I “principi nel diritto privato” tra dogmatica, storia e post

I “principi nel diritto privato” tra dogmatica, storia e post-moderno*
Antonio Jannarelli
SOMMARIO: 1.- Introduzione Sez. I - Dai “principi” organizzativi del diritto alle moderne codificazioni 2.- La
ricerca dei principi tra consolidazione e codificazione: considerazioni generali 3.- I principi tra jus commune e droit
coutumier nell’ esperienza francese dell’Ancien Régime 4.- I principi nell’elaborazione assiomatica del diritto naturale
Sez. II. I principi nella codificazione civile moderna: un intermezzo 5.- Dal Code civil ai codici civili del Novecento
Sez.III Dalle codificazioni ai “principi” nel diritto scritto dentro e fuori i confini nazionali 6.- Dalle regole ai principi
nel costituzionalismo del Novecento: la Carta costituzionale del 1948 7.- I principi nell’ edificazione dell’ordinamento
giuridico europeo tra diritto delle istituzioni e diritto materiale Sez. IV. Dall’età delle regole all’ età dei principi ?
Problemi e prospettive del diritto post-moderno 8. – La normativa per principi nei diritti della persona: una
considerazione d’insieme 9.- I principi nel diritto dell’economia: dalle regole del mercato alla “regolazione” dei
mercati 10.- Il rapporto tra privato e pubblico nel diritto dell’economia: questioni aperte tra diritto dei privati ed i
privati dei diritti 11.- Una conclusione provvisoria e provocatoria. La frantumazione delle sfere di giustizia: dall’età dei
principii ad una nuova età dei prìncipi ?
1.- Introduzione
Nell’avviare la presente riflessione sul tema indicato nel titolo, appare necessario un chiarimento
preliminare al fine di delimitare opportunamente l’ambito della nostra ricerca. Obiettivo
dell’indagine è quello di illustrare sinteticamente o, se si vuole, schematicamente, non solo il ruolo
che i principi hanno svolto e tuttora assolvono nell’elaborazione colta del diritto privato, ma anche
quello del tutto originale e in espansione che essi attualmente conoscono anche nello stesso diritto
scritto.
In termini oltremodo riassuntivi, può dirsi che nell’esperienza giuridica i principi rilevano attraverso
due distinte modalità funzionali. Da una parte, essi costituiscono le ragioni intrinseche delle regole,
le spiegano, esprimono i collegamenti interni tra le stesse, ne permettono l’organizzazione in
maniera coerente ed ordinata: in questo senso essi sono implicitamente immanenti alle regole, per
quanto risultino ”formulati” dalle indagini della cultura giuridica. Come dire, dunque, che a fronte
di un complesso di regole, l’intellegibilità di queste ultime sulla base di legami esistenti tra le
medesime, la loro riconducibilità ad un ordinato sistema esigono,ed in parte presumono,
necessariamente anche la presenza di principi che ne riflettano ed assicurino l’interconnessione.
Dall’altra, l’universo normativo vede l’esplicita presenza di norme formulate non solo in termini di
regole, ma anche in termini di principi: di qui la questione tuttora aperta circa l’effettiva distinzione
tra regole e principi1, in particolare, se si sia in presenza di una differenza strutturale ovvero di una
diversità semplicemente di grado2.
*Relazione tenuta al Convegno CUIA ‘Principi generali del diritto: un ponte giuridico tra Italia e Argentina’,
celebratosi a Brescia nei giorni 9 e 10 maggio 2013.
1
Sebbene autorevole dottrina civilistica, A.FALZEA, Relazione introduttiva, in in I principi generali del diritto, Atti del
Convegno Lincei svoltosi a Roma 27-29 maggio 1991, Roma 1992,13, abbia suggerito di utilizzare il termine regola
giuridica per indicare “ogni possibile forma deontica e perciò, genericamente, sia la norma sia il principio”, nel nostro
saggio si conviene, viceversa, sulla soluzione che distingue tra regole e principi, quali distinte manifestazioni della
norma giuridica, secondo la terminologia accolta in prevalenza dalla letteratura: si v. ex multis R.ALEXY, On the
structure of legal Principles, in 13 Ratio Juris 2000,294ss; ID, Teoria dei diritti fondamentali, Bologna
2012, 101ss;G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Bologna 2008, 205ss; G.PINO, Diritti ed interpretazione, Il
ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, Bologna 2010,52ss. Per una stimolante e suggestiva rilettura
dell’evoluzione storica dell’esperienza giuridica dal punto di vista delle norme si v. K. BENYEKHLEF, Une possible
histoire de la norme: les normativités émergentes de la mondialisation, Virginie Mesguich, 2008.
2
Nella letteratura sono emersi due orientamenti ( il primo è a favore di una distinzione c.d. forte tra principi e regole,
l’altro ritiene,viceversa, trattarsi di una distinzione debole) : per una ricognizione sintetica dei due indirizzi si v.
Non è necessario in questa sede soffermarsi sul sofisticato significato polisemico che “i principi”
assumono attualmente nelle diverse teorie delle norme e della molteplicità delle funzioni che essi
assolvono3, tra cui rientra anche quella di assicurare in apicibus un ponte tra diritto ed etica alla luce
della crisi del positivismo giuridico,o, quanto meno, di una sua versione teorica4. Ai nostri fini, è
sufficiente limitarsi a richiamare in primo luogo una definizione stipulativa degli stessi in termini
di fondamenti e chiave di lettura delle norme, “proposizioni direttrici cui le regole rispondono”5,
come tali dotate di una forza espansiva, di capacità normogenetica e di concretizzazione del sistema
giuridico, caratterizzate, nei loro contenuti, da una flessibilità dovuta appunto al fatto di essere esse
stesse frutto di una, per certi versi inevitabile, “vaghezza combinatoria”6. Ai nostri fini, è
importante, però, tener presente la doppia anima funzionale dei principi che operano ora sul piano
conoscitivo, nella misura in cui esprimono la ratio sottesa alle regole, ora su quello assiologico,
indispensabile per guidare l’individuazione della regola o della decisione7.
G.PINO, Diritti fondamentali e ragionamento giuridico, Torino,2008, 17ss. In ordine alla seconda impostazione,
considerata dalla prevalente dottrina come riduzionistica della differenza tra principi e regole , si v. il recente saggio di
A. JAKAB, Concept and Function of Principles. A Critique of Robert Alexy, in M. BOROWSKI ( a cura di), On The nature
of Legal Principles, Nomos 2010, 145ss.
3
Per un affresco ampio e dettagliato e ricca bibliografia si rinvia per tutti al lavoro di Alpa, I principi generali, Milano
2006. Per una recente rivisitazione del tema si v. i saggi raccolti da S. CAUDAL, Les Principes en droit, Parigi 2008, in
particolare, A. JEAMMAUD, De la polysémie du terme «principe» dans les languages du droit et des juristes, ivi, 49ss.
4
Sul punto, per una preziosa quanto lucida ricognizione, si v. da ultimo G.PINO, Principi tra teoria della norma e
teoria dell’argomentazione giuridica, in Diritto e questioni pubbliche 2012,75ss. E’ utile rammentare che nell’epoca
contemporanea il tema ha acquisito un rilievo particolare nel dibattito costituzionale, relativo appunto alle Costituzioni
in cui il richiamo ai principi è fondamentale, con riferimento tanto alla questione relativa alle peculiarità dell’
ermeneutica costituzionale, rispetto a quella della legge, quanto al tema connesso circa il rapporto tra principi e valori:
si v. al riguardo la recente dura polemica intervenuta tra R. GUASTINI, Sostiene Baldassarre, in Giur. Cost. 2007,
1373ss; e lo stesso A. BALDASSARRE, Una risposta a Guastini, ivi, 3251ss. Per altri riferimenti, si v. G. SILVESTRI,
Dal potere ai principi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Roma- Bari 2009,35ss e G.
BONGIOVANNI, Principi come valori o come norme: interpretazione, bilanciamento e giurisdizione costituzionale in
Alexy e Habermas, in 10 Ars Interpretandi. Annuario di ermeneutica giuridica Valori, Principi e Regole 2005, 177ss.
5
Nei medesimi termini, sia pure con riferimento al diritto naturale, si esprimeva C.THOMASIUS, Fundamenta juris
naturae et gentium, Lipsia 1708, 120 per il quale il principium individua una “propositio prima & generalissima juris
naturae, unde reliqua omnia deduci possunt”. Sulla norma come proposizione si v. N.BOBBIO, La norma come
proposizione prescrittiva, in ID, Teoria della norma giuridica, Torino 1958, 75ss.
6
Nell’individuare la distinzione di fondo tra regole e principi la letteratura sottolinea in prima approssimazione che nel
caso delle prime, la norma giuridica presenta una struttura binaria: una protasi, che individua la “condizione” della sua
applicazione, e un’ apodosi, ossia la conseguenza che ne discende. Viceversa, i principi sfuggono a questa struttura. Si
tratterebbe dunque di norme senza fattispecie, strutturalmente indeterminate: i principi non prevedono soluzione
specifiche per i possibili casi, ma indicano i criteri da prendere in considerazione per risolverli. Sicché, in ragione di
questa distinzione strutturale, mentre le regole non sfuggono all’alternativa per cui o sono applicabili o non lo sono, pur
potendo ammettere eccezioni, e si presentano, come definitive commands, i principi, viceversa, sono optimization
commands, applicabili con gradualità,in quanto dotati di “peso” per cui possono confliggere tra loro, si presentano
come reasons for rules, al fine di individuare volta a volta la soluzione ottimale: per alcune riserve e puntualizzazioni
su queste conclusioni di R. Alexy (On the structure of legal Principles cit.295 ), perfezionate a sua volta da
questo studioso nelle sue successive opere, si v. l’illustrazione di recente offerta da C. BÄCKER, Rules,
Principles, and Defeasibility, in M. BOROWSKI ( a cura di), On the Nature of Legal Principles, cit. 79ss.
7
Per la distinzione indicata nel testo si v. in particolare JESTAZ (P.), Principes généraux, adages et sources du droit
en droit français, in Autour du droit civil. Écrits dispersés, Idées convergentes, Paris, Dalloz, 2005, p. 225, , il quale
parla appunto di un principio rationalisateur e di principio axiologique. Mentre il primo chiarisce e struttura il diritto
scritto, fornendo agli interpreti gli elementi per la sua comprensione ed è dunque frutto di un’ elaborazione
concettuale ( descrittiva), quello assiologico ( con valenza prescrittiva per quanto indeterminata) è indimostrabile in
quanto postula valori che debbono guidare nella determinazione della specifica regola o della decisione da prendere.
L’individuazione dei primi è opera prevalentemente della dottrina giuridica; quanto ai secondi, la loro “rivelazione” si
lega fondamentalmente ad una affermazione “solenne” della legge che, nella nostra epoca, si identifica in primo luogo
con le carte costituzionali. Di qui, secondo altra letteratura, la distinzione tra i principi del diritto ( aventi valenza
La presenza ed operatività dei principi, innanzitutto nel processo produttivo del diritto e
nell’elaborazione giuridica della dottrina, evidenziano, in effetti, una costante dell’esperienza
giuridica a noi più vicina, nel segno, peraltro, di quella circolarità che esiste tra la riflessione dei
giuristi sul materiale giuridico, oggetto della loro investigazione, e la formale produzione del diritto,
sia essa affidata al legislatore ovvero ai giudici. A questo riguardo, può ritenersi illuminante
l’osservazione di Mengoni in ordine alla più generale distinzione, soprattutto nell’area del c.d. civil
law, tra i concetti normativi, presenti nel diritto scritto o posito, ed i concetti ordinatori adottati
dall’elaborazione della dottrina giuridica8. E’ evidente, infatti, che nel corso dell’esperienza
giuridica, la grammatica e la sintassi del diritto mutano in relazione proprio al rapporto circolare che
esiste tra l’elaborazione da parte dei giuristi sia di un linguaggio sempre più tecnico, sia di concetti
giuridici in funzione euristica, cui segue normalmente il loro progressivo accoglimento nel diritto
positivo, e la stessa legislazione, la quale, a sua volta, prospetta contenuti normativi nuovi su cui i
giuristi sono chiamati a riprendere e/o rivedere le loro riflessioni, nonché ad avanzare rinnovate
letture e costruzioni dogmatiche9.
Sotto questo profilo, dunque, la presenza di principi è fondamentale, sia ai fini dell’ elaborazione
del diritto privato10, sia per la prospettazione e l’organizzazione coerente delle singole regole11 di
cui esso è composto: i principi, in definitiva,trascendono le regole positive e ne assicurano
l’organizzazione ordinata secondo una struttura razionale. Come è stato sinteticamente rimarcato, in
tanto “le droit privé est codifiable” in quanto “peut s’exprimer selon un codage dont la science
conoscitiva) ed i principi di diritto ( aventi piena valenza normativa): sul punto si v. P. MORVAN, Le principe de droit
privé, Paris, 1999, p. 6ss.
8
L.MENGONI,Dogmatica giuridica,in ID,Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano 1996,32 secondo un’
impostazione, a proposito dei contetti normativi, che si differenzia da quella offerta da K. ENGISCH, Introduzione al
pensiero giuridico, Milano 1970, 172ss. Sul punto si v. anche LUHMANN, Il diritto della società, Torino 2012, 361
secondo il quale, “I concetti devono essere impiegati in modo consistente ed uniforme in relazione a se stessi e in
relazione alle distinzioni marcate da essi (come le parole del linguaggio). I concetti formano una seconda rete di
sicurezza disponibile metatestualmente per la ridondanza del sistema. E una volta che i concetti sono elaborati e i testi
giuridici si servono del loro linguaggio, è quasi impossibile che l’argomentare giuridico possa prescindere dai concetti.
Si possono introdurre nuove distinzioni, raffinare i concetti, decostruire oppure ……cercare concetti superiori. Però
ribellarsi ai concetti è una cosa senza senso, come ogni tentativo di arrivare ad un giudizio basato solo su valori e
interessi”. Sul rilievo dell’impostazione metodologica nella stessa configurazione della dommatica sono sempre utili i
rilievi di U.SCARPELLI, La teoria generale del diritto. Prospettive per un trattato, in ID( a cura di), La teoria generale
del diritto. Problematiche e tendenze attuali, Milano 1983, 281ss, in part.331ss. Sul tema, si v. da ultimo A. GENTILI, I
concetti nel diritto privato europeo, in ID, Il diritto come discorso, Trattato di diritto privato a cura di G.Udica e P.
Zatti, Milano 2013, 227ss.
9
La circolarità del percorso evidenzia altresì l’ improponibilità dell’ impostazione che considera il lavoro dei giuristi,
volto all’ organizzazione sistematica del diritto, soltanto un discorso “sul” diritto e, dunque, estraneo al processo
produttivo del diritto: infatti, anche i giuristi partecipano comunque al processo interpretativo alla stessa stregua degli
altri operatori del diritto sebbene siano questi ultimi ( si pensi in primo luogo ai giudici) chiamati ad applicarlo: sul
punto si v. tra i più recenti contributi R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, in Trattato di diritto
civile e commerciale, diretto da Cicu, Messineo e Mengoni e continuato da P.Schlesinger, Milano 2004, 137. Assai di
recente si v. il contributo di G.B.RATTI, Sistema giuridico e sistemazione del diritto, Torino2008.
Illuminante, come sempre, la riflessione più matura di T. Ascarelli, T.ASCARELLI, Hobbes e Leibniz e la dogmatica
giuridica, saggio introduttivo, al volume TH. HOBBES, A dialogue between a philosopher and a student of the common
laws of England – G.W. VON LEIBNIZ, Specimen quaestionum philosophicarum ex iure collectarum. De casibus
perplexis. Doctrina conditionum. De legum interpretatione Milano 1960, secondo il quale i concetti dogmatici elaborati
dalla dottrina non riflettono tanto l’intelligenza di dati da considerarsi come già esistenti, sì da contribuire all’
evoluzione di una riflessione su un diritto dato, ma partecipano e favoriscono lo sviluppo stesso del diritto, posto che
tali concetti rispecchiano concezioni generali e diventano strumento per la loro traduzione nel diritto.
10
Per la esperienza francese, si v. F. ZENATI-CASTAING, Les primncipes généraux en droit privé, in S. CAUDAL, Les
Principes en droit cit., 257ss; nonché M.DE BÉCHILLON, La notion de principe général en droit privé, Aix Marseille,
1998.
11
Infatti, i principi sono chiamati appunto anche a giustificare singole regole e/o complessi di regole.
juridique fournit le pricipe”12: i principi, in altre parole, strutturano un complesso di norme e ne
costituiscono le chiavi di volta.
Ebbene, la breve parabola storica che qui si vuole tracciare intende in primo luogo ripercorrere
l’emersione della progressiva consapevolezza in ordine al ruolo che i principi hanno assunto non
soltanto nel dare fondamenta teoriche al diritto, ma anche nella configurazione sistematica del
diritto privato, alla base poi del movimento codificatorio moderno. Consapevolezza che si è
significativamente rinnovata nell’esperienza giuridica europea più recente per via dei processi volti
alla costruzione di un diritto privato transazionale, per cui sono emerse a livello europeo nuove
riflessioni e diverse iniziative al riguardo.
In secondo luogo, si intende prendere altresì in esame anche la singolare stagione, a noi più vicina,
nella quale i “principi”, lungi dall’essere soltanto “impliciti” nel complesso delle regole scritte e alle
spalle di queste ultime, in definitiva, assunti come rispondenti a strumenti concettuali individuati
dai giuristi per dare ordine alle regole e favorire la costruzione di un loro ordine sistematico13, per
quanto connettivamente presenti nell’universo normativo ed in linea proprio con il carattere
autopoietico del diritto, si rinvengono esplicitamente, ed in misura esponenziale, nel corpo della
stessa disciplina privatistica: essi appaiono assumere le sembianze di vere e proprie norme, sia pure
di rango o grado diverso da quelle ordinarie ( le regole in senso stretto), con la conseguenza, tra
l’altro, di fornire nuovo alimento al dibattito emerso negli ultimi decenni in ordine proprio alla
distinzione tra regole e principi 14che ha tratto origine dal moderno costituzionalismo15.
In definitiva, da essere stati fondamentalmente soltanto i paradigmi presenti alle spalle delle regole
introdotte nel diritto scritto e chiamati a rendere queste ultime intellegibili ad una ordinata e
coerente lettura da parte di tutti gli operatori del diritto16, attualmente, i principi sempre più entrano
a pieno e direttamente nella visibile trama narrativa degli enunciati e, dunque, sono chiamati a
svolgere un ruolo del tutto originale in grado di modificare il complessivo assetto del diritto
privato17. Come dire, dunque, a voler riprendere quanto già suggerito, che in questo caso è il profilo
assiologico a prevalere, quale giustificazione della regola o della decisione da applicare al caso
concreto18, per cui, in questa prospettiva, i principi si presenterebbero come norme sicuramente
12
Così V.FORRAY, Le droit privé comme res publica européenne, in GPR – European Community Private Law Review,
2012, 288.
13
Sul ruolo dei giuristi nella costruzione del sistema si v. il prezioso lavoro di G. B.RATTI,Sistema giuridico e
sistemazione del diritto, Torino 2008
14
Su questo ultimo tema, al centro di una vastissima letteratura, si rinvia alle stimolanti osservazioni di G. PINO,
Principi e argomentazione giuridica, in Ars Interpretandi Annuario di Ermeneutica giuridica 2009, 131ss. Salvo il
rinvio a quanto si dirà in prosieguo nel testo, è peraltro evidente che nell’ambito della polisemia del termine si colloca,
ma con un significato del tutto improprio, la sua utilizzazione a proposito ad es. dei c.d. Principi Unidroit in materia di
contratti ovvero dei Principles of European Contract Law elaborati dalla Commissione Lando nel 1980: infatti, in
questo casi, il termine si riferisce, in forma impropria, ad un complesso di regole generali in materia di contratto ( a
set of general rules …in the field of contract law), laddove i principi in senso stretto cui qui si intende far riferimento
sono da identificarsi con des règles de portée générale, inspirèes par certains valèeur métajuridique, ayant un caractère
extrêmement vague et abstrait”: in questi termini, F. PELLEGRINO, Raisannabilité prévisibilité et flexibilité dans les
principes du Droit Européen des Contrats, in Rev. droit de l’Union européenne 2013, 461
15
Sul significato del neocostituzionalismo riferito fondamentalmente alle esperienze maturate nel Novecento in cui la
positivizzazizione di istanze assiologiche è andata oltre i tradizionali diritti di libertà per abbracciare, anche in chiave
solidaristica, la promozione dei diritti sociali, si v. per una prima ricognizione S. POZZOLO, Neocostituzionalismo.
Breve nota sulla fortuna di una parola, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2008, p. 405ss.
16
A proposito dei principi si v. ex multis N. MACCORMICK, Legal Reasoning and Legakl Theory, Clarendon 1978 il
quale riconosce loro l’esecizio di funzione esplicativa e giustificativa delle regole e di razionalizzazione delle stesse.
17
Il fenomeno, ovviamente, trascende la sola area del diritto privato. Sulle conseguenze sistemiche legate alla presenza
di clausole generali e di principi nelle disposizioni attributive del potere pubblico,e, dunque, sul conseguente significato
e ruolo della discrezionalità amministrativa, si v. le recenti riflessioni di L.R. PERFETTI, Discrezionalità amministrativa,
clausole generali e ordine giuridico della società, in Diritto amm. Riv. trim. 2013, 309ss.
18
Sul punto si è sostenuto che i principi, “ per realizzarsi hanno bisogno di essere concretizzati da principi secondari e
da singole valutazioni fornite di contenuto materiale autonomo”: si v. C.W.CANARIS,Systemdenken und Systembegriff
indeterminate19, ma non indeterminabili in quanto il loro significato operativo è individuabile
soltanto in concreto.
Sez.I -- Dai “principi” organizzativi del diritto alle moderne codificazioni
2.- La ricerca dei principi tra consolidazione e codificazione: considerazioni generali
Nell’ambito dell’esperienza giuridica occidentale può ben dirsi che il superamento del metodo
casistico, seguito per molti secoli nella riflessione giuridica privatistica, a favore di quell’approccio
concettuale20 il cui precipitato più maturo,in termini di approdo decisivo, è da rinvenirsi proprio
nella moderne codificazioni civili21, ha conosciuto il suo avvio dal momento in cui i giuristi,
superata la stagione della glossa e dell’analisi casistica22, hanno avvertito sempre di più l’esigenza
di organizzare il sapere giuridico sulla base di regole generali e di principi, a prescindere dalle
diverse circostanze per cui il progetto normativo cui dedicarsi: a) avesse come punto di riferimento
soltanto i contenuti disciplinari offerti dal diritto romano, in particolare, dal deposito sapienziale
presente nelle Pandette giustinianee da secoli assunte come “ratio scripta”23 e che anche in quella
stagione storica avevano conservato l’autorità di “testo sacro”24; b) ovvero si indirizzasse, molto più
semplicemente, a mettere ordine al diritto consuetudinario affermatosi nei paesi europei al fine di
sottrarlo alla frammentazione e al particolarismo dovuto appunto alla presenza su territori tra loro
molto vicini di un articolato droit cotumier, a sua volta emerso pur sempre25 all’ombra dello jus
in der jurisprudenz, Berlin 1969, il cui brano è così riportato in R.ALEXY, Teoria dell’argomentazione giuridica,
Milano 1998, 9.
19
Sul punto si v. R. GUASTINI,Interpretare e argomentare, Milano 2011, 176ss.
20
Su questo itinerario, con particolare riferimento proprio alle tematiche del diritto privato, si v. ora i saggi raccolti da
JOHN W. CAIRNS, PAUL J. DU PLESSIS (a cura di), The Creation of the Ius Commune From Casus to Regula, Edinburgh
Un. Press 2010. Sul punto, con particolare riferimento alla metodologia dei giuristi romani, restia alle astratte
formulazioni di principi, è sempre preziosa la lettura di P.STEIN, Regulae iuris. From Juristic Rules to Legal Maxims,
Edinburgo 1966. Sul medesimo tema si v. di recente J. SALDAÑA, Regole e Principi. L’origine e il contenuto morale dei
principi giuridici nelle regulae iuris, in Ars Interpretandi, 2005, Valori, Principi e Regole, 271ss.
21
E’ stato rimarcato che esiste un nesso tra l’ idea della codificazione moderna e l’epoca del c.d. diritto di ragione in
quanto la prima è basata “ in genere……su una visione non dialettica e antistorica della realtà”: così EW.BÖCKENFÖRDE, Diritto e secolarizzazione, Roma-Bari, 2010, 23 nt.60.
22
Ci si riferisce, in particolare alla stagione di indagine giuridica riapertasi in Europa agli inizi del secondo millennio
grazie anche alla riscoperta dei Digesta di Giustiniano: sul punto si v. il lavoro di C.M.RADDING, Le origini della
giurisprudenza medievale. Una storia culturale, Roma 2013.
23
Sul significato della ratio scripta riferita al diritto romano nelle vicende del diritto europeo, si v. per tutti A.
GUZMAN,Ratio scripta, Frankfurt 1981; quanto alle diverse conseguenze che la configurazione del diritto romano come
lex scripta più che come ratio scripta determinava nell’ esperienza francese premoderna in ordine all’applicabilità del
droit coutumier si v. A. WATSON, The Evolution of Western Private Law , JHU Press 2001,236. Al riguardo è il caso di
ricordare che ai primordi del processo di nazionalizzazione del diritto, in pieno Cinquecento nell’ esperienza francese
GUY COQUILLE identificava il diritto francese con quello consuetudinario, puntualizzando, esplicitamente, che “le
droit civil Romain n’est pas nôtre Droit Commun, & n’a force de Loy en France; mais y doit étre allegué soulemente
pour la raison”: così in Les oeuvres de maistre Guy Coquille, sieur de Romenay, contenans plusieurs traitez touchant
les libertez de l'église gallicane, l'histoire de France et le droit français, entre lesquels plusieurs n'ont point encore esté
imprimez, Labottiere 1703, 2.
24
In questi termini, L.MENGONI, op. cit.28. Sulla presenza del diritto romano nella cultura europea, si v. l’elegante
sintesi offerta da P. STEIN, Roman Law in European History, Cambridge 1999.
25
Nel senso che, con specifico riferimento all’ esperienza francese, “l’avènement du droit coutumier serait un produit
de la renaissance du droit romain et non une réaction de défense de règles propres aux communautés d’habitants du
Nord et du Centre de la France” si v. JL HALPERIN, Est il temps de decostruire les mythes de l’histoire du droit
français?, in Clio Themis 2012, 6.
commune di ispirazione romanistica26; c) o si allontanasse da entrambi, ma senza perderne
l’influenza, a partire dalla stessa formazione culturale ed educazione dei giuristi, alla ricerca di un
diritto di ragione lungo le linee di approccio proprie del giusnaturalismo27. Non deve sorprendere,
allora, se la piena consapevolezza di questa linea sia stata sinteticamente colta da Kant, sebbene
nella prospettiva della consolidazione del diritto esistente, più che nell’ottica della rivoluzionaria
codificazione napoleonica, allorquando ebbe a rimarcare che “ è antico desiderio, che, non so
quando, ma giungerà forse un dì al suo compimento, si possa scoprire in luogo della molteplicità
delle leggi civili, i loro principi: giacché soltanto in ciò può consistere il segreto per semplificare,
come si dice, la legislazione”.28
Senza qui prospettare una cronologia puntuale di questo percorso che ha caratterizzato, sia pure in
guise diverse, la storia giuridica europea29, è sufficiente segnalare che in una prima fase,
rispondente sostanzialmente al maturo autunno del Medioevo, la problematica relativa alla
individuazione dei “principi del diritto”, ivi compresi quelli relativi al diritto privato, si è incentrata,
preliminarmente, sull’ineludibile tema riguardante la rispondenza dei principi su cui costruire
razionalmente il contenuto del diritto positivo con quelli riconosciuti di rango superiore, ossia con
le verità metafisiche autoevidenti rinvenibili nella tradizione e nei valori spirituali del cristianesimo:
a tacer d’altro, una manifestazione paradigmatica di questa prospettiva nell’ambito del diritto
contrattuale30 e del faticoso quanto tortuoso percorso circa il suo superamento, ben si rinviene nel
secolare dibattito sull’usura31, sulla ammissibilità di mutui a titolo oneroso e sul cambio delle
26
Sul tema dello jus commune , al centro di una rivisitazione della ricerca ( su cui v. JL HALPERIN, L'approche
historique et la problématique du jus commune in 52 Revue internationale de droit comparé 2000, 717ss), si rinvia per
tutti a M. CARAVALE, Alle origini del diritto europeo. Ius commune, droit commun, common law nella dottrina
giuridica della prima età moderna., Bologna 2005;A. PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa dal medioevo
all’età contemporanea, Bologna 2007173ss, nonché ai saggi che si leggono in R.H. HELMHOLZ e V. PIERGIOVANNI ( a
cura di), Relations between the jus commune and English Law, Rubettino 2009 e al contributo di C. S. CERCEL, Le “jus
commune” dans la pensée juridique contemporaine, ou le comparatisme perverti, in P.LEGRAND ( a cura di), Comparer
les droits, résolument, Puf 2009, 457ss. Su gli opportuni caveat circa gli indirizzi emergenti nella recente letteratura
europea, si v. le accorte puntalizzazioni di M. BRUTTI, Per la scienza giuridica europea ( Riflessioni su un dibattito in
corso) in Riv. trim, dir. pubbl.2012, 905ss
27
E’ evidente che qui si fa riferimento alla specifica vicenda culturale emersa in una particolare stagione della storia
europea: sulla molteplicità di significati che assume l’espressione diritto naturale e sull’ ineludibilità di una analisi
storicamente orientata per la sua comprensione, si v. per tutti S. GOYARD-FABRE, Les embarras philosophiques du
droit naturel Vrin, 2002. Sul punto, con esplicito riferimento al rinvenire nell’emersione del diritto naturale “un
atteggiamento progressista, critico nei confronti del diritto tramandato” e al fatto che in esso si rifletta la mancanza di
una “ chiara separazione tra aspettative cognitive e normative” sicché “ per il diritto naturale si ricorre alla verità,
nondimeno però la prova dell’errore , e quindi l’apprendimento, è normativamente esclusa” si v. N. LUHMANN, La
differenziazione del diritto, Bologna 1990, 111-112.
28
E. KANT, Critica della ragion pura,oggi leggibile anche in www.ousia.it, 238.
29
Per una recente traccia si v. L. SOLIDORO MARUOTTI, La tradizione romanistica nel diritto euopeo. Dalla crisi dello
jus commune alle codificazioni moderne, Giappichelli Torino Vol 2, 2010.
30
Sullo specifico punto, in ordine al ruolo svolto dalle riflessioni degli stessi teologi cattolici oltre a quelli di area
protestante, si v. la recente ampia quanto suggestiva indagine di W.DECOCK, Theologians and Contract Law: The
Moral Transformation of the Ius Commune (ca. 1500-1650), Martinus Nijhoff Publishers, 2012.
31
E’ su questo terreno, del resto, ed ancor prima che si manifestassero a pieno le spinte dovute alla nascita degli Stati e
all’assolutismo dei sovrani le quali avrebbero definitivamente messi a tacere i teologi rispetto ai giuristi (si rammenti il
silete theologi in munere alieno di Alberico Gentili richiamato da C. SCHMITT, Ex captivitate salus, Milano 1987) che
si prospetta consapevolmente l’autonomia dei saperi e delle scienze anche quelle sociali. Significativa, nella prospettiva
emersa in Europa con il movimento protestante, l’affermazione originale del teologo luterano F.MELANTHON, secondo
il quale “Evangelium sicut nec abolet nec improbat Arithmeticam aut Architectonicam aut Medicam artem, sic non
abolet nec improbat Oeconomicum et Politicum ordinem” : la citazione si rinviene in R.SAVELLI, Diritto romano e
teologia riformata: Du Moulin di fronte al problema dell'interesse del denaro, in XXIII Materiali per una storia della
cultura giuridica, 1993, 320. Su Melanthon, si v.H.J. BERMAN, Diritto e rivoluzione II L’impatto delle riforme
protestanti sulla tradizione giuridica occidentale, Bologna 2003,136ss; 204ss. Sotto questo profilo, può avanzarsi
qualche legittimo dubbio quanto all’affermazione di J. COMMONS, Institutional Economics – its place on Political
Economy, Rutherford, 1989, p. 685, che rigidamente fa risalire soltanto al 1689, ossia all’anno della gloriosa
rivoluzione di Cromwell, l’emersione della distinzione tra economia e politica.
monete32 alla base dell’elaborazione del primo moderno diritto mercantile, cui seguirà quello
relativo al principio nominalistico proprio del moderno sistema bancario presente negli Stati
sovrani33. Solo successivamente, grazie soprattutto alle elaborazioni giusnaturalistiche, a cominciare
da Grozio, si è andato sempre di più diffondendo la convinzione per la quale, in definitiva, il
sistema giuridico non è che formato da principi autonomi fondati sulla ragione e dunque validi
etiamsi daremus non esse Deum e che questi soltanto ne permettono l’edificazione.
A partire dalla riforma protestante, il conseguente spostamento del fondamento del diritto dalla
tavola dei valori riconducibili ad un particolare credo religioso al nuovo orizzonte fondato sulla
ragione umana e sulla razionalità, al cuore del moderno giusnaturalismo34 e della progressiva
autonomia riconosciuta ai singoli saperi, si è andato saldando con l’esigenza, sempre più incalzante,
di sostituire l’ormai inappagante jus commune, peraltro già ampiamente eroso dallo svilupparsi di
una molteplicità di diritti consuetudinari a carattere ed operatività locali, con un diritto privato che:
a) fosse all’altezza delle esigenze di semplificazione e unificazione del diritto privato (a
prescindere, dunque, da una vera propria codificazione)35, emerse in connessione con lo strutturarsi
dello Stato moderno, assoluto, unitario e accentrato, nonché con la formazione di mercati allargati a
livello “nazionale” dovuti alla crescente egemonia della civiltà urbana su quella rurale, b) e che,
soprattutto nell’epoca dell’ assolutismo illuminato, fosse direttamente fruibile dai sudditi proprio al
fine di facilitare il legame diretto tra sovrano e popolo, in termini di chiarezza, coerenza e di
certezza, e, come tale, potesse essere anche al riparo dal tradizionale monopolio sapienziale dei
giuristi e degli operatori del diritto che aveva contraddistinto il lungo periodo storico che si andava
concludendo36.
3.- I principi tra jus commune e droit coutumier nell’ esperienza francese dell’Ancien Régime
La traccia già ora sinteticamente preannunciata può ben rinvenirsi in alcuni esponenti della cultura
giuridica che hanno favorito e preparato il terreno per la successiva codificazione moderna e per i
quali l’ elaborazione e sistemazione del diritto privato, anche solo in vista di una semplificazione e
contrazione del materiale normativo accumulatosi37, esigevano appunto l’individuazione di principi
32
Sul punto si v. per tutti R. SAVELLI, In tema di storia della cultura giuridica moderna:”strade maestre” e “sentieri
dimenticati che si legge in www.giuri.unige.it.
33
Al riguardo, restano preziose la pagine di P.GROSSI, Ricerche sulle obbligazioni pecuniarie nel diritto comune,
Milano 1960.
34
Una ricognizione degli sviluppi del diritto naturale a partire proprio dalla riforma luterana, in particolare dai lavori di
Grozio, si rinviene nella matura riflessione di C.THOMASIUS,Pauolo Plenior Historia juris naturalis, Magdeburgo
1719,2ss, in particolare 58ss. Una successiva preziosa mappa dei diversi orientamenti emersi sino agli inizi
dell’Ottocento si rinviene inK.H.L.PÖLITZ De mutationibus, quas systema iuris naturæ ac gentium a Grotii temporibus
hucusque expertum fuerit, commentatio literaria, Graessler 1805. Sull’elaborazione del diritto naturale agli inizi dell’età
moderna esiste una letteratura immensa: per un quadro sintetico si rinvia a J. SCHRÖDER,The Concept of ( Natural)Law
in the Doctrine of Law and natural Law of Early Modern Era, in L. DASTON e M. STOLLEIS ( a cura di), Natural Law
and Laws of Nature in Early Modern Europe: Jurisprudence, Theology, Moral and Natural Philosophy , Ashgate ed.
2008, 57ss
35
Sulla distanza tra il processo, posto in essere dalla dottrina, volto alla individuazione e alla semplificazione del
diritto da ritenersi vigente sulla base anche della ricostruzione storica dell’accumulo dei materiali e la moderna
codificazione, politicamente indirizzata da un centro propulsore, insiste opportunamente P.CARONI, Saggi sulla storia
della codificazione, 1998,39ss; sul punto resta sempre preziosa la linea tracciata da M.E. VIORA,Consolidazioni e
Codificazioni. Contributo alla storia della codificazione, Torino 1967.
36
Al riguardo, è interessante la lettura fornita a metà dell’Ottocento da F.LAURENT, Principes de Droit Civil, tomo I,
Parigi 1869. Nella sua Introduzione (p.42) così Laurent descriveva la situazione premoderna, contrapponendola a
quella seguita alla codificazione napoleonica: “ Sous l’ancien régine, les jurisconsultes français avaient aussi des allures
trés-libres. Dans les pays de droit écrit, le droit romain étai un droit traditionnel plutôt qu’un droit législatif. Dans les
pays coutumiers, il n’avait généralement qu’une autorité de raison; dès lors la raison le pouvait discuter, e tau besoin
s’en écarter. C’est ce que Pothier fait à chaque instant, au nom de l’équité. Nos anciens légistes modifiaient donc le
droit traditionnel: c’est dire qu’ils aidaient à developer le droit, ils le créaient”. In generale sul punto si rinvia per tutti a
L. LOMBARDI VALLAURI, Saggio sul diritto giurisprudenziale,Milano 1967, in part. 79ss.
37
E’ bene rimarcare che la codificazione moderna ha rappresentato pur sempre un momento di significativa rottura
rispetto alla precedente esperienza ( si v. sul punto P. GROSSI, Mitologie giuridiche della modernità,Milano, 2001, 99 il
generali cui ispirare la puntuale armonica fissazione delle singole regole nelle diverse specifiche
aree, quali il diritto di famiglia, il diritto dei contratti, etc.
Quanto, ad es., all’ esigenza, emersa chiaramente e precocemente nella dottrina d’oltralpe, di
mettere ordine al variegatissimo diritto consuetudinario, al fine dell’unificazione del diritto
francese38, è di sicuro rilievo per la sua originalità il progetto di cui si fece portatore, già alla metà
del Cinquecento, il Du Moulin39, nella sua Oratio de concordia et unione consuetudinum
Franciae40 , sintetico scritto programmatico, non a caso dedicato appunto “ad omnes Veritatis et
Reipublicae studiosos praesentes et futuros”. A fronte di una vastità di consuetudini
sostanzialmente incerte ed in parte non ancora scritte, quel grande giurista non aveva dubbi nel
ritenere che in tota Repubblica non vi fosse opera più utile e lodevole da suggerire “quam omnium
diffusissimarum, et ineptissimae saepe variantium huius regni Consuteudinum, in brevem unam,
clarissimam et aequissimam consonantiam reductio” [ il corsivo è nostro]. Senza qui analizzare
minutamente la proposta di Du Moulin, che meriterebbe un’ indagine approfondita, è sufficiente
osservare che l’autore era certamente consapevole delle difficoltà e delle obiezioni che si sarebbero
potuto avanzare nei confronti di una operazione destinata anche a rimuovere incertezze e soprusi
che si erano nel tempo accumulati nelle articolazioni locali dell’ esperienza giuridica e di cui egli
aveva piena contezza. Ad ogni modo, egli non aveva dubbi che quella fosse la via migliore e la più
facile per assicurare certezza al diritto e ridurre il contenzioso.
A suo dire, infatti, “Et in summa, pro multis diffusissimis plurium variantissimarum, contrariarum,
nonnumquam obscurarum, iniquarum ineptarum, mancarum Consuetudinum libris, litibus quidem
ferendis et propagandis, lucrisque et cavillis Pragmaticorum idoneis, brevissimus, candidissimus,
quale opportunamente segnala la «inconfondibile tipicità» del codice «rispetto a tutte le fonti giuridiche manifestatesi
nella vicenda storica»). Infatti, durante l’Ancient Régime l’obiettivo che si intendeva perseguire era volto alla
semplificazione del diritto vigente e, dunque,esso risultava qualitativamente diverso e più limitato per quanto
ambizioso esso apparisse e fosse in progressiva linea con l’affermarsi della visione nazionale della legislazione: visione,
quella nazionale, che a distanza di secoli ha potuto portare alla conclusione accolta da A. COLIN et A. CAPITANT, Cours
élémentaire de drot civili,tom I,Paris 1923, p. 31 secondo cui « on peut dire que ce droit commun, construit par de
grands jurisconsultes tels que Dumoulin et Domat, a fait l’unité rationnelle et morale du Droit français avant que la
Révolution n’en réalisât l’unification légale ».
In realtà, a fronte di una tradizione culturale che molto spesso al fine di cogliere le “origini”del Code Civil, si è più
volte spinta troppo all’indietro ( significativi anche gli approcci storici di M.F. LAFERRIÉRE, Histoire du droit civil de
Rome et du droit Français, t.I Paris 1846; P. VIOLLET, Histoire du droit civil Français, Paris, 1893, 201ss; sino ad A.J.
ARNAUD, Les origines doctrinales du code civil français, Paris 1969) con il concreto rischio di alimentare una vera e
propria mitologia, si v. le considerazioni critiche di JL HALPERIN, Est il temps de decostruire les mythes de l’histoire
du droit français? cit.
38
Si v. al riguardo E. MEYNIAl, Remarques sur le rôle joué par la doctrine et Ia jurisprudence dans I'oeuvre
d'unification du droit en France depuis la rédaction des coutumes jusqu'à la Révolution, en particulier dans Ia
succession aux propres, in Congrès international de droit comparé tenu Paris du 31 juillet au 4 aoîtt 1900,Parigi 1905,
T.I, p. 269; più in generale sul ruolo della dottrina si rinvia A A. PERROT, La Doctrine e l’hypothèse di déclin du droit,
in AA.VV., La doctrine juridique, PUF 1993,181ss; nonché P.STEIN, Il diritto romano nella storia d’Europa, Cortina
2001, 101ss.
39
Sul punto si v. JL. THIREAU, Charles du Moulin, 1500-1566: étude sur les sources, la méthode, les idées politiques
et économiques d'un juriste de la Renaissance, Vol.1, Droz 1980, 119.
40
La si legge nella raccolta delle sue opere “Omnia quae extant opera”, Paris, 1681,690. Su questo saggio, non a caso
richiamato dai giuristi d’oltralpe che nel Settecento francese si impegnarono direttamente nel lavoro di semplificazione
del diritto consuetudinario, che ha preceduto la codificazione napoleonica, si v. A. FALZEA, Code Civil e Scienza
giuridica, in ID, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, III scritti d’occasione, Milano 2010,
540), si v. JL. THIREAU, Charles du Moulin, 1500-1566: étude sur les sources, la méthode, les idées politiques et
économiques d'un juriste de la Renaissance, cit.,114ss. E’ bene rammentare che Charles du Moulin si impegnò
concretamente nel mettere ordine nelle fonti consuetudinarie elaborando, tra l’altro, un primo prezioso commentario
delle consuetudini di Parigi.
expeditissimus et absolutissimus libellus, haberetur, juri communi et aequitati naturali
consonantissimus, publicae et singulorum omnium utililitati accomodantissimus” [ il corsivo è
nostro].
Ebbene, pur senza individuare in concreto i paradigmi cui ancorare il processo di semplificazione
che avrebbe dovuto portare all’elaborazione del prospettato libellus, è di sicuro rilievo il percorso
“democratico” che veniva suggerito a tale riguardo. Infatti, la convinzione secondo la quale “ atqui
leges, quae omnes ligant, et utilitatis omnium causa lata sunt, ab omnibus sciri et intelligi decet, ob
eam rem causam maxime claras, publicas et expeditas esse oportet”, induceva Du Moulin, uno dei
fondatori del diritto nazionale francese41, a prospettare che siffatto processo di compilazione
avrebbe dovuto realizzarsi innanzitutto attraverso un lavoro preparatorio che fosse risultato di un
impegno intellettuale collettivo, al quale egli stesso non intendeva sottrarsi, peraltro basato su un
percorso analitico del diritto su cui intervenire e su adeguate motivazioni in ordine alle soluzione da
accogliere. In secondo luogo, prima ancora dell’ omologazione di siffatto lavoro da parte del re e
del Senato, Du Moulin proponeva altresì che in un tempo prestabilito si procedesse ad una
consultazione pubblica con il coinvolgimento di tutti i municipi, che fossero o meno dotati di
consuetudini, al fine di ricevere da questi osservazioni e suggerimenti al testo loro inviato.
Al progetto avviato da Du Moulin, a metà del Cinquecento, e sempre presente nella cultura francese
a cavallo tra il seicento ed il settecento, si collega il contributo importante offerto da Domat,
ritenuto “incomparablement le plus grand jurisconsulte du XVI° siécle”42 nella sua famosa opera su
Le Lois civiles dans leur ordre naturel destinata ad influire sulla cultura giudica europea
dell’epoca43. Il lavoro di Domat, pur iscrivendosi nell’ambito culturale dell’Ancien Régime,
costituisce una manifestazione emblematica dello sforzo di razionalizzazione del diritto vigente da
parte di una dottrina sempre più consapevole del proprio compito nella costruzione della scienza del
diritto, come emerge anche dal mutamento del genere letterario utilizzato.44 Per quanto ispirato al
diritto romano e al diritto naturale, il giansenista45 Domat inaugura, con esiti duraturi46, un’
elaborazione trattatistica del diritto allora vigente ben consapevole del ruolo che i principi
assolvono nella sua presentazione ordinata anche per soli fini didattici. Invero, nell’illustrare nella
Prefazione delle Lois Civils, il suo ampio ed articolatissimo progetto, ispirato da una sensibile
attenzione per la matematica e la geometria ed orientato a costruire un ordine sociale in
41
Così, P. GROSSI, Un paradiso per Pothier (Robert-Joseph Pothier e la proprietà ‘moderna’), in Quaderni fiorentini,
XIV, 1985, 410.
42
In questi termini, P.VIOLLET, Histoire du droit civil français, Paris 1893, 223.
43
Sulla diffusione dell’opera di Domat nella cultura giuridica , europea e non, e sulla sua fortuna nel tempo, si v.
GILLES, La Doctrine comme source des codifications: Jean Domat, in Studia Universitatis Babes Bolyai-Iurisprudentia
(4/2009), 61ss, saggio che sviluppa alcune parti del precedente lavoro dello stesso autore su Las pensée juridique de
Jean Domat. Du Grand siècle au Code civil, Thèse droit , Aix –Marseille III, 2004.
44
Per questi rilievi, in particolare per l’utilizzazione da parte di Domat del termine “ scienza del diritto” e la preferenza
per una indagine sotto forma di Trattato, si v. JL HALPÉRIN, French Legal Science in the 17th and 18th Centuries: to the
limits of the Theory of Law, in D.CANALE, P. GROSSI, H.HOFMANN, A History of the Philosophy of Law in the Civil Law
World, 1600-1900 vol. 9,Springer 2009, 44ss.
45
Sul giansenismo di Domat ed i suoi rapporti con Pascal si v. J.P.HUERTIN, Obliger à aimer les lois.Paradoxe de
l’augustinisme juridique chez Jean Domat , in Jus publicum n.10 La volonté général, luglio 2013 nonché F.
TODESCAN, Le radici teologiche del giusnaturalismo laico, II. Il problema della secolarizzazione nel pensiero giuridico
di Jean Domat Milano 1987. Quanto al legame tra l’ordine divino e quello della legge nella riflessione di Domat, si v.
S. GOYARD-FABRE, César a besoin de Dieu ou la Loi naturelle selon Jean Domat, in H. MÉCHOULAN e J.CORNETTE,
L'Etat classique: regards sur la pensée politique de la France dans le second XVIIe siècle : teste, Vrin 1996, 149ss.
46
Ancora oggi, pur con la debita tara della mitizzazione della codificazione, il trattato di Domat viene considerato, per
via della sua influenza sulla struttura del code civil, comme la préface au code napoléon: così J.P.HUERTIN, Obliger à
aimer les lois. Paradoxe de l’augustinisme juridique chez Jean Domat cit; sul punto si v. anche J. GHESTIN, Jean
Domat et le Code civil français , in Scritti in onore di Rodolfo Sacco : la comparazione giuridica alle soglie del 3°
millennio, (Mélanges R. Sacco), (a cura di P. Cendon), Milano,1994, 2 vol., tome I, 533ss, nonché D.GILLES, Les Lois
civiles de Jean Domat, prémices des Codifications ? Du Code Napoléon au Code civil du Bas Canada, in Revue
juridique Thémis, Montréal, n. 43, 2009, 2ss.
corrispondenza con quello naturale47, Domat così sintetizzava il percorso della sua opera di
civilista:
“Le dessein qu’on s’est proposé dans ce Livre est donc de mettre les Loix Civiles dans
leur ordre; de distinguer les matières du Droit, & les assembler selon le rang qu’elles ont
dans le corps qu ells composent naturellement; diviser chaque matière selon ses parties;
& ranger en chaque partie le detail de ses definition, de ses principles & des ses règles,
n’avançant rien qui ne soit ou clair par soi-même, ou precede de tout ce qui peut être
nécessaire pour le faire entendre. Ainsi ce n’est pas un abrègé qu’on s’est propose de
faire, ou de simples institutions; mais on a tâché d’y comprendre tout le detail des
matières don’t on droit traiter”.
Sulla base di un indirizzo pragmatico, per quanto ispirato al giusnaturalismo e al rigore logico
suggerito da Leibniz, già nel libro preliminare delle sue Lois Civiles sono fissati i grandi principi
che reggono l’intera struttura dell’opera e che permettono di distinguere tra le regole del diritto in
generale, quelle destinate alle persone e quelle relative alle cose, cui segue una puntuale
strutturazione della disciplina privatistica in una sequenza destinata ad incidere nelle scelte
organizzative del futuro Code Civil.
Nella prospettiva dischiusa da Jean Domat, cui si collegherà il successivo ampio lavoro di Pothier48,
il superamento della frantumazione delle discipline privatistiche esistente nella Francia a cavallo tra
Seicento e Settecento, non a caso considerata allora “plutot une fédération d’états distintcs, qu’une
patrie commun” 49, era stato collocato, del tutto chiaramente, a livello dell’indagine dottrinaria e
della didattica del diritto in grado di toccare il diritto francese, quello romano e quello canonico.
Non a caso il cancelliere D’Aguesseau50, procuratore generale ed avvocato generale, oltre che uomo
di vasta cultura, nei primi decenni del Settecento, nella convinzione “ ce que l’on apprend de ce
Droit dans les Ecoles, est plutot una préparation à l’étude qu’une étude véritable”, rimarcava che il
percorso di studi giuridici per i magistrati dovesse partire dai principi da apprendere “dans le texte
meme des Loix”: di qui il suggerimento da un lato di concentrare l’attenzione sulle materie di
maggiore uso ovvero su quelle più coese con le regole primarie del diritto naturale, dall’altro di
prendere come guida Jean Domat “Jurisconsulte des magistrats”, ossia colui che aveva trattato tali
materie appunto “avec le plus de méthode”51.
