione se soggetti al solo reciproco campo coulombiano repulsivo. Il
rapporto è mostrato nella figura 2.12 per i tre range di ZAsy e nell’intervallo 25≤ ZH+ZL
≤35 della somma dei due numeri atomici degli IMF. Come si può osservare la maggior
parte delle coppie IMF mostra un rapporto molto vicino all’unità Vrel/VViola=1.1±0.25
(FWHM) nei tre spettri. La forma della distribuzione è leggermente asimmetrica con
una coda verso più ampi valori del rapporto e si estende fino a ~2. Si evince che la
maggior parte delle coppie IMF subisce un decadimento dominato da repulsione
coulombiana a due corpi. Questa è una forte indicazione che il processo di fissione si
verifica in tempi di scala lunghi come tipicamente osservato per il processo di emissione
dove i sistemi TLF-IMF-PLF PLF non sono più in stretta parentela e collegati dal collo.
Figura 2.12: Rapporto tra la velocità relativa dei due IMF e la velocità di Viola per 25≤ ZH+ZL
≤35 nei tre range di asimmetria di carica.
37
Le deviazioni osservate (code) dalla repulsione coulombiana, sino ad una violazione di
circa un fattore due rispetto alla velocità di Viola, suggeriscono che una frazione di
decadimento PLF (~20-30%) soffre l’influenza del campo coulombiano del target creato
nella prima fase della collisione, quindi, ci si aspetta, per tale meccanismo di fissione
del PLF, che accada con un scala temporale minore. Dalla figura 2.13 si possono fare
osservazioni quantitative simili per il range 35≤ ZH+ZL ≤50.
Figura 2.13: Rapporto tra la velocità relativa dei due IMF e la velocità di Viola per
35≤ ZH+ZL ≤50 nei due range di asimmetria di carica.
In questo caso le deviazioni dalla sistematica di Viola sono meno evidenti e la
distribuzione è quasi simmetrica. Quindi, ulteriormente si conferma che la funzione di
correlazione IMF-IMF è sensibile alla scala dei tempi della reazione.
2.5 Confronto col modello teorico
Nel capitolo 1.5 si è discusso il caso della funzione di correlazione protone-protone, si è
detto come il frame teorico di riferimento è quello relativo alla formula di Koonin-Pratt.
Nel caso delle funzioni di correlazione IMF-IMF la formula di Koonin-Pratt perde la
propria validità, infatti non sono soddisfatte le tre ipotesi principali:
I.
Non ci sia interazione con la sorgente dopo l’emissione, infatti, le due
particelle dovrebbero diffondere elasticamente.
Ma nel caso di IMF,
ammesso che esista ancora una sorgente dopo l’emissione, è improbabile che
lo loro interazioni (IMF e sorgente) siano ancora trascurabili.
38
II.
L’interazione tra le particelle che non sono considerate esplicitamente è
trascurabile. Questo vorrebbe dire che la sorgente non viene cambiata
dall’emissione delle particelle, il che è ragionevole per le particelle leggere
ma non può essere vero per IMF che portano con se molta parte di massa e di
quantità di moto della sorgente.
III.
Non c’è correlazione dentro la sorgente tra le due particelle: le particelle
considerate sono molto veloci, hanno piccola carica e piccolo angolo relativo.
Anche questa ipotesi non è corretta a priori alle energie intermedie e
soprattutto nel caso di particelle pesanti.
L’equazione KP è in buon accordo con i calcoli della traiettoria coulombiana e
sembra rimanere valida ma solo nel caso di piccoli IMF aventi 4≤Z≤9, emessi da un
sistema pesante tipicamente prodotto nelle collisioni centrali in cui TLF e PLF non
sono più distinguibili dopo la collisione [KIM92, KIM92b].
Per ottenere alcune informazioni quantitative sulle scale temporali del processo
dinamico è possibile confrontare tra i dati sperimentali e i calcoli dei modelli teorici.
Nel caso della presente analisi i dati sperimentali sono stati confrontati con il modello
CoMD-II [Pap01, Pap07]. Il Constrain Molecular Dynamic model è un modello
fermionico (nel senso dell’anti simmetrizzazione della funzione d’onda), che permette
di stimare diverse variabili dinamiche del meccanismo di reazione, tra cui la scala
temporale, ad esempio, utili ad avere informazioni sullo stesso meccanismo che ha
prodotto le particelle in oggetto. Gli eventi primari sono calcolati, quindi, con il modello
CoMD-II per un tempo sufficiente di evoluzione dinamica, che nel nostro caso è di 650
fm/c. La distribuzione finale dei frammenti è ottenuta usando il codice di decadimento
statistico Gemini [Cha10] per l’eventuale decadimento sequenziale dei frammenti
rimasti in uno stato eccitato.
Nella seguente figura (2.16) sono mostrati i confronti tra le principali osservabili
sperimentali usate in questa analisi e quelle calcolate dalla simulazione. Si osserva un
buon accordo tra i dati sperimentali e la simulazione per tutte le quantità investigate.
39
Figura 2.16: Confronti tra variabili sperimentali (linee continue) e simulate (linee tratteggiate).
E’ da notare che i confronti tra le quantità sperimentali e simulate sono fatte imponendo
le stesse condizioni assunte nell’analisi sperimentale: la quasi completa ricostruzione
dei frammenti di emissione del PLF in termini di carica totale rivelata, la ricostruzione
quasi completa della quantità di moto del PLF in un evento e le ulteriori condizioni sulla
molteplicità di IMF uguale a due e sulla velocità parallela degli IMF. Inoltre si richiede
che la somma del numero atomico dei due IMF sia compresa tra 25≤ ZH+ZL ≤50.