Al tempo stesso, però, l’opera di semplificazione e di razionalizzazione del diritto vigente affidata al
lavoro della dottrina, a partire dagli ampi trattati elaborati da Domat, esigeva secondo quel grande
funzionario di Stato anche una vasta operazione di politica del diritto indirizzata da un lato a
47
Sulla centralità dell’ordine nella teoria del diritto di Domat, ordine in cui la legge naturale e diritto positivo sono
chiamati a coesistere, si v. Y.C. ZARKA, Le fondement dans la pensée juridique de Jean Domat, poi ripreso in Domat :
le fondement du droit , in Philosophie et politique à l’âge classique, Paris, PUF, 1998, p. 218.
48
Accanto ad un ampio lavoro di presentazione metodica delle pandette giustinianee e ad un commentario sur le
coutume d’Orléans, Pothier ha elaborato numerosi trattati sulle materie fondamentali del diritto civile in una prospettiva
sensibile al giusnaturalismo di Grozio e di Pufendorf: su Pothier si v. la recente raccolta di saggi curata da A.
TERRASSON DE FOUGERES, JL. SOURIOUX, J.MONEGER, Robert-Joseph Pothier, d'hier à aujourd'hui, Economica 2001.
49
Così M. PARDESSAUS,Discours sur les Ouvrages de D’Aguesseau in H..F. D’AGUESSEAU, Ouvres Completés, t. I,
Parigi 1819, xliii.
50
Per una sintetica prospettazione della figura di D’Aguesseau, si rinvia per tutti al recente lavoro di M.F.RENOUXZAGAMÉ, Lumières de la pensée juridique: le Chancellier d’Aguesseau, rinvenibile al sito www.courdecassation.fr;
nonché alla monografia di I. BRANCOURT, Le Chancelier Henri-François d’Aguesseau (1668-1751), Monarchiste et
libéral, Parigi 1996.
51
Tutte le citazioni sono da H.F. D’AGUESSAU , Instruction sur l’ètude et les exercises in ID, Ouvres, t.I Paris
1759,388ss.
riorganizzare la macchina giudiziaria, dall’altro ad una ampia operazione di semplificazione della
legislazione che andasse ben oltre la sola raccolta ragionata delle ordinanze cui provvide peraltro
egli stesso con risultati di non poco rilievo52.
Nel corso del temporaneo esilio a Fresnes, ossia tra il 1718 ed il 1720, D’Aguesseau affidò ad una
memoria questo progetto finalizzato ad “une réformation solide et sérieuse de la justice”53. Al primo
punto di questo progetto egli collocava “ le fond des matiéres même qui son l’objet de la
jurisprudence”. Al riguardo, secondo D’Aguesseau, bisognava “réformer les lois anciennes, en faire
de nouvelles, et réunir les unes et les autres dans un seul corps de législation” in modo da mettere a
disposizione dei giudici, degli operatori del diritto e di coloro “qui veulent acquérir la science du
droit” “une espèce de code qui devînt le sujet fixe e certain de leur application”54, in luogo della
farraginosa massa di discipline allora vigenti. Pur riconoscendo di essere di fronte ad una impresa
“lounge, vaste et pénible”55, D’Aguesseau, sulla scia delle iniziative che riscontrava in atto negli altri
Paesi europei, si preoccupò in quella memoria di fissare alcuni passaggi anche procedimentali per
conseguire tale risultato. La sua attenzione, in particolare, si concentrò sull’area giuridica più
complessa del droit civil ou séculier, ossia del droit privè nella lucida consapevolezza del dualismo
esistente nella realtà francese per via della presenza di province regolate dal diritto romano e di altre
regolate dal droit coutumier e, dunque, del diverso impatto che la fissazione di una loi générale
avrebbe sortito in tali territori.
Ai fini della nostra riflessione, basta qui rimarcare che quel fine uomo delle istituzioni ben
riconosceva che non si trattava di comporre una legge come tutte le altre, in quanto il diritto civile “
embrasse una infinité d’idées, de réflexions, de raisonnemens meme sur les premiers principes de
l’equité et de la justice naturelle”, sicché esso viene percepito “ comme une espèce de droit
commun”56. In questo senso, non poteva certo pensarsi di trasfondervi tutto il diritto romano,
“parce que la loi n’enseigne pas ces premiers principes, elle les suppose, elle est faite non pour
raisonner, mais pour commander”57. Si trattava fondamentalmente di ricavare dal diritto romano
“toutes ces notions générales de raison, de justice, d’équité”, per ridurle “à ce qui est véritablement
de décision, et qui doit servir de loi”, con la conseguenza ulteriore di modificare gli stessi processi di
formazione giuridica degli operatori del diritto a partire dai magistrati sino ad allora indirizzati allo
studio del diritto romano: il principale obiettivo del progetto di tale legge generale era dunque quello
di “renfermer dans un seul livre la science de tout ce qui est nécessaire aux magistrats de savoir”58.
Al tempo stesso, ai fini della costruzione di una loi gènérale et uniforme, destinata ad abbracciare le
province in cui vigevano i diversi diritti consuetudinari, era indispensabile altresì riprendere l’antica
aspirazione di procedere alla riduzione di tutte i costumi ad uno solo da erigere a loro loi générale59.
A questo riguardo, secondo D’Aguesseau, la risposta non poteva che essere articolata. In particolare,
soltanto nell’ambito del diritto consuetudinario destinato a disciplinare i rapporti della società civile,
ossia quelli che riguardano les droits ordinaires des particuliers dans leurs engagemens, dans leur
dispositions et dans leurs successions60, si sarebbe dovuto procedere a ridurre i costumi ad uno solo.
In questa linea, molti anni dopo, a proposito di una ordonnance adottata per uniformare la disciplina
in materia testamentaria egli difendeva la riforma: “l’essential est que la pureté des principes et le
52
In questo quadro, infatti si collocano le sue iniziative culminate nella tre ordonnances relative rispettivamente alle
donazioni (1731) ai testamenti (1735) e alle sostituzioni (1747).
53
Si tratta dello scritto dal titolo Sur les Vies générales que l’on peut avoir pour la Réformation de la Justice che si
trova in D’AGUESSEAU, Ouvres Completés, Parigi 1819, t. 13, 200ss.
54
Le citazioni sono tratte da H. F. D’AGUESSEAU, op. ult. cit..
55
D’AGUESSEAU, op. cit. t.13 cit., 202
56
D’AGUESSEAU, op. cit. t.13 cit,205-206
57
D’AGUESSEAU, op. cit. t. 13 cit, 206.
58
Le citazioni sono tratte da D’AGUESSEAU, op. ult. t.13 cit. 206-207
59
E’ stato osservato, infatti, che “Sécuriser et simplifier le droit, tel fut l'objectif premier de tous les rois de France
constamment habités par ce souci d'unification”: così A. RIGAUDIÈRE, Un rêve royal français : l'unification du droit, in
Comptes rendus des séances de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 2004,n.4, 1557nel ripercorrere
sinteticamente la storia giuridica francese dal XIIi secolo.
60
Sempre D’AGUESSEAU, op. cit t.13 cit, 211.
véritable esprit du droit nouveau soit bien conservé dans une pareille loi, comme il l’est, en effet,
dans celle des testaments; et il sant que chaque parlement sacrifie ses opinions particulières au grand
bien de l’unité de la loi et de l’uniformité jurisprudence……”61.
In questa prospettiva, tra la fine del Seicento e buona parte del Settecento sono state molte In
Francia le iniziative culturali indirizzate alla razionalizzazione dei diversi droit coutumiers presenti
nei territori francesi. Nelle manifestazioni più significative, peraltro, la metodologia seguita si è
ispirata pur sempre all’ esigenza di ordinare il materiale normativo sulla base appunto di principi: ma
questa volta il termine non si identifica soltanto con i criteri ordinanti del materiale giuridico,
elaborati dalla dottrina, ma designa anche i definitivi precipitati disciplinari, ossia le regole da
codificare. Ci si riferisce, al riguardo, al lavoro di Bourjon il cui titolo stesso, Le droit commun de la
france et la Coutume de Paris reduits en principes62 segnala la lucida messa a punto del percorso
indispensabile per dare ordine ad un materiale vasto e molteplice già presente.
Nell’illustrare il suo progetto, Bourjon appare infatti consapevole circa il corretto modo di
procedere. A suo dire” Toutes les difficultés consistent à se former des idées juste, precise &
completes. Pour parvenir à ces trois fins, il faut démêler les principes étouffés, dispersés, les faire
connoitre complets, liés, relatifs & conséquens; ces qualités seront sensibles, si en faisissant leur
ordre on retranche ce qui les empêche de paroître tels, comme ils le sont essentiellement; par ce
moyen on parviendra à un corps complet & régulier que la Coutume suppose, & qui est son vrai
commentaire”.
Nel quadro dei molteplici passaggi necessari per ridurre in puntuali regole il complesso diritto
consuetudinario, al punto 5, presente nella parte II della Introduzione63 all’articolato da lui proposto,
Burjion evidenziava la necessità appunto di “Reduire la Coutume & toutes les suppositions qu’elle
fait, aux principes & aux décisions, parce que les principes rapprochés sont plus conséquents & plus
sensibile, que lorsqu’ils sont divisés & coupés par des preuves; une majestueuse simplicté leur est
naturelle: reductio d’ailleurs sans laquelle il seroit impossibile de parvenir au point de vûe général
qui est l’ame de la Jurisprudence; négliger cette reductio ce seroit couvrir, ce seroit anéantir ce point
de vûe général.”
Pur nell’indubbia differenza nei contenuti delle norme, dovuta al mutato orizzonte ideale e politico
in cui andrà ad inscriversi la codificazione napoleonica, è difficile disconoscere da un lato i punti di
contatto tra la metodologia suggerita da Bourjon nel drafting relativo al droit coutumier, che
rispondeva ad un frutto ormai maturo di un ampio lavoro collettivo della cultura giuridica d’oltralpe,
e quella di cui si farà portavoce lo stesso Portalis nel corso della codificazione napoleonica,
dall’altro, la distanza sempre più marcata dalle suggestioni giusnaturalistiche dovuta all’egemonia (
se non al monopolio) ormai acquisita da parte del legislatore nella produzione del giuridico, quale
che fosse poi la stessa qualificazione del prodotto in termini di regola o di principio.
Infatti, nel suo Discours relatif a la publication, aux effets et a l’application des lois en général64,
Portalis affrontò il tema del rapporto tra la giurisprudenza (nel senso della scienza del diritto) e la
legislazione. In particolare, egli prendeva posizione rispetto all’impostazione secondo la quale
spetterebbe alla scienza fornire tutti i materiali della legislazione, sicché se la prima abbraccia tutto
ciò che si può offrire à l’esprit, spetterebbe alla legislazione selezionare tutto ciò che può interessare
direttamente la società. Rispetto a questa distinzione, per cui il compito della legge non sarebbe altro
che quello di ordinare, permettere , vietare e punire e dunque non dovrebbe limitarsi a proclamare
61
Così nella lettera del 7 aprile 1736 compresa nella Correspondance Officielle che si legge in D’AGUESSEAU, op. cit
t.12 Parigi, 1819, 373-374.
62
Il titolo dell’opera di F. BOURJON, edita a Parigi nel 1747 nell’edizione aggiornata qui presa in considerazione, così
proseguiva “ Tirès des Lois, des Ordonnances, des Arrêts, des Juriconsultes & des Auteurs, & mis dans l’ordre d’un
Commentaire complet & méthodique sur cette Coutume”.
63
Ci si riferisce alla Dissertation sur l’Union du droit commun de la France avec la Coutume de Paris, contenat le plan
de ce Commentaire elaborata da Bourjon e presente in testa al tomo I dell’opera.
64
In JE.PORTALIS, Discours , Rapports et Travaux Inédits sur le Code Civile, Parigi 1844, 118ss.
principi, Portalis si preoccupò di ricondurre i principi nell’area del diritto scritto, anche a costo e
non senza ambiguità, di sovrapporli quanto a significato alle “regole di portata generale”65.
A suo dire, infatti, il termine ordonner, quale espressione del compito spettante al legislatore, ha un
significato ben più ampio di quanto si possa pensare. Esso non sarebbe limitato ad un comando
preciso su un oggetto ben delimitato destinato ad abbracciare tutte le disposizioni che regolano la
condotta umana, siano esse generali o particolari. Portalis condivide l’osservazione secondo la quale
“un principe n’est point une disposition”, ma prontamente aggiunge che “ un principe devient une
disposition, quand il est sanctionné par la puissance législative”. Per chiarire questa conclusione
così prosegue: “Avant la saction publique, un principe n’est que le résultat d’un ou de plusieurs
raisonnements que d’autres raisonnements peuvent atténuer ou obscurcir. Après la sanction
publique, un principe devient un fait positif qui termine tous les raisonnements et toutes les
incertitudines. Un principe, tant qu’il n’appartient qu’à la science, n’est qu’une thèse philosophique
qui peut être controversèe: mais quand un principe appartient à la législation, il devient une règle qui
doit etre obéie. Les principes, dans le sens que l’on attache à ce mot, sont indiqués par la raison: les
règles sont fixées par l’autorité. Les principes sont appris, inspirés ou découverts: les règles sont
établies”.
Il passo è breve, mette conto osservarlo, perché il termine principi si trasformi nella prospettiva del
nuovo Code civil in quella delle semplici regole generali. Lo stesso Portalis nel suo famoso discorso
preliminare al code civil ben poteva così rilevare “ L’office de la loi est de fixer, par de grandes
vues, les maximes générales du droit : d’établir des principes féconds en conséquences, et non de
descendre dans le détail des questions qui peuvent naître sur chaque matière” e, al tempo stesso
concludere, che “ C’est au magistrat et au jurisconsulte, pénétrés de l’esprit général des lois, à en
diriger l’application”66.
4.
I principi nell’elaborazione assiomatica del diritto naturale
All’atteggiamento fondamentalmente pragmatico e, sia pur limitatamente razionalistico, proprio
della cultura giuridica francese e che permette di legare i propositi riformatori di Du Moulin alle
attività intraprese da Domat e da D’Aguesseau, considerate preparatorie rispetto alla stagione
successiva che ha registrato le indagini di Pothier67 e di Burjion intervenute a ridosso della caduta
dell’Antico regime e del trionfo della borghesia consacrato nel code civil napoleonico, l’esperienza
giuridica europea premoderna ha conosciuto, nello stesso lasso di tempo, ossia tra Seicento e
settecento, anche un'altra prospettiva di trasformazione e di rivisitazione profonda del pensiero
giuridico privatistico68: quella del diritto naturale o razionale69, caratterizzata, al suo interno, da un
approccio più strutturato sul piano dogmatico e teorico e certamente decisivo per l’avvento di una
scienza giuridica che fosse all’altezza dei mutamenti già emersi negli altri rami del sapere e che
dunque potesse impegnarsi nell’edificare il giuridico in termini assiomatici.
65
JE.PORTALIS, op.loc. cit.
JE.PORTALIS,Discours preliminaire sur le projet de Code Civil, in ID, Discours , Rapports et Travaux Inédits sur le
Code Civile cit., 8. Riecheggia nelle parole di Portalis quanto già osservato molti decenni prima da cancelliere
D’Aguessau, in Mèmoires sur la réforme de la législation, che si legge in F. MONNIER, Le chancelier d’Aguessau,
Parigi 1860, 457ss , in part. 459, secondo cui “ La loi ne doit être que l’expression d’un principe. C’est au législateur à
la proposer aux parties, à fournir les espèces particulières, et au juge à faire dans chaque espèce l’application du
principe general”.
67
Quanto al convergente rilievo sulla codificazione civile di Pothier e di D’Aguesseau, si v. il prezioso lavoro di
M.L.THÉZARD, De L’influence des travaux de Pothier et du Chancelier D’Aguesseau sur le droit civil moderne, Parigi
1866.
68
Nel testo si prospettano due indirizzi, quello razional-pragmatico emerso in Francia e quello del diritto naturale,
laddove G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna vol. I, Assolutismo e codificazione del diritto,Bologna
1976, 97ss, ne prospetta tre in quanto accentua le divergenze nell’area del diritto naturale tra l’indirizzo riconducibile a
Pufendorf e quello riconducibile a Leibniz sì da rinvenirivi due distinti percorsi.
69
In questi termini F. WIEACKER, Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla Germania, Milano
1980, 249ss, il quale destina un capitolo proprio all’epoca del “diritto razionale”.
66
Nella prospettiva delineata dalle diverse anime del giusnaturalismo europeo, una posizione
singolare quanto fondamentale per il futuro della scienza giuridica europea spetta a Leibniz.
Nella linea “idealistica” del diritto naturale già presente in Grozio70, Leibniz si è collocato in aperta
polemica con l’indirizzo “volontaristico” proprio di Pufendorf71 e che sulle orme di questo, troverà
una più raffinata affermazione nel pensiero di Thomasius72 e di Wolff: indirizzo che, a ben vedere,
pur distinguendo tra diritto naturale e diritto positivo, finisce con il collocare il primo in una
posizione sempre più debole e lontana, metagiuridica appunto, rispetto al secondo73. Ebbene , sul
presupposto della distinzione tra diritto e legge e l’irriducibilità del primo a comandi, siano essi di
Dio o del sovrano, Leibniz ritiene possibile una conoscenza epistemica della giustizia per cui il
diritto sarebbe conoscibile e calcolabile in quanto pur sempre ispirato al principio di ragione e,
come tale, destinatario di uno statuto epistemologico non diverso da quello proprio della scienze
esatte74, in particolare la matematica75. Di qui l’obiettivo, presente nell’intero arco della sua operosa
70
In questi termini, H.WELZEL, Diritto naturale e giustizia materiale, Milano 1965, 217ss.
Nell’ambito della sua produzione giuridica, Leibniz ha più volte, anche attraverso libelli editi con pseudonimi,
criticato l’ impostazione di Pufendorf relativa al diritto naturale, contestandone il fondamento volontaristico, sì da
formulare per quel giurista un giudizio sin troppo severo e polemico: infatti, nella epistola VII contenuta nella sua
Opera omnia tomo IV sez III Ginevra 1768, Leibniz presenta Pufendorf come un “Vir parum Jurisconsultus & minime
Philosophus” sì da concludere che “ est ejus non magna apud me auctoritas” ( sul carattare oltraggioso di questo
giudizio e per una convincente rivisitazione della figura di Pufendorf si v. S. GOYARD-FABRE,Pufendorf et le droit
naturel Paris 1993.
Quanto al contributo di Leibniz all’edificazione della moderna scienza del diritto, restano illuminanti le meditate
riflessioni di M.BRETONE, Il “Beruf” e la ricerca del “tempo classico”, in Quaderni fiorentini, 1980, 203ss. In ordine al
conflitto intervenuto tra lo stesso Leibniz e Pufendorf, si v. il recente contributo di R. BERKOWITZ, The Gift of Science.
Leibniz and the Modern Legal tradition,Harvard 2005, 23ss; altri importanti rilievi si rinvengono in P.BECCHI, Da
Pufendorf a Hegel. Introduzione alla storia moderna della filosofia del diritto, Aracne 2007, 29ss; per altre indicazioni
si consulti K. HAAKONSSEN, Natural Law and Moral Philosophy: From Grotius to the Scottish Enlightenment
Cambridge 1996, 46ss.
71
72
In realtà Thomasius, pur partendo dalle riflessioni di Pufendorf, si è progressivamente orientato in termini teorici
verso l’ impostazione di Leibniz: sul punto si v. per tutti, N.BOBBIO, Il giusnaturalismo moderno,Torino 2009, 181ss.
73
Il progressivo spostamento dell’attenzione dal diritto naturale al diritto positivo, nel senso che al primo non
spetterebbe alcuna funzione prescrittiva posto che ciò che regola l’attività umana è solo la legge positiva nello Stato, si
conclude nell’ambito della scuola di Christian Wolff: per una sintesi si v. D.CANALE, P.GROSSI, H.HOFMANN, A History
of the Philosophy of Law in the Civil Law World, 1600-1900, in A Treatise of Legal Philosophy and General
Jurispeudence, , Springer 2010, vol. 9,167ss. La medesima prospettiva si rinviene anche in Jo.G.HEINECCIUS, Elementa
juris naturae et gentium: commoda auditoribus methodo adornata, Tipografia Balleoniana 1764.
74
La suggerita applicazione da parte di Leibniz anche al diritto del metodo “dimostrativo”, fondato su definizioni, e
come tale in grado di essere del tutto autonomo dalla stessa concreta esperienza giuridica fattuale, ha costituito
indubbiamente il segno di distinzione fondamentale rispetto all’approccio di Pufendorf: segno distintivo non a caso
rivendicato con tono aspro da uno dei maggiori suoi seguaci Wolff, Jus naturae methodo scientifica pertractatum,
Francoforte Lipsia 1740, il quale negava radicalmente la scientificità dell’elaborazione di Pufendorf relativa al diritto
naturale (§2p.3), proprio perché secondo l’ approccio rigorosamente scientifico lo “Jus naturae supponit Philosophiam
practicam universalem” ( §4 p.5) nel senso che le dimostrazioni relative al diritto naturale “supponunt principia” ossia,
secondo la logica, la presenza di veri e propri assiomi. E’ il caso di osservare che questo indirizzo metodologico
presente nel pensiero giusnaturalistico se da una parte ha indubbiamente contribuito a favorire l’approccio dogmatico
nella scienza giuridica emersa nell’Ottocento tedesco, nelle concrete dinamiche storiche in cui si è manifestato è
risultato contraddittorio quanto alla sua complessa progettualità. A nostro avviso, la costruzione in via dimostrativa di
un diritto razionale autosufficiente a vocazione universale è convissuto anche con la promozione di possibili interventi
di politica legislativa finalizzati alla sola semplificazione e alla razionalizzazione del diritto allora vigente, ossia di un
diritto che presentava una confusa articolazione in ordine sia alle fonti sia ai contenuti disciplinari. Come dire, dunque,
che l’opzione di cui si faceva interprete Pufendorf, per quanto meno impegnativa sul piano dogmatico alla luce del
modello leibniziano, non solo rispondeva meglio alle esigenze di costruzione di un diritto razionale che fosse in dialogo
con la concreta esperienza giuridica del tempo, ma, a ben vedere, negava in una visione più avanzata, che scienze
naturali e scienze umane fossero rette dai medesimi principi: così, per questo ultimo profilo, P. BECCHI, op.cit. 23; su
Pufendorff, si v. la riflessione di S.GOYARD-FABRE, Pufendorf et le droit naturel, Paris, 1994. Sulle convergenze e
sulle divergenze presenti nei diversi approcci al diritto naturale e, in particolare, con riguardo alla prospettiva
individualistica emergente si v. S. GOYARD-FABRE, Les embarras philosophiques du droit naturel cit.89ss. Come è
attività speculativa, “di ridurre tutto il diritto romano tanto quello naturale quanto quello civile ai
suoi propri principi, che sono pochi, in modo che, sia pure attraverso un lavoro faticoso, tutte le
leggi siano dedotte da questi ultimi una volta che siano stati individuati76”. Su questa impostazione
razionalistica77 e antipositivistica, ripresa sia pure in una prospettiva diversa da Savigny
nell’Ottocento78, la semplificazione del diritto è affidata appunto ad una rivoluzione metodologica
della scienza giuridica e del suo insegnamento79: rivoluzione per via della quale al centro andava
posta l’individuazione del fondamento e della ragione delle regole, ossia dei principia juris che,
sulle orme di Euclide, costituiscono appunto gli elementi del diritto80 con l’adozione di un metodo
stato di recente rimarcato (si v. C. TORNHILL,German Political Philosophy:The Metaphisics of Law, Routledge 2007,
87ss), sia Pufendorf sia Leibniz riconoscevano “ the paradoxical positivity of law as a central factual problem of social
reality”, ma si differenziavano nelle risposte avanzate.
75
Secondo T.ASCARELLI, Hobbes e Leibniz e la dogmatica giuridica, saggio introduttivo, al volume TH. HOBBES, A
dialogue between a philosopher and a student of the common laws of England – G.W. VON LEIBNIZ, Specimen
quaestionum philosophicarum ex iure collectarum. De casibus perplexis. Doctrina conditionum. De legum
interpretatione cit., p.40,” è con Grozio e Leibniz che il diritto romano passa ad essere considerato non tanto come
ratio scripta, quanto sistema matematico” per cui la sua considerazione quale rivelazione del diritto costante e
universale resterà presente persino nella riflessione ottocentesca di Ihering.
76
E’ questo il progetto di cui parla Leibniz già in una sua missiva a Johann Geor Graevius del 7 giugno 1671, in
LEIBNIZ, Samtliche Schriften und Briefe, Akademie Verlag Band, II, 1 2006, 193: “Hunc ergo laborem in nos
suscepimus, leges Romanas universas ad sua principia naturalia civiliaque quae pauca sunt, redigendi, vicissimque ex
iis jam inventis, quod est taediosissimum, leges omnes deducendi”. Secondo L. Klaus,Leibniz,s Concept of jus naturale
and lex naturalis – defined with “geometric certainty”, in L. DASTON e M. STOLLEIS ( a cura di), Natural Law and
Laws of Nature in Early Modern Europe: Jurisprudence, Theology, Moral and Natural Philosophy Ashgate cit.,183ss,
lo scopo più ambizioso perseguito da Leibniz come giurista “ was not the creation of a scientific system of legal rules,
but the formation of a comprehensive code of law for German Empire”.
77
Sulle peculiarità del razionalismo in Leibniz, si v. la raccolta di saggi curata da M. DASCAL, Leibniz: What Kind of
Rationalist?, Springer 2008.
78
Infatti, mentre in Leibniz il processo di elaborazione del diritto era sostanzialmente deduttivo (sul “sistema”
nell’approccio razionalista di Leibniz si v. J.M. PÉREZ BERMEJO, Coherencia y sistema juridico, Madrid Barcellona
2006,38ss), nell’indagine di Savigny, pur richiedendosi una costruzione logicamente coerente ed ordinata, il processo
costruttivo da un lato era rovesciato in quanto dalla norma era necessario risalire ai principi, dall’altro non si esauriva
sul solo piano della logica formale sì da restare ancorato alla configurazione del sistema come “esterno” rispetto al
diritto: sul punto si v. da ultimo P. BECCHI, op.cit. 34ss; rilievi preziosissimi in P. CAPPELLINI, Systema iuris I, Genesi
del sistema e nascita della scienza delle Pandette, Milano 1984. Invero, solo con Savigny comincia ad emergere la netta
distinzione tra la sistematica, ossia la sistematizzazione estrinseca del materiale giuridico già dato, al fine di eliminarne
il disordine, e la costruzione del sistema “interno” al diritto stesso: così M. BARBERIS, L’evoluzione del diritto, Torino
1998, 167.
Sul rapporto tra la concezione storica del diritto di Savigny e gli esiti della sua scuola contraddistinti da una
elaborazione puramente concettuale e sistematica, nel senso che la particolare concezione storica del diritto della scuola
storica avrebbe portato ad una idea antistorica del diritto, si v. le fini osservazioni di E-W. BÖCKENFÖRDE, Diritto e
secolarizzazione Dallo Stato moderno all’Europa unita, Roma-Bari,2010, 14ss. Più in generale, sul tema si v. ora G.
B.RATTI, Sistema giuridico e sistemazione del diritto, cit.
79
Il programma di Leibniz è presente già nella opera giovanile Nova Methodus Discendae Docendaeque Iurisprudentia
del 1667, che può oggi leggersi anche nella traduzione di recente curata da C.M. De Iuliis, Il nuovo metodo di
apprendere ed insegnare la giurisprudenza, Milano 2012. Già in quell’opera si pongono le basi di una svolta
metodologica che, partendo dal linguaggio giuridico e dall’ individuazione dei concetti giuridici, prospetta la possibilità
di elaborare un nuovo corpo del diritto ( parte II §22) che sia “plene, breviter,ordinate”: su questa opera leibniziana si
rinvia a C. VASOLI, Enciclopedismo, pansofia e riforma «metodica» del diritto nella «Nova Methodus» di Leibniz , in
Quaderni fiorentini 1977, 37ss e al più recente contributo di C.M. DE IULIIS, Leibniz e la scienza giuridica tra topica e
dogmatica, in G. W. LEIBNIZ, , Il nuovo metodo di apprendere ed insegnare la giurisprudenza,cit., Vss. Sul contenuto
teorico della impostazione suggerita da Leibniz fondata su “soggetti, oggetti ed atti”, accanto alle dense considerazioni
di T.ASCARELLI, Hobbes e Leibniz e la dogmatica giuridica cit., si v. il recentissimo lavoro monografico di C. JHONS,
The Science of Right in Leibniz's Moral and Political Philosophy: The Science of Right, A&C Black 2013.
80
Circa il carattere assiomatico del razionalismo giuridico di Leibniz, si v. le puntualizzazioni di P. BOUCHER, Leibniz:
what Kind of Legal Rationalism? in M. DASCAL,Leibniz: What Kind of Rationalist?: What Kind of Rationalist? cit.
235ss; sul punto v. anche S.BREWER, Law, Logic, and Leibniz’Axiomatic Vision of Law: a Contemporary Perspective,
in A.ARTOSI, B.PIERI, G. SARTOR, Leibniz: Logico-Philosophical Puzzles in the Law, Springer 2013, 199ss.
espositivo volto ad armonizzare le esigenze rispettive del diritto e della logica81. Nell’ambito di
questi ultimi, subito dopo i principi generali della giustizia, si collocava il diritto privato, “ossia le
norme della giustizia commutativa, intorno a ciò che vige tra gli uomini in quanto siano considerati
uguali”82: diritto il cui precetto principale è rappresentato dal “neminem laedere”, in quanto
“precetto della giustizia particolare commutativa, e ordina di conservare un’eguaglianza geometrica,
evitando che uno abbia meno di prima, un altro di più, dovendo gli uomini essere considerati tutti
eguali, senza nessuna prosòpolèpsi”83.
A ben vedere, le aspirazioni di cui si faceva portatore Leibniz nell’operare nell’ampio scenario
europeo, finivano con il conciliarsi, come lui stesso ebbe a riconoscere, negli anni maturi della sua
vita, con le iniziative che tra fine Seicento ed inizi del Settecento erano emerse nell’ esperienza
francese. In una lettera del luglio 1716, infatti, Leibniz si esprimeva a favore di una semplificazione
del diritto vigente, in termini dunque di sistematizzazione, che potesse portare all’elaborazione di
un Codex brevis, clarus, sufficiens.84
Ed invero, è il caso di rimarcarlo, nella raffinata prospettiva teorica offerta da Leibniz, il processo
con cui realizzare siffatto Codex ben poteva, in definitiva, risultare in linea con le stesse
metodologie con le quali, a suo dire, la sapienza giuridica era chiamata ad interpretare ed elevare a
sistema la legislazione. Nello scritto su De legum interpretatione, rationibus, applicatione,
systemate8586, a proposito “de methodo legum seu de systemate ex pluribus legibus concinnando”,
81
In questi termini, a proposito della trattazione giovanile di Leibniz sulle disputationes De conditionibus del 1665 e
del 1669, P. BOUCHER, Introduction a LEIBNIZ, De Conditionibus,Vrin 2003, 12.
82
Così, LEIBNIZ, Elementi di diritto naturale, in ID, Scritti politici e di diritto naturale, a cura di V. Mathieu, Torino
1951,124.
83
LEIBNIZ, op. ult. cit. 136.
84
Nell’epistola XV in Opera omnia tomo IV sez III Ginevra 1768, 269 così ebbe ad esprimersi Leibniz: “Interea fateor,
optandum esse, ut veterum legum corpus apud nos habeat vim non legis, sed rationis, &, ut Galli loquuntur, magni
Doctoris; & ex illis aliisque patria etiam juris monumentis, usuque praesenti, sed in primis ex evidenti aequitate novus
quidam Codex brevis, clarus, sufficiens, auctoritate publica concinnetur; quo jus multitudine, obscuritate, imperfectione
legum, varietate tribunalium disceptationibus peritorum, obtenebratum, & ad miram incertitudinem redactum, in clare
tandem luce collocetur”.
E’ il caso di osservare che l’esigenza avvertita da Leibniz circa l’ elaborazione di un codex sufficiens - espressione alla
quale potrebbe accostarsi quella assai risalente dello stesso Du Moulin laddove auspicava l’ elaborazione di un
absolutissimus libellus - evidenzia che, sia pure in un quadro teorico insufficiente, il codex non appariva soltanto come
punto di arrivo di una semplice sistemazione “esterna” del materiale giuridico ma evocava, al tempo stesso, la presenza
un sistema autonomo del diritto autosufficiente, ossia sempre in grado di trovare al proprio interno risposte.
85
Lo si legge in G. MOLLAT, ( a cura di), Mittheilungen aus Leibnizens ungedruckten Schriften, Leipzig 1893,71ss.
86
Nel Vorarbeit destinato a tale lavoro ( lo si legge in LEIBNIZ, Textes inédits : daprès les manuscrits de la
bibliothèque provinciale de Hanovre a cura di Gaston Grua, Parigi 1948 ed ora anche in Leibniz, Sämtliche Schriften
und Briefen Band VI 4, 2791) si rinvengono i seguenti passaggi: Jus Civile est Systema Legum Civitatis; Civitas est
societas inita felicitatis causa; Lex est enuntiatio circa agenda aut omittenda vim cogendi habens; Systema est collectio
enuntiationum apta ad docendum; Circa Enuntiationes singulas versari possumus, vel interpretando, vel argumentando.
Sul Systema iuris in Leibniz si v. da ultimo R. BERKOVITZ, op. cit. 54ss. Mette conto osservare che la letteratura
giuridica dell’epoca non sempre utilizza il termine systema, come più volte si rinviene in Leibniz ( il quale
espressamente parla di systema juris), preferendo quello di “complexio legum” ( a titolo es. si v. HEINECCIUS, op. cit.
§12, p. 11 secondo cui “jus naturae est complexio legum …“). Sulla derivazione leibniziana del titolo dell’opera di
SAMUEL COCCEJI, Novum sistema iustitiae naturali set romanae, Halae 1750, si v. P. CAPPELLINI, Storie di concetti
giuridici, Torino 2010, 116ss.
In realtà, al di là delle sole distinzioni terminologiche e delle incertezze teoriche che hanno accompagnato la riflessione
giuridica quanto al richiamo al sistema è indubbio che, anche alla luce di ciò che stava avvenendo in quel medesimo
periodo storico nelle scienze c.d. esatte, il termine sistema risulta riferirsi fondamentalmente alle sole connessioni
logiche ed assiomatiche in base alle quali è possibile da parte dei giuristi mettere ordine tra le leggi (con la stessa
possibilità di una articolazione pluralistica: si v. a questo riguardo J.A. ICKSTATT, Meditationes prealiminares de studio
juris ordine atque methodo scientifica instituendo,Engmann 1731 §XXX, 212, secondo il quale “Quodsi Leges dicto
modo ex principiiis certis & evidentibus, definitionibus, axiomatis, propositionibus demonstratis, Legibus, & factis
antecedaneis demonstrentur, veritas unius Legis per alias tamquam per principia eruitur; connectus adeo inter se Leges (
Wolff, Log. Lat. § 877) Complexus Legum inter se & cum principiis suis connexarum sistema Juris audit; quod pro
diversitate Legum varia fortitur nomina, sic aliud erit systema juris naturalis, aliud publici, aliud canonici, aliud Civilis ,
Leibniz rileva innanzitutto che “ in hoc systemate spectanda est tum materia tum forma seu ordo”.
Sul primo punto, prosegue Leibniz,
materiam systematis faciunt leges ipse, in quibus illud observandum est, quod
in lapidibus, ex quibus molimur aedificium. Debent enim ita esse secti, ut inter
se commode firmiterque conjungi possint deinde ut nullus sit locus vacuus. Ita
in legibus coordinandis requiritur, tum ut ne pugnet inter se, tum ut nullum
negotium dubium relinquant. Tale systema legum hactenus quidem non exstat.
Quin tament possit confici, ego dubitare non possum”87.
A fronte delle perplessità che su questo specifico punto Leibniz registrava nel volgo, fondate sulla
considerazione che essendo i negotia infinita, sarebbe al di là delle capacità umane una loro
completa individuazione, il grande filosofo-giurista, pur condividendo l’impossibilità di operare in
questa ultima direzione, replicava in primo luogo: “Sed qui universalia novit, is facile
innumerabilem rerum copiam in classes dividere potest, ita ut nihil eum effugere possit”.
Quanto, poi, all’obiezione circa la possibile presenza di eccezioni rispetto alla legge, secondo
Leibniz:
“ Respondendum est singulas quidem leges possa habere exceptiones, sed totum
sistema legum debere exceptionibus carere. Leges enim sese invicem limitant, et
ex una lege sumi ipotest regula, ex alia exceptio, rursus ex alia replicatio et ita
porro. Inde nascitur mirificum leges ferendi compendium et apparet, quomodo
paucae leges complecti possint casus innumerabiles, quoniam paucarum legum
innumerabiles possunt fieri combinationes inter se pro negotiis scilicet oblatis”.
Nella prospettiva lucidamente segnalata, le considerazioni conclusive della riflessione di Leibniz
erano destinate al tema del drafting complessivo del giuridico “ut jus in artem redigatur” . Al
riguardo, egli prospettava una diversa modalità operativa secondo che ci si riferisca al giudice, ai
soggetti privati ed agli eorum(ve) adocatis, ovvero al legislatore o chi “legis latoris vice fungitur, i.
e. cui juris supplendi atque interpretandi potestas concessa est”.
A voler qui soffermarsi sulla sola figura del legislatore88, Leibniz così rimarcava: “tractandum
est jus per causas dandaque opera est, ut omnia reducantur ad paucas quasdam regulas rationesve,
&c”. In altre parole, ci si avvale fondamentalmente della stessa metodologia utilizzata anche negli altri rami del sapere,
per cui il sistema si riferisce alle proposizioni scientifiche che descrivono dall’esterno una certa realtà, piuttosto che
all’ordine insito nelle singola materia oggetto di indagine scientifica, ossia all’’ordine interno allo stesso diritto, come
tale aventi proprie e specifiche peculiarità. Sul punto, al centro di un importante dibattito storico e teorico, si rinvia
per tutti a M.G. LOSANO, Sistema e struttura nel diritto, vol. I Dalle origini alla Scuola storica, Milano 2002;
fondamentali le ricerche storiche di P. CAPPELLINI, Systema iuris I, Genesi del sistema e nascita della scienza delle
Pandette, cit.; quanto al passaggio nella riflessione giuridica dal sistema assiomatico- deduttivo proprio della logica a
quello assiologico o teleologico alla base della moderna scuola ermeneutica, si rinvia per tutti a C.W. CANARIS,
Pensiero sistematico e concetto di sistema nella giurisprudenza sviluppati sul modello del diritto privato tedesco,
Napoli 2009. Su un diverso versante si collocano le più recenti teorie sociologiche sul sistema giuridico (si pensi a
FRIEDMAN, Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali, Bologna 1978 nonché, in particolare, a Luhman
cui si deve la più articolata teoria dei sistemi sociali – si v. infatti Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale,
Bologna 2001 nonché il recente lavoro Il diritto della società, Torino 2013): nella lettura sociologica, a voler
sintetizzare, il sistema giuridico non riguarda solo il diritto (materiale), ma comprende anche l’intero apparato
organizzativo, ivi compreso quello giudiziario e quello degli operatori del diritto, che permettono il funzionamento
delle regolamentazione giuridica, e si presenta come sottosistema nell’ambito del più ampio e complessivo sistema
sociale. Per una recente riflessione sui diversi significati del “sistema giuridico” si v. G.B. RATTI, Sistema giuridico e
sistemazione del diritto cit. 3-194.
87
De legum interpretatione, rationibus, applicatione, systemate. cit. 82.
Quanto alle altre due figure, le osservazioni di Leibniz meriterebbero riflessioni molto ampie. Ci si limita qui a
riportare le sue parole: “ Nam si judici scribamus, enumeranda sunt remedia juris sive postulationes earumque
exceptiones, ut statim appareat, quaenam postulationes admittendae sint aut rejiciendae vel moderandae. Si scribamus
privatis eorumve adovocatis, vitam remque familiarem hominis percurremus et, quodnam ex quoque facto jus ei
nascatur, dicemus. Eaque ratione juris cognitio pars est scientiae oeconomicae.”
88
adnotatis tamen placitis irregularibus, velut exceptionibus. Nam quae contra rationem juris recepta
sunt, ad consequentia trahi non debent”.
A conforto di queste considerazioni, Leibniz concludeva, riprendendo le sue convinzioni in ordine
alla scientificità del diritto, nella consapevolezza, al tempo stesso, della molteplicità dei registri
comunicativi:
Haec tradendi rationem scientialis est. Priores magis indicum rationem habent,
prorsus quemadmodum geometria dupliciter in systematis formam redigi potest,
uno modo scientifico, quem tradidit Euclides, per rationes, altero practico pro
illis, qui propositiones scire satis habent, etsi rationes non intellegant.
In definitiva, sulle orme del lavoro analitico posto in essere da Pufendorf nella sua fondamentale
opera De jure naturae et gentium,edita nel 1672, tutta la riflessione ispirata al diritto naturale da
una parte ha invocato la presenza di principi fondamentali su cui costruire il diritto, dall’altra ha
utilizzato sempre di più i principi come paradigmi per la prospettazione ordinata e sistematica delle
regole del diritto privato89. E’ significativa l’insistenza con cui già nei titoli stessi delle opere più
importanti della letteratura giuridica che ha preceduto la codificazione civile di fine settecento si
ponesse attenzione centrale al tema appunto dei principi.
Come è stato osservato90, è possibile cogliere un singolare filo rosso che lega i lavori di Pufendorf
alla letteratura giuridica pur sempre di scuola o di ispirazione giusnaturalistica emersa sino alle
soglie della rivoluzione francese. A questo riguardo, già può dirsi di per sè eloquente che a distanza
di pochi decenni dalla sua edizione originale in latino, la versione francese del lavoro di Pufendorf,
elaborata da BARBEYRAC nel 1706, contenesse nel titolo stesso il riferimento ai principi in quanto
presentata come Le droit de la nature et des gens ou système des principes les plus importants de la
morale, de la jurisprudence et de la politique. A sua volta, DE VATTEL, nella sua opera del 1758, Le
droit des gens ou Principes de la loi naturelle appliqués à la conduite et aux affaires des nations et
des souverains del 1758, pur occupandosi del solo diritto internazionale, si richiamava ai principi
sulle orme di Barbeyrac, traduttore di Grozio e di Pufendorf. Ed è proprio sotto l’influenza di
Barbeyrac che BURLAMQUi, nei suoi Principes du droit naturel, del 174791, poi confluiti nel più
ampio lavoro Principes du droit naturel et politique del 1763, a sua volta provvide ad illustrare in
maniera chiara ed equilibrata la tradizione del diritto naturale che si era andata consolidando nel
tempo.
Per altro verso, non può sottacersi che, anche oltre la letteratura che si ispirava a Pufendorf – si
pensi, più in generale, a quella francese intervenuta nel dibattito filosofico - l’esperienza giuridica
d’oltralpe registrò in quel medesimo tempo la presenza di una produzione culturale certamente
minore quanto a spessore teorico, ma che concentrava la sua attenzione proprio sui principi
operativi del diritto privato: significativi al riguardo i lavori rispettivi di DESBANS92 e, soprattutto, di
D’AUBE93.
A ben vedere, nel quadro del progressivo affermarsi dell’esigenza di andare oltre il processo di
semplificazione e di ricognizione del diritto vigente, attraverso una opera di sistemazione guidata da
principi generali, l’affacciarsi sulla scena della storia direttamente del fenomeno della codificazione
89
Nella prospettiva di indagine offerta da Pufendorf e da Samuel von Cocceji si inscrive peraltro l’ampia attività di
Johann Gottlieb Heineccius, “l’eruditssimo poligrafo di antichità giuridiche e giurista dai molteplici meriti” ( così R.
ORESTANO, Norma stauita e norma statente Contributo alle semantiche din una metafora, in Materiali per una storia
della cultura giuridica 1983,325) dottissimo studioso oltre che fine umanista, a partire da i suoi Elementa juris naturae
et gentium pubblicati a Ginevra nel 1744 e che si rinvengono in ID, Operum ad universam Juris Prudentia , Ginevra
1744.
90
Ci si riferisce al pregevole lavoro di tesi elaborato nel 1997 da P. MORVAN, Le principe de droit privé,15ss
91
Tale opera di Burlamqui venne elaborata anche in lingua latina in una diversa edizione pubblicata a Ginevra nel 1754
con il titolo Elementa juris naturalis.
92
L. DESBANS , Les Principes de droit et de la politique, Parigi 1765.
93
F.R. D’AUBE, Essai sur le principes du droit et de la morale, Parigi 1743.
pose immediatamente in chiaro le ambiguità e gli equivoci relativi al concreto contesto sociopolitico in cui tale processo era allora in concreto calato.
Infatti, il ricorso ai principi generali anche solo in vista di una prospettazione semplificata del diritto
privato risultava sempre più consapevolmente necessario, per cui un comune denominatore nella
letteratura di epoca illuministica si rinviene agevolmente sia nella crescente quanto diffusa critica
circa l’inadeguatezza del modello giustinianeo, carente alla base di principi generali94, sia
nell’insoddisfazione per un diritto, come quello romano, che, nell’aver ammesso lo jus
controversum, sembrava rinunciare alla ricerca della certezza.
Per altro verso, risultava altresì evidente il limite strutturale immanente a siffatto processo di
“consolidazione” (non certo di effettiva “codificazione” in quanto indirizzato soltanto alla
semplificazione ed alla contrazione degli indici disciplinari vigenti), finché esso fosse rimasto, per
quanto corretto e mitigato dagli influssi giusnaturalistici, nella cornice politico sociale dell’Ancien
Régime: la persistente presenza di diversi status per i soggetti e di articolati privilegi militava senza
dubbio a favore della sopravvivenza di una frammentazione del diritto privato95. Come dire,
dunque, che il livello di astrazione dei principi cui richiamarsi, era direttamente legato, anche nei
suoi precipitati contenutistici, al modello sociale ovvero ai modelli sociali cui si intendeva fare
riferimento e, dunque, a scelte politico-ideologiche di fondo che andavano ben oltre la soglia delle
sole tecniche di drafting, ossia di confezionamento di un diritto privato chiaro e certo sulla base di
principi generali e nel rispetto del mos geometricus e del modello cartesiano ormai consolidantisi
nell’approccio anche delle scienze sociali96.
Nella sintetica parabola qui delineata, può allora ritenersi esemplare il Project du Corp de Droit
Frederic ou Corp de Droit , elaborato da Samuel von Cocceji alla metà del Settecento, sulla base
delle sollecitazioni avanzate nel 1749 da Federico di Prussia nella sua Dissertation sur les raisons
94
Al riguardo, eloquenti in quanto espressione di una diffusa convinzione, le sintetiche considerazioni svolte da
A.Verri, Di Giustiniano e delle sue Leggi in il Caffè, t.I Venezia 1766, 218, il quale nel criticare la codificazione
giustinianea proprio perché non aveva fissato “principi generali”, così osservava: “Un legislatore, che nel formare un
codice, non si limita ai principi generali, dai quali dedurre tutte le conseguenze,per quanto si può fornerà una vasta
biblioteca, di per lo meno, inutili volumi”. Considerazione, quella di Verri, per certi versi profetica ove si consideri l'
Allgemeines Landrecht adottato da Federico II di Prussia nel 1794, composto di oltre 17 mila articoli ed il quale
restava in perfetta sintonia con gli assetti sociali ed economici dell’Antico Regime: lucidissima, al riguardo, la
prospettiva critica avanzata da A. de TOCQUEVILLE, L’Antico Regime e la Rivoluzione, Milano 2004,266 secondo il
quale “sotto una testa tutta moderna” si vedeva apparire “un corpo tutto gotico”.
Ben più analitiche e puntuali sono, viceversa, le critiche al Digesto giustinianeo prospettate da SAMEUL VON COCEJI
nella prefazione al suo Project du corps de droit Frederic ou corps de droit ( così nella versione francese del 1751),
elaborato per Federico di Prussia: progetto che, a ben vedere, pur dichiarando di ispirarsi al diritto naturale si limitava in
effetti a riprendere molti contenuti del diritto romano per poi essere sconfitto nelle successive scelte che portarono
all’adozione dell’ Allgemeine Landrecht prussiano del 1794.
95
La consapevolezza politica del percorso indispensabile per l’effettiva introduzione di un diritto privato comune si
rinviene in maniera piena nel preambolo della Costituzione francese del 1791 che così si esprime: “L'Assemblée
nationale, voulant établir la Constitution française sur les principes qu'elle vient de reconnaître et de déclarer, abolit
irrévocablement les institutions qui blessaient la liberté et l'égalité des droits. Il n'y a plus ni noblesse, ni pairie, ni
distinctions héréditaires, ni distinctions d'ordres, ni régime féodal, ni justices patrimoniales, ni aucun des titres,
dénominations et prérogatives qui en dérivaient, ni aucun ordre de chevalerie, ni aucune des corporations ou
décorations, pour lesquelles on exigeait des preuves de noblesse, ou qui supposaient des distinctions de naissance, ni
aucune autre supériorité que celle des fonctionnaires publics dans l'exercice de leurs fonctions. Il n'y a plus ni vénalité,
ni hérédité d'aucun office public. Il n'y a plus, pour aucune partie de la Nation, ni pour aucun individu, aucun privilège,
ni exception au droit commun de tous les Français. Il n'y a plus ni jurandes, ni corporations de professions, arts et
métiers. La loi ne reconnaît plus ni vux religieux, ni aucun autre engagement qui serait contraire aux droits naturels, ou
à la Constitution”[la sottolineatura è nostra].
96
In definitiva, la prospettiva individualistica alla base della moderna codificazione, non a caso considerata di rilevanza
costituzionale, era impensabile ed impraticabile in una struttura sociale fondata sugli status: su questa considerazione di
N. LUHMAN, I diritti fondamentali come istituzioni, Bari 2002, si v. le ulteriori riflessioni di G. TEUBNER, La cultura del
diritto nell’epoca della globalizzazione, Roma 2005, 39ss, in part.44, secondo il quale nella società moderne il
riconoscimento dei diritti individuali, nella prospettiva dell’uguglianza, è da un lato il presupposto per la
differenziazione sociale, dall’altro lo strumento stesso che protegge il processo di differenziazione dalle sue tendenze
autodistruttive.
d’établir ou d’abroger les lois , e però rimasto incompiuto e comunque non adottato97 per via delle
scelte relative alla codificazione accolte in Prussia nei successivi anni98. In particolare, nella
Preface che accompagna la prima parte di quel progetto, destinato ad avere ampia diffusione in
Europa con repentine traduzioni in francese e in inglese, Samuel von Cocceji torna con insistenza,
persino eccessiva, sui principi generali: da un lato, per evidenziare, proprio per via della loro
assenza, la non sistematicità del diritto inserito da Giustiniano nel Digesto, nonché delle raccolta di
legislazioni presenti nei singoli Etats de l’Empire99, dall’altro per rimarcare più volte il loro ruolo
insostituibile quali pilastri indispensabili per costruire appunto un moderno diritto privato al tempo
“certo” ed “universale”, più precisamente un “Corps de Droit réduit en forme de Systeme, qui
contint toute la Jurisprudence, rangée dans l’ordre le plus naturel & le plus convenable, avec les
principes généraux fur chaque matiére, & les consequences qui en découlent”.
In questo progetto, elaborato però con uno stile scolastico e rivolto al passato, il romanista100
Samuel von Cocceji101 intendeva sublimare, per certi versi, l’approccio giusnaturalista alla base
della riflessione di Pufendorf, su cui si era formato già suo padre Heinrich, nel quadro pur sempre
della tradizione che si richiamava a Grozio102. A ben vedere, con esso si consuma, apertamente, la
contraddizione più evidente nell’esperienza dell’Ancien Régime insita nell’affidare a giuristi puri il
compito sia di costruire per una società ancora rigidamente articolata sul piano degli status un
diritto privato che avrebbe voluto essere al tempo stesso “certo” ed “universale” e, come tale,
fondato su un sistema raisonnable & naturel, ispirato pur sempre a “les principes génèraux du Corps
de Droit Romain 103; sia di provvedere a che siffatto sistema individuasse “touts les droits & le
priviléges auxquels peuvent prétendre ceux qui vivent dans une societé civil, soit de l’état des
persones, soit du droit des choses, soit de l’obligation de la personne”104.
97
Sul clima e le vicende che hanno portato al progetto di Samuel von Cocceji, si v. M. SCATTOLA, Federico II ed il
diritto naturale, Relazione svolta al convegno organizzato dall’accademia delle scienze di Torino nei giorni 3-4 aprile
2012 e rinvenibile al sito www.accademiadelle scienze.it. Suil progetto di Cocceji nel contesto della codificazione
prussiana, si v. P.A.J. VAN DEN BERG, The Politics of European Codification, Europa Law Publishing, 2007, 65ss.
98
A proposito del prussiano Allgemein Landrecht del 1794, punto di arrivo di un lungo processo di elaborazione ( si v.
per tutti TARELLO, op. cit. 223ss) è sufficiente rimarcare che esso ben si iscrive nell’ambito dell’Ancien Régime: come
è stato acutamente osservato R. SOHM, Le Code civil français e le Code civil allemand, in Congrès international de
droit comparé tenu à Paris du 31 juillet au 4 août 1900: procès-verbaux,Parigi 1905, 261ss, l’Allegemeni Landrecht
prussiano non pretendeva, come avverrà per il Code Civil, di costituire il solo diritto vigente, ma rappresentava più
semplicemente il droit commun prussien destinato a convivere con i diritti particolari delle province e, in definitiva, a
prendere “seulement la place du vieux commun des pandectes , du droit universal”. A differenza del Code civil
napoleonico che costituisce il prime Code national, “Dans l’ Ėtat de Frédéric-le Grand manque ancore l’idèe de l’ètat
unitaire national et par là môme du droit unitaire national”.
99
Anche per questi, come pure per il Digesto, von Cocceji non ha difficoltà ad osservare che “ ils ne sont pas non plus
réduits en forme de systeme, & ne contiennent pas sur chaque sujet des principes gènéraux” .
100
Per questa “qualifica” di Samuel von Cocceji, si v. R. FERRANTE, Codificazione e cultura giuridica, Torino 2011 già
in ID, Cultura giuridica e codificazione in Clio@Themis n.2.
101
Sui due Coccejj, padre e figlio, si v. le preziose osservazioni di K. HAAKONSSEN, Natural Law and Moral
Philosophy: From Grotius to the Scottish Enlightenment, Cambridge 1996, 135ss.
102
Sul punto con specifico riferimento alla riflessione sul “soggetto”, si v. P. CAPPELLINI, Storie di concetti giuridici,
cit. 87ss.
103
Ciò in quanto, secondo von CocceJi, ”ces Loix son incontestablement fondées pour la plupart sur le Droit naturel”:
così la Preface, cit. xxiv.
104
Si v. VON COCCEJI,op.cit., xxv. Contraddizione, a ben vedere, cui non si sarebbe del resto sottratto l’ Allgemeines
Landrecht für die Preußischen Staaten, adottato nel 1794, non solo per il suo carattere asistematico, ma già per il suo
stesso titolo, ben diverso da quello originariamente programmato in termini appunto di Allgemeines Gesetzbuch für die
Preußischen Staaten e fortemente avversato dalla nobiltà prussiana: su questo punto si v. BERKOWITZ, The Gift of
Science. Leibniz and the Modern Legal tradition, cit, 71ss.
Sull’impossibilità nel contesto dell’Ancien Régime di andare oltre la sola semplificazione, nonostante l’impegno di tanti
giuristi, si v. le lucide considerazioni di JE.M. PORTALIS, Discours de presentation du code civil in ID, Discours,
Rapports et travau inédit sur le Code Civil, Parigi 1844, 90ss, il quale, a proposito della situazione esistente in Francia
prima della rivoluzione, così rimarcava (op.cit.98): “Tant qu’il existé en France des differences et de distinctions
politiques entre les personnes, tant qu’il ya eu des nobles et des privilégiées, on ne pouvait faire disparaitre de la
A fronte del progetto elaborato da Samuel von Cocceji, persino ingenuo nella sua radicalità, ove si
pensi, ad es., al proposto divieto generalizzato di fare commenti o dissertazioni su tutto il Corpo del
diritto o su qualcuna delle sue parti105 - divieto destinato ad aggiungersi a quello imposto
specificatamente in capo agli avvocati ed ai giudici di citare l’autorità del diritto romano o di
qualsiasi Dottore106 – ben altra consapevolezza, nel medesimo lasso di tempo, è dato rinvenire nella
riflessione brillante del barone DE BIELFELD, nelle sue Institutions politiques107. Infatti, nella
convinzione che “ si le Droit Naturel nous dit ce qui est juste, la Politique nous enseigne ce qui est
utile”108, il barone de Bielefeld, per quanto amico di von Cocceji, sosteneva che “ si le Souverain
veut faire un nouveau Code, il n’est pas prudent d’en abandonner la confection, ni à un seul
Jurisconsulte, ni même a une Assemblée de plusieurs persone que ne sont qu’hommes de Loi
….Pour être Législateur, il ne suffit pas d’être bon Juriconsulte, mais qu’il faut être consommé dans
la Politique, & ex connoitre toutes les parties”109.
Sez II. I principi nella codificazione civile moderna: un intermezzo
5.- Dal Code civil ai codici del Novecento
Il riferimento ai principi ha costituito un momento qualificante del processo attraverso il quale la
dottrina ha provveduto all’organizzazione sistematica del diritto privato in vista prima della
consolidazione del diritto vigente e, successivamente, di nuove codificazioni che rispondessero ad
esigenze di chiarezza e di brevità e che limitassero il ruolo degli interpreti110.
La singolare funzione assegnata ai principi nel processo, prima di consolidazione/razionalizzazione
del diritto intervenuto tra seicento e settecento in Europa (al fine di individuare quello vigente e di
semplificarne l’esposizione) e,successivamente, di elaborazione di un diritto privato nuovo, come
appunto è avvenuto a partire dal Code Civil napoleonico del 1804, ben si coglie ove si consideri
innanzitutto la tessitura del codice francese, alla quale pur sempre ha continuato a legarsi anche la
nostra stessa codificazione del 1942 seguita a quella del 1865.
Infatti, con la codificazione rivoluzionaria, la “missione” assegnata dalla dottrina civilistica ai
principi, al fine di mettere a punto le regole ed assicurare una loro coerente organizzazione nel Corp
du Droit, appare ormai portata a termine e non vi è ragione che in tale veste essi siano presenti
formalmente nel nuovo diritto scritto111.
Come è stato efficacemente osservato a proposito della codificazione francese, essa ha dato sbocco
alla ricerca sino ad allora effettuata dalla dottrina per enucleare un diritto fondato sulla ragione la
quale procede pur sempre per principi. Con l’adozione del code civil “quello che era il diritto della
législation civile les différences et les distinctions qui tenaient à ces vanités sociales, et qui établissaient dans les
familles un ordre particulier de succéder, pour ceux qui avaient dejà una manière particulière d’exister dans l’Etat”.
105
Così il §10 del Project du corps de droit Frederic ou corps de droit cit., 18.
106
Si v. il §5 del Project du corps de droit Frederic ou corps de droit cit. 16.
107
Il riferimento è al lavoro di J.F. BIELEFELD, Institutions politiques, edito in Olanda nel 1760.
108
BIELEFELD, op.cit., 82.
109
BIELEFELD, op.cit.,84.
110
E’ significativo rimarcare che il riconoscimento circa lo stretto legame tra l’elaborazione dei principi e la
codificazione, nel duplice senso che la loro elaborazione è fondamentale perché si abbia una codificazione e che la loro
presenza sopperisce pur sempre, in funzione organizzativa e di sistemazione del materiale legislativo, alla mancanza di
un codice, è patrimonio diffuso nella cultura giuridica. Al riguardo si è osservato di recente a proposito del diritto
amministrativo che in esso “ i principi occupano un posto importante …..anche a causa della mancanza di una
codificazione generale della materia, a differenza di quanto avviene, ad esempio, nel campo del diritto civile o di quello
penale”: così G. NAPOLITANO, La logica del diritto amministrativo, Bologna 2014, 51.
111
Sulla rilevanza strategica della moderna codificazione civile ai fini dell’egemonia della borghesia ha più volte
insistito nelle sue riflessioni Paolo Grossi, parlando al riguardo di assolutismo giuridico: a suo dire ID, La formazione
del giurista e l’esigenza di un odierno ripensamento metodologico, in XXXII Quaderni fiorentini 2003, 33-34,
attraverso la codificazione ed il monopolio del legislatore quanto alla produzione del diritto “ il liberalismo economico
pretende il controllo della dimensione giuridica per garantire appieno i valori sui cui è fondata la sua costituzione non
scritta, valori di libertà economica che avrebbero trovato appoggio non su delle déclarations ancora intese come aeree
conclamazioni filosofico-politiche, bensì negli articoli inchiodanti di un testo normativo”.
ragione, edificato dalla mente dei sapienti, diventa il diritto del sigillo dello Stato. Si dirà al giudice
di obbedire al sigillo; pensiero e ragione sono munere functi. L’università degli studi diffonde la
nuova realtà; non spiegherà ai giovani il diritto; spiegherà il codice”112.
La manifestazione emblematica di questo risultato, al quale si associa la formale apertura di uno
scenario nuovo in cui il primato indiscusso del legislatore avrebbe voluto prospettare per i giuristi
un futuro destino non diverso da quello già conosciuto a suo tempo dai teologi, può rinvenirsi
innanzitutto nella significativa esiguità delle disposizioni del Code Civil in cui si fa espresso
riferimento al termine “principi”113, nonché nell’ambigua formula con la quale, ai fini della
completezza operativa del Code, l’art.4, senza fornire criterio operativo alcuno, si è limitato a
preannunciare sanzioni per il giudice, colpevole di denegata giustizia, ove si rifiuti di giudicare “
sous prètexte du silence, de l’obscurité ou de l’insuffisance de la loi”.
Non diversa può dirsi la nostra esperienza codificatoria del 1865 e del 1942 in cui il termine
“principi” è presente in pochissime norme. In particolare, se si fa eccezione al riferimento, pur di
sicuro rilievo, di cui rispettivamente agli artt. 3 del cod. civile del 1865 e dell’art.12 delle
disposizioni preliminari al codice del 1942, in cui si rinvia ai principi “non scritti” e rilevanti ai fini
dell’analogia juris,114 tanto il nostro codice del 1865, quanto quello attuale del 1942 risultano più
parchi della stessa stesura originaria del Code civil. Infatti, nel codice civile del 1865, il termine è
presente soltanto negli artt.3, 1668 e 1907; viceversa, nel codice del 1942, oltre l’art.12 delle
disposizioni preliminari, risulta richiamato soltanto nell’art.1281, a proposito della moneta, e nell’
art. 2598 in materia di responsabilità dei professionisti115.
Esula dal tema qui esaminato l’indagine sul particolare riferimento ai principi che, in funzione della
della completezza dell’ordinamento, si rinviene nei già citati articoli presenti nel codice civile del
1865 ed in quello del 1942, come anche nell’art.7 dell’austriaco Allgemeines bürgerliches
Gesetzbuch (ABGB) DEL 1811116: in particolare, sul richiamo, in questo ultimo caso, al diritto
naturale, al solo “diritto” nel codice civile italiano del 1865 e sulla diversa formula adottata nella
codificazione del 1942, che ha collegato i principi generali all’ “ordinamento giuridico dello
Stato”117.
112
Così R. SACCO, I principi generali nei sistemi giuridici europei, in I principi generali del diritto, Atti del Convegno
Lincei svoltosi a Roma 27-29 maggio 1991, cit.,165.
113
Nell’originario testo del 1804, il termine “principes” ricorre espressamente soltanto 8 volte, in particolare negli artt.
565, 1196, 1221, 1584, 1803, 2021, 21028,2240. A ben vedere, peraltro, nella maggior parte dei casi il termine rinvia ad
indicazioni normative derivanti da altre disposizioni del medesimo codice. Soltanto nell’art. 565 si riferisce ad
indicazioni “esterne”: in particolare, a proposito del meccanismo dell’accessione, si richiamano i “principes de l'équité
naturelle”.
114
Invero, siffatti principi costituiscono la espressione della ratio più generale alla base delle regole presenti
nell’ordinamento e, dunque,suscettibili di essere ricavate dall’interprete. In realtà, il raffinato sviluppo della dottrina
emersa nel corso del Novecento si è progressivamente liberata dalla precomprensione che originariamente guidava
l’approccio alla codificazione per la quale la completezza dell’ordinamento era un dato preesistente più che un risultato
da attingere, sì da ridurre la distinzione tra processo interpretativo ed integrazione del diritto. Di qui la stessa riduzione
della contrapposizione tra analogia legis e analogia juris: sul punto si rinvia a N. LIPARI, Morte e trasfigurazione
dell’analogia, in Riv. Trim. Dir.Proc.Civ. 2011, 1ss.
115
Attualmente si ritrova anche negli art.2343ter, 2391bis, 2403, 2423bis, 2426,2427, 2497, 2507, 2516 in materia
societaria in ragione delle riforme intervenute anche sulla base della normativa comunitaria, nonché negli artt. 155 e
337bis (principio di proporzionalità) relativi alla filiazione, per via del recente d.lgs 8 dicembre 2013, n. 154.
116
In particolare, a proposito delle lacune, il §7 dell’ABGB richiama i natürlichen Rechtsgrundsätzen. E’ interessante
rammentare anche un’altra disposizione del medesimo codice. In materia di successione testamentaria e con riferimento
a lasciti che potremmo qualificare in termini “di solidarietà sociale”, il §694 escludeva la loro qualificazione come
legati e, più in generale, l’applicabilità nei loro confronti dei Grundsätzen des Privat-Rechts.
117
Sul tema esiste una letteratura immensa: quanto alle origini della formula e al dibattito che ha preceduto la sua scelta
si rinvia per tutti A. Sciumé, Il principī generali del diritto nell'ordine giuridico contemporaneo: (1837-1942), Torino
2002; si v. anche A. SOMMA, I giuristi e l'Asse culturale Roma-Berlino: economia e politica nel diritto fascista e
Ai nostri fini, tralasciando il significativo fallimento del tema emerso nella nostra esperienza
allorquando nel corso del regime fascista si prospettò l’idea di far precedere la codificazione da
principi generali in linea con le aspettative politiche dell’epoca, è interessante soltanto rimarcare
che anche le altre codificazioni civili tra Ottocento e Novecento hanno conservato un atteggiamento
oltremodo restrittivo quanto all’accoglimento formale del termine principi, pur con significative
aperture per le clausole generali.
Quanto al BGB, adottato a distanza quasi di un secolo dal Code Napoleon e di forte impronta
dottrinaria, il termine è attualmente presente soltanto nel §1697a a proposito dell’interesse del
minore. Nel codice civile portoghese, il termine ricorre solo a proposito della buona fede negli artt.
3 e 437 e a proposito dell’ordine pubblico negli artt, 22, 81,1651 e 1668. A sua volta il codigo civil
spagnolo cita i principi solo nell’art.1 a proposito delle fonti, nell’art.1611 in materia di censos e
nell’art.13 delle disposizioni transitorie.
Anche nei codici civili più recenti non è dato registrare un mutamento di indirizzo118. In
particolare, nel Code Civil del Quebec, adottato nel 1994 e che ha preso il posto del Code Du Bas
Canadà del 1865 fedelmente ispirato al code civil napoleonico119, il richiamo ai principi è presente
nella sola ed unica disposizione preliminare che al comma 1°,nel testo francese, così si esprime :
“Le Code civil du Québec régit, en harmonie avec la Charte des droits et libertés de la personne et
les principes généraux du droit, les personnes, les rapports entre les personnes, ainsi que les
biens”120.
Conclusione non diversa può avanzarsi a proposito del recentissimo codice civile del Brasile,
adottato nel 2002, che, per quanto ispirato alla Costituzione federale del 1988, orientata
assiologicamente sul solidarismo121, richiama espressamente il termine “principio” soltanto
nell’art.422 a proposito della buona fede122.
nazionalsocialista, Klostermann 2005, 118; sugli atteggiamenti di alcuni protagonisti del dibattito si v. M.BRUTTI,
Vittorio Scialoja, Emilio Betti Due visioni del diritto civile, Torino 2013.
118
Sui caratteri delle codificazioni del Quebec e della federazione russa si v. le considerazioni introduttive di
H.P.GLENN. The Grounding of Codification, in 31 U.C. Davis L.Rev. 1997-1998, 765ss.
119
Sul punto e in ordine alla cultura giuridica canadese si v. S. NORMAND, La Culture juridique et l’acculturation du
droit: le Quebec (2011), in Legal Culture and Legal Transplants Reports to the XVIIIth International Congress of
Comparative Law Volume 1 –2011 Special Issue 1, Article 23, 11ss.
120
Il comma 2° della disposizione preliminare così recita: “Le code est constitué d'un ensemble de règles qui, en toutes
matières auxquelles se rapportent la lettre, l'esprit ou l'objet de ses dispositions, établit, en termes exprès ou de façon
implicite, le droit commun. En ces matières,il constitue le fondement des autres lois qui peuvent elles-mêmes ajouter au
code ou y déroger” .
Trattandosi di un paese bilingue, il codice del Quebec è presente anche in inglese. Ebbene, con riferimento alla norma
qui richiamata è emerso un significativo dibattito in quanto nella versione in lingua inglese l’espressione francese droit
commun è stata riportata con quella di jus commune: sul punto si v. il saggio di H.P. GLENN, La Disposition
préliminaire du Code civil du Quebec, le droit commun et les principes généraux du droit, in Les Cahiers de Droit
n.46, 2005, 339ss nonché A-F. BISSON, La Disposition pre1iminaire du Code civil du Quebec, in 44 McGill L. J. 19981999, 539ss. Sulla importanza della Carta costituzionale e dei principi generali sul codice del Quebec si v. F.
ALLARD, L’impact de la Charte canadienne des droits et libertés sur le droit civil: une relecture de l’arrêt Dolphin
Delivery à l’aide d’une réflexion sur les sources du droit civil québécois France, in Revue du Barreau, marzo 2003,
1ss.
121
Non può negarsi, al riguardo, l’influenza sul testo del codice, il quale, a fondamento della disciplina dell’illecito
civile, richiama l’abuso del diritto. Infatti, l’art.187 così dispone: “ Também comete ato ilícito o titular de um direito
que, ao exercê-lo,excede manifestamente os limites impostos pelo seu fim econômico ou social, pela boa-fé ou pelos
bons costumes”.
122
Sul codice brasiliano del 2002, che da un lato ha conservato una parte generale secondo il modello del BGB e
dall’altro ha proceduto all’ unificazione tra codice civile e codice commerciale, si rinvia A A.CALDERALE ( a cura di), Il
Nuovo codice civile brasiliano. Atti del Convegno internazionale sul Novo codigo civil brasiliano. Rio de Janeiro, 4-5-6
dicembre 2002, Milano 2003; nonché a ID, Diritto privato e codificazione in Brasile, Milano 2005.
Infine, è bene qui rimarcare, rinviando nel prosieguo considerazioni più analitiche al riguardo, che
nel tempo a noi più vicino, anche nella codificazione civile si registra una significativa inversione di
tendenza quanto alla formale presenza di principi nei testi. A prescindere dai significativi
inserimenti che lo stesso code civil francese ha progressivamente conosciuto nelle materie su cui il
legislatore è ritornato nel corso degli ultimi anni, mette conto qui richiamare due recenti
manifestazioni esemplari del fenomeno ora segnalato.
Innanzitutto, il progetto per un nuovo codice civile argentino123 si caratterizza per la molteplicità dei
casi in cui l’articolato prospetta un esplicito richiamo ai principi124, in ragione, molto
probabilmente, sia dell’origine dottrinaria della sua attuale stesura, sia del rilievo che sulla
codificazione civile spetta alla nuova Costituzione125. Il riferimento a questi due punti, ribadito
espressamente dal presidente della Commissione,Lorenzetti, cui si deve la più recente stesura
attualmente al centro del dibattito, trova la sua prima manifestazione già nelle disposizioni
preliminari oltre che nel corpo del codice, in considerazione dell’incisiva rilevanza valoriale e
solidaristica da assegnare alla legislazione civile126.
Singolare, d’altra parte, si presenta il nuovo codice civile della Federazione russa, introdotto a
partire dal 1994 e tuttora in corso di successive implementazioni, il quale si occupa
fondamentalmente dei rapporti economici e contrattuali essendo orientato in maniera evidente al
ripristino dell’economia di mercato127. Ebbene, accanto al riferimento ai principi generali, ai fini
123
Il progetto del nuovo codice civile argentino, il cui iter già molto travagliato si rivela oggi molto agitato sopratutto
per alcune scelte fortemente innovative in materia di diritto di famiglia ( sul punto si rinvia per tutti a L.M. MERLO, El
proyecto de unificación de los Códigos Civil y Comercial en materia de derecho de familia tras la media sanción
del Senado nonchè a M.S. CIRUZZI,La ‘reforma’ al proyecto de reforma al Código Civil y Comercial: el gatopardismo
como receta política , saggi entrambi rinvenibili nel sito http://aldiaargentina.microjuris.com.), è l’espressione del
nuovo corso intervenuto in quel paese a partire dalla nuova Costituzione. Le vicissitudini sin qui emerse nei lavori
preparatori, i mutamenti intervenuti nella stessa composizione e direzione della Commissione istituita al riguardo
rivelano indubbiamente le resistenze di parte significativa della società argentina verso un rinnovamento dell’impianto
complessivo del codice: assai di recente il collegio nazionale degli avvocati argentini ha respinto in toto il progetto in
quanto, a suo dire, integrerebbe il ripudio della tradizione giuridica degli ultimi 150 anni. Sicché è difficile al momento
prevedere se il nuovo codice civile e commerciale potrà davvero essere varato.
Attualmente, però, sull’ Anteproyecto de reforma del Código Civil y del Código Comercial del 2012 si è espressa la
commissione bicamerale appositamente nominata la quale nella seduta del 20 novembre 2013 ha approvato con
modifiche il nuovo testo, oggi rinvenibile al sito http://aldiaargentina.microjuris.com.
124
A proposito dell’ Anteproyecto de reforma del Código Civil, va osservato che, a prescindere dai casi numerosi in cui
il termine principi ricorre nella rubrica degli articoli, si fa riferimento ai principi nell’art.2 che, in materia di
interpretazione, rinvia a “las disposiciones que surgen de los tratados sobre derechos humanos, los principios y los
valores jurídicos, de modo coherente con todo el ordenamiento”; nell’art. 528, a proposito dell’arricchimento senza
giusta causa; nell’art.595 in materia di adozione; nell’art.639 relativo alla potestà dei genitori; nell’art.576 e 710 per il
processo familiare; nell’art.945 in materia di rinuncia al diritto; nell’art.1061 relativo alla buona fede
nell’interpretazione del contratto; nell’art.1075 quanto alla conservazione del contratto ; nell’art.1094 quanto alla
protezione del consumatore in sede di interpretazione del contratto; nell’art.1662 quanto alla tutela del contraddittorio
nel giudizio arbitrale; nell’art.2030 quanto al rispetto dei principi costituzionali nella rappresentanza legale delle
comunità indigene; nell’art.2600 e 2612 2634 relativi al rispetto dell’ordine pubblico a proposito dell’applicazione della
normativa straniera e della tutela processuale per le sentenze straniere e dello status nella filiazione; nell’art.2651 in
materia di diritto internazionale privato.
125
Sul punto sono eloquenti le considerazioni alla base delle motivazioni del progetto e dell’ illustrazione del suo
articolato contenute nella relazione della Commissione dal titolo Fundamentos del anteproyecto de Cόdigo Civil y
Comercial de la Naciόn, che si rinviene nel sito www.nuevocodigocivil.com.
126
E si v. infatti, il saggio di R. LORENZETTI, Aspectos valorativos y principios preliminares del anteproyecto de
cόdigo civil y comercial de la naciόn che si rinviene al sito www.nuevocodigocivil.com.
127
Questo codice, che non copre tutte le tematiche presenti nei codici civili dell’Europa occidentale ( ed infatti si
consideri il distinto Land Code adottato nel 2001 per il quale si rinvia all’ampio saggio di W.P. KRATZKE, Russia's New
Land Code: A Two Percent Solution in 12 Minn. J. Global Trade 2003,109 ss), è dall’avvio della sua introduzione,
intervenuta a metà degli anni novanta, al centro di un’ ampia letteratura. In generale sull’esperienza codificatoria russa
si v. A. OSTROUKH, Russian Society and its Civil Codes: A Long Way to Civilian Civil Law, in 6 J. Civ. L. Stud. 2013,
373ss nonché VA. RAKHMILOVICH, The Nex Civil Code of the Russian Federation, in 22 Review of Central and East
European Law 1996 , 135ss.
dell’analogia juris di cui all’art.6, l’art. 137, a proposito degli animali in proprietà, richiama i
principi dell’umanità. A sua volta l’art 602, in materia di rendita vitalizia, richiama il principio di
integrità e di ragionevolezza. A sua volta a proposito della disciplina dei miglioramenti nel rapporto
di affitto di azienda si richiama il principio di coscienziosità e ragionevolezza. Nella disciplina
dell’illecito, inoltre, il consenso dell’avente diritto non esime dalla responsabilità laddove risultino
violati i principi morali della società ( art.1064). Gli artt. 1349 e 1419, infine, escludono
rispettivamente la brevettabilità e la paternità in presenza di innovazioni o sperimentazioni che
siano in contrasto col pubblico interesse e/o con i principi morali ed umani. I medesimi principi
rilevano altresì al fine di limitare le scelte del nome per le società.
Sez.III. Dalle codificazioni ai “principi” nel diritto scritto dentro e fuori dai confini nazionali
6- Dalle regole ai principi nel costituzionalismo del Novecento: la carta costituzionale del
1948
Pur con le puntualizzazioni avanzate nel paragrafo precedente, si può correttamente osservare che
l’estraneità dei “principi” al corpo effettivo della codificazione civile (sul presupposto appunto che
essi sarebbero chiamati soltanto al compito di orientare le scelte delle regole, queste sì da collocare
nel diritto scritto, di dettarne, a tal fine, l’ordine di collocazione anche topografica nonché a
permettere l’interpretazione sistematica del diritto scritto anche e non solo per finalità didattiche),
non presenta soluzione di continuità nell’ambito delle codificazioni generali del diritto privato
emerse nel corso del Novecento.
Ovviamente, anche nella lunga stagione delle codificazioni europee intervenute tra Ottocento e
Novecento, la riflessione della dottrina sui principi ivi compresa la loro costante messa a punto,
attraverso implementazioni, crisi e riordino gerarchico, hanno continuato a rappresentare un
momento inevitabile della funzione spettante appunto alla cultura giuridica, a partire da quella
privatistica128, cui si è aggiunto altresì il contributo della giurisprudenza129. Sebbene il legislatore
Sui modelli culturali alla base della cultura giuridica privatistica russa si v. C.OSAKWE, Modern Russian Law of
Contracts:A Functional Analysis, in 24 Loyola of Los Angeles International and Comparative Law Review 2002,116ss;
sulla codificazione intervenuta nel corso del Novecento si v. anche LH. BLUMENFELD, Russia's New Civil Code: The
Legal Foundation for Russia's Emerging Market Economy, 30 International Lawyer. 486ss. Accanto agli studi
pioneristici emersi a ridosso della sua adozione ( si v. al riguardo i saggi pubblicati nella Review of Central and east
European Law rispettivamente nel 1995 cui vanno aggiunti anche quelli editi nel corso del 2005) si sono accumulati nel
tempo molti contributi aventi ad oggetto ora l’intera intelaiatura del codice, ora specifiche tematiche con particolare
riferimento alle questioni relative rispettivamente alla disciplina generale del contratto, ai diversi tipi contrattuali
regolati, alla responsabilità civile: sul punto si rinvia in particolare al prezioso saggio di B. RUDDEN, Civil Society and
Civil Law, contenuto in D.BARRY, G.GINSBURGS, W.B. SIMONS( a cura di), The Revival of Private Law in Central and
Eastern Europe: Essays in Honour of Ferdinand J.M. Feldbrugge Nijhoff 1996, 17ss. Accanto agli altri lavori compresi
nel volume ora richiamato, si v. anche gli interventi raccolti sempre da W.B. SIMONS ( a cura di), Private and Civil Law
in the Russian Federation: Essays in Honor of F.J.M. Feldbrugge, Brill, 2009. Su alcuni profili strutturali del codice si
v. R. KNIEPER, Stability and Transition in the Civil Code of the Russian Federation, in 44 McGill L. J. 1998-1999,
259, ss. A proposito della responsabilità civile si rinvia a A. S. KOMAROV, The Civil Code of the Russian Federation:
General Provisions on Liability for the Violation of Obligations, ivi, 357ss. Sul contratto, si v. in particolare S. A.
SMITH, The General Provisions on Contract in the Civil Code of the Russian Federation, in 30 Review of Central and
East European Law 2005, 49ss.
E’ il caso di osservare, infine, che la crisi dei paesi ad economia pianificata, oltre a riaprire il dibattito sulla
codificazione in generale, ha indotto anche a riprendere la discussione in ordine alla presenza di un solo codice ovvero
alla riproposizione del dualismo tra codice civile e codice dell’economia: sul punto, con particolare riferimento alla
esperienza dell’Ukraina che ha previsto una doppia codificazione si v. A BIRYUKOV, The Doctrine of Dualism of
Private Law in the Context of Recent Codifications of Civil Law: Ukrainian Perspectives, in Annual Survey of
International & Comparative Law, 2010, vol. 8, Article 4.
128
Sulle modalità di intervento al riguardo da parte della “scienza giuridica”, si v.le lucide pagine di R. GUASTINI, Il
realismo giuridico ridefinito, in 19 Revus Pravna metodologija 2013, 107ss.
napoleonico e l’ideologia politica coeva all’ introduzione del Code civil abbiano cercato di limitare
al massimo l’attività “manipolativa“ del diritto scritto da parte dei giuristi interpreti, esigendo da
questi una attività meramente esegetica, era inevitabile che nel tempo la dottrina riprendesse con
vigore la ricerca e la fissazione dei principi in relazione alla stessa disciplina codicistica.
Fatto inevitabile, è il caso di osservare, posto che, se da un lato le regole consacrate nei codici erano
certamente il precipitato di principi che ne avevano ispirato e guidato la fissazione nei testi, dall’
altro le disposizioni ivi introdotte non potevano, col trascorrere del tempo, che presentarsi agli
occhi degli interpreti pur sempre come semplici enunciati130, come tali suscettibili di nuove letture
che avrebbero portato a nuovi esiti ermeneutici, nonché a riorganizzazioni sistematiche, sulla base
appunto tanto della messa a punto di principi e di categorie dogmatiche diversi da quelle “di
origine”, quanto delle esigenze mutevoli della società a cui il pietrificato testo del codice è
chiamato pur sempre a fornire risposte adeguate131.
Sotto questo profilo, dunque, il lavorio della dottrina sulla scorta dei principi da utilizzare sia nella
sistemazione sia nella lettura della disciplina codicistica e, successivamente, della legislazione
speciale ha potuto svolgersi, e nel tempo si è svolto, ora in obbediente continuità e rigoroso rispetto
del testo del codice132- secondo l’approccio legalista della c.d. scuola dell’esegesi - ora recuperando
progressivamente ampi spazi all’attività innovatrice dell’interprete, secondo i diversi approcci
metodologici messi a punto a partire dalla fine dell’Ottocento.
Nell’ambito di questo indefesso lavorio della dottrina giuridica privatistica, la riflessione sul diritto
privato, a partire innanzitutto dalla codificazione, ha ruotato, in definitiva, pur sempre sulla costante
messa a punto di principi, sulla verifica in ordine alla loro persistenza nonché sui limiti operativi di
taluno di essi, ovvero sul loro tramonto a vantaggio di altri in relazione alle diverse aree tematiche
129
Per un riferimento al singolare contributo offerto dalla giurisprudenza della Cour de cassation, si v. N. MOLFESSIS,
La notion de principe dans la jurisprudence de la Cour de cassation, in Rev. Droit civil 2001, 699ss.
130
Sul punto, restano sempre preziose le pagine di G. TARELLO, Diritti,enunciati, usi, Bologna 1974,143ss. Non vi è
dubbio che la demitizzazione della legge scritta e la centralità assegnata al momento della interpretazione ha
inevitabilmente ricondotto a riformulare la stessa teoria delle fonti posto che l’individuazione della concreta risposta
giuridica vede il coinvolgimento anche della dottrina e della giurisprudenza che dunque entrano a pieno titolo nel
processo ermeneutico: sul punto, si v. la lucida sintesi offerta da J. GHESTIN, Les données positives du droit, in Rev.
Trim. Droit Civil 2002, 11ss.
131
In altre parole, nel corso dell’Ottocento si è progressivamente e, per certi versi inevitabilmente, dissolta l’eredità
offerta dalla “ ermeneutica dell’illuminismo, indirizzata a vedere “ quasi sempre nel diritto qualcosa di predato”…per
cui “ il diritto trova posto solo nelle regole, così da poter essere rintracciato solo nelle regole stesse”: così S. MEDER, Ius
non scriptum. Tradizione della produzione privata del diritto, Napoli, 2011, 224.
132
Eloquente, al riguardo, l’ impostazione seguita dal belga Laurent nel suo monumentale commentario al Code
Napoleon. Infatti, con suo famoso trattato sui Principes de droit civil in 33 volumi Laurent da un lato intese confermare
il ruolo della dottrina nella lettura sistematica del diritto scritto, non a caso esaltando già nel titolo il rilievo dei
principi, dall’altro individuò in misura precisa il limitato ambito operativo della dottrina a fronte dell’onnipotente
legislatore. Invero, nella prospettiva propria della c.d scuola dell’esegesi ,F. LAURENT, op. cit. 43, metteva in guardia
contro l’idea che si potessero perpetuare le modalità di agire dei giureconsulti romani: “C’est un écueil contre lequel
nous devons nous tenir en garde. Nous nìavons pas le droit d’innover; il ne nous est pas permis de corriger, de
perfectionner nos codes”. Ciò non significava, a suo dire, la condanna all’immobilismo: “ l’interprète peut et doit
signales les lacunes, les imperfections, le dèfauts de la législation qu’il est appelé à expliquer. Et ces travaux préparent
le progrès que le législateur a pour mission de réaliser”. In definitiva,secojdo Laurent, “La mission des interprétes, sous
nos codes, est donc plus modeste” rispetto a quella svolta dai giureconsulti in passato.
In questi limiti, tuttavia, il compito della dottrina resta di sicuro rilievo ed ha a che fare sempre con i principi: “ Notre
science est une suite de principes logiques fondés sur la raison; elle ne doit pas renvoyer au sentiment. Sans doute, la
difficulté est grand parfois de precise les pèrincipes, mais il ne faut jamais reculer devant la tàche. Quandle égislateur ne
défint pas, il laisse ce soin à la doctrine, delle ne peut pas s’en dispenser; elle ne le peut surtout pas qund elle s’adresse à
la jeunesse: ce serait l’habituer à se contenter de mots, ou ce qui revient au même, de demi-idées” ( LAURENT, op. cit.
82). Sicchè di fronte ad una “réponse incomplète” da parte del codice, si prospettano “ difficultés inextricables” per cui
l’interprete finirebbe con il diventare legislatore; di qui il ruolo dei principi: “Cest pour cela que nous commençons par
l’exposé des principes généraux, tels qu’ils son formulés dans nos textes” (LAURENT, op. cit,108). Quanto, poi, al
giudice, il “ n’est point le ministre de l’équité, il est l’organe et l’esclave de la loi ( così sempre LAURENT, Principes
élémentaires de droit civil, t. I, Paris-Bruxelles, 1869, p. 58).
coinvolte: a titolo puramente esemplificativo, si considerino taluni principi classici quali il principio
della autonomia privata, quello consensualistico, quello della tipicità dei diritti reali, del possesso
vale titolo, dell’affidamento, di buona fede, dell’ingiustificato arricchimento, cui si sono aggiunti
più di recente quello della trasparenza, di proporzionalità, ovvero si pensi alla crisi registrata da
alcuni molto risalenti come quello affidato al brocardo “mater semper certa est” o quello relativo al
rapporto univoco tra soggetto e patrimonio, etc.
Peraltro, l’intervento successivo della legislazione speciale ha ulteriormente confortato l’approccio
della dottrina rivolto alla ricognizione dei principi con gli esiti, a tutti noti da tempo, conseguenti al
riscontro di significative e crescenti devianze di tale legislazione da alcuni dei principi alla base
della codificazione: sicché, a prescindere dal fatto che siffatta legislazione riflettesse nuovi speciali
principi diversi da quelli codicistici, ovvero si rilevasse del tutto non riconducibile a processi di
razionalizzazione, si è appunto parlato di crescenti fenomeni di “decodificazione” destinati, secondo
alcuni, a sboccare in una definitiva perdita di coerenza interna e di senso della disciplina, ormai
frantumata in episodi legislativi del tutto congiunturali e slegati tra loro, sì da indurre parte della
dottrina a parlare di nichilismo giuridico133.
A ben vedere, nel corso del Novecento, il tema dei principi rientrato a seguito delle intervenute
codificazioni nel tradizionale alveo operativo della dottrina giuridica alle prese, tanto per ragioni
didattiche quanto per ragioni operazionali, con la lettura sistematica del diritto scritto, ha registrato,
sul complessivo piano dell’esperienza giuridica, nuove stagioni di singolare emersione. Quella più
significativa, anche per via dei suoi effetti di lungo periodo che ne sono discesi, è da individuarsi
nel moderno costituzionalismo134.
Con esso, infatti, i principi sono direttamente entrati nei testi stessi delle Costituzioni135, sì da
incidere significativamente sul sistema delle fonti e della complessiva visione dell’ordinamento
giuridico, con particolare riguardo da un lato alla questione relativa alla “singolarità” che le Carte
costituzionali presentano rispetto agli altri testi giuridici anche dal punto di vista
dell’ermeneutica136, dall’altro, a quella riguardante l’incidenza delle disposizioni costituzionali sulla
legislazione privatistica e nella concreta prassi, nei termini propri della c.d. Drittwirkung137 .
Invero, le moderne carte costituzionali non si limitano a fissare regole per la produzione di norme,
ossia regole di procedura, ma intervengono anche sul contenuto delle leggi, con la previsione anche
di un specifica corte con funzione di “custode”. La costituzione moderna, in definitiva, “ traccia
principi, direttive e limiti al contenuto delle leggi future”138.
133
Per questa versione del nichilismo giuridico radicale, per cui sarebbe vano ogni tentativo di razionalizzare la serie di
comandi in cui si articola il giuridico, dovendosi l’impotente interprete limitarsi alla sola esegesi si v. N.IRTI,
Nichilismo giuridico, Roma- Bari 2004. Sul punto, ma in una prospettiva che comprende anche il moderno sviluppo
delle teorie interpretative dovute alla filosofia analitica e all’ermeneutica filosofica si v. M.BARCELLONA, Critica del
nichilismo giuridico, Torino 2006.. In termini critici su questa deriva in cui il giurista diverrebbe semplice spettatore
della realtà, si v. tra gli altri, F.GALLO, Una critica del nichilismo giuridico in Riv. Dir. Civ. 2001, I,19ss; N.LIPARI,
Diritto e valori sociali. Legalità condivisa e dignità della persona, Roma 2004. S.RODOTÀ ( a cura di) Dialogo sul
nichilismo giuridico Roma 2004.
134
Per un inquadramento del neocostituzionalismo nel dibattito più generale sul diritto si v. da ultimo M. BARBERIS,
Diritto e morale: la discussione odierna, in 16 Revus Pravna metodologija 2011,55ss.
135
Per una sintesi sul punto si v. B. CELANO, Diritti, principi e valori nello Stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di
ricostruzione, in Analisi e diritto 2004, a cura di P.Comanducci e R. Guastini, 53ss.Un’ ampia illustrazione anche in
chiave comparatistica si rinviene nel recente contributo di L. MEZZETTi,Valori,principî,regole, in ID (a cura di),
Principi costituzionali, Torino 2011, 1ss.
136
Nel rinviare al prosieguo riferimenti più ampi al tema, è qui sufficiente richiamare il solo problema relativo
all’applicabilità dell’art.12 delle preleggi alle norme costituzionali: in senso negativo si v. tra gli altri G.
ZAGREBELSKY,La legge e la sua giustizia, cit. 265ss; per altri riferimento si v. G.PINO, Diritti ed interpretazioni Il
ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, cit. 37.
137
Sul tema, al centro della problematica dei diritti fondamentali nella realtà costituzionale moderna esiste un dibattito
molto ampio: sulle riserve avanzate da parte della dottrina si v.,esemplarmente, E.FORSTHOFF, Lo stato della società
industriale, Milano 2011, 165ss.
138
Così, H.KELSEN, La giustizia costituzionale, Milano 1981, 153.
Esula dalla nostra indagine l’approfondimento della specifica articolatissima vicenda riguardante i
principi nella prospettiva delle carte costituzionali, in cui fondamentalmente è riemerso il tema del
rapporto tra diritto e valori e, dunque, si è riproposta la questione relativa al rapporto tra diritto e
morale che alla luce del positivismo giuridico si era ritenuto ormai risolta, più che semplicemente
tramontata139. Mette conto soltanto richiamare, nell’ottica della presente riflessione sul diritto
privato, che il dibattito relativo ai principi c.d. costituzionali e la loro distinzione dai diritti, siano
essi esplicitamente menzionati nel testo stesso della Costituzione140 ovvero enucleati in via
interpretativa141, si è incentrato a lungo sul rapporto tra principi e diritti, nel senso che i primi non
necessariamente si tradurrebbero in pretese immediatamente azionabili, in mancanza di concrete
interventi regolativi di attuazione142. Il carattere meramente programmatorio dei principi, tale da
suggerire la presenza di una distinzione nei testi costituzionali tra norme precettive e norme
139
Sulla necessità di storicizzare il rilievo che i principi hanno nei testi costituzionali e sui dubbi circa la possibilità che
i principi costituzionali in quanto espressione di un ethos proveniente dalla stessa società risolvano sempre nel segno
della ragionevolezza questioni in cui si registra una contrapposizione di valori legata al pluralismo proprio di una
società multietnica, multirazziale e multireligiosa e, dunque, su una necessaria rimeditazione circa il ruolo positivo che
può assolvere la legislazione attuativa, quale alternativa ad un diretto riferimento operativo ai principi, v. le meditate
considerazioni di A.CATANIA, Metamorfosi del diritto. Decisione e norma nell’età globale, Roma-Bari 2008, 89ss. E’
indubbio, al tempo stesso, che l’apertura ai valori da parte delle Costituzioni per il tramite della centralità assegnata alla
persona umana riapropone in termini del tutto nuovi il tema del diritto naturale, ora come “potenzialità”
dell’ordinamento ( così F. VIOLA Ragion pratica e diritto naturale: una difesa analitica del giusnaturalismo, in Ragion
pratica 1993, 61ss, in part.77 ) ora come “un ordine morale definito dai valori della persona umana, al quale si
aggiunge la qualifica di «diritto» per indicare la pretesa non tanto di essere diritto (preesistente al diritto positivo),
quanto di diventare diritto, di entrare nel corpo dell’ordinamento positivo quale categoria fondante della costituzione
dello Stato e parametro ideale-normativo di legittimazione sostanziale del diritto legale”(così L. MENGONI,
L’argomentazione nel diritto costituzionale in Ermeneutica edogmatica giuridica. Saggi, cit., 1996, p. 116)
140
Per una sintetica ricognizione delle Costituzioni in cui viene richiamata espressamente la distinzione tra principi e
diritti si vedano, per ampi riferimenti anche alla letteratura, le conclusioni dell’Avv. Gen. C. VILLALΌN, del 18 luglio
2013 nella causa C-176/12.
141
Tra le costituzioni più recenti merita un’attenzione peculiare quella del Sud Africa del 1996: a differenza di quanto
accade per altre Costituzioni, in cui il bilanciamento dei diritti e ,di conseguenza, per il suo tramite , la valutazione
circa la costituzionalità delle leggi sono affidati ai paradigmi ermeneutici elaborati dalle stesse Corti costituzionali
istituite a presidio della Costituzione, nel caso del Sud Africa, l’esigenza di salvaguardare la minoranza bianca da una
possibile prevaricazione legislativa da parte della maggioranza di colore ha portato a formalizzare nel testo stesso della
Costituzione espliciti principi finalizzati a limitare il potere legislativo. Eloquente, al riguardo, l’art.36 (Limitazione dei
diritti) a tenore del quale: (1) I diritti garantiti in questo Bill of rights possono essere limitati esclusivamente da una
legge generale ed unicamente nel caso in cui le limitazioni siano ragionevoli e giustificabili in una società aperta e
democratica, fondata sulla dignità umana, sull’eguaglianza e sulla libertà, prendendo in considerazione tutti i fattori
rilevanti, tra cui: a) la natura del diritto;b) l’importanza dello scopo della limitazione; c) la natura ed il grado di
estensione della limitazione;d) il rapporto tra la limitazione ed il suo scopo;e) le modalità meno restrittive possibili per
il raggiungimento di tale scopo.(2) Salvo quanto previsto nel comma (1) o in qualsiasi altra disposizione della
Costituzione, nessuna legge può limitare i diritti garantiti nel Bill of rights”.
142
A proposito della richiamata distinzione tra diritti e principi, l’art.52 comma 5°della carta di Nizza, stabilisce che
“Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi
adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto
dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai
fini dell'interpretazione e del controllo di legalità di detti atti”. A questo riguardo, al punto 50 delle sue conclusioni nella
causa C-176/12, VILLALΌN ha sostenuto che dal testo della carta si evincerebbe che, a differenza dei diritti,il cui
oggetto è la tutela di una situazione giuridica soggettiva già definita”, i principi comporterebbero un mandato ai
pubblici poteri ben più ampio. Secondo VILLALΌN, nel caso del principio “ il suo enunciato non definisce una
situazione giuridica soggettiva, bensì talune materie generali e taluni risultati che condizionano l’attività di tutti i
pubblici poteri. In altre parole, i pubblici poteri, e in particolare il legislatore, sono chiamati a promuovere e a
trasformare il ‘principio’ in una realtà giuridica conoscibile, ma sempre nel rispetto dell’ambito oggettivo ( la materia) e
del carattere finalistico ( i risultati) delineati dalla disposizione della carta che detto ‘principio’ sancisce.”
programmatiche143, ben si rifletterebbe nella presunta netta divaricazione144 tra diritti di libertà e
diritti sociali145: gli uni immediatamente operativi e dotati di indiscussa operatività in termini anche
di Drittwirkung, gli altri soggetti alle leggi attuative146 e, nel caso, alle effettive disponibilità
finanziarie dello Stato. Né è possibile, in questa sede, entrare nel merito della questione complessa,
ma cruciale nella dinamica costituzionale, riguardante il bilanciamento tra i principi di rango
costituzionale147, suscettibile non solo di soluzioni diverse nei concreti contesti applicativi, ma
anche di incidere significativamente nella prassi ermeneutica riguardante disposizioni comprese nel
diritto privato e relative a conflitti intersoggettivi.
Invero, in ogni caso l’enucleazione di nuovi principi nel testo e per via del testo della Costituzione
ha comunque inciso sul complessivo quadro della disciplina privatistica, codicistica e non, in
quanto, nel rispetto della gerarchia delle fonti, al di là della verifica finale in ordine alla legittimità
costituzionale della legislazione ordinaria, comprensiva dei codici, anche l’ermeneutica delle norme
di diritto privato è mutata: essa infatti ha dovuto conformarsi al rispetto delle disposizioni e dei
principi costituzionali. Per altro verso, la legislazione privatistica ispirata ai valori della
Costituzione e, dunque, orientata in termini “solidaristici” ai sensi dell’art.3 Cost, secondo comma,
143
Per una rilettura del tema come emerso nella esperienza costituzionale italiana si rinvia alla sintesi di recente offerta
delle Costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in
da M. LUCIANI, Dottrina del moto
Osservatoriosullefonti.it. 2013 fasc.1, 14ss.
144
Per opportune puntualizzazioni circa la pretesa distanza ,quanto alla loro effettiva tutela, tra diritti di libertà e diritti
sociali si v. da ultimo R. BIN, Diritti e fraintendimenti: il nodo della rappresentanza, in Scritti in onore di G.Berti,
Napoli 2005, I, 345-374; più di recente si v. V. PUPO, Principi relativi ai diritti sociali, in Forum dei Quaderni
costituzionali Rassegna 4/2014. Nei medesimi termini, con riferimento ad un diverso contesto costituzionale, si v. J. O.
USMAN, Good Enough for Government Work: the Interpretation of Positive Constitutional Rights in State
Constitutions, 73 Alb. L. Rev. 2010, 1462ss, il quale, a proposito della distinzione tra diritti a contenuto positivo o
negativo, parla di un “continuum”. In effetti sulla riduzione della tradizionale dicotomia tra diritti di libertà e diritti
sociali anche nei sistemi di common law si v. da ultimo C. MARTINELLI, Diritto e diritti oltre la Manica, Bologna 2014,
275ss. In effetti è da condividere la considerazione secondo la quale nelle Costituzioni democratiche “è contenuto il
principio di indivisibilità dei diritti civili, politici e sociali” ( così M. Fioravanti, Costituzionalismo Percorosi della
stioria e tendenze attuali, Roma-Bari 2009, 123), Ciò non toglie, è il caso di ricordarlo, che la prescrittività dei diritti
sociali incontra difficoltà maggiori nel confronto con i diritti di libertà negativi. Secondo D. GRIMM, Il futuro della
costituzione, in G.ZAGREBELSKI, P.P. PORTINARO, J.LUTHER, Il futuro della costituzione, Torino, 1996, 161” l’alta forza
normativa dei diritti fomndamentali negativi è dovuta al fatto che essi, in quanto divieti di condotta, non conoscono
altro modo di attuazione che l’omissione……Al contrario, per adempiere a uno scopo connesso ai diritti fondamentali,
sono molteplici le alternative a disposizione ammissibili. E’ quindi compito della politica decidere in base alle sue
priorità e risorse le modalità operative del compito di attuazione dei diritti fondamentali: i principi sono quindi affidati
all’interposizione legislativa per la loro stessa natura obiettiva”.