Imporre le stesse condizioni nei dati sperimentali e nella simulazione assicura che
stiamo selezionando la stessa classe di eventi semiperiferici, sia nei dati che nella
simulazione. Purtroppo la statistica ottenuta della simulazione non è sufficiente per
condurre esattamente la medesima analisi sperimentale in termini dell’asimmetria di
carica, ragion per cui, si considerano solo i valori dell’asimmetria più piccola 1≤ZAsy≤2
e per il range della somma delle masse più grande, compreso tra 25 e 50. Confrontando
la funzione di correlazione sperimentale con quella ottenuta dalla simulazione si ottiene
il seguente grafico.
40
Figura 2.17: Confronto tra funzioni di correlazione sperimentali (punti neri) e simulate (punti
rossi).
Nella simulazione il calcolo è stato interrotto a 650 fm/c dopo la collisione per coprire
tutta la fase dinamica della reazione. Le barre di errore della funzione di correlazione
teorica sono ampie a causa della poca statistica. Ad ogni modo con l’attuale precisione
si osserva buon accordo tra i dati sperimentali e le simulazioni. In prospettiva si propone
di fare altre simulazioni, aumentando la statistica e quindi diminuendo l’errore sulla
funzione di correlazione e di studiare le funzioni di correlazione in funzione del tempo
di formazione degli IMF ed anche di confrontare i dati sperimentali con altri modelli.
Variare i modelli, nei confronti con i dati sperimentali, è importante soprattutto per
ottenere delle informazioni sulle proprietà dell’interazione efficace, sulle proprietà delle
interazioni nel mezzo e sulle relative scale temporali che siano quanto più invarianti
possibile dal passaggio di un modello ad un altro.
41
Conclusioni
Questo lavoro di tesi è ispirato ad un recente studio [EVP16] volto alla “calibrazione”
della funzione di correlazione IMF-IMF ed in particolare al suo utilizzo nella
distinzione tra processi dinamici e processi statistici. In particolare è stato scelto un caso
fisico ben studiato dal gruppo chimera che è la distinzione tra la fissione dinamica e
quella equilibrata del PLF nella reazione 124Sn+64Ni a 35 MeV/nucleone.
L’introduzione illustra il tema fisico e la sua attualità odierna, mentre il primo capitolo
lascia spazio a un percorso che parte dall’interferometria di ampiezza fino a maturare
nel metodo HBT (interferometria d’intensità). Si prosegue illustrando le tecniche
sperimentali e mettendo in luce alcune applicazioni. Il capitolo continua con
l’introduzione della funzione di correlazione, esaminando quella protone-protone. Le
particelle rivelate in coincidenza possono aver interagito tramite l’interazione
Coulombiana, di natura repulsiva, che genera degli effetti di anti‐correlazione (R<0) a
piccoli valori di q. Ma vi è anche l’interazione Nucleare responsabile di effetti di
correlazione (R>0) dovuti al contributo attrattivo del potenziale, visibili con la presenza
di picchi e risonanze nelle funzioni di correlazione. La funzione di correlazione trova la
sua formalizzazione teorica per il caso di protoni (e di particelle leggere) nell’equazione
di Koonin-Pratt con alcune applicazioni in cui è possibile stimare la taglia di sorgenti di
emissione.
Nel secondo capitolo si descrive in breve il multi-rivelatore CHIMERA istallato presso i
Laboratori Nazionali del Sud dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (LNS-INFN)
utilizzato per rivelare le particelle negli esperimenti. Si pone l’attenzione sulle principali
caratteristiche del multi-rivelatore in particolare descrivendo i moduli che lo
compongono, formati da rivelatori al silicio seguiti da scintillatori a Iodruro di Cesio
attivato al Tallio per poi esporre le tecniche di identificazione delle particelle. Il capitolo
è incentrato sulle funzioni di correlazione IMF-IMF analizzate a diversi range di
asimmetria di carica (ZAsy) e di somma dei numeri atomici dei due IMF. Esse mostrano
differenze in intensità e forma che lasciano pensare che la funzione IMF-IMF sia un
osservabile sperimentale estremamente sensibile sia alle taglie delle sorgenti dei
emissione sia alle scale temporali caratteristiche del meccanismo di emissione. Infine il
42
confronto con le simulazioni realizzate col modello CoMD-II+GEMINI evidenzia un
buon accordo con i dati sperimentali e permette di porre i capisaldi delle scale temporali
dei meccanismi di fissione del PLF, in particolare ai più simmetrici è associata una
fissione equilibrata e quindi statistica che avviene ad almeno 1000 fm/c dopo la
reazione mentre all’aumentare dell’asimmetria dei due IMF si associa una fissione
“dinamica” che avviene a tempi più brevi dell’ordine di 500 fm/c. Tuttavia dall’analisi
sperimentale emerge la necessità di realizzare nuove simulazioni, rilanciando il calcolo
del modello teorico CoMD-II al fine di aumentarne la statistica e soprattutto
conservando l’informazione relativa al tempo di formazione dei due IMF per studiare le
funzioni di correlazione al variare del tempo di formazione del gli IMF stessi. Si ritiene
inoltre importante confrontare il dati sperimentali con altri modelli del trasporto
cercando di avere informazioni che seppur sono dipendenti dal modello al meno
possano essere invarianti tra i vari modelli.
43
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