145
Sull’evoluzione dei diritti sociali e la loro costituzionalizzazione resta prezioso il contributo di A. BALDASSARRE,
Diritto Sociali, in ID, Diritti della persona e valori costituzionali, Torino, 2007, già in Enc. Dir. XI, 1989; più di
recente A. D’ALOIA , Storie costituzionali dei diritti sociali, in Scritti in onore di Michele Scudiero, vol. II, Napoli
2008, 689 ss; da ultimo L.R. PERFETTI, I diritti sociali.Sui diritti fondamentali come esercizio della sovranità popolare
nel rapporto con l’autorità, in Dir. Pubblico 2013, 61ss ivi ampia bibliografia.
146
Per questa ragione, la Corte di Giustizia nella sentenza 15 gennaio 2014 a proposito della causa 176/12 richiamata
nella nota precedente, ha configurato l’art.27 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, relativo al diritto
dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa, come principio, posto che, per produrre i
suoi effetti, esigerebbe l’intervento di disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale.
147
Per un riferimento alla prima esperienza emersa nella giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca a partire
dagli anni cinquanta del Novecento, si v. la recente riflessione di R. ALEXY, Constitutional Rights, Balancing, and
Rationality, in 16 Ratio Juris 2003, 131ss. E’ indubbio, peraltro, che la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo,
del singolo uomo, si prospetta come principio supremo. A questo riguardo, è sufficiente rammentare che nell’
esperienza tedesca, la Corte costituzionale, nel febbario del 2006, ha dichiarato l’ illegittimità della legge
Luftsicherheitsgesetz dell'11 gennaio 2005 nella parte in cui autorizzava il Ministro della difesa tedesco ad ordinare
all'aeronautica militare, in caso di necessità, l'abbattimento di un aereo civile qualora sulla base delle circostanze – si
pensi in particolare ad atti di pirateria aerea per terrorismo - si dovesse ritenere che l'aereo sarebbe stato impiegato
‘contro la vita di esseri umani’. La Corte ha ritenuto contraria al principio della dignità che si possa adottare una
soluzione destinata a sacrificare la vita degli incolpevoli passeggeri e membri dell’equipaggio per risparmiare
eventuali altre vittime dell’attentato terroristico.
emersa nei decenni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, non ha mancato di formulare
esplicitamente negli stessi testi normativi i principi ispiratori aventi fondamento costituzionale148.
A ben vedere, la Carta costituzionale non si è limitata soltanto ad aprire un nuovo fronte
all’indagine sui principi, anche attraverso la loro esplicita previsione nel testo, con tutte le
conseguenze ora sinteticamente riassunte.
Infatti, con riferimento alla distribuzione delle competenze legislative, essa ha dato rilievo formale
ed effettuale alla modalità operativa della dottrina volta, al fine di organizzare in termini ordinati e
sistematici le molteplici discipline legislative,a ricercare nelle singole leggi i rispettivi principi
fondamentali. E’ bene ricordare, infatti, che già nell’originario testo dell’art.117 Cost, l’ attività
legislativa delle Regioni non solo era stata limitata attraverso la puntuale individuazione delle
materie in cui essa avrebbero potuto dispiegarsi, ma, in ogni caso, era subordinata innanzitutto al
rispetto dei “principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”. A sua volta, nella nuova
versione del medesimo art. 117, conseguente alla riforma del titolo V della Costituzione intervenuta
nel 2001, la competenza legislativa delle Regioni, oggi concorrente con quella dello Stato nelle
materie individuate nell’art.117 comma 3°, si arresta a proposito della “determinazione dei principi
fondamentali” che è stata “riservata alla legislazione dello Stato”149. Come dire, dunque, che la
selezione dei dati normativi contenuti nella legislazione nazionale, alla ricerca dei principi
fondamentali ivi presenti, ossia “i nuclei essenziali del contenuto normativo” delle disposizioni
legislative150, sì da distinguere siffatti principi dalle norme semplicemente di dettaglio e rientranti
nelle diverse praticabili scelte attuative dei medesimi, assume nel vigente testo dell’art.117 Cost,
diretta ed immediata rilevanza ai fini della verifica circa la legittimità costituzionale rispettivamente
delle determinazioni legislative adottate sia dallo Stato e sia dalle Regioni151.
E’ indubbio, dunque, che rispetto all’assetto costituzionale previgente, la nuova versione del titolo
V intervenuta nel 2001 ha da un lato acuito l’esigenza di individuare i principi nella legislazione,
dall’altra sottoposto questa stessa attività ad un controllo di costituzionalità. Di qui la difficoltà di
trovare una soluzione che elimini le incertezze e riduca il contenzioso che grava in misura singolare
sulle spalle della Corte costituzionale chiamata a dirimere i conflitti tra Stato e Regioni. Al riguardo
è sufficiente limitarsi a rammentare la soluzione oltremodo inadeguata ed infelice introdotta
nell’art.1 della legge n.131 del 2003152, contenente le Disposizioni per l'adeguamento
148
Su questa ultima tendenza della legislazione post-costituzionale propria dello Stato interventista nell’ economia del
benessere, si v. per la esperienza europea, M.DELMAS-MARTY, Towards a Truly Common Law: Europe as a Laboratory
for Legal Pluralism, Cambridge 2002, 89ss.
149
Si tratta di principi che in prevalenza sono “inepressi” e dunque vanno ricavati dalla legislazione in via
interpretativa ovvero possono essere esplicitamente determinati dallo Stato nonche ricostruiti ex post anche in via
legislativa.
150
L’espressione è tratta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 482 del 1995. Sul riparto delle competenze di cui
al riformato titolo v della nostra Ciostituzione si v. la recente ricerca di M. CARRER, Il legislatore competente. Statica e
dinamica della potestà legislativa nel modello regionale italiano, Milano 2012.
151
Come dire, dunque, che l’individuazione dei principi è frutto di un’indagine puntuale che non può certo essere
sostituita o condizionata dalla presenza di disposizioni che si autoqualificano come tali ovvero dall’uso di una
particolare terminologia. Il rilievo, avanzato anche dalla corte costituzionale, è importante in quanto, assai di recente,
sulla base sia della suggestione offerta dal particolare drafting adottato nella legislazione comunitaria, sia dell’ esigenza,
a partire dalla riforma del titotlo V - su cui infra nel testo- di fare chiarezza sulle competenza legislativa concorrente
tra Stato e Regioni, molte leggi si aprono ora con l’individuazione dei principi, quasi a voler esplicitare le motivazioni
alla base delle determinazioni adottate dal legislatore, ora con la discutibile qualificazione dell’intera legge come
espressione di principi.
Discorso completamente diverso è quello relativo all’ effettiva prassi applicativa del riparto di competenze delineato nel
titolo V seguita dalla corte costituzionale: prassi nella quale si registra una progressiva riaffermazione della prevalenza
dello Stato (si v. al riguardo i lucidi rilievi di uno dei più attenti osservatori della giurisprudenza costituzionale, R. BIN,
Il governo delle politiche pubblice tra Costituzione e interpretazione del giudice costituzionale, in Le Regioni, 2013,
509ss).
152
Infatti, l’art.1 comma 4 della legge n.131 ( la c.d. legge La Loggia) prevedeva una delega al Governo per adottare,
uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei princìpi fondamentali “ espressamente determinati dallo Stato o,
in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti”….. “ con riferimento alle materie previste dall’articolo 117, terzo
comma, della Costituzione, attenendosi ai princìpi della esclusività, adeguatezza, chiarezza, proporzionalità ed
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, su cui è intervenuta
la Corte costituzionale con una pronuncia, la n.280 del 2004, che, a sua volta, non ha fornito una
risposta soddisfacente al problema.
7I principi nell’ edificazione dell’ordinamento giuridico europeo tra diritto delle
istituzioni e diritto materiale.
Al di là della vicenda relativa alla significativa singolare emersione dei principi nei testi delle
carte costituzionali introdotte da molti paesi nel corso del Novecento, la spinta più importante
intervenuta nel corso del secolo scorso a favore di una rinnovata attenzione, non più solo culturale
ma anche fondamentalmente operativa, al tema dei principi, a partire proprio dal diritto privato, è
emersa nell’Europa occidentale attraverso le istituzioni, prima, della Comunità europea e,
successivamente sino ai giorni nostri, dell’Unione europea.
La peculiarità del fenomeno, in termini di complessità ed incidenza sistemica, è che, in maniera
progressiva e sinergica, esso si è andato svolgendo contemporaneamente su due distinti piani. Il
omogeneità”. I successivi comma 5 e 6 disponevano a loro volta che: (5). “Nei decreti legislativi di cui al comma 4,
sempre a titolo di mera ricognizione, possono essere individuate le disposizioni che riguardano le stesse materie ma che
rientrano nella competenza esclusiva dello Stato a norma dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione”; ( 6)
“Nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 4, il Governo si attiene ai seguenti criteri direttivi: a)
individuazione dei princìpi fondamentali per settori organici della materia in base a criteri oggettivi desumibili dal
complesso delle funzioni e da quelle affini, presupposte, strumentali e complementari, e in modo da salvaguardare la
potestà legislativa riconosciuta alle Regioni ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione; b)
considerazione prioritaria, ai fini dell’individuazione dei princìpi fondamentali, delle disposizioni statali rilevanti per
garantire l’unità giuridica ed economica, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali, il rispetto delle norme e dei trattati internazionali e della normativa comunitaria, la tutela dell’incolumità e della
sicurezza pubblica, nonché il rispetto dei princìpi generali in materia di procedimenti amministrativi e di atti concessori
o autorizzatori; c) considerazione prioritaria del nuovo sistema di rapporti istituzionali derivante dagli articoli 114, 117
e 118 della Costituzione; d) considerazione prioritaria degli obiettivi generali assegnati dall’articolo 51, primo comma,
e dall’articolo 117, settimo comma, della Costituzione, alla legislazione regionale; e) coordinamento formale delle
disposizioni di principio e loro eventuale semplificazione”.
Su questa disposizione, al centro di una valutazione prevalentemente critica da parte della dottrina ( ex multis si v. R.
BIN, La delega relativa ai princìpi della legislazione statale, in AA.VV., Stato, regioni e enti locali nella legge 5
giugno 2003, n. 131, Bologna2003, p. 22 s; e A. D’ATENA, La difficile transizione. In tema di attuazione del Titolo V,
in Le regioni 2002, 305ss), la Corte costituzionale, con la pronuncia n.280 del 2004, ha respinto la questione di
legittimità costituzionale del comma 4 dell’art.1 della legge n.131 che era stata fondata sulla considerazione secondo la
quale il richiamo alla ‘mera ricognizione’ avrebbe costituito soltanto “un espediente verbale impiegato dal legislatore
per ‘cercare di superare la troppo palese incostituzionalità di una delega che avesse avuto ad oggetto la
"determinazione" dei principi fondamentali". Attraverso un’interpretazione minimalista della delega, la Corte ha
distinto tra la ricognizione della legislazione ivi prevista, assimilandola a quanto avviene in occasione della
compilazione di testi unici, dalla determinazione innovativa dei principi fondamentali proveniente da una successiva
determinazione legislativa di provenienza parlamentare innovativa dei principi fondamentali. Con riferimento esclusivo
alla prima attività al centro della delega, la corte ha ritenuto infondata la sollevata questione di illegittimià.
Al tempo stesso sulla base della medesima lettura minimalista della delega, la Consulta ha però dichiarato la
illegittimità costituzionale del comma 5° del medesimo articolo. Secondo la Corte, il riferimento della delega anche
all’individuazione delle disposizioni riguardanti le stesse materie, ma rientranti nella competenza esclusiva dello Stato
a norma dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione andrebbe oltre la mera attività ricognitiva posto che per
raggiungere tale risultato si deve “necessariamente fare opera di interpretazione del contenuto delle materie in
questione” e, dunque, andare oltre la mera attività ricognitiva. La medesima conclusione è stata adottata dalla sentenza
a proposito del successivo comma 6 della stessa norma: anche in questo caso, secondo la Corte, risulta del tutto
alterato il carattere ricognitivo dell’attività delegata al Governo in favore di forme di attività di tipo selettivo” per cui
“l’oggetto della delega viene così ad estendersi, in maniera impropria ed indeterminata, ad un’attività di sostanziale
riparto delle funzioni e ridefinizione delle materie, senza peraltro un’effettiva predeterminazione di criteri”.
Su questa pronuncia si v. ex multis i primi commenti di M. BARBERO,La Corte costituzionale interviene sulla legge “La
Loggia” (Nota a Corte Cost. 236/2004, 238/2004, 239/2004 e 280/2004), e di N. MACCABIANI, I decreti legislativi
“meramente ricognitivi” dei principi fondamentali come atti senza forza di legge”? entrambi in Forum Quaderni
costituzionali.
primo, che si potrebbe definire di rango costituzionale, ha riguardato la fissazione a livello
sopranazionale di un complesso di diritti e di principi: sotto questo profilo per i principi presenti nel
Trattato di Roma si è riproposto il medesimo itinerario problematico emerso per i moderni testi
delle Costituzioni nazionali. In realtà, il proprium dell’ esperienza legata all’istituzione della
Comunità europea è che i diritti ed i principi presenti nel trattato di Roma nonché la legislazione
secondaria adottata erano e tuttora sono destinati ad orientare le singole esperienze giuridiche
nazionali, riducendo progressivamente le sovranità statali quali erano emerse nella prima parte del
secolo breve, sì da portare alla formazione progressiva di un ordinamento giuridico nuovo e distinto
rispetto a quelli nazionali. Di conseguenza, le relazioni tra tali ordinamenti si sono collocati in un
campo di forze che vede tuttora come protagonisti i principi presenti nelle singole costituzioni
nazionali e quelli sedimentatisi nel tempo nelle istituzioni europee tanto nei Trattati quanto nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia: principi, alla cui gestione multilivello partecipano
innanzitutto le corti costituzionali nazionali insieme alla corte di Giustizia .
A questo riguardo, va ricordato che, a causa dell’originaria oggettiva incompletezza della disciplina
comunitaria, a partire da quella del Trattato di Roma, la costruzione dell’ordinamento comunitario,
cui ha contribuito in misura fondamentale la giurisprudenza creatrice della Corte di Giustizia, a sua
volta realizzatasi grazie anche al supporto e al confronto con una cultura giuridica affinatasi in
Europa nel corso del tempo, è avvenuta proprio attraverso il travaso a livello comunitario e/o
europeo di consolidati principi giuridici già presenti nel patrimonio comune alle singole esperienze
giuridiche delle Nazioni europee coinvolte, in un processo circolare nel quale la dottrina e la
giurisprudenza sono intervenute come autentiche fonti del diritto che hanno preparato e sviluppato
la successiva legislazione153. Come dire, dunque, che la vicenda storica legata allo strutturarsi
dell’ordinamento giuridico comunitario e/o europeo ha operato come un incentivo moltiplicatore
non solo della tradizionale propensione della sola dottrina ad enucleare principi sulla base del diritto
scritto, ma anche della diretta attribuzione di efficacia giuridica ai principi, come fonte di diritto,
nell’implementazione progressiva del nuovo ordinamento da parte delle istituzioni europee
sovranazionali, a partire dal contributo fondamentale assicurato dalla corte di Giustizia154. Il
fenomeno si è d’altro canto arricchito e complicato in quanto il processo osmotico di principi dagli
ordinamenti nazionali a quello comunitario/europeo si è al tempo stesso rovesciato verticalmente
dall’alto verso il basso, dando vita ad un sistema circolare155. Per altro verso, il primato originario
153
Sull’importanza emblematica della recente esperienza europea al fine di una rivisitazione delle categorie tradizionali
in materia di fonti del diritto legate all’ipostatizzazione dello Stato moderno, si v. le lucidissime riflessioni di N.LIPARI,
Per un ripensamento delle fonti-fatto nel quadro del diritto europeo, in Riv. trim.dir.proc. civ. 2013, 1207ss.
154
Sul punto la letteratura accumulatasi è immensa. Sul ruolo della Corte di Giustizia nel dare contenuto
all’ordinamento comunitario, attingendo dal patrimonio della cultura giuridica dei paesi europei e promuovendo di fatto
il processo stesso legislativo poi emerso nell’esperienza della originaria CEE e che avrebbe portato, oltre alle riforme
del Trattato, anche all’introduzione della Carta dei diritti fondamentali, si v., in particolare, il prezioso contributo di J.
BENGOETXEA, The Legal Reasoning of the European Court of Justice, Oxford 1993, nonché i saggi di F.G. MANCINI,
Democracy &Constitutionalism in The European Union, Oxford 2000 e, più di recente, K. LENAERTS e J. A.
GUTIÉRREZ-FONS, The Constitutional Allocation of Powers and General Principles of EU Law, in 47 Common Market
Law Review 2010, 1629ss. Sul processo operativo seguito dalla corte di giustizia nella elaborazione dei principi si v.
M.VAN HOECKE, The Use of Unwritten Legal Principles by Courts, in 8 Ratio juris 1995,248ss. Sui “principi”
fondamentali eleborati al livello dell’ordinamento giuridico europeo, si v. ex multis A.VON BOGDANDY, Founding
Principles of EU Law:A Theoretical and Doctrinal Sketch, in 16 European Law Journal, 2010, 95ss, ivi ampi
riferimenti bibliografici, nonché i saggi raccolti in AA.VV (a cura di), General Principles of EC Law in a Process of
Development: Reports from a Conference in Stockholm, 23-24 March 2007, Organised by the Swedish Network for
European Legal Studies Kluwer Law International, 2008.
155
Infatti, nell’ esperienza europea si è determinato un doppio movimento - ascendente (dalle esperienze nazionali alla
struttura sovranazionale) e discedente(sugli Stati ricadono complessi normativi adottati in sede europea) - destinato a
favorire un processo di uniformizzazione e, soprattutto, di armonizzazione dei diritti nazionali. Processo in cui
l’approccio comparatistico è stato ed è decisivo: sul tema si v. i saggi raccolti da M.DELMAS-MARTY (a cura di)
Critique de l’intégration normative. L’apport du droit comparé à l’harmonisation des droits, Paris, PUF, 2004. Sulla
rilevanza di questo processo nelle faticose e incompiute tappe volte all’armonizzazione del diritto privato tra I diversi
delle sole libertà economiche ( libera circolazione di merci, persone, lavoro, servizi, capitale) posto
a fondamento della strutturazione del mercato comune, prima, e del mercato unico interno,
successivamente, è stato sia pure in parte corretto da una progressiva attenzione per interessi e
valori diversi da quelli soltanto economici nella direzione del riconoscimento e della tutela anche di
diritti sociali e di valori156, sebbene, a proposito di questi, l’impianto accolto dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea si riveli insoddisfacente157.
Ebbene, questo processo è presente non solo nei Trattati seguiti a quello fondativo di Roma, ma
anche nel secondo piano dianzi segnalato: ci si riferisce al diritto materiale adottato a livello
europeo in vista appunto della costruzione, prima, di un mercato comune, da erigere a fianco di
quelli dei singoli paesi e, successivamente, di un effettivo mercato unico interno, destinato ad
abbracciare i territori di tutti i paesi aderenti alle istituzioni europee.
Infatti, l’introduzione da parte delle istituzioni europee di indici disciplinari aventi ad oggetto molte
aree del diritto privato non è intervenuta in un vuoto, ma ha fatto perno prevalentemente sulle
esperienze già in atto in alcuni paesi pilota, attingendo da esse, con opportuni adattamenti e
innovazioni, principi e regole. Per via delle concrete modalità adottate per la sua fissazione, la
disciplina privatistica di fonte comunitaria, accumulatasi in più di mezzo secolo di vita delle
istituzioni europee, ha alimentato un ampio processo di elaborazione culturale che ha fatto perno
proprio sui “principi” per favorire l’ armonizzazione tra le legislazioni privatistiche dei diversi paesi
membri158.
paesi oggi accompagnata anche dal comune fondamento individualistico della Carta dei diritti si v. l’ampia ricerca di K.
GARCIA, Le droit civil européen. Nouvelle matière, nouveau concept, Larcier, 2008.
Al tempo stesso, la centralità acquisita dalla elaborazione di principi da parte delle corti europee ( dalla Corte di
Giustizia alla Corte dei diritti dell’uomo), ha favorito l’attenzione vero i principi anche da parte della giurisprudenza
nazionale: per l’ esperienza francese si v. per tutti N. MOLFESSIS, La notion de principe dans la jurisprudence de la
Cour de Cassation, in Rev. Trim. Droit Civ. 2001, 699ss.
156
Su questo percorso, in verità decisamente accidentato, anche a causa di un improvvido ed intempestivo allargamento
della partecipazione all’Unione dei paesi dell’Europa dell’est, caratterizzati da economie arretrate rispetto agli altri
paesi gia da decenni presenti nella Comunità Europea, si v. S. GIUBBONI, I diritti sociali nell’ Unione Europea dopo
ilTrattato di Lisbona.Paradossi, rischi e opportunità, e S.GAMBINO, I diritti sociali e l’Unione europea, in La
cittadinanza europea, 2008. Quanto all’incidenza della giustizia sociale sul diritto privato nell’ esperienza europea si v.
i saggi raccolti da H. W. MICKLITZ( a cura di), The Many Concepts of Social Justice in European Private Law, Edward
Elgar, 2011, in particolare l’introduzione, con lo stesso titolo, a firma del curatore, ivi 1ss.
157
Al riguardo si v. la recente sintesi offerta da L.TRUCCO, Carta dei diritti fondamentali e costituzionalizzazione
dell'Unione Europea: Un’analisi delle strategie argomentative e delle tecniche decisorie a Lussemburgo, Torino 2013..
In riferimento al tema dei diritti sociali si v. da ultimo la riflessione di D. Tega, I diritti sociali nella dimensione
multilivello tra tutele giuridiche e crisi economica, rinvenibile al sito www.gruppodipisa.it. A ben vedere, è difficile
negare la cesura storica che appare emergere tra questa carta costituzionale e quelle preesistenti nei paesi europei – si
pensi, in particolare alla nostra- posto che la mutata classificazione di diritti per categorie per cui tutti sono posti allo
stesso livello elimina la tassonomia presente nel costituzionalismo moderno facendo venir meno la spinta originaria a
favore della emancipazione e promozione sociale dei meno abbienti e dei lavoratori (in questi termini, G. AZZARITI, Il
costituzionalismo moderno può sopravvivere?, Roma-Bari, 2013, 75ss) . Come è stato di recente osservato (I.CIOLLI, I
diritti sociali al tempo della crisi economica in Costituzionalismo.it, fasc.3 2012), se da un lato questa nuova
sistemazione elimina la distinzione tra diritti di prima e di seconda generazione dall’altro rende difficile il loro
bilanciamento in quanto non tiene conto della specificità storica di ciascuno di essi : “ il diritto al lavoro, ad esempio, è
situato nel capo dedicato alla libertà e non in quello della dignità o semmai dell’uguaglianza ed è collocato nello stesso
capo della libertà d’impresa”……… “non si può pensare di far valere in ambito comunitario quel legame strettissimo
tra dignità e lavoro, tra sviluppo della persona umana e lavoro che trova espressione nella Carta costituzionale italiana,
perché tale diritto è dal punto di vista comunitario strettamente correlato alla (e a volte obbligatoriamente bilanciato
proprio con la) libertà d’impresa, come del resto è nella tradizione giurisprudenziale europea, che non incontra i limiti
contenuti nell’art. 41 della nostra Costituzione”. Quanto, infine, alla concreta possibilità che la Carta dei diritti possa
incidere sui contenuti del diritto privato europeo si v. i recenti saggi raccolti di H. W. MICKLITZ, Constitutionalization
of European Private Law, Oxford 2014.
158
Per una sintetica rassegna dei principi costituzionali del diritto privato europeo si v. H. W. MICKLITZ, Introduction
in ID, Constitutionalization of European Private Law,cit. 23ss.
Più precisamente, il superamento del particolarismo disciplinare dovuto alla presenza di storiche
differenze tra le normative privatistiche dei diversi paesi membri prima della Comunità e, poi,
dell’Unione, con puntuale riferimento alle aree dei rapporti rientranti nelle specifiche finalità e
competenze delle istituzioni europee, è stato affidato per molto tempo ad un processo di semplice
armonizzazione delle diverse normative, nella consapevolezza della diversità, per certi versi
irriducibile, tra le culture giuridiche dei paesi coinvolti.
A tal fine, l’originaria scelta preferenziale della tecnica propria delle “direttive” si è tradotta
appunto nello sviluppo di una legislazione orientata soprattutto a fissare “i principi guida” o gli
obiettivi concreti di disciplina e di tutela da raggiungere, piuttosto che a dettare direttamente
minuziose norme applicative la cui concreta determinazione è stata lasciata ai singoli Stati.
In tal modo, al processo di produzione normativa multilivello emersa nei singoli paesi per via, sia
dell’incidenza delle carte costituzionali sulla legislazione nazionale, sia dell’ articolazione
territoriale dell’attività legislativa, si è affiancato ed in parte sovrapposto il medesimo processo
emerso sul piano sovranazionale in conseguenza appunto delle vicende legate all’integrazione
europea e al rapporto dialettico tra ordinamento comunitario/europeo e ordinamenti nazionali dei
paesi coinvolti. Entrambi i processi hanno avuto e tuttora hanno come protagonisti fondamentali
proprio i principi, siano essi quelli introdotti appunto nel diritto scritto ovvero quelli elaborati e
fatti propri dalla giurisprudenza in sede ermeneutica.
A ben vedere, il dato maggiormente significativo della vicenda ora richiamata può indubbiamente
riscontrarsi nel più ampio contesto sovranazionale, emerso in Europa negli ultimi decenni del
Novecento. Infatti, lo storico progetto europeo di superare la frantumazione del diritto privato
seguita alla formazione degli Stati moderni era rivolto a dare sempre maggiore effettività al
processo di costruzione di un mercato unico interno al territorio europeo dei paesi membri, come
tale esigente una regolazione tendenzialmente indifferenziata nel suo spazio operativo. Ebbene,
siffatto processo, una volta avviatosi e sviluppatosi a livello europeo, tramite molteplici iniziative
legislative finalizzate appunto alla armonizzazione e/o alla uniformizzazione della disciplina
privatistica a partire da circoscritte aree tematiche o da specifici segmenti e settori di mercato, ha
prodotto effetti nel sistema “diritto” proprio dei singoli paesi europei.
Lo strutturarsi progressivamente nei singoli paesi di una giurisprudenza e , nel contempo, di una
cultura giuridica chiamate a misurarsi con un diritto di fonte sovranazionale, comune ai singoli
paesi e però scritto sulla base della grammatica e della sintassi giuridica storicamente sedimentatesi
in Europa, ha fatto sì che tanto istituzioni pubbliche, quanto istituzioni private, Facoltà giuridiche e
addirittura singoli “ dottori del diritto” abbiano ritenuto necessario intervenire in questo processo
con iniziative finalizzate appunto a favorire dal basso il processo di ricomposizione della frattura
storica del diritto privato europeo intervenuta con il trionfo dei nazionalismi. Tali iniziative si sono
manifestate attraverso una rinnovata diffusa attenzione per le indagini comparatistiche159: indagini
che, facendo chiarezza sulle diversità di linguaggio e di impostazione dogmatiche delle singole
esperienze, si sono orientate appunto alla ricerca di concrete convergenze disciplinari se non
addirittura di un nuovo jus commune160. E’ del tutto evidente, proprio sulla base di quanto illustrato
in precedenza, che la ricerca di matrici comuni non poteva che riprendere l’avvio, in apicibus,
proprio dall’ individuazione di principi comuni e regole generali161.
159
Con lo sviluppo del diritto comunitario, diventato diritto interno sotto il controllo della Corte di Giustizia, è mutato
in Europa l’approccio di tutti i giuristi: come è stato efficacemente osservato ( L. BOY, Pour une analyse critique du
droit en 2010 ?, in Critique(s) du droit, Hommage au professeur R. Charvin, 2012, 32) “les juristes deviennent
comparatistes sans s’en rendre compte”.
160
Su questo ultimo indirizzo, v. le severe critiche di C. S. CERCEL, Le “jus commune” dans la pensée juridique
contemporaine, ou le comparatisme perverti, secondo il quale la ripresa del tema nell’attuale stagione della esperienza
giuridica europea rispecchierebbe un orientamento della dottrina in bilico tra un’ utopia prescrittiva ed una mitologia
discorsiva.
161
Nel dibattito apertosi nella dottrina europea, sull’onda delle iniziative avviatesi a livello istituzionale, la prima
questione di fondo ha riguardato la possibilità stessa di avviare un processo di codificazione a livello europeo pur nella
Di qui, l’aprirsi di una nuova singolare stagione nella cultura privatistica europea tuttora in corso
che ha sensibilmente inciso sulle tradizionali chiusure nazionalistiche chiaramente evidenti, a tacer
d’altro, nelle stesse strutture dell’accademia162. Una serie di iniziative e progetti, in parte correlati in
parte autonomi dalle azioni dell’Unione europea sono state indirizzate, nei loro possibili esiti finali,
a costruire una codificazione civile unitaria a livello europeo163: codificazione se non a carattere
generale, quanto meno destinata a coprire alcune circoscritte aree disciplinari. E’ in questo clima
che può ben comprendersi la ragione per la quale anche al livello delle manifestazioni simboliche
affidate al linguaggio, il termine “Principi” sia stato ampiamente utilizzato per segnalare la linea di
ricerca comune a tante iniziative e, al tempo stesso, l’obiettivo finale da perseguire o da
raggiungere.
E’ riemerso, dunque, un itinerario già presente nella tradizione giuridica europea richiamata nei
precedenti paragrafi, sia pure in una prospettiva sostanzialmente diversa se non proprio rovesciata
rispetto a quella che è alle nostre spalle. Infatti, nell’epoca premoderna, a fronte di un orizzonte
normativo, ampiamente frantumato, per quanto contraddistinto pur sempre dalla presenza di un jus
commune di origine romanistica, la ricerca dei principi si è indirizzata alla ricomposizione di quadri
ordinati per le singole esperienze nazionali che si andavano strutturando nell’ambito degli Stati:
ricomposizione filtrata attraverso i modelli elaborati dai giusnaturalisti e il diffondersi di una
metodologia giuridica sensibile all’approccio logico-sistematico. Attualmente, nell’esperienza
giuridica europea, anche attraverso proposte di soft law164 di cui si fanno portatori molte iniziative
accademiche ed istituzioni culturali, si assiste viceversa, partendo dall’analisi delle singole
esperienze giuridiche nazionali, all’opposto processo indirizzato appunto alla ricostruzione di un
diritto privato comune europeo o quanto meno ad un diritto privato comune su specifiche aree
tematiche. Non deve allora sorprendere se in questa nuova stagione si siano altresì affacciate anche
proposte, indubbiamente minoritarie ed irrealistiche, indirizzate a riproporre il diritto romano coma
la piattaforma più adeguata su cui collocare siffatta iniziativa, questa sì, divenuta comune alla
cultura giuridica europea165.
sostanziale distanza tra le mentalità esistenti non solo tra paesi di civil law e di common law, ma anche tra le stesse
tradizioni culturali continentali: questione che ha visto contrapposte le impostazioni più scettiche ( si v. in particolare
P.LEGRAND, Against a European Civil Code, 60 Mod. L. Rev. 1997, 44ss; per una ricognizione sul punto si v. J. M.
SMITS, Law Making in the European Union: On Globalization and Contract Law in Divergent Legal Cultures, in
67 Louisiana Law Review,2007, 1181ss), già critiche sugli effetti destabilizzanti intervenuti in alcuni ordinamenti per
via della normativa, sia pure settoriale, già introdotta a livello comunitario (si pensi al contrastato tema della disciplina
sulla buona fede, su cui si v. tra gli altri G. TEUBNER, Legal Irritants: Good Faith in British Law or How Unifying
Law Ends up in New Divergences, 61 Mod. L. Rev 1998, 11ss) e le impostazioni più ottimistiche: si v. pensi, tra le
altre, alle posizioni di R. ZIMMERMANN, Codification – The Civilian Experience Reconsidered on the Eve of a Common
European Sales Law, in 8 European Review of Contract Law (ERCL), 2012 , 367ss.e di S.NADAUD,Codifier le droit
civil européen, Larcier 2008. In questo contesto, del resto, si collocano le divergenti valutazioni dell’ampio lavoro
della dottrina alla base dei volumi sul Draft Common Frame of Reference avente ad oggetto Principles, Definitions and
Model Rules of European Private Law, elaborato dallo Study Group of a Europeabn Civil Code e dal Research Group
on EC Private Law ( Acquis Group): su questa iniziativa si v. ex multis, R. ZIMMERMANN E N. JANSEN, A European
Civil Code in All But Name: Discussing the Nature and Purposes of the Draft Common Frame of Reference, in 69
Cambridge Law Journal 2010, 98ss; nonché AA.VV.,The Common Frame of Reference for European Private Law—
Policy Choices and Codification Problems, in 28 Oxford J Legal Studies 2008, 659ss.
162
Sul punto, con specifico riferimento alla riflessione dei privatisti, si v. C. JORGES, The Science of Private law and the
Nation State, in F. SNYDER ( a cura di), The Europeanisation of Law. The Legal Effects of European Integration,
Oxford 2000, 47ss.
163
Eloquente nel tracciare lucidamente questo percorso il titolo stesso del saggio di C.V.BAR, From Principles to
Codification: Prospects for European Private Law, in 8 Colum.J.Eur. 2002, 379ss.
164
Sul ruolo della soft law con specifico riferimento alla normativa privatistica emersa nella recente esperienza
giuridica europea, si rinvia per ulteriori riferimenti a M.R. FERRARESE, La governance tra politica e diritto, Bologna
2010, 36ss. Sul più generale tema circa la polisemia del termine soft law si rinvia ai saggi raccolti in A. SOMMA (a cura
di), Soft law e hard law nelle società postmoderne, Torino 2009, 117 ss.
165
Non è un caso che “la visione continuista della storia del diritto dall’esperienza romana a quella moderna” (
l’espressione è di S.MAZZAMUTO, Matteo Marrone e il diritto civile, in Bullettino dell’Istituto di diritto romano
Sez. IV Dall’età delle regole all’ età dei principi ? Problemi e prospettive del diritto postmoderno
8. – La normativa per principi nei diritti della persona: una considerazione d’insieme
Nella parabola sin qui tracciata si è cercato di evidenziare che nell’ esperienza giuridica europea
del Novecento, i principi hanno conosciuto una singolare fortuna, non solo in ordine al rilievo
tradizionale avuto nell’ambito della riflessione della cultura giuridica riguardante il Beruf dei
giuristi circa il mettere ordine nel materiale offerto innanzitutto dal legislatore, ma anche per via
dell’intrecciarsi di questa “costante”, interna all’ indagine dei giuristi, alla circostanza intervenuta
nella modernità dovuta al neocostituzionalismo.
Alla lunga stagione in cui i principi sono stati “impliciti” e, dunque, ricavabili dal diritto scritto, si è
affiancata quella, apertasi con il Costituzionalismo del Novecento, in cui i principi sono entrati
esplicitamente tra le modalità di manifestazione espressa del giuridico per cui le norme scritte
A voler
possono presentarsi formulate in termini appunto di regole o di principi166.
schematicamente riassumere questo percorso, si potrebbe dire, pur con tutti i caveat indispensabili
al fine di evitare equivoci, che i principi espliciti sono in definitiva presenti negli ordinamenti
giuridici in termini di “norma statuita”, posto che risultano oggi formalmente inseriti nel diritto
scritto, e al tempo stesso di “norma statuens”, in quanto per la loro concreta operatività richiedono
in sede applicativa la concretizzazione in una puntuale regula juris o ratio decidendi.
L’ampio dibattito intervenuto non solo in sede di teoria delle norme e dell’argomentazione
giuridica, ma nella stessa dottrina costituzionalistica a proposito dell’ermeneutica giuridica, ha
trovato il suo più significativo terreno di scontro proprio in ragione della configurazione in termini
di principi di molte disposizioni costituzionali e del legame che sussiste tra principi e diritti, tra
principi e valori167. In particolare, l’ esistenza di principi chiamati a coesistere e, però, tra loro non
facilmente conciliabili, ha evidenziato da un lato l’improponibilità dell’applicazione ad essi dei
criteri elaborati per la soluzione dei conflitti che normalmente possono riguardare le regole,
dall’altro la necessità di individuare ed applicare criteri originali per rispondere a tale problema:
criteri variabili in relazione alle singole concrete situazioni che possono presentarsi, con riferimento
dunque al loro diverso bilanciamento o alla riconosciuta prevalenza esclusiva di uno di essi, in
considerazione delle concrete circostanze applicative.
In questa prospettiva, per via del primato della “ponderazione” sulla tecnica della “sussunzione”,
della “ragionevolezza” sulla “ragione”168, la cultura giuridica, proprio sulla scorta dell’esperienza
«Vittorio Scialoja» 2000-2001, Milano 2009, 724) abbia tra i suoi principali promotori R. ZIMMERMANN ( si v. tra gli
altri i suoi lavori, Roman Law, Contemporary Law and European Law. The Civilian Tradition Today, Oxford 2001 e
Ius Commune and the Principles of European Contract Law: Contemporary Renewal of an Old Idea, in MAC QUEEN e
R. ZIMMERMANN (a cura di), European Contract Law: Scots and South African Perspectives, Edinburgh, 2006, p.1):
infatti Zimmermann è un giurista formatosi nel Sud Africa, ossia in un paese in cui la cultura di common law ha
convissuto da sempre con lo jus commune europeo di origine romanistica. Su questa medesima linea continuista, si v.
anche M.G. ZOZ, Fondamenti romanistici del diritto europeo. Aspetti e prospettive di ricerca, Torino 2007. Quanto alle
riserve giustamente avanzate verso questo indirizzo si rinvia per tutti alle lucide riflessioni di I.BIROCCHI, Presentazione
in P. CARONI, La solitudine dello storico del diritto, Milano 2009, 11ss e di V.SCALISI,Il nostro compito nella nuova
Europa, in V. SCALISI ( a cura di), Il ruolo della civilistica italiana nel processo di costruzione della nuova Europa.
Convegno internazionale di studio (Messina, 28-30 settembre 2005), Milano 2007,p. 24ss.
166
Sul punto si rinvia per tutti a L. MENGONI, Il diritto costituzionale come diritto per principi, in Ars interpretandi,
1996, I, 95ss.
167
Su questo ultimo problema, in particolare sulla persistenza stessa dell’autonomia piena del giuridico dalla morale si
v. , in riferimento al dibattito costituzionale, G. BONGIOVANNI, Principi come valori o come norme: interpretazione ,
bilanciamento e giurisdizione costituzionale in Alexy e Habermas, in 10 Ars Interpretandi, 2005, Valori, Principi e
Regole, 177ss; sul punto v. anche G. BERTI, Ermeneutica e processualità nella trasformazione dei principi e dei valori
universali in regole degli ordinamenti positivi, ivi, 255ss.
168
Sul punto si è accumulata una letteratura immensa: ex multis M. CARTABIA, I principi di ragionevolezza e
proporzionalità
nella
giurisprudenza
costituzionale
italiana,),
ivi
ampia
bibliografia,in
giurisprudenziale delle corti costituzionali, ha registrato con sempre maggiore consapevolezza la
netta distanza tra le costruzioni sistematiche e coerenti di tipo tradizionale, valide per le regole, ed
il quadro originale entro cui si colloca l’operatività dei principi.
Infatti, se nel primo caso, l’applicazione della regola generale alla situazione concreta si realizza
sotto forma di sillogismo, nell’ambito del quale la fattispecie assume un rilievo fondamentale ed il
profilo procedurale si risolve appunto nello svolgimento del sillogismo, nel caso dell’applicazione
dei principi costituzionali e della loro ponderazione, al fine di rinvenire la specifica soluzione, la
modalità operativa è determinante: in questo caso non si tratta semplicemente di dare applicazione
alla regola, bensì di scoprirla e di formalizzarla attraverso appunto il bilanciamento tra i principi169
che compongono il sistema dei valori costituzionali. In questo caso, dunque, la qualità
argomentativa della singola decisione non è legata alle modalità con cui si utilizza la logica astratta
e formale, ma dal modo in cui nella specifica situazione da vagliare si coglie e si applica il sistema
dei valori costituzionali170.
Per via della loro elasticità di contenuto e, in presenza di conflitti, della loro diversa rilevanza ed
operatività secondo i concreti casi che emergono nella prassi, i principi costituzionali e, per il loro
tramite, lo stesso diritto costituzionale non sfuggirebbero al “principio di indeterminatezza”
individuato dalla fisica moderna a proposito del comportamento delle particelle atomiche171.
Ebbene, questa conclusione, importante per un corretto approccio ermeneutico al diritto
costituzionale, in quanto impone la necessità da sottrarre dunque a pregiudizi e inutili resistenze
l’individuazione per il diritto costituzionale di un itinerario in sede di interpretazione diverso da
quello tradizionalmente applicato al diritto positivo, finisce, nella sua pars destruens, con il rendere
comprensibile il persistente atteggiamento di cautela, se non ostilità, da parte dei giuristi positivi nei
confronti della presenza dei principi espressi in norme scritte: atteggiamento, a ben vedere,
ampiamente registrato e tuttora persistente anche per quanto riguarda le clausole generali pur
I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla
giurisprudenza delle Corti Europee (Roma, 24-27 ottobre 2013) rinvenibile al sito della corte costituzionale
www.cortecostotuzionale.it; F. MODUGNO, Ragione e ragionevolezza, ed. Scientifica 2009; F. VIOLA, Costituzione e
ragione pubblica:il principio di ragionevolezza tra diritto e politica, in Persona y derecho, 2002, vol. 46, p. 35ss; G.
SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano 2000.
169
In questi termini, in particolare sul rilievo del profilo procedimentale legato all’applicazione dei principi anche nel
diritto privato, si v. X. LAGARD, La procéduralisation du droit (privé), in C. PIGACHE ( a cura di), Les évolutions du
droit: Contractualisation et procéduralisation, Rouen 2004, 142.
170
Come è stato di recente rimarcato (A. RUGGIERI, La Corte costituzionale, la “logica” del caso e la motivazione
insufficiente (dialogando con alcuni matematici sulla sent. n. 310 del 2010), in www.giurcost.it 26 giugno 2012, è il
riferimento al sistema dei diritti costituzionalmente protetti e non al singolo diritto che segna la differenza tra
l’approccio della nostra Corte costituzionale ( si v. in particolare la decisione 4 dicembre 2009 n. 317) e quello seguito
dalla corte europea dei diritti dell’uomo.
171
In questi termini, le recenti conclusioni di R.BIN, A discrezione del giudice. Ordine e disordine una prospettiva
“quantistica”, Milano 2013 che formalizza, con riferimento ai più moderni sviluppi della fisica, il crescente grado di
indeterminatezza che accompagna la prassi costituzionale ( sul punto si v. per una sintetsi M.F. TENUTA, Linee di
tendenza del costituzionalismo contemporaneo: «spostamento di potere » ed «effetto di indeterminazione», in A.
BALLARINI, Diritti Interessi Ermenutica,Torino 2012, 155ss. Al di là dell’accostamento, resta indubbia la diversa
portata operativa del principio di indeterminatezza. Infatti, nell’ambito della fisica, esso segnala la presenza di un
disordine cognitivo che, in realtà, convive pur sempre con l’oggettiva armonia disarmonica del cosmo. Applicato al
diritto contemporaneo, esso segnala, viceversa, un disordine funzionale ed operativo del diritto, quale sottosistema di
controllo sociale emerso nella modernità. In questo caso, il disordine cognitivo quanto alla riduzione a sistema delle
norme giuridiche, si lega e riflette una concreta difficoltà operativa delle stesse norme che inevitabilmente apre uno
scenario del tutto nuovo in quanto si prospetta un diverso complessivo assetto dei rapporti sociali, dentro e fuori le
realtà statuali, totalmente lontano dalla calcolabilità weberiana: assettto che potrebbe da un lato ridefinire il ruolo del
diritto, dall’altro portare ad un nuovo diverso equilibrio ( al riguardo, in termini disincantati ma senza pregiudizi, si v. S.
CASSESE, C’è un ordine nello spazio giuridico globale? in D. GALLI e M. CAPPELLETTI, La qualità delle regole nella
società contemporanea, Roma 2014, 19ss; sul punto, v. infra nel testo) ma che pur sempre rifletterebbe un “ monde
d’incertitudine, di relativisme, d’indetermination” ( così J. CHEVALLIER, L’État post-moderne, LGDJ, 2004, 93.
presenti nella stessa codificazione civile e, però, a tutt’oggi molto poco praticate nella nostra prassi
giurisprudenziale172.
In effetti, nella modernità giuridica, fatta la debita tara delle carte costituzionali, in particolare del
ruolo fondamentale che in esse assolvono i principi anche come guidelines che il legislatore è
tenuto a rispettare, la legislazione ordinaria si è tradotta fondamentalmente nella fissazione di regole
generali ed astratte caratterizzate, in definitiva, dalla previsione di molteplici fattispecie, piuttosto
che nell’ introduzione di semplici principi. Conclusione, questa, del tutto comprensibile in quanto in
piena coerenza con la divisione dei poteri introdotta negli Stati moderni e con la centralità
istituzionale riconosciuta al Parlamento quanto alla monopolistica produzione della legislazione.
Del resto, come si è cercato di evidenziare in precedenza, è già a partire dalla stessa codificazione
civile che si è avviato siffatto indirizzo: indirizzo che in passato né la legislazione speciale,
ancorché ispirata a principi diversi da quelli alla base della codificazione civile, né la cauta
previsione di clausole generali nell’ambito del diritto privato hanno sostanzialmente scalfito. Per
altro verso, nonostante i significativi mutamenti intervenuti nella teoria dell’interpretazione che
hanno esaltato il ruolo creativo dell’interprete, il concreto ambito di azione di quest’ultimo resta
pur sempre e comunque condizionato dalle puntuali modalità di formulazione delle norme da
interpretare, secondo che queste si presentino in termini di regole o di principi.
Ebbene, le considerazioni da ultime svolte permettono di cogliere la significativa discontinuità,
rispetto al trend ora richiamato, dell’ indirizzo che negli ultimi anni sta emergendo in misura
singolare nella nostra legislazione ordinaria, anche a fronte di quanto sta analogamente avvenendo
in altri paesi, europei e non.
A ben vedere, infatti, e senza pretese di esaustività, la legislazione ordinaria degli ultimi anni
registra un’ espansione inusuale del ricorso a principi espressi.
In effetti, come si è giustamente osservato da tempo da più parti, il multiculturalismo ed il
pluralismo dei valori, propri delle società multietniche contemporanee, hanno favorito in molti
campi l’avvento di una legislazione che non può più affidarsi sempre alla fissazione di regole tarate
su specifiche fattispecie. Essa richiede sempre di più strumenti di intervento flessibili che si limitino
a segnalare gli obiettivi da perseguire, il modello procedimentale da rispettare, al di fuori di una
rigida predeterminazione di tutte le condizioni necessarie per il loro raggiungimento. La crescente
complessità della società e delle sue articolazioni, il pluralismo crescente dei valori ivi presenti
hanno da tempo registrato la caducità della idea weberiana circa la capacità e sufficienza della sola
razionalità alla base delle regole presenti nella legislazione statale in ordine al governo dei fatti
sociali.
Sotto questo profilo, dunque, il ricorso ai principi, più che riflettere un’impotenza del legislatore,
risponderebbe ad un selfrestraint, per certi versi doveroso, da parte dello stesso. Infatti, nelle aree in
cui il rispetto del pluralismo è ineludibile, l’introduzione di regole precise ben potrebbe integrare
una scelta di campo a favore di taluni valori nei confronti di altri. Inoltre, vi sono situazioni in cui,
172
Sul punto esiste un’ amplissima letteratura, a partire dalle fondametali riflessioni avviate da S. RODOTÀ, Le fonti di
integrazione del contratto, Milano 1969; da ultimo per una approfondita disamina si v. E. FABIANI, voce Clausola
generale in Enc. Dir. Annali V, Milano 2012, 183ss. A nostro avviso, se da una parte può convenirsi con conclusione
secondo la quale sul piano strutturale le clausole generali si presentano simili ai principi ( per una piena equiparazione si
v. per tutti G. ALPA, I princìpi generali, cit., p. 360; in termini non diversi ), a nostro avviso esse si differenziano dai
principi proprio in quanto questi ultimi presentano un contenuto al tempo stesso assiologico e assiomatico: come tali
dunque i principi sono di rango superiore rispetto alle clausole: sul punto si v. S.RODOTÀ, Il tempo dele clasusole
generali, in Riv. crit. Dir. priv. 1987, 709ss secondo il quale “ le clausole generali non sono principi, anzi sono destinate
ad operare nell’ambito dei principi”; nei medesimi termini si v. da ultimo M. LIBERTINI, Clausole generali, norme di
principio norme a contenuto indeterminato. Una proposta di distinzione, ivi 2011, 345ss . Al riguardo, è esemplare il
caso della “buona fede”: il termine ricorre in molte norme del codice civile sotto forma di diverse clausole generali (in
tema di interpretazione, di esecuzione, di integrazione del contratto ): ebbene le norme che contengono queste clausole
generali sono, a loro volta, tutte riconducibili ad un comune più generale paradigma: il principio di buona fede. Sulle
clausole generali nell’ esperienza europea con riferimento in particolare alla disciplina del contratto, si v. i saggi raccolti
da S.GRUNDMANN e D.MAZEAUD, General Clauses and Standards in European Contract Law: Comparative Law, EC
Law and Contract Law Codification,Kluwer 2006; per altri riferimenti M.LIBERTINI, op. cit.
proprio per via della natura squisitamente etica delle questioni in gioco, le decisioni vanno tenute
fuori dall’area del giuridico: sotto questo profilo, il ricorso ai principi può costituire lo strumento
più idoneo a porre un freno alla regolamentazione, rappresentare, dunque, il presidio indispensabile
per prevenire una compiuta quanto inaccettabile giuridificazione. A titolo meramente
esemplificativo circa le situazioni in cui la fissazione di regole si rivelerebbe non solo inadeguata,
ma anche foriera di effetti più che discutibili dal punto di vista della stessa legittimità costituzionale
delle scelte disciplinari, si considerino le problematiche al centro della bioetica quali appunto quelle
che riguardano l’inizio e la fine della vita173 e che coivolgono la salute delle persone174. In altri
termini, nei casi in cui più accentuato è il pluralismo dei valori in gioco, il ricorso a regole si rivela
inadeguato posto che, se è pur vero che esse si caratterizzano per la prevedibilità e per calcolabilità
weberiana175, è altrettanto indubbio che esse potrebbero rivelarsi deboli sul piano della
legittimazione sociale, in quanto sono necessariamente selettive nelle scelte di valore. Viceversa, i
principi, sebbene non soddisfacenti sul piano della prevedibilità, godono di maggiore legittimazione
sociale, proprio perché flessibili e dunque aperti al pluralismo valoriale176 : come tali appaiono più
in linea con il ruolo da assegnare al diritto nelle società c.d. postmoderne177. Il che non esclude che
anche in questi ambiti operativi il ricorso ai principi presenti margini di debolezza e discutibilità:
non solo perché i valori in gioco ben potrebbero non rispondere ad un più generale ethos condiviso,
ossia riflettere irriducibili distanze in termini di Weltschauung178, ma anche perché l’ambito
soggettivo dei conflitti privatistici da prendere in considerazione potrebbe non essere circoscritto,
bensì presentare rilievo di massa e, dunque, assumere un effettivo rilievo sociale. A titolo
esemplificativo, mentre il principio del best interest of the child si rivela adeguato sul piano
funzionale, in quanto interviene in contesti di conflitti ben delineati sul piano dei soggetti coinvolti,
il principio del consenso al trattamento sanitario risulta improponibile in caso di trattamenti sanitari
obbligatori in cui rileva anche la salute di terzi soggetti; per lo stesso motivo, nel caso della
disciplina relativa all’aborto, l’obiezione di coscienza individuale dei medici deve confrontarsi con
la domanda sociale di assistenza sanitaria nei caso di interruzione della gravidanza. Più difficile, per
le medesime ragioni, può presentarsi la soluzione del problema relativo al rispetto del velo o di
particolari abbigliamenti per ragioni religiose, in cui la regola sociale corrispondente ad un
particolare culto e all’appartenenza ad una comunità religiosa entra in contrasto con l’esigenza
della sicurezza collettiva179, ovvero il caso in cui le mutilazioni legate a particolari pratiche religiose
173
Si pensi alla vicenda di Eluana Englaro ( in stato vegetativo dal 1992 sino alla morte intervenuta nel febbraio del
2009 ) al centro di una lunga vertenza giudiziaria iniziata nel 1999 e culminata con una decisione della suprema corte
di cassazione del 16 ottobre 2997cui sono seguite, accanto ad altre, rispettivamente la sentenza della corte di appello di
Milano del 8 luglio del 2008, quelle della corte costituzionale del 8 ottobre 2008 sul conflitto di attribuzione avanzato
dal parlamento italiano, e del TAR del 26 gennaio 2009 nonché il disegno di decreto legge del governo Berlusconi non
firmato dal presidente della Repubblica. Sul caso, per una ricognizione puntuale degli eventi ed una ampia bibliografia
si v. M. C. BARBIERI, Il caso Englaro e Welby: diritto e fine della vita fuori dei ‘casi di scuola’, in Tigor: Rivista di
scienze della comunicazione e di argomentazione giuridica 2010,n.1, 106ss. Sui problemi di bioetica e di biodiritto
suscitati da tale vicenda si v. per tutti M. MORI, Il caso Eluana Englaro Bologna, 2008; M. GRAZIADEI, Il consenso
informato ed i suoi limiti, in S.RODOTÀ e P.ZATTI (a cura di) Trattato di biodiritto. I diritti in medicina, Milano 2011,
191ss.
174
Sul punto si rinvia alla sempre ricche e stimolanti osservazioni di S. RODOTÀ, La vita e le regole, Milano 2006.
175
Sulla razionalità del diritto nella prospettiva weberiana si v.la ricerca di M. COUTU, Max Weber et les rationalités du
droit, Laval 1995; sul punto si v. R. MARRA,Max Weber: razionalità formale e razionalità materiale del diritto, in
Sociologia del diritto 2005, 43ss.
176
Sul punto si v. C.DAHLMAN, Predictable Rules and Fexible Principles- The Problem of Ideological Pluralism and
Legitimacy, in L. WINTGENS, Legisprudence, A New Theoretical Approach to Legislation, Oxford, 2002, 81ss.
177
Sui caratteri del diritto postmoderno appaiono ancora preziose le osservazioni di P. MAISANI E F. WIENER,
Réflexions autour de la conception post-moderne du droit in Droit e société 1994,443ss.
178
Sulla problematicità che si prospetta a fronte del multiculturalismo delle società contemporanee si v. G. AZZARITI, Il
costituzionalismo moderno può sopravvivere? Roma- Bari 2013, 85ss.
179
Si considerino al riguardo le leggi adottate in Francia: quella 15 marzo 2004 n.2004-228 relativa al divieto di
portare segni o abiti che manifestino una appartenenza religiosa nelle scuole, nei collegi e nei licei pubblici, quella
dell’11 ottobre 2010 ( su cui si v. M. C. IVALDI, Verso una nuova definizione della laicità? La recente normativa a
di specifiche comunità entrano in conflitto con il rispetto della integrità del corpo elevato a diritto
inviolabile dell’uomo.180
9.- I principi nel diritto dell’economia: dalle regole del mercato alla “regolazione” dei mercati
In realtà, se si analizzano più da vicino sia le altre molteplici ipotesi in cui nella legislazione
ordinaria emerge il ricorso ai principi, sia le modalità con cui il fenomeno si presenta, è possibile
individuare alla loro base anche ben altre e diverse ragioni, tutte peraltro convergenti nel segnalare
da un lato il diffuso malessere che attraversa il tradizionale potere legislativo incentrato sulle
assemblee parlamentari, manifestazione propria della moderna sovranità statale, dall’altro, il
moltiplicarsi delle situazioni in cui entra in crisi la divisione stessa dei poteri.
Senza alcuna pretesa di esaustività, è sufficiente limitarsi a richiamare in questa sede quanto sta
avvenendo nell’ambito del diritto dell’economia e della disciplina delle attività economiche, ossia
nell’area in cui, la globalizzazione delle relazioni economiche ha contribuito in maniera decisiva a
mettere in crisi il monopolio statale della legislazione, a vantaggio di un policentrismo che vede il
coinvolgimento di una pluralità di istituzioni nazionali e sovranazionali, pubbliche e private. La
perdita di forza centripeta degli Stati, la crisi stessa dei moduli organizzativi, in particolare dei
partiti politici e dei sindacati, ossia delle entità collettive che hanno permesso alla società civile di
dialogare con la politica, hanno innescato un singolare processo che non ha inciso soltanto su alcuni
pilastri delle moderne democrazie rappresentative181, ma anche sul complessivo assetto
dell’ordinamento giuridico. Come è stato sinteticamente segnalato, “un filtrante movimento di
destrutturazione ha cominciato ormai ad attraversare lo stesso ordine giuridico sempre più esposto a
una persistente spinta centrifuga di moltiplicazione, frammentazione, differenziazione e vera e
propria dispersione dei luoghi stessi della produzione giuridica…"182.
proposito dei segni religiosi nella scuola in Francia, in Il Diritto ecclesiastico 2004, 1133ss) e la più recente del 11
octobre 2010 n° 2010-1192 sul divieto di tenere celato il viso in pubblico, cui è seguita la circolare applicativa del 2
marzo 2011: questa ultima legge (già passata al vaglio del Consiglio di Stato francese che l’ha ritenuta conforme alla
costituzione con la decisione 7 ottobre 2010 – n.2010-613 facendo leva sull’esigenza di tutelare l’ordine pubblico) è
attualmente al vaglio della corte europea dei diritti dell’uomo che si pronuncerà a metà del 2014.
180
Sul tema si v., per una utile rassegna, A. RANDAZZO, Ruolo genitoriale e società interculturale, rinvenibile al sito
www.gruppodipisa.it. Con specifico riferimento alla circoncisione, è significativo l’acceso dibattito emerso anche in
sede politica. Infatti, a seguito di una sentenza della corte di appello di Colonia che ha ritenuto la circoncisione praticata
su un bambino per ragioni religiose lesiva del diritto fondamentale all’integrità fisica , il Parlamento tedesco ha nel
dicembre del 2012 adottato una legge che ne permette l’esecuzione sempre che essa sia effettuata su bambini entro sei
mesi dalla loro nascita da persona idonea anche se non medico. A fronte di questa decisione, intervenuta dopo le
rimostranze della comunità ebraica, il Consiglio di Europa con la risoluzione 1952 del 2013 ha ritenuto la circoncisione
una violazione dell’integrità fisica dei minori, chiedendo tra l’altro agli Stati membri di legiferare anche su operazioni
per tatuaggi e piercing al fine di assicurarsi che il minore sia in grado di dare il suo consenso. Quanto alle mutilazioni
femminili, si v. la Risoluzione del Parlamento europeo 2001/2035 in GUCE C 77 E/126ss.
181
Sul punto, vi è una ampia letteratura: si rinvia per tutti all’agile sintesi di C.CROUCH, Postdemocrazia, Roma-Bari,
2003. Peraltro un sintomo eloquente della crisi o se si vuole della “trasformazione” della democrazia ( in questi termini
N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Torino 2005) può rinvenirsi nella singolare riscoperta da parte della letteratura
storico-politica del tema classico della democrazia: si v. al riguardo ex multis L. CANFORA, La democrazia. Storia di
un'ideologia, Roma-Bari, 2004. Sul piano della riflessione più strettamente giuridica, il tema si è focalizzato sulla crisi
delal democrazia rappresentativa secondo la moderna forma parlamentare, nonché sul possibile rapporto con altre
modalità di “partecipazione”: sul punto si rinvia per tutti a U. ALLEGRETTI (a cura di), Democrazia partecipativa:
esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze 2010; S. RODOTÀ, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove
tecnologie della comunicazione, Roma – Bari 2004.
182
Così V. SCALISI,Fonti-Teoria-Metodo. Alla ricerca della "regola giuridica" nell'epoca della postmodernità, Milano,
2012, XIII. Sulla dissoluzione dell’idea di «polis» e di «civitas» ed il disfacimento della sfera pubblica si v. le meditate
pagine di A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari 2002; quanto alla complessiva
“segmentation de la raison juridique” connessa alla crisi della sovranità degli Stati si v. anche l’ampio studio di A.J.
ARNAUD, Critique de la raison juridique 2 Gouvernants sans frontières, entre mondialisation et post-mondialisation,
Paris 2003. Più articolato, nel senso dell’ottimismo, il giudizio sull’attuale momento storico suggerito da S.
Non è questa la sede per entrare nel merito del più ampio fenomeno legato alla globalizzazione, che
ha inciso in maniera significativa sul sistema delle fonti, segnando il passaggio nel sistema
giuridico, anche all’interno delle stesse esperienze nazionali, dal paradigma kelseniano della
piramide proprio degli stati sovrani a quello della rete, del network183, per cui all’indebolirsi delle
sovranità statali, per via della tendenziale autonomizzazioone dell’economia dalla politica, si è
accompagnato non solo una sensibile divaricazione tra Stati e le rispettive strutture
dell’amministrazione184, ma il dislocarsi di rilevanti poteri decisionali in una costellazione di nuovi
soggetti privati e pubblici presenti in una arena globale de-territorializzata185.
Preme qui soffermarsi, sia pure schematicamente, sui mutamenti intervenuti quanto alle forme ed
alle tecniche di cui si manifesta la produzione normativa. Tradizionalmente, infatti, la
regolamentazione privatistica dell’economia è stata affidata alla disciplina generale in materia di
contratto nonché a quella dei contratti speciali prevista nel codice od introdotta dalla successiva
legislazione. Ad entrambe siffatte discipline si è affiancato l’intervento pubblico dello Stato
manifestatosi attraverso il suo diretto coinvolgimento nelle attività produttive grazie alle imprese
pubbliche ovvero in virtù di un più spinto dirigismo economico che nell’esperienza giuridica
europea di larga parte del Novecento si è manifestata, tra l’altro, sotto forma di fissazione
autoritativa dei prezzi, controllo della produzione e delle importazioni, controllo dei movimenti dei
capitali, limitazione incisive dell’autonomia privata etc.
Ebbene, nel quadro della crisi del welfare State e della ripresa neoliberista intervenuta negli ultimi
decenni del secolo scorso186, la disciplina generale codicistica sugli atti di autonomia privata se da
un lato è stata riscoperta, a causa del venir meno dei regimi vincolistici adottati in precedenza,
dall’altro si è rivelata del tutto inadeguata a fronteggiare la varietà e la complessità delle situazioni
che emergono nei singoli mercati187.
CASSESE,The Global Polity. Global Dimensions of Democracy and the Rule of Law, Siviglia 2012 il quale vede nella
partecipazione un utile surrogato rispetto ad un compiuto percorso democratico.
183
Si v. al riguardo il lavoro di F.OST e M. VAN DE KERCHOVE, De la pyramide au réseau ? : Pour une théorie
dialectique du droit, Bruxelles 2002. Quanto alla molteplicità delle metafore utilizzate per segnalare la crisi del
monopolio statuale circa la produzione legislativa del diritto si v. F. OST, Dalla piranide alla rete un nuovo paradigma
per la scienza giuridica?, in AA.VV. Saggi sulla globalizzazione giuridica e il pluralismo normativo: Estratti da Il
tramonto della modernità giuridica. Un percorso interdisciplinare, Torino 2013, 36.
184
Su questo specifico punto, cui si lega anche l’emergere della c.d. Global Administrative Law, si rinvia per tutti a S.
CASSESE, Oltre lo Stato, Roma- Bari 2008; S. CASSESE, P. SCHIERA, A.VON BOGDANDY, Lo Stato e il suo diritto,
Bologna 2010; B.KINSBURY, N.KRISCH,R.B.STEWART, The Emergence og Global Administrative Law in 68 Law and
Contemporary Problems, 2005,15ss: fascicolo tutto dedicato al tema. Nella prospettiva europea si v. E.CHITI e B.G.
MATTARELLA, Global Administrative Law and EU Administrative Law: Relationships, Legal Issues and Comparison
Springer,2011; nonchè I saggi di giuristi italiani presenti in AA.VV, Global Administrative law: an Italian
Perspecticve, in Robert Schuman Centre for Advanced studies. Global Governance Programme (RSCAS) Policy Paper
2012/04.
185
L’attuale global legalism appare ben delineato nelle tre caratteristiche individuate da E. A. POSNER, The Perils of
Global Legalism, Chicago 2009,28ss) il quale ha parlato appunto di legislation without legislators, enforcement without
enforcers, adjudication without courts. Sul tema si v. la stimolante lettura in chiave storica offerta da A. SUPIOT, The
Territorial Inscription of Laws, in AA. VV. ( a cura di) Soziologische Jurisprudenz Festschrift für Gunther Teubner,
Berlin 2009, 375ss; ID, Homo Juridicus. Essai sur la fonction anthropologique du droit, Paris, 2005, p. 164ss (nella
traduzione italiana, Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del Diritto, Milano 2006, 133ss). Per questo
quadro, in cui il potere decisionale dell’economia planetaria è nelle mani di pochi soggetti, non cessariamente
coincidenti peraltro con Stati sovrani, bensì con potenti gruppi privati, a fronte dei quali si colloca, in una posizione
comunque subordinata, una sempre più frammentata congerie di piccoli poteri, si è finito con il parlare di un
neofeudalesimo: in questi termini, si v. tra gli altri, T. DUVALL,The New Feudalism: Globalization, the Market, and
theGreat Chain of Consumption, in 25 New Political Science, 2003, 81ss;nonché i saggi a cura di J. LEFEBVRE,
L’hypothèse du néo-féodalisme. Le droit à une nouvelle croisée del chemins, puf, 2006: sul punto v. infra nel testo.
186
Per una felice quanto limpida sintesi dei mutamenti intervenuti nel rapporto tra diritto ed economia nel nostro paese
si rinvia per tutti a S.CASSESE, La nuova costituzione economica, Roma-Bari 1995.
187
In senso critico circa la mitizzazione dirigistica, tirannofobica, del modello tradizionale di intervento pubblico negli
States, effettuato secondo la logica del “command and control”, alla base della “regulatory reform” inaugurata da
Infatti, a tacer d’altro, ciascuno di questi ultimi presenta attualmente caratteristiche strutturali e
peculiarità dovute sia alla singolarità dei beni e dei servizi, volta a volta coinvolti, sia alle modalità
stesse di attuazione delle operazioni economiche (ciascuna delle quali è in grado di favorire ulteriori
segmentazioni del mercato unitario), sia, infine, alle caratteristiche dei protagonisti delle relazioni
economiche e della diversità degli scopi da questi perseguiti.
In questa vicenda, a ben vedere, si coglie il mutamento più imponente intervenuto nell’economia
mondiale, dopo l’avvento degli Stati moderni e l’avvio del capitalismo industriale. Infatti, in epoca
premoderna, a prescindere dalla relativa limitatezza degli scambi commerciali affidati ai mercanti,
la prevalente presenza di circuiti di scambio assoggettati a rigorosi controlli pubblici, a rigidità
corporative, a meccanismi protezionistici ispirati al modello della c.d. “economia morale”188, ha
comportato la frantumazione delle regole disciplinatrici anche degli scambi avverso la quale, come
si è visto in precedenza, si è cercato di porre rimedio già nel corso dell’Ancien Régime.
Siffatta frantumazione, legata anche alla prevalenza degli usi locali, non dipendeva dalla natura dei
beni e dei servizi coinvolti, bensì quasi esclusivamente dalla limitatezza territoriale di operatività
delle regole adottate nell’ambito delle quali si realizzavano in prevalenza gli scambi. In questa
prospettiva, la nascita degli Stati moderni, con la progressiva unificazione della legislazione civile
culminata nelle codificazioni (sia quella civile, sia quella commerciale), ha favorito, traedone al
tempo stesso una spinta propulsiva, proprio la formazione di mercati unici nazionali: mercati unici,
appunto, in quanto strutturati giuridicamente sulla base di legislazione civili uniformi per tutto il
territorio nazionale e, in larga parte, indifferenti rispetto alla natura dei beni e dei servizi coinvolti.
Ebbene, il mutamento radicale intervenuto nelle società a capitalismo avanzato nel corso del
Novecento e accentuatosi in occasione della crisi del welfare state e dell’interventismo pubblico
nell’economia, è che il ripresentarsi della frantumazione dei mercati e della loro diversificazione
quanto a funzionalità non è più dovuta, come è accaduto in età premoderna, alla limitata dimensione
territoriale degli stessi, posto che ormai si è venuto a determinare un vero e proprio continuum
spaziale nei traffici, siano essi nazionali od internazionali189.
Attualmente, la differenzazione e la distinzione più macroscopiche tra i mercati e che hanno inciso
in maniera significativa sulla funzionalità del sistema concorrenziale, sono dovute a ragioni interne
ai singoli segmenti, in particolare dipendono dalle caratteristiche anche tecniche delle merci
coinvolte (siano essi beni o servizi) e soprattutto, anche a causa di queste, dalle singolari peculiarità
acquisite dai contenuti disciplinari delle relative operazioni negoziali introdotte dall’autonomia
privata. Si tratta, in questo ultimo caso, di un mutamento radicale dovuto al pieno ed incontrollato
dispiegamento dell’autonomia privata. Nel far leva prepotentemente sul diritto dispositivo190,
previsto dalla disciplina generale dei contratti e da quella dei singoli contratti speciali, e sfruttando
la crescente asimmetria informativa degli interlocutori negoziali, l’articolata prassi negoziale ha
Reagan e inneggiante alla “selfregulation”, si v. la ricerca sulla letteratura effettuata da J. L. SHORT , The Paranoid
Style in Regulatiory Reform, in 63 Hastings.L.J. 2012, 633ss. Sull’evoluzione che il contratto ha registrato nella nostra
esperienza a partire dalla codificazione sino ai numerosi interventi del diritto europeo si v. la sintetsi offerta da G. ALPA,
Le stagioni del contratto, Bologna 2012.
188
Il riferimento è al celebre saggio di E.P. THOMPSON, L’economia morale, edizione et.al, 2009, a proposito del
modello praticato nell’economia premoderna europea fondato su un controllo istituzionale del mercato e in rispondenza,
per altro, con una idea popolare di giustizia. Modello, è il caso di osservare, che è entrato in crisi progressivamente alla
fine dei Seicento a partire dall’Inghilterra: non a caso un acuto osservatore come Ch.-L. MONTESQUEU, Lo spirito delle
leggi, Milano 2013, 498, scrivendo nei primi decenni del Settecento, già coglieva la differenza dell’esperienza
dell’Inghilterra da quella dell’Europa continentale proprio nel fatto che “ altre nazioni hanno sottoposto gli interessi del
commercio agli interessi politici: questa ha sempre sottoposto gli interessi politici agli interessi commerciali”.
189
Su questo aspetto della globalizzazione si v. le dense pagine di N. IRTI, Norma e luoghi Problemi di geo-diritto,
Roma Bari,2001.
190
Sul diritto dispositivo dei contratti, ma in una prospettiva di indagine circoscritta agli orientamenti degli interpreti
professionali, si v. il recente contributo di M.GRANDONA Diritto dispositivo contrattuale. Funzioni, usi, problemi,
Torino 2011; nei termini critici qui richiamati si v. F. DI MARZIO, Deroga abusiva al diritto dispositivo, nullità e
sostituzione di clausole nei contratti del consumatore, in Contratto e impresa, 2006, 673ss.
contribuito, pur nella fissità dei contratti nominati e dei tipi c.d. sociali, all’effettiva diversificazione
regolativa dei contratti secondo distinti settori, merceologici e non. Di conseguenza, per via della
crescente opacità e mancanza di trasparenza dei contenuti regolativi dei contratti, si è accentuata
nel tempo la disfunzionalità operativa dei mercati a danno dell’intero sistema sociale ed economico.
In altre parole, la realtà effettuale ha evidenziato in misura crescente che le discipline generali, a
partire da quella destinata a tutti i contratti sino a quelle presenti per i singoli tipi contrattuali, si
sono rivelate sempre più inadeguate per fronteggiare i concreti processi economici, proprio per via
della riscontrata accresciuta distanza tra l’articolarsi delle prassi - secondo i beni ed i servizi
coinvolti e le diverse “qualità” socio-economiche e professionali dei contraenti - e l’ inevitabile
generalità ed astrattezza delle regole presenti nella codificazione civile in materia contrattuale191,
che riflettevano un concreto orizzonte economico attualmente non più esistente. Queste ultime
regole, infatti, rispondevano, nel migliore dei casi, ad una configurazione, ormai tramontata, di un
mercato generico ed onnicomprensivo, peraltro assunto come perfettamente funzionante, dunque
senza costi di transazione, come tale del tutto indifferente alla diversità sia delle “merci” coinvolte,
sia dei soggetti impegnati nelle operazioni negoziali.
Per altro verso, il carattere di “massa” assunto da molte negoziazioni, diversificantesi in relazione
allo specifico mercato o segmento dello stesso, pur nell’unicità del tipo contrattuale utilizzato ( si
pensi alla vendita, alla somministrazione, al mandato etc.), ha altresì reso evidente da un lato
l’inadeguatezza di possibili risposte puntiformi su singole controversie fondate sull’applicazione
giudiziale della sola clausola generale di buona fede, dall’altro, l’improponibilità di affidare a
quest’ultima il compito “erculeo”192 di fronteggiare le asimmetrie informative alla base dei molti
squilibri che si determinano nello stesso semplice assetto giuridico delle relazioni negoziali193. In
191
Per questo rilievo si v. per tutti G. GITTI, La «tenuta» del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità in E.
NAVARRETTA [a cura di], Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Atti del Convegno, Pisa,
25-26 maggio 2007 – Milano 2008, 461ss.
192
Il termine usato nel testo riferisce alla clausola di buona fede l’attributo che nella sua impostazione R.DWORKIN, I
diritti presi sul serio, Bologna, 1982, 203ss, ha suggerito per qualificare il giudice in grado di individuare la soluzione
giusta e unica per tutti i casi possibili, grazie all’elaborazione di un sistema di principi da coniugare con tutti i testi
normativi vigenti.
193
In questo contesto, a ben vedere, al di là dello scetticismo autorevolmente già evidenziato circa la possibilità di
addivenire alla costruzione di un codice civile europeo ( si v. per tutti L.MENGONI, L’Europa dei codici o un codice per
l’Europa, 1993,3ss) e a prescindere dalle reazioni anche scomposte emerse a difesa della propria esperienza nazionale,
pur considerata modello per altre realtà ( in ordine a quanto emerso in proposito nella letteratura giuridica francese a
metà degli anni 2000 si v. R.MICHAELS, Code vs. Code: Nationalist and Internationalist Images of the Code civil in the
French Resistance to a European Codification in 8 European Review of Contract Law 2012), l’elaborazione di una
codificazione civile a livello europeo che tenga pur conto delle esigenze specifiche dei consumatori non può essere
assunta come credibile alternativa al particolarismo disciplinare sin qui emerso a livello europeo e non solo dei singoli
Stati. Infatti, ciò equivarrebbe al ritorno ad una prospettiva irrealistica e comunque politicamente in contrasto con gli
obiettivi sinora perseguiti a livello europeo di dare effettività al funzionamento nei territori dell’Unione non certo di un
indifferenziato mercato, bensì di una molteplicità di mercati aventi caratteristiche diverse e come tali esigenti risposte
normative differenti: sul punto, si v. le considerazioni di S.GRUNDMANN, The Future of Contract Law, in 7 European R.
of Contract Law, 2011, 490ss, in part.513ss. Come dire dunque, che una nuova disciplina generale del contratto non può
costituire la risposta adeguata alla molteplicità dei problemi che si presentano sul piano della concreta regulation, sia
pure in chiave competitiva dei singoli mercati: per un giudizio critico con riferimento all’ esperienza derivante dal
progetto di cui al Draft Common Frame of Reference cit. si v. G. BELLANTUONO, The Limits of Contract Law in the
Regulatory State, in 6 European Review of Contract Law 2010, 155ss.
Sotto questo profilo, solo in una prospettiva nostalgica di un sistema fondato su una formale quanto astratta uguaglianza
formale può ritenersi l’articolazione disciplinare di recente praticata (sempre che giustificata dal riferimento a posizione
effettivamente asimmetriche) quale espressione del carattere “regressivo” che la nuova legislazione presenterebbe
rispetto alle codificazioni civili secondo l’opinione di v. B. OPPETIT, Les tendences régressive dans l’évolution du
droit contemporain, in Mèlanges Dominique Holleaux, Parigi 1990, 317ss; B.RUDDEN, Civil Law,Civil Society and
Russian Constitution, in 110 Law Quarterly Rev. 1994, 56ss in part.67.
E’ significativo, al riguardo, che il recente progetto europeo in materia di disciplina della vendita, la cui utilizzazione
da parte dei privati è lasciata alla loro libera scelta, sia al centro di considerazioni critiche radicalmente opposte: tra
coloro che considerano siffatta proposta paternalistica nei contenuti normativi (che pur presentano alcune distinzioni
disciplinari secondo che si tratti di rapporti business to business o con un consumatore) e coloro che, viceversa,
altri termini, a fronte della contrattazione di massa, tipica del moderni rapporti contrattuali di
mercato, il problema della “giustizia contrattuale”, tradizionalmente affrontato nella codificazione
civile nella prospettiva della singola relazione negoziale, risulta attualmente impostata anche in
un’altra ben più ampia che abbraccia e coinvolge le relazioni negoziali di mercato nel loro
complesso194. Infatti, i più recenti interventi regolativi sulle operazioni economiche, di origine sia
europea sia nazionali, per quanto pur sempre destinati a ricadere anche sui singoli atti, incidono
direttamente sull’attività economica posta in essere dagli operatori professionali195 al fine di
denunciano l’arretramento del livello delle tutele dei soggetti deboli ivi consacrata, a partire ovviamente dalla stessa non
obbligatorietà dell’intera regolamentazione (sul progetto v. ex multis le considerazioni critiche di C.CASTRONOVO
L'Utopia della codificazione europea e l'oscura realpolitik di Bruxelles.: Dal DCFR alla proposta di regolamento di un
diritto comune europeo della vendita, in Europa e diritto privato 2011, 837ss; M. FRANZONI, Dal codice europeo dei
contratti al regolamento sulla vendita, in Contratto-Impresa Europa 2012, 350ss). Sull’obiettiva difficoltà in questo
momento di dare effettività all’intriduzione di un diritto privato europeo sia pure nelle forme limitate delle iniziative
sopra richiamate si v. R.ZIMMERMANN,The Present State of European Private Law , 57 Am. J. Comp. L. 2009,479ss.
Non a caso il progetto di regolamento dell’11 ottobre 2011 (COM(2011)635 def., ha incontrato pareri critici da parte
del Bundesrat austriaco, della Camera Comuni del Regno Unito, dal Bundestag tedesco e dal senato belga e, a nostro
avviso, non certo per via di quel presunto rigurgito di nazionalismo giuridico al centro dei saggi ospitati dall’ European
Rev. of Contract Law nel fascicolo 3 del 2012. Sul tema si v. l’ampia recente raccolta di saggi a cura di J.DEVENNEY,
M. KENNY,The Transformation of European Private Law: Harmonisation, Consolidation, Codification or Chaos?
Cambridge 2013. Non sorprende, in questo contesto, l’incertezza che caratterizza la questione circa la stessa esistenza di
“common principles of private law” anche alla luce delle sortite che si rinvengono nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia: sul punto si v. per tutti H.W. Micklitz,The Eu as a Federal Order of Competences and the Private Law, in L.
AZOULAI ( a cura di),The Questiono f Competence in European Union, Oxford 2014, 125ss, in part. 145 testo e nt.87.
In questo medesimo quadro, d’altronde, può cogliersi il dibattito di recente emerso nella nostra civilistica tra coloro che
prendono atto dell’ articolazione sempre più marcata che la disciplina dei contratti presenta secondo la qualità dei
soggetti coinvolti ( privati-privati; operatori professionali- consumatori; operatori-operatori) – si pensi al tema del c.d.
“terzo contratto” ( su cui v.,anche per utili riferimenti, R. FRANCO, Il terzo contratto: da ipotesi di studio a formula
problematica. Problemi ermeneutici e prospettive assiologiche , Padova 2010) - e coloro che intendono resistere a
questa frantumazione, nel tentativo di salvaguardare l’orizzonte dottrinario rappresentato dal diritto privato comune,
anche a costo di accontentarsi di un comune denominatore disciplinare che si riveli, per via della resistente diversità
delle situazioni effettuali di riferimento, sbilanciato ora per troppo rigore, ora per eccessiva tolleranza ( sul punto si v.
l’ampio saggio di V. ROPPO, From Consumer Contracts to Asymmetric Contracts: a Trend in Euroepan Contract law?,
in 5 European Review of Contract Law, 2009, 304ss). Questo secondo indirizzo, è bene rammentarlo, si fonda pur
sempre su alcuni indici disciplinari che appaiono confortare questa impostazione: si pensi in particolare alla modifica
introdotta negli artt.18 e 19 del codice del consumo da parte della legge n.27 del 2012 per cui la disciplina della pratiche
scorrette si applica non solo nei rapporti tra professionisti e consumatori, ma anche a quelli che intervengono tra i primi
e le c.d. microimprese ( su questa novella si v. ora il commento elaborato da DE CRISTOFARO, in Le nuove leggi civi.
comm. 2014, )
Più in generale, infine, è da osservare che la frantumazione disciplinare richiamata nel testo si colloca nel più ampio
contesto della crisi che attraversa il tradizionale dualismo tra pubblico e privato in cui si colloca l’articolazione
pluralistica delle relazioni sociali e delle stesse risposte dell’ ordinamento: su questi punti si v. i preziosi contributi
rispettivamente di G. TEUBNER, After Privatization: The Many Autonomies of Private Law, in 51Current Legal
Problems, 1998, pp. 393ss; e M. WALZER, Sfere di Giustizia, Roma-Bari 2008.
194
Con specifico riferimento al diritto contrattuale dei consumatori si v. la recente messa a punto di P. STOFFELMUNCK, L’autonomie du droit contractuel de la consommation: d’une logique civiliste à une logique de régulation, in
Rev. Trim. Droit Com. 2012, 705ss. Sugli indirizzi del diritto privato europeo, si v. per tutti il recente contributo di H.
W. MICKLITZ, Introduction, in H.W. MICKLITZ e Y.SVETIEV ( a cura di), A Self-Sufficient European Private Law – A
Viable Concept ?, in EUI Working Papers LAW 2012/31; ID, The Visible Hand of European Regulatory Private Law,
The Transformation of European Private Law from Autonomy to Functionalism in Competition and Regulation ivi
2008/14. Sulla pluralità delle prospettive presenti già nella esperienza nazionali e, oggi, determinante a livello europeo
nel segnare le difficoltà di sviluppo del diritto contrattuale v. la messa a punto di R. MICHAELS, Of Islands and the
Ocean: The Two Rationalities of European Private Law in R.BROWNSWORD ed altri ( a cura di), The Foundation of
European Private Law, Oxford 2011, 139ss.
195
Su questa prospettiva si è accumulata una vasta letteratura: tra i primi contributi ci permettiamno di rinviare al nostro
saggio La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in N.LIPARI ( a cura
di), Trattato di diritto privato europeo, Padova 2003, vol.III, 3ss; tra i più recenti lavori si v. S.TOMMASI, Pratiche
commerciali scorrette e disciplina dell’attività negoziale, Bari 2012.
programmare i loro futuri rapporti con i consumatori196 e, di conseguenza, esigono l’entrata in
campo di rimedi “collettivi” anche in funzione di prevenzione, siano essi affidati esclusivamente a
nuove strutture istituzionali costituite al tal fine ovvero all’autonomia privata sotto forma di
costituzione di enti esponenziali: si pensi, in particolare alle associazioni dei consumatori o degli
utenti. Ciò è particolarmente evidente proprio quando è in discussione la “giustizia economica” del
contratto: in questo caso, infatti, la valenza collettiva del problema trova la sua manifestazione
emblematica nella connessione tra la presenza di situazioni lesive del mercato concorrenziale
affidata alle autorità di vigilanza sui mercati a partire da quella antitrust e la conseguente tutela
dell’equilibrio economico dei singoli contratti dei consumatori da conseguirisi per il tramite di
iniziative risarcitorie individuali o collettive197.
A fronte di questa situazione, a prescindere dalla contrazione della c.d. mano pubblica, dalle
liberalizzazioni e dalle privatizzazioni ( che hanno ridimensionato fortemente la presenza diretta
dello Stato imprenditore), dalla crisi del dirigismo economico e, con esso, dalla complessiva
contrazione del welfare State198, la risposta elaborata in termini di politica del diritto, tanto a livello
sovranazionale - si pensi in particolare proprio all’esperienza giuridica europea - quanto a livello
nazionale, si è collocata nella prospettiva politico-ideologica di dare effettività ad una economia di
libero mercato senza, per questo, doversi arrendere al neoliberismo integrale fondato sulle presunte
capacità autoccorrettive del mercato, peraltro smentite dalla drammatica crisi finanziaria globale del
2008. E’ in questo contesto che, superata progressivamente la mitizzazione della semplice
demolizione dell’intervento pubblico in termini di de-regulation, si è aperta l’attuale stagione del
c.d. Regulatory-Capitalism199, nel quale si affermano come esigenze primarie quelle di ridefinire le
“regole del gioco” nei rapporti di mercato, rimuovere le cause che favoriscono il malfunzionamento
dei mercati alla luce delle specifiche peculiarità che questi conoscono dal punto di vista oggettivo e
soggettivo nel quadro di una impostazione in cui la tutela del contraente debole tende ad essere
strumentalizzata in vista dell’obiettivo primario individuato nel solo funzionamento competitivo del
mercato, sino al punto da correre il serio rischio di scolorire e di ridimensionarsi200.
In definitiva, si è registrata negli ultimi decenni l’affermarsi di una politica del diritto volta: a) a
modulare, a prescindere dai diversi tipi contrattuali utilizzati, comuni discipline trasversali destinate
ad intervenire su operazioni ricadenti su un medesimo mercato nonché a differenziare le soluzioni
regolative, tenendo conto della diversa qualità dei soggetti coinvolti, a partire dalla stessa attività
che precede ed organizza la contrattazione di massa sul mercato; b) a dettare, al tempo stesso,
regolamentazioni puntuali su specifiche operazioni in relazione al concreto mercato di riferimento;
c) a prevedere molteplici meccanismi istituzionali in grado di monitorare costantemente i singoli
196
Sul rilievo che i mercati finali hanno avuto nell’ elaborazione del nuovo diritto privato europeo dei contratti si v. per
tutti la preziosa sintesi offerta da S. WEATHERILL, EU Consumer Law and Policy , Ed.Elgar Publishing, 2013.
197
Su questo specifico percorso, avviatosi già in sede europea per via di interventi giurisprudenziali della Corte di
Giustizia,si v. la fondamentale pronuncia della nostra Corte di Cassazione 4 febbraio 2207: sull’indirizzo
giurisprudenziale inaugurato da questa sentenza si v. L. DELLI PRISCOLI, Equilibrio del mercato ed equilibrio del
contratto, in Giur. comm. 2006, 253. Sullo specifico punto, fonte di tuttora irrisolte problematiche, si v. infra.
198
Quanto alla complessiva incidenza della contrazione della sfera pubblica a vantaggio di quella privata nell’attuale
esperienza amministrativa, si v. le sintetiche pagine di S. CASSESE, Le droit tout puissant et unique de la Société.
Paradossi del diritto amministrativo, in Riv. trim dir. pubbl. 2009, 879ss.
199
In questi termini si v. il prezioso contributo di J.BRAITHWAITE, Regulatory Capitalism: How it Works, Ideas for
Making it Work Better E.Elgar 2008 sulla scia del saggio di D. LEVI-FAUR, The Global Diffusion of Regulatory
Capitalism in 598 The Annals of the American Academy of Political and Social Sciences 2005, 12–32.
200
Su questa effettiva tendenza del diritto contrattuale europeo (che smentisce costanti mitologie consumeristiche)
ormai diffusasi autonomamente anche nel nostro paese, ci permettiamo di rinviare al nostro La disciplina dell’atto e
dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in N.LIPARI ( a cura di), Trattato di diritto privato
europeo, Padova 2003, vol.III; tra gli ultimi contributi di v. H.-W.MICKLITZ E D.PATTERSON, From the Nation State to
the Market: The Evolution of EU Private Law in EUI Working Papers LAW no 2012/15. Tornando sulle sue riflessioni,
assai di recente H.-W.MICKLITZ, Introduction, in ID, Constitutionalization of European Private Law cit., ha ribadito che
l’”European Private Law is regulatory in nature. It serves the opening of the markets establishing opportunities for the
market partecipants and the embedding of markets opportunities in a tight legal framework”. Sul punto v. infra nel
testo.
mercati, introducendo i correttivi necessari a promuovere ed a salvaguardare la concorrenza, ossia
adottando tutti i mezzi dinamici in grado di mantenere l’equilibrio nei singoli settori economici.
Come dire, dunque, che in questo processo i mutamenti qualitativi e contenutistici del quadro
normativo è direttamente collegato con i mutamenti istituzionali che coinvolgono le fonti stesse del
diritto e che si collocano in uno scenario non più riducibile alle sole esperienze nazionali201.
A tacer d’altro, il semplice passaggio dall’esclusiva rilevanza della tradizionale disciplina generale
del contratto e di quella elaborata per tipi contrattuali, a vantaggio di discipline differenziate
secondo le indicazioni sopra richiamate, ha comportato, come prima conseguenza “di ordine
istituzionale”, peraltro destinata ad incidere sulle tecniche utilizzate nella formulazione delle norme,
il passaggio del potere normativo da una unica autorità centrale, ossia l’organo legislativo per
eccellenza nato per adottare norme astratte e generali, a più autorità “tecniche”202, chiamate ad
intervenire in termini regolativi sui singoli mercati203: autorità, a loro volta destinate a coordinarsi
201
Come è stato correttamente osservato ( D. LEVI-FAUR, Regulation &Regulatory Governance in Jerusalem Papers in
Regulation & Governance Working Papers Series 2010 n.1) “The notion of regulatory capitalism suggests that the
study of regulatory governance should proceed beyond states, markets and societies into the identification of hybrid
forms of regulation and towards the creation of autonomous regulatory spaces that blur the distinctions between the
global and the national”. Del resto, la globalizzazione dei mercati, a partire da quelli finanziari, ha spostato a livello
sovranazionale l’emersione di nuovi centri dotatti di poteri regolatori, in rispondenza di organismi internazionali ovvero
anche del tutto privati ( per una rassegna si v. M DE BELLIS, La regolazione dei mercati finanziari, Milano,2012) la cui
attività, in assenza di un rispodente governo sovrano, ha dato origine ad un singolare sistema amministrativo sganciato
dalla tradizionale sovranità (sul punto si rinvia per tutti a S. CASSESE ed altri ( a cura di), Global Administrative Law:
the Casebook3, Irpa 2012)
202
E’ il caso di rimarcare che il primato riconosciuto al profilo “tecnico” al fine di giustificare lo spostamento della
funzione normativa dagli organi propri della democrazia rappresentativa, ad altre istituzioni “ibride”,costituite da
esperti, indubbiamente riprende, per un campo molto più vasto e diverso, una modalità operativa presente nella moderna
società industriale emersa a proposito dell’elaborazione della normativa “tecnica” in senso stretto: normativa
tradizionalmente elaborata dagli stessi privati e progressivamente affidata a strutture internazionali: sul punto si rinvia
per tutti alle lucide pagine di L.BOY, Normes techniques et normes juridiques − Cahiers du Conseil constitutionnel n°
21 (Dossier : La Normativité) rinvenibile al sito www.conseil-costitutionnel.fr. A nostro avviso, ciò è sufficiente, al
tempo stesso, sia per comprendere i limiti teorici e culturali alla base di questa impostazione, forieri di molteplici
conseguenze sull’intero sistema giuridico - su cui si tornerà infra nel testo – sia per cogliere il profondo contenuto
ideologico e politico della soluzione adottata. Infatti, ricondurre la gouvernance giuridica del mercato all’applicazione
di soluzioni normative che si vorrebbero ridimensionare quali sostanzialmente solo “tecniche” nei loro contenuti
postula, consapevolmente, da un lato l’ idea circa la definitiva “dis-Embeddedness” dell’economia dalla politica (tanto
lucidamente avversata in passato da K. POLANYI, La grande trasformazione,Torino 2000 il quale,alla metà del
Novecento, si era illuso circa il suo superamento), dall’altro una configurazione semplicistica della stessa scienza
economica quasi che tutte le ricette economiche siano comunque politicamente “neutre” e dotate di “oggettività”.
Considerazione, quest’ultima, non solo smentita da una risalente quanto vastissima letteratura ( si pensi a G. MYRDAL,
L’obiettività nella scienze sociali, Torino 1973), ma altresì emersa prepotentemente all’interno stesso della c.d. scuola
di Law and Economics in ragione sia della presenza di una pluralità di approcci che ne smentiscono la monoliticità),
sia dell’attuale crisi degli indirizzi c.d. prescrittivi, a fronte di quelli volti a valorizzare la funzione squisitamente
euristica delle metodologie di indagini sul diritto .
203
Al suo apparire, il fenomeno ha indotto parte della dottrina a parlare appunto di un mutamento costituzionale non
scritto: si v. M. CALISE, La costituzione silenziosa Geografia dei nupovi poteri, Roma-Bari 1998. E’ il caso di
osservare che lo svilupparsi delle autorità amministrative indipendenti chiamate ad intervenire come strutture
indipendenti ed imparziali nella governance di specifici settori ha fatto emergere in maniera esponenziale il tema
relativo alla differenza tra la discrezionalità tecnica ( sulla quale si v. per tutti P. LAZZARA, Discrezionalità tecnica, in
Dig Disc. Pubbl., IV ag. Torino, 2010, 168) e quella amministrativa con tutti i problemi che ne sono derivati in ordine
appunto al controllo giurisdizionale dei provvedimenti adottati da tali istituzioni ( si v. al riguardo, AA.VV, Il controllo
del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica e, in particolare, sugli atti delle autorità indipendenti. 7°
Colloquio italiano-spagnolo Milano 2009; più in generale M.ASPRONE, M.MARASCA, A.RUSCITO, La discrezionalità
tecnica della pubblica amministrazione, Milano 2009; D. DE PRETIS,Valutazione amministrativa e discrezionalità
tecnica Padova 1995 ). A titolo esemplificativo, nella disciplina antitrust la valutazione di intese o pratiche discende
dalla specifica individuazione del “mercato rilevante di riferimento” . Questo ultimo, a ben vedere, rientra a pieno titolo
con l’unica autorità, quella antitrust, alla quale è stato assegnato uno spettro operativo riguardante in
linea di principio tutti i mercati204 Infatti, l’obiettivo primario comune della loro attività è pur
tra i concetti giuridici c.d. indeterminati (al riguardo si v il saggio di S. VENEZIANO, Il controllo giurisdizionale sui
concetti giuridici a contenuto indeterminato e sulla discrezionalità tecnica in Italia, in www.diritto.it): sul punto si v. la
recente importante sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., 14 gennaio 2014, n. 1013,est. Rordorf, in materia di
provvedimenti dell’Autorità garante per il mercato e la concorrenza in linea con l’indirizzo del Consiglio di Stato
ribadito nelle recenti pronunce Cons Stato sez VI, 13 settembre 2012, n. 4873 e 17 luglio 2013, n. 3900: secondo
quest’ultima “risulta, quindi, ormai pacificamente censurabile l’apprezzamento tecnico, che si ponga al di fuori
dell’ambito di esattezza o attendibilità, quando non appaiano rispettati parametri tecnici di univoca lettura, ovvero
orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata, o di dottrina dominante in materia………; non per questo,
tuttavia, può dirsi superato il principio dell’insindacabilità nel merito delle valutazioni discrezionali, in assenza di errori
oggettivamente verificabili”.
Quanto, in particolare, alla valutazione delle operazioni di concentrazione da parte dell’autorità antitrust, Corte
costituzionale 22 luglio 2010 n.270 ha affermato che “ si tratta di una valutazione che va al di là del controllo ex post
sulla condotta delle imprese tipico della funzione di garanzia e, proprio in quanto si esercita ex ante, cioè su un progetto
di concentrazione, finisce per avvicinarsi e toccare il confine tra tutela della concorrenza e regolazione del mercato. Ciò
nonostante, è pur sempre una valutazione prevalentemente economica, che resta coerente con la natura tecnica e
indipendente dell’Autorità, in quanto limitata alla verifica del perseguimento dei cosiddetti obiettivi economici del
mercato, in particolare del suo assetto concorrenziale”.
Non diversa la posizione del Consiglio di Stato a proposito della sussistenza di una posizione dominante. Infatti nella
sentenza Sentenza 1 ottobre 2002 n. 5156, il Consiglio di Stato ha sostenuto che il riconoscere la posizione dominante
di una determinata impresa “non costituisce un accertamento di mero fatto, né la sussistenza di tale posizione può
risolversi in un semplice presupposto di fatto che può essere travisato o ignorato nella sua realtà o nella sua esistenza
storica; al contrario, essa implica un apprezzamento significativo che si risolve in una valutazione tecnica complessa,
fondata, come è stato osservato, non su regole scientifiche esatte e non opinabili, ma sull'applicazione di regole proprie
di scienze inesatte ed opinabili come quelle economiche, ed implica, per di più una vera e propria valutazione
prognostica circa gli effetti che in un determinato mercato un comportamento, di per sé lecito, come una
concentrazione, è destinato ad operare. In nessun caso, pertanto, quello connesso con l'affermazione dell'esistenza di
una posizione dominante può essere considerato un mero fatto od un accertamento di fatto; al contrario, esso si risolve
in un giudizio tecnico discrezionale, basato sia sul previo accertamento dei fatti presupposti che sull'applicazione di
regole tratte dalle scienze economiche, sia infine, su una valutazione prognostica degli effetti che l'operazione è
destinata a produrre sul mercato preso in considerazione. ……. La valutazione tecnica complessa implica
l'apprezzamento di una serie di elementi di fatto – definiti nella loro consistenza storica o naturalistica – in relazione fra
di loro ed alla stregua di regole che, nel caso delle valutazioni tecniche dell'AGCM, non hanno il carattere di regole
scientifiche, esatte e non opinabili, ma sono il frutto di scienze inesatte ed opinabili, di carattere prevalentemente
economico, con cui si provvede alla definizione dei concetti giuridici indeterminati (quali quelli di mercato rilevante, di
dominanza, di intesa restrittiva della concorrenza) cui fa riferimento la normativa a tutela della concorrenza”.
204
Sulle diverse articolazioni dei rapporti tra le autorità amministrative indipendenti, si v. l’analisi di recente offerta da
L. TORCHIA, Il diritto antitrust di fronte al giudice amministrativo, in XV Mercato concorrenza regole 2013, 507ss.
L’emersione di conflitti tra le autorità indipendenti, ciascuna delle quali interviene per il funzionamento del mercato e
della libera competizione in singoli settori è da tempo al centro dell’attenzione nelle esperienze dei paesi europei e degli
States: su tema nonché sulle diverse soluzioni anche di ingegneria istituzionale praticabili per risolvere o evitare i
conflitti, si v. l’ampio studio di M. MEDJNAH, Les rapports entre autorités de régulation en matière de concurrence,
l’Harmattan, 2013. La questione è di recente apparsa anche in sede giurisdizionale nel nostro paese a proposito del
rapporto tra le competenze generali assegnate all’autorità antitrust a tutela dei consumatori e quelle attribuite
all’autorità garante delle comunicazioni: al riguardo si v. in particolare le importanti decisioni del Consiglio di Stato 11,
12, 13, 15 e 16 del 2012 ( su cui si v. L. TORCHIA, Una questione di competenza : la tutela del consumatore fra
disciplina generale e discipline di settore, in Giornale di diritto amministrativo 2012, p, 953ss; F. DELL’AVERSANA,
L’actio finium regundorum tra le Autorità Amministrative Indipendenti nella repressione delle pratiche commerciali
scorrette: la posizione del Consiglio di Stato, in Forum dei Quaderni Costituzionali, 26 giugno 2012 e R. PERNA, La
concorrenza ed il mercato delle comunicazioni elettroniche: possibili interferenze al vaglio del Giudice amministrativo,
in www.ilnuovodirittoamministrativo.it ) cui è seguito anche la sentenza del TAR Lazio 22 luglio 2013. Soluzione
analoga ha accolto il TAR Lazio 17/01/2013 n. 535 con la conseguente soluzione a favore dell’ISVAP del conflitto di
competenze con l’AGCM in merito sia all’applicazione della normativa in materia di tutela del consumatore con
riguardo ai prodotti assicurativi sia all’esclusione dell’applicazione delle norme generali del Codice del Consumo in
presenza di pratiche commerciali scorrette.
Nel quadro di questa lotta senza quartiere emersa tra i nuovi “signori” della regolazione per l’investitura del potere, si
inscrive la recente disposizione di cui all’art.1 comma 6 lett a) del D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 che ha introdotto
sempre quello di istaurare o preservare il funzionamento di un mercato competitivo205 ossia favorire
condizioni di concorrenza sui mercati: obiettivo cui si aggiunge altresì anche quello, sempre al
primo collegato, di conseguire puntuali fini pubblici in relazione ai settori specifici di riferimento,
quali ad es. ad essa l’osservanza di certi standards nei servizi, la trasparenza dei mercati, la
vigilanza sulle tariffe ed i prezzi praticati e così via.
Si tratta delle c.d. autorità indipendenti ormai operanti in tutte le esperienze giuridiche dei paesi
europei. Nella loro strutturazione interna esse sono caratterizzate dalla presenza di professionalità e
di expertise, in rispondenza dei rispettivi mercati sui quali sono chiamate ad operare. La novità più
rilevante è che queste singolari strutture istituzionali svolgono al tempo stesso non solo l’attività di
regolamentazione, ma anche quella del tutto originale di regolazione206 finalizzata appunto all’
instaurazione e alla salvaguardia della concorrenza e, di conseguenza, anche alla vigilanza, al
controllo ovvero, più in generale, alla governance dei mercati di riferimento207.
nell’art.27 del codice del consumo un aggiuntivo comma 1bis il quale riafferma il primato dell’autorità antitrust,
stabilendo che “ Anche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti
delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della
regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base
ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente. Resta ferma la
competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che
non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa
gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze”.
Con questa disposizione si è andato oltre l’adeguamento alle decisioni del Consiglio di Stato sopra richiamate attuato
con l’art. 23, comma 12-quinquiesdecies, del D.L. 95/2012 poi convertito nella Legge 135/2012: articolo
fondamentalmente limitato a fissare a livello normativo i criteri di riparto già identificati dalle sentenze dell’Adunanza
Plenaria, ma che non ha impedito all’ Agcm di continuare di fatto ad intervenire con molti provvedimenti poi annullati
dal Tar Lazio.
205
E’ significativo il legame strutturale e funzionale che si riconosce tra la presenza di una autorità indipendente e la
tutela della concorrenza: si v. al riguardo, a titolo esemplificativo quanto si legge nella pronuncia della corte
costituzionale n.41 del 2013 che, a proposito dell’autorità di nuova introduzione per la regolazione dei trasporti rileva
che “l’ istituzione di una Autorità nazionale dei trasporti s’inscrive nel sistema di regolazione indipendente dei servizi
di pubblica utilità […] e, come tale, è volta a realizzare un mercato concorrenziale nei servizi di trasporto”.
206
Sulla regolazione, al centro di un non sopito dibattito anche relativo agli incerti contorni del fenomeno già presenti
sul piano anche lessicale, si è accumulata una vastissima letteratura in Europa: per una prima ricognizione si rinvia tra
gli altri contributi J. CHEVALLIER, La régulation en question, Droit et Société 2001, 827ss; C. CHAMPAUD, Régulation et
droit économique, in Revue internationale de droit économique 2002, 23ss; assai di recente si v. le ampie indagini di G.
CLAMOUR, Intérêt générale et concurrence, Dalloz, 2006, 643ss; L. CALANDRI, Recherche sur la notion de régulation
en droit administratif français,LGDJ 2008 e di R. RAMBAUD, L'institution juridique de régulation: Recherches sur les
rapports entre droit administratif et théorie économique, l’Harmattan 2012; preziosa altresì la ricca sintesi offerta da M.
MEDJNAH, Les rapports entre autorités de régulation en matière de concurrence, cit, 8ss.
E’ opportuno altresì evidenziare che in alcuni contesti culturali, quali quelli di lingua inglese, il termine regulation
assume un significato più tradizionale, coincidente con la regolamentazione, ossia con l’intervento dello Stato
nell’economia con finalità redistributive ( sul punto si rinvia per tutti a J.DEN HERTOG,General Theories of Regulation,
in Encyclopedia of Law and Economics). Di conseguenza, per contrapporre la nuova modalità di produzione normativa
rispetto al sistema interventistico, si preferisce utilizzare il termine governance come alternativa alla de-regulation. In
particolare, per l’ esperienza nord-americana si v. O.LOBEL, The Renew Deal: The Fall of Regulation and the Rise of
Governance in Contemporary Legal Thought,in 89 Minnesota Law Review 2004, 342ss. Quanto alla governance, si v la
nota seguente.
207
Come è stato efficacemente segnalato attualmente “ la réglementation laisse sa place à la régulation,le gouvernement
à la gouvernance” ( così M. MEDJNAH, op. cit. 5). A proposito del carattere polisemico del termine governance e del
rilievo che ha ricevuto negli ultimi decenni si v. per una prima ricognizione J.CHEVALLIER,La gouvernance, un
nouveau paradigme étatique?, in Revue française d'administration publique, 2003/1 no105-106, p. 203-217. E’ il caso
di osservare che nelle società post moderne alla coppia regolazione/regolamentazione si affianca, in corrispondenza,
quella tra governance e governo (su questa ultima distinzione SI V. J. CHEVALLIER, La gouvernance, un nouveau
paradigme étatique? in Revue française d'administration publique 2003,203ss). Pur della vaghezza del termine, la
governance presenta due significati fondamentali: “da una parte, esso viene usato in modo generico, per indicare il
modo in cui “di fatto” funziona un certo fenomeno o una certa istituzione, e l’insieme di regole e soggetti che
contribuiscono a governarli e/o a regolarli: questo uso ha caratterizzato, ad esempio, la diffusione dell’espressione
“corporate governance”, che per prima ha catturato l’attenzione, a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Dall’altra
Infatti, nella sua accezione più comune. il termine stesso regolazione evoca il processo mediante il
quale si provvede a correggere, in conformità ad un principio ovvero ad un risultato da raggiungere,
una pluralità di movimenti, di atti o dei loro effetti o prodotti, che, per via della loro diversità o
successione, resterebbero tra loro separati. Nel caso delle autorità indipendenti, si tratta appunto di
una funzione tecnico economica e sociale volta ad assicurare che in un particolare settore
economico operi un mercato aperto alla concorrenza. In questo senso la regolazione è
necessariamente progressiva, attuandosi con mezzi diversi, anche puntuali se necessario, al fine di
perseguire gli obiettivi assegnati che sono al tempo stesso “statici”, in quanto diretti a conservare il
libero mercato competitivo, e “dinamici”, in quanto indirizzati a favorire l’avvento ed il
consolidarsi della concorrenza.
A tali fini, se la fissazione di regole appare come una componente certamente essenziale, ma non
certo unica ed esaustiva del sistema di regolazione, l’attività regolatrice, come avviene nei processi
cibernetici, presenta due dimensioni: una anticipatrice, indirizzata a prevenire deviazioni dal
percorso ritenuto ottimale, ed una reattiva, volta a ripristinare il funzionamento del mercato.
Quanto basta per comprendere che la novità rappresentata dalla presenza di queste nuove istituzioni
non si è certo esaurita nell’erosione dello spazio spettante per tradizione al legislatore e, dunque,
nella frantumazione del potere normativo, sulla falsariga di quanto tradizionalmente è già presente
nella produzione di regole affidata al governo sulla base di leggi delega208. In effetti, è ben vero che
in molti casi la legislazione statale si limita alla fissazione di norme di principi, affidando alle
autorità indipendenti il compito di puntualizzare le rispondenti regole attraverso l’esercizio di un
vero e proprio potere normativo209. Tuttavia il proprium del fenomeno è rappresentato sia dal fatto
parte,con tale espressione si indicano più specifiche dinamiche istituzionali, che contribuiscono a forgiare le regole
giuridiche, e le modalità della loro assunzione, sia all’interno degli stati, specie nelle realtà territorialie locali, sia nei
rapporti internazionali o transnazionali” ( così M.R. FERRARESE, La governance tra politica e diritto, Bologna 2010;
sul punto, si v. D. MOCKLE, La gouvernance publique et le droit in Les Chaiers de droit 2006, 89ss. Del resto, come è
stato puntualizzato, “la gouvernance désigne ici clairement un processus et non une institution ou une structure, un
système en réseau régissant les relations d'acteurs réunis avec l'objectif d'engendrer un profit ou une meilleure gestion” (
così, R. JOUMARD, Le concept de gouvernance, Rapport n°LTE 0910 Novembre 2009.
Sul punto, per una lucida messa a punto, anche in prospettiva critica, si v. J. DUCHASTEL, Du gouvernement à la
gouvernance : crise ou ajustement de la régulation, in R.CANET E J. DUCHASTEL (a cura di). La régulation néolibérale.
Crise ou ajustement ? Montréal 2004 ; F. MOREAU DEFARGES, Gouvernance, Puf 2008, nonché il recente contributo di
G. MESSINA, Diritto liquido? La governance come nuovo paradigma della politica e del diritto, Milano 2012.
208
Il dato, in ogni caso, è del tutto singolare riaspetto alla tradizione: si v. infatti. S. CASSESE, Poteri indipendenti, Stati,
relazioni ultrastatali, in Il Foro It.1996, V,c. 8 il quale già a metà degli anni novanta rimarcava che “mai tanto potere
normativo è stato ‘delegato’ dal Parlamento. Si può dire che si assiste, negli ordinamenti moderni, ad una dualizzazione
del potere normativo, una parte del quale viene conservata dal Parlamento, mentre un’altra parte viene attribuita ad
Autorità indipendenti”. Inoltre, le forme attraverso le quali il potere normativo passa nelle mani di autorità amche
private sono molteplici in connessione con la diversità dei mercati su cui queste intervengono e di cui sono parte
strutturante: sul punto, per un’ampia disamina anche in chiave storica si v. il recente contributo di S. SASSEN, Territorio,
autorità, diritti Assemblaggi dal Medioevo all’età globale, Milano 2008, 189ss.
209
Per una recente rassegna sul tema si v. R.TITOMANLIO, Il potere normativo delle autorità amministrative
indipendenti Report annuale 2013 Italia, in www.ius-publicum.com 2013. Si vedano anche V. CERULLI IRELLI, I poteri
normativi delle autorità amministrative indipendenti, in M. D’ALBERTI e A. PAJNO ( a cura di), Arbitri del mercato Le
autorità indipendenti e l’economia, Bologna 2010, 75ss; nonché M. CUNIBERTI, Autorità indipendenti e libertà
costituzionali Milano 2007, 499ss; per la letteratura di fine secolo si v. F. ANGELINI, I poteri normativi delle autorità
amministrative indipendenti, in Associazione per gli Studi e le Ricerche Parlamentari, Quaderno n. 7 seminario 1996,
Giappichelli, Torino, 1997, 195ss. Sul carattare di primarie o di paraprimarie delle potestà normative delle autorità
amministrative indipendenti si v. F. MODUGNO, Appunti dalle lezioni sulle fonti del diritto, Torino 2002, 78 il quale
sottoliena che le leggi istitutive delle autorità si presentano come leggi di carattere organizzatorio, “come norme sulla
normazione” sì da attribuire loro “un potere regolamentare o comunque il compito di promuovere la formazione di
regole da parte dei soggetti attivi nel settore interessato (es. accordi, contratti, codici di autoregolamentazione)”. Sul
punto si v. anche R. BIN, Soft law, no law,. in A. SOMMA (a cura di), Soft law e hard law nelle società postmoderne,cit.
31 ss, che suggerisce l’esistenza di un legame tra il termine soft law e la governance, con la conseguenza che la “soft
law rappresent[erebbe] una produzione di regole che avviene per canali diversi dalle procedure formali tipiche delle
che molte volte le discipline sono adottate pur in mancanza di un’attribuzione del relativo potere,
con un indubbia ricaduta quanto al rispetto del principio di legalità210, ma anche dal fatto che a sua
volta il ricorso ad una normazione per principi costituisce una costante della stessa attività di queste
istituzioni: il ricorso ai principi, infatti, si colloca in un modulo operativo di tali autorità che
permette la possibilità di risposte puntuali in relazione alle singole situazioni che la prassi prospetta
e, al tempo stesso, di processi di provvisoria consolidazione, in termini di regole aventi portata
generale, di quanto intervenuto per casi concreti, anche sulla base di sollecitazioni e quesiti
preventivi sollevati dagli operatori privati interessati211.
Più specificatamente, nel caso delle autorità indipendenti è possibile rinvenire l’operatività di un
legame circolare che si instaura tra i processi legati all’esercizio della funzione regolativa, di
vigilanza e di controllo, che si esprime attraverso decisioni puntuali e singolari, anche sotto forma
di responsi212 nonché di soluzione concordate con gli stessi operatori213, e la funzione
regolamentare ossia quella di fissazione di regole214 entrambe peraltro esercitate con il ricorso a
“principi” e sempre di più con il coinvolgimento degli interressati nel procedimento215. Quanto alla
istituzioni costituzionali di governo, e rinvi[erebbe] piuttosto a modi “nuovi”, comunque diversi di gestire processi
decisionali complessi, la governance per l’appunto”.
210
Su questo delicatissimo tema si v. M.MANETTI , I regolamenti delle autorità indipendenti , in Scritti in onore di
Lorenza Carlassare , vol. I, Napoli 2009 191ss.
211
Sugli effetti anche di etero-integrazione che l’attività dell’ autorità produce sugli atti di autonomia privata, nel
quadro di un nuovo assetto delle fonti, si rinvia a P.PERLINGIERi,Fonti del diritto e “ordinamento del caso concreto”,
in Riv. diritto privato 4/2010,7ss, ivi ampi riferimenti bibliografici.
212
Su questo fenomeno, emerso non solo nella nostra esperienza legata all’attività delle autorità indipendenti, si v. le
considerazioni di B.OPPETIT, La Rèsurgence du rescrit, in Dalloz, 1991, doc.105. A ben vedere, la prassi consolidata
per cui molte pubbliche amministrazioni, tra cui le autorità amministrative indipendenti, hanno istituzionalizzato nei siti
internet un sistema di interazione con l’utenza attraverso le c.d. faq, Frequently asked questions, colloca indubbiamente
queste ultime nel quadro delle nuove forme di normatività, tuttora non adeguatamente analizzate dalla letteratura
giuridica.
213
Invero, la singolarità dei procedimenti normativi che vedono come protagoniste le autorità indipendenti è data
proprio dal coinvolgimento degli stessi operatori, mediante molteplici forme di partecipazione tra cui consultazioni,
audizioni etc. Su questo nuovo paradigma della produzione normativa, si v. il recente contributo di E. FREDIANI, La
produzione normativa nella sovranità «orizzontale», Pisa 2010. Sul punto si v. anche il prezioso saggio di D. SICLARI,
Contributo allo studio della sussunzione legislativa di regole formate dai privati, in Studi in onore di Vincenzo
Atripaldi, Napoli, 2010, 275 ss.
214
Sulla distinzione tra il tradizionale droit- règlementation, astratto generale e disincarnato, e le droit de règolation,
concreto, individualizzato e contestualizzato, proprio della società post-moderna, si v. diffusamente K. BENYEKHLEF,
Une possible histoire de la norme: les normativités émergentes de la mondialisation, Themis, 2008, 761ss, sulla scia
delle lucide riflessioni di G.TIMSIT, Les deux corps du droit, Essai sur la notion de régulation, in Revue Français
d’administration publique 1996, p. 375ss.
215
Sullo specifico punto, un ruolo fondamentale ha svolto la giurisprudenza del Consiglio di Stato con riferimento sia
al coinvolgimento degli interessati al procedimento al fine di legittimare dal basso la non democraticità strutturale di tali
autorità sia alla necessaria motivazione anche dei provvedimenti generali di regolazione.
Si v. innanzitutto la decisione del 27 dicembre 2006 n. 7972 che, nel sintetizzare l’esperienza maturata sino a quel
momento, ha sostenuto che “….nei settori regolati dalle Autorità, in assenza di un sistema completo e preciso di regole
di comportamento con obblighi e divieti fissati dal legislatore, la caduta del valore della legalità sostanziale deve essere
compensata, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del
contraddittorio (la dottrina ha sottolineato che si instaura una correlazione inversa tra legalità sostanziale e legalità
funzione regolativa, si è correttamente ritenuto che attualmente essa costituisce una singolare
moderna forma di normatività216, affidata ad istituzioni di nuova generazione, quali appunto le
autorità indipendenti.
L’attività di queste deve, invero, ispirarsi a due fondamentali principi: quelli dell’ imparzialità e
della proporzionalità. Il primo principio è posto a salvaguardia della terzietà dell’autorità rispetto ai
concreti conflitti sui quali è chiamata ad intervenire; il secondo, è destinato ad assicurare che
l’attuazione dei principi sostanziali cui deve ispirarsi l’attività di vigilanza e di controllo
dell’autorità risponda, di volta in volta, alla concreta situazione effettuale sottoposta alla sua
attenzione: il che milita, dunque, a favore di decisioni puntuali, che, grazie appunto alla presenza di
principi guida, si collocano nel framework funzionale di tali autorità. A questa due funzioni
primarie,tra loro interconnesse, si aggiunge anche quella repressiva, indirizzata a irrogare sanzioni o
ad adottare provvedimenti conseguenziali a fronte della violazione del quadro regolativo vigente.
procedurale: quanto meno è garantita la prima, per effetto dell’attribuzione alle Autorità indipendenti di poteri
normativi e amministrativi non compiutamente definiti, tanto maggiore è l’esigenza di potenziare le forme di
coinvolgimento di tutti i soggetti interessanti nel procedimento finalizzato all’assunzione di decisioni che hanno un
impatto così rilevante sull’assetto del mercato e sugli operatori): sulla motivazione degli atti gebnerali delle autorità, si
v. la rassegna curata da M.COCCONI, La motivazione degli atti generali delle autorità indipendenti e la qualità della
regolazione, in AIR osservatorio P1/2011. Uno strumento essenziale per arricchire la base conoscitiva dell’attività di
regolazione è costituito dalla consultazione preventiva, volta a raccogliere il contributo informativo e valutativo dei
soggetti interessati”( su questa pronuncia si v. tra gli altri A. M. SOLDANO, La consultazione dei soggetti “interessati”
nei procesi decisionali della autorità di regolazione in L. AMMANNATI E P.BILANCIA, Governance dell'economia e
integrazione europea, vol.2 Milano 2008, 165ss). Non diversa la conclusione accolta da TAR Lombardia, sez. III, 3
gennaio 2011, n. 1, «l'esercizio di poteri regolatori da parte di Autorità, poste al di fuori della tradizionale tripartizione
dei poteri e al di fuori del circuito di responsabilità delineato dall'art. 95 della Costituzione, è giustificato anche in base
all'esistenza di un procedimento partecipativo, inteso come strumento della partecipazione dei soggetti interessati
sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative». : «Nei settori regolati dalle Autorità, in assenza di un
sistema completo e preciso di regole di comportamento con obblighi e divieti fissati dal legislatore, la caduta del valore
della legalità sostanziale deve essere compensata, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale,
sottoforma di garanzie del contraddittorio. Uno strumento essenziale per arricchire la base conoscitiva dell'attività di
regolazione è costituito dalla consultazione preventiva, volta a raccogliere il contributo informativo e valutativo dei
soggetti interessati attraverso audizioni e meccanismi di "notice and comment", con cui viene data preventivamente
notizia del progetto di atto e viene consentito agli interessati di fare pervenire le proprie osservazioni». A sua volta, la
decisione sempre del Consiglio di Stato, 2 marzo 2010, n. 1215, proprio al riguardo della funzione regolativa spettante
alle autorità amministrative indipendenti, ha specificato che, nel quadro dei principi generali in tema di partecipazione
procedimentale sanciti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, l‘atto di regolazione deve essere motivato, con l’indicazione
dei presupposti di fatto e di diritto della decisione, e dunque dotato di giustificazione sostanziale senza per questo
richiedere la considerazione puntuale e specifica degli argomenti dedotti da ogni operatore del mercato, trattandosi pur
sempre di atto generale: su questa decisione, si v. S. DEL GATTO, La partecipazione ai procedimenti di regolazione
delle Autorita` indipendenti in Giornale di diritto amministrativo 2010,948ss. In precedenza, nella decisione 27
dicembre 2006 n.7972, il Consiglio di Stato aveva precisato che l’Autorità, nell’indicare la finalità dell’intervento
regolatorio e nel motivare la decisione finale, anche con riguardo alle osservazioni presentate, non è tenuta ad una
puntuale replica ad ogni osservazione, “ deve però dare conto delle ragioni giustificative dell’atto di regolazione,
soprattutto in quei casi in cui vengono contestati i presupposti dell’azione regolatoria”.
216
Si v. G.TIMSIT,La régulation, une forme moderne de la normativité? in L.MATEI, Normativité, droits fundamentaux
et ordre juridique dans l’UE, Bucarest 2010, 15ss. In ordine alla distinzione tra atto amministrativo e atto normativo il
Consiglio di Stato è tornato assai di recente richiamando “l’elaborazione giurisprudenziale che ormai da tempo,
utilizza, proprio, al fine di distinguere tra atto normativo e atto amministrativo generale, il requisito della
indeterminabilità dei destinatari, rilevando che è atto normativo quello i cui destinatari sono indeterminabili sia a priori
che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza della generalità e dell’astrattezza), mentre l’atto amministrativo
generale ha destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori in quanto è destinato a
regolare non una serie indeterminati di casi, ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una
vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti”: così Cons. di Stato Ad. Plenaria 4 maggio
2012 n.9.
In definitiva, attualmente si assiste ad un crescente ricorso, nel processo normativo, alla fissazione
di principi e, sulla base di questi, all’ emersione di sciami di pacchetti normativi o singoli
provvedimenti. Nel quadro delle esperienze nazionali, e dunque, tralasciando la produzione
normativa proveniente da organizzazioni sovranazionali217, questo fenomeno vede come
protagonista non più lo Stato sovrano e tanto meno il governo, bensì nuovi soggetti istituzionali, a
partire dalle autorità amministrative indipendenti ora richiamate218. Come proclama la loro stessa
definizione, esse sono indipendenti dalla politica, per quanto i componenti siano scelti dalle autorità
politiche. Tuttavia esse sono comunque coinvolte nell’ elaborazione delle strategie legate alla
missione loro affidata nei settori economici di competenza219. Si tratta, pur sempre di policy220,
come tale non riconducibile solo a valutazioni tecniche: di qui, anche per tali autorità, il problema
relativo al c.d. deficit di democraticità221 che le caratterizzerebbe e che solo in parte può essere
217
A ben vedere, nel quadro della esperienza propria delle istituzioni europee, in presenza del deficit democratico che
contraddistingue le strutture di governo, il coinvolgimento dei portatori degli interessi, in termini di partecipazione alla
formazione delle regole, costituisce un fenomeno conosciuto e praticato: sul punto si v. per tutti, J. MENDES,
Participation in EU Rule-making: A Rights-Based Approach, Oxford 2011; quanto alla comitology, si v. G.BRANDSMA,
Controlling Comitology: Accountability in a Multi-Level System, Palgrave Macmillan 2013 nonchè H.C.H. HOFMANN,
G.C. ROWE, A.H. TÜRK, Administrative Law and Policy of the European Union, Oxford 2011, 266ss.
218
L’alterarsi del modello tradizionale relativo alle fonti del diritto ed incentrato tra l’altro sulla netta distinzione tra atti
normativi e atti amministrativi trova una sua manifestazione emblematica nella progressiva problematicità di tale
distinzioni a fronte, non solo dell’emergere di leggi-provvedimento [ per via dell’ “affermarsi di una prassi, politica ed
economica, che pretende di diventare regola nel momento stesso in cui si manifesta secondo la logica di un potere
misurato dalla forza (fosse pure quella elementare del numero) e renitente a qualsiasi meccanismo di controllo” : così N.
LIPARI, Dirittti fondamentali e ruolo del giudice” in www.europeanrights.eu/] ma anche dello scoloririsi dei confini tra
regolamenti e atti amministrativi generali (sul punto si v. da ultimi, M. RAMAJOILI e B. TONOLETTI, Qualificazione e
regime giuridico degli atti amministrativi generali, il Diritto ammin. Riv. trim. 2013, 53ss): entrambi segni di un
erosione della funzione propria del Parlamento nel legiferare e, al tempo stesso, della dislocazione del potere normativo
su una pluralità di nuove strutture istituzionali pur a Costituzione invariata. A proposito di norme-provvedimento la
giurisprudenza della corte costituzionale ha riconosciuto che la legge ordinaria può attrarre nella propria sfera di
disciplina oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa, ma in tali casi deve osservare il principio
di ragionevolezza e non arbitrarietà, restando assoggettata ad un rigoroso scrutinio stretto di costituzionalità: ex multis
si v. Corte cost. n.270, 2010
219
E’ sufficiente pensare, a tacer d’altro, alle stesse decisioni circa la scelta delle situazioni di cui occuparsi, alla cui
base vi sono valutazioni di opportunità e di priorità, a prescindere dalla circostanze per la quale si sia in presenza di
iniziative promosse su denuncia.
220
In termini sintetici si è osservato che la “ regolazione è una funzione a metà strada tra attività normativa e attività
amministrativa”….. “L’attività di regolazione è normalmente espressione di un potere di scelta non legislativamente
predeterminato (in quanto spesso i “regolatori” si muovono in uno spazio che non è occupato da fonti di rango primario)
o, come spesso si dice, di un potere di policy, nel cui esercizio l’Autorità individua le regole che ritiene più adatte a
soddisfare le esigenze del mercato”: così R. GIOVAGNOLI, Autorità indipendenti e tecniche di sindacato giurisdizionale,
Relazione tenuta al Convegno “Le Autorità amministrative indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello di
vigilanza e regolazione dei mercati”, tenutosi presso la sede del Consiglio di Stato, il 28 febbraio 2013.
221
Infatti, nell’ambito della “privatizzazione” dello Stato si colloca lo spostamento del potere normativo dal
Parlamento, eletto democraticamente dai cittadini, a favore di istituzioni non rappresentative, indipendenti. La
letteratura è ampiamente consapevole del tema: è significativo già il fatto stesso che queste nuove strutture siano
sinteticamente individuate con la formula “Non-Majoritarian Regulators/Institutions” (sul punto si v.A.S. SWEET e M.
THATCHER, Theory and Practice of Delegation to Non-Majoritarian Institutions, in Yale Faculty Scholarship Series
Paper 74 del 2002 , ivi ampi riferimenti bibliografici, nonché, D. COEN e M.THACHTER, The New Governance of
Markets and Non-Majoritarian Regulators, in 18 Governance. An International Policy, Administration, and
Institutions, 2005, 329ss). Per una riflessione comparatistica sul deficit democratico delle autorità, indipendenti dal
governo, ma pur sempre coinvolte nella regolamentazione, si v. i saggi raccolti DA M. LOMBARD ( a cura di),
Régulation économique et démocratie, Dalloz 2006; Y. MARIQUE, The Rule-Making Powers of Independent
Administrative Agencies (‘QUANGOs’), in Electronic Journal of Comparative Law, vol. 11.3 (December 2007). Pur se
in un contesto molto più complesso, è peraltro significativo quanto sta accadendo negli Stati Uniti. Infatti, il
Regulations From the Executive in Need of Scrutiny Act of 2011, ovvero il REINS Act, adottato dalla Camera dei
risolto mediante il ricorso a processi di partecipazione e di coinvolgimento nella governance dei
settori economici di competenza anche degli operatori e degli altri soggetti privati ivi presenti.
Invero, in tal modo il dialogo sociale si colloca all’interno del processo regolativo222, ma è al
tempo stesso destinato a conformarsi alle modalità procedimentali ivi presenti e, dunque, in parte
risulta imbrigliato nelle logiche ivi istituzionalizzate.
10.- Il rapporto tra privato e pubblico nel diritto dell’economia: questioni aperte tra diritto
dei privati ed i privati dei diritti
Al di là di questa prima considerazione, ciò che qui preme rimarcare è che il crescente primato
assegnato ad una disciplina affidata alla gestione delle autorità indipendenti basata su “principi”
(nonché filtrata,peraltro, in virtù del ricorso a nozioni e concetti giuridici a contenuto indeterminato)
evidenzia l’emergere di una nuova forma di normatività che si distanzia tanto dal modello che si
affida alle libere determinazioni di un mercato autoregolantesi, quanto da quello fondato su regole
imposte dallo Stato centrale: forma che vede le autorità indipendenti procedere alla produzione del
diritto e controllarne l’applicazione in un costante coinvolgimento degli stessi soggetti della società
civile volta a volta interessati.
Più in particolare, come è stato rimarcato, la recente prospettiva, ruotante sulla regulation, vorrebbe
costituire una terza via tra quella impersonata dalle decisioni della legge statale, tradizionalmente
affidata a regole generali ed astratte che impongono uno specifico punto di equilibrio tra l’interesse
individuale e quello generale, e l’altra via che si affida alle sole libere determinazioni
dell’autonomia privata, come tali rispondenti esclusivamente al soddisfacimento degli interessi
individuali dei contraenti.
In effetti, la concreta esperienza storica alle nostre spalle ha evidenziato i limiti di entrambe le
prospettive dianzi segnalate: se la prima ha potuto condurre ad un dirigismo oppressivo delle
posizioni individuali, ossia ad uno statalismo destinato a mortificare la vita economica e la libera
iniziativa, la seconda ha trascurato,pesantemente, sia le diseconomie esterne che il dispiegarsi senza
limiti dell’autonomia privata può portare a svantaggio dei terzi, a fronte delle utilità conseguite dai
soggetti coinvolti come parti nelle singole operazioni contrattuali, sia gli squilibri, anche interni alle
singole operazioni contrattuali, dovuti alla differenza di potere che tra i contraenti può già esistere o
instaurarsi e/o rafforzarsi, con tutti gli effetti distorsivi ulteriori che ne derivano.
A fronte dei modelli alternativi sopra richiamati, la via imboccata di recente si è mossa su due
distinti piani. Da un lato, attraverso il processo di privatizzazione, di liberalizzazione dei processi
economici e, in generale, della deregolamentazione, si è cercato di ridurre l’apparato statale, il
coinvolgimento dello Stato nell’economia, la rigidità delle regole volta a conformare l’esercizio
delle attività economiche. Dall’altro, si è ritenuto di sostituire agli interventi regolamentari dello
Stato unitario, l’azione di nuove originali strutture istituzionali, ossia delle autorità amministrative
Rappresentanti nel dicembre del 2011, integra un importantissmo provvedimento legislativo, da taluno ritenuto
rivoluzionario e attualmente al centro di un ampio dibattito costituzionale ( ex multis si v. J.R. SIEGEL, The Reins Act
and the Struggle to Control Agency Rulemaking, in 16 N.Y.U. J. Legis. & Pub. Pol'y 2013, 131ss; J. H. ADLER, Placing
“Reins” on Regulations: Assessing the Proposed Reins Act ivi 1ss), per effetto del quale i più rilevanti provvedimenti
di regulation adottati dalle autorità indipendenti nord-americane – le c.d. major rules- produrranno effetti solo dopo
essere stati approvati dal Congresso. Esso, a ben vedere, si inscrive proprio nel processo sia di ridefinizione dei poteri
tra Presidente e Congresso, sia del recupero della centralità di questo ultimo rispetto ai poteri normativi consolidatisi nel
tempo in campo alle agencies federali.
222
Sul punto, si v. i saggi raccolti da P. MARTIN (a cura di), Le dialogue social, modèles et modalités de la régulation
juridique en Europe, Bordeaux 2007, in part. ID, Dialogue social et régulation juridique. Une problématique
européenne, ivi 5ss.
indipendenti che, operando in piena indipendenza dal potere politico, potessero assicurare il
funzionamento dei diversi mercati di riferimento, sì da porre questi ultimi al riparo da interventi
abusivi ( pubblici o privati) in grado di esercitare su di loro un’influenza dominante se non
esclusiva.
Ciò ha condotto, innanzitutto, ad un mutamento dei contenuti della normatività. Infatti, mentre il
tradizionale diritto di fonte legislativa statuale si è contraddistinto, proprio in quanto generale ed
impersonale grazie alla imperatività delle disposizioni, alla loro uniformità e stabilità nel tempo, la
regulation, attuativa di principi e orientata sempre a misurarsi dinamicamente con gli obiettivi da
perseguire, si manifesta attraverso determinazioni flessibili, congiunturali, certamente
insoddisfacenti sul piano della prevedibilità e della sicurezza: infatti, il rilievo di numerose variabili
finisce con l’opacizzare l’individuazione dei confini tra le situazioni giuridiche soggettive
destinatarie di tutela e la presenza di deroghe o di eccezioni. La neutralità formale dell’autorità
appare pienamente in linea con interventi che, pur incidendo in concreto anche su situazioni
specifiche soggettive, sono in realtà focalizzati sulla sola ottimale funzionalità del mercato
concorrenziale: sicché anche la tutela dei contraenti “deboli”, a partire dai consumatori, non rileva
certo, al di là delle apparenze, come fine bensì semplicemente come mezzo. Si è in definitiva
passati come è stato osservato, dall’idea di un governo sul mercato a quella di un governo per il
mercato223.
Non deve allora meravigliare se, dopo un primo periodo in cui si è enfatizzato in maniera assoluta
ed apriori il modello, tuttora ampiamente praticato, della c.d. principles-based regulation,
attualmente sono molte le ricerche volte a verificare in concreto la funzionalità di un sistema che ha
preferito allontanarsi dal ricorso alle rules224. Senza qui riproporre le analitiche indagini avanzate in
ordine alla diversa funzionalità delle rules rispetto ai principi, e, dunque, alla valutazione del loro
confronto in termini di costi e benefici, la letteratura più recente, liberatasi dalla mitizzazione delle
aspettative riposte nell’autoregoalementazione degli operatori economici, ha evidenziato la
molteplicità dei paradossi225 presenti nella principles-based regulation, non dovuti certo soltanto al
fatto che i paradigmi di fondo alla base del funzionamento di queste istituzioni “ibride”, tra
pubblico e privato, in cui si realizza la regulation, si identificano con valori etico-giuridici quali il
principi di responsabilità e di fiducia.
Dal punto di vista giuridico, in particolare, tali paradossi segnalano che il sistema di partecipazione
dei soggetti interessati al processo di formazione e di attuazione del diritto può rivelarsi non idoneo
223
Così, alla luce delle suggestioni offerte dalla riflessione di Focault, R. CASTORINA, Bioeconomia: la microfisica delle
condotte nell’era globale, in Metàbasis Rivista internazionale di filosofia on line rinvenibile al sito www.metàbasis.it
maggio 2011 anno VI n° 11, 10, secondo la quale “Lo stato non governa nonostante il mercato o a fianco del mercato,
come inizialmente proponeva la dottrina liberale (teoria dello stato minimo). Il neo – liberalismo pone la ragion di
governo all’interno del mercato facendo in modo che essa divenga una razionalità prettamente oikonomico–gestionale
che si esercita direttamente sul corpo vivo degli individui e della popolazione, surclassando qualsiasi mediazione
politico – simbolica. Nell’ottica foucaultiana, dunque, lo stato non sparisce, esso diviene strumento del mercato e
dell’estensione e moltiplicazione delle proprie dinamiche produttivo – soggettivanti. Oggi si governa per il mercato”.
E’ il caso di osservare che il diaframma tra la tutela diretta del consumatore e quella indiretta affidata al solo
funzionamento del mercato concorrenziale non caratterizza soltanto la esperienza giuridica europea: per la esperienza
nord-americana si v. il recente contributo di J.D.WRIGHT, The Antitrust/Consumer Protection Paradox: Two Policies at
War Each Other, in 121 Yale L.J. 2011-12, 2216ss.
224
Al riguardo si v. la puntuale indagine offerta da J.BLACK, The Rise, Fall and Fate of Principles based regulation, in
Law Society Economy Working Papers n.17/2010. Quanto all’esperienza nord-americana dei mercati finanziari, si v.
V. DE LORENZO, Principles- based regulation and legislative congruence, in 15 Legislation and Public Policy 2012,
45ss il quale tiene conto anche del fatto che, a aseguito degli scandali emersi per via dell’eccessiva fiducia assegnata
negli States ai meccanismi dell’autoregolamentazione per principi, il recente Dodd-Frank Act ha segnato il ritorno alla
rules-based regulation.
225
Così J.BLACK, Forms and Paradoxes of Principles Based Regulation, in LSE Law, Society and Economy Working
Papers 13/2008.
a tutelare gli interessi dei soggetti più deboli, si pensi, in particolare, a quelli dei consumatori e degli
utenti. In altre parole, il ricorso ai principi che nella loro flessibilità e porosità rispetto alle
dinamiche concrete dovrebbero assicurare un ampliamento delle tutele, andando oltre le strette
maglie delle regole, può rivelarsi in effetti non solo controproducente per i portatori di interessi
meno forti che vengono sacrificati nella concreta gestione dei principi stessi, pur nel rispetto delle
maglie procedimentale previste, ma anche tale da privare in concreto di giustiziabilità le soluzioni
volta a volta adottate e non solo perchè esse si rivelano riconducibili nell’area della discrezionalità,
peraltro solo in parte tecnica, che è pur sempre connessa all’applicazione di principi.
Come dire, in definitiva, che la presenza di principi nel diritto scritto non sempre si traduce
nell’individuazione di situazioni giuridiche soggettive tutelabili né di per sé assicura la loro
concreta tutelabilità. A ben vedere, la conclusione qui indicata, con specifico riferimento alle
modalità con cui i principi rilevano nell’ambito della regulation e della governance delle autorità
amministrative indipendenti, solo in parte coincide con il tradizionale atteggiamento critico e
pregiudizialmente scettico circa l’effettiva configurabilità di diritti soggettivi azionabili in presenza
di principi giuridici.
E tuttavia, sempre nel quadro ora individuato, tale conclusione rinviene ulteriore conforto nel fatto
che in queste nuove strutture istituzionali si concentrano potere regolamentare, potere regolativo e
potere sanzionatorio. Si determina, dunque, un significativo distacco dal principio moderno della
divisione dei poteri, con l’ulteriore conseguenza di fornire un nuovo singolare fronte per la
rivisitazione e la crisi della tradizionale ripartizione tra diritto pubblico e diritto privato226 e della
distinzione tra le rispettive giurisdizioni227: crisi, o se si vuole trasformazione, che esigono
fondamentalmente una rivisitazione dei paradigmi alla base della distinzione tradizionalmente
acquisita, la cui conservazione è destinata ad avere effetti distorisivi sia nella comprensione delle
vicende in atto, sia nella predisposizione degli strumenti, prima di tutto concettuali, per rispondere
alle nuove problematiche228.
A ben vedere, proprio nell’ambito del diritto dell’economia, questi due temi, peraltro tra loro
intrecciati, sono attualmente al centro dell’attenzione in quanto forieri, nella complessiva esperienza
giuridica europea, di tensioni sia negli ordinamenti giuridici nazionali, sia in quello sovranazionale,
sempre che l’indagine non si limiti a prendere l’avvio da quello che è a ben vedere già il punto di
arrivo di un percorso, ossia dall’ avvenuta fissazione a valle di un articolato diritto regolatorio229.
Infatti, la regolazione attuata per il tramite delle autorità indipendenti si è configurata
nell’ordinamento come esercizio di un potere: in linea con il sistema si è ritenuto che spettasse al il
giudice amministrativo intervenire, in quanto giudice del potere. Non sorprende, dunque, che
proprio in ragione del significativo rilievo economico-sociale delle controversie,della molteplicità
226
Sul tema si v. N.LIPARI, Le fonti del diritto,Milano 2008, 54ss; I. PUPOLIZIO, Per un modello teorico della “grande
dicotomia” tra diritto pubblico e diritto privato, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2013, 343ss.
227
Quanto al tema della giurisdizione è significativo rammentare che in Francia, proprio la singolare convergenza di
poteri in capo all’Autorità per la concorrenza ha indotto il legislatore in via del tutto eccezionale ad attribuire il
controllo giurisdizionale sui suoi atti non già al giudice amministrativo bensì all’autorità giudiziaria ordinaria:
soluzione, questa ultima, che ha avuto il via libera dal Consiglio costituzionale con la decisione n° 86-224 DC du 23
janvier 1987. Sull’attività svolta dalla Corte di appello di Parigi a cui è stata assegnata la relativa competenza dalla
legge n° 87-499, 6 juill. 1987 seguita dal decreto n° 87-849, 19 oct. 1987 si v. O.ANCELIN E I.FOSSATI-KOTZ , L'appel
des décisions de l'Autorité de la concurrence in La Semaine Juridique Entreprise et Affaires, 2011, 1458. Secondo la
dottrina le autorità indipendenti rientrano pur sempre nell’ordine amministrativo, in quanto exercent un service public
de « police économique » per cui se “la compétence juridictionnelle peut appartenir à l’ordre judiciaire, la nature même
du contentieux ne change pas” : in questi termini Q.EPRON, Le Statut des autorites de regulation et la separations des
pouvoirs in Revue Française de Droit Administratif, 2011, p. 1010.
228
Sul punto per una prima generale prospettazione del tema, si v. A. ZOPPINI, Diritto privato vs diritto amministrativo
(ovvero alla ricerca dei confini tra Stato e mercato), in Riv. dir. civ. 2013, I, 513ss.
229
Appare questa la prospettiva seguita da parte della letteratura privatistica: si v. al riguardo A.ZOPPINI, op. cit.
dei soggetti coinvolti e dei relativi interessi, l’attenzione si sia concentrata sul processo
amministrativo al fine di verificare l’adeguatezza dei suoi paradigmi operativi, peraltro già
adeguatamente aggiornati in occasione della riforma, a fronte della complessità dei problemi che la
regolazione affronta e, al tempo stesso, genera al suo interno.
Al riguardo, è sufficiente pensare da un lato alla crisi della tradizionale distinzione tra giurisdizione
ordinaria e giurisdizione amministrativa, posto che alla luce della recente riforma del nostro
processo amministrativo, le due giurisdizioni appaiono sempre di più come articolazioni interne ad
una giurisdizione unica230, dall’altro alle tensioni, di recente emerse nella giurisprudenza della
Cassazione e della Corte costituzionale231, oltre che significativamente presenti anche nella
complessiva esperienza europea, relative appunto ai poteri repressivi assegnati alle autorità
amministrative indipendenti232, in particolare, alle tutele da approntare a fronte delle sanzioni da
queste irrogate233.
Infatti, a proposito della nuova regulation è opinione diffusa e condivisa che sia il giudice
amministrativo il vero e proprio giudice del diritto dell’economia. In effetti, gli atti attraverso i quali
le autorità amministrative indipendenti svolgono le funzioni ad esse assegnate, in particolare quella
230
Sul punto si v. la recente riflessione di S. BATTINI, La giustizia amministrativa in Italia: un dualismo a trazione
monista, in Riv. trim. dir.pub. 2013, 1ss.
231
V. infra.
232
Il tema è al centro dell’attenzione come emerge dal rapporto elaborato dal Club des juristes e pubblicato il 29
maggio 2012 vertente su Des principes communs pour les autorités administratives dotes d’attribution repressive :
rapporto al riguardo del quale si v. l’utile commento di G. ECKERT, Pour un régine commun des sanctions prononcèes
par les autorités de concurrence et de régulation sectorielle, in Semaine Juridique ed.gen., n.28 del 9 luglio 2012,
1360ss. Invero, il sistema sanzionatorio è indispensabile per l’effettivo funzionamento della regulation (si v. al riguardo
l’importante Final Report curato in Inghilterra da R.B. MACRORY, Regulatory Justice:Making Sanctions Effective,
2006).
.
233
Nel caso particolare dell’Autorità garante per la tutela del mercato e della concorrenza, l’art.14 ter della legge n.287
del 1990 prevede la possibilità che l’istruttoria aperta dalla AGCM possa chiudersi in presenza di impegni prospettati
dalla impresa coinvolta e che l’autorità può accogliere rendedoli vincolanti: in ordine a tali decisioni dell’AGCM, il
TAR Lazio nella sentenza 10/05/2010 n.10571, pur riconoscendo la loro discrezionalità, ha ribadito che anche esse
restano sindacabili in sede di giurisdizione di legittimità, oltre che per violazione di legge, anche per illogicità,
irragionevolezza o travisamento dei fatti nonché per carenza di motivazione o di istruttoria, potendosi inoltre estendere
il sindacato giurisdizionale nell'ambito dell'esame dei presupposti di fatto e della congruità e ragionevolezza della
motivazione a base delle stesse decisione nonché dell'accertamento del nesso logico di consequenzialità tra presupposti
e conclusioni: su questi “impegni”, sostitutivi di provvedimenti sanzionatori si v. C. LEONE, Gli impegni nei
procedimenti antitrust, Milano 2012. E’ bene rammentare che anche a proposito del controllo delle pratiche scorrette,
l’art. 27 comma 7° del codice del consumo prevede la possiblità nei casi meno gravi che l’autorità possa “ottenere dal
professionista responsabile l'assunzione dell'impegno di porre fine all'infrazione, cessando la diffusione della stessa o
modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità” nonché “disporre la pubblicazione della dichiarazione
dell'impegno in questione a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l'Autorità, valutata l'idoneità di tali impegni,
puo' renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all'accertamento
dell'infrazione”. Sulla dimensione regolatoria che in definitiva assumerebbe il sistema sanzionatorio messo a
disposizione delle autorità indipendenti, si v. M . TRIMARCHI, Funzione di regolazione e potere sanzionatorio delle
Autorità indipendenti, in M. ALLENA e S. CIMINI ( a cura di), Il potere sanzionatorio delle Autorità amministrative
indipendenti, in RULES Research Unit Law and Economics Studies Paper N. 15 del 2013. In realtà, la più recente
giurisprudenza è oltremodo critica sulla possibilità che gli impegni adottati ex art. 14bis travalichino la rimozione delle
criticità evidenziate da parte della stessa autorità antitrust sino ad “integrare una determinazione “regolativa” del
mercato: secondo Tar Lazio sez1 8 maggio 2009 n.4994, l’attività regolativa è da ritenersi “esorbitante rispetto alle
attribuzioni di vigilanza, controllo e verifica in ordine al corretto svolgimento delle dinamiche competitive, che
l’ordinamento disciplina e demanda all’Antitrust”;in termini non diversi a proposito del potere sanzinatorio, si v. anche
Tar. Lazio 18 febbraio 2013 n.1742 in esito alla controversia intervenuta tra l’AGCM e l’AGCOM risolta
dall’ordinanza del Consiglio di Stato 24 marzo 2009 n.1515.
normativa e quella regolativa, si configurano come provvedimenti amministrativi (siano essi
generali o puntuali) come tali soggetti, in definitiva, dal punto di vista del loro controllo di
legittimità, al vaglio della giurisdizione amministrativa234. Al momento, inoltre, risulta articolata la
stessa individuazione del giudice competente, in quanto a seguito di soluzioni legislative pasticciate,
puntualmente demolite dalla corte costituzionale, solo per alcune autorità amministrative
indipendenti, la competenza è affidata al TAR Lazio.
Quanto, alla funzione sanzinatoria, negli ultimi tempi è emerso un singolare braccio di ferro tra il
“diritto vivente”, quale individuato negli orientamenti interpretativi prospettati dalla Corte di
Cassazione e dalla stessa Corte costituzionale235 e indirizzato ad assegnare alla giurisdizione
234
Circa la natura amministrativa della “regolazione” si è sinteticamente, ma efficacemente, rimarcato che gli atti dei
regolatori non sono atti legislativi (laddove si fissano norme o si introducono regolamenti) e tantomeno giurisdizionali
……”: in questi termini, traducendo dal testo francese, D. SORACE, Régulation économique et dèmocratie politique: un
point de vue italien, in M.LOMBARD ( a cura di),Régulation économique et démocratie, Dalloz, 2006, 154. Pur
concordando in termini generali con la conclusione prospettata è da osservare però che talune autorità intervengono
molto spesso sul contenzioso tra privati esercitando funzioni in parte assimilabili a quelle dei giudici: sul tema presente
anche in altri paesi v. ora l’ampio studio di T. PERROUD, La fonction contentieuse des autorités de régulation en France
et au Royaume-Uni, Paris 2013; per la nostra esperienza, si v. ora S. LUCATTINI, Modelli di giustizia per i mercati,
Torino 2013.
235
Ci si riferisce al complesso quanto fondamentale tema relativo all’ individuazione della giurisdizione chiamata ad
intervenire in occasione di provvedimenti sanzionatori delle autorità che non necessariamente si collegano alla potestà
di vigilanza di un particolare settore e che in molti casi sono destinati ad incidere anche su diritti fondamentali dei
privati coinvolti. La questione, che meriterebbe un’autonoma indagine, è emersa, in particolare, a proposito della
modifica intervenuta con il decreto legislativo 2 luglio 20120 n.104 , in attuazione della delega al governo di cui
all’art.44 della legge 18 giungo 2009 n.69: con essa l’assetto disciplinare previgente è stato mutato nel senso di
assegnare alla giurisdizione amministrativa del Tar Lazio il controllo delle sanzioni irrogate dalla Consob in passato
spettante alle Corti di Appello . Premesso che nella delega relativa al semplice riordino si richiedeva che il legislatore
dovesse operare tenendo conto della giurisprudenza della corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, la Corte
costituzionale con la decisione del 27 giugno n.162 del 2012 ha dichiarato la illegittimità costituzionale della modifica
per violazione della delega con il conseguente ripristino della giurisdizione delle corti di appello. Nella sua motivazione
la Corte, senza volutamente riprendere le indicazioni di cui alla sua stessa pronuncia n. 204 del 2004 pur invocata
nell’ordinanza di rimessione e implicitamente richiamata nella stessa legge delega, ai fini della fissazione di possibili
“paletti” alla discrezionalità del legislatore nella invidivuazione della giurisdizione, ha richiamato esclusivamente
l’indirizzo più volte ribadito dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato che si erano pronunciati a favore della
giurisdizione ordinaria avendo escluso la presenza di una discrezionalità amministrativa nel caso di sanzioni che
possono essere sia di natura pecuniaria, sia di contenuto interdittivo, ivi compresa quella pòer cui il soggetto sanzionato
non possa continuare ad esercitare l’attività intrapresa. Su questa pronuncia della Corte costituzionale, in particolare
anche sui rilievi sistemici che il tema comporta a proposito proprio dei contenuti della “regolazione”, si v. il commento
di A. NICOTRA, Il giudice naturale delle sanzioni CONSOB e Banca d’Italia, in www.ildirittoamministrativo.it, ivi ampi
riferimenti. Quanto al rapporto tra la discrezionalità amministrativa e l’autoratività della sanzione e, in definitiva, a
favore del riconoscimento della giurisdizione amministrativa in ordine al giudizio sull’esercizio della potestà
sanzionatoria della pubblica Amministrazione, si v. F. GOISIS, Discrezionalità ed autoratività nelle sanzioni
amministatrive pecuniarie, tra tradizionali preoccupazioni di sistema e nuove prospettive di diritto europeo, in Riv. it.
Dir.Pubbl.Comun. 2013, 79ss; sul tema si è nel passato accumulata una ampia letteratura: si v. M. FRATINI, Le sanzioni
delle autorità amministrative indipendenti, Padova 2011; R. TITOMANLIO, Funzione di regolazione e potestà
sanzionatoria, Milano 2007; L.CUOCOLO,Il potere sanzionatorio delle autorità indipendenti: spunti per una
comparazione, in Quaderni Reg.2007, 601ss ; E.BANI, Il potere sanzionatorio delle autorità indipendenti, Torino 2000.
Con la recentissima pronuncia 15 aprile 2014 n.94 la stessa Corte costituzionale ha esteso la dichiarazione di in
costituzionalità delle medesime stesse disposizioni nella parte in cui attribuiscono le controversie in materia di sanzioni
irrogate dalla Banca d’Italia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito, in
particolare alla competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma: di
conseguenza è stata ripristinata la giurisdizione funzionale della Corte di appello di Roma.
E’ il caso di ricordare, infine, che la Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio alla luce dell’effettivo controllo posto
in essere dal giudice amministrativo a proposito dei provvedimenti sanzionatori adottati dall’Autorità antitrust italiana,
con la decisione del 29 settembre 2011 nel caso Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia ha riconosciuto che il sistema
italiano di controllo giurisdizionale dei provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti è conforme all’art. 6 §
1CEDU. Tuttavia, il suo giudizio risulta decisamente mutato alla luce della recente pronuncia 4 marzo 2014 - Ricorso n.
18640/10 - Grande Stevens e altri c. Italia, su cui v. infra nel testo.
ordinaria il controllo relativo ai provvedimenti sanzionatori adottati dalle autorità amministrative
indipendenti ed alcune soluzioni legislative propense a spostare anche questo controllo in capo al
giudice amministrativo. Pur con tutti i limiti di ordine culturale legati alla tradizionale distinzione
tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, è significativo che nel caso di specie sia
stato proprio il riferimento ai diritti soggettivi di libertà economica e di iniziativa ad essere invocato
per esigere il rispetto ed il primato della giurisdizione ordinaria, a fronte della contrapposta
soluzione che sembrerebbe appunto segnare paradossalmente il rischio di un declino e di un
possibile degrado di siffatte situazioni giuridiche nella complessiva governance dell’economia
affidata alle autorità c.d. indipendenti e che si esprime in maniera sempre più evidente sotto forma
di un “diritto negoziato”236.
Esula dalla nostra indagine affrontare questo più ampio ed impegnativo tema. Tuttavia preme qui
limitarsi ad osservare che se la contrapposizione storica tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione
amministrativa non ha più ragion d’essere e che la distinzione tende a collocarsi sul piano
meramente funzionale, diventa allora assolutamente necessaria una completa rivisitazione sia dei
paradigmi sui quali è stata fondata la distinzione tradizionale, sia dei corollari teorici da tempo
individuati e collaudati dalla prassi, prima ancora di adottare i necessari interventi disciplinari
conseguenti.
Infatti, se è vero, come si è cercato di delineare, sia pure schematicamente, nelle pagine precedenti,
che il complessivo fenomeno della nuova regulation , incentrata sui principi, si colloca a metà
strada tra Stato e mercato e, però, essa viene attratto nella sfera operativa della giurisdisizione
amministrativa, configurata sempre in termini tradizionali, ossia contrapposta a quella ordinaria, è
indispensabile che anche il modello giurisdizionale amministrativo venga modificato, a partire dagli
stessi presupposti culturali indispensabili per cogliere a pieno il proprium della nuova funzione ad
esso assegnato237. Infatti, il singolare paradosso con cui i sistemi giuridici sono chiamati a
confrontarsi discende proprio dal fatto che se da un lato si assiste ad una crescente privatizzazione
nei processi di formazione delle regole, attraverso molteplici tecniche, ivi compresa l’
autoregolazione, dall’altro, la loro “procedimentalizzazione”, al fine di assicurare una
partecipazione adeguata da parte di tutti i soggetti interessati, implica l’assoggettamento dell’intera
vicenda al governo di istituzioni “terze”, le autorità amministrative indipendenti. Autorirà chiamate
ad intervenire per l’appunto come arbitri (imparziali ed indipendenti) e, al tempo stesso, come
custodi del funzionamento virtuoso dei rispettivi mercati di riferimento. Di qui, il primato della
giustizia amministrativa a proposito tanto dei procedimenti di regolazione che si svolgono davanti
alle autorità, i quali portano all’emanazione di misure aventi contenuto ed effetti anche generali238,
236
In questi termini A.J.ARNAUD, Le sfide della globalizzazione alla modernità giuridica, in M. VOGLIOTTI ( a cura di),
Saggi sulla globalizzazione giuridica e il pluralismo normativo, Torino 2013, 77ss, in part. 84ss. Sul punto si v. anche
G. Majone, The Trasformations of the Regulatory State, Paper I, in AIR Osservatorio sull’analisi di impatto della
regolazione settembre 2010.
237
Resta fuori dalla nostra riflessione l’analisi del più ampio tema circa i mutamenti intervenuta nella giustizia
amministrativa a seguito della recente riforma. E’ sufficiente qui limitarsi a rimarcare che le novità introdotte, a partire
dalla tutela del contraddittorio e dal coinvolgimento dei soggetti interessati nei procedimenti e dalla maggiore
trasparenza di questi ultimi, evidenziano, a tacer d’altro, una diversa configurazione della P.A. che si colloca nel quadro
da un lato del declino della complessiva sovranità statuale, dall’altro della ridefinizione, in parte conseguenziale, della
distinzione tra diritto pubblico e diritto privato.
238
A questo riguardo, è importante segnalare che il Consiglio di Stato Commissione Speciale con il suo parere 26
giugno 2013 n.3014 ha puntualizzato la questione relativa alle tutela avverso atti normativi. In particolare, ha chiarito
che il singolo è legittimato ad impugnare l’atto solo quando si concretizza in sede applicativa la lesione della sua
situazione giuridica soggettiva posto che “ proprio la generalità e l’astrattezza che caratterizza ( sic!) le prescrizioni
normative impugnate impedisce (sic!) di ravvisare l’attualità della lesione” …per cui “La lesione è, allo stato,
meramente potenziale, essendo destinata a concretizzarsi e attualizzarsi “ . Viceversa, gli enti esponenziali di interessi
diffusi che grazie a loro si prospettano come interessi collettivi di un gruppo omogeneo ben possono impugnare l’atto
normativo in quanto tale. In questo caso “L’utilità perseguita con il ricorso non è la rimozione di una lesione già
verificatasi nella sfera giuridica della singola impresa (non potendo, anzi, l’ente esponenziale sostituirsi al singolo e
agire in giudizio per far valere una lesione subita dall’individuo appartenente al gruppo dei cui interessi omogenei si fa
portatore), quanto la rimozione di una lesione subita dal gruppo in quanto tale”. Il parere precisa al riguardo che deve
quanto dei conflitti che possono emergere tra l’autorità stessa e un operatore economico, ovvero tra
operatori economici ed utenti e tra operatori economici239: come dire, dunque, che tanto i
provvedimenti amministrativi, quanto le determinazione della giustizia amministrativa persino nei
caso in cui appaiono destinati a governare semplicemente conflitti tra la amministrazione pubblica
ed il cittadino, in realtà incidono nelle relazioni orizzontali tra soggetti privati240. In altre parole,
come è stato colto dalla migliore dottrina241, il giudizio amministrativo, originariamente concentrato
sull’atto, è progressivamente diventato direttamente o indirettamente giudizio sul rapporto: di
conseguenza ai limiti “partecipativi”, soprattutto dei soggetti deboli, nella fase formativa della
regolazione, rischiano di aggiungersi anche quelli legati all’immutata applicazione della specifica
“logica” interna al processo amministrativo242.
Nella prospettiva della riflessione qui avviata può essere utile, al fine di cogliere la frontiera ovvero
il cortocircuito che si prospettano all’orizzonte, segnalare, esemplificativamente, alcuni temi e
problemi tra loro strettamente correlati e che attendono ancora risposte adeguate.
Quanto ai temi, mette conto qui evidenziare in primo luogo la singolare frattura che rischia di
determinarsi in ordine al legame tra disciplina degli atti e disciplina dell’attività: ossia il legame che
ha costituito sul piano del rinnovo del diritto privato di fonte europea la principale novità della
complessiva esperienza giuridica degli ultimi decenni. Infatti, taluni recenti sviluppi legislativi
tendono non solo a ridimensionare l’area operativa del diritto privato, ma a legare ambiguamente
l’operatività del suo strumentario tecnico alle determinazioni poste in essere da autorità
amministrative con l’effetto non solo di indebolire la tutela dei diritti individuali e collettivi nelle
forme tecniche proprie del diritto privato a favore di procedure amministrative i cui esiti sono
sottratti al sindacato pieno di merito, ma anche di condizionare l’autonoma operatività delle prima
all’avvenuto dispiegarsi delle seconde.
Una prima manifestazione di questo indirizzo può annidarsi nell’art.37bis introdotto di recente243
nel d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e riguardante appunto la “ tutela amministrativa contro le
trattarsi di “ un interesse omogeneo, ovvero, un interesse comune a tutti gli appartenenti alla collettività rappresentata.
L’ente collettivo non può agire a tutela degli interessi di alcuni appartenenti al gruppo contro gli altri. Al contrario,
verrebbero meno la sua funzione e la sua stessa ragion d’essere e, quindi, l’interesse collettivo del quale l’ente è
titolare”. Sulla differenza in ordine all’ambito di intervento degli enti secondo che essi siano soltanto esponenziali di
interessi diffusi ovvero espressamente legittimati dalla legge, e dunque, sulla più articolata distinzione tra interessi
diffusi , interessi collettivi e interessi generali, si v. l’importante sentenza del Cons. di Stato sez IV del 9 gennaio 2014
n.36.
239
Sul punto, si v. le efficaci puntualizzazioni di V. CAPUTI IAMBRENGHI, La funzione giustiziale della pubblica
amministrazione come fonte di nuovo diritto, in A. VIGNUDELLI, Istituzioni e dinamiche del diritto. I confini mobili
della separazione dei poteri, Milano 2009, 455ss.
240
Per una recente ricognizione sull’attuale adeguatezza della disciplina del processo amministrativo rispetto alle
problemstiche del diritto dell’economia si v. G. NAPOLITANO, Il grande contenzioso economico nella codificazione del
processo amministrativo, in Giornale di diritto amministrativo 2011, 677ss.
241
In realtà, attualmente anche se non ne sono state tratte tutte le implicazioni che ci si dovrebbe attendere ( sul punto
si v. le considerazioni critiche di F. MERUSI, La legalità amministrativa, cit.) lo stesso Consiglio di Stato nell’adunanza
plenaria del 23 marzo 2011 n.3 ha riconosciuto l’avvenuta trasformazione del giudizio amministrativo da giudizio
sull’atto a giudizio sul rapporto.
242
Si v. al riguardo G. DE GIORGI CEZZI, Interessi sostanziali, parti e giudice amministrativo, in Diritto amm. Riv. trim.
2013,401ss e A. PAJNO,Giustizia amministrativa e crisi economica, in www.irpa.eu.
243
Esso è stato previsto dall’art.5 del decreto-legge 1/2012 convertito, con modifiche, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27
recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività" e si inserisce in un
complesso di misure indirizzate al potenziamento del ruolo complessivo dell’AGCM nel nostro paese. Sulla
disposizione si v. tra i primi commenti L.ROSSI CARLEO, La tutela amministrativa contro le clausole abusive in Obbl. e
contr. 2012, 492ss; T. RUMI, Il controllo amministrativo delle clausole vessatorie in I contratti, 2012, 638ss;
PANDOLFINI, La tutela amministartiva dei consumatori contro le clausole abusive, in Corriere giur. ( speciale n.2)
2012, 47ss.
clausole vessatorie”244. Questa disposizione attribuisce innanzitutto all’autorità antitrust il potere, da
esercitarsi d’ufficio o su denuncia, sentite le associazioni di categoria rappresentative a livello
nazionale e le camere di commercio interessate o loro unioni, di dichiarare la vessatorietà delle
clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione
a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari. Il comme
2° della disposizione puntualizza che Il provvedimento accertante la vessatorietà della clausola e'
diffuso anche per estratto mediante pubblicazione su apposita sezione del sito internet istituzionale
dell'Autorità, sul sito dell'operatore che adotta la clausola ritenuta vessatoria e mediante ogni altro
mezzo ritenuto opportuno in relazione all'esigenza di informare compiutamente i consumatori a
cura e spese dell'operatore” con conseguente applicazione di una sanzione amministrativa
pecuniaria in caso di inottemperanza. L’obiettivo della disposizione sembrerebbe quello di
assicurare che l’accertamento della vessatorietà si collochi sul piano del controllo generale
sull’attività negoziale degli operatori professionali245, lasciando soltanto al giudice ordinario la
verifica riguardante gli effetti sul singolo contratto in occasione di concrete vertenze.
Al tempo stesso, la medesima norma facoltizza gli operatori stessi, prima che l’autorità avvi una
propria iniziativa, ad interpellare preventivamente l'Autorità in merito alla vessatorietà delle
clausole che intendono utilizzare nei rapporti commerciali con i consumatori246. A questo ultimo
riguardo, la norma da un lato dispone che “le clausole non ritenute vessatorie a seguito di interpello
non possono essere successivamente valutate dall'Autorità”, dall’altro precisa che “resta in ogni
caso ferma la responsabilità dei professionisti nei confronti dei consumatori”.
A sua volta, a proposito dei provvedimenti adottati dall’autorità, siano essi dichiarativi o non della
vessatorità delle clausole sottoposte al suo vaglio, il successivo comma 4° da una parte puntualizza
che in ordine alla relativa tutela giurisdizionale è “competente il giudice amministrativo”, dall’altra,
fa “salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole vessatorie e sul
risarcimento del danno”.
Nonostante i primi, per quanto autorevoli, commenti si siano orientati a valutare positivamente la
disciplina qui richiamata, a nostro avviso essa presenta ampi margini di ambiguità. Infatti, il dato
singolare è che, paradossalmente, la valutazione positiva della disposizione coincide con una lettura
minimalista dell’intervento del legislatore il quale, in definitiva, non fornirebbe in concreto alcuna
risposta al problema più significativo costituito appunto dalla tutela collettiva avverso la presenza
di clausole vessatorie nei rapporti contrattuali tra operatori professionali e consumatori: problema
rimasto tuttora irrisolto vista alla luce sia dell’inadeguato e scarso ricorso all’inibitoria collettiva
244
Il relativo procedimento istruttorio è stato introdotto dal provvedimento n.23788 dell’autorità garante del mercatio e
della concorrenza pubblicato nel Bollettino della stessa n.34 del 10 settembre 2012.
245
A nostro avviso, tanto l’art.37bis quanto il regolamento adottato dall’autorità per l’istruttoria non sembrano
legittimare la conclusione prospettata in dottrina ( si v. E. QUADRI, La tutela amministatrtiva contro le clausole
vessatorie nei contratti del consumatore, in Nuova Giur. Civ. Comm. 2012, 5666) secondo la quale il controllo
successivo prescrittivo di cui al comma 1 e 2 dell’art.37 bis dovrebbe sempre coinvolgere i moduli ed i formulari nella
loro interezza, laddove per l’ipotesi di cui al comma3° il controllo preventivo potrebbe riguardare anche una sola
clausola. In realtà, una cosa è che ai fini del controllo si tenga conto sempre del complessivo contesto in cui si colloca la
clausola oggetto della denuncia o dell’avvio di ufficio del procedimento, “anche alla luce di altre clausole…..contenute
in altrio contratto al qualem, il priomo è collegato o dal quale dipende” ( così l’art.22 comma 2 del provvedimento
n.23788 cit, altra è che l’istruttoria nel caso del controllo successivo debba riguardare sempre tutte le clausole.
246
Al riguardo la norma precisa che “l'Autorità si pronuncia sull'interpello entro il termine di centoventi giorni dalla
richiesta, salvo che le informazioni fornite risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere” e puntualizza da
un lato che “le clausole non ritenute vessatorie a seguito di interpello non possono essere successivamente valutate
dall'Autorità per gli effetti di cui al comma 2° Resta in ogni caso ferma la responsabilità dei professionisti nei confronti
dei consumatori”.
dinanzia al giudice ordinario già prevista nell’art.37 del codice del consumo, sia delle difficoltà
applicative che questa ultima norma ha registrato.
Infatti, il possibile conflitto tra giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria sotteso alla
nuova disposizione di cui all’art.37bis viene disinnescato preventivamente da questa
interpretazione. Invero, essa assume come presupposto che la dichiarazione di vessatorità della
clausola da parte dell’autorità sortirebbe il solo effetto di “esserci” e di essere resa nota247, senza
avere alcuna incidenza nei rapporti contrattuali in atto ed in fieri circa l’efficacia e validità della
stessa clausola vessatoria, la cui valutazione resterebbe pur sempre affidata al giudice ordinario.
Ebbene, se così fosse, la norma porrebbe a carico dell’autorità un compito oltremodo gravoso nella
sua applicazione, vista la necessità di coinvolgere nel procedimento istruttorio i diversi soggetti
interessati previa consultazione, con il solo auspicabile risultato, nel caso di accertata vessatorità
della clausola, che gli operatori professionali decidano, se riterranno di farlo, di eliminare la
clausola o di non avvalersene. In altre parole, la dichiarazione di vessatorietà da parte dell’autorità,
destinata a comunicarsi ai consumatori, avrebbe in definitiva soltanto un effetto reputazionale nei
confronti degli operatori professionali, incidendo semplicemente in termini di moral suation per
l’eventuale rimozione o disattivazione delle clausole dichiarate vessatorie. Sotto questo profilo, in
definitiva, è fondata l’osservazione secondo la quale l’apertura di un’istruttoria dinanzi all’autorità,
sia in sede preventiva su iniziativa degli operatori sia su denuncia o di ufficio, mira in sostanza a
collocare il controllo sulle clausole vessatorie su di un piano che di fatto contribuisce a neutralizzare
i conflitti e che favorirebbe soltanto processi autocorrettivi da parte dei predisponenti in un dialogo
con l’autorità248. Conclusione, questa, confortata anche dal fatto che nel caso del controllo
preventivo, il procedimento non prevede la presenza di contro interessati, all’infuori dei soggetti
istituzionali ai quali il responsabile del procedimento potrebbe eventualmente chiedere un parere249.
A nostro avviso, premesso che anche alla luce della specifica collocazione della norma nell’ambito
del codice del consumo, la valutazione circa la vessatorietà delle clausole affidata all’autorità resta
ancorata ai soli parametri250 di cui agli artt. 33 e ss. del medesimo codice del consumo251, e che la
247
In altri termini, questa interpretazione della norma ( accolta tra gli altri da L.ROSSI CARLEO, La tutela
amministrativa contro le clausoe abusive cit.; e da G. NATALI, La tutela amministrativa in materia di clausole
vessatorie nei contratti tra imprese e consumatori (art. 37-bis D. Lgs. n. 206/2005): il caso della clausola limitativa
della cessione del credito risarcitorio nel contratto r.c. auto, in Amministrazione in Cammino; E. QUADRI, op. cit. 569)
induce a sostenere che la declaratoria circa la vessatorità della clausola sarebbe funzionale alla mera informazione dei
consumatori quanto alla vessatorietà della clausola secondo le indicazioni di cui al comma 2°della disposizione. Ma
questa conclusione, a ben vedere, è contraddittoria rispetto all’obiettivo di fornire una “tutela” sia pure amministrativa
contro le clausole vessatorie. A tacer d’altro, non può certo parlarsi di tutela ove ci si limiti al solo carattere afflittivo
della pubblicazione relativa alla declaratoria di vessatorietà della clausola per i suoi effetti sulla reputazione
dell’operatore. In altri termini, ove si neghi una concreta rilevanza sul piano privatistico alla determinazione assunta
dalla autorità, l’informazione al consumatore non riguarderebbe, come si continua a sostenere ambiguamente,
l’accertamento” della vessatoreità della clausola; più semplicemente essa avrebbe ad oggetto la sola opinione per
quanto…… autorevole dell’autorità antitrust che, in quanto tale, non avrebbe però alcun rilievo sul successivo concreto
giudizio civile in cui soltanto continuerebbe ad aversi l’effettivo accertamento della vessatorietà e l’applicazione delle
relative conseguenze. Come dire, dunque, che formalmente non muta il quadro delle determinazioni che possono
spingere il consumatore ad avviare un contenzioso dinanzi al giudice ordinario. Sotto questo profilo, e a tacer d’altro, il
gap operativo della disciplina, con specifico rferimento anche alla tutela collettiva dei consumatori, resterebbe del tutto
immodificato.
248
Sullo specifico punto, si v. le lucide considerazioni di C. CAMARDI, La protezione dei consumatori tra diritti civile e
regolazione del mercato. A proposito dei recenti interventi sul Codice del Consumo, in www.juscivile.it, 2013, 305 alle
quali si richiama R. ALESSI, Politiche antitrust e diritti dei consumatori in Italia dopo le recenti riforme, ivi, 46ss.
249
Si v. infatti, l’art.22 comma5° del provvedimento n.23788.
250
Il rilievo avanzato nel testo è a nostro avviso importante per chiarire che in questo specifico caso i parametri di cui
si deve avvalere l’autorità ai fini della valutazione della vessatorietà non sono diversi da quelli che utilizza il giudice
civile: di qui, ovviamente, non solo l’evidente potenzialità del conflitto tra la determinazione effettuata dal’autorità e
quella spettante al giudice ordinario, ma la difficoltà di coordinare l’ univocità dei criteri di valutazione con la diversità
delle giurisdizioni coinvolte.Infatti, come è stato opportunamente ribadito,(A.MIRONE Verso la despecializzazione
dell’Autorità antitrust. Prime riflessionisul controllo delle clausole vessatorie ai sensi dell’art. 37-bis cod. cons. in
Aida. Annali italiani deIl chel diritto d'autore, della cultura e dello spettacolo a cura di Ubertazzi 2012, 296ss), la
valutazione posta in essere dall’autorità in materia di vessatorità delle clausole non può certo ritenersi espressione né di
discrezionalità amministrativa, né di discrezionalità tecnica: sotto questo profilo, dunque, in questo caso il controllo del
giudice amministrativo non dovrebbe limitarsi alla mera legittimità del provvedimento, pur investendo, nei termini del
c.c. controllo “debole”, anche l’esercizio della discrezionalità tecnica.
Quanto detto permette altresì di chiarire che, dovendo essere anche la valutazione dell’autorità ancorata alla verifica del
significativo squilibrio giuridico che si determinerebbe nel rapporto contrattuale, sia esso riferito ad uno specifico
contratto o ad un complesso di rapporti con i consumatori, l’autorità è chiamata ad una attività che, nonostante
l’articolazione adottata al suo interno, continua a mal conciliarsi con la forma mentis e l’appproccio dei suoi funzionari
in quanto travalica la funzione istituzionale legata all’applicazione della disciplina antitrust e si discosta dalla specifica
e connaturata modalità operativa a questa legata. Infatti, la concreta funzione spettante all’autorità garante del mercato e
della concorrenza è fondamentalmente quella di valutare i comportamenti delle imprese nei loro reciproci rapporti al
fine di verificare innanzitutto se le loro intese possano avere effetti negativi su altri operatori e sui consumatori. Come
dire, dunque, che l’interesse dei consumatori rileva in tali decisioni dell’autorità quale parametro per verificare
l’incidenza sul funzionamento del mercato di tali intese: diverso e più complesso discorso è la individuazione
contenutistica dell’interesse dei consumatori da prendere in considerazione, ossia se esso debba limitarsi alla sola
valutazione del vantaggio meramente economico in termini di prezzo o di mutamento qualitativo dell’offerta etc. Per
altro verso, quando l’autorità è stata chiamata a tutelare direttamente i consumatori a fronte di pratiche scorrette e/o
aggressive , la disciplina ha puntualmente individuato le fattispecie di riferimento negli artt. 21-26 del Codice di
consumo.
Ne discende, allora, che bisognerà monitorare attentamente l’attività dell’autorità in ordine all’applicazione dell’art.37
bis al fine di evitare che la logica propria della indagine antitrust alteri la corretta osservazione degli obiettivi previsti
dalla disposizione ora richiamata.
Il caveat non è casuale. Infatti, l’art.62 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24
marzo 2012, n 27 ha chiamato l’autorità antitrust a sanzionare la violazione di alcuni divieti relativi al contenuto dei
contratti tra operatori commerciali, indicati nel medesimo articolo e ulteriormente puntualizzati dal successivo
regolamento di attuazione 19 ottobre 2012 n.199: violazione da ritenersi espressione della avvenuta prevaricazione di
uno dei contraenti sull’altro. A proposito della tipizzazione dei comportamenti vietati contenuta nel comma 2°
dell’art.62 la dottrina ha ben evidenziato che “Tali comportamenti sono qualificati come illeciti ex se, a prescindere
dall’esistenza di “una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante” quale
individuata dalla legge sulla tutela della concorrenza , ovvero dall’esistenza di uno “stato di dipendenza economica nel
quale si trova … una impresa cliente o fornitrice” come richiesto dalla legge sulla tutela della subfornitura” (così in
termini lucidissimi, F. ALBISINNI, Cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (o alimentari ?): ancora un indefinito
movimento, in Rivista di diritto alimentare Anno VI n.2 Aprile-giugno 2012). Ebbene, nel regolamento interno adottato
per l’applicazione di tale disciplina, l’autorità, travisando quanto disposto dall’art.62 e dal decreto ministeriale sopra
menzionato, ha indirizzato la propria attività di vigilanza e di intervento non già a tutti i contratti in cui ricorrano siffatte
violazioni, ma solo a quelle “relazioni economiche tra gli operatori della filiera connotate da un significativo squilibrio
nelle rispettive posizioni di forza commerciale”[ la sottolineatura è nostra ]. Così facendo, ha ritagliato il proprio
intervento, non solo autolimitando la sfera dei compiti da svolgere in chiaro contrasto con l’art.62, ma (il che non è
meno grave) alterando la funzione della disposizione: attraverso un’intepretazione erronea, la norma è stata ricondotta
nell’area in cui l’autorità esercita la sua più generale competenza in ordine alla tutela del mercato concorrenziale (sul
punto ci permettiamo di rinviare al nostro, La strutturazione giuridica dei mercati nel sistema agroalimentare e l’art. 62
della legge 24 marzo 2012 n.27: un pasticcio italiano in salsa francese, in Riv.dir.agr., 2012, I, 545; più di recente si v.
l’ampio saggio di S. PAGLIANTINI, Il “pasticcio” dell’art.62 l. n. 221/2012: integrazione equitativa di un contratto
parzialmente nullo o responsabilità precontrattuale da contratto sconveniente?, in G. D’AMICO e S.
PAGLIANTINI,Nullità per abuso ed integrazione del contratto Saggi, Torino 2013, 171ss).
Non può tacersi, infine, che la tendenza dell’autorità a ricondurre il complesso dei poteri ad essa assegnati sotto il
modulo operativo istituzionale ben può rientrare tra le strategie per far fronte, attraverso una selezione preventiva della
propria attività, al prolifeare eccessivo dei compiti assegnati il cui espletamento potrebbe verisimilmente distogliere
l’autorità, come paventato da più parti, dallo svolgimento delle sue attività primarie rivolte alla tutela antitrust. Ma
questo atteggiamento “ difensivo” del proprio ruolo non può essere accettato. A ben vedere, il continuo allargamento
della sfera operativa dell’autorità garante del mercato nello svolgimento di compiti diversi da quelli propri legati
all’applicazione della disciplina antitrust indubbiamente sta portando ad una de-specializzazione dell’autorità (
A.MIRONE Verso la despecializzazione dell’Autorità antitrust. Prime riflessionisul controllo delle clausole vessatorie ai
sensi dell’art. 37-bis cod. cons. in Aida. Annali italiani del diritto d'autore, della cultura e dello spettacolo a cura di
Ubertazzi 2012, 296ss. Ma il fatto più inquitante e preoccupante è che l’autorità è propensa a non modificare il proprio
approccio nel senso che orienta l’esercizio di questi nuovi diversi compiti a lei assegnati al modus operandi e alla
impostazione con cui agisce nell’area della tutela antitrust. In altre parole, l’autorità tende a ricomprendere anche
l’esercizio delle attività diverse da quella rispondente all’esercizio della sola tutela antitrust nel modulo operativo
previsto per questa ultima funzione, ossia nel modulo contraddistinto dalla presenza di un indubbio margine di
discrezionalità. DI conseguenza, ciò determina una sensibile contrazione delle garanzie e dei contenuti della tutela che
problematica relativa alla tutela del consumatore contro le clasuole vessatorie ha una sua autonomia
rispetto alla repressione della pratiche scorrette252, la nuova disposizione contiene margini di
ambiguità che solo la prassi applicativa può dissipare. Infatti, se da un lato ben si può comprendere
che l’avvio di una procedura preventiva, anche su iniziativa degli stessi operatori professionali, può
favorire un effettivo controllo ad ampio spettro sulla clausole predisposte, dall’altro è tutto da
dimostrare, in primo luogo, che la funzione assegnata all’autorità sia sottratta ad una logica
“dirigistica” sul versante tanto della salvaguardia delle scelte adottate dagli operatori economici,
quanto su quello della tutela dei consumatori. Per la medesima ragione, nel lasciare al giudice
ordinario la giurisdizione sulla validità delle clasusole vessatorie e sul risarcimento del danno, la
norma sembrerebbe ambiguamente affidare al giudice ordinario la eventuale dichiarazione di
nullità della clausola con riferimento al concreto contratto sottoposto alla sua attenzione, sul
presupposto dell’avvenuto accertamento della vessatorietà eventualmente effettuato dall’Autorità:
come dire, contrariamente ad una lettura comprensibilmente incline ad aumentare più che
restringere la tutela dei diritti dei consumatori, che la lettera della norma non appare limitarsi ad
assegnare al giudice ordinario la sola “facoltà di avvalersi degli accertamenti effettuati dell’Autorità
garante”253. Al di là delle difficoltà emerse in ordine all’utilizzazione da parte delle associazione
dei consumatori dell’inibitoria ex art.37 del medesimo codice di consumo, azionabile in via
preventiva innanzi al giudice ordinario, è tuttaltro che inverosimile l’emergere di un possibile
conflitto: conflitto, è bene evidenziarlo, che non si prospetta soltanto con riferimento agli effetti del
la legge ha riconosciuto ai soggetti privati: sul rispetto delle differenziate funzioni dell’autorità antitrust si v. F.
MANGANARO, La giustizia innanzi all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Il diritto dell’economia
2010, 23ss.
251
Sul punto esiste una letteratura vastissima: per ampi riferimenti bibliografici si v. da ultimo G. NATALI, La tutela
amministrativa in materia di clausole vessatorie nei contratti tra imprese e consumatori (art. 37-bis D. Lgs. n.
206/2005): il caso della clausola limitativa della cessione del credito risarcitorio nel contratto r.c. auto, in
Amministrazione in Cammino.
252
Sul punto si rinvia all’attente e apprezzabile disamina offerta da A.MIRONE Verso la despecializzazione dell’Autorità
antitrust. Prime riflessionisul controllo delle clausole vessatorie ai sensi dell’art. 37-bis cod. cons. cit.
253
In questi termini L.ROSSI CARLEO, op. cit. In realtà, la lettera della norma sembra orientata in senso opposto.
Innanzitutto, l’espressione secondo la quale spetta al giudice ordinario intervenire sulla validità della clausola vessatoria
è infelice Infatti, nella disciplina sulle clsuole abusive,la dichiarazione di nullità da parte del giudice ordinario
intervuiene come possibile effetto della valutazione preliminare, a lui spettante, che attiene alla vessatorietà della
clausola nonché alla verifica circa la concreta negatività della stessa per il consumatore. Viceversa, l’intervento del
giudice ordinario a proposito questa volta della “la validità delle clausole (già) vessatorie”, come si legge nella norma,
può acquisire senso solo se si ammette che il profilo dell’accertamento relativo alla validità/invalidità sia separato da
quello preliminare relativo all’accertamento della vessatorietà/non vessatorietà. Per altro verso, posto che la valutazione
circa la vessatorietà non è espressione di discrezionalità tecnica, non si vede in base a quale modalità processuale il
giudice ordinario possa tener conto ed avvalersi della opinione dell’autorità antitrust.
In definitiva, se l’interpretazione prevalente della dottrina tende a collocare la tutela amministrativa delle clausole su di
un terreno diverso da quello proprio derivante dall’attuazione della direttiva 93/13 destinata ad incidere effettivamente
sul singolo contratto e, però, aperta alla tutela collettiva, e, dunque, si esclude che la valutazione posta in essere
dall’autorità possa incidere sulle vicende dei singoli contratti (sì da riportare in conclusione l’attività amministatriva
dell’autorità in materia di clausole abusive nella direzione propria dell’intervento in materia di pratiche scorrette),
appare indubbio che la nuova disciplina non può certo costituire una risposta soddisfacente alla mancanza di effettività
della tutela collettiva delle clausole abusive che deve poter portare anche a concreti effetti inibitori. Come dire,
dunque, che, pur invocandosi e prospettandosi la tutela del consumatore avverso le clausole abusive, la nuova disciplina
introdotta verrebbe in tale interpretazione indirizzata alla tutela del solo mercato, così perpetuando, in forme nuove,
l’equivoco uso strumentale della tutela del consumatore. Se si avalla l’ interpretazione secondo la quale l’intervento
dell’autorità antitrust e le sue determinazioni siano del tutto prive di incidenza sull’operatività dei meccanismi rimediali
privatistici incidenti sul contratto, è inevitabile poi concludere che nel suo agire sulla base della nuva disposizione
l’autorità antitrust non tuteli il consumatore, “bensì la concorrenza del mercato in senso oggettivo” ( così L.ROSSI
CARLEO, Oltre il consumatore nel tempo della crisi:Le nuove competenze dell’AGCM, in G.GRISI( a cura di), Le
obbligazioni e i contratti nel tempo della crisi economica Italia e Spagna a confronto, Napoli 2014, 280.
provvedimento dell’Autorità antitrust, eventualmente negativa in ordine alla vessatorietà della
clausola, nei confronti dell’accertamento spettante al giudice ordinario, anche in sede di inibitoria
sulla base di azione collettiva, ma anche in riferimento all’eventuale decisione del giudice
amministrativo che abbia confermato il provvedimento dell’Autorità.
La possibilità di un conflitto nei termini ora richiamati a proposito dell’applicazione dell’art.37 bis
non è isolata, ma si colloca in un più ampio quadro dovuto appunto al fatto che le dinamiche
relative all’applicazione della regulation coinvolgono due giurisdizioni diverse, senza che si sia
fatta piena chiarezza sul coordinamento tra i diversi strumenti di tutela da attivare.
Senza qui analizzare nel merito la disciplina coinvolta è sufficiente rammentare che già a proposito
delle pratiche scorrette di cui agli artt. 20 e seguenti del codice del consumo, la soluzione adottata
nel nostra paese nell’affidare all’autorità antitrust il compito di accertare la sussistenza delle stesse e
in caso di positivo accertamento adottare i provedimenti consequenziali nell’art.27 comma 14 ha
altresì disposto che “ ove la pratica commerciale sia stata assentita con provvedimento
amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non scorretto della stessa, la tutela dei
soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano interesse, è esperibile in via giurisdizionale con
ricorso al giudice amministrativo avverso il predetto provvedimento” .Nel comma successivo del
medesimo articolo si è altresì fare salva la giurisdizione ordinaria ma in una area ben circoscritta254.
Il recente decreto legislativo 21 febbaio 2014 n.21 nel dare attuazione alla direttiva 2011/83 sui
diritti dei consumatori ha riformulato la disciplina relativa alle informazioni precontrattuali per il
consumatore nonché il diritto di recesso ( art. 48-65); al contempo nell’art.66, richiamando la
disciplina già prevista per le pratiche scorrette, in particolare l’art.27 commi da 2 a 15, ha affidato
all’autorità antitrust l’accertamento delle violazioni delle disposizioni ora richiamate. Orbene, se è
pur vero che lo stesso art.66 comma 5 dispone con una formula assai vaga che “ è fatta salva la
giurisdizione del giudice ordinario” resta comunque indubbio che sull’accertamento delle violazioni
operato dall’autorità non solo la giurisdizione è quella amministrativa, ma quella del giudice
ordinario è soggetta all’ individuazione di cui al comma 15 dello stesso art.27.
La lettura in sequenza di questi interventi, peraltro non sempre in linea con le indicazioni presenti
nelle determinazioni di fonte europea, segnalano un paradossale capovolgimento della linea di
politica del diritto in ordine alla disciplina dei rapporti di mercato emersa negli ultimi decenni e
che ha contribuito in modo determinante nell’arricchire i contenuti del nostro diritto materiale. In
termini oltremodo sintetici può dirsi che la più importante novità intervenuta nel diritto privato
dell’economia, grazie soprattutto ai numerosi provvedimenti adottati a livello europeo, a loro volta
ispirantisi alle esperienze giuridiche già in atto in alcuni paesi, è stata quella di attrarre il tema
relativo alla disciplina dell’attività economica nell’ambito del diritto privato. Ciò è avvenuto
attraverso interventi di diritto sostanziale e di diritto processuale con i quali si è individuato un
preziosissimo ponte tra disciplina degli atti e disciplina dell’attività. Nella prospettiva offerta dalla
strutturale relazionalità propria dell’iniziativa economica indirizzata al mercato di massa, la tutela
privatistica dei diritti, a partire da quelli dei consumatori, si è arricchita nel senso di collocarsi non
più e soltanto al livello tradizionale del singolo contratto, bensì anche a livello delle stesse fasi che
precedono le concrete operazioni negoziali, ossia quelle in cui gli operatori programmano la propria
azione sul mercato predisponendo ad es. moduli e formulari ovvero la presentazione anche
mediante la pubblicità della loro “merce”, sia essa costituita da beni o da servizi. In questa
prospettiva, come si è già avuto occasione di rammentare, il quadro si è altresì articolato in quanto
la differenziazione disciplinare si è accentuata in relazione alla specificità dei mercati di
riferimento.
254
Infatti, tale comma dispone che “E' comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di
concorrenza sleale, a norma dell'articolo 2598 del codice civile, nonchè, per quanto concerne la pubblicità comparativa,
in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d'autore protetto dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, e
successive modificazioni, e dei marchi d'impresa protetto a norma del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e
successive modificazioni, nonchè delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi
di imprese, beni e servizi concorrenti”
I più recenti sviluppi, nei quali la “regolazione”, come sopra descritta, ha progressivamente
inglobato la fissazione delle nuove “regole del gioco” privatistiche destinate a disciplinare l’attività
economica anche per il tramite di regole solo apparentemente dettate per gli atti, segnalano un verio
e proprio capovolgimento di indirizzo, per certi versi radicale, anche a rispetto al passato. Infatti, da
un lato si assiste ad una espansione della disciplina regolatoria dell’attività, dall’altro si registra non
solo una progressiva configurazione amministrativistica di tale disciplina, ma, il che è decisamente
più grave, una sua emancipazione da quella privatistica (ossia quella in cui in definitiva rilevano e
trovano tutela i diritti soggettivi a partire da quelli dei soggetti più deboli):la disciplina di diritto
privato diventa ancillare a quella amministrativa se non addirittura del tutto subordinata sino al
punto da risultare “sterilizzata”.
A questo riguardo, è sufficiente qui richiamare quantro si legge nell’art.5 lett.f del regolamento
adottato dalla stessa AGMC circa le procedure istruttori in materia di pubblicità ingannevole e
comparativa, pratiche commerciali scorrette, clausole vessatorie di cui al provvedimento adottato
nel 2012: articolo da applicarsi non solo per le pratiche commerciali scorrette, ma anche per le
clausole vessatorie come dispone l’art.21 comma 1 del medesimo regolamento. Ebbene, a dispetto
delle esigenze relative alla tutela dei soggetti privati ( consumatori, utenti e operatori concorenti)
che sono alla base dell’intervento affidato all’autorità antitrust, l’art.5 lett. f) del regolamento ora
richiamato prevede che la fase preistruttoria puo essere chiusa con un non luogo a provvedere in
presenza di “sporadiche richieste di intervento relative a condotte isolate ovvero non rientranti tra le
priorità di intervento dell’Autorità, in ragione degli obiettivi di razionalizzazione, efficacia ed
economicità dell’azione amministrativa”. L’Autorità, può individuare “con apposito atto le priorità
di intervento che intende perseguire” [le sottolineature sono nostre]. In definitiva, non può negarsi
che la tutela dei diritti e le aspettative di giustizia dei consumatori, ossia proprio gli obiettivi che la
disciplina europea esige che siano perseguiti con effettività anche attraverso la tutela
amministrativa, sono affidate, in concreto, ad una valutazione discrezionale dell’Autorità sino al
punto da essere sacrificate a priori in nome di ragioni , anche di economicità, dell’azione
amministrativa. In altri termini, a prescindere dal merito, è l’autorità garante della concorrenza a
decidere autonomamente dei casi di cui si vorrà occupare ! In questi casi, la “giustizia” si esaurisce
in un servizio che deve rispondere alle esigenze non del cittadino, ma di chi è stato individuato per
amministrarla.
In realtà, un nuovo fronte problematico, che non a caso si colloca nell’orizzonte multilivello in cui
si iscrivono le normative aventi ad oggetto i mercati, è assai di recente emerso a seguito
dell’indirizzo giurisprudenziale a suo tempo inaugurato dalla Corte di Giustizia, a partire dalla
sentenza Courage255, con cui, al fine di rafforzare l’effettività del rispetto della disciplina
antitrust256, sì da coinvolgere attivamente gli stessi consumatori, si è ammessa la possibilità che
questi ultimi agiscano innanzi al giudice ordinario per il risarcimento dei danni sofferti a causa di
una intesa anticompetitiva intervenuta tra operatori economici. Senza qui affrontare il tema al centro
di una vastissima letteratura e di recente riproposto all’attenzione generale dei paesi europei in virtù
della proposta di Direttiva COM(2013) 404 final dell 11 giugno 2013257, è sufficiente ai nostri fini
255
Si tratta della decisione 20 settembre 2001 nella causa C 453/99.
Sull’articolarsi delle competenze a livello europeo e nazionale in materia di concorrenza, si v. la sintesi offerta da G.
MONTI, Legislative and Executive Competences in Competition Law, in L. AZOULAI, The Question of Competence in
European Union, Oxford 2014, 101ss. Sull’esperienza accumulatasi al riguardo in Europa si rinvia per tutti a saggi
raccolti da G.A.BENACCHIO, M.CARPAGNANO( a cura di), Il private enforcement del diritto comunitario della
concorrenza: ruolo e competenze dei giudici nazionali Atti del II Convegno di studio tenuto presso la Facoltà di
giurisprudenza di Trento, 8-9 maggio 2009, Kluwer 2009.
256
257
La proposta è intervenuta dopo una lunga gestazione avviatasi nel 2005 con il libro verde Com 2005(672) a sua volta
seguito dal libro bianco Com 2008 (165). Sulla recente proposta di Direttiva, già oggetto delle riserve presentate nella
Relazione elaborata dall’ufficio legislativo del nostro Ministero della Giustizia il 19 luglio del 2013, si v. E. ROSSELLO,
Private enforcement: la proposta di direttiva sulle violazioni antitrust ed il risarcimento del danno , in Diritto bancario
limitarsi a considerare l’acceso dibattito già intervenuto nel nostro Paese a proposito dell’indirizzo
giurisprudenziale, di recente puntualizzato dall’ordinanza della Cassazione 4 marzo 2013 n.5327, in
ordine alla rilevanza, per il giudice civile nel giudizio risarcitorio intentato dal consumatore, delle
risultanze fattuali alla base del provvedimento dell’autorità antitrust che ha accertato la presenza di
intese anticoncorrenziali: rilevanza che si manifesterebbe in termini sia di prova privilegiata di tale
evento, sia di presunzione a favore del consumatore circa la ricorrenza del danno da lui sofferto258.
E’ di tutta evidenza che qui si è, a tacer d’altro, in presenza di un’indubbia forzatura del sistema
civilistico della responsabilità per danni con riferimento tanto al ruolo di prova privilegiata che si
intende assegnare al provvedimento amministrativo, per di più nella duplice direzione relativa sia
alla sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale, sia della sua incidenza causale sul danno presunto
sofferto dai consumatori, quanto alla sostanziale inversione dell’onere della prova in ordine al nesso
di causalità gravante sul danneggiato. Infatti, la configurazione dell’accertamento effettuato dalla
autorità antitrust, sia pure nei termini, che vorrebbero essere soft, di semplice prova privilegiata
circa la sussistenza del comportamento anticoncorrenziale, integra nel sistema vigente un’
alterazione delle regole relative al libero convicimento del giudice e al rispetto dei comuni
paradigmi relativi all’onere della prova che incide in maniera discutibile, per via delle modalità con
cui si attua, sul rapporto tra determinazioni dell’amministrazione pubblica e l’attività giurisdizionale
ordinaria259.
In definitiva, l’intreccio sempre più corposo tra interventi amministrativi e disciplina dei rapporti tra
privati, tra provvedimenti amministrativi e determinazioni del giudice ordinario, tra i rispettivi
ambiti operativi della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa non esigono soltanto una
rivisitazione disciplinare, ma, anche a tal fine, richiedono una riflessione senza pregiudizi sui
paradigmi ricevuti dalla tradizione e che collocavano funzionalmente la distinzione tra le due
giurisdizioni in una specifica prospettiva storica e ideologica: questa, è bene rammentarlo, segnava
nettamente il piano dei rapporti tra Stato e cittadini cui si collegava una configurazione della
amministrazione pubblica dipendente e del tutto organica allo Stato stesso ed il piano della società
civile e dei rapporti economici fondata sull’esercizio delle libertà e dei diritti soggettivi e, in
definitiva, rispecchiava uno specifico assetto in ordine alle relazioni tra Stato e mercato260.
approfondimenti settembre 2013. Sulla tutela collettiva, si v. R. VAN DEN BERGH, Private Enforcement of European
Competition Law and the Persisting Collective Action Problem , in 20 Maastricht J. 2013, 12ss.
258
Sul punto si rinvia per tutti ai saggi pubblicati nella rivista Mercato concorrenza regole 2013: rispettivamente a
firma di A. FRIGNANI, La difesa disarmata nelle cause follow on per danno antitrust. La cassazione in guerra con se
stessa, 429ss; L. VASQUES, La difesa disarmata nella cause follow on per danno antitrust. La Costituzione lo
consente?, 449ss; A. GIANNACCARI, Storie minime di sanzioni: delitto e ( quale) castigo?, 473ss; L. TORCHIA, Il diritto
antitrust di fronte al giudice amministrativo, 501ss. Sul tema si v. anche A. TROTTA, Il rapporto tra il giudizio civile e
gli atti dell’AGCM e della Commissione, in L.F.PACE( a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza,
Napoli 2013.
259
Il tema, a ben vedere, tocca un paradigma presente nella cultura giuridica privatistica europea: si v. al riguardo D.
WILSHER, The Public Aspecxts of Private Enforcement in EC law: Some Constitutional and Administrative Challenges
of a Damage Culture, in 3 The Competition Law Rev. 2006, 27ss.
260
Nel rinviare al testo per una esemplificazione paradigmatica dell’ inadeguatezza dell’attuale quadro interpretativo,
mette conto qui osservare che proprio con riferimento alle aree tematiche in cui entrano in gioco interessi
superindividuali, sia tornata al centro dell’attenzione, con specifico riferimento alla giustizia amministrativa, la
questione relativa alla distinzione tra giurisdizione soggettiva ed oggettiva con possibili esiti del tutto originali rispetto
al passato: sul punto si v. la recente riflessione di G. DE GIORGI CEZZI, Interessi sostanziali, parti e giudice
amministrativo,cit nonché R. LOMBARDI, La tutela delle posizioni meta-individuali nel processo amministrativo, Torino
2008, 226ss. Sul tema si v. anche il recente contributo di C.CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo
amministrativo , Milano 2012. Nell’ esperienza francese uno dei punti di osservazione più rilevanti dai quali si è presa
in esame il mutamento intervenuto è stato quello offerto dall’interesse generale a partire dal fondamentale contributo
offerto dallo stesso Conseil d’Etat con il Rapport public 1999 dal titolo Réflexions sur l’intérêt général ; sul tema si v.
anche G. CLAMOUR, op. cit. 161ss nonché M. MEKKI, L’intérêt général et le contrat. Contribution à un étude de la
hiérarchie des intérêts en droit privé , Parigi 2004.
L’insostenibilità di una lettura della situazione attuale con i modelli ed i paradigmi tradizionali, gli
esiti paradossali e perversi che discendono dal lasciare immutato lo strumentario concettuale di cui
avvalersi nonché,al tempo stesso, l’alternativa) che emerge ( in termini di incertezza teorica)
trovano, a nostro avviso, una manifestazione esemplare nella questione, per certi versi ineludibile,
al centro di un significativo dibattito in dottrina ed in giurisprudenza: questione
apertasi a
proposito della valutazione circa il ruolo spettante alle autorità antitrust a seguito dell’introduzione
dell’art.21bis nella legge n.287 del 1990 mediante l’art. 35 del d.l.n.201 del 2011, convertito con
modificazione dalla legge L. 22 dicembre 2011, n. 214.
Il comma 1° della nuova disposizione ha ampliato la sfera di competenza assegnata all’Autorità
garante della concorrenza e del mercato e riconoscuto alla stessa la legittimazione “ad agire in
giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi
amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”261.
Premesso che, a nostro avviso, data l’ampiezza operativa della disposizione, non può escludersi che
l’autorità antitrust se ne avvalga anche nei confronti di provvedimenti posti in essere da altre
autorità indipendenti262, la nuova disposizione ha innescato un significativo dibattito innanzitutto in
ordine alla sua legittimità costituzionale. Questione, quest’ultima, la cui soluzione dipende
ovviamente dalla particolare configurazione che si intende dare al “potere” che la norma ha
espressamente riconosciuto all’autorità, prevedendo, altresì, nel comma 2° un particolare modalità
procedimentale di esercizio263. La questione è stata affrontata dalla Corte costituzionale, sia pure
non in maniera diretta264, nonché da alcune pronunce dei giudici amministrativi.
261
Sulla nuova norma si è accumulata una vasta letteratura: per ampi riferimenti si rinvia alla bibliografia richiamata da
M. CAPPAI, Riflessioni sulle possibili relazioni tra potere di segnalazione e legittimazione a ricorrere dell’Autorità
garante della concorrenza e del mercato: esiste un collegamento tra gli articoli 21 e 21 bis della legge 287/1990? In
www.federalismi.it del 23 novembre 2013; ID, Il problema della legittimazione a ricorrere dell’Autorità garante della
Concorrenza e del Mercato nella prima giurisprudenza amministrativa, in Foro amm. T.A.R. 2013, 1607ss e da C.
CUDIA, Gli interessi prlurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Bologna 2012.
Il meccanismo previsto nell’art.21bis configura l’impugnativa da parte dell’autorità della concorrenza avente ad
oggetto gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica soltanto
come l’ extrema ratio ( in questi termini si è espressa le decision del Tar Lazio 15 marzo 2013 n.2720 in Foro amm.
T.A.R. 2013, 1587), a fronte di un intervento finalizzato, in primo luogo, a conseguire una revisione dell’atto in
questione da parte della pubblica amministrazione che lo ha adottato. Infatti il comma 2° dell’art.21bis dispone, quanto
al procedimento da osservare, che “L'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica
amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette un
parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si
conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorita' puo' presentare, tramite l'Avvocatura
dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni”. Sui problemi legati all’utilizzo dell’avvocatura dello Stato, la
quale dovrebbe assistere anche le altre pubbliche amministrazioni, si v. R. CHIEPPA, Speciale legittimazione a ricorrere
della Autorità garante della concorrenza e del mercato e patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, Nota a Corte
costituzionale 14 febbraio 2013 n.20, in Giurisprudenza costituzionale 2013, 337ss.
262
I primi commentatori hanno ritenuto ammissibile l’utilizzazione dell’art.21bis da parte dell’Antitrust anche contro
atti regolatori generali di altre autorità indipendenti: si v. al riguardo M. CLARICH, I nuovi poteri affidati all’Antitrust, in
Quad. cost. 2013, 115ss; nonché R. PERNA, La concorrenza ed il mercato delle comunicazioni elettroniche: possibili
interferenze al vaglio del Giudice amministrativo, in www.giustamm.it 2013; da ultimo S. LUCATTINI, Garante della
concorrenza e certezza economica: alla ricerca delle giustizie per i mercati, in Diritto ammin. Riv. trim. 2013, 513ss. In
effetti, pur dovendosi, a nostro avviso, ritenere le autorità amministrative indipendenti “diverse” e “singolari” rispetto
all’amministrazione pubblica in senso tradizionale, la giurisprudenza appare incline a negare per molti aspetti siffatta
distinzione, in ragione tra l’altro dei mutamenti che più in generale si registrano nella stessa nozione di pubblica
amministrazione.
263
Sul punto, già Corte costituzionale 14 febbario 2013 n.20 ha chiarito che l’elaborazione di un parere motivato da
parte dell’autorità antitrust integra la “prima fase” del procedimento, come tale necessaria perché l’autorità possa
eventualmente avanzare ricorso, in assenza di un intervento da parte della pubblica amministrazione interessata
conformativo rispetto al parere ricevuto. In questi termini si era espressa la prima dottrina che si è occupata della
norma: ex multis si v. F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e
del mercato ex art. 21‐bis della legge n. 287 del 1990 e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti,in Il
Ebbene, le decisioni, pur concordi nel sostenere la legittimità costituzionale della norma, si
differenziano quanto alle argomentazioni offerte in ordine all’interpretazione e configurazione della
legittimazione ad agire riconosciuta in capo all’autorità antitrust.
In termini generali, la proiezione “formale” di questa incertezza può evidenziarsi a proposito dell’
intrecciarsi di alcuni temi pur sempre legati alla tutela e alla promozione della concorrenza, ormai
da considerarsi obiettivi pienamente costituzionalizzati in termini di principi265: a) il primo tema
nuovo diritto amministrativo 2012, 3ss e M. LIBERTINI, I nuovi poteri dell’Autorità Antitrust (art. 35, d.l. 201/2011), in
www.federalismi.it, 14 dicembre 2011.
Sullo specifico tema è intervenuta la successiva pronuncia del Tar Lazio 6 maggio 2013 n.4451 in Foro amm. T.A.R.
2013, 1601ss decidendo in senso conforme alla soluzione già accolta dal TAR 15 marzo 2013 n.2720 cit. Nel
considerare inammissibile il ricorso avanzato dall’autorità antitrust, questa pronuncia ha chiarito che l’art.21bis
prevede appunto un procedimentio bifasico nel quale la predisposizione del parere motivato da parte dell’autorità non è
facoltativa, bensì assicura l’attuazione di una fase consultiva preliminare che “assurge a vero e proprio presupposto
processuale” per il ricorso giurisdizionale. Di conseguenza, è stata disattesa l’impostazione prospettata dall’autorità
antitrust che riteneva lasciata alla sua libera determinazione l’avvalersi del primo comma dell’art.21bis senza
necessariamente procedere alla fase consultiva, in quanto, a suo dire, la sua legittimazione ad agire contro atti
amministrativi generali sarebbe risultata altrimenti soggetta ad una limitazione che non sussiste in caso di impugnativa
avanzata da enti esponenziali di natura privatistica. La decisione, molto accortamente, ha respinto questa conclusione
proprio in ragione della differenza sostanziale dell’autorità dagli enti esponenziali di interessi diffusi e/o collettivi.
Questi ultimi interessi, secondo la pronuncia del Tar, preesistono al diritto positivo e non sono conformati da esso, pur
restando suscettibili di “ riconoscimento” da parte del legislatore. Molto opportunamente, la sentenza ha rigettato con
forza la pretesa dell’autorità di essere assimilata ad un soggetto collettivo privato al fine di fruire anche delle tutele
processuali assicurate a questi ultimi. Al riguardo il Tar non ha tralasciato di rammentare che “ la creazione di una
autorità amministrativa indipendente……… rimane comunque il frutto di una scelta politica discrezionale che
conferisce a tale organismo non già diritti, bensì potestà amministrative, sia pure non consistenti nella tutela di un
interesse pubblico tradizionale quanto nella garanzia di un bene comune, perseguito attraverso la regolazione neutrale
degli interessi di imprese, consumatori, utenti…..”[la sottolineatura è nostra].
264
Invero, nel caso alla base della decisione della Corte cost.14 febbario 2013 n.20 cit., la regione Veneto aveva fondato
la questione di illegittimità costituzionale dell’art.21bis sul presupposto che tale disposizione avesse posto in essere “un
nuovo e generalizzato controllo di legittimità” su tutti gli atti regolamentari ed amministatrtivi regionali affidato
all’Agcm. La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione, limitandosi ad osservare che “ la norma –
integrando i poteri conoscitivi e consultivi già attribuiti all’Autorità garante dagli artt. 21 e seguenti della legge n. 287
del 1990 – prevede un potere di iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del
corretto funzionamento del mercato (art. 21, comma 1, della legge citata) e, comunque, certamente non generalizzato,
perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi «che violino le norme a tutela della concorrenza e del
mercato» (norma censurata, comma 1)”. Secondo la Corte, tale potere “ si esterna in una prima fase a carattere
consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda
(eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere
stesso”.
265
Sulla costituzionalizzazione della concorrenza si è accumulata una vasta letteratura: per una recente analisi degli
indirizzi della corte costituzionale si v. F. TRIMARCHI BANFI, Il “principio di concorrenza”: proprietà e fondamento, in
Diritto Amm. Riv. Trim. 2013, 15ss; nonché C.PINELLI, La tutela della concorrenza come principio e come materia . La
giurisprudenza costituzionale 2004-2013, in Rivista telematica dell’Associazione italiana dei costituzionalisti 2014 n.1.
Sullla questione, assai di recente è stata la stessa Corte a fare il punto: nella decisione 18 aprile 2014 n.104 si legge che
la nostra nozione di concorrenza “riflette quella operante in ambito comunitario e comprende: a) sia gli interventi
regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali le misure legislative di tutela in senso proprio,
che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale
dei mercati e che ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione; b) sia le misure
legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere
all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione
tra imprese, rimuovendo cioè, in generale, i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche”. Quanto
al penetrante rilievo della competenza esclusiva della Stato in materia di concorrenza ex art. 117, la recente
decisione di Corte cost. 13 gennaio 2014 n.2 ha ribadito che “le materie di competenza esclusiva e nel contempo
«trasversali» dello Stato, come la tutela della concorrenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. − stante il
loro carattere «finalistico» − possono influire su altre materie attribuite alla competenza legislativa concorrente o
residuale delle Regioni fino ad incidere sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano”.
riguarda la distinzione tra l’interesse pubblico, tradizionalmente associato all’attività posta in essere
dalla pubblica amministrazione, l’interesse generale, inteso come interesse che trascende i singoli
interessi ovvero li rappresenta con o senza contemperamenti266 , gli interessi collettivi che possono
coagularsi, pur nell’ambito dell’interesse generale, intorno a specifici enti esponenziali (si pensi alle
associazioni dei consumatori od a quelle ambientalistiche) anche ma non necessariamente attraverso
formali interventi legislativi267; b) il secondo attiene al concreto ruolo che spetterebbe all’autorità
garante del mercato e della concorrenza nello svolgimento dei suoi compiti.
La questione di costituzionalità ha investito il fondamento del singolare potere attribuito dall’art.21
bis all’autorità antitrust in ordine all’impugnativa degli atti amministrativi generali, i regolamenti
ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che “violino le norme a tutela della
concorrenza e del mercato”. A tale riguardo, sono emerse due fondamentali letture diverse
ciascuna delle quali, a ben vedere, implica ricadute di ordine sistemico ancora da esplorare nei loro
esiti complessivi.
La prima, sul preciso presupposto secondo cui la tutela della concorrenza risponderebbe alla tutela
di un interesse di valenza generale268 ha ritenuto che l’autorità, nel ruolo singolare da essa
assegnato, l’autorità interverrebbe in vesti simili a quelle di un pubblico ministero, più volte
legittimato nel nostro sistema giuridico, per esigenze di interesse della collettività ad intervenire
d’ufficio e promuovere attività giurisdizionali anche in questioni di rilevanza privatistica. Sotto
questo profilo,si sarebbe in presenza di una ipotesi di giurisdizione di tipo oggettivo269 ovvero di
266
Salvo a rinviare al testo la qualificazione dell’interesse la cui tutela e promozione è affidata all’autorità antitrust dalla
legge n.287 del 1990, è bene rammentare che nell’art.21 della legge ora richiamata il potere di semplice segnalazione al
Parlamento e al Governo attribuito all’autorità può riguardare “ norme di legge o di regolamento o provvedimenti
amministrativi di carattere generale” nel caso in cui da un lato essi determinino “distorsioni della concorrenza o del
corretto funziomento del mercato “ dall’altro tali distorsioni “non siano giustificate da esigenze di interesse generale”.
Da ciò si deduce , in definitiva, che la salvaguardia e la promozione della concorrenza ( ovvero l’interesse a che ciò
avvenga) possono essere sacrificate in presenza di “disposizioni” che perseguono un interesse generale, come tale
ritenuto di rango superiore: interesse generale che, a ben vedere, può di fatto ricorrere quale giustificazione non solo di
norme di legge, ma anche di regolamenti o provvedimenti amministatrivi di carattere generale, quale che sia l’autorità
che li abbia emanati.
La determinazione contenuta nell’art.21 della legge n.287 del 1990 è conforme a ben vedere al rilievo che si riconosce
a livello costituzionale alla concorrenza sulla base dell’art.41 nel senso che l’autonomia privata e la concorrenza non
sono destinatarie di una «protezione assoluta» potendo subire le limitazioni e gli opportuni coordinamenti tali da
assicurare «il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti» : in definitiva “
l’attività economica pubblica e privata può essere indirizzata e coordinata a «fini sociali», consente una regolazione
strumentale a garantire la tutela anche di interessi diversi rispetto a quelli correlati all’assetto concorrenziale del
mercato garantito” ( così Corte cost. n.270 del 2010). In questo quadro, secondo la Corte ( si v. sentenza n.200 del
2012) “il principio della liberalizzazione prelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli
ostacoli al libero esercizio dell’attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall’altro, mantenga le
normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l’utilità sociale”.
Rispetto alla disposizione ora richiamata, l’art.21bis segna una rafforzata rilevanza della tutela dellaconcorrenza e del
mercato posto che la nuova disposizione le riconosce “ implicitamente un rango più elevato rispetto ad altri interessi
pubblici, a prescindere dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva in capo al soggetto che agisce in giudizio”:
così giustamente M.CLARICH, I poteri di impugnativa dell’Agcm ai sensi del nuovo art. 21-bis l. 287/90, in
justice.luiss.it 2013.
267
Sulla differenza tra le due posizioni si v. ora l’importante puntualizzazione offerta dalla decicisione del Cons. di
Stato sez IV del 9 gennaio 2014 n.36.
268
In questi termini si v. M.A.SANDULLI,Il problema della legittimazione ad agire in giudizio da parte delle autorità
indipendenti, in www.avcp.it.
269
Così tra gli altri F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato (art. 21‐bis della legge n. 287 del 1990 cit. il quale esclude che “l’Autorità, in quanto tale, sia titolare di un
interesse legittimo in senso proprio, potendo (e dovendo) attivarsi per la tutela e realizzazione di un interesse generale
alla concorrenza che, per un verso, finisce per coincidere con una sommatoria di interessi di mero fatto ascrivibili alla
collettività e, per altro verso, restando così generico, non soddisfa certo i caratteri di una situazione soggettiva
una “azione di ufficio” come tale di dubbia legittimità costituzionale in quanto l’introduzione di una
sorta di Pubblico Ministero nel processo amministrativo risulterebbe in evidente contrasto con il
carattere strutturalmente soggettivo della giurisdizione amministrativa quale emergente dalla stessa
Costituzione270.
La seconda, viceversa, ha individuato la soluzione del problema relativo alla qualificazione
dell’interesse di cui in questo caso sarebbe portatrice l’autorità antistrust, partendo però dai
paradigmi tradizionali che sono alla base della giustizia amministrativa visti anche alla luce del
disegno adottato a livello costituzionale dall’art.113 nella parte in cui dispone che “ contro gli atti
della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli
interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”. In particolare, in
questa seconda impostazione si è reso necessario individuare il diretto rapporto tra il soggetto
pubblico, in questo caso l’autorità antitrust, e l’interesse specifico che legittimerebbe, nel rispetto
del sistema e, dunque, senza introdurre una devianza dallo stesso, tale autorità ad impugnare dinanzi
alla giurisdizione amministrativa gli atti amministrativi ed i provvedimenti indicati nello stesso
art.21bis.271 Nel rigoroso rispetto dei paradigmi tradizionali cui si ispira il sistema della
giurisdizione amministrativa, questa seconda impostazione ha concluso che l’interesse alla tutela
della concorrenza da parte dell’Autorirà si configurebbe come un interesse non già soltanto
generale, quale manifestato nella disciplina di cui alla legge n.287 del 1990 e, come tale,
suscettibile di essere sacrificato da un altro interesse generale di rango superiore272, bensì come un
interesse pubblico soggettivamente riconosciuto e spettante all’autorità, in quanto riflettente un suo
preciso “bene della vita” e, dunque, una situazione giuridica soggettiva ad essa spettante273. Sotto
questo profilo, potendo determinazioni autoritative poste in essere da qualsiasi amministrazione
pubblica attraverso atti amministrativi generali, regolamenti e provvedimenti incidere
negativamente sulla situazione giuridica spettante all’autorità antitrust, quest’ ultima sarebbe
pienamente portatrice di un interesse (legittimo) ad impugnare siffatte determinazioni in linea con
il sistema274.
imputabile ad un soggetto di diritto”. Nei medesimi termini, R. POLITI, Ricadute processuali a fronte dell’esercizio dei
nuovi poteri rimessi all’AGCM ex art.21bis della legge n.287/1990. Legittimazione al ricorso ed individuazione
dell’interesse alla sollecitazione del sindacato, in federalismi.it n.12/2012.
270
Questa impostazione prospettata da parte della dottrina (F. CINTIOLI, op.cit) e ripresa nel ricorso avanzato dalla
Regione Veneto innanzi alla Consulta, è stata respinta dalla Corte costituzionale, nella sua decisione n.20 del 2013. In
particolare, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità, la Consulta le ha riservato una stringata
valutazione negativa, limitandosi a rammentare nella sua motivazione “ il non pertinente richiamo alla figura del
pubblico ministero, che sarebbe stato introdotto in modo surrettizio nel processo amministrativo”. Analoga, ma più
motivata critica, è stata avanzata dalla sentenza del TAR n.2720 del 2013 cit. la quale ha escluso che l’art.21bis abbia
introdotto “una ipotesi eccezionale di giurisdizione amministrativa di diritto oggettivo”.
268
R.GIOVAGNOLI, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell’AGCM
nell’art. 21-bis legge n. 287/1990, www.giuistamm.it. Peraltro verso , proprio il riferimento al carattere soggettivo della
giurisdizione amministrativa è apparso improponibile a proposito della legittimazione riconosciuta in capo all’autorità
antittrust dall’art.21bis. Si è osservato ( F. Satta, Intorno alla legittimazione dell’Autorità garante della concorrenza e
del mercato a chiamare in giudizio pubbliche amministrazioni, in www.apertacontrada.it 26 novembre 2012) a
proposito di questa autorità che “ essa non è un operatore del mercato, né parte del rapporto con l’amministrazioone il
cui provvedimento ritiene di dover im pugnare. Il suo ruolo è un altro: è un arbitro che disciplina e promuove la
concorrenza tra gli operatori del mercato. In vista di questo fine, e non per perseguire qualche suo interesse, sindaca i
comportamenti degli operatori su un piano di assoluta imparizialità, quasi giurisdizionale, ed irroga sanzioni per punire
condotte anticocorrenziali”.
272
Si veda esplicitamente l’art.21 della legge n,287 del 1990.
273
E’ questa la soluzione accolta dalla pronuncia di TAR 15 marzo 2013 sez.III n.2720 cit. con ampia nota di
commento di M.CAPPAI, Il problema della legittimazione a ricorrere dell’Autorità garante della Concorrenza e del
Mercato nella prima giurisprudenza amministrativa cit; sulle medesima sentenza si v. anche A. D’URBANO, Il nuovo
potere di legittimazione a ricorrere dell’AGCM a vaglio del giudice amministrativo, in Federalismi.it n.14/2013.
274
Nella sua motivazione la decisione di TAR 15 marzo 2013 n.2720 , la legittimazione riconosciuta all’autorità
antitrust dall’art.21bis della legge n.287 del 1990 costituirebbe “ un ordinario potere di azione, riconducibile alla
giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche individuali qualificate e differenziate, benché soggettivamente riferite ad
una autorità pubblica. L'interesse sostanziale, alla cui tutela l'azione prevista dall'art. 21 bis in capo all'Autorità Antitrust
Quest’ ultima interpretazione che si rinviene in sostanza alla base dell’orientamento con cui è stata
affrontata e risolta positivamente la questione relativa alla legittimità costituzionale della norma,
attraverso una sua interpretazione e configurazione sistematica, appare, a nostro avviso,
insoddisfacente non foss’altro perchè non riesce neanche a restare fedele al paralogismo che pur
innegabilmente si riscontra alla base di una argomentazione che vorrebbe tentare, al medesimo
tempo, di ricondurre la fattispecie al sistema, sì da negare la sua singolarità, e, così facendo,
risolvere la questione circa la sua legittimità costituzionale275. A tacer d’altro, la soggettivizzazione
dell’interesse in capo all’Autorità, sia pure in chiave funzionale e “gestoria” circa la tutela della
concorrenza276, lascia comunque problematico, e senza una soluzione convincente, non solo il
rapporto tra l’”interesse generale”, normalmente evocato per giustificare la “regulation” affidata alle
autorità indipendenti a partire da quella antitrust, e l’interesse pubblico, ma anche la persistenza
della “neutralità” rispetto agli interessi in gioco che per definizione dovrebbe caratterizzare la
mission delle autorità.
è finalizzata, assume i connotati dell'interesse ad un bene della vita: il corretto funzionamento del mercato, come luogo
nel quale trova esplicazione la libertà di iniziativa economica privata, intesa come "pretesa di autoaffermazione
economica della persona attraverso l'esercizio della impresa" (cfr. Cass. Sez. un. 4.2.2005 n. 2207), tutelato a livello
comunitario e costituzionale, costituisce il riferimento oggettivo di una pretesa, giuridicamente rilevante e meritevole di
salvaguardia, ad un bene sostanziale. Un bene della vita, dunque, che non si risolve nel mero interesse generale al
rispetto delle regole ed alla legalità dell'azione amministrativa ( rispetto ai parametri di legge che regolano il
funzionamento del libero mercato), ma che assume una specifica dimensione sostanziale , che si concretizza e si
specifica nelle diverse fattispecie nelle quali trovano applicazione le norme a tutela del buon funzionamento del libero
mercato. …… L'interesse di cui l'Autorità è portatrice è interesse pubblico, benché individuale e differenziato rispetto
all'interesse generale o all'interesse diffuso in maniera indistinta sulla collettività: e si specifica come interesse pubblico
alla promozione della concorrenza e alla garanzia del corretto esplicarsi delle dinamiche competitive, come condizione
e strumento per il benessere sociale. Lo stesso interesse rispetto al medesimo bene della vita, dunque, viene ad
atteggiarsi come pubblico o privato, a seconda del soggetto che ne è portatore nelle diverse fattispecie in cui viene in
rilievo l'esigenza primaria di garanzia della concorrenza; e proprio detto interesse, che è pubblico nella tutela apprestata
dalle norme che fissano i poteri e le attribuzioni dell'AGCM, vale a fondare la legittimazione processuale di cui all'art.
21 bis citato [le sottolineature sono nostre].
275
In senso critico su questa soluzione si v. M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’Agcm ai sensi del nuovo art.21bis l.287/90 cit. secondo il quale” se le autorità fossero titolari di situazioni giuridiche sostanziali così individuate
dovrebbero poterle esercitare non soltanto in sede processuale per contestare provvedimenti amministrativi illegittimi,
ma anche necessariamente, in sede procedimentale…si dovrebbe ritenere che all’autorità garante della concorrenza e
del mercato debba essere inviata la comunicazione d’avvio del procedimento tutte le volte che un provvedimento di
una pubblica amministrazione ( per sempio il rilascio di una concessione) sia suscettibile di interferire con il bene
giuridico delal concorrenza”…… La nozione di bene della vita non può essere estesa fino a farla coincidere con quella
generica di iinteresse pubblico affidato alla cura di un'autorità amministrativa. Se così fosse tutti gli apparati
amministrativi finirebbero per essere portatori di una situazione giuridica costituita dall'interesse pubblico per il
perseguimento del quale sono stati istituiti.
276
Nella successiva sentenza di TAR Lazio sez.II 6 maggio 2013 n.4451cit. la interpretazione dell’art.21bis appare
indubbiamente più raffinata. Dopo aver richiamato l’alternativa emersa in dottrina tra la tesi favorevole ad evocare una
“vera e propria giurisdizione di diritto oggettivo, svincolata dalla titolarità di una posizione soggettiva sostanziale
qualificata e differenziata” e l’altra incline a rinvenire l'intestazione in capo ad AGCM l’intestazione “ di una sorta di
rappresentanza processuale degli interessi diffusi e/o collettivi che lo stesso legislatore ha progressivamente
riconosciuto nel campo ambientale, degli interessi economici e delle tutela del consumatore”, il Tar ha ritenuto
necessario una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione. Di qui, la conclusione secondo la quale:
“Al centro, si pone la tesi secondo cui non sarebbe corretto parlare di superamento del processo di parti, quanto
piuttosto di "potenziamento" del ruolo del soggetto affidatario della tutela di un interesse pubblico particolare, fino al
punto di essere legittimato ad agire direttamente in giudizio contro gli atti e i comportamenti che, violando la legge, ne
integrino una lesione, in aggiunta a quella dei diritti e degli interessi degli operatori, pubblici o privati, specificamente
coinvolti. Secondo tale posizione il nuovo potere dell'Autorità andrebbe inquadrato come azione a tutela di una
situazione giuridica differenziata e qualificata. Assumerebbe specifico peso a tale riguardo, l'interesse alla migliore
attuazione del valore "concorrenza", che secondo detta ricostruzione non andrebbe ricondotto ad una declinazione del
mero interesse generale al rispetto della legge, quanto piuttosto ad un interesse particolare e differenziato di cui
l'Autorità sarebbe diretta portatrice; una declinazione di interesse legittimo soggettivizzato in capo all'Autorità e per la
cui tutela essa risulterebbe legittimata ex lege a rivolgersi al giudice amministrativo”
11.- Una conclusione provvisoria e provocatoria. La frantumazione delle sfere di giustizia:
dall’età dei principii all’ età dei prìncipi ?
La lunga parabola qui disegnata ha cercato di dar conto, per quanto in misura pur sempre
insufficiente e provvisoria, di una vicenda che si è andata snodando nei secoli e che tuttora
prosegue. Si è cercato, in particolare, di evidenziare il progressivo affermarsi dei principi, dal diritto
non scritto al diritto scritto, con particolare riferimento al diritto privato in rispondenza dei
mutamenti profondi intervenuti a partire dalla modernità. La crisi del positivismo giuridico,
innervata secondo taluni nel costituzionalismo del Novecento, l’avvento di società multiclasse e poi
multietniche, sempre meno autorefenzialmente coincidenti con esperienze territorialmente
circoscritte nei confini degli Stati sovrani, hanno progressivamente coinvolto anche le forme
“narrative” del diritto scritto.
Il primato delle “regole”, in particolare di norme generali e astratte277 possibilmente determinate nei
contenuti, ha costituito indubbiamente la manifestazione più eloquente e significativa del patto
sociale che ha avuto come protagonista la borghesia nell’avvento e nel consolidarsi degli Stati
moderni quali strutture chiamate a tenere sotto controllo i conflitti ed a incanalare la gestione
giuridica dei rapporti sociali in un quadro di regole sostanziali e di regole sulla produzione di
regole in linea con la conservazione e la garanzia dei diritti individuali per soggetti tutti eguali
davanti alla legge.
Con il costituzionalismo moderno, il ruolo dello Stato si è profondamente modificato in uno con
l’affermarsi della democrazia politica e dunque della possibilità di tutti di partecipare alle
determinazioni relative alla disciplina della convivenza, pur nel rispetto di condivisi valori
fondamentali assunti come comuni. In questa stagione, lo Stato ha progressivamente mutato di
ruolo: da semplice garante di equilibri sociali e tutore di specifici interessi elevati a diritti soggettivi,
si è fatto protagonista del mutamento stesso di tali equilibri non solo introducendo nuovi diritti, ma
intervendo direttamente nella dialettica attraverso la quale, in definitiva, il disegno costituzionale
si sarebbe dovuto attuare (non importa qui ponderarne gli esiti) nei suoi obiettivi valoriali e nelle
modalità democratiche attraverso cui essi avrebbero dovuto essere perseguiti278.
E’ in questa congiuntura storica che l’esperienza del diritto scritto ha conosciuto l’ascesa ed primato
dei principi sulle regole. Ebbene, la stagione che stiamo attualmente attraversando riflette uno
scenario profondamente diverso e distante da quello ora evocato e che nel mondo occidentale ha
caratterizzato larga parte del Novecento.
Attualmente, la globalizzazione dell’economia, la crescente progressiva emancipazione dei mercati
dal controllo giuridico assicurato dagli Stati sovrani, tende ad erodere i paradigmi fondativi degli
ordinamenti giuridici come si sono consolidati nello sviluppo delle società industriali. In virtù di
questa crisi, già i quadri costituzionali dei singoli paesi sono a loro volta chiamati a convivere,
anche in termini conflittuali, in un contesto costituzionale sovranazionale in fieri nel quale si
collocano molteplici processi di formazione di un diritto deterritorializzato. Nel contempo,
all’interno delle singole esperienze nazionali, la crisi della sovranità si manifesta in maniera più
corposa atteso che non si è più in grado di contenere il processo centrifugo riguardante la
277
E’ sin troppo noto, infatti, che l’astrattezza della norma ( ossia la sua operatività nei confronti di tutti coloro che si
trovano nella condizione prevista dalla regola) è garanzia di uguaglianza di trattamento e, al tempo stesso, di assenza
di arbitrio da parte del legislatore. Quanto alla generalità, essa può comprendere tutti i soggetti o soltanto particolari
loro categorie.
278
Sul significato costituzionale della distinzione moderna tra Stato e società e sui dilemmi che ne derivano alla luce
del rapporto tra Stato ed economia, è di particolare interesse la prospettiva di indagine offerta da E.W.BÖCKENFÖRDE,
Diritto e secolarizzazione, Roma –Bari 2010, 82ss, soprattutto se proiettata sulla attuale stagione di complessiva crisi
della sovranità e, di conseguenza, della concreta possibilità di tutela dei diritti sociali.
produzione del diritto scritto: processo nel quale, appunto, la centralità dei Parlamenti risulta
progressivamente erosa a favore di nuovi regolatori che, con riferimento specifico alla vita
economica, diventano i nuovi arbitri nella disciplina dei rapporti relativi ai rispettivi settori
operativi279.
Dal rapporto tra Stato e mercato che ha contraddistinto sia l’epoca liberale sia quella
dell’interventismo pubblico, si è attualmente di fronte alla coesistenza di una pluralità di centri
regolatori: essi non solo sono presenti in rispondenza di singoli mercati settoriali che caratterizzano
lo svolgimento di molteplici attività economiche nella società civile. A ben vedere, siffatte autorità
costituiscono per ciascuno mercato una componente della loro stessa strutturazione giuridica, in
considerazione del peculiare ruolo che esse svolgono per assicurare il loro funzionamento,
operando a tale riguardo in una posizione neutra ed imparziale280 rispetto agli interessi in gioco281.
Ebbene, in questo processo di diluizione dei poteri sovrani a favore di nuovi settoriali centri
chiamati al tempo stesso a produrre norme, controllarne l’applicazione e sanzionarne le violazioni,
il ricorso ai principi si è rivelata la modalità adeguata, per la sua flessibilità e adattabilità, a guidare
l’intera filiera relativa alla produzione del diritto. Al contempo, l’attribuzione di siffatti poteri ad
autorità collocate nella stessa struttura giuridica dei mercati e chiamate funzionalmente dall’interno
alla loro governance ha, a sua volta, inevitabilmente segnato la sostanziale contrazione della
centralità tradizionalmente riconosciuta al giudice civile, quale garante della tutela dei diritti dei
singoli, a vantaggio di quello amministrativo che è tuttora tenuto ad un controllo pur sempre
fondamentalmente “debole” dell’esercizio del potere pubblico, sebbene attualmente esso si spinga,
sia pure in parte, oltre mera sfera della legittimità formale degli atti.
Si assiste, dunque, allo strutturarsi progressivo di una molteplicità di “sfere di giustizia” in senso
ampio in rispondenza dei microsistemi che si coagulano intorno a queste autorirà. Tale sfere di
giustizia non rispondono, unitariamente all’esigenza di fornire risposte differenziate in relazione
alle diverse esigenze e bisogni dei singoli nella prospettiva propria del welfare state e, in definitiva,
in linea con l’indicazione – che oggi può apparire a molti soltanto nostalgica o semplicemente retrò
- di cui parla l’art.3 comma 2° della costituzione, laddove tra i principi fondamentali pone
l’esigenza di ridimensionare le diseguaglianza di fatto tra i cittadini, senza ,al tempo stesso, negare
279
L’emancipazione dell’economia dalla politica depotenzia la stessa forza e pervasività dei principi costituzionali: sul
punto si v. le lucide considerazioni DI R. BIN, Lavoro e Costituzione. Le radici comuni di una crisi, in G.G BALANDI e
G. CAZZETTA ( a cura di), Diritto e lavoro nell’italia repubblicana Materiali dell’incontro di studio Ferrara 24 ottobre
2008, 279ss.
280
A ben vedere, il profilo della “neutralità” è fondamentale per comprendere quale dovrebbe essere il ruolo delle
autorità indipendenti “ al fine di evitare che le medesime funzioni di direzione politica del mercato, in passato
esercitatre dal gioverno, passino semplicemente ad auitorità che, benchè imparzialio, siano prive della legittimazione
democratica……” . La neutralità implica che alle autorità “non spetta una direzione politica del mercato, ma ad esse è
affidata la tutela del mercato ( ad esempio, deve essere chiaro che la politivca della concorrenza è qualcosa di diverso
dalla tutela della concorrenza e che solo quest’ultima può esser affuidata ad autorità indipendenti e neutrali,non anche la
prima”. Ne discende che nell’esercizio di tali funzioni non vi sarebbe spazio per “alcuna prevalenza dell’interesse
pubblico nella classica comparazione degli interessi propria dell’esercizio della discrezionalità amministrativa” ( le
citazioni sono tratte da R. CHIEPPA, Potere economico e autorità indipedenti: funzioni neutrali e sindacato del giudice
amministrativo, in Riv. Sc. Sup. econ e fin., 2005. In particolare, si è rimarcato che l’attività regolativa è neutrale in
quanto è svolta da un’autorità che non è parte nei rapporti e nelle situazioni che essa concerne e che persegue quel
medesimo interesse generale che determina la funzione legislativa e non invece, interessi pubblici di cui sia essa stessa
centro e organo (così G. VESPERINI, La Consob e l’informazione del controllo mobiliare,Padova 1993, 267). A sua volta
L. DE LUCIA, La regolazione amministrativa dei servizi di publica utilità , Torino 2002, 95 ha chiarito che “ l’attività di
regolazione non è finalizzata direttamente alla cura di interessi pubblici, ed è conseguentemente attività neutrale, in
quanto caratterizzata dalla sostanziale estraneità ed indifferenza rispetto alla materia e agli interessi nei cui confronti
viene ad operare” [la sottolineatura è nostra]
281
Come è stato acutamente osservato, F. MERUSI,La legalità amministrativa, Bologna 2012, 101 la regolazione posta
in essere dalle autorità indipendenti “ consiste nella creazione artificiale di un mercato concorrenziale attraverso
provvedimenti amministrativi, che possono essere generali, e perciò assomigliare a regolamenti, oppure
singolari, cioè riferiti a singoli destinatari….” Sulle ragioni per le quali, la “regolazione”, a differenza dell’intervento
pubblico sull’economia, sfuggirebbe alla riserva di legge si v. sempre ID, Sentieri interrotti della legalità, Bologna
2007, 65ss.
il rispetto dell’ uguaglianza formale. Tanto meno esse riflettono un’ evoluzione dei modelli
neocorporativi emersi nei decenni precedenti nell’ambito sempre di alcune esperienze del WelfareState e che presupponevano pur sempre la presenza di uno Stato sovrano282.
Le sfere di giustizia di cui qui si parla riflettono il caleidoscopio disciplinare in cui sono immersi
attualmente i cittadini, assunti, volta a volta, come consumatori, clienti, utenti coinvolti nei diversi
mercati e, dunque, semplici destinatari dell’esercizio di poteri da parte di autorità amministrative
indipendenti, secondo le diverse modalità in precedenza considerate. Il soggetto privato
protagonista del diritto moderno si disarticola in tante figure in relazione ai ruoli che assume ogni
qual volta sia partecipe di relazioni economiche sui diversi e distinti mercati283. Come dire, dunque,
che le “sfere di giustizia” corrispondono sempre di più a sfere di “potere” in cui pubblico e privato
si mescolano e coesistono: sfere di potere che governano i mercati e, in definitiva, partecipano alla
strutturazione di una pluralità di campi di forze in cui i soggetti socialmente più deboli non hanno
concreta cittadinanza attiva, ma fruiscono solo di quanto si intenda di volta in volta loro assegnare.
In questo senso, l’ingegneria istituzionale relativa alla governance dei mercati interni appare sempre
di più riflettere e riprodurre, in scala ridotta, la frantumazione dei poteri che si registra a livello
globale. L’oligarchia ormai presente al livello sovranazionale per la quale pochi soggetti, non
necessariamente coincidenti con Stati sovrani, domina ed orienta le relazioni economiche sull’intero
pianeta, si ripropone a livello periferico al tempo stesso come causa ed effetto della crisi della
sovranità degli Stati. In questo caso, il potere regolatorio si coagula intorno ad autorità chiamate a
svolgere un ruolo di arbitri indipendenti rispetto alle dinamiche di cui sono protagonisti nel suo
stesso seno i portatori forti degli interessi. Di conseguenza, la concreta disciplina delle relazioni
economiche è sempre più frutto di una mediazione che interviene in seno alle singole autorità tra la
parte pubblica, arbitra ed indipendente, e gli operatori economici volta a volta riconosciuti come
interlocutori privilegiati284. Sulla base di principi guida, siffatta disciplina può esprimersi in forme
282
Non vi è dubbio che la c.d. concertazione sindacale, da taluno configurata in termini di neocorporativismo, si
collocava in un orizzonte che aveva come protagonisti il governo centrale e i sindacati maggiormente rappresentativi a
livello nazionale ( per una utile ricognizione con riferimento alla nostra esperienza si v. la sintesi offerta da S.
LEONARDI, Il Sindacato c’è ancora ? Gli anni della concertazione: un excursus storico-politico, in Alternative per il
Socialismo, n. 25/2013. A partire dagli inizi degli anni duemila, nel quadro di un mutamento di indirizzo emerso anche
a livello europeo ( si pensi al Libro verde «Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo»
COM(2006) 708 cui è poi seguita la comunicazione della Commissione sulla flexicurity COM(2007) 359def. ), la
contrattazione collettiva a livello nazionale ha visto ridimensionare la sua centralità in ragione della debolezza
progressiva tanto degli Stati nel guidare ed orientare i processi economici alla luce delle spinte neoliberistiche egemoni,
quanto dei sindacati nell’adeguarsi al postfordismo e alla terziarizzazione dell’economia. In questo contesto, il
baricentro della regolazione si è sostanzialmente decentrato al livello delle singole aziende, sia con margini di
derogabilità della disciplina generale sempre più significativi, sia con la rilevanza riconosciuta alle sole rappresentanze
sindacali coinvolte a livello aziendale nella conclusione dei contratti. Del resto, uno dei pilastri della c.d. flexicurity è
costituita proprio dalla disponibilità ad accordi contrattuali che riescano a offrire flessibilità sia alle imprese sia ai
lavoratori. Sotto questo profilo, lo spostamento della contrattazione e dei soggetti collettivi coinvolti a livello aziendale
induce a chiarire preliminarmente che l’utilizzazione del termine “neocorporativismo” può rivelarsi insoddisfacente ed
ambiguo: la frantumazione della stessa contrattazione a livello aziendale, il primato del localismo sugli accordi
nazionali “di categoria” appaiono, piuttosto, legittimare, sia pure con le cautele del caso, il ricorso al termine
“neofeudalesimo”.
283
Si è acutamente osservato che con l’avvento dello Stato moderno dopo la caduta del sistema feudale la distinzione
tra Stato e società ha fatto venir meno gli “status ” in cui in precedenza erano collocati giuridicamente tutti i soggetti,
con la conseguente sola emersione degli “strati” all’interno della società (siv. E.W.BÖCKENFÖRDE, Diritto e
secolarizzazione,cit.93ss) . Ebbene, la frantumazione dello Stato inevitabilmente incide sulla stessa configurazione della
società: alle spinte centrifughe che intervegono nel primo corrispondono altrettante spinte nel corpo sociale. Forte
diventa allora il rischio che antichi e nuovi “strati” sociali individuati dall’evoluzione dell’economia possano
trasformarsi sul piano giuridico in nuovi “status” , all’insegna di quel processo di neofeudalizzazione già richiamato,
venendo meno, in seno alla stessa società, gli anticorpi culturali che avevano favorito il rispetto stesso del principio di
legalità. Non è un caso che la manifestazioone più emblematica di questa deriva si rinvenga nelle posizioni sociali più
deboli e marginali: si pensi al riaffiorare di frequenti fenomeni di nuova schiavitù all’interno delle società industriali ( al
riguardo si rinvia alla fine ricerca di G.TUCCI, La giustizia e i diritti degli esclusi, Napoli 2013).
284
Nella formazione negoziata delle regole, presente nalla moderna regulation, è alto il rischio che gli interessi forti
finiscano con il prevalere. Come è stato ribadito a proposito dell’esperienza nordamericana ( J. ROSSI, Bargaining in the
diverse che vanno dalla fissazioni di regole astratte e generali, sino a determinazioni puntuali e
concrete per singole situazioni anche in forma negoziale.
Le regole generali ed astratte, quale modalità operativa di un potere legislativo che, per quanto
centralizzato, era pur sempre collocato in un sistema di rappresentanza politica democraticae
risuotava orientato a promuovere anche l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini, pur sempre nel
rispetto dell’uguaglianza formale dinanzia alla legge, tendono tende dunque a regredire, a fronte di
un “nuovo” frantumato modo di produrre diritto. In questo modello, la “partecipazione” al processo
regolatorio da parte degli stakeholders, lungi dal rilevare come un semplice surrogato della non
democraticità della struttura decisionale, appare piuttosto strutturalmente legata all’effettiva
esigenze di favorire, in definitiva, una autoregolazione contrattata degli operatori economici quale
unica realistica alternativa al puro rinvio all’autoregolazione del libero mercato. Sotto questo
profilo, i cittadini quali fruitori finali della produzione giuiridica, quale sia sia la forma diretta o
indiretta attraverso cui ciò si determina, continuano a essere pur sempre la parte “debole” di un
ordine neo-feudale che progressivamente si sta strutturando non solo a livello golobale per via
dell’egemonia di pochissime strutture finanziarie, ma anche a livello periferico. IN questo ultimo
alla perdita di centralità degli Stati sovrani si accompagna, quale causa ed effetto al tempo stesso
della frantumazione del potere, la sua dispersa ricollocazione in nuove entità pubbliche e private
che si legittimano fuori dal circuito della democrazia rappresentativa e la cui stessa presenza ed
operatività accentua la perdita di valenza in termini di garanzia e di emancipazione dei singoli
assicurata nella modernità dalla cittadinanza.
In definitiva, i signori del diritto non sono più gli Stati sovrani, bensì accanto ai soggetti privati forti
si ergono attualmente nuove strutture di potere, anche in lotta tra loro, in cui pubblico e privato si
intersecano e si condizionano a vicenda in un quadro sempre più frantumato: non è un caso che
suggestivamente si sia parlato da taluno di “capitalesimo”285 ovvero di un “neofeudalesimo”286
destinato, quest’ultimo, ad estendersi dalle strutture istituzionali sin qui richiamate, alle stesse
singole imprese, legittimate dalla più recente normativa a poter derogare, nella regolazione interna
dei rapporti di lavoro, le stesse leggi dello Stato, nella prospettiva appunto costituita dal
Shadow of Administrative Procedure : The Public Interest in Rulemaking Settlement, in 51 Duke Law J. 2001,
1022)”Negotiated regulation has received much discussion in the literature, with many commentators praising the
technique, and others raising concerns with the strong potential for interest group domination of the process. At its
worst, negotiated regulation can subvert the public interest to the extent that it accommodates the interests of private
stakeholders in ways that either ignore important perspectives or conflict with regulatory goals”.
285
E’ il titolo dell’agile saggio di P. GILA, Capitalesimo. Il ritorno del feudalesimo nell’economia mondiale, Milano
2013.
286
L’acquisizione pacifica del quadro oggi esistente conduce a prospettare soluzioni che, paradossalmente, in maniera
del tutto inconsapevole, accentuano la lettura “privatistica” dei poteri frantumati, pur nella prospettuiva di una loro
ricomposizione sistemica. E’ significativo, ad esempio, che, a fronte dei possibili conflitti tra le autorità indiependenti
in cui sia coivolta l’Agcm, oggi dotata del potere di cui all’aer.21bis sopra analizzato, non è mancato in dottrina il
suggerimento di ricorrere a “flessibili e laboriose mediazioni”, ossia di affidare il superamento preventivo dei conflitti,
che possono danneggiare la certezza e la sicurezza degli operatori economici, alla stipula di protocolli di intesa tra le
autorità, al fine di “individuare forme e modi di reciproco coordinamento” : coordinamento, peraltro, destinato ad
apparire come “un momento di garanzia” per i privati e “ ‘dunque essere convertito in una pretesa’ alla certezza
procedimentale ed alla sicurezza dei rapporti giuridici’ ( le citazioni sono tratte S. LUCATTINI, op- cit., 527- 531, il
quale a sua volta si avvale delle riflessioni di G.D. COMPORTI, Il principio di unità della funzione amministrativa in
M.RENNA – F. SAITTA ( a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 338s.
progressivo depotenziamento del ruolo della legge a vantaggio del contratto287 diventato il mezzo
dominante e prioritario per la regolamentazione anche dei rapporti di lavoro288.
I temi evocati in questa pagine conclusive vanno ben oltre l’obiettivo della presente riflessione. E’
sufficiente solo qui osservare, nel tornare alla prospettiva storica con cui si era avviata la presente
indagine, che la diffusa riproposizione oggi della questione relativa ai diritti, a partire da quelli dei
dei singoli, in termini di diritti umani e della loro giustiziabilità289, peraltro ben al di là al di là degli
stessi parametri in cui essa è affrontatata nelle Costituzioni vigenti a livello nazionale, appare
riflettere, questa volta a livello planetario, un profondo nuovo disagio di civiltà e, al tempo stesso,
una ineludibile sfida: disagio ben più grave, a mio avviso, di quello di cui si fece interprete la
cultura giuridica di mezzo millennio fa, allorquando provvide ad elaborare un“diritto naturale”,
quale possibile futuro antidoto e usbergo alle ingiustizie del mondo290; sfida, attualmente ancor più
complessa, perché oggi sono in gioco “giustizia e mondo”291.
***
Quando il presente lavoro era ormai già in fase di conclusiva rifinitura, è intervenuta la sentenza
della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 4 marzo 2014 - Ricorso n. 18640/10 - Grande
Stevens e altri c. Italia. Essa ha condannato il nostro paese con specifico riferimento ad un caso, di
grande rilievo economico, nel quale la Consob, nell’esercizio della sua attività di autorità
amministrativa indipendente sui mercati finanziari, ha incisivamente sanzionato alcuni operatori ed
amministratori e professionisti con un provvedimento che ha poi trovato il singolare avallo da parte
prima della stessa corte di appello di Torino e poi della Corte di Cassazione.
L’importanza della decisione non sta solo nella soluzione accolta dalla Corte di Strasburgo che ha
condannato il nostro paese per violazione dell’art.6 della Convenzione in quanto le procedure
previste in materia di sanzioni adottate dalla Consob, da ritenersi afflittive e di rilevanza penalistica,
non avrebbero assicurato il contraddittorio ai soggetti destinatari di sanzioni peraltro non solo a
contenuto pecuniario.
La dissentig opinion manifestata da due giudici, insoddisfatti non già dalla conclusione cui è
pervenuta la corte, bensì dal fatto che essi avrebbero auspicato una condanna ben più grave per lo
Stato Italiano e ben più attenta alle attese di giustizia degli operatori che hanno subito la violazione
dei propri diritti, costituisce un’ impietosa analisi dei problemi di legalità che derivano proprio
dalla concentrazione di poteri normativi e sanzionatori in capo alle autorità indipendenti in sede di
287
Sul ruolo che gioca la contrattualizzazione nel processo di frantumazione dell’ordine sociale in un complesso
plurimo e caotico di rapporti tale da evocare il modello feudale, si v. L. HENNEBEL e G. LEWKOVICZ, La
contractualisation des droits de l’homme, in M. XIFARAS e G. LEWKOVICZ ( a cura di), Repenser le contrat, Dalloz
2009, 221ss. In termini più convincenti, A. SUPIOT,Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del Diritto cit.
133 ha correttamente osservato che “ lungi dal disegnare la vittoria del contratto sulla legge ‘la contrattualizzazione
della società’ è piuttosto il sintomo di un processo di ibridazione fra legge e contratto e di una riattivazione delle
modalità feudali del legame sociale”.
288
Su quest’ ultima prospettiva, ormai evidente a livello europeo, si v. le lucide considerazioni di J.-E- RAY, Du toutEtat au tout –contrat. De l’entreprise citoyenne à l’entreprise législateur, in Dr. Soc. 2000, 574; per altri riferimenti si
rinvia a V. A-LEMAIRE, Refondation ou Re-feodalisation sociale? L’evolution de la place et des modalites
d’elaboration de la norme legislative en droit du travail, in J. LEFEBVRE, L’hypothèse du néo-féodalisme. Le droit à
une nouvelle croisée del chemins, cit.231ss ed a A. SUPIOT, Les deux visages de la contractualisation: déconstruction
du Droit et renaissance féodale, in S. CHASSAGNARD-PINET e D.HIEZ (a cura di), Approche critique de la
contractualisation, L.G.D.J., 2007.
289
Sul tema è presente una letteratura assai vasta: per una prima ampia ricognizione si rinvia a F. RIMOLI,
Universalizzazione dei diritti fondamentali e globalismo giuridico: qualche considerazione critica, in Studi in onore di
G.Ferrara, vol. III, Torino, 2005, 321 ss. Sulla rinnovata problematicità della tutela dei diritti civili nell’attuale
stagione, si v. il recente contributo di S. RODOTÀ, Il diritto ad avere diritti, Roma-Bari 2012.
290
E’ in questa prospettiva, in definitiva, che può convenirisi con M.VOGLIOTTI, Tra fatto e diritto Oltre la modernità
giuridica, Torino 2007,299ss, laddove in presenza della modernità liquida suggerisce la necessità che si passi “dalla
centralità della legge alla centralità dell’uomo di legge ”.
291
E’ questo il titolo dell’ultimo capitolo del lucido e denso contributo di A.SEN, L’idea di giustizia, Milano 2010, 393ss.
svolgimento dell’attività di regolazione al centro delle nostre considerazioni e preoccupazioni:
problemi che emergono già dal testo della sentenza, ma sui quali la maggioranza della Corte è
apparsa indulgente e che, peraltro, vanno oltre l’orizzonte della sola esperienza giuridica italiana.
Infatti, la dissenting opinion non si è limitata semplicemente a ritenere “realmente scioccante” “la
mancanza del contraddittorio”, il fatto che corte d’appello di Torino abbia “accettato ed avallato
senza riserve le testimonianze raccolte dall’accusa senza lasciare ai ricorrenti la possibilità di
effettuare un controinterrogatorio dei testimoni sui fatti di causa” e che “sebbene tali mancanze
fossero state eccepite dinanzi alla Corte di cassazione, questa non vi abbia posto rimedio……”.
Nei paragrafi conclusivi (32-33) della loro dissenting opinion, i due giudici hanno affrontato il
tema più generale relativo alle attuali modalità di azione e di intervento della autorità
amministrative indipendenti nei processi regolativi dell’attività economica.
E’ bene che si mediti sulle loro parole: “Gli Stati europei sono di fronte ad un dilemma. Per
assicurare l’integrità dei mercati europei e rilanciare la fiducia degli investitori nei mercati, hanno
creato illeciti amministrativi di ampia portata, basati sulla condotta, i quali puniscono il rischio
astratto di danno al mercato con pene pecuniarie e non pecuniarie, severe e di importo imprecisato,
definite sanzioni amministrative ed inflitte da autorità amministrative «indipendenti» nell’ambito di
procedure inquisitorie, non egualitarie e sbrigative. Queste autorità dispongono di poteri
sanzionatori ed inquisitori, nonché di ampie facoltà di supervisione su un settore particolare del
mercato ed esercitano quest’ultima in modo da facilitare l’esercizio dei primi, imponendo talvolta
alla persona controllata/sospettata l’obbligo di collaborare con i propri accusatori. La successione di
tre o quattro fasi di comunicazione di documenti scritti ai fini della difesa [nel caso di specie] (due
dinanzi all’autorità amministrativa, una dinanzi alla corte d’appello ed eventualmente un’altra
dinanzi alla Corte di cassazione) è una garanzia illusoria che non compensa l’intrinseca mancanza
di equità del procedimento. E’ evidente la tentazione di delegare a questi «nuovi» procedimenti
amministrativi la repressione di condotte che non possono essere perseguite con gli strumenti
classici del diritto penale e della procedura penale. Tuttavia, la pressione dei mercati non può
prevalere sugli obblighi internazionali di rispetto dei diritti dell’uomo, sussistenti in capo agli Stati
aderenti alla Convenzione. Non si può evitare la repressione dei reati e la severità della pena, che
implicano chiaramente il beneficio della tutela fornita dalle garanzie procedurali e materiali sancite
dagli articoli 6 e 7 della Convenzione”.
“Riteniamo che i ricorrenti siano stati trattati ingiustamente dalla CONSOB e dai giudici nazionali e
che la nostra Corte abbia reso loro giustizia solo a metà. Per tale ragione sottoscriviamo solo in
parte il ragionamento della maggioranza. Auspichiamo che la presente sentenza costituisca
l’occasione per i giudici nazionali di rendere piena giustizia ai ricorrenti e che la medesima induca il
legislatore italiano a porre rimedio alle mancanze strutturali del procedimento amministrativo e del
procedimento giudiziario di applicazione e di controllo delle sanzioni amministrative della
CONSOB. Se il legislatore raccoglierà tale sfida, ciò potrà rappresentare un esempio ed una fonte
di ispirazione per gli altri legislatori che debbano affrontare un analogo problema sistemico.
[ le sottolineature sono nostre